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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA

GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLALIGURIA

ANNO XIV 1938

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A. CODIGNOLA Rubattino

Licinio Cappelli, Bologna, in 8°, pagg. 560 - 1938.

Quando fu resa pubblica la serie di celebrazioni dei grandi Liguri molti si sorpresero di trovarvi incluso il nome di Raffaele Rubattino. Ne esultarono i marittimi: ma non è meraviglia se per il grosso pubblico delle presenti generazioni, la personalità complessa del fondatore e direttore della prima Società di vapori, mai emersa a suo giusto valore, in vita e dopo morte, andasse svanendo nel ricordo.

Ben pochi sapevano che da anni, nel silenzio del suo studio, in quella Casa di Mazzini, assurta a sacrario di quanto la Liguria ha dato di sé per il Risorgimento italiano, Arturo Codignola compulsava documenti, sfogliava i giornali dell’epoca, i verbali della Camera di Commercio, gli Atti dei Parlamenti subalpino e nazionale, indagava e faceva indagare in Archivi, in Biblioteche, ovunque potesse esservi un’eco della vita di questo grande genovese il cui Archivio personale, disgraziatamente è andato, per insipienza, quasi del tutto perduto. Tutti sanno con quale rigore di metodo ogni monografia di Codignola venga condotta e resa di dominio pubblico solo quando essa può dirsi definitiva, nulla restando inesplorato e non documentato;, per cui le note diventano palpitanti pagine di storia viva mentre il testo procede serrato con quella limpida prosa fatta di probità e di serenità di giudizio che sono i veri pregi dello storico.

Dire che questa nobile fatica costituisca per la maggior parte degli italiani una rivelazione, non è esagerato. Da queste pagine balza un Rubuttino nuovo e in gran parte ignorato specialmente nel suo patriottismo perché compiuto spesso nascostamente, nell’interesse della patria: tanto più meritoria la sua condotta perché molte volte il suo patriottismo s’innalzava a problema di coscienza dinnanzi agli stessi interessi della sua Società.

Nato nel 1810 a Genova, compì i suoi studi in quel Convitto Nazionale dov’erano anche i Ruffini e dove le idee liberali trovavano modo d’infiltrarsi. Di carattere mite, dolce, romantico, adoratore della natura, amava le lettere, le astrazioni filosofiche: nulla tradiva in lui possibili attitudini agli affari e al commercio paterno cui pure dovette attendere dopo la morte del padre quand’egli aveva vent’anni. Nei due anni susseguenti perdette l’unica sorella e la madre.

Nel periodo fatidico per la gioventù di Genova, tra il ’30 e il ’33,

Rubattino subì il fascino dell’apostolato di Mazzini e oggi risulta che egli fu tra i primi affigliati alla Giovine Italia: al suo giuramento tenne fede in tutta la sua vita: operare per l’unità d’Italia e per la sua grandezza. A mantenerlo in questa atmosfera di passione, certo contribuì l’ambiente in cui visse. Dal giorno che la morte aveva distrutta la sua famiglia, entrò a far parte di quella di Lazzaro Rebizzo, a lui maggiore di 16 anni intrinseco del padre e dello zio materno G. B. Gavino ai cui affari partecipava. Rebizzo e Gavino erano sorvegliati dalle polizie di Milano e di Genova e lo furono fin verso il 48. La Corriera Milano-Genova condotta dai due amici era un buon tramite per le corrispondenze clandestine e i viaggi a scopo cospira torio. Per conto suo Rebizzo era un giramondo senza posa, i cui scopi la polizia non riesci mai a precisare. Mentre a Genova in sua casa, anche mercé l’intellettuale e dolcissimo fascino di sua moglie, Bianca Rebizzo, si era realizzato uno di quei salotti, ritrovo dei più eletti liberali, letterati, artisti, musicisti, filosofi, salotti che costituivano succursali ben efficaci dei circoli settari, Rebizzo viaggiando in Germania, in Olanda, Svizzera e Francia, e in tutte le città d’Italia, si faceva amico di molti patrioti sparsi pel mondo e avvicinava gli uomini più significativi in ogni centro a cui poi era largo d'ospitalità quando capitavano in Genova. Con tutta la prosopopea di poeta e letterato e di mecenate di musicisti e cantanti, questo spirito bizzarro partecipava alle imprese e vi versava largamente il suo patrimonio che finì per sommergersi.

