Eleaml - Nuovi Eleatici

Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

CAMERA DEI DEPUTATI SESSIONE 1857-58

DOCUMENTI DIPLOMATICI COMUNICATI AL PARLAMENTO NAZIONALE 

DAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

RELATIVI ALLA VERTENZA COL GOVERNO DI NAPOLI

per la Cattura del Cagliari

TORINO 1858 — EREDI ROTTA

Tipografi della Camera dei Deputati

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

_______

I
Dispaccio del conte Di Gropello, Incaricato degli affari del Governo di S. M. a Napoli, a S. E. il conte Di Cavour

Napoli, 11 luglio 1857.

Eccellenza,

In conformità dell’invito ricevuto dal signor commendatore Carafa, di cui io faceva parola in sul finire del mio riverente rapporto n° 40, mi recava ieri alle ore 2 pomeridiane al Ministero degli affari esteri.

Colà giunto, il signor commendatore Carafa mi esponeva che S. M. aveva deliberato che tutti i pieghi trovati a bordo del piroscafo sardo il Cagliari, arrestato nelle acque di Policastro, e muniti del sigillo del Governo del nostro Sovrano, mi venissero resi previo esame e processo verbale disteso alla mia presenza ed a quella di una Commissione a ciò appositamente nominata, ecc.

Nei colloquii che ho avuto coi ministri di S. M. non ho potuto conoscere gran cosa più di quanto ebbi l’onore di scrivere a V. E. ne’ miei ultimi rapporti sì telegrafici, che mandati per l’ordinaria via dei valori. La banda insurrezionale è quasi intieramente distratta, e dovunque passò, oltre di essere attaccata e battuta dalla gendarmeria e dalle

guardie urbane, trovava la più grande avversione nelle popolazioni che ne uccidevano ed arrestavano gli sbandati.

Chiesi al Direttore della Marina dove attualmente trovavasi il legno a vapore, e mi disse che era tuttora nelle acque di Policastro, fra le fregate napoletane che colà stavano in crociera.

Aggradisca, ecc.

Firmato: G. Gropello.

2
Dispaccio del conte Di Cavour, ministro per gli affari esteri, al conte Di Gropello, Incaricato degli affari del Regno di S. I. a Napoli

Torino, 9 luglio 1857.

Ringrazio la S. V. Ill.ma delle informazioni somministratemi intorno all’attentato contro il territorio napoletane ed alla cattura del battello a vapore nazionale il Cagliari, e mi pregio di assicurarla ohe approvo quanto ella fece in questa circostanza.

Il deplorando e criminoso fatto ba destato l’indignazione del Governo del Re, indignazione che fu divisa da ogni sensata ed onesta persona; la 8. V. potrà esprimere a nome mio questo sentimento al Ministero di 8. M. Stamane.

Le indagini che a quest'ora il Governo napoletano avrà praticate, e le nozioni che gli saranno pervenute, gli avranno chiaramente dimostrato che l’equipaggio del Cagliari non ha. punto partecipato al tentativo rivoluzionario, e che anzi fu dalla violenza costretto a deviare dal suo cammino. La S. V. mentre ringrazierà il commendatore Carafa dei pieghi governativi che le ha fatto rimettere, gli farà conoscere che io non dubito che, appena accertato questo punto, il Governo si disporrà a restituire ai suoi proprietarii il vapore catturato divenuto preda di una mano di facinorosi.

Ella chiederà frattanto l’immediata restituzione degli oggetti spettanti ai passeggieri che si trovavano a bordo, ovvero diretti a privati, tanto in Sardegna quanto a Tunisi.

Gradisca, ecc.

Firmato: C. C avour.

3
Note del commendatore Carafa, Incaricato del portafoglio degli affari esteri di Napoli, al conte Di Gropello

Napoli, 10 luglio 1857.

Pervenute al sottoscritto, ecc., le due note, una in data del 0 di questo mese, e l’altra in data del 6, direttegli dal signor conte Di Gropello, ecc., circa il piroscafo sardo il Cagliari, si è subito rivolto sul proposito alle competenti autorità.

Ora, in replica alle cennate note, il sottoscritto si pregia di far conoscere al signor conte, che, essendo passati gli atti riguardanti i sudditi sardi catturati sul detto bastimento al potere giudiziario, si oppone alla regolarità e riserva della procedura che gli arrestati siano in relazione con alcuno, anche perché ciò potrebbe produrre la prolungazione di un processo che nell’interesse dei medesimi deve essere sollecitamente portato a termine.

In quanto poi alla giusta premura di conoscersi dalle famiglie lo stato dei detenuti, a' quali per altro vengono usati i maggiori riguardi, si sarà sollecito dalla competente autorità di fornire tutte le informazioni relative alla loro salute che venissero richieste.

Egli coglie intanto, ecc.

Firmato. Carafa.

4
Dispaccio Dispaccio del conte Di Cavour al conte Di Gropello, Incaricato degli affari del Governo di S. M. a Napoli

Torino, 23 luglio 1857.

Dai dispacci indirizzatimi dalla S: V. Ill.ma il 18 e 19 corrente, numeri 45 e 46, ho scorto non senza dispiacimento che non sembra probabile che siano per emanare dal Governo di S. M: siciliana prossimi provvedimenti per la restituzione delle mercanzie catturate sul Cagliari e la liberazione di quei prigionieri che evidentemente non hanno preso parte all'attentato di Sapri, ma che furono anzi vittima della violenza usata contro il battello a vapore.

Certamente il Governo del Rey in vista del processo che si sta costi instruendo, non pretende che l'autorità giudiziaria si privi degli opportuni mezzi per chiarire la colpabilità degli imputali; ma egli è parimente è manifestamente vero, che la massima parte degli oggetti sequestrati ed appartenenti sia al regio Governo, sia ai privati, non possono servire in guisa alcuna al processo, per la qual cosa non apparirebbe fondato sopra valevoli ragioni un più lungo ritardo frapposto alla loro restituzione.

Più grave ancora vuolsi ritenere l'impedimento posto ai regii sudditi costi detenuti, e della cui presunta innocenza il magistrato debbe a quest'ora avere sufficienti prove morali per non dire ancora legali, di ricorrere agli agenti diplomatici de' consolari di S. M., naturali loro protettori in questa dolorosa emergenza. La giustizia ha i suoi diritti che noi rispettiamo, ma li ha pure l'umanità; e nelle relazioni internazionali vi sono certe convenienze che tutti i Governi hanno dovere ed interesse di osservare.

Nel pregare perciò da S. V. Ill.ma di rinnovare gli uffici suoi relativamente alla restituzione delle mercanzie governative e private sequestrate sul Cagliari, io la incarico di instare precipuamente perchè ai detenuti prementovati sia data facoltà di far pervenire alla Regia Legazione quelle comunicazioni che la loro situazione richiede. So Attenderò i riscontri che ella mi favorirà a tal proposito, e colgo, ecc.

Firmato: C. Cavour.

5
Nola del signor conte Di Gropello, Incaricato d’affari di Sardegna a Napoli, al signor commendatore Carafa, incaricato del portafoglio degli affari esteri

Napoli, 31 luglio 1857.

Dai rapporti che il sottoscritto, ecc., si recava ad onore d'indirizzare a S. E. il conte Di Cavour prima che foste stato in grado di fargli pervenire copia della nota del signor commendatore Carafa, ecc., ecc., comunicata a questa regia missione sotto la data del SS, in riscontro ai due uffizi delli 15 e 16 ora cadente mese, il Governo di S. M. sarda, non senza suo grande rincrescimento, rilevò che da parte di quello di S. M. siciliana non pareva probabile la prescrizione di prossimi provvedimenti per la restituzione delle mercanzie catturate sul Cagliari e la liberazione di quei passeggieri che evidentemente non hanno preso parte all'attentato di Sapri, ma che furono anzi vittime della violenza usata contro il battello a tepore.

Il Governo di S. M. il Re, augusto Sovrano del sottoscritto, in vista del processo che si sta ora istruendo, non pretende per fermo che l'autorità giudiziaria si privi degli opportuni mezzi per chiarire la colpabilità degli imputati; ma, essendo ella parimente cosa evidentemente palese che la massima parte degli oggetti sequestrati ed appartenenti' sia al regio Governo, sia ai privati, non servono e non possono servire in guisa alcuna al processo, non ha potuto convincersi della validità delle ragioni su cui poggiavano il prolungato ritardo, e tanto più il rifiuto del Governo napoletano di rendere gli oggetti di cui è menzione.

Apprese inoltre con spiacevole sorpresa il Governo di S. M., e più grave ancora ritenne l'impedimento posto ai regii sudditi, qui ditenuti, e della cui innocenza presunta debbe certamente a quest'ora il magistrato avere sufficienti prove morali, per non dir ancora legali, di ricorrere agli agenti diplomatici e consolari di S. M., naturali loro protettori in questa dolorosa circostanza.

Il Governo di S. M. sa al par d’ogni altro che la giustizia ha i suoi diritti, ed è il primo a rispettarli; ma nel medesimo tempo conosce eziandio che l'umanità ha pur anco i suoi, e che nelle relazioni internazionali vi sono certe convenienze che i Governi tutti hanno dovere ed interesse d'osservare.

In considerazione di quanto precede, lo scrivente, d'ordine di S. E. il signor conte Di Cavour, nel mentre rinnova al signor commendatore Carafa i suoi più premurosi uffizi per la restituzione delle mercanzie sia governative che private sequestrate sul Cagliari, gli rivolge precipuamente le più vive istanze, acciocché colla sua intervenzione ottenga che ai detenuti sopramentovati sia fatta facoltà di far pervenire alla Regia Legazione quelle comunicazioni che la loro situazione richiede.

Nella speranza d’un favorevole riscontro, il sottoscritto si vale, ecc., ecc.

Firmato: Gropello.

6
Nota del signor commendatore Carafa, Incaricato del portafoglio degli affari esteri di S. N. siciliana, al conte Di Gropello

Napoli, 5 agosto 1857,

È pervenuta al sottoscritto, incaricato del portafoglio del Ministero degli affari esteri, la nota direttagli in data del 31 luglio decorso dal signor conte Di Gropello, Incaricato d'affari di S. M. il Re di Sardegna, con la quale si è fatto a chiedere la restituzione delle mercanzie catturate sul Cagliari, e la liberazione di quei passeggieri che non abbiano presa parte all'attentato di Sapri.

Lo scrivente, in replica, deve far conoscere al signor conte che niuna disposizione trovasi nel caso il real Governo di dare sul proposito, fino a che non sarà espletato il regolare giudizio, che per un tale avvenimento sta istruendosi, e pel quale si stanno raccogliendo tutti gli opportuni elementi.

Nello assicurare intanto il sottoscritto il signor Incaricato che non si lascia dal real Governo di mettere in opera tutti i mezzi perché il giudizio di cui è parola venga colla maggior celerità portato a termine, si vale del riscontro per ripetergli le assicurazioni della sua particolare considerazione.

Firmato: Carafa.

7
Nota del conte Di Gropello, Incaricato degli affari di Sardegna, al signor commendatore Carafa

31 luglio 1857.

Giunse a conoscimento del sottoscritto, ecc., che ai sudditi sardi catturati sul Cagliari, ed ora detenuti a Castel Capuano, non Tennero sino ad ora restituiti né gli abili, né gli altri loro necessari effetti d’uso.

Benché lo scrivente, attenendosi alle formali assicurazioni che il signor commendatore Carafa, ecc., gli ripeteva più volte a voce e per iscritto, che ai mentovati sudditi sardi si sarebbero usali quei riguardi che erano compatibili colla loro infelice situazione, non possa credere che sino a questo giorno siano stati loro negati gli oggetti di cui è questione, i quali, nel mentre che non servono in nessun modo all'istruzione del processo, sono loro della massima necessità, principalmente in questa estiva stagione; pure, nel caso ove il fatto fosse vero. egli si affretta di ricorrere ai buoni uffici del signor commendatore Carafa, onde senza dilazione vengano resi ai regii sudditi i precitati effetti di cui tanto abbisognano.

Quello stesso sentimento di umanità che spinge lo scrivente a rivolgere con istanza simile inchiesta, la cui giustizia non ha mestieri di prova, la farà senza dubbio favorevolmente accogliere dal signor commendatore, e prescrivere perciò i più solleciti provvedimenti, perché alla medesima venga fatto diritto al più presto possibile.

Il sottoscritto, nella ferma fiducia di ricevere fra poco un soddisfacente riscontro, si avvale, ecc.

Firmato: Gropello.

8
Nota del commendatore Carafa al conte Di Gropello

Napoli, 5 agosto 1857.

Il sottoscritto, incaricato del portafoglio del Ministero degli affari esteri, Ita ricevuto la nota del signor conte Di Gropello, incaricato di affari presso S. M. il re di Sardegna, con cui appellandosi ai sentimenti di umanità del real Governo, dimanda con premurosa istanza che siano sollecitamente dati ai sudditi sardi catturati sul Cagliari, e detenuti in Castel Capuano, gli effetti d'uso che seco loro recavano, e si fa pure a rammentare, in appoggio più valido di tale richiesta, la speranza concepita che i maggiori riguardi sarebbero usati ai detenuti in parola, non potendo affatto indursi a credere che tali effetti inutili alla istruzione del processo non fossero stati finora ad essi renduti.

Il sottoscritto in risposta a siffatta Nota può con franchezza ed asseveranza significare al signor incaricato d’affari che non mai il Governo di S. M. siciliana venne meno ne’ giusti sentimenti di umanità e di generosa equità verso lutti coloro che diverse circostanze condussero a sperimentarli, ed avrebbe luogo a mostrarsi grandemente sorpreso non men che della menoma ombra di dubbio su di ciò, ma pure della invocazione di questi sentimenti nel caso di attenuare le necessarie conseguenze dei deplorabili avvenimenti, che avrebbero certamente potuto evitarsi con tenersi conto degli artifiziosi e noli preparativi che li han preceduti, come conviensi a Governi che voglian mantenersi all’altezza della loro propria dignità e posizione.

La esemplare giustizia e la scrupolosa esattezza dei tribunali del regno sono tali guarentigie che possono assicurare chiunque da ogni specie d’irregolarità, e nella loro procedura e nel trattamento che compete ai detenuti, e vorrà quindi il signor conte Di Gropello essere persuaso che tutte le misure compatibili coi regolamenti saranno equamente adottate per coloro ch’egli con vivo interesse raccomanda.

Però se gli effetti d’uso appartenenti ai sudditi sardi catturati sul Cagliari non sono stati finora restituiti, ciò è perché non se n’era ancora avanzata alcuna dimanda. Convien quindi, a simiglianza di quanto è stato praticato dal Consolato inglese pei due macchinisti dello stesso vapore, rimettere a questo real Ministero il notamento degli effetti in parola, perché possano darsi gli opportuni provvedimenti per la ricerca e restituzione dei medesimi.

Il sottoscritto si vale del riscontro per rinnovare a! signor conte i sensi della sua particolare considerazione.

Firmato: Carafa.

9
Dispaccio dei conte Di Cavour al conte Di Gropello

Torino, 14 agosto 1857.

Mi pregio di segnarle ricevuta dei due dispacci del 6 e 7 corrente, ai quali andava annessa copia della nota da lei diretta a codesto Ministero per gli affari esteri, e m’affretto di farle conoscere che approvo la comunicazione da lui fatta per ottenere la restituzione degli abiti e della biancheria d’uso ai regii sudditi detenuti nelle carceri napoletane in seguito alla cattura del Cagliari.

Questa domanda, così giusta in se stessa e così conveniente nella forma, non avrebbe dovuto provocare la risposta del commendatore Carafa, di cui la S. V. mi ha pure trasmesso copia.

Ho letto questo documento; e le malevolenti insinuazioni in esso contenute, oltreché sono poco conformi al linguaggio diplomatico, non potrebbero considerarsi se non come offensive al Governo di Sua Maestà.

Io incarico quindi V. S. IU( nu) di restituire al commendatore Carafa la nota di cui si tratta, osservandogli ch’ella, siccome incaricata interinalmente degli affari della Legazione, non avrebbe credulo di assumere sopra di sé la risponsabilità di respingerla non appena l’ebbe ricevuta.

Ho l'onore, ecc.

Firmato: C. Cavour.

vai su

10
Dispaccio circolare del ioide di Cavour alle Legazioni di S. M.

Turin, le 18 août 1857.

Monsieur,

Vous avez été informé en son temps soit par ma dépêche de Cabinet du 1( cr ) juillet, soit par les publications de la gazette officielle du royaume des DeuX Siciles, reproduites par la Gazette Piémontaise, des circonstances dans lesquelles a eu lieu l’enlèvement du Cagliari opéré en pleine mer par une bande de conspirateurs qui s’y étaient embarqués à Gènes comme passagers à la inclination de l’ile de Sardaigne et de Tunis.

Vous savez que le bateau à vapeur susmentionné appartenant à la compagnie Rubattino, qui fait le Service postai entre Gènes, Cagliari et Tunis, était parti de Gènes le 2. 5 juin dernier à 6 heures et 12 pour sa destination ordinaire avant à bord, outre le capitaine et l’équipage, 53 passagers dirigés en partie sur Cagliari et en partie sur Tunis, dont je joins ici les indications. Les passagers étaient nantis de papiers réguliers; leur nombre n’eXcédait pas le chiffre moyen des embarcations ordinaires; il n’y avait parmi euX que deuX émigrés napolitains, tous les deuX avec destination pour Cagliari; enfin aucune circonstance apparente ne mettait le Gouvernement du Roi à mème de soupçonner des desseins coupables de la part des passagers embarqués. Le Cagliari qui, attendu le bon état de sa machine et le beau temps de mer, aurait du arriver à la capitale de Pile de Sardaigne le soir du 27 juin, n’ayant pas paru le lendemain, ni le jour après, la compagnie Rubattino, qui avait été informée de ce retard par télégraphe, en fit part à l’autorité publique. Cette dernière mise en éveil par d’autres circonstances et par les bruit receuillis par la police de Gènes, se doutant de quelque sinistre accident, dépêcha sur le champ l’ Ichnusa, bateau à vapeur de la marine royale, sur les traces du Cagliari, avec l’ordre de le rejoindre et de l’arrêter. Malheureusement le Cagliari, qui avait plusieurs jours d’avantage sur l’ Ichnusa, s’était place hors de toute atteinte de la part de ce dernier.

Sur ces entrefailes un brigantin sarde arrivé le 30 juin à Gènes de Cagliari rapportai que le Cagliari avait été signalé le 27 dans les eauX de Terranova naviguant au sud. Ce fait, rapproché avec les bruits répandus et avec les événements contemporains de Gènes et de Livourne, ne laissa plus de doute sur l’enlèvement du bateau et sur le dessein de tenter une entreprise criminelle sur les cotes de l’Italie méridionale.

Je m’empressai de donner communication de ces faits à M. le commandeur Canofari, chargé d’affaires de S. M. sicilienne à Turin. Mais le jour suivant (1( er) juillet) une dépêche télégraphique du chargé d’affaires du Roi à Naples, m’annonçait que le Cagliari, après s’être rendu à file de Ponza et y avoir délivré les condamnés qui y étaient relégués au nombre de 300, avait effectué un débarquement sur les cotes de Naples à Sapri, province de Salerne. Cette dépêche annonçait également que le Cagliari avait été capturé par des bâtiments de la marine royale napolitaine. On sut bientôt après que cette bande, commandée par Pisacane, l’un des émigrés napolitains embarqués sur le Cagliari, avait été attaquée et détruite à Padula par les milices urbaines, par la gendarmerie et par un bataillon de chasseurs de l’armée de S. M. sicilienne.

Le Cagliari fui mis sous séquestre par mandai de la Cour chargée d’instruire le procès sur ces déplorables événements et toutes les personnes trouvées à bord furent arrêtées et traduites en prison à Naples.

Parmi ces dernières il y avait le capitaine et l’équipage du Cagliari, et plusieurs passagers appartenant à différentes nations, évidemment étrangers au complot, et entre autres M. Mascarò, médecin au Service du bey de Tunis, qui se rendait à son poste cn compagnie de sa femme.

Le comte Gropello, chargé d’affaires ad interim de S. M. à Naples, fit immédiatement des offices auprès de M. le commandeur Carafa dans le but de recommander l’équipage et les sujets sardes capturés sur le Cagliari à l’humanité et à la bienveillance du Gouvernement sicilien. Le commandeur Carafa, chargé du portefeuille du Ministère pour les affaires étrangères, donna à ce sujet toutes les assurances convenables, en déclarant que l’on traiterait les personnes susdites avec tous les égards qui seraient conciliables avec leur position. Mais le chargé d’affaires de S. M. n’a pu obtenir la permission qu’il avait sollicitée de visiter les prisonniers; de mème le consul du Roi à Naples m’a pas été admis à bord du Cagliari, et l’on a aussi refusé de remettre au chargé d’affaires du Roi les effets qu’il avait réclamés comme appartenant au Gouvernement de S. M., on à des employés de l’administration, à l’eXception des dépêches qui ont été remises sans délai.

Le Gouvernement du Roi a apprécié, sans les approuver, les considérations que le Gouvernement Napolitain a opposées auX demandes du chargé d’affaires de Sardaigne. Aussi il n’a pas jugé convenable d’insister plus longuement sur ces demandes qu’il pouvait croire raisonnables, et le chargé d’affaires de S. M. se borna à demander, parsa dernière note au commandeur Carafa, en date du 31 juillet dernier, dont vous trouverez ci-joint une copie (( (I), que les habits et effets appartenant auX sujets sardes, capturés sur le Cagliari, fussent rendus à leurs propriétaires qui devaient en avoir eXtrêmement besoin d’uns les circonstances douloureuses dont ils étaient frappés.

Tout homme impartial reconnaîtra sans difficulté l’opportunité et l’équité de celle demande, ainsi que la parfaite convenance de la noie dans laquelle a été formulée.

A notre grande surprise le Gouvernement de S. M. sicilienne vient de répondre à celle noie par la pièce, dont je nous envoie égaiement une copie (II) ci-anneXée.

Pour ce qui a trait au fond de la demande, le chargé du portefeuille du Ministère des affaires étrangères de S. M. sicilienne répond que lea habits et effets appartenant auX sujets capturés sur le Cagliari, n’ont pas été rendus, parce que la demande de la restitution n'avait pas été formulée; que pour obtenir celle restitution il faut qu’une noie des effets en question soit remise au Ministère royal, ainsi qu’il a été pratique par le Consulat anglais à l'égard des sujets britanniques qui se trouvaient dans le mente cas. Cette réponse n’est guère conciliable avec les assurances formelles données par le commandeur Carafa, de traiter avec tous les égards convenables les sujets sardes, qu’un événement indépendant de leur volonté avait impliqués dans le procès. La restitution de leur linges et de leurs habits devrait être, ce semble, le premier des égards dus à des prisonniers, qui, selon toute probabilité, sont innocents, surtout lorsque ces prisonniers sont à Naples, c’est-à-dire dans un climat méridional et pendant la saison plus chaude de l’année.