In quest’ambiente eccezionale si svolse la vita del giovane Rubattino, che entrato a partecipare con Gavino e Rebizzo nell’impresa della Corriera di Genova-Milano, creò, sempre con loro, la Compagnia lombarda di assicurazione e nel ’38 la prima Compagnia sarda di navigazione sostenuta da industriali e banchieri lombardi più che genovesi. Nel libro in esame la storia di questo primo audace tentativo procede fra luci di speranze e ombre di delusioni; ma il concetto fondamentale di sottrarre lo Stato sardo dalla servitù delle marine mercantili di Marsiglia, Napoli e Livorno per i suoi traffici, seppe dare a Rubattino il coraggio di superare crisi e difficoltà che avrebbero prostrato caratteri meno audaci, meno lungimiranti del suo. La stessa audacia ad affrontare gli ostacoli dinotava nel Capo e nell’ideatore oltre la fede in sé stesso e nella causa che trascendeva al di là degli interessi personali, qualità superiori di rettitudine e di sagacia tali da infondere questa fede nei Soci della Compagnia.

Quando nel ’41 la Società arricchita di due navi poderose, il Polluce e il Castore, aveva certezza di raggiungere il primato sul Mediterraneo, la concorrenza sarda parve così forte che la Compagnia napoletana vilmente mandò il Mongibello a speronare affondandolo il Polluce, togliendo così di mezzo un pericoloso rivale. Fu uno schianto per Rubattino: fallì il tentativo di ricupero della nave in cui andò sommerso altro capitale, le condizioni finanziarie della Società andavano alla deriva; in una memorabile assemblea degli azionisti fu richiesto lo scioglimento della Società. Imperterrito Rubattino ascoltò tutte le più ingiuste e crudeli invettive, tutte le accuse velate e palesi, sentì risorgere furente la lotta della marina a vela che s’ammantava superba della secolare sua gloria sui mari, e stando fuori dalla realtà incolpava Rubattino di averla menomata coi suoi piroscafi. Cessata la canea, Rubattino, confortato dalla rigida sua coscienza, dai documenti di bilancio, dalla sua incrollabile fede nella missione della sua Società e nel suo avvenire, toccò la corda sensibile della marina genovese e dell’amor patrio. Un’ovazione accolse le sue parole e la fiducia venne ridata al fiero fondatore della Compagnia che potè nel ’44 trasformarla in Società per la navigazione dei battelli a vapore sul Mediterraneo.

Marsiglia, Napoli, Palermo, Livorno costituivano già un’importante traffico, ma Rubattino guardava oltre; alla Sardegna quasi isolata e senza commercio con ancora tutta l’armatura del regime feudale e alla Tunisia fecondata dalla mano d’opera italiana, memore dell’antica potenza marittima genovese e a tutti gli scali d’oriente su cui la bandiera crociata di S. Giorgio aveva avuto predominio; chiedeva al Governo eque sovvenzioni, impegnandosi di attrezzare i suoi piroscafi in modo che in caso di guerra, i cui prodromi erano nell’aria, potessero aggregarsi alla marina da guerra come flotta ausiliaria. Il rifiuto e l’incomprensione del Governo ebbero le loro gravi conseguenze nel ’48-’49. Ancor dopo quegli anni, ripresa l’annosa proposta Rubattino scriveva a Bixio: «Voi non immaginate le pene ch’io m’ebbi per far intendere allora a Torino che al di qua dell’Appennino c’era il mare e che il Piemonte aveva su di esso interessi grandissimi a proteggere e sviluppare». Solo coll’entrare di Cavour nell’arena parlamentare questi interessi vennero presi in considerazione.

Il programma di Rubattino collimava colle sue idee; e del carattere, della rettitudine e del patriottismo del genovese aveva alta stima; ma occorse il prestigio del grande Uomo di stato, la sua tenacia la forza della sua mente lungimirante per vincere le ostilità che parrebbero incredibili se Codignola non le documentasse. Concessa la sovvenzione alla Compagnia Rubattino per la Sardegna nel 1851, la Società che si denominò Società dei vapori nazionali divenne la più forte del Piemonte colla conquista di essere inserita negli interessi dello Stato.

Da allora Rubattino ebbe alleato potente il Conte di Cavour nei suoi progetti espansivi di traffico marittimo a Tunisi e sulla sponda dell’Africa settentrionale.

A questo punto l’A. ha potuto ricostruire le varie tappe dell’infelice storia della Società Transatlantica ideata dall’industriale Giovanni Pittai uga cui si erano associati Rubattino e i migliori rappresentanti di case bancarie, industriali e armatori di Genova. Ardita impresa che era fallita nei tentativi fatti da Inghilterra, Francia e Belgio malgrado le forti sovvenzioni governative. Cavour intravide subito la grande importanza politico-economica di stabilire linee dirette tra l’Italia e il sud-America e in seguito col nord-America e riuscì a far votare dal Parlamento un congruo sussidio annuo, contro gravosi impegni imposti alla Società di cui il Rubattino divenne direttore. Mentre Cavour battagliava contro il misoneismo e la miopia parlamentare, Vittorio Emanuele dava il suo appoggio al grandioso programma che partendo dalla nuova Società avrebbe dovuto ampliarsi così da superare il Lloyd Austriaco e portare la bandiera italiana al di là dell’Atlantico. Sogni! In proporzione alla grandezza dell’impresa il sussidio governativo non bastava; sopraggiunse la guerra di Crimea, con susseguente crisi dei valori di Borsa e l’ingiunzione ai cantieri inglesi di lavorare per il governo impegnato alla guerra; di qui necessità per la nuova Società di far entrare nell’amministrazione una Banca inglese, la Draper-Pietroni che già aveva potuto partecipare alla sottoscrizione delle azioni. Fu questo un grande errore a cui energicamente si ribellò Cavour e rifiutò di portare all’accettazione della Camera l’intromissione di una Banca estera che avrebbe avuto in sua balia una Compagnia nazionale. Con chiaroveggenza vide tutti i pericoli precisati in possibili speculazioni di aggiotaggio che arrivarono di fatto fino a tentativo di ricatto. Lunga storia di loschi intrighi in cui fu sorpresa la buona fede di Rubattino che oppose titanici sforzi per salvare la Società, né valse il sostituire la Banca inglese col Credito mobiliare, il cui tracollo unito alle condizioni finanziarie del paese per premunirsi contro la possibile guerra dell’Austria determinarono lo sfacelo della Transatlantica e la liquidazione della Compagnia Rubattino, che però si ricostituì ancora nel ’59 riprendendo i precedenti traffici.

L’A. in altro capitolo documenta l’azione patriottica del grande armatore genovese e qui il lettore trova delle vere rivelazioni. Nessuno pensò mai che Rubattino fosse stato cospiratore o favorisse la cospirazione. Quanta merce clandestina — intendi lettere, ordini, stampe, armi — andò di porto in porto coi suoi piroscafi, quanti cospiratori, quanti fuggenti la prigione o il capestro salirono di notte sulla tolda, mettendosi sicuri nelle sue mani per esser portati in salvo? Nessuno lo seppe, nessuno lo rivelò poi, né mai vanto uscì dalle sue labbra. Tetragono nella fede giurata, non lasciò occasione per schierarsi tra i più schietti liberali specialmente nel periodo preparatorio tra il ’47 e il ’48 entrando a far parte di quel Comitato dell’Ordine nelle cui file

entrò, sotto l’egida di Giorgio Doria,

tutto il fiore della gioventù di Genova, e tutta la matura saggezza pronte a dare il braccio o il prestigio della loro autorità a pro della patria, che s’avviava a nuovi destini: accanto a Mameli e Bixio i Daneri, Ricci, Pareto troviamo il nome di Rubattino, che ancora nel ’49, dopo Novara, frenando le esaltazioni dei rivoluzionari, si imporrà perché nel Consiglio della Camera di Commercio, dov’egli era pars magna non prevalessero le idee reazionarie. E da Roma Mameli di lui si ricorderà nelle frequenti lettere a Bianca Rebizzo e sul suo «Lombardo», dopo la resa di Roma centinaia di combattenti saliranno, fuggendo all'arresto per cercare asilo altrove, e sarà a Rubattino che Guerrazzi chiederà il mezzo per fuggire dall’esilio di Corsica.