Mais, ce qui rend celle réponse plus eXtraordinaire, c’est le motif que l’on y donne de la non-restitution des effets appartenant auX sujets sardes. Ce motif consiste dans la non-présentation d’une note de ces obels et d'une demande de restitution de la part de la légation ou du consulat de Sardaigne, ainsi qu’il a été fait pour les sujets britanniques. Le Gouvernement de S. M. sicilienne avait défendu toute communication entre les agents diplomatiques et consulaires de Sardaigne et les sujets du Roi capturé sur le Cagliari. Des lors comment pouvait on connaître à la légation ou au consulat les besoin de ces mèmes sujets sardes! Comment pouvait-on demander la restitution de leurs effets et en donner la note et l’indication? Ce n’est que par la voiX publique et par d’autres moyens indirects que le chargé d’affaires de S. M. a su que les prisonniers n’avaient pas leurs habits et leurs effets; et c’est alors qu’il s’est adressé au Ministère des affaires étrangères de S. M. sicilienne.

Il eût été facile au chargé d’affaires de S. M. de réfuter l'étrange argument que je viens de citer, si la note du commandeur Carafa n’avait contenu des allusions et des insinuations qu’on a guère coutume de rencontrer dans des actes diplomatiques.

Le ministre napolitain se plaignant amèrement de ce qu’on peut mettre en doute les sentiments d’humanité et de généreuse équité du Gouvernement napolitain, laisse tomber tout à coup et par incident la plus malveillante des insinuations à l’adresse du Gouvernement du Roi. Il n’hésite pas à affirmer que les préparatifs des événements du Cagliari étaient connus, et que ces mèmes événements auraient pu être évités par le Gouvernement de S. M. s’il avait su se maintenir à la hauteur de sa propre dignité et de sa position.

Je ne rechercherai pas quelles ont été les intentions du Cabinet de Naples en lançant contre le Gouvernement sarde une accusation aussi énorme, sous une forme aussi inusitée. Peut-être a-t-il cédé à un mouvement de colère, à un sentiment d’irritation contre un pays qui a le tort, à ses veuX, d’être gouverné d’une toute autre fa;on que le sien. Peut-être aussi a-t-il saisi un préteXte pour amener la rupture des relations diplomatiques entre les deuX pays.

Quoiqu’il en soit, la note en elle-mème était telle qu’il était impossible d’y répondre sans manquer à notre propre dignité.

L’avant soumise au Roi et à son Conseil, il a été déterminé que l’ordre serait sur le champ eXpédié à M. le comte Gropello de la renvoyer au Ministère napolitain.

Cet ordre est contenu dans la dépêche (III), dont je joins ici une copie.

Le Gouvernement du Roi, fort de la conscience de ses droits et de la pureté de ses intentions, ne doute nullement que les Gouvernements amis et l’opinion des hommes éclairés et impartiauX n’appuient hautement sa conduite en celle circonstance.

Vous êtes autorisé à faire part à ce ministre des affaires étrangères du contenu de la présente dépêche.

Agréez l’assurance de ma considération très distinguée.

Firmato: C. Cavour.

11
Dispaccio del conte Di Gropello a S. E. il conte Di Cavour

Napoli, 10 agosto 1857.

Eccellenza,

Il signor commendatore Carafa, trovandosi da più giorni infermo e non accordando udienza a nessuno, io non ho potuto dargli lettura del disposto ch’ella mi faceva l’onore d’indirizzarmi sotto la data del 3 corrente al n° 113, relativa alla ora pendente vertenza del Cagliari. Non volendo però frapporre indugio a far conoscere al Gabinetto di S. M. siciliana il contenuto del disposto precitato, io conformemente alla facoltà accordatami ne feci far copia ed accompagnata con mia nota la trasmisi al signor commendatore Carafa sotto la data d’oggi. Le ultime comunicazioni ufficiali ricevute da questo Governo, la condotta da lui tenuta in tutto questo affare del Cagliari, dalla quale sino ad ora non ha deviato di un passo; i discorsi e le versioni di quanti avvicinano le alle regioni del potere, tutto mi fa con mio dolore credere che qui non si terrà nessun conio delle istanze da me inoltrate e delle ragioni addotte nell’ultimo dispaccio di V. E.

Io non ho mestieri di ripeterle qui le cagioni che spronano questo Governo a tenere tale contegno; già ebbi l’onore di esporgliele nei miei passati rapporti, e l’ultima nota del commendatore Carafa ha gettato sulla questione si fatta copia di luce che non è più possibile di dubitare sul carattere dei sentimenti da cui sono animate verso il Piemonte le autorità napolitane.

A quest’ora V. E. avrà già letto la nota che io rivolgeva al commendatore Carafa per ottenere la ricerca e la restituzione degli abiti ai prigionieri sardi e la risposta di lui altrettanto offensiva quanto in tutto fuori di proposito.

V. E. col suo allo intendimento ne farà quel giudizio che migliore e più giusto non si può supporre, quindi io non ragionerò più oltre su questi documenti, limitandomi ad osservarle però che se tutte le ripetute assicuranze del commendatore Carafa di far usare ai prigionieri tutti i possibili riguardi non valgono ad ottener loro alquanti panni da mutarsi ed un migliore sostentamento, io non so qual credito le medesime possano meritarsi, quale scopo abbiano e che cosa vogliasi intendere per quelle cure delle quali qui affermasi esser oggetto i detenuti sardi.

Il capitano, l’equipaggio ed i passeggieri sono sempre rinchiusi in Castel Capuano; ogni giorno parlasi di traslocarli a Salerno; ma sino ad ora ciò non è avvenuto. Dura tuttora l’istrnzione del processo e nulla sino a questo momento ha traspirato sul risultato delle investigazioni e fiscali interrogatorii del procuratore generale.

Quando si apriranno le sedute per la causa non si sa; tutto però fa credere che l’affare anderà per le lunghe.

Il commendatore Carafa assicura che i prigionieri sono ben trattati; le mie informazioni mi fanno credere il contrario. La infelice signora Mascarò, moglie del medico del bey di Tunisi, è sempre rinchiusa in una camera della prigione delle donne perdute, detta Santa Maria cignone; è ammalata in uno stato di depressione morale grandissima e senza danari, biancheria ed abiti. Per quante vie si abbiano tentale di farle per venire alquanto denaro, non si è potuto riuscire; eppure da ogni parte sono giunte raccomandazioni in suo favore: ma anch’ella agli occhi sospettosi del Governo napolitano è presunta correa.

Aggradisca, ecc.

Firmato: Di Gropello.

12
Sola del conte Di Gropello, incaricato degli affari di Sardegna, al signor commendatore Carafa

Napoli, 12 novembre 1857.

Il sottoscritto, Incaricato di affari di S. M. il re di Sardegna, si volge alla benevola cortesia del signor commendatore Carafa, incaricato del portafoglio del Ministero degli affari esteri, pregandolo di voler prendere in particolare considerazione quanto ha l'onore di esporgli nel presente uffizio.

La intendenza generale della regia marina nel 26 agosto p. p. notificava nei modi prescritti dalla legge al signor capitano Sitzia, alla casa di commercio Rubattino in Genova, ed ai rappresentanti di lei dimoranti in questa capitale, una istanza tendente a far dichiarare buona preda la cattura del piroscafo sardo il Cagliari.

L'istanza di cui si ragiona non riferiva alcun documento relativo ai fatti, e solamente con atto del 28 p. p. ottobre davasi comunicazione di alcuni documenti ai procuratori della predella compagnia.

Dovevansi questi documenti portare alla conoscenza della casa Rubattino in Genova, e dai medesimi ne nasceva pure l’obbligo all'avvocato del capitano di mettersi in relazione col medesimo; imperocché, poggiandosi sulla semplice istanza, non era né alla compagnia, né al capitano Sitzia, detenuto allora nelle carceri di Castel Capuano, possibile di dare ai rispettivi rappresentanti le istruzioni relative ai mezzi di difesa.

Inoltre i documenti comunicati dall'Intendenza Generale della regia Marina non contenevano che una parte di quelli sui quali deve giudicarsi la causa, facendo difetto quelli che alla difesa dei convenuti maggiormente convengono, e moltissimi fra i documenti addotti provenivano dal processo penale che si sta istruendo dalla Gran Corte criminale speciale di Salerno.

Allo scopo di mettersi in misura d’apparecchiare la debita difesa, gli avvocati della compagnia si recarono di subito a Salerno onde ottenere dalla Gran Corte predetta la facoltà di ritrarre copia dei documenti necessari alla difesa, avvalendosi così del medesimo diritto accordato all'Intendenza generale della marina, e di potersi abboccare col capitano Sitzia.

Il procuratore generale del Re rispose ai precitati avvocati che senza autorizzazione superiore non poteva aderire alle loro dimande.

In questo frattempo però, dietro dimanda del procuratore dell’Intendenza Generale della Marina, la Commissione delle prede e dei naufragi assegnava il giorno 98 del volgente mese per procedere alla discussione della causa.

Per le ragioni sopra esposte, gli avvocati della compagnia Rubattino, vedendosi ridotti a tal termine che non solo non si poteva da loro condurre a compimento, ma neppure dar principio alla difesa, se prima non fossero loro comunicati i documenti esistenti nel processo penale, necessari ai convenuti, ed accordato la facoltà di conferire col capitano, rassegnarono supplica al presidente della Commissione delle prede e dei naufragi, pregandolo di voler differire la causa sino a quel termine in cui, tolti gli ostacoli sopra citati, possa la difesa trovarsi in piena cognizione di tutto ciò che concerne i fatti che sono soggetto del presente processo, ed in istato così di far debitamente valere le sue ragioni.

Trovandosi le cose nella posizione qui sopra accennala, il sottoscritto, nell’interesse della compagnia proprietaria del piroscafo sardo il Cagliari, e nella convinzione della giustizia delle ragioni allegate, prega il signor commendatore di voler interporre i suoi possenti uffizi appresso alle autorità competenti, affinché vengano accolte favorevolmente le suppliche dei rappresentanti della compagnia Rubattino, e sian costoro posti in misura di poter avvalersi di tutti quei mezzi che abbisognano per condurre a termine la difesa loro affidata nell'ora volgente processo.

Chi scrive spera che il signor commendatore non negherà il suo valido appoggio in questa occasione, e si avvale dell’incontro per offrirgli gli atti, ecc.

Firmato: Gropello.

13
Nota del commendatore Carafa al conte Di Gropello

Napoli, 19 novembre 1857.

Non appena il sottoscritto, incaricato del portafoglio degli affari esteri, ricevette la nota, che in data de' 12 del corrente mese si compiacque di dirigergli il signor conte Di Gropello, incaricato d’affari di S. M. il re di Sardegna, con la quale domandavasi un differimento alla discussione della già appuntata causa presso la Commissione delle prede, relativa al piroscafo il Cagliari, si rivolse al direttore di giustizia.

In risposta ha questi manifestato che i termini della difesa e della decisione della causa sono stabiliti dalle leggi in vigore per considerazioni di pubblico interesse, ed acquistano pur diritto all'osservanza de' termini le parli contendenti, e perciò non è dato al real ministro di suo carico emettere alcuno dei provvedimenti che richiedevansi dal signor conte con l’indicata nota.

Ha soggiunto per altro che, poiché la legge stessa affida alla prudenza del magistrato di valutare i motivi che potessero addirsi per far differire una causa dall'udienza destinata alla sua decisione, ha egli scritto al procuratore del Ite presso la Commissione di prima istanza delle prede, comunicando all’enunciato magistrato quanto è stato dedotto dal signor incaricato d'affari con la ripetuta nota, onde sull’esposto della compagnia proprietaria del piroscafo ed in conseguenza di analoga domanda, che ne' modi di regola ed in contraddizione delle parti si dovrà dalla medesima presentare, possa il Collegio adottare quei provvedimenti che crederà poter convenire in giustizia a termini delle leggi e regolamenti in vigore.

Nel rendere il sottoscritto di lutto consapevole il signor conte Di Gropello, in replica al menzionalo suo foglio, profitta del riscontro per ripetergli i sensi della particolare. sua considerazione.

Firmato: Carafa.

14
Dispaccio del conte Di Cavour al conte Di Gropello, Incaricato degli affari del Governo di S. M. a Napoli

Torino, 3 dicembre 1857.

Mi pregio di segnarle ricevuta del dispaccio politico n°76 del 24 scorso novembre, col quale la S. V. mi ha trasmesso copia della risposta del Ministero napoletano all'ufficio con cui ella domandava che venisse differita la discussione della causa del Cagliari insino a che gli avvocati difensori avessero avuto mezzo di procurarsi piena cognizione dei fatti che formano l’oggetto del processo, cognizione che non erano stati in grado di procurarsi per non essere loro stati comunicati i documenti esistenti nel processo penale e per non aver ottenuta facoltà di comunicare col capitano del vapore.

Nell’approvare interamente la nota che la S. V. aveva a tal riguardo indirizzata, io la prego di ringraziare il signor commendatore Carafa di aver fatto trasmettere la domanda di cui si tratta al procuratore regio presso la Commissione delle prede, e la incarico di esprimergli la fiducia del Governo del Re, nostro augusto signore, che alla difesa della compagnia Rubattino e degli altri regii sudditi interessali saranno concessi tutti i mezzi dalla legge consentiti e voluti per esercitare con piena cognizione di causa il loro ministero.

Il regio Governo, cui incumbe l’obbligo di proteggere gli interessi dei sudditi di S. M. all'estero, crederebbe di mancare al proprio dovere se in questa grave e delicata contingenza, rivolgendosi al gabinetto di S. M. siciliana, non facesse appello a quella officiosa interposizione, che non è mai invocata indarno presso quei Governi coi quali esistono ufficiali relazioni di amicizia.

Prego la S. V. di dar lettura di questo dispaccio al commendatore Carafa, e colgo, ecc.

Firmato: C. Cavour.

15
Dispaccio del conte Di Gropello al conte Di Cavour

Napoli, dicembre 1857.

La Commissione delle prede marittime con sua sentenza del 28 prossimo passato mese, in conformità delle conclusioni del Pubblico Ministero (signor commendatore Weenspeare), ha dichiarato buona la preda del vapore Cagliari, e del carico degli oggetti improprii, quindi ha condannato la società Rubattino e Sitzia alle spese del giudizio verso la regia marina; ha dichiarato rilasciarsi ai legittimi proprietarii il carico commerciale rinvenuto sul detto vapore. Per lo effetto ha ordinato il rilascio degli oggetti di detto carico appartenenti ai signori Dodero, ed ha compensate le spese tra i medesimi e la regia marina, facendo salvo a questi ultimi ogni diritto e ragione contro i signori Rubattino e Sitzia.

Nella sentenza si parla semplicemente dei signori Dodero, perché essi solo si trovavano sin dal passato settembre di aver fatto intervento in causa. '

La causa si è trattata in contumacia dei convenuti Rubattino e Sitzia, perché, non avendo ottenuto differimento i loro avvocati, hanno creduto prudente consiglio il far decidere la causa in contumacia.

Aggradisca, ecc.

Firmato: Gropello.

16
Dispaccio del conte Di Gropello, Incaricato degli affari di Sardegna in Napoli, a S. B. il signor conte Di Cavour, ecc., ecc.

Napoli, dicembre 1857.

Eccellenza,

Appena spedita la mia corrispondenza al postale francese, ricevo dal signor commendatore Carafa due esemplari d’uno stampato, intitolato: Per la Intendenza Generale della marina contro la compagnia Rubattino e soci di Genova e Discorso sulla legittimità della preda del Cagliari ad uso della Commissione delle prede, ecc.

Questo discorso è dell’avvocato Storace, patrocinatore della regia Marina, e sul medesimo sono calcate le conclusioni del Pubblico Ministero.

Persuaso che le sarà di grande interesse l’aver subito sott'occhio il presente stampato, ottenni dal console francese il ritardo di un’ora alla partenza del postale, e qui unito mi affretto farglielo pervenire.

Colgo, ecc.

Firmato: Di Gropello.

Appena ricevuto il discorso per la Intendenza Generale di marina Napolitano, il Governo del Re ebbe la prova autentica che la cattura del Cagliari era stata operata in alto mare, ed allorché il vapore, ritornato sotto il governo del suo legittimo capitano, avea ripigliata la primitiva sua pacifica destinazione.

Il Ministero sottopose quindi la questione al Consiglio del Contenzioso Diplomatico, trasmettendogli i documenti che erano in sua mano, fra i quali giova riportare i seguenti per chiarire meglio i punti di diritto esaminati:

vai su

I
VERBALE DELL’ARRESTO DEL CAGLIARI

Anno 1857 — mese di giugno — giorno 29.

Regno delle due Sicilie. Real fregata a vapore il Tancredi.

Oggi, li 29 giugno 1857, alle ore 8 ¾ a. m. essendo all’ovest di Capri distante miglia 12 circa, seguiti dall’altra Real fregata a vapore l’Ettore Fieramosca, che ili quel momento trovavasi a circa due miglia distante da noi, si è scoverto un Vapore, che dalle acque di capo Licosa dirigeva con la macchina e con le vele fuori la punta ovest di Capri. Si è immediatamente diretto verso di lui, onde riconoscerlo, ed essendoci avveduti alle 9 e 12 che man mano accostava alla sua dritta, da noi si è diretto per tagliargli il cammino, onde raggiungerlo, al più presto, ed, in effetti, poco dopo ci siamo assicurali essere un Vapore genovese di commercio, e che dai segni esterni e di riconoscenza avuti in Gaeta al momento della nostra partenza, presentava tutte le probabilità di essere quello precisamente che da noi si doveva riconoscere ed arrestare.

Alle 10 a. m. essendoci molto avvicinati al medesimo, si è tirato un colpo di cannone a palla, fermando la macchina per chiamarlo all’ubbidienza; al che il più volte nominalo Vapore à fermato la macchina ed imbrogliate le vele. Indi si è imposto al capitano di venire al nostro bordo con le sue carte, ed avendo immediatamente ubbidito, si è presentato al signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti che superiormente comandava le due fregate, e mentre che dal prelodato signor Generale si riceveva la deposizione del capitano, e si esaminavano le sue carie, si è spedilo a bordo del Vapore arrestalo una lancia armata in guerra col lenente di vascello D. Antonio Imbert, per eseguire una esalta perquisizione sul legno, ed assicurarsi se vi fossero state armi di sorta alcuna, munizione da guerra ed altre carte.

Al ritorno di detto uffiziale, si sono ricevuti a bordo una cassa aperta, contenente cinquanta canne di fucili, un'altra chiusa, che si diceva contenere benanche cinquanta fucili, nove fucili a due colpi, quattro ad un colpo, e due di munizioni, una carabina, un boccaccio, due pistole, una sciabla di modello per gli uffiziali del nostro esercito, senza fodero, una cassetta di munizione simile a quelle che si ricevono dal nostro parco di artiglieria, contenente pochi razzi per segnali, e tre individui feriti, che appartenevano alla banda de' rivoltosi sbarcati in Sapri, come asseriva il capitano nella sua deposizione.

Le armi da fuoco erano cariche.

Impossessatici quindi del bastimento, il Generale comandante superiore dispose che la Real fregata Ettore Fieramosca avesse preso a rimorchio il Vapore predato, dirigendo per capo Licosa, ove si sarebbe da noi raggiunto. Avendo fatto trattenere al nostro bordo il capitano del Vapore, da noi si è diretto per Salerno, ove giunti, dopo aver conferito con quel signor Intendente, siamo andati a riunirci al Fieramosca, e di conserva diretti a Sapri, onde eseguire gli ordini ulteriori superiormente ricevuti dal tenente di vascello Avala. Per ordine del signor Generale si è ripresa la deposizione del capitano, e continuando a procedere si son ricevute man mano anche le deposizioni dell’equipaggio, de' passeggieri, e feriti trovati sul Vapore, che saranno spedite col presente processo verbale di cattura.

Il Vapore arrestalo è di nazione Sarda, da commercio, denominato il Cagliari, ed il capitano si chiama Antioco Sitzia.

Il tenente di vascello di dettaglio—Amilcare Anguissola.

Il capitano di fregata Comandante — Ferdinando Rodriquez.

II
GIORNALE DI NAVIGAZIONE DEL CAGLIARI

Fra le altre carte rinvenute sul detto piroscafo veniva assicurato un registro di fogli n. 20 in carta da bollo di Genova numerali dal console di Marina di Genova, portante il titolo Giornale nautico del piroscafo ad elica Cagliari comandato dal Capitano Sitzia Antioco. Lo stesso ha fogli scritti n. 7.

Nel foglio 5 a tergo al foglio 7 a tergo vi è scritto ciò che segue.

Giovedì 25 giugno.

S’imbarcano merci diverse, si prepara il bastimento per la partenza alle ore 6 pronti avendo a bordo n. 55 passeggieri diretti per Cagliari e Tunisi. Alle 7 p. m. partiti con calma di mare e piccolo vento al nord facendo rotta al S. E. alle ore 8 p. n. si rese la guardia. Poco dopo il capitano essendo di prima guardia ordinava al nostromo di bordo di fare aprire il boccaporto di prora per dar ricovero ai passeggieri di 3 classe.

In questo frattempo il capitano trovavasi alla veglia di prora; a sinistra fu assaltato da un gruppo di rivoluzionari armati di pistole e stili, guidandolo a poppa, e gridando a nome della repubblica italiana di cedere il comando a forza, altrimenti ne andrebbe la vita di lutto l’equipaggio e passaggio ri della destinazione di Cagliari e Tunisi; del che trovandoci convinti dalla forza armata fummo prigionieri dei suddetti, e guidarono il bastimento a loro volontà, con fare assumere il comando del bastimento ad un passaggiero per nome Daneri Giuseppe al quale ordinavano l’istessa nostra rotta di S. N. E., e sentimmo avrebbero trovato una barca carica di munizioni da guerra con 60 uomini.

Sino alla mezza notte intesimo sempre fare diverse rotte e segnali con dei fuochi. Vedendo che alla mezza notte furono inutili le loro ricerche, dirigevansi pel Capo Corso.

Venerdì 36 giugno 1837 alle 3 1|2 a. m. presero la determinazione di dirigersi per l’Isola di Ponza. Alle ore 11 a. m. avendo osservata una squadra inglese composta di 9 grossi legni ci misero rinchiusi con guardia armata. Appena passata la suddetta ci lasciarono salire sul ponte, e fu continuata la istessa direzione tutta la notte.

Sabato 27 giugno 1837.

Continuando la stessa rotta, il capo di detta congiura ordinò una visita nelle stive del bastimento, e trovarono n. 7 casse di fucili ed altre armi che erano dirette per Tunisi al sig. Paolo Cassanello, e se ne impadronirono. Alle ore A p. m. giunti all’Isola chiamarono il pilota a bordo, e lo fecero salire facendogli palesare ogni cosa colle armi alla mano: poscia giunto à bordo il comandante del porto Io assaltarono nella barca facendolo salire a bordo a forza, si fecero condurre nel porto subito e ci ordinarono di armare tutte le lance obbligando anche noi ad imbarcarci e far parte dello sbarco fatto alle ore 3. Assaltarono il paese; gridando «viva la Repubblica» e fuori i rilegati; si batterono e vinsero la forza di detto paese; subito imbarcarono circa 400 prigionieri ed altre armi prese in detto paese.

Domenica 28 giugno 1837.

A A ore a. m. si parti dirigendo per il golfo di Policastro ove si navigò così tutto il giorno; alle ore 8 a. m. si approdò alla spiaggia tra Policastro e Sapri ove attuarono lo sbarco generale di tutti i nominati, lasciandoci a bordo n. 3 feriti appartenenti alla loro compagnia; appena fummo liberi partimmo diretti per Napoli navigando a cognizione sino a mezzanotte.