Ma Codignola porta anche precisi e nuovi contributi alla partecipazione di Rubattino alle più importanti imprese rivoluzionarie per l’Unità d’Italia, da quella di Sapri a quella dei Mille e di Aspromonte, entrate nella storia col fascino di leggenda. Dopo il ’49 è Genova l’asilo più sicuro per il partito repubblicano. Sono esuli d’ogni parte d’Italia che l’armatore conosce e con molti ha legami d’amicizia. Pisacane freme di attuare l’audace spedizione che dovrebbe liberare la sua Napoli dal Borbone, e con Ini Nicotera: Mazzini viene a Genova, nascostamente per tutto concretare: manca la nave, impossibile l’acquisto. Rubattino interpellato di rilasciare il Cagliari che è lì in porto al primo momento rifiuta; i suoi precedenti politici non potevano metterlo a riparo delle gravi responsabilità di fronte alla Compagnia e al Governo. Ma, come dice l’A., l’ardore patrio, il disinteresse quasi colpevole, l'ardire generoso ebbero il sopravento sul freddo uomo d’affari, e il rapimento del Cagliari fu dal Comitato d’azione concertato in tutti i suoi particolari col Rubattino stesso, che sapeva quello che rischiava, ma la posta era tropo bella: l'avanzarsi dell’unità d’Italia. Tutto l’equipaggio era a giorno dell'impresa. Pagine di ansie, di dolore e di coraggio seguono passo a passo il fato degli eroi e del loro naviglio sequestrato in alto mare e prigioniero l'equipaggio. Rubattino si batte con tutte le forze per ottenere la sua nave e libero l’equipaggio volendo dimostrare che né questo né lui stesso fossero conniventi all’impresa, ma le prove schiaccianti e tutta la controversia penale e civile conclude per la connivenza di Rubattino. Cavour vigilava e di punto in bianco fatto sicuro che il sequestro era avvenuto in acque estraterritoriali portò la vertenza sul campo diplomatico in base al diritto internazionale e reclamò il Cagliari (dichiarato dal Tribunale delle prede, buona preda per diritto di guerra e pirateria) e la liberazione dell’equipaggio. Cavour rese subito pubblica la vertenza diplomatica che

doveva interessare anche gli altri Stati quale pericoloso precedente per la marina internazionale. Fu così che l’Inghilterra, che fra l’equipaggio del Cagliari aveva due marinai, si aggiunse alle proteste italiane associandosi alle minacele di ricorrere agli estremi, poiché Cavour era deciso a tutto pur di aver ragione della jattanza borbonica.

Fu così che il Borbone, figurando di cedere all’Inghilterra, rilasciò il Cagliari e liberò l’equipaggio. Per Rubattino non fu storia finita perché la sentenza suddetta veniva a chiudergli i porti delle Due Sicilie, oltre a tutte le altre perdite e alle conseguenze verso la Società.

A sfondare i porti del Regno borbonico ci penserà Garibaldi di li a pochi anni, col Piemonte e il Lombardo anch’essi lasciati rapire da Rubattino. Codignola già in altra sede aveva confutata la tarda, postuma attribuzione del merito della cessione dei vapori al veneto Fauché allora temporariamente

procuratore generale della Compagnia. Qui la confutazione si precisa così da venir messo fuori d’ogni dubbio che la cessione fu fatta dal grande armatore-patriota; questa certezza viene a noi attraverso l’espressa gratitudine di Garibaldi, di Bixio. i due maggiori Condottieri, attraverso la fiducia di Re Vittorio che segretamente a mezzo del marchese Trecchi spediva a Garibaldi in Sicilia delle somme affidandole a Rubattino con riservati documenti. Per non creare intralci al Governo occorreva che per tutti la spedizione dei Mille fosse una libera impresa di Garibaldi, per cui Rubattino non solo non figurasse connivente ma smentisse la sua cooperazione. Per irrisione della sorte il suo patriottismo dovette sempre nascondersi; di qui l’esser rimasto sconosciuto e peggio misconosciuto, mentre egli fu incessantemente patriota, facendo delle sue navi armi incruente di cospirazione, all’amor di patria sommettendo spesso — e per i suoi soci troppo spesso — i suoi interessi e quelli della Compagnia. Rubattino fu il navarca delle imprese garibaldine: a legger l’opera di Codignola si direbbe ch’egli tenesse sempre sotto vapore uno dei suoi piroscafi per aiutare i sogni di Garibaldi, dando gratuito passaggio da e per Caprera ai suoi Luogotenenti nella tentata organizzazione per la spedizione su Venezia e per Roma, interrotte dopo Samico e per quella d’Aspromonte. È sul Tortoli messo a sua disposizione da Rubattino che il Duce lascerà Caprera il 19 giugno 1862 per l’infausta impresa.