Lunedì 29 detto.

Alle ore 9 a. m. incontrate due fregate napoletane, le quali c'imposero di fermarci ed ordinarono al capitano di portarsi a bordo con tutte le rispettive carie. Pertanto vennero a bordo e ritirarono tutte le armi le quali si compongono come segue.

Due casse di canne di fucili in n. 50 per cassa, n. 8 fucili a due colpi; n. 7, ad un colpo ed una carabina del capitano; n. 3 pistole, una sciabla, quantità di n. 20 razzi. Un pacco polvere ed un sacchetto terra.

Alle ore il una delle dette fregate ci prese al rimorchio, e ci tenne tutto il giorno in aspettativa dell'altra.

Alle ore 7 p. m. giunta Poltra andiedero a parlamento e ci ordinarono di smorzare i fuochi alla macchina, poscia si prese la direzione pel golfo di Policastro. Si naviga con calma di mare. e vento sempre a rimorchio di detta, così sino a mezzanotte.

Martedì 50 giugno 1857.

Alle 3 a. m. giunti al luogo così detto Policastro ho ricevuto l'ordine di mollare il rimorchio di dritta e prepararci per dar fondo, poscia il nostro rimorchiatore ricevette l'ordine di non ancorare; si stette così sino a giorno essendo calma perfetta; alle ore 4 e ¼ a m. si ancorò poco distante da terra ove le due fregate attivarono lo sbarco delle truppe.

vai su

III
PIANO DE’ RIBELLI

Copia. Partenza da Genova 10 giugno, 6 p. m.; alle ore 10 ovvero circa a 40 miglia dal porto si esegue la sorpresa del vapore. Il Cagliari percorre circa 9 miglia, l'ora, il giorno 11 alle ore 10 del mattino si troverà nelle acque di Montecristo. Vi si eseguirà il trasbordo degli uomini e delle armi. La barca partirà tre giorni prima del vapore. Due ore pel trasbordo, alle 12 si ripone in cammino. Arriva a Ventatene e Santo Stefano alle 5 del. mattino, e forzando un poco la macchina potrebbe giungere anche alle A a. m. Avviso con da terra ferma non ve ne è alcuno, quindi il caso più sfavorevole (Sarebbe quello che alle 5 del mattino, per caso partisse da Gaeta. un vapore: i vapori vanno sempre a Ponza; ma ponghiamo il caso che si dirige a Ventatene, non vi giungerà che verso mezzogiorno, quindi se vi corre il minimo dubbio, alle 10 bisogna esser partiti. Vi sono state 8 ore di tempo per eseguire la liberazione e rimbarco de' prigionieri. Da Ventotene percorrendo comodamente 8 miglia l’ora si sbarca a Sapri verso IO, o It ore della sera.

Come può sapersi la nuova? Se la scorridoja è a Ventotene certo non partirà. Supponghiaino che vi giunge da Ponza, appena noi siamo partiti alle 10, ritorna immediatamente a portare la nuova, vi vogliono almeno 3 ore, giunge a Ponza all’1 p. m. Il telegrafo segnala a Gaeta, da Gaeta a Napoli, da Napoli alle 2 si parte una fregata a vapore, non giungerà sulla nostra rotta che alle. 3, noi avremo già percorso da 70 miglia, epperò avremo oltrepassato di 20 miglia le bocche piccole di Capri.

ALTRO PIANO DE’ RIBELLI

In Ponza essendo il telegrafo bisogna giungervi a notte, regolando la rotta in modo da giungervi di sera. Non si corre neppure il rischio di esser veduti in un'ora, che fossero ancora in tempo da segnalarne a Gaeta l’arrivo.

II telegrafo si distrugge affatto, quindi appena giorno da Gaeta, accorgendosi di un tal fatto spediscono un vapore; al più presto questo vapore (se vi è a Gaeta) partirà alle cinque del mattino e giungerà circa le dieci. Se assicuratosi del fatto ci corre dietro, noi essendo partiti alle cinque pure avremo quattro ore di vantaggio, aggiungi l’incertezza della direzione, e non resta dubbio alcuno che potesse raggiungerci. Ma niun capitano prenderà su di sé tale determinazione: egli tornerà immediatamente a Gaeta, e segnalerà a Napoli l’accaduto. Tutto procedendo con una rapidità inconcepibile, alle due dopo mezzogiorno salperanno da Napoli due tre fregate per darci la caccia: di queste quella che passando per le bocche piccole, si dirigerà in X, vi giungerà alle sei di sera, ed a tale ora noi ci troveremo in y ovvero fuori pericolo.

Quindi ci rimangono dalle nove alle cinque otto ore per fare le operazioni a Ponza, ma per maggior precauzione è buono fare più presto.

Facciamo una ipotesi (quasi impossibile): noi parliamo; a Ponza si danno all’opera alacremente, ristabiliscono il telegrafo, segnalano a Gaeta. Vapore partito coi relegati da Gaeta si segnala in Napoli — da Napoli partono le fregate — al più presto alle sette di mattinò quella che percorre la rotta X— vi giungerà alle undici: noi ci troveremo in z — ancora in pericolo. Dunque se vedremo la possibilità di ristabilire il telegrafo, allora è d’uopo partire da Ponza sei ore prima in tal caso ci troveremo in v, ovvero partire da Ponza alle undici. Non avremmo allora che due ore di tempo, le quali sarebbero sufficienti. Ma 1° considerando che il vapore forzando un poco potrà fare più di otto miglia l’ora; considerando che possiamo giungervi particolarmente se il tempo è coverto alle otto; considerando che questa rapidità d'avvisi e determinazioni è favolosa; noi possiamo contare quattro o cinque ore a nostra disposizione, ed esser certi del risultamento.

Nel primo caso, si sbarcherebbe verso mezzanotte vicino Sapri.

Nel secondo, alle sette o otto ore di sera.

Il vapore partirà da Londra con venti uomini armati, duecento fucili ed un poco di munizione. Nelle acque dell'isola di Licosa, prima di entrare nel canale di San Bonifacio, troverà una goletta con altri quindici uomini armati, dodicimila cartucci, e forse qualche altro numero di fucili, se Giorgio li darà.

Nel caso più favorevole, arriveremo a Ponza in quaranta armati, con trecento fucili e ventimila cartucci.

Nel caso il più sfavorevole, vi giungeremo in venticinque armati con ducento fucili e poca munizione.

Nel caso che le cose sono come quelli hanno scritto, e le cose nostre vanno bene, noi sbarcheremo con cinquecento uomini armati e muniti forse di due pezzi d’artiglieria, ed altro numero di uomini disarmati.

Se tuttora malissimo, cche i relegati non vogliono venire, noi sbarcheremo con venticinque armati e duecento fucili. — Primo vantaggio, ci troveremo nel regno ove vorremmo andare. — Secondo, avremo di fatto introdotti i fucili che da tanto tempo non è possibile introdurne. — Terzo, daremo un impulso alla Basilicata che dicesi pronta ad insorgere. —Quarto, e se nessuno muove?... Creperemo.

IV
DICHIARAZIONE RINVENUTA SU I CADAVERI DE' RIVOLTOSI

Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente che avendo tutti congiurato d’impossessarci del vapore il Cagliari, ci siamo imbarcati come passeggieri, e dopo che eravamo due ore lontano da Genova, abbiamo impugnato le armi e forzato il capitano e tutto l’equipaggio a cedere il comando del vapore. — Il capitano e tutt’i suoi vedendoci decisi piuttosto di perire che di cedere, hanno fatto quanto era in loro potere per evitare lo spargimento del sangue, e tutelare gli interessi dell’Amministrazione. Eravi a bordo, come passaggiero per Cagliari, il capitano marittimo Caneri, avendolo saputo l’abbiamo costretto a prendere il comando: egli ha ceduto alla forza, né poteva fare altrimenti sprezzando le calunnie del volgo, stretto dalla giustizia della causa, e dalla gagliardia delle nostre armi, ed operiamo da iniziatori della rivoluzione italiana.

Se il paese non risponderà al nostro appello, noi senza maledirlo sapremo morire da forti, seguendo le nobili falangi de' martiri italiani. Trovi in altra nazione del Mondo uomini che come noi s’immolano alla sua libertà, ed allora solo potrà paragonarsi all’Italia, benché sino ad oggi ancora, schiava.

Sul vapore — Sul Cagliari alle ore 9 ½ di sera dei 25 giugno 1887.

Firmati —Carlo Pisacane— Giovanni Nicotera— Giovan Battista Falcone — Barbieri Luigi di Sicilia — Gaetano Raggi di Sicilia — Achille Pomari — Cesare Fardone — Poggi Felice di Sora Gagliani Giovanni di Sora — Rolla Domenico — Ludovico Nigromonti di Orvieto — Foschini Federico — Cesare Cori di Ancona — Metarci Francesco da Sensi marinaio — Sala Giovanni — Lorenzo Giannone — Filippo Faiella — Giovanni Canriellani — Domenico Massone di Ancona — Pietro Nuestari.

Noi sottoscritti dichiariamo eziandio che avendo scoverto dopo una perquisizione, che a bordo vi erano sette casse di armi ce ne slamo impadroniti; esse contenevano tre casse di boccacci di 93 ognuna, tre di fucili a due canne di 90 ognuna, ed una cassa di semplici canne — Carlo Pisacane — G. Focher 9. sergente — E di Litala foriere — G. de Sangro — V. Conte.

V
NOTAMENTO D’ARMI RINVENUTE SUL PIROSCAFO IL CAGLIARI
Fucili a due colpi per uso di caccia a selice numero 7
Fucili a due colpi a percussione 5
Boccacci a mano a selice 4
Pistole a percussione 2
Fucili di caccia a percussione 4
Fucili di munizione guarniti in ferro 2
Carabina a percussione 1

I suddetti fucili sono mancanti di alcuni pezzi al completo.

Due casse contenenti numero 100 canne di fucili nuovi per uso di caccia.

Sciabla una, mancante del fodero.

Napoli 6 luglio 1857.

Il Retro-Ammiraglio maggior generale — Firmato Gaves. Per copia conforme — Il Direttore del Ministero e Real Segreteria di Stato della Real Marina — A. Bracco.

vai su

VI
ESTRATTO DAL RUOLO DI EQUIPAGGIO

Visto — Genova 25 giugno 1837.

Buono per Cagliari e Tunisi con persone 30 di equipaggio, e 33 passeggieri.
VII
AUTORIZZAZIONE PARTICOLARE PEL TRASPORTO DELLE ARMI

Genova 23 giugno 1857.

Ha caricato col nome di Dio a buon salvamento in questo porto di Genova Giuseppe Fabiani quondam Michele, per conto e rischio di chi spetta, sotto coperta del piroscafo nominato Cagliari, comandato dal capitano A. Sitzia sardo, le sotto marcate mercanzie asciutte, intiere, bene condizionate e numerate, come in margine (B. E. C. F. ) armi 449-1451-974) per essere condotte in questo presente viaggio nella stessa condizione in Tunisi, e consegnate al signor Paolo Cassanello contro il nolo di niente affatto, essendo il lutto qui stato pagato, ed in obbligazione di ciò, il suddetto capitano ha firmate queste con altre consimili da valere ad un solo effetto — Dio l'accompagni a salvamento — Dico Casse 7 marcate, numerate, come iu margine, contenenti armi in tutta buona condizione, ed in peso chilogrammi 974 — Giuseppe Fabiani quondam Michele — Domenico Baccigalupa cancelliere. Buono per imbarco — Visconte.

VIII
PRIMO INTERROGATORIO DEL CAPITANO SITZIA
Oggi 29 giugno 1857.

D. Come vi chiamate?

R. Mi chiamo Antioco Situa figlio di Vincenzo, nato in Cagliari, di anni 36.

D. Da dove venite?

R. Partito da Genova il 35 giugno, alle 7 p. in., per la destinazione di Cagliari e Tunisi con pieghi dell’uno e l’altro Governo, e mercanzie diverse, come costa dalle polizze di carico, alle 8 feci mettere a segno la guardia, ordinando la retta per S. 16.° E. — In questo frattempo andava a prora per fare le mie osservazioni; e mi sono trovalo circondato da una banda di venticinque individui, che componevano buona parte de' miei passeggieri, che in tutto erano, numero trentatré, facendo prigioniero tutto l’equipaggio, ed obbligandomi a deporre il comando; e quindi si diressero ad un tal Giuseppe Daneri, capitano marittimo, che faceva parte degli otto residuali passeggieri, ordinandogli di continuare la stessa rotta ilei vapore Cagliari, che dovevano incontrare una barca carica di munizioni da guerra, più sessanta uomini; e quindi si sarebbero diretti per l’isola di Ponza, per liberare i presidiari.

Questa navigazione si è durata con diverse rotte per cercare la suddetta barca, che per fortuna non si è trovata sino alla mezza notte.

A mezza notte hanno ordinalo di mettersi in rotta per il capo Corso — Alle 5 ½ a. m. del giorno 26 ci siamo diretti per l'isola di Ponza. Alle 1112 abbiamo osservalo la squadra inglese, che non mi ricordo se fossero da otto o nove grossi legni da guerra, che si dirigevano per il golfo di Spezia.

Alle 3 12 p. m. del dì 27 eravamo a poca distanza del paese di Ponza, e posta la bandiera onde chiamare il pilota pratico, che giunse immantinenti, l'obbligarono a montare a bordo, unitamente al suo uomo, e colle armi rivolle al petto, l'obbligarono a confessare la qualità della forza del paese. Il disgraziato disse a voce tremante molte cose, che io non compresi. In questo intervallo, venne a bordo una lancia del porto con quattro uomini, e due uffiziali; uno era il capitano del porto, e l'altro un uffiziale di piazza; l'invitarono a montare a bordo, e questi si ricusarono dicendo che se prima non prendevano pratica, secondo le leggi, non potevano montare a bordo; a ciò, due de' rivoltosi calarono abbasso alla scala, e con le pistole in mano, le diressero al petto de' detti uffiziali, e li obbligarono a rendersi ed a deporre le loro spade.

Alle b si diè fondo nel porlo di Ponza, ed imposero al mio equipaggio di mettere in mare tutte le imbarcazioni, onde aiutare a fare lo sbarco, e prendere il paese d'assalto, come vi riuscirono, e fecero prigioniere lotte le località locali, che portarono a bordo. Alle 6 1 2 p. in. la banda era già composta di circa 60, ed all'1 a. m. del giorno 28, giunse a bordo una mia imbarcazione, con armi acquistate a terra, senza darmi tempo di salvare il mio canotto, che credo l'avranno trovato a Ponza, e data la libertà a tutte le autorità locali, si parli immediatamente per la volta di Sapri, ove giunti alle ore 8 34 p. m., senza dare fondo, posero in mare tutte le lance, e con l'aiuto di un'altra barca peschereccia si effettuò lo sbarco, che si ultimò alle 10. 23, lasciandomi una dichiarazione onde garentirmi tanto dal mio Governo, quanto da quello napolitano, esponendo tutto ciò che loro a viva forza avevano praticato; rimanendo ancora a bordo numero tre rivoluzionari feriti, uno de' quali si apparteneva a quelli presi in Ponza.

Subito pensai dirigermi per Napoli, onde darne una dettagliata relazione a questo Regio Governo, come pure mettermi in regola con il mio, ed al tempo stesso provvedermi di carbone per quindi proseguire il mio destino.

Dimenticava dire che il giorno 27 fecero una perquisizione in tutto il bastimento, in cui tra le mercanzie di Tunisi trovavano sette casse d'armi di lusso, tra montate e smontate, l'ultima delle quali mi lasciarono a bordo.

Dimenticava ancora dire, che essi mi consigliavano di non approdare in Napoli, perché sarei stato compromesso con il Real Governo; io risposi che la mia posizione me l'obbligava, stante che questo Governo non aveva e non ha discordia alcuna con il mio.

D. Sapete se questa banda di rivoluzionari avevano o pur «w, munizioni?

R. Ne avevano, ma in pochissima quantità, essendo molta gente disarmata.

D. Se avevano delle armi e delle munizioni, come succede che non ve ne eravate accorto nel loro imbarco? l

R. Allorché s'imbarcarono questi individui a bordo, non avevano alcun segno di gente malvagia da sospettare; dopo la partenza, ho veduto che ognuno era armato di pistole e di stili.

D. Quando i rivoltosi sono sbarcali a Ponza, perché non avete tentato di uscire dal porto, e venire ad avvertire nel continente?

R. Perchè era rimasto solo a bordo con quei pochi passeggieri neutrali, giacché lo intero mio equipaggio era stato obbligato a viva forza di sbarcare a terra con loro.

D. Avete altro da aggiungere a questa vostra deposizione?

R. Non ho altro da aggiungere né togliere a questa mia deposizione, essendo questa la pura verità.

Di poi si sono fatte altre domande.

D. So che i rivoltosi hanno ricevuto sul vostro bordo una quantità di boccacci, fra le altre armi.

R. I detti boccacci erano rinchiusi nelle casse destinate per Tunisi.

D. Chi è il vostro raccomandatario?

B. G. di Lorenzo di Napoli 104.

Sapri 29 giugno, 1857 – Antioco Sitzia.

Il tenente di vascello, Giovanni di Ayala Valva.

IX
SECONDO INTERROGATORIO DEL CAPITANO SITZIA

Oggi che sono il 3 taglio del 1857.

Io Giovanni d'Ayala Valva tenente, di vascello della Real Marina: Imbarcato sulla Real fregata, a vapore. il Tancredi, ora ancorata nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti; comandante superiore de' Reali legni di particolare servizio di Sua Maestà, i| Re (D. G.) ed assistito! dal cannoniere di, terza, classe Pasquale Todisco, funzionante da cancelliere.

Ho fatto venire in mia presenza il signor D. Antioco Sitzia comandante il vapore. Sardo il Cagliari qui ancorato; ed in seguito dello interrogatorio da questo subito il giorno 29 giugno detto, ho proceduto alte seguenti domande.

D. In seguito di quanto avete riferito di essere rimasto sul bordo del vapore, allora quando si praticò lo sbarco della gente armata in Ponza, perché non cercaste con tutti i mezzi possibili di lasciare quel porto, e riferire lutto lo accaduto a chi credevate?

R. Allora quando la gente armata praticò lo sbarco in Ponza, io fui messo in arresto nella stanza di poppa con tutti i passeggieri, il capitano del porto di Ponza, ed un vecchio uffiziale di piazza, e tutti insieme eravamo minacciati di vita da due persone armate di boccacci, che ci vietavano di salire in coverta, e di parlare; perciò inabilitalo a poter fere la minima azione. Oltre di che, i miei marinari furono adibiti obligatoriamente in tutte le lance del bordo, ed adibiti allo imbarco della gente provveniente da terra; ed è per ciò, che «e fossi stato libero del mio agire, neanche avrei potuto muovere da questo ancoraggio, giacché mancante di marinari.

D. Perché non cercaste di lasciare quel porto, servendovi dei fuochisti, carbonari, nostromo, e tutt’altri che potè rimanere sul bordo?

R. Tutta questa gente è tale che nella circostanza del momento, invasa da spavento, non poteva adibirsi ad alcun servizio.

D. Che sapete della scorridoja reale, che trovavasi nel porlo di Ponza?

R. Durante il tempo che questo vapore riempi vasi di gente, bo veduto la scorridoja vicino a noi, e lateralmente al suo bordo esservi un paranzello venuto da terra con viveri. Si ordinava all’equipaggio della scorridoja di lasciarla, imbarcandosi sul detto paranzello ed andarsene a terra.

Il comandante della scorridoja era in arresto a bordo.

Abbandonata la scorridoia, questa è stata sfondata dagli insorti, che erano a bordo di essa; e ciò in seguito di avergli tolto i viveri che aveva e le munizioni.

Dopo di questo, fu lasciato andar via di poppa, e sentiva dire dai capi che la detta scorridoia era arranciata per le feste.

D. Avete null’altro di aggiungere o togliere a ciò che avete detto, si nel primo che in questo secondo interrogatorio?

R. Non ho niente da aggiungere o togliere a quanto ho riferito, e confermo di nuovo quanto bo detto nei sopra nominati due Interrogatori.

D. Potete giurare quanto avete riferito sull’accaduto?

R. Si signore, e mi sottoscrivo — Antioco Sitzia.

Il cannoniere di terza classe da cancelliere — Pasquale Todisco.

Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva.

vai su

X
INTERROGATORIO DI GIULIO SCHNEIDER
Oggi che sono li 3 luglio 1837.

lo Giovanni d'Ayala Valva lenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorato sulla spiaggia di Sapri, dietro ordine del verbale del Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore dei Reali Legni di particolare servizio di Sua Maestà il Re (D. G.) ed assistito dal cannoniere di terza classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire a una presenza il signor Giulio Schneider ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Giulio Sehneider.

D. Che età avete?

R. D'anni trentaquattro.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Giuseppe Bernardo Sehneider, ed Anna Maria.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Carrozziere e sellaio.

D. Qual'è la vostra patria?

R. Bologna.

D. Come vi trovate a bordo del vapore Genovese il Cagliari?

R. Il giorno 23 corrente m'imbarcai a bordo di questo bastimento che trovavasi in Genova, onde portarmi in Tunisi. Verso sera il vapore ha messo in moto, essendosi allontanato dieci miglia circa mi trovava a poppa, in quel mentre si sentiva un forte grido di molte persone con arme in mano, pistole, stili: ferma, ferma, scendete a basso, dopo questo dimandavano, che cosa è questo chiasso, dicevano non temete niente, che noi siamo venuti per liberare l'Italia, poi hanno preso il capitano con forza, e condottolo avanti di noi passeggieri, asserivano che il comandante non aveva più alcun potere, e che essi erano padroni del tutto del bastimento. Indi dirigemmo per l'isola di Ponza, dove vi giungemmo verso sera tra le cinque o le sei. — Colà giunti, si alla bandiera del pilota, il quale venuto con una barca, l'obbligarono di salire a bordo minacciandolo della vita. Indi giunse il capitano del porto con un uffiziale regio, i quali furono obbligali anche per forza di salire a bordo. — In seguito di che cominciarono a calare a terra numero 20 o 33 individui annali con armi da fuoco, ed in questo mentre io, e varii altri passeggieri di unita all’uffiziale regio, ed il capitano del porlo fummo messi a basso senza poter salire in coverta. Il vapore si riempiva di mano in mano di gente armata provveniente da terra, e verso mezzanotte circa, essendo venuti a bordo quadro in cinquecento individui, siamo partili dal porto di Ponza dopo di aver lasciato il capitano del porto con un ufficiale regio. Secondo mi hanno detto, si andava a sbarcare in Salerno, e verso la sera 'del giorno seguente, giunti ad una spiaggia che dicevano essere di Sapri, tutta la gente armata se iié calava a terra, dopo che il vapore parti, e per detto del capitano, si dirigeva per Napoli onde rimpiazzare il carbone, e dar parte alle autorità competenti di quanto si era passato a bordo del suo vapore dal momento della partenza da Gentova.

D. A vete niente altro da aggiungere a quanto avete detto?

R. No Signore.

D. Potete giurare quanto avete asserito?

R. Si Signore, ed in attestato del vero mi sottoscrivo.

Firmato—Jules Schneider.