E più ci si avanza nella lettura più emerge lo scopo principale che lo spingeva a dare incremento di nuove linee al commercio marittimo, riportare la bandiera tricolore con la croce di San Giorgio nel più lontano oriente; vincere o competere colle maggiori marine, francese e inglese. Tunisi così nostra ancora, Tripoli, Alessandria dove gli italiani avevano una posizione di privilegio nel vicereame, e, dopo aperto il Canale di Suez — avversato dagli Inglesi — il mar Rosso e l’india.

Questo sogno superbo e audace di una ferrea volontà e di una mente lungimirante su che poggiava, se non sulla fede in sé stesso e nella santità della causa in cui era in giuoco l’avvenire d’Italia? In patria un misoneismo sconcertante per cui predominava l’opinione che la penetrazione commerciale dovesse essere attributo esclusivo dell’iniziativa privata ostacolava ogni iniziativa, e manteneva uno stato di miopia politica di fronte all’affannarsi di Francia e Inghilterra, ad insediarsi nel Mar Rosso, l’Inghilterra assicurandosi l’imbocco del Canale e lo sbocco di Bah El Mandeb dopo aver ottenuto, per la nostra inerzia, il predominio morale e economico sull’Egitto.

Per i nostri interessi in India Rubattino trovava indispensabile per l'Italia di occupare un punto del Mar Rosso per deposito di carbone e rendersi così indipendenti da Aden. A questo punto l’A. illumina con pagine nuove e con la più dettagliata documentazione la parte avuta dal ligure padre lazzarista Giuseppe Sapeto nell’acquisto che la Compagnia Rubattino fece della Baia d’Assab. Fu questa la conclusione di una tenace propaganda del Sapeto in Italia per scuotere governo e poteri politici a persuadersi dell’importanza per’ ii nostro paese di favorire la penetrazione commerciale in Abissinia e sulle coste del Mar Rosso di cui egli conosceva ogni regione. Con Sapeto tempestava Rubattino entrambi vedendo la lotta che si andava preparando nelle competizioni per il predominio europeo in quelle regioni; vere voci clamanti nel deserto. Cavour era morto, Bixio era sfiduciato; solo la fede di Rubattino non crollava, la Baia d’Assab mercé Sapeto fu presa in affitto dalla Compagnia di Rubattino. Il Governo italiano pudicamente se ne stava nell’ombra e se ne stette per dieci anni lasciando che le due nazioni, rivali fra loro, ma in combutta contro di noi, facessero il loro gioco in Egitto e Abissinia. Assabper dieci anni, malgrado la volontà di utilizzarla di Rubattino, restò un pegno morto nelle sue mani, finché nel 1879 fu trasformata in acquisto l’affittanza e nel 1882 il Governo si sostituì alla privata Compagnia di navigazione.