Il tenente dii vascello —Giovanni d’Ayala Valva.

Il cannoniere di terza classe da cancelliere, Pasquale Todisco.

XI
INTERROGATORIO DI FRANCESCO MASCARO
Addì 29 giugno 1857.

D. Qual è il vostro nome?

R. Francesco Mascarò.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Figlio idi Giovanni Mascarò e Marianna Rais.

D. Che età avete?

R. Anni cinquantatré circa.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Medicochirurgo.

D. Qual è la vostra patria?

R. Spagnuolo, e naturale di Maone.

D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?

R. Il giorno 23 co rrente m'imbarcai a bordo di questo legno, che trovavasi nel porto di Genova, onde portarmi in Tunisi. Verso le sette di sera mettemmo in moto; dopo di un’ora circa, in mezzo delle grida e del rumore mentre era situato alla poppa del detto vapore di unito alla mia consorte ed altri passeggieri, vidi comparire il capitano in mezzo a diversi individui con berretti rossi, in cui appoggiavano alle pistole, e de' stili.

Domandai di che cosa si trattava, e senz’altra risposta mi fu imposto di scendere senz’altro nella Camera, giunto con gli altri passeggieri, amminacciandomi di non tarlo, di servirsi della violenza. Dopo pochi momenti, un capitano passaggiero che trovavasi nella camera, scesero i rivoluzionari imponendo al detto capitano, centro le minacce, a prendere il comando del detto vapore. Il detto capitano si negò, ma fu obbligato con le minacce della vita: dopo di che si diresse per l’isola di Ponza, doveri giungemmo verso la sera. Si alzò immediatamente la bandiera del pilota, che, giunto, fu obbligato di salire, di unita con un uffiziale regio.

In seguito, essendo al numero di venti all'incirca, si portarono a terra tutti armati.

Fecero imbarcare a viva forza il secondo, ed il pilota, come parimenti il nuovo comandante del vapore, imponendoci a noi di non muoverci dalla stanza.

Dal bordo sentivamo de' colpi di fucile a terra, e dopo diverso tempo di questo disordine a terra, comparivano parecchie barche cariche di gente, e verso la mezza notte essendo a bordo, al numero di circa quattrocento, partimmo dall’isola.

Sentivamo dire a bordo, che si andava a sbarcare nella spiaggia di Sapri.

Verso la sera del giorno seguente, giungemmo sopra di una costa, dove si esegui lo sbarco di quasi tutti quelli imbarcati da passeggieri, e gli altri imbarcati a Ponza, essendo rimasti de' primi, due feriti, ed uno che apparentemente aveva delle convulsioni, onde evitare di proseguire gli altri armati.

Partimmo immediatamente, facendoci conoscere il capitano del Vapore andare a Napoli, onde fare il suo rapporto: nella via trovammo i due vapori da guerra napolitani.

D. Avete niente altro da aggiungere, o togliere a quanto avete asserito!

R. No signore.

D. Potete giurarlo?

R. Si signore, ed in attestato del vero mi sottoscrivo.

Francesco Mascarò.

Il tenente di vascello Giovanni d'Ayala Valva.

Il cannoniere di terza classe cancelliere G. Tudisco.

vai su

18
PARERE DEL CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO
SULLA CATTURA DEL CAGLIARI

Il Consiglio del Contenzioso Diplomatico (IV), visto l’invio della seguente pratica con dispaccio di S. E. il signor ministro segretario di Stato per gli affari esteri del 12 dicembre 1857, udita la relazione fatta dal conte Sclopis:

Nell’intraprendere l’esame dell’affare del Cagliari, che levò tanto rumore in Europa e merita da parte del Governo del Re così seria attenzione, il Consiglio crede opportuno di entrare anzitutto in alcune considerazioni, che, riferendosi ad una serie di fatti complessivi, possono guidarlo anche alla risoluzione delle singole quistioni che gli furono preposte net riverito dispaccio ministeriale del 12 dicembre dell’anno scorso.

Primieramente non si deve per nulla dissimulare la funesta impressione che a buon diritto il Governo di Napoli ha ricevuto dall’improvviso riprovevolissimo attentato che una mano di forsennati, rotti ad ogni maniera di violenta, ba eseguilo nell’isola di Ponza e nelle coste di Sapri, come non si dee tacere del giusto risentimento provato dal Governo del Re nel vedere da quegli stessi rivoltosi cotanto indegnamente abusata l’ospitalità loro conceduta nei reali domini, brutalmente oltraggiata la bandiera dello Stato e violentemente costrette ed usurpate persone e robe di regi! sudditi. E fin d’ora il Consiglio esprime il suo rammarico, che al primo annunzio dell'usurpazione del Cagliari per i congiurati e della successiva corsa fattasi da quel battello a Ponza ed a Sapri, coll'istessa prontezza con cui si spedì una regia fregata in cerca di quel vapore, non siasi immediatamente aperto un processo in Genova per informare e conoscere dei fatti di pirateria, da quei rivoltosi consumati non meno a danno dei detti sudditi, così proprietari, come formanti l’equipaggio di detto bastimento, che ad oltraggio della bandiera dello Stato. Coll’istituzione di tal giudizio sarebbesi dall’un canto meglio soddisfatto al debito di pronta e severa giustizia degli atti scellerati commessi a bordo del Cagliari, e dall’altro agevolata la preparazione dei mezzi onde difendere gli interessi dei nostri concittadini in qualunque caso di collisione colle istanze ed i provvedimenti che fossero per farsi a loro danno in Napoli.

Ma qualunque possa essere la prima impressione prodotta dall’affare del Cagliari, qualunque il desiderio che fosse stato più vivamente apprezzato dall’autorità giudiziaria specialmente destinata a reprimere siffatti reati, non sarà perciò men necessario il procedere con tutta calma alla disamina dei singoli fatti costituenti questo malaugurato affare, discutendoli ne’ loro rapporti coll’istanza giuridica promossa in Napoli per far dichiarare buona la preda del Cagliari, eseguila dalle regie fregate napolitane il Tancredi e l'Ettore Fieramosca.

L’ispezione attuale del Consiglio non si dee estendere oltre il giudizio per fatto di preda e quindi si lascierà intatta ogni considerazione che si riferisca al processo criminale ventilante davanti alla gran Corte speciale di Salerno sopra i casi di Ponza, di Sapri ed altri connessi, nel qual processo trovansi coinvolti i comandanti e l’equipaggio del Cagliari, ditenuti nelle carceri insieme cogli altri inquisiti per siffatti titoli.

Lasciando però a parte per ora ogni considerazione sopra siffatto giudizio criminale, non è a dire che il Consiglio intenda di suggerire al Governo del Re che non abbia per nulla ad occuparsene, ma si vuol soltanto restringere nei propri limiti l’attuale quistione, con riserva d’ogni ragione e d’ogni atto che possa competere in seguito e per altri rispetti al prelodato Governo, così per la tutela della sua autorità, come per la difesa delle persone e degli averi de' suoi sudditi.

Venendo ora a discorrere la serie dei fatti relativi alla quistione complessiva sottoposta al Consiglio, pare conveniente il distinguerli in tre periodi, cioè:

1° Partenza del legno da Genova, ribellione a bordo, violenta usurpazione del comando della nave;

2° Fatti avvenuti nel porto di Ponza e sulla costa di Sapri.

3° Ritorno da Sapri e cattura del Cagliari eseguila dalle due summentovate regie fregate napolitane.

Il Cagliari, vapore ad elice spettante alla compagnia Rubattino in Genova, serviva già da assai tempo alle comunicazioni postali tra Genova e l’isola di Sardegna.

Per la sua annunziata partenza da Genova il 23 giugno 837 esso prendeva carico dal Governo di pacchi di lettere per via di posta dirette a Cagliari, oggetti di vendile privative del Governo stesso, consistenti in tabacchi, casse d’armi di lusso, dirette da una manifattura francese a certo Paolo Cassanello a Tunisi, invio regolare e manifesto, di direzione non contestata e provata da relativa polizza di caricamento.

La destinazione dichiarata del Cagliari in quel suo viaggio era per la città di Cagliari e quindi per Tunisi. Portava carbone per 50 a 60 ore di cammino: aveva a bordo 32 uomini d'equipaggio e 35 passaggieri.

Tra i passaggieri diretti a Cagliari erano quegli sciagurati, che non tardarono a diventare assalitori violenti, e per tradimento usurpatori del comando e del governo del battello. Mancavano quei passaggieri di passaporto, è vero; ma e altresì notissimo che. quando la direzione dei viaggiatori non è fuori dei confini dello Stato, quel recapito d'uso loro non si richiede. Si trovò bensì nel portafoglio del capitano del Cagliari una licenza di permanenza in Torino, rilasciata dal Questore di pubblica sicurezza a Giovanni Nicotera, chiaritosi poi uno dei capi dei rivoltosi; ma quel recapito, così serbato, lungi dal far supporre che il capitano suddetto tenesse relazione intima col Nicotera, proverebbe ch'egli volle assicurarsi che questo passaggiero non fosse sospetto. Quanto agli altri fu una vera disgrazia l'averli imbarcati, ma sarebbe stata una vera impossibilità il respingerli dal prendere passaggio sul vapore.

Nessun argomento, anzi neppure la menoma presunzione esiste che possa far dubitare della buona fede dei proprietari del Cagliari nell’apparecchio alla partenza. E non si potrebbe tenere conto dell’induzione che l'avvocato della regia intendenza generale di marina di Napoli vuol trarre, da che il signor Raffaele Rubattino, appena avuto sentore della spedizione di Sapri, il 3 luglio dell'anno scorso, scriveva al regio console di Napoli a Genova, che, esaminando la qualità dei passaggieri imbarcati, riusciva per esso Rubattino evidente, che questi, non si tosto allontanato il Cagliari dalle nostre coste, s'impadronirono con violenza, e forse peggio, del comando del piroscafo, lo deviarono dalla sua destinazione per eseguire i loro meditati progetti.

Ma il Rubattino scriveva ciò dopo che si era saputo in Genova che il Cagliari era ito alla mala ventura, riandando le qualità dei passaggieri, che egli, il 25 giugno, non avrebbe potuto ricusare a bordo del suo piroscafo, e connettendo le voci giunte da Napoli cogli spaventevoli preparativi di rivoluzione in quei giorni appunto scoperti in Genova. Se il Rubattino fosse stato complice, o solamente conscio dell'idea dei rivoltosi, non avrebbe scritto con tanta ingenuità al Console di Napoli; le sue espressioni rivelano anzi la fiducia che egli aveva riposta nell'onestà del capitano, non che la sua sorpresa e la semplice valutazione dei fatti da esso non prima preveduti, né prevedibili, se si ritiene che al tempo della partenza del battello non si aveva dalla popolazione di Genova sentore di imminenza di pericoli politici.

Quanto alle carte di bordo, esse non erano a vero dire complete, ma le deficienze non sono tali che possano mettere il Cagliari in aspetto di nave sospetta.

Si può dire anzi che trattandosi di bastimento, il quale era destinato a percorrere in regolare direzione il Mediterraneo, che già da lungo tempo compiva quella destinazione, la regolarità del suo corso, la composizione del suo equipaggio non potevano aversi che per accertate.

Ogni ombra poi d’incertezza rispetto alla legittimità della provenienza del Cagliari e della sua condizione doveva svanire, dacché risultava che il medesimo faceva l’ufficio di battello postale tra Genova e l’isola di Sardegna e conseguentemente erano il suo comandante ed il suo equipaggio investiti della fiducia del Governo.

Conviene dire perciò che la diffidenza che dall’avvocato della Intendenza generale della regia marina in Napoli si vuol spargere in genere sulla composizione e sulla destinazione di quel battello non è per nulla giustificata, né giustificabile.

Debbesi ora toccare del punto più rilevante e più difficile di tutta la presente disquisizione, di quello che direttamente influisce sulla risoluzione dei quesiti proposti, determinando la moralità del fatto cadente in discussione.

Che i fuorusciti capi della congiura coi loro seguaci abbiano violentemente spogliato del suo comando a bordo del Cagliari il capitano Antioco Silzia, che abbiano preso essi il. governo del vapore chiamando a comandarlo il Daneri, sono cose fuori di dubbio. Lo provano le deposizioni dell’equipaggio e di quella parte di passaggieri che rimase estranea a tali atti di violenza e divenne vittima di quel tristissimo avvenimento; lo prova il giornale di bordo; lo prova infine la dichiarazione emessa dai congiurali stessi, che attestano la violenza da loro usata, e si vantano del tradimento commesso a sfregio della bandiera di quello Stato che li aveva ospitati, a danno di gente che per nulla era avvinta dai loro perversi disegni.

Il Consiglio a dir vero non attribuisce a quest'ultimo documento forza eguale a quella delle deposizioni di testimoni imparziali, e del giornale di bordo, perché si sa che anche tra conniventi si possono praticare simili uffizi, a scanso di pericoli per chi ne è l'oggetto.

Ed inoltre, quantunque quella dichiarazione porti la data del 23 giugno nella copia stampala, risulta però firmata da buon numero di individui, che non erano registrali tra i passaggieri del Cagliari, ed è quindi da dire che siasene sbagliata la data e che quel foglio sia stato redatto tra l’assalto di Ponza e la discesa a Sapri.

Ma la portata di questa violenza esercitata sulla persona del comandante del Cagliari, il grado di pressione morale e materiale che questi abbia sofferto, sono cose assai più difficili a definirsi. Non fu brillante di coraggio a dir vero la resistenza del capitano Silzia, il quale, se avesse più pensato all’onore suo e dell'equipaggio che ad altro, avrebbe o fatto giustizia dei traditori, o lasciata la vita gloriosamente prima di soggiacere ai voleri dei rivoltosi, che certo non erano più di venticinque, mentre egli aveva trentadue uomini di equipaggio. Ma sarebbe ingiusto il non avvertire che, colto all'improvviso il Silzia, trascinato, tra clamori e minacce, cogli stili al petto e le pistole alla gola, da prua a poppa del suo battello, può avere, anzitutto pensato a salvare il carico che portava ed a non compromettere maggiormente gli interessi della compagnia committente. Se egli non merita elogio di grande coraggio egli non dee neppure essere tacciato di vile (V), ed il complesso dell'assalto patito nelle circostanze di tempo, di tango e di condizione in cui quello avvenne, costituirà sempre agli occhi di qualunque giudice imparziale un caso di forza maggiore.

L'avvocato napolitano, che sostiene l'azione di buona preda per l'Intendenza della regia marina a Napoli, invano a nostro credere si studia di far comparire il Sitzia in aspetta di conscio, connivente e complice dell’usurpazione de' rivoltosi. Ma siffatta moltiplice accusa vorrebbe essere appoggiata da prove convincenti, e nessuna ne adduce l'avvocato napolitano, fuoriché una vaga presunzione che quel capitano avrebbe potuto portare la resistenza a più alto grado. Di ciò già abbiamo toccata, ed a convincerne che il Sitzia non era per nulla aderente alla congiura, basta il considerare che in una carta rinvenuta nel portafoglio di Carlo Pisacane, esistente in processo, carta importantissima, dove si contiene il piano della spedizione che si voleva intraprendere, si calcola minutamente ii tempo per i vari! fatti, si prevedono le contrarietà ed i pericoli, si enumera la quantità delle persone sulle quali credevano i capi della congiura poter contare, e dal novero degli individui probabili a riunirsi non si scorge che si fosse per nulla contato sull'adesione ed il consenso dell'equipaggio del Cagliari. Né si creda che il Pisacane, vero capo della congiura, evitasse nei fogli suoi particolari di compromettere te persone a lui fidate tacendone i nomi; che anzi, tutto al contrario, in quelle carte tolte sopra di lui dopo la sua morte si rinvengono lunghe serie di nomi de' suoi aderenti, od almeno di quelli ch'egli reputava tali; e quindi, se avesse compreso tra i suoi aderenti l'equipaggio del Cagliari col suo comandante, non avrebbe mancato di tenerne memoria.

Come il Cagliari fa giunto nel poto di Ponza, e s’imprese dai congiurati con alti di frode e poscia della più sfrenata licenza la liberazione dei relegati per farne massa ed andarne uniti a Sapri, la pressione morale e materiale sull'equipaggio s'accrebbe. Ivi si trovava quell'equipaggio a fronte di una turba di gente pronta a secondare i rivoltosi in ogni più arrischiato cimento; in breve ora la turba, congiunta ai capi della congiura, s’alzò a circa quattrocento cinquanta uomini. Le autorità locali erano Mate poste in arresto, e tutto stava a discrezione dei congiurati. Qui l'impeto della forza maggiore cresceva a dismisura, e tutto ciò che 9i operava dall'equipaggio del Cagliari era evidentemente fuori d’ogni ragionevole impotabilità al medesimo, come non sarebbero state imputabili le autorità istesse locali prese e custodite dai rivoltosi. Risulta che il capitano Silzia non scese a terra e rimase sul suo bordo guardato da uomini armati; ma quand'anche egli avesse, come attestano alcuni testimoni usciti di Ponza, interrogati da ufficiali di marina napolitani, conversato a bordo famigliarinenle con quelli che erano giunti al colmo della violenza contro di lui e del suo equipaggio, ciò non aggraverebbe punto la sua responsabilità. Quale effetto avrebbe avuto in quei frangenti un atto di disperala resistenza contro i rivoltosi? Nessun altro al certo fuoriché quello di mettere a repentaglio, senza la menoma speranza di buon successo, la vita di trentadue uomini dell’equipaggio, a fronte di più di quattrocento uomini rotti e disposti ad ogni maniera di eccessi.

E questo spiega a fior d'evidenza l’impossibilità in cui era il capitano Sitzia di uscire dal porto di Ponza per avviarsi immediatamente alla vicina Gaeta, come l’avvocato napolitano sostiene che avrebbe potuto e dovuto fare. Come avrebbe potuto il capitano salpare, mentre s’era fatto discendere dal bastimento l’equipaggio ed impiegatolo nelle imbarcazioni?

Levata l'ancora da quel porto, e voltatosi, per l’ordine dei ribelli, il Cagliari alla costa di Sapri, non prese colà terra; ma, appena sbarcala sovra lance leggiere, la banda armata si allontanò da quei lidi.

Riteneva esso il solo primitivo equipaggio con tre feriti o malati, erano alcune pochissime armi al suo bordo che i congiurati vi avevano lasciate, ma nulla più vi rimaneva che potesse farlo ravvisare per legno armato o sospetto.

Il medico Mascarò, passaggiero imbarcato a Genova, che nessuna parte mai prese negli atti dei rivoltosi, nella sua deposizione fatta avanti agli ufficiali napolitani, alla quale s’accostano tutti gli altri passaggieri rimasti neutrali, narra che, «eseguitosi lo sbarco di quasi tutti quelli imbarcali da passaggieri e gli altri imbarcati a Ponza, essendo rimasti dei primi due feriti, ed uno che apparentemente aveva delle convulsioni, onde evitare di proseguire gli altri armati, partimmo immediatamente, facendoci conoscere il capitano del vapore andare a Napoli, ove fare il suo rapporto, e nella via trovammo i due vapori da guerra napolitani.»

Dal risultalo di tutti i detti raccolti da testimoni non vi ha quindi veruna prova che nel tragitto da Ponza a Sapri il con. legno forzatamente passivo del capitano e dell’equipaggio siasi mutalo. Narrano alcuni tra questi testimoni che vi fu distribuzione, a bordo del vapore, di armi e di munizioni, «quale si manifatturò sopra luogo, non che dell'avvertimento di abbassarci e nasconderci alla vista di un vapore, concorrendovi in tutte queste operazioni la decisa volontà ed il pieno accordo del comandante del legno (VI).» Ma questo comandante non era per fermo altro che il Daneri chiamalo dai rivoltosi al comando della nave fin dalla sera del 23.

La volontà del capitano Silzia di trasportarsi immediata mente a Napoli per farvi il rapporto dei casi avvenuti e delle violenze patite da lui e dai suo equipaggio è accertata così dalle anzidetto deposizioni di testimoni disinteressali e degni di fede, come da quelle dei due macchinisti inglesi che servivano a bordo, e dalla relativa annotazione al giornale di bordo.

Si rimprovera dall’avvocato napolitano il Sitzia di non essersi immediatamente diretto sopra Salerno, dove avrebbe trovato autorità competenti a ricevere le sue dichiarazioni, e più presto sarebbesi tolto d'ogni sospezione; ma è ovvio il rispondere che forse il capitano Sitzia ignorava di poter fare a Salerno ciò per cui si rivolgeva a Napoli, ed indubitatamente era per lui più sicuro e miglior partito il recarsi alla capitale, dove risiede una regia legazione sarda, dalla quale sarebbe stato consiglialo e protetto.

Venendo poi ad esaminare il punto di mare dove fu dalle due regie fregate napolitano arrestato il Cagliari, ed il modo da questo tenuto nello arrendersi, non si potranno ammettere le induzioni tutte sfavorevoli al comandante di quel bastimento, alle quali con tanta apparenza di sicurezza s'affida l’avvocato napolitano.

La rotta che seguiva il Cagliari quando fu arrestato dal Tancredi, quale ci viene indicata nella carta idrografica unita al discorso dell'avvocato Starace, poteva benissimo considerarsi come diretta a Napoli. Se essa non prese la via per le piccole bocche di Capri non ne viene per conseguenza che non fosse diretto per Napoli.

Compiutamente gratuita è l'asserzione che il capitano Sitzia volesse ricondursi a Ponza per ivi rilegare altra gente e portarla in soccorso degli invasori di Sapri. Nessun argomento positivo si addusse né si potè addurre che valga a sostenere quella ipotesi. Diciamolo pure francamente: quand'anche il Sitzia avesse aderito ai progetti de' congiurati, il che non consta per nulla, anzi è apertamente contrario al fatto, sarebbe stato pazzia il ritornare a Ponza con quel legno che non teneva mezzi di difesa, che aveva quasi intieramente consumata la sua provvisione di carbone, e mentre si era certi di incontrare in mare forze maggiori del Governo legittimo che avrebbero catturato uomini e munizioni, e posti sempre più a repentaglio gl'interessi della compagnia proprietaria del legno.

Non sembra neppure degna di seria considerazione l'avvertenza che l'avvocato napolitano mette innanzi, che appena i relegati rimasti in Ponza videro apparire da lungi un vapore, si misero in gran movimento, credendolo il Cagliari, e poi ad un trailo sostarono, ravvisando in quello il Ruggiero della regia marina di Napoli.

Non si può qui determinare quali fossero le aspirazioni od i desiderii di quella parte della popolazione di Ponza, ma è certo che le loro speranze di rivedere il Cagliari erano illusorie; né v'ha la menoma traccia di prova che valga ad appoggiare l’ipotesi dell'avvocato.

I reati non si presumono, ma debbono provarsi con appoggio di prove sicure, od almeno d’indizi concatenati; ora non v'ha né un principio di prova, né una serie di concludenti indizi che servano ad accusare validamente il Sitzia di complicità nella congiura scoppiala a bordo del suo bastimento, o di successivo attivo e volontario concorso nella spedizione di Ponza e di Sapri.

Per quanto si voglia largheggiare nel riconoscere motivo e diritto nelle regie fregate napolitane di fermare il Cagliari, in vista de' frangenti in cui allora si trovava il reale Governo di Napoli, non si può negare che in quella fermata, nella successiva traduzione del legno in Napoli siasi esaurito ogni mezzo di legale precauzione che potesse essere a disposizione di quel Governo.

Si usò in quella occorrenza di un anticipato rigore, trattandosi l’arresto come caso di preda, locché non poteva pronunziarsi in quelle prime mosse. In seguito poi, quando il Governo di Napoli potè convincersi che il Cagliari aveva cessato di essere in potere di pirati che l’avevano violentemente occupato a danno di sudditi sardi,. che ne sono i proprietarii; che il legno al momento in cui fu arrestato non aveva nulla che dinotasse volontà o potere di offendere quel Governo od i suoi nazionali, ragion voleva che, a norma dei principii e degli usi vigenti in materia di rapporti di giurisdizione internazionale, quel bastimento si restituisse ai suoi proprietari, o quanto meno si rilasciasse al Governo di Sua Maestà, perché dal medesimo, previe quelle cautele che si sarebbero ravvisate opportune a tutela della giustizia pubblica e privata, se ne facesse l’uso giusto e giuridico.

Premesse queste considerazioni che emergono dalla serie de' fatti cadenti nella presente controversia, il Consiglio si farà a discutere partitamente i quattro quesiti statigli proposti nel precitato dispaccio ministeriale.

Non sarà inutile il notare che in tutto questo affare, non essendosi data comunicazione delle risultanze degli atti processuali esistenti a Salerno ed a Napoli, né ai proprietarii del Cagliari dimoranti nei regii Stati, né al Governo di Sua Maestà, è forza di riferirsi in fatto ai documenti raccolti e pubblicati dalle autorità napolitane, comprensivamente agli esami de' testimoni cui si è proceduto a bordo della real fregata napolitana il Tancredi dagli ufficiali di bordo a ciò delegati dal retroammiraglio comandante.

Se il primo quesito proposto al Consiglio, cioè se la cattura del Cagliari nei momento e nelle circostanze in cui fu fatta possa considerarsi conforme al diritto delle genti, dovesse risolversi in vista semplicemente della località in cui seguì tale cattura, non sarebbe né difficile, né lunga la soluzione. La cattura diffatti, a termini del processo verbale esteso dal capitano di fregata comandante Ferdinando Rodriguez, a bordo del Tancredi, il 29 giugno 887, ebbe luogo all'ovest dell'isola di Capri, in alto mare, cioè a circa 12 miglia di distanza dall’isola suddetta (VII). È noto che l'uso generale delle nazioni attribuisce alla giurisdizione marittima diuno Stato una estensione sul more che ne bagna le coste fino alla distanza di una lego marittima, oppure alla portata di un colpo di cannone tirato dalla spiaggia. Fra questi limiti i diritti di proprietà e di giurisdizione territoriale sono assoluti ed escludono quelli d'ogni altra nazione (VIII); al di là, tranne i varii spazi di mare racchiusi nel territorio, comincia la libertà del mare, e cessa ogni diritto di sovranità, ogni ingerenza di una superiorità presso qualsivoglia nazione.

La cattura del Cagliari si operò in quel mare libero, quod non possidetur, e sotto questo aspetto l'illegalità di tale arresto non potrebbesi mettere in dubbio.

Ma conviene por mente alle circostanze di tempo in cui avvenne questo tetto per vedere se non ne sorga qualche considerazione attenuante il rigore del citato principio. L’attentato di Ponza, lo sbarco dei rivoltosi in Sapri, le prime scintille di guerra civile appiccate erano circostanze tali che dovevano mettere il reale Governo di Napoli in giusta apprensione per Pervenuto, ed hi convenevole previdenza del fa turo. Quindi non se gli poteva contestare il diritto di dirigere i bastimenti della regia marina al di là dei confini territoriali, e di spazzare il mare, levandone ogni pericolo di continuate insidie o di nuove provocazioni. Il diritto della difesa di uno Stato non si limita in tali frangenti entro i confini ordinari del medesimo, ma si spinge anche al di fuori per cesserei pericoli che da' nemici in quella libertà del mare gli si creassero per avventura.

Aveva di più il Governo napolitano nelle circostanze del momento ragione di valersi della facoltà che il diritto delle genti concede di visitare i bastimenti portanti bandiera amica e neutrale per impedire che si trasportassero a suo danno oggetti di contrabbando di guerra. Ed è consentaneo ai principii di ragione e d'equità che non si ricusi dalia nave, amica. o neutrale, di lasciarsi visitare. Scrive Vattel: Aujourd’hui un vaisseau neutre qui refuser ait de souffrir la visite, se ferait condamner par cela seul camme de benne prise (iX)) ).

Il Governo di Napoli non eccedeva i termini di una legittima precauzione di difesa fermando nel perimetro di mare tra Ponza e Sapri ogni legno che suo non fosse, onde conoscere se quello spettasse a quelle bande che muovevano ad infestare il regno, o se potesse servire a coadiuvare il loro intento.

Il capitano Sitzia si uniformò pienamente alle regole suddivisate: appena avvisato dal Tancredi, fermossi, ammainò le vele ed aderì all'intimazione. Avendo egli immediatamente obbedito, si legge nel precitato verbale, si è presentato al signor retroammiraglio D. Federico Roberti, che superioremente comandano le due fregate. E mentre che, prosegue il detto verbale, dal prelodato signor generale si riceveva la deposizione del capitano, e si esaminavano le sue carte, si è spedito a bordo del vapore arrestato una lancia armata in guerra col tenente di vascello D. Antonio Imbert per eseguire una esatta perquisizione sul legno ed assicurar si se vi fossero state armi di sorta alcuna, munizioni da guerra ed altre carte.

Fin qui il Governo napolitano usava d’un suo legittimo diritto, e non c'è che ridire.

Frutto della perquisizione furono una cassa aperta contenente cinquanta canne di fucili; un'altra chiusa che si diceva contenere ben Anche cinquanta fucili, nove fucili a due colpi, quattro ad un colpo e due di munizione, una carabina, un boccaccio, due pistole, una sciabola di modello per gli uffiziali dell’esercito napolitano, senza fodero; ed una cassetta di munizione simile a quelle che si ricevono dal parco d'artiglieria di Napoli, contenente pochi razzi per segnali.

Tranne le casse di fucili smontati, di cui si poteva giustificare la provenienza e la destinazione, le altre armi rinvenute a bordo del Cagliari avevano appartenuto ai congiurati.

È notissimo che le armi costituiscono un contrabbando di guerra, e possono, in tempo di ostilità, essere sequestrate da una delle parti in tali ostilità impegnata. Neppur di questo pertanto ha di che dolersi il Governo del Re.

Ma dopo la seguita visita, l'operato sequestro delle armi e l'interrogatorio folto subire al capitano, non rimaneva altro che fare al Governo di Napoli, poiché ogni pericolo per esso che dal Cagliari gli potesse sorgere era svanito.

Invece il retroammiraglio dispose che si procedesse immediatamente in forma di preda, che il piroscafo sardo fosse preso a rimorchio dalla regia fregata l’ Ettore Fieramosca, si trattenesse a bordo del Tancredi il capitano Sitzia; e poscia il bastimento fu ritenuto in Napoli, il capitano e l'equipaggio furono involti nei processo criminale aperto davanti alla Gran Corte speciale di Salerno. Si proferì contro questi sentenza che li mise in accusa; contro quello un giudicato di prima istanza della Commissione delle prede e naufragi pronunciò dichiarazione di buona preda.

Concedasi anche, se si vuole, che per quella reciproca fiducia che i varii Governi debbono usarsi nei casi gravi ed imprevisti, a solidario vantaggio della pubblica sicurezza, ed in vista che il capitano Sitzia egli stesso aveva dichiarato di volersi portare a Napoli per fare ivi le sue dichiarazioni, si potesse ammettere che il Governo di Napoli traducesse rimorchiato da una sua fregata il Cagliari sino al porto di Napoli, e si procurasse, coll’intervento del regio inviato sardo cela, quegli schiarimenti ulteriori che avrebbe potuto ottenere dal Sitzia e dall’equipaggio onde regolarsi pe’ mezzi di comprimere l’insurrezione; ma, esaurito tale incombente, non poteva il Governo napolitano ritenere né il bastimento, né il comandante, né l’equipaggio del medesimo.

Se credeva che questi avessero da rendere ragione di qualche fatto per essi commesso a danno d’esso Governo, doveva per ciò dirigersi al Governo di S. M. che gli avrebbe procurato compimento di giustizia. Ma cotesta giustizia, ore si provasse doversi conseguire, non poteva essa farsi di proprie mani senza offendere i rapporti di diritto pubblico internazionale tra le due potenze.

Gratuita poi, ripetiamolo, è assolutamente l’imputazione al capitano ed all’equipaggio, che lasciando le coste di Sapri si dirigessero a Ponza per caricarvi altri liberati ed altri mezzi di guerra.

Il punto di mare in cui venne fermato era, come già si disse, tanto sulla rotta di Napoli che su quella di Ponza. Lo Stato in cui si trovò il legno depone abbastanza che esso, liberato dai traditori che ne avevano usurpato il comando, nulla più riteneva di offensivo. Le poche armi rinvenute a bordo di qualità così diversa, giunte anche le due baionette e le più centinaia di capsule da fucili e da pistola che si dicono trovate nascoste nella camera del secondo, e le sette palle inglesi rinvenute nella camera del primo macchinista Watt (X), non compongono di certo un armamento, e si dimostrano, come sono, i tristi avanzi della violenza patita dal capitano e dall’equipaggio. Quindi, mancanza assoluta di prova, deficienza persino d’indizi, e conseguente dovere morale di rilasciare il capitano e l’equipaggio del Cagliari.

La dimostrazione della proposta soluzione del primo quesito si farà più compiuta sviluppandosi il secondo, in cui si cerca se la cattura del Cagliari, nel momento e nelle circostanze in cui fu fatta, possa dar luogo a legittima preda.

L’istanza fatta davanti alla Commissione delle prede e naufragi in Napoli nell’interesse della Intendenza generale della regia marina (che è il solo giudizio che attualmente ci occupa) si appoggia sopra due motivi distinti: il primo, essere gli atti ed i fatti commessi dal battello il Cagliari di pirateria; il secondo, essere di guerra mista. Esaminiamoli partitamente.

Gli atti ed i fatti commessi a bordo del Cagliari da Pisacane e suoi seguaci furono di compiuta pirateria, ma a danno dell'equipaggio e dei proprietari del bastimento. Né si può includere nella criminosità di quegli alti e di quei fatti l’anzidetto equipaggio col suo capitano; conseguentemente il Cagliari ha sofferto violenza, ma non si è reso complice della congiura e dei misfatti di Ponza e di Sapri.

Secondo i principii oggidì generalmente vigenti nel diritto pubblico penale marittimo, la qualificazione di pirata si applica ad ogni individuo faciente parte dell’equipaggio di una nave marittima qualunque armala e navigante senza essere od essere stata munita pel viaggio di passaporti, ruoli d'equipaggio, commissioni ed altri atti constatanti la legittimità della spedizione; si applica ugualmente la qualificazione suddetta ad ogni comandante d’una nave di mare armala e portatrice di commissioni rilasciale da due o più potenze diverse.

Ugualmente chiamansi pirati il comandante e l’equipaggio di un bastimento che, senza lettere di marca o commissione, fuori dello stato di guerra, faccia atti di pirateria (XI).

In termini più generali, e secondo l’interpretazione che più anticamente si dava a questa parola, pirata è colui che scorre i mari sopra una nave armala in guerra, per derubare indistintamente amici e nemici, senza lettere di marca, od autorità qualunque legittima (XII).

Ora è fuori di contestazione che il Cagliari non era armato in guerra, neanco scorreva il mare all’avventura per predare; non portava commissione di potenza di sorta; le merci che portava non erano di quelle che si ravvisino illecite nel paese d'onde il piroscafo muoveva; il loro imbarco risultava manifestamente da regolare polizza di carico.

Ogni possibilità di costrurre a carico di quel bastimento una accusa di pirateria si riduce a vedere se esso mancasse delle carte necessarie a provare la legittimità della spedizione, cui era diretto uscendo dal porto di Genova.

Davanti alla Commissione delle prede in Napoli si accusa il Cagliari di mancare dei seguenti recapiti, cioè:

1° Atto di proprietà del bastimento;

2° Passaporto, marittimo;

3° Contratti di noleggio tanto pel bastimento, nei rapporti tra il capitano, l'equipaggio ed i proprietari, che pei rapporti tra il capitano ed i diversi caricanti delle molte merci;

4° I verbali di visita;

5° Ventidue passaporti di passaggieri imbarcali;

6° E nove passi e librette di altrettanti individui componenti l’equipaggio.

Si rileva anche a danno dei Cagliari che il ruolo d’equipaggio, benché di fogli 32, vedesi interrotto ed interpolato, nulla stando scritto sul dorso dei fogli 5, 6 e 11, e sul fronte del foglio 17; quindi s’argomenta che quei fogli in bianco erano ad arte rimasti interrotti per supplirne dal capitano i nomi di coloro che, sprovveduti, come sopra vedemmo, di recapiti, fosse stato più convenevole di notarvi dappoi.

Questa supposizione non è avvalorata da prova di sorta per parte dell'avvocato della regia marina di Napoli, ma non è destituito di fondamento il rimprovero che si può tare alle autorità napolitane di non aver proceduto, nel momento in cui s’impossessarono del Cagliari, ad un inventario delle carte e degli oggetti esistenti a bordo di quel vapore in contradittorio del capitano del medesimo.

La necessità dell’intervento del principale interessato in tali verificazioni è per sé chiara; la esigono espressamente le nostre leggi non meno che te napolitane (XIII). Il difetto di tale precauzione vizia la credibilità morale dell’esattezza dell’inventario, e gli toglie l'autorità legale in contradditorio degli interessati.

Che il capitano Sitzia tenesse male le sue carte di bordo era dessa una mancanza che lo esponeva a pene per infrazione ai regolamenti; ma le irregolarità notate non sono tali che lascino incerta o chiariscano riprovevole la condizione del bastimento (XIV).

Che cosa si ricerca ad escludere la qualità di pirata per un bastimento? Che se ue conosca legittima la nazionalità, chiara e provata la sua spedizione, accertala la sua provenienza, che ne sia dimostrato scevro di simulazione il suo carattere commerciale e politico (XV).

Dai recapiti che il Cagliari riteneva era pienamente provata la sua nazionalità, avendo di essa a bordo la relativa patente; schietta era la sua destinazione primitiva, non meno che le qualità del suo carico. Era legno conosciutissimo nel Mediterraneo e di provata sincerità.

Per quanto siasi cercato dal difensore degli interessi detta Intendenza della regia marina in Napoli d'aggravare la condizione del Sitzia, non si è però giunti a capo di formolare contr’esso un'accusa di allo esplicito e materiale che lo faccia ravvisar complice della congiura. Si vogliono per scrutare le sue intenzioni, i suoi affetti, ma nulla di positivo si rinviene che renda plausibili quelle presunzioni. L’illustre giureconsulto napolitano, Nicola Nicolini, nel suo trattato Della complicità ne' reati c'insegna (pag. 13) che non vi è mai complicità senza la congiunzione di volontà fra i rei, non vi è senza cooperazione nel fatto. E di questa cooperazione nel fatto per parte del Silzia non vi è prova, anzi essa viene esclusa dallo stato di violenza prodotta per la congiura scoppiata a bordo del Cagliari.

Il Consiglio non crede per nessun valido argomento di prova dimostrata la complicità del Sitzia e dell’equipaggio; ma, ove pure per una semplice ipotesi, contro cui però protestano i fatti della vertenza attuale, si prevalse che il Sitzia e gli uomini del suo equipaggio avessero fermata intelligenza co’ rivoltosi di trasportarli in sol loro legno, ciò non costituirebbe fatto di pirateria, e sarebbe invece un accordo per fatti delittuosi, una congiura contro la sicurezza interna ed esterna del Governo di Napoli, il quale darebbe luogo a cognizione criminale diversa da quella di reato di pirateria, e si riferirebbe ai fatti previsti dall’articolo 102 della legge penale per la marina mercantile, contemplati nelle Regie Patenti 15 gennaio 1857, e non compresi nei delitti di pirateria, che formano oggetto del capitolo 9 delle stesse Regie Patenti.

Si muterebbe quindi la specie e si verrebbe ad un caso simile a quello del Carlo Alberto nel 1832, sul quale non si mosse mai azione o richiamo di pirateria, ma sibbene d’attentato di turbamento politico.

Passiamo ora al secondo motivo che si addusse a sostegno dell’istanza contro il Cagliari, cioè quello di guerra-mista.

Che il Cagliari sia divenuto istromento di reato, e di reato che si convertì a danno gravissimo de' suoi proprietari, del suo comandante e del suo equipaggio, è cosa pur troppo indubitata; ma che quel bastimento sia divenuto istromento di guerra e che come tale possa essere dichiarato di buona preda, è quello che puossi negare risolutamente.

Abbiamo descritto in quale attitudine si trovasse il Cagliari quando ricevette l’intimazione del Tancredi, come non potesse più ravvisarsi quale nave offensiva, e con che prontezza si isi il capitano Silzia arreso alla intimazione ricevuta, ed abbia dato tutti gli schiarimenti che da lui si potevano per le forze marittime napolitane desiderare

Or qui conviene aggiungere che vero stato di guerra nel senso legale in cui esso si prende, secondo il diritto delle genti, non esisteva neppure quando si fece la spedizione di Ponza e di Sapri, alla quale materialmente e senza consenso dei suoi proprietari, né de' legittimi suoi comandanti, servi il Cagliari.

Senza entrare nella vasta quistione di diritto pubblico, se e quando possa esistere stato di vera guerra tra un Governo legittimo ed una rivolta od insurrezione organizzata, credesi che mai non siasi sostenuta validamente la tesi che una masnada od un partito di rivoltosi che si muove ad assalire le possessioni ed i sudditi di un Governo regolare, legittimo ed organizzato, costituisca per questo solo fatto uno stato legale di guerra.

Quand'anche si voglia abbondare nelle teoriche sulle quali sj posa il relativo ragionamento presentato alla Commissione delle prede in Napoli, ed ammettasi che tra un Governo legittimo ed un Governo rivoluzionario da esso staccatosi può esistere legalmente la guerra, non si verrà mai per altro ad estendere di tanto quelle teoriche da ravvisare come potenza guerreggiante una mano di congiurali, una banda di predatori.

In una discussione solenne fattasi in Napoli dal Consiglio delle prede marittime e dei naufragi, nella famosa causa del piroscafo il Vesuvio, appartenente ad una compagnia di navigazione napolitana stato predato dagl’insorti Siciliani e ripredato dalla regia marina napolitana, osservava quel Consiglio che «i principii razionali del diritto alla preda hanno la loro applicazione tanto nella guerra pubblica colle nazioni straniere (belluin publicum), quanto nelle guerre che la scuola del XVI secolo appellò miste (belluin miXtum), nelle quali il potere legittimo, onde conservate intera la personalità politica dello Stato, è costretto ad abbandonarsi alla suprema necessità delle armi contro una parie del regno, la quale spezzando colla forza bruta i ligami della società, fiaccata e distrutto l’impero delle autorità costituite, si predica indipendente in eXItium reipublicae, e la quale, ricusando la sua suggezione ad un superiore comune, fa di abbattere coll’unità del reame la floridezza di arabo le branche di una grande famiglia politica (XVI)

Ma questa descrizione di uno Stato rivoluzionario consumato e ridotto ad apparente grado di potenza, nelle quali proporzioni mostravasi l'insurrezione siciliana nel 1848, ba qual. che cosa di comune colla disperata spedizione di Ponza e di Sapri, che meglio scorreria di briganti potevasi chiamare che non impresa di Governo rivoluzionario? Né il fatto di Ponza cambierebbe per nulla la qualificazione di scorreria, poiché, partiti i congiurati ed i rilegati fatti liberi da quell'isola, vi rientrarono le autorità legittime.

Qui non è il caso di dire col precitato avviso del Consiglio delle prede di Napoli che quando i ribelli hanno soggiogato «un popolo e scavalcalo il potere legittimo è mestieri che «l'aggredita maestà del Governo agisca coll'impero della forza onde rialzare e riporre in seggio la forza dell'impero.

Qui nessun popolo fu soggiogato, nessuna effettiva mutazione seguì nella maestà del Governo. Erano facinorosi che si muovevano a disperata impresa, ma scarsi di numero e di mezzi, in modo da non poter dare seria e durevole inquietudine al Governò. Incentrarono essi la sorte dei facinorosi e de' briganti, e furono sottoposti all'azione delta giustizia. Furono reali di ribellione e di ladroneccio quelli che si commisero, non fu un campo di assalti e di difese che siasi ordinalo neppure con un'ombra di apparato di guerra.

Se dunque, come ne pare incontrastabile, furono reati comuni quelli in cui il Cagliari si adoperò dai delinquenti. come istromento di reato, sottentrano qui i principii del diritto penale ordinario, secondo i quali la confisca, anche dei corpi di delitto, non si opera a danno de' legittimi proprietari di quegli stromenti di reato, quando, questi non ebbero parte veruna nel reato medesimo. Epperò né i proprietari del legno, né il capitano del medesimo vanno per esso, nella nostra specie, soggetti a confisca.

Se si ricorre al testo della legge napolitana in materia di prede, più chiaramente si dimostrerà che il caso attuale non vi è compreso.

Saranno legittimamente predati, prescrive il decreto 12 ottobre 1807, all’articolo 1, tutti i bastimenti appartenenti ai nemici del regno, o comandati da pirati, o da persone che corrono il mare senza speciale commissione di alcuna potenza.

Nel nostro caso il piroscafo non apparteneva certamente ai nemici del regno di Napoli, ché tali non si chiarirono mai, né potrebbero senza una strana interversione d'idee presumersi i signori Rubattino e compagnia. La parola appartenenti indica evidentemente in questo luogo la relazione di proprietà o di legale possesso.

Grandissima è l’estensione che si può dare al significalo di questa parola (( (XVII), ma non mai potrà portarsi fino al segno di comprendervi anche il titolo di occupazione violenta. Eppure per farlo dichiarare di buona preda bisognerebbe che il Cagliari avesse appartenuto di legittimo titolo ai rivoltosi, e fosse stato in loro potere al momento in cui fu arrestato.

Il Cagliari non era comandato da pirati, poiché è dimostrata la sua qualità eminentemente commerciale e legale, né per nulla è provato che il suo capitano sia divenuto pirata. Esso per propria destinazione non scorreva il mare per esercitarvi la pirateria, ma era anzi battello conosciutissimo, incaricato di regolari trasporti per il Mediterraneo, e godeva di speciale fiducia dallo stesso Governo di S. M., che gli affidava il trasporto delle corrispondenze postali.

Sotto nessun aspetto nella sua condizione normale poteva esso però giudicarsi sospetto o malefico. L’interpretazione che' si vorrebbe dare al vocabolo suddetto ed alle altre qualificazioni aggiunte non è fondato né in fatto, né in diritto, e sarebbe it caso di dire con Bacone da Verulamio: durata est torquere ieges ut torqueantur homines.

Resta ancora che si esamini il valore di un dilemma, sul quale sembra elio il difensore dcll'Intendcnza generale della regia marina di Napoli faccia grande assegnamento (XVIII):

«O sono stati consenzienti, egli dice, il capitano Situa e l’equipaggio, od hanno patito la forza maggioro. Nel primo «caso il capitano e l’equipaggio sono nemici del regno; nel secondo caso il possesso di fatto del legno è stato preso dai ribelli; ed anche di questo legno ne sarà legittima la preda, salvo al Rubattino, o a chi per lui, il regresso per la indennità contro di costoro.»

Puossi rispondere senza esitazione a questo argomento: nella prima parte non sussistere in fatto le accuse personali di complicità sul capitano e sull’equipaggio ed essersi verificato il caso di forza maggiore; non sussistere in diritto la qualificazione di nemici del regno.

Nella seconda parte pure la risposta è ovvia: la violenta occupazione temporanea del legno fallasi dai rivoltosi non fece quello passare né nel dominio, né nel possesso dei medesimi.

Sarebbe un nuovo ed erroneo principio in morale ed in giurisprudenza Che l'occupazione violenta di un oggetto a pregiudizio di legittimi possessori e proprietari radicasse un diritto di proprietà negli aggressori.

Il Cagliari fu ritenuto di fatto per qualche spazio di tempo da ribelli e traditori, ma non cessò per ciò di essere legalmente posseduto da quelli che i proprietari avevano preposti a governarlo e dirigerlo; e quando ne seguì l'arresto, era Sgombro affatto di rivoltosi e ritornato in piena e libera disposizione del capitano ordinario. Conseguentemente nessuna istanza iniziala per titolo di violenza può legittimamente proporsi onde predarlo.

Per le cose fin qui esposte e ragionale non si crede giustificata la dichiarazione di buona preda in odio del Cagliari, pronunziala dalle autorità napolitane.

Se rimane esclusa, come da noi si crede, ogni complicità del capitano Sitzia nella congiura scoppiata a bordo del suo bastimento; se non puossi accagionare il medesimo di colpa grave per difetto di resistenza agli aggressori, si verifica il caso di forza maggiore che esonera da ogni risponsabilità il capitano e f equipaggio, e salva ogni ragione di ricuperazione del bastimento stesso in favore dei proprietarii.

Ma il terzo quesito proposto dal Ministero al Consiglio va più in là. In esso si ricerca se « in diritto, e fatta astrazione del caso presente, la complicità dei capitano in un attentato simile a quello di Ponza e di Sapri può ridondare danno del proprietario del legno allorché questi è innocente.»

La questione di diritto civile e commerciale che vien mossa in questi termini può dar luogo a dubbi non lievi.

Perii mandato pienissimo che viene conferito dal proprietario od armatore di un bastimento al capitano che lo comanda, si intende generalmente incontrala dal mandante la risponsabilità del mandatario per i fatti delittuosi che si possano imputare a quest’ultimo, tale essendo la qualità dell’incumbenza e dell’autorità che s’affida al capitano in vista delle vario ed imprevedibili contingenze in cui quegli si potrà trovare. La fiducia impegna tanto maggiormente, quanto sono più imprevedibili e pericolosi gli atti che da essa procedono.

Tout propriétaire de navire, dice l’articolo 216 dei Codice di commercio di Francia, con cui concordano in genere gli altri Codici vigenti ed è identico l’articolo 231 del nostro, est civilement responsable des faits du capitaine et tenu des engagements contractes par ce dernier, pour ce qui est relatif au navire et à l’eXpédition.

L’obbligazione civile è quella che scende dal principia enunciato nell’articolo 1802 del nostro Codice civile, cioè che ciascuno è tenuto non solo per il danno che cagiona col proprio fatto, ma ancora per quello che viene arrecato col fatto delle persone delle quali debb'essere garante, ecc.

L’estensione di questa garanzia è più a meno larga, secondo che più o meno grande era in chi Passarne la libertà di scelta delle persone per cui debbe rispondere. Quando pienissima è la libertà della scelta, incerto l’esito finale della medesima, cresce la risponsabilità dei committente per i fatti del suo com messo. Tuttavia sembra che le previsioni avendo certi limiti ia presunzione d’implicito responsabilità debba anche averei suoi confini. E quando si dice che il proprietario del basti mento è tenuto per i fatti e per le obbligazioni contratte dal capitano in ciò che concerne il bastimento e la spedizione, pare che la risponsabilità civile non ecceda ciò che il proprie torio poteva col più largo giro di probabilità prevedere di contingibile nel corso ordinario della spedizione; pare che un lutto delittuoso, estraneo ad ogni interesse per la spedizione, di cui il capitano solo sia imputabile, non possa per una solidarietà iniziale, illimitata, attribuirsi nelle sue conseguenze a chi ha scelto il capitano stesso, e Io ha preposto alla spedizione.

Nel diritto romano, che giustamente si qualifica di ragione scritta, dopo essersi nel § 5 della L. 1, big. De eXercitoria actione stabilito in principio che: omnia facta magistri debet praestare qui eum proposuit, si viene nella stessa legge al 20 a limitare alquanto tale generica risponsabilità. Di più nella legge i 1, Dig. De publicanis et vectigalibus et commissis, in una specie che ha molta analogia colla nostra, si viene a disgiungere la risponsabilità del proprietario da quella del comandante, e si tiene illeso da danno il primo che fu immune di colpa; trattasi ivi di contrabbando e di carico illecito, e si dichiara: Si, absente domino, id a magistro vel gubernatore aut proreta, naulave aliquo factum sit, ipsi quidem capite puniuntur, commissis mercibus; navis autem domino restituitur.

Nella moderna giurisprudenza noi vediamo essersi per lungo tempo professata una dottrina di assoluta solidarietà tra l'armatore ed il capitano, per cui ogni colpa od errore di questo ricadeva sul suo committente, e poi essersi disceso a più temperate interpretazioni. Ed i più recenti commentatori in materia di prede marittime hanno adottato sentimenti conformi a siffatte ragionevoli limitazioni. E stando ai principii generali in materia di risponsabilità civile, non si potrebbe spingerne l’interpretazioue ai casi assolutamente imprevisti, quale è quello d'una congiura scoppiata a bordo; diciamo anche casi posti fuori d'ogni correlazione colle spedizioni commesse e contro ogni presunzione di ragionevole previsione per parte dei committenti.

Nel Traite des prises maritimes de' signori A. De Pistove e C. Duverdy (XIX), troviamo scritto: Si (Ics armateurs) ils ont choisi un capitaine habile qui après son départ, malgré les instructions qui lui ont été données, se sert du navire pour eXercer la piraterie, leur responsabilité cesse.

Non sarebbe per conseguenza temerario proposito il sostenere che nelle circostanze in cui si trovò impegnato il Cagliari, data anche e non concessa la complicità del capitano e dell'equipaggio nella congiura che lo fece deviare dalla rotta intrapresa e lo spinse ad essere istromento di reato sulle coste di Ponza e di Sapri, cotesto fatto non implicherebbe la risponsabilità della società Rubattino, rimpetto alla quale il medesimo fatto, vestendo carattere di forza maggiore e di sinistro imprevedibile, non potrebbe produrre pregiudizio in definitiva.

Finalmente è d'uopo il porre in avvertenza, tanto per ciò che ragguarda questo terzo quesito, quanto i due che lo precedono, essere invalso oramai in consuetudine nel diritto delle genti che, tranne il caso di vera e regolare guerra marittima e per atti eseguiti o dalle marinerie militari, o da corsari provveduti regolarmente di lettere di marca, non si predano i bastimenti anche nel caso che i capitani e gli equipaggi siano caduti in contravvenzione ai rapporti di perfetta amicizia esistenti tra le varie potenze.

Passando ora al quarto ed ultimo dei quesiti proposti dal Ministero in questi termini: « Il Governo del Re dovrà introdurre nuovi uffici diplomatici in questa vertenza? e, nel caso affermativo, in quali limiti?» il Consiglio premette avere visto con particolare soddisfazione che sin dall’esordio di questa malaugurata vertenza il Governo di S. M. non omise di far praticare dal regio incaricato d’affari in Napoli quegli atti di officioso interessamento che più si convenivano in pro del capitano e dell’equipaggio del Cagliari, e riconosce essersi renduto giustizia alle legittime esigenze del Governo per riavere le corrispondenze postali ed i tabacchi imbarcati a bordo di quel piroscafo.

Non può però da un altro lato il Consiglio vedere senza rammarico che non siasi dato seguito alla raccomandazione contenuta nell’ufficio diretto dal signor conte Di Gropello all’incaricato degli affari esteri della Corte di Napoli, il 12 dell’ultimo scorso novembre, malgrado le speranze che aveva lasciato concepire la nota responsiva del signor commendatore Carafa del 19 dello stesso mese.

Non essendosi dalla Commissione delle prede e de' naufragi voluto differire la spedizione della causa del Cagliari, fu tronca ed impedita la difesa per la società Rubattino, epperò del capitano e dell’equipaggio del Cagliari; non si potè da questi avere il necessario colloquio coi loro avvocati; non si ebbe mezzo di prevalersi di quegli elementi di discolpa che i fatti dedotti nel processo criminale della Gran Corte speciale di Salerno avrebbero per avventura potuto somministrare.

Ora poi che il giudicio di preda pende ancora in grado di appello davanti al Consiglio delle prede e naufragii, gioverà l’insistere onde ottenere piena e compiuta ampiezza di difesa amminicolata da tutti quei risultati che i fatti e le indagini ulteriori vi possono aggiungere.

Sarebbe stato utile, come si è detto, che, appena saputisi nel nostro Stato il caso del Cagliari e gli atti di ribellione a bordo di esso seguiti per parte dei congiurati, capitanati da Pisacane e da Nicotera, si fosse immediatamente istituito giudicio in Genova davanti al magistrato supremo dell’ammiragliato, cui spetta la cognizione di tutti i delitti di pirateria, di baratteria e simili, a termini delle regie patenti 13 gennaio 1827.

Così facendo, si avrebbe da noi avuto il doppio vantaggio di radicare in fatto la legittima giurisdizione del nostro Stato sugli atti delittuosi perpetratila bordo del Cagliari co’ loro annessi e dipendenti, e di procurarci a tempo schiarimenti e prove onde difendere i nostri nazionali nei procedimenti, che contro di loro s’instituissero dalle autorità napolitane.

Ed allora sarebbonsi, ove d’uopo, proposte le eccezioni di incompetenza dei tribunali napolitani che possono dedursi dalla illegittimità della ditenzione del Cagliari, eccezioni che del resto potranno ancora far oggetto delle pratiche officiali che il Governo continuerà a fare in assistenza degl’implicati nel giudicio di preda.

Crede tuttavia la maggioranza del Consiglio, cioè sei dei suoi componenti, che tale giudizio possa fruttuosamente istituirsi anche oggidì e che convenga che dal regio Governo si diano a tal fine gli ordini opportuni.

S'appoggia la maggioranza, oltre alle considerazioni generali già spiegate sul principio di questo parere, a tre ragioni speciali: primieramente alla convenienza di fare un atto esplicito di cognizione giuridica che tuteli gli interessi dei nostri connazionali e valga a suo tempo a produrre un giudicato, che, a fronte delle sentenze che saranno per emanare a Napoli, riconosca e determini una schietta verità dei falli. In secondo luogo per antivenire ogni interpretazione inesatta che i potesse da altri inferire di una inazione delle competenti autorità giudiziarie nel procedere in questa occorrenza a repressione de' reali commessi. In terzo luogo per procacciarsi i lumi necessari onde opportunamente indagare l’estensione ed i mezzi della congiura ed impedire che se ne ordiscano, così a danno di questo Stato, come a quello degli Stati amici

Uno dei consiglieri, sebbene concorra nell’idea che sarebbe stato sommamente utile di muovere siffatte istanze in tempo prossimo alla notizia della violenta usurpazione del Cagliari ed alla successiva cattura fattasene dalla regia marina di Napoli, teme che al tempo a cui siamo giunti, colla materia già pur troppo assai vulnerata, l’istituzione di quel giudicio possa sembrare provvedimento lardo, intempestivo e non senza pericolo di rendere più ardua, anziché più facile, l'ulteriore trattazione dell’affare in relazione al Governo di Napoli.

Fin qui delle pratiche officiose da mantenersi tra il regio Governo e quello di Napoli, a tutela degli interessi dei regii sudditi compromessi nella vertenza attuale e dei nuovi atti giudiziari da promuoversi dal Governo del Re nell’interno.

Il modo col quale crede il Consiglio che s’abbia a rispondere sul primo quesito indica già abbastanza che sulla questione della legittimità della prolungata ditenzione del Cagliari, del suo capitano e del suo equipaggio, occorrerebbe che il Governo del Re facesse offìcialmente qualche rimostranza e provocasse qualche spiegazione del regio Governo di Napoli. Il tenore di questi atti diplomatici si accorderebbe coll’importanza della questione e colla delicatezza richiesta riguardo ai rapporti politici e commerciali tra i due paesi.

Se poi le risposte del Governo di Napoli non fossero tali quali si debbono legalmente aspettare dal Governo di S. M., sarebbe opportuna, a parer del Consiglio, che, previo un profondo appuramelo dei fatti, e co’ mezzi appositi che sono d’uso in simili occorrenze, si facesse conoscere alle potenze amiche il vero stato della vertenza, che ha già eccitato e continua ad eccitare viva sensazione in Europa, e la giustizia di quanto il Governo del Re è in diritto d'aspettarsi dal Governo di Napoli in proposito della medesima.

Pensa il Consiglio che non poca fiducia s'abbia da riporre in questo ultimo atto, poiché è certo che le questioni di diritto internazionale marittimo del genere di quella che ci occupa meritano una seria attenzione da parte di tutti quegli Stati che sonosi trovati o possono trovarsi in parità di circostanze, ed è evidente che le dichiarazioni emesse nel Congresso di Parigi nel 1835 sopra gli analoghi principii di diritto internazionale marittimo non possono a meno d’esercitare qualche influenza sul sistema generale di relativa giurisprudenza.

Per tutte le sovraesposte considerazioni

Il Consiglio avvisa

Sul primo quesito, alla maggioranza di sei voti contro uno: che se si può ravvisare fondamento di ragione nel regio Governo di Napoli di fermare il piroscafo sardo il Cagliari, nelle acque in cui il medesimo fu arrestato, di visitarlo e di ricevere dal capitano, dall’equipaggio e dai passeggieri a bordo di quel legno le occorrenti informazioni, non dee però tenersi per giustificata, secondo i principii del diritto delle genti, la successiva detenzione per parte di detto regio Governo del suddetto legno, del capitano, dell equipaggio e de' passeggieri che erano a bordo del medesimo;

Su secondo quesito, all'unanimità: che la cattura del Cagliari, nei momento e nelle circostanze in cui fu fatta, non può. attese le stesse risultanze delle informazioni emergenti dai documenti pubblicali per parte del regio Governo di Na. poli, e secondo le regole del diritto internazionale marittimo, dar luogo a dichiarazione di buona preda;

Sul terzo quesito, all'unanimità: che, data, e non concessa, la complicità e la colpabilità del capitano nell’attentato seguito. il proprietario del legno, innocente d’ogni disegno ed atto costituente connivenza nel reato, può trovare appoggio di legali argomenti onde non incorrere, per i misfatti o le colpe del capitano, del genere che dal fisco napoletano gli si vorrebbero apporre, nella risponsabilità civile, quale committente, per i fatti del suo commesso;

Sul quarto quesito, alla maggioranza di sei voti contro uno sui singoli capi: che il Governo del Re abbia a continuare la sua intervenzione officiosa nell’assistenza dei regii sudditi compromessi nell’affare del Cagliari;

Che sia il caso che il sullodato Governo di S. M. faccia pervenire ai regio Governo di Napoli convenienti rimostranze, in via officiale, sulla continuata ditenzione del legno, del capitano e dell’equipaggio del Cagliari e de' passeggieri presi a bordo del medesimo;

Che, ove le spiegazioni, che il regio Governo di Napoli sarà per dare, non riescano sufficienti nel senso in cui il Governo del Re si crede in diritto di aspettarle, sia opportuno che il Governo di S. M. faccia conoscere con appositi uffici, in quel modo che crederà più adatto, alle potenze amiche lo stato della quistione ed i fondamenti sovra i quali posano le anzidette rimostranze;

Che sia necessario l’istituire davanti al supremo magistrato dell’ammiragliato in Genova formale processo di pirateria commessa a bordo del piroscafo il Cagliari nella sera del 38 giugno 1857 nelle acque di Genova, e continuata nei giorni 36, 37 e 38 detto mese a danno dei proprietari, capitano, equipaggio di detto piroscafo, non meno che dei passeggieri che si trovavano imbarcati, ed a sfregio della bandiera dello Stato che copriva il summentovato piroscafo.

Fatto e deliberato in Consiglio il 7 gennaio 1858.

Il Presidente

SCLOPIS

Il Consigliere Segretario

Carutti.

vai su

19
Nota di Sir James Hudson, Inviato Straordinario e Ministro plenipotenziario di S. I. Britannica a Torino, a S. E. il conte di Cavour.

Turin, January 8, 1858.

Sir,

Her Majesty's Government having had under their consideration the proceedings taken by the neapolitan Government in the case of the Cagliari steamer, with reference lo the detention of two British subjects found on board that vessel. I have been uninstructed to acquaint Your EXcellency that Her Majesty's Government are disposed to object to those proceedings on the ground that the neapolitan vessel of war had no right to pursue the Cagliari and toher beyond neapolitan territorial jurisdiction.

In the opinion of Her Majesty's Government a ship of var of one country bas no jurisdiction over a merchant vessel of another country on the high sea; she is entitled lo demand the production óf papers to prove nationality, but if that character is established, the ship of war has no right to interfere, unless the merchantman should be caught in the actual Commission of an act of Piracy.

But no such act was committed at the lime by the Cagliari, she was peacefully pursuing her voyage, and for anything the neapolitan ships knew, was returning to Genoa.

It is true that the captain and crew are stated to have been on their way to Naples with the view of voluntarily surrendering themselves and their vessel to the neapolitan authorities; but it appears to Her Majesty's Government that it would be a mockery and an abuse of terms to say that those men voluntarily surrendered themselves to the two neapolitan frigates which had fired to bring the Cagliari to, and which were prepared of course to sink her if she did not surrender.

I trust, therefore, that Your EXcellency will have the goodness to state to me for the information of my Government whether the sardinian Government is of opinion that the Cagliari was voluntarily surrendered by the Master, or whether it will be contended that she was seized by the neapolitan frigates beyond the limits of the territorial jurisdiction of Naples.

I avail myself of Ibis occasion to renew to Your EXcellency, the assurance of my high consideration.

Firmato: James Hudson.

20
TRADUZIONE DELLA NOTA PRECEDENTE

Torino, 5. gennaio 1858.

SIGNORE

Il Governo di S. M. avendo preso ad esame il modo di procedere tenuto dal Governo napoletano nell'affare del vapore il Cagliari, relativamente alla detenzione dei due sudditi britannici che si trovavano a bordo di quella nave, mi venne ordinato d'informare l'eccellenza vostra che il Governo di S. M. è disposto a fare richiami contro tale procedere, per la ragione elle i, bastimenti da guerra napoletani non avevano diritto di dare la caccia al Cagliari, né di catturarlo fuori della giurisdizione territoriale del regno di Napoli.

Giusta l'opinione del Governo della M. S. una nave da guerra di un dato paese non ha giurisdizione veruna su d'una nave mercantile d’un altro paese in allo mare: essa ha U diritto di chiedere la produzione delle carte a prova della nazionalità; ma una volta questo carattere stabilito, il bastimento da guerra non ha più verun diritto d'ingerenza, a meno, che la nave mercantile fosse colla nell'atto di commettere io quel momento stesso un fatto di pirateria.

Ma tale non era allora il caso del Cagliari: esso proseguiva pacificamente il suo viaggio, e, per quanto potevano saperne i bastimenti napoletani, stava ritornandosene a Genova.

Si affermo invero che il capitano e l'equipaggio navigavano per alla volta di Napoli coll’intenzione di consegnarsi volontariamente essi e la loro nave alle autorità napolitane; ma sembra al Governo di S. M. che sarebbe una derisione ed un abuso di termini il dire che quegli individui si sono volontariamente arresi a due fregate napoletane che avevano fatto fuoco per fermare il Cagliari, e che senza dubbio erano disposte a mandarlo a picco se non si fosse arreso.

Io confido pertanto che l’eccellenza vostra avrà la bontà di dichiararmi, per informazione del mio Governo, se il Governo sardo è di parere che il Cagliari sia stato volontariamente reso dal comandante, ovvero se sosterrà ch'esso fu catturato dalle fregate napoletane fuori dei limiti della giurisdizione territoriale di Napoli.

Valgomi di quest’occasione per rinnovare all'Eccellenza Vostra l’assicuranza dell’alta mia considerazione.

Firmato: James Hudson.

21
Nota di S. E. il conte di Cavour a sir James Hudson,
Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario di S. M. Britannica.

Turin, le Sjanvier 1858.

Monsieur le Ministre,

Le Gouvernement du Roi est très reconnaissant au Gouvernement de S. M. britannique pour l’obligeance qu'il a eue de lui faire connaître, par votre intermédiaire, l’opinion qu'il s’est formée relativement à la capturé du navire sarde le Cagliari, et à la détention des marins qui se trouvaient à son bord.

L’avis d’un Cabinet aussi éclairé et aussi compétent en matière de droit maritime ne peut qu’avoir beaucoup de priX à nos veuX et eXercer une grande autorité sur la décision du point dont il s’agit.

Jusqu’à présent, un procès étant en cours, nous avions cru devoir nous abstenir auprès du Gouvernement de Naples de toute démarche avant pour objet le fond mème de la question et la nature de ses procédés.

En réservant nos droits, nous nous étions bornés à recommander au Gouvernement de S. M. sicilienne la modération et l’équité; à faire appel à ses sentiments d’humanité en faveur des prisonniers, dont la plupart étaient, selon nous, complètement étrangers au complot qui les avait mis, à leur insu, dans une si triste position.

Maintenant que le procès est termine, el qu’après avoir prononcé la légitimité de la capturé du Cagliari, le Gouvernement de Naples vient de publier un mémoire accompagné de documents pour justifier sa conduite, il est de notre devoir d’eXaminer sérieusement toutes les circonstances de ces faits et d’arrêter les mesures que peuvent eXIger l’honneur national et les intérêts de notre marine.

La gravité mème de la question et l’étude approfondie à laquelle le Gouvernement du Roi veut la soumettre, ne lui permettent pas encore de déclarer dès aujourd’hui les déterminations qui pourront être le résultat de cet eXamen qui se poursuit activement.

Mais, aussitôt qu’une résolution aura été prise, nous ne manquerons pas de répondre à la confiance que le Gouvernement britannique a bien voulu nous témoigner en portant à sa connaissance les mesures que nous jugerons devoir adopter et les motifs qui nous les aurons conseillées. En tout cas, le Gouvernement britannique peut être assuré que nos déterminations seront fondées sur le bon droit et la justice, et il nous est agréable de penser qu’elles pourront mériter à tous égards son concours et son appui.

En attendant, je m’empresse de vous informer que le Chargé d’Affaires de S. M. à Naples a reçu l’ordre de se mettre en rapports plus intimes avec le consul de S. M. britannique et de le tenir au courant de tout ce qui concerne l’affaire en question.

Veuillez, je vous prie, monsieur le ministre, remercier votre Gouvernement de la bienveillante communication qu’il nous a fait adresser, et agréer vous-même les nouvelles assurances de ma haute considération.

Firmato: C. Cavour.

22
Dispaccio del conte Di Cavour al conte Di Gropello, Incaricato degli affari del Governo di S. M. a Napoli

Torino, 16 gennaio 1888.

Appena ricevuta la notizia dei casi di Ponza e Sapri mi sono recato a premura di testimoniare per mezzo di V. S. al Gabinetto napolitano la profonda indegnazione provala dal Governo del Re all’annunzio del criminoso attentato commesso contro la sicurezza di uno Stato amico.

Gli avvenimenti di cui si tratta sono abbastanza noti perché basti il ricordarli qui sommariamente.

La sera del 28 giugno dello scorso anno salpava da Genova il vapore sardo il Cagliari della compagnia Rubattino per la destinazione sua periodica verso Cagliari di Sardegna e Tunisi.

Dopo poche ore di viaggio, venticinque fra i trentatré passeggieri aggredirono armata mano il capitano, lo deposero dal comando, s’impadronirono del legno, preposero altro individuo a governarlo, e si diressero sopra Ponza. Colà, liberati 400 e più detenuti, mossero con essi verso Sapri, dove, nello scendere a terra, lasciarono libero il capitano Sitzia e il suo bastimento.

Il Sitzia, appena ritornalo padrone delle proprie azioni e cessata la forza maggiore da cui era stato soverchiato, si pose in via per Napoli col divisamento d’informare chi di ragione dell’accaduto.

Nel corso del viaggio due fregate napolitane, il Tancredi e l’Ettore Fieramosca, arrestarono e catturarono il legno e lo condussero a Napoli. Quivi esso fu posto sotto sequestro; l’equipaggio ed i passaggieri vennero arrestati, e si iniziò contro dei medesimi un criminale processo.

Col dispaccio del 4 di luglio n° 41 la S. V. mi ragguagliava che il commendatore Carafa, nel darle verbale informazione della seguita cattura, le significò che il Cagliari era stato arrestato nelle acque di Politicastro; nello stesso dispaccio ella mi soggiungeva che il Direttore della Marina le aveva detto che il legno trovavasi, in quel punto, tuttora nelle acque predette.

Questa circostanza, cioè la cattura del piroscafo nel luogo dello sbarco dei rivoltosi e nelle acque su cui il Governo Napolitano poteva esercitare giurisdizione, mi trattenne da ogni richiamo intorno all’operato dalle fregate napolitane, e mi sono perciò ristretto a far pervenire al Gabinetto di S. M. Siciliana ufficiose sollecitazioni per la pronta restituzione del legno e del carico ai proprietari e per la liberazione dell’equipaggio e dei passeggieri innocenti.

Quando poi il commendatore Carafa, tanto per mezzo di V. S., quanto per mezzo del regio Incaricato d'affari napoletano in Torino, mi fece conoscere che i tribunali stavano ventilando la questione, e che non sarebbero lardati i provvedimenti dalla ragione e dalla giustizia ridiresti, io non mossi ulteriori rappresentanze, riposandomi con fiducia nella lealtà e nelle assicurazioni del Gabinetto Siciliano.

Il divieto di ogni colloquio col capitano Sitzia e cogli altri ditenuti regii sudditi, divieto che fu rigorosamente mantenuto rispetto a V. S. ed al regio Console, non ostante le nostre iterate istanze, precluse al Governo del Re il mezzo più ovvio e sicuro di chiarire tostamente à fatti e vii prendete opra questa grave vertenza le convenienti risoluzioni. Per via indiretta, ma degnarti fede, giugneva intanto a riconoscimento nostro che il Cagliari era stato arrestato in alto mare e dopo che, cessala l’usurpazione dei congiurati, esso era ritornato sotto al comando del legittimo capitano. Siccome in tale ipotesi mutavansi sostanzialmente i termini detta questione, io stava di giorno in giorno aspettando dal Gabinetto napoletano spontanee spiegazioni, quando i documenti comunicarti a V. S. dal commendatore Carafa il 1° dello scorso dicembre vennero a togliere ogni dubbiezza su tal proposito.

Infatti il verbale di cattura del comandante della fregata il Tancredi, e il discorso dell’avvocato della Intendenza della regia Marina alla Commissione delle prede e dei naufragi, provano ufficialmente che il Cagliari fa arrestato a circa 50 miglia da Salerno, ed a 12 miglia dalle piccole bocche di Capri. Consta parimente ohe cessata era la violenta Usurpazione dei ribelli; che anzi nanna di essi trovatasi più sul piroscafo, e che il capitana Sitzia, ripigliatone il possesso e il governo, navigava verso Napoli per informare il console di S. M. e le autorità napolitane detta violenza patita e degli attentali dei ribelli, come egli stesso ha dichiaralo.

In questo stato di cose, ed a fronte di tali risultamenti ie r gai mente constatarti ed ammessi, il Governo di S. M. si trova in dovere di chiedere al Gabinetto napoletano alcune spiegazioni divenute necessarie, e quei provvedimenti che sono conformi alle più accertate regole del diritto internazionale.

Il Cagliari fu arrostato in alto mare, vale a dire in quel mare libero che non è posseduto da alcuno, e sovra cui nessuno ha giurisdizione. L’illegalità della cattura sotto questo aspetto non può mettersi in dubbio; essa non potrebbe trovare fondamento nel diritto pubblico, se non quando fosse provalo che il Cagliari fosse un legno pirata. Ora il Cagliari avea legittimo capitano, patente di nazionalità, carte di bordo e non esercitava atto alcuno di pirateria; esso era partito da Genova con destinazione determinata ed annunziata regolarmente e pubblicamente per Cagliari e Tunisi; i suoi viaggi erano periodici e fissi; esso era anzi vapore inserviente al trasporto delle regie Poste tra il continente e l’isola di Sardegna. Il capitano era in perfetta regola e il legno non poteva venir catturato, in forza della massima universalmente riconosciuta che assoggetta i pirati alle giurisdizioni di tutte le nazioni.

Il Cagliari non era neppure nemico dello Stato, come sembra argomentare l'avvocato della marina napoletana, poiché apparteneva ad uno Stato amico, dalla cui bandiera era coperto.

L’essersi a bordo del medesimo compiuto un atto di rivolta per parte dei passeggeri, l’essere stato alcun tempo in loro podestà, e l’essere, durante questo tempo, divenuto stromento di una colpevole aggressione, non poteva costituirlo i quello stato di guerra che esiste solamente fra Governi riconosciuti o di fatto. La forsennata scorreria di Ponza e di Sapri fu l’opera di pochi cospiratori, moventi a disperata impresa, e sarebbe un abusare del significato giuridica delle parole il paragonare e il confondere quei tentativi, in cui non ben si distingue se maggiore sia la colpa o la demenza, con uno stato legale di guerra pubblica, e il radicarvi quindi il conseguente diritto di preda. Sarebbe questa la prima volta che una masnada di faziosi e di facinorosi vedrebbesi investita delle prerogative di una potenza guerreggiante. L’attentato di Ponza e di Sapri fu reato di ribellione e di ladroneccio; fu un reato comune; e per giudicarne debbonsi applicare le norme del diritto penale ordinario, né si possono invocare i principii del diritto pubblico, perche vi manca il fondamento.

Del resto, nel caso nostro, la stessa azione criminosa più non esisteva; il legno era affatto sgombro dai ribelli; ubbidiva al legittimo suo capitano; la bandiera nazionale doveva assicurargli la protezione, le immunità e i privilegi marittimi. Che se poteva competere alle fregate napolitane il diritto di visitare quello od altri legni, quantunque portanti bandiera amica, era pure loro debito di lasciarlo non appena ne riconobbero la sincera nazionalità e il carattere. Il verbale di cattura, il trattenimento a bordo del Tancredi del capitano Sitzia, il rimorchiamento del piroscafo, la sua traduzione a Napoli, il suo sequestro, l’arresto e la detenzione del capitano, dell'equipaggio e dei passeggeri, sono atti contrari ai rapporti di diritto pubblico internazionale fra potenze amiche; né il Governo di S. M. sarda, né alcun altro Governo riconosceranno mai in un bastimento da guerra il diritto di cattura sopra un legno mercantile in allo mare, eccettoché questo sia colto in atto flagrante di pirateria; il che non esiste nel fatto del Cagliari.

Dai fatti e dai principii fin qui esposti e sviluppati risulta impertanto che il Governo del Re trovasi in obbligo e in diritto di domandare la restituzione del Cagliari e la liberazione delle persone su di esso arrestate, qualunque possano essere le formalità giudiziarie iniziale a loro danno. Illegittima essendo la cattura operala in allo mare di un legno di una potenza amica, invalide rimangono tutte le conseguenze che da quel fatto sono derivate. Il procedimento instituito a Salerno contro gl'imputati in discorso non dovrà quindi continuarsi fuorché in via contumaciale, nel caso che le autorità giudiziarie di Napoli giudicassero conveniente di proseguirlo.

Prego perciò la S. V. Ill( ma) di dare comunicazione di quanto precede al signor commendatore Carafa, esprimendogli ad un tempo la mia piena fiducia, che essendo ora chiarite in modo irrefragabile le circostanze tutte di questo malaugurato accidente, il Governo di S. M. siciliana farà ragione alle giuste domande del Governo di S. M. sarda, e che darà a tal fine gli ordini opportuni pel rilascio del legno e del carico, e per la consegna dei detenuti, la cui presenza nei regii Stati è per un altro canto richiesta per l’occorrente procedi mento innanzi al regio ammiragliato, a termini del regolamento penale della marina.

La S. V. darà lettura e copia di questo dispaccio al signor commendatore Carafa.

Colgo intanto l’opportunità, ecc.

Firmato: Cavour

23
Dispaccio del commend. Carafa al cav. Canofari, Incaricato d’affari del Governo Napoletano in Torino

Napoli, 30 gennaio 1858.

Questo Incaricato d'affari di Sardegna, signor conte Di Gropello, mi ba dato lettura e rilasciato copia, per ordine ricevuto dal suo Governo, di un dispaccio direttogli da S. E. il conte Di Cavour, che verte sulla preda del vapore il Cagliari e sulla processura de' sudditi sardi che ne disbarcarono.

Con la prima parte di tale dispaccio ha inteso l’E. S. esporre le circostanze per le quali venga provata l’innocenza del 'capitano Sitzia e dell’equipaggio del Cagliari nei noti fatti di Ponza e Sapri. Con la seconda poi ha propriamente e direttamente attaccato il diritto alla cattura del piroscafo e degli individui che vi stavano imbarcati, impugnando, per conseguenza, la legittimità dei giudizi istituiti tanto presso la Commissione delle prede, quanto presso la Gran Corte di Salerno per la linea penale.

Ben ponderate le opinioni emesse da S. E. il conte Di Cavour, non possiamo dal canto nostro ammetterle senza categorico esame e vorrà il signor conte medesimo anzitutto convenire che le circostanze di un fatto puramente contenzioso non possono essere chiarite in via diplomatica.

La definizione di esso e la valutazione dei documenti e pruove che lo sviluppano appartengono unicamente ai tribunali competenti, senza che il Governo vi debba o vi possa. prendere alcuna ingerenza. Quindi, pel giudizio penale, spetta alla Gran Corte criminale dichiarare la reità o l'innocenza degli imputati, secondo le testuali disposizioni dell’art. 148, leggi di procedura penale, e di tutte le leggi europee. Pel giudizio della preda spetta del pari al magistrato dichiarare di essa la legittimità o la illegittimità, giusta il reale decreto del 50 agosto 1807, la legge del 12 ottobre stesso anno 1807 e le ordinanze generali della reale marina approvate con regio decreto del 1° ottobre 1818.

In pendenza delle pronunziazioni del magistrato, il Governo non ha dato, né poteva dare giudizio circa la qualità dei fatti; quindi non ha riconosciuto, né impugnato le difese degli imputati. Tale disamina incumbendo ai magistrati, il Governo ha lasciato nella piena libertà ed indipendenza la loro azione.

La quale osservazione cresce di forza in rapporto' specialmente al giudizio della preda, giudizio relativo ad un’azione meramente civile, introdotta dai predatori del legno, a loro particolare istanza. In questo giudizio, che è d’indole tutta privata, il Governo non prende parte alcuna; ed in effetto, in tutti gli atti della causa e nella stessa memoria dell’avvocato Starace, l’intendenza generale di marina non è costituita in nome proprio, ma quale rappresentante di dritto i predatori istanti. Ora è risaputo che ciascuno può adire la giurisdizione istituita dalle leggi organiche per lo sperimento dei dritti che creda competergli; ed e risaputo ancora che, per dritto internazionale in fatto di prede, la giurisdizione è determinata dalle leggi del paese al quale appartengono i predatori.

Se la parte istante nel giudizio civile introduce la sua azione presso il Magistrato, che reputa competente secondo le leggi di rito, nella stessa guisa la parte convenuta può impugnare tale competenza, e gravarsi ancora della sentenza che rabbia ritenuta. E nella specie si è verificato, come era naturale che si verificasse, che gli stessi Rubattino e Sitzia, lungi di attaccare la giurisdizione del tribunale adito, l’hanno con le loro domande in merito riconosciuta. Con ciò hanno fatto omaggio al principio inconcusso di dritto delle genti, riprodotto nei Codici di tutti gli Stati, compreso quello di Sardegna, che gli stranieri, sia per fatti produttori un giudizio di preda, sia per fatti produttori un giudizio penale, sono soggetti alle leggi del paese ove tali fatti sono successi, senza eccezione o distinzione alcuna.

Lasciando adunque le quistioni di fatto alla conoscenza esclusiva dei magistrati competenti, è d’uopo soffermarci a presentare le osservazioni avverso la seconda parte della nota di S. E. il conte Di Cavour.

Esso signor conte (concessa pure la ipotesi delle ostilità commesse dal Cagliari, ipotesi che per altro trova il suo appoggio nelle stesse confessioni giudiziali di Sitzia e Rubattino), contrasta il diritto alla preda, sol perché il battello apparteneva ad una potenza amica, né era il caso dello stato di guerra fra Governi riconosciuti o di fatto. Accade però di osservare che per dritto internazionale ogni ostilità consumata da un battello, sia pure coperto da bandiera di potenza amica, dà dritto alla preda del legno medesimo, in qualunque luogo sia esso perseguito. Non può esser dubbio questo principio, che è ineluttabilmente scolpito in tutti gli scrittori di dritto internazionale antichi e moderni; ora sovratutto che si è convertito a regola del diritto medesimo pel noto fatto del Carlo Alberto che pure era un battello piemontese.

E quanto alle opposizioni fatte avverso la introduzione del procedimento penale, convien riflettere che, mentre rientra nel criterio della Gran Corte dichiarare la imputabilità o non imputabilità del capitano e dell’equipaggio, e, mentre spetta del pari a' giudici vedere se questa dichiarazione influisca, o pur no, nel giudizio di legittimità od illegittimità della preda, non può, per massima, contrastarsi il diritto ad un tale procedimento; perciocché, si ripete, ogni straniero è soggetto alle leggi del paese, in cui gli si imputa di aver delinquito, ancorché dopo la discussione delle prove risulti innocente.

Indipendentemente poi da quanto si è detto pei diritto alla preda, la semplice cattura avvenuta in alto mare non può dirsi contraria al diritto delle genti. Per fermo, atteso le delinquenze commesse nel territorio del regno dagli individui che si trovavano imbarcati a bordo del Cagliari, potevano le autorità del real Governo spingersi in alto mare per farne la cattura; allo mare per altro che, anche nel caso attuale, è sotto le vedute delle nostre coste. Poiché non può dubitarsi dei principio che, avvenuto Patto (ji ostilità e di pirateria, la parte offesa da tale atto abbia il diritto di perseguitare il nemico od il pirata, dovunque lo trovi: vim vi repellendo. Nel rincontro la persecuzione del legno ebbe luogo appunto per reati compiuti nel territorio dello Stato; fu dunque legittima, e poteva proseguirsi anche fuori il perimetro del mare prossimo e territoriale, ossia sul pieno maro; il quale, essendo di proprietà nullius e di uso comune a tutte le nazioni, non impediva di certo ai funzionari del Governo di continuare la loro azione. Allora doveva la persecuzione arrestarsi quando il battello fosse giunto fra il tiro di cannone da un continente straniero; in questo caso il mare cessava di esser libero e diventava proprietà dello Stato confinante, sul cui territorio niun altro poteva esercitare giurisdizione. Ma nel caso del Cagliari, che la persecuzione è cominciata sulle coste continentali del regno, e si è trasportala quindi fino in alto mare, non può contrastarsi la legittimità della cattura. Vi si aggiunge che vi era anche molto a sospettare che, eseguito dal Cagliari il primo sbarco a Sapri, si avesse il proponimento di ritornare a dirigersi sulla stessa isola di Ponza o sulla prossima di Ventotene, ove eranvi altri individui che avrebbero potuto eseguire il movimento dei primi imbarcati. È poi notevole che il Cagliari stesso si rimase alquanto nelle acque di Sapri, fino a che i rivoltosi sbarcati fossero entrati in città, e poi prese la rotta per la stessa direzione per la quale era venuto, senza prendere quella di accostarsi a Napoli o ad altro punto del regno, per avvertire dello accaduto, come sarebbe stato di suo dovere, e qualora fosse stato vero che il vapore non agiva spontaneamente, ma forzato dai rivoltosi che erano a bordo.

Siffatte idee sono state implicitamente riconosciute dallo stesso signor conte Di Cavour, essendosi nel suo dispaccio espresso che possano i tribunali del regno procedere a giudizio contumaciale. Ma se si ha giurisdizione a procedere in contumacia, la si debbe avere del pari a giudicare in contraddizione. Se non che, stando gli imputati presenti in carcere, il giudizio contumaciale sarebbe un'antitesi colle regole della procedura penale.

Per la qual cosa in questo affare, come l'Inghilterra stessa ha dichiarato, non si può avere diritto di richiedere che un giudizio sollecito, regolare, pubblico. A raggiungere appunto questo scopo sono strenuamente rivolle le cure di S. M.

La pendenza del procedimento innanzi al regio ammiragliato sardo non potrebbe far sospendere l'azione della giustizia innanzi ai tribunali del regno; essendo noto per dritto internazionale che la consegna del suddito del Governo richiedente non si può consentire in pendenza di un giudizio penale presso il magistrato del Governo richiesto.

Quanto poi alla domanda di restituzione del carico, basta dare uno sguardo sulla sentenza renduta già in prima istanza dalla Commissione delle prede, con la quale, tranne il contrabbando da guerra, si è disposta la restituzione del carico ai proprietari cui appartiene.

Da ultimo la querela formolata da S. E. il conte Di Cavour per non aver potuto l’agente diplomatico e consolare sardo conferire, durante un certo intervallo di tempo, co’ suoi connazionali arrestati, trova la risposta negli articoli 166 e 169 delle leggi di procedura penale, uniformi in. ciò a quasi tutte le legislazioni d’Europa, i quali articoli vietano le conferenze coi ditenuti tino allo studio del giudizio di accusa. Ed in effetti appena che furono esaurite tali formule di procedura, il console sardo, contemporaneamente al console inglese, è stato ammesso, sempre che lo ha voluto, a tenere abboccamento cogli arrestati.

Sono queste le considerazioni tutte che il Governo del Re è in grado di fare sul dispaccio di S. E. il signor conte Di Cavour, ed ella e autorizzata, signor cavaliere, a darne lettura e copia all’E. S.

Firmato:

L’incaricato del portafoglio degli affari esteri

CARAFA.

vai su

24
Al signor Conte Di Gropello

Torino, il 18 marzo 1858.

Il commendatore Canofari, incaricato d’affari delle Due Sicilie, mi ha data comunicazione e copia d'un dispaccio del signor commendatore Carafa, Incaricato del portafoglio degli affari esteri a Napoli, portante la data del 30 scorso gennaio, e responsivo a quello che io aveva diretto a V. S. Ill( ma) il 16 del detto mese relativamente alla cattura del vapore nazionale il Cagliari.

Non debbo nasconderle, signor conte, che la lettura di questo documento destò in me non poca sorpresa; perocché gli argomenti in esso contenuti mi sembrano discostarsi manifestamente dai più incontrastabili ed elementari principii della legge internazionale, sulla quale si fondano i ragionamenti e le giuste domande del Governo del Re.

Comincia il Gabinetto napolitano coll'osservare che, trattandosi di un fatto puramente contenzioso, non può stabilirsi una discussione diplomatica per chiarirlo, e che spelta perciò ai tribunali il prenderne conoscimento e portarne giudizio, senza che i Governi vi prendano ingerimento.

Il dispaccio napoletano avrebbe la ragione dai suo canto se il fatto che si vuol chiamar contenzioso appartenesse al diritto privato; ma per contrario questo fatto versa onninamente nel dominio del giure delle genti; ond’è che. se vi fu mai questione che ricerchi l’intervento diplomatico, ella è per fermo la presente.

Qui non si agita un processo fra i sudditi sardi e le fregate napoletane predatrici; la questione verte tra Governo e Governo, poiché si tratta di difendere e sicurare i privilegi marittimi violati a detrimento della bandiera di Sardegna.

Discussione siffatta non è soggetta alla giurisdizione dei tribunali, né gli Stati hanno costume di sottomettere i propri diritti di sovranità alle decisioni delle autorità giudiziarie di un altro Stato 11 giudizio di preda instituito a Napoli e la prigionia dei regii sudditi sono la conseguenza di un fatto illegale, cioè della illegittima cattura contro la quale per l’appunto sono state rivolte le rappresentanze del Governo del Re.

Quando il commendatore Carafa, non rettamente informato, disse che il Cagliari era stato catturato nelle acque territoriali delle Due Sicilie, noi non ci credemmo in diritto di fare alcuna ufficiale rimostranza e ci contentammo ad ufficiose interposizioni; solamente, allorché per le dichiarazioni dei predatori stessi risultò che la cattura era stata compiuta in alto mare, noi abbiamo sporto richiamo contro l’uso indebito della forza e contro l’infrazione della immunità della real bandiera.

Il Gabinetto napolitano avrebbe dovuto provare che le fregate predatrici avevano diritto di operare la cattura; ma in vece nel citato dispaccio si restringe ad affermarlo, e noi di certo non possiamo acquietarci ad una nuda affermazione.

Per vero dire sarebbe riuscito oltremodo disagevole, per non dire impossibile, il sostenere una tesi di tal natura, mentre a confutarla ed a respingerla stanno in concordia Fuso e le leggi delle universe nazioni e l’autorità di tutti i pubblicisti.

Infatti in quali casi può esercitarsi il diritto di catturai In tempo di pace, quando la nave è piratica; in tempo di guerra quando la nave appartiene al nemico.

Ma in qual modo sostenere che il Cagliari era nave piratica! Un vapore conosciuto nel Mediterraneo, incaricato del servizio postale, faciente viaggi periodici e determinali; un vapore portante la bandiera di una potenza amica, avente destinazione fissa e pubblicamente annunciata; un vapore munito delle necessarie patenti comprovanti la sua nazionalità è la legittimità del suo carico, non polca essere considerato nò ritenuto qual legno piratico.

Le circostanze speciali del tempo in cui il Cagliari venne fermato, l’aver questa nave servito temporaneamente, quantunque per effetto di forza maggiore, di stromento ai rivoltosi sbarcati a Ponza e Sapri, davano fino ad un certo segno il diritto ai legni da guerra delle Due Sicilie si accertarsi della sua nazionalità, mediante una visita di ricognizione. Chiarito questo punto, riconosciuta la nazionalità e la legittimità della bandiera, quei legni null’altro potevano intraprendere senza trascorrere nell’abuso della forza.

Qui il commendatore Carafa avverte che gli atti di ostilità consumati dal Cagliari davano arbitrio alla potenza offesa di perseguirlo dovunque per respingere la forza colla forza, vim vi repellendo [Vim vi repellere licet (tratta dal Digesto giustinianeo), in italiano è lecito respingere la violenza con la violenza. - NdR].

Certo le fregate napoletane avevano il diritto di respingere la forza colla forza. Ma quando arrestarono il Cagliari e riconobbero che non solamente era legno di potenza amica, ma che non commetteva alcun atto ostile, percorreva pacificamente, bona fide, e con legittima destinazione la via comune a tutte le nazioni, nessuna legge, nessuna circostanza di tempo o di luogo dava potestà ai comandanti del Tancredi e delimitare Fieramosca di catturarlo, perché, non essendovi guerra fra la Sardegna e le Due Sicilie, il bandiera amica stendeva la sua protezione sopra il bastimento.

Il giure internazionale (giova ripeterlo ancora una volta) non permette la preda se non sopra i legni del nemico in tempo di guerra, e sopra i pirati in tempo di pace.

L’uno e l’altro caso rimanevano esclusi; escluso rimaneva altresì il diritto di legittima difesa e la necessità di respingere la forza colla forza, giacché il Cagliari non era armato in guerra, non aveva mezzo alcuno per offendere, era del tutto inerme, più non accoglieva i ribelli che se ne erano impadroniti colla violenza, non perpetrava alcun atto nimichevole o criminoso, anzi il capitano Sitzia, ritornato al governo del suo legno, navigava verso Napoli per informare il Governo delle patite vicende. Che se credevasi, a ragione o a torto, di avere qualche sospetto o qualche motivo di lagnanza contro il capitano o l'equipaggio, al Governo sardo doveansi proporre i gravami o recarli innanzi ai tribunali sardi, cui solo spettava il conoscerne e il giudicarne. La cattura in allo mare e in piena pace fra le corone di Sardegna e di Sicilia fu una flagrante violazione delle leggi marittime uguali per tutte le nazioni e dalla cui osservanza nessuna nazione ba facoltà di sottrarsi.

Il commendatore Carafa esprime il dubbio che il Cagliari potesse ritornare a Ponza o muovere a Ventotene, dove trovavansi altri carcerati napolitani pronti a seguire il movimento dei primi imbarcati. Non risponderò a questa osservazione, la quale non è avvalorala da alcuna prova ed e contraddetta non solo dai fatti, ma dal semplice buon senso, essendo il Cagliari in quel momento privo di armi, di armati e di carbone; dirò solamente che se per un dubbio od un sospetto, per quanto si voglia destituito di fondamento, fosse lecito predare una nave, il commercio non avrebbe più guarentigia alcuna di sicurezza. Tutte le Potenze marittime protesterebbero all'uopo contro la teorica messa innanzi dal Governo napolitano.

Nulla dirò parimente di quella specie di riserva che il Gabinetto napolitano sembrerebbe voler fare intorno all'estensione della giurisdizione marittima, là dove, confessando che il Cagliari si trovava in alto mare, soggiunge che tuttavia era in vista delle coste del regno. La territorialità marittima non si misura colla visione fisica e non si estende fino a quel punto indefinito, in cui il mare ed il cielo si confondono innanzi all’occhio dell'uomo; il territorio marittimo non si estende più In là di una lega marittima dalle coste, ovvero dalla portata di un colpo di cannone; oltre quello spazio comincia l’alto mare. Su di Ciò non è mestieri insistere, perché non vi può cadere disputamene; it Governo napolitano dei resto ba per pubblici trattati riconosciuta questa regola universale.

Continua il commendatore Carafa dicendo che tutti gli scrittori di diritto internazionale antichi e moderni asseverano che ogni atto di ostilità consumato da un battello, sia pur coperto da bandiera di potenza amica, dà diritto alla preda in qualunque luogo sia esso perquisito, ed aggiunge che questo principio si è convertito in diritto pel noto fatto del battello il Carlo Alberto.

Alla prima affermazione così assoluta e ricisa si dovrebbe contrapporre un’affermazione contraria del pari assoluta e ricisa, senza timore di essere smentiti dai pubblicisti antichi e moderni. Noi crediamo infatti che nessuno scrittore di pubblico diritto abbia professato una tale dottrina, e sosteniamo che tutti professarono l’opposta a tutela della libertà dei mari e dei diritti di sovranità, ed invitiamo il Governo di Napoli ad allegare gli autori suoi che sono a noi ignoti; fra costoro confidiamo di non trovare il nome di quei grandi maestri del giure delle genti, che le nazioni e i secoli hanno appreso a venerare come guida fidala e sicura nelle relazioni fra gli Stati civili.

Sorpresa nuova, e più che sorpresa meraviglia nasce in veder qui rammentato il fatto del Carlo Alberto, ed io m’induco a credere, che ragionandosi di un avvenimento accaduto molti anni or sono, il Gabinetto siciliano ne abbia dimenticale le circostanze essenziali; sono perciò costretto di riferirlo nella genuina sua sincerità.

La duchessa di Berry, sorella di S. M. il re di Napoli, nel 1832 noleggiò a Livorno il legno prementovato, col disegno di penetrare in Francia coi suoi partigiani ed accendervi la guerra civile. Il battello sbarcò i cospiratori sul territorio francese; aveva carte false a bordo, avea contravvenuto formalmente alle leggi di sanità e di polizia, e fu preso nelle acque giurisdizionali della Francia, cioè nella rada della Ciotat.

S’instituì un processo; ma quale fu la decisione pronunciata dalla Corte di cassazione francese! Sentenziò forse che la cattura fosse legittima come preda di guerra o come bastimento di pirata? Nulla di ciò. Quel tribunale onorando, sulla requisitoria di un celebre magistrato, pronunciò, e con tutta ragione, che la polizia francese aveva avuto il diritto di arrestare le persone che si trovavano a bordo di quella nave mercantile in territorio francese ; in altri termini decise che il diritto delle genti non affrancava, nelle acque territoriali, una nave mercantile dalla visita della polizia, né impediva l'arresto dei cospiratori che vi stavano a bordo. Ma la Corte di cassazione non condannò in alcuna maniera il Carlo Alberto come preda, quantunque avesse servito di stromento per tentare di rovesciare il Governo costituito.

Questo breve cenno proverà al commendatore Carafa che l'invocalo caso non giova punto alla sua tesi, ma che invece la distrugge nel modo più stringente.

Riepilogando le cose fin qui discorse, il Governo riconferma le precedenti sue domande per la restituzione del Cagliari e la liberazione degl’individui arrestali sovr’esso, non potendo tener conto degli asseriti giudizi pendenti, perché derivati da illegittima causa. Nulla rileva che il Rubattino o il Sitzia, proprietario il primo, capitano l’altro del legno, abbiano riconosciuto o no la giurisdizione della Commissione delle prede. I diritti propugnati dal Governo sardo sono diritti internazionali fondali sopra ragioni di ordine pubblico e di sovranità che non possono venir per nulla invalidati dalle pratiche fatte da uno o più sudditi, specialmente in circostanze in cui essi non aveano libertà di azione. Inoltre la compagnia Rubattino dedusse nei suoi atti l’eccezione d’incompetenza dei tribunali del regno di Napoli e non vi esiste fatto preciso di adesione sulla questione di merito.

Non giova neppure il dire che lo straniero è soggetto alle leggi del paese dove ha delinquito. La competenza che si radica per ragion di reato, implica la presenza del reo nel territorio dove si è reso colpevole; ma dove il delinquente più non vi si trovi, il Sovrano territoriale può bensì chiedere che l’imputato venga giudicato dai tribunali del proprio paese, ma non ha potestà di arrestarlo nel territorio dello Stato suo d'origine. Ora il Cagliari in alto mare era una frazione del territorio piemontese, e la forza napoletana non avea maggior diritto di arrestare gli individui che vi erano imbarcati di quello che l’avesse se fossero stati colti nel porto di Genova o nelle vie di Torino. La presenza in Salerno dei supposti colpevoli è la conseguenza di una violazione di. territorio, ed un fatto illegittimo non radica alcun diritto nel tribunale che sta ventilando il processo penale. Dal che deriva eziandio, come già si era avvertito nel mio dispaccio del 16 di gennaio, che i tribunali napolitani potevano instituir giudizio in contumacia contro chiunque presumessero aver preso parte agli allentati di Ponza e di Sapri, senza che la forza siciliana potesse trascendere i limiti territoriali per impadronirsi degli imputati.

Non terminerò questo dispaccio, senza rispondere ad una osservazione gettata alla sfuggita dal commendatore Carafa, quasi conchiusione della sua risposta. Egli fa osservare che in quest’affare non si può pretendere altro fuorché un giudizio sollecito e regolare, come l’Inghilterra stessa ha dichiarato.

Non è il caso d’indagare se la Gran Bretagna, così gelosa e vigile tutrice delle persone e delle sostanze dei sudditi inglesi, sarà per introdurre richiami presso la Corte siciliana, riguardo ai due macchinisti illegalmente arrestati a bordo del Cagliari, l’uno dei quali, in seguito alle vicende della sua prigionia, impazzì miseramente. So per altro ottimamente che in questioni simili alla presente, ciascun Stato regola la sua condotta secondo il sentimento del proprio diritto; e so altresì che il Governo britannico nelle ufficiali e scritte comunicazioni fatte al Gabinetto di Sardegna, ha considerata la cattura del Cagliari cogli stessi principii da noi propugnati ed ha manifestata la speranza che il Governo del Re si opporrebbe ad una patente violazione del diritto delle genti.

In questo stato di cose io la incarico, signor conte, di rinnovare al Governo di Napoli la già inoltrata domanda per la restituzione del bastimento insieme coll’intiero carico e per la consegna dell’equipaggio e dei passeggieri sovra di esso arrestati.

Ove il Gabinetto napoletano persistesse nel suo ingiustificabile rifiuto, il Governo del Re avviserà a quei provvedimenti che la gravità del caso e gli offesi diritti dello Stato potranno richiedere e consigliare.

La prego di dare lettura e lasciar copia del presente dispaccio al signor commendatore Carafa.

Firmato: C. Cavour.

25
Dispaccio del conte Di Cavour al marchese d’Azeglio.
Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario di S. M. a Londra.

18 mars 1858.

Monsieur le Ministre.

Par une note en date du 5 janvier dernier, dont je vous ai transmis copie (XX), monsieur l’Envoyé de S. M. britannique nous informai! que son Gouvernement était disposé à réclamer contre les procédés du Gouvernement de Naples dans l’affaire du Cagliari, par la raison que les bâtiments de guerre de la marine des DeuX Siciles n’avaient aucun droit de poursuivre et de capturer le Cagliari hors des limites de la juridiction territoriale du royaume de Naples. Cela posé. la note britannique nous invitait à faire connaître, si nous envisagions la capture du Cagliari au même point de vue.

Le Gouvernement du Roi, n’ayant pas alors des renseignements précis et complets pour asseoir son jugement d’une manière définitive, se borna à répondre qu’il s’occupait de l’eXamen scrupuleuX des faits qui s’étaient passés et des questions de droit qu’ils soulevaient, se réservant de faire une réponse plus catégorique à la demande du Gouvernement britannique lorsqu’il aurait éclairci toute espèce de doutes sur les dits points et les intentions du Gouvernement napolitain.

Les informations recueillies depuis lors, les documents publiés par le Gouvernement napolitain lui-même, les notes que nous avons échangées avec lui, nous mettent maintenant en mesure de répondre de la manière la plus précise auX interpellations que le Cabinet de Londre nous a adressées, en lui faisant connaître les raisons incontestables qui prouvent l’illégalité de la capture du Cagliari et qui nous engagent à réclamer la restitution de ce navire et la mise en liberté des individus arrêtés à son bord.

Vous voudrez bien en conséquence communiquer à S. E. le comte Malmesbury les actes officiels, auXquels le différend soulevé par la capture du Cagliari a donne lieu, en lui faisant observer, que malgré la réponse peu satisfaisante faite par le commandeur Carafa, chargé du département des affaires étrangères, j’ai résolu de tenter un dernier effort pour ramener le Gouvernement napolitain à des sentiments plus équitables, en adressant au comte Gropello la dépêche dont vous trouverez ci-joint une copie.

Je ne doute nullement que le Gouvernement de S. M. britannique, persistant dans l’opinion qu’il nous à manifestée, s’unira à nous dans une question dans laquelle non-seulement la vie de deuX sujets anglais est en jeu, mais qui intéresse à un aussi haut degré toutes les puissances maritimes, et qu’il ne nous refusera ni son concours, ni au besoin sa coopération que je vous charge de demander d’une manière formelle.

En vous priant de me faire connaître le plutôt possible la réponse que le comte Malmesbury voudra bien nous faire de la part de son Gouvernement, j’ai l’honneur, etc.

Firmato: C. Cavour.

26
Nota del marchese D’Azeglio, Inviato Straordinario e Ministro plenipotenziario di S. M. a Londra, a S. E. il conte Di Malmesbury, principale Segretario di Stato per gli affari esteri di S. 1. Britannica.

22 mars 1858.

Par une noie en date du 8 janvier dernier, sir James Hudson, envoyé eXtraordinaire et ministre plénipotentiaire de S. M. britannique à Turin, a informé le comte De Cavour, président du Conseil, que son Gouvernement était disposé à réclamer co ut re les procède du Gouvernement napolitain dans l’affaire du Cagliari, par la raison que les bâtiments de guerre de la marine des DeuX Siciles n’avaient aucun droit de poursuivre et de capturer le Cagliari hors de la limite de la juridiction territoriale du royaume de Naples. Ce principe ainsi posé, le ministre de S. N. britannique invitait le Gouvernement du Roi à lui faire connaître s'il envisageait la capture du Cagliari au même point de vue.

Le Président du Conseil désirant attendre que des renseignements suffisamment précis lui eussent permis d’établir un jugement d’une manière plus définitive, se borna à répondre qu’il s’occupait de l'eXamen scrupuleuX des faits qui s’étaient passés et des questions de droit qu’ils soulevaient; se réservant de faire une réponse plus catégorique au Gouvernement britannique lorsqu’il aurait éclairci toute espèce de doute sur lesdits faits et intentions du Gouvernement napolitain.

Les informations recueillies depuis lors, les documenta publiés par le Gouvernement napolitain lui-même, les notes échangées avec lui, mettent maintenant le Gouvernement du Roi en mesure de répondre de la manière la plus précise auX interpellations que le Cabinet de Londres a adressées à celui de Turin.

En conséquence le soussigné, Envoyé eXtraordinaire et Ministre plénipotentiaire de S. M. le roi de Sardaigne près S. M. britannique, vient de recevoir l’ordre d’informer S. E. le comte De Malmesbury, principal secrétaire d’État pour les affaires étrangères de S. M. britannique, qu'après avoir donné toute son attention à cette question, le Gouvernement du Roi a du se convaincre de l’illégalité de la capture du Cagliari.

Comme conséquence immédiate, il a réclamé la restitution de ce navire et la mise en liberté des individus arrêtés à son bord. Le soussigné a été chargé en même temps de communiquer à S. E. le comte De Malmesbury non seulement les pièces officielles qui avaient déjà été transmises à son prédécesseur, mais aussi celles qui sont d’une date postérieure au premier envoi, et notamment la réponse portant la date du 18 courant qui vient d’être adressée au Gouvernement napolitain par l’entremise du Chargé d’affaires sarde prés la Cour des DeuX Siciles.

Par ce document le Cabinet de Turin a voulu tenter un dernier effort pour ramener le Gouvernement napolitain à des sentiments plus équitables.

En attendant, le soussigné est formellement chargé de demander le concours et, au besoin, la coopération du Gouvernement britannique pour mener à bonne fin cette grave affaire. Le Gouvernement du Roi est convaincu que les informations reçues ultérieurement auront confirmé les opinions et les principes énoncés par le ministre d’Angleterre dans sa note précitée du 5 janvier dernier, opinions égaiement partagées par le comte De Cavour et ses collègues.

Cette entente une fois établie, il ne peut qu’être utile et désirable que les deuX Cabinets s’unissent par une action commune pour terminer une question dans laquelle non-seulement les intérêts de deuX sujets anglais sont gravement compromis, mais qui concerne d’une manière aussi directe toutes les puissances maritimes égaiement intéressées à ne pas laisser s’établir des précédents dangereuX.

Le soussigné espère que 8. E. le comte De Malmesbury voudra bien renseigner, aussitôt que possible, le Gouvernement du Roi sur ce point important, et il le prie d’agréer I’assurance, etc.

Firmata: D’Azeglio.

27
Dispaccio del marchese D'Azeglio al conte Di Cavour

Londre, le 24 mars 1858.

29 Park lane.

M.er Président du CONSEIL,

J’ai l’honneur de transmettre sous ce pli copie de la réponse que j’ai reçu hier soir de lord Malmesbury à l'office que je lui avais réuni la veille. V. E. trouvera également copie de la réplique que j’ai cru devoir adresser au contenu de cette note de S. S.

Quoique je me sois abstenu. d'observations quant à la demande qu’on nous fait de documents qui publiés pour servir les intérêts. napolitains, devraient être fournis par ce Gouvernement, j’ai pourtant cru indispensable de ne pas laisser inaperçu quelques points de la communication de lord Malmesbury, sur lesquels il m e semblait nécessaire de faire des réserves.

D’abord l’inadvertance du secrétaire de la légation de S. M. britannique, s’il était prouvé que, par inadvertance on à eXprimé au Gouvernement du Roi une opinion diamétralement opposée à celle qui eXIstait, ce terme me paraîtrait plein d’indulgence.

J’ai prévu la réponse qui consisterait à dire que les instructions prescrivaient de demander purement et simplement l’avis du Cabinet de Turin, sans en formuler aucun autre, tandis que la note anglaise posait en termes eXplicites une opinion erronée du Gouvernement britannique. Mais si ce Gouvernement commet une erreur aussi essentielle, et nous la laisse ignorer pendant deuX mois et demi, il se rend en partie solidaire des conséquences que peut attirer sur nous une marche politique adoptée par suite de celle conviction erronée.

Il m’a donc paru devoir faire ressortir celle argumentation dans ma réponse d’aujourd’hui, en même temps que je présentais d’autre pari la remarque que dans une question aussi positive, je dirais même aussi matérielle, les faits seuls devaient compter, sans que des erreurs de rédaction pussent obtenir une influence indue.

En même temps, il m’a paru que la dignité de notre Gouvernement eXIgeait que nous établissions bien clairement, tout en témoignant de notre sincère désir d’agir en commun avec l’Angleterre, que nous nous réservions le droit d’être seuls juges de ce que le sentiment de dignité nationale pouvait eXIger; et que, tout en laissant ce pays maître de décider c e qu’il lui suffirait d’obtenir pour se déclarer satisfait, nous faisions les mèmes réserves pour notre compte, et étions décidés à suivre la ligne qui nous paraîtrait seule conforme à nos idées d’honneur national.

Telles sont les idées que j’ai cherché à reproduire dans ma communication à lord Malmesbury, et je m’estimerais heureuX d’avoir pu obtenir l’assentiment de V. E.

Veuillez agréer, M. le comte, etc., etc.

Firmato: M. E. D’Azeglio.

28
Nota del conte Di Malmesbury al marchese D'Azeglio

The undersigned, Her... had the honor to receive from (he marquis d’Azeglio, in their conference of yesterday bis note of that date, inclosing a copy of the reply returned by count Cavour on the 18( th) of march to the answer of the Neapolitan Government of the of January, a copy of which answer had not however been previously communicated officially by the marquis d’Azeglio to Her Majesty's late or present Government.

It appears from the marquis d’Azeglio’s present communication that the Sardinian Government having satisfied itself that the Cagliari was illegally captured, has demanded the restitution of that vessel and the liberation of the persons arrested on board; and that the marquis d’Azeglio had been instructed to communicate to the undersigned the official papers which he. had al ready forwarded to his predecessor, and those which were dated subsequently.

On this latter point the undersigned begs leave at once to observe that he has not found among the papers delivered to him yesterday by the marquis d’Azeglio a prinked volume issued by the Neapolitan Government Sulla preda del Cagliari which was laid before Her Majesty's advocate general in February last by the marquis d’Azeglio, having been brought from Turin by M( r) Carruti, and which he therefore will be much obliged to the marquis d’Azeglio to send to this office.

The marquis d’Azeglio in his note of the 22( d) instant goes on to say that he is formally charged to demand the concurrence of Her Majesty's Government and, if necessary, its cooperation to bring this serious matter to a good conclusion. The marquis d’Azeglio further says that his Government is convinced that the information subsequently received will have confirmed the opinion and principles eXpressed by Her Majesty's Minister at Turin in a letter which he addressed to count Cavour in 5( th) of January last stating that Her Majesty's Government were disposed to object of the proceedings of the Neapolitan Government in the case of the Cagliari on the ground that the Neapolitan ships of war had not right to pursue andthe Cagliari beyond the limits of the territorial jurisdiction of the kingdom of the Two Sicilies.

The undersigned has the honor to acquaint the marquis d’Azeglio that his note will be duty considered by Her Majesty's Government, but, the pending the answer which it will be duty of the undersigned eventually to return to it, he thinks it right at once to state to the marquis d’Azeglio that Her Majesty's Government had no cognisance of the note addressed bis Her Majesty's Minister at Turin to the count Cavour on the 5th of January, no copy of it having been received in ibis office, until it was communicated to the undersigned by the marquis d’Azeglio on the 10(th) instant. On comparing the copy to communicated by the marquis d’Azeglio with the instruction from the Earl of Clarendon on which it was foundend a material difference was perceived, and it has resulted from the eXplanation obtained from Her Majesty's Minister that the statement in that note that Her Majesty's Government are disposed to object to the proceedings of the case, which was not authorized by the instruction given lo Her Majesty's Minister, was inserted in the letter by Her Majesty's secretary of legation by inadvertence as he States, and without the knowledge or assent of Her Majesty's Minister, and the undersigned must add that Her Majesty's Minister has been instructed to inform the secretary of legation that his conduct in this respect was quite ineXcusable.

The undersigned, ecc.

(Foreign Office) march. 23, 1858.

Firmato: Malmesbury.

vai su

29
Traduzione della noia precedente

Il sottoscritto ha avuto l’onore di ricevere dal signor marchese D’Azeglio, nella loro conferenza di ieri, la di lui noia, in data del giorno stesso, con annessavi copia della replica fatta dal conte Di Cavour il 18 marzo alla risposta del Governo napolitano del 30 gennaio, della qual risposta non era precedentemente stata data ufficiale comunicazione dal signor marchese D’Azeglio al passalo o presente Governo di Sua Maestà.

Appare dalla