Alla quarta sponda d’Italia Rubattino aveva pensato fin da l’inizio della sua Compagnia, e Tunisi egli segnava come ulteriore meta quando chiese al Governo di sussidiare la linea dei suoi piroscafi per la Sardegna. Ebbe l’appoggio di Cavour e nel ’53 la Compagnia aveva a Tunisi una Agenzia fiorente. Tunisi era a metà italiana per la parte commerciale, e professionale, la nostra influenza soverchiante, la nostra emigrazione onesta e laboriosa desiderata, il Beyin nostro favore; il nostro commercio così vigoroso che fino al 1878 le nostre linee di traffico ebbero un primato assoluto, di fronte a una piccola cifra di vapori francesi, la nostra lingua era quella ufficiale. Nessuna meraviglia che Rubattino con tenacia cercasse per ogni via di intensificare i nostri interessi e promuovere lo sviluppo commerciale in Tunisia e provvedesse all’acquisto della Ferrovia Tunisi-Goletta che collegava il mare alla città e di cui una Società inglese per la sua passività voleva disfarsene. Qui si fa drammatica la narrazione dei fatti relativi a questo acquisto, per la subdola condotta inglese e l’opposizione della Francia che mettendo avanti un’altra Società propria cercò intralciarne l’acquisto. La piccola ferrovia era importante politicamente e economicamente per l’Italia che aveva così intensi interessi commerciali in Tunisia, ma il losco maneggio francese voleva servirsene come una pedina per abbattere la nostra influenza e per arrivare al ben meditato colpo di mano, ottenuto poi colla farsa dei Krumiri, favorita dalla nostra politica inqualificabile che adombrò per sempre la pur bella figura di Cairoli. La tenacia di Rubattino ebbe ragione sugli intrighi francesi e la ferrovia restò all’Italia, ancora per molti anni, mentre però il nominale protettorato poco a poco si traduceva in reale possesso. Ancor oggi non si può leggere senza fremere la storia della nostra rinuncia alla Tunisia e alle conseguenze seguite.

Ma la guerra senza respiro, specialmente della Francia, a qualunque accenno di espansione nostra, continuò portandosi sulla Libia su cui pure avevamo ottenuto mano libera. La guerra era diretta su colui che impavido e alacre aveva fatto di Tripoli un emporio importante: Rubattino con le sue fiorenti Agenzie era il nemico palese: il governo italiano se ne stava dietro le quinte pavido di possibili complicanze. Con Rubattino tempestavano Camperio,,Ravasini e quanti sostenevano alto il commercio in quella regione perché venisse aiutata la penetrazione e difesa dai mille intrighi: un privato non poteva sostenere da solo la lotta, ma il Governo dava le sovvenzioni col contagocce: per la Libia sì, per la Cirenaica no. Perché? Rubattino non esita e impianta da solo un’Agenzia in Cirenaica intensificando il traffico sulle coste libiche tanto che la sua linea di navigazione era la seconda dopo l’Inghilterra. Ciò non andava a garbo alla Francia che «considerava la Libia un pascolo a sé riserbato», né voleva aver ai confini un’Italia potente. Tutte le arti meno leali furono buone per avversarla. In quella lotta in cui la insidiosa prepotenza del forte era aiutata dalla colposa tiepidezza anti espansionista di governo e Parlamento, Rubattino imperterrito segnava la via e restava sulla breccia per mantenere quanto possibile le conquiste della nostra marina mercantile e difendere l’onore d’Italia.

Per ragioni che PA. vien man mano dimostrando, da qualche anno la marina mercantile di tutte le nazioni subiva una crisi allarmante che con maggiore gravità colpiva l’Italia. Nel 1877, rispetto al tonnellaggio, la nostra marina era al terzo posto, nel ’78 passò al quarto, nel 79 al settimo non tanto per un maggior progresso di quelle rivali, quanto per un reale regresso della nostra. Se ne allarmarono industriali, commercianti e economisti insigni. Il Governo non potè restar sordo a questi gridi d’allarme. Paolo Boselli, ligure anch’esso, fu il primo ad alzare la voce alla Camera e a mostrare il pericolo di una politica d’inerzia al riguardo.

Dopo la morte di Bixio, la marina mercantile era rimasta indiffesa alla Camera e industriali, e armatori volevano nel '74 portare a candidato Rubattino: questi, alieno dai dibattiti parlamentari e non volendosi distogliere dal suo vasto campo di lavoro, rifiutò; ma nel 1876 accettò per atto di patriottismo; dal suo posto di comando egli aveva alzata sempre la sua voce, ma ora occorreva, dinnanzi al pericolo, che essa potesse giungere ai poteri responsabili con maggiore diritto e più riconosciuta autorità.

S'imponeva alla sua coscienza la creazione di una grande Società nazionale costituita da capitali italiani, capace di affrontare i bisogni necessari alle nostre comunicazioni interne e internazionali e a una sempre maggiore espansione dei traffici. Il problema non poteva risolversi che con la fusione della sua Compagnia con quella di Florio.

Dal '70 Bixio aveva suggerita quella fusione: Rubattino l'aveva sempre rimandata per molte ragioni, anche di alta e profonda sensibilità personale; ma ora, per la salvezza della marina mercantile fu da lui stesso proposta e sostenuta fino a che venne approvata dal Parlamento. Fu quella «l'estrema rinuncia», come ben dice l'A. , poiché con quella fusione Rubattino cessava di avere l'assoluta indipendenza nella sua Società dopo quarantanni spesi per crearla, potenziarla col suo prestigio personale, la sua incorruttibile onestà, la sua titanica tenacia sostenuta da incrollabile fede nei destini d'Italia.

Ancora una volta ebbe dinnanzi agli occhi il bene della patria, della sua grandezza avvenire e non esitò a sacrificare sé stesso: sacrificio che non gli fu usbergo ad amarezze e a velenose calunnie.

Eravamo nel 1881. «Non passarono due mesi da questa suprema rinuncia e insieme suprema conquista che la sua giornata ebbe termine».

Perduta nel 1869 Tunica persona cui per tutta la vita fu legato da affetto e venerazione, Bianca Rebizzo, si fece forza nel solo pensiero «di completare ciò che aveva cominciato» e con disperata volontà raggiunse il fine. Dio gli fu pietoso chiudendogli gli occhi prima che materialmente deponesse le armi così virilmente e patriotticamente usate.

Il libro di Codignola, così denso di studio e così rivelatore, non è soltanto la Vita magnifica di un grande Italiano, ma, merito grande, è anche la prima serrata storia della nostra marina mercantile che in quel risorgere della Patria, con tutte le sue vicende e i suoi sforzi, ha segnato la via perché il grande sogno di Rubattino potesse oggi tradursi in possente realtà.

ITALA CREMONA COZZOLINO


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Pisacane e la spedizione di Sapri (1857) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito
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1860 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. III HTML ODT PDF
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Giuseppe Castiglione - Martirio e Libert࠭ Racconti storici di un parroco dicampagna (XXXVIII-XL)

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Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

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Gazzetta d'Italia n.307 - Autobiografia di Giovanni Nicotera

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F. Palleschi - Giovanni Nicotera e i fatti Sapri - Risposta alla Gazzettad'Italia

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L. D. Foschini - Processo Nicotera-Gazzetta d'Italia

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Gaetano Fischetti - Cenno storico della invasione dei liberali in Sapri del 1857

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Luigi de Monte - Cronaca del comitato segreto di Napoli su la spedizione di Sapri

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JESSIE WHITE MARIO Della vita di Giuseppe Mazzini

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 MICHELE LACAVA nuova luce sullo sbarco di Sapri

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Carlo Tivaroni - Storia critica del risorgimento italiano (cap-VI)

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PAOLUCCI ROSOLINO PILO memorie e documenti archivio storico siciliano

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GIUSEPPE RENSI Introduzione PISACANE Ordinamento costituzione milizie italiane

1901

Rivista di Roma lettere inedite Pisacane Mazzini spedizione Sapri

1904

LUIGI FABBRI Carlo Pisacane vita opere azione rivoluzionaria

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - Giudizi d’un esule su figure e fatti del Risorgimento

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - Lettera di Carlo Cattaneo a Carlo Pisacane

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - I tentativi per far evadere Luigi Settembrini

1911

RISORGIMENTO ITALIANO - La spedizione di Sapri narrata dal capitano Daneri

1912

 MATTEO MAZZIOTTI reazione borbonica regno di Napoli

1914

RISORGIMENTO ITALIANO - Nuovi Documenti sulla spedizione di Sapri

1919

ANGIOLINI-CIACCHI - Socialismo e socialisti in Italia - Carlo Pisacane

1923

MICHELE ROSI - L'Italia odierna (Capitolo 2)

1927

NELLO ROSSELLI Carlo Pisacane nel risorgimento italiano

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - CODIGNOLA Rubattino

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano





Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)















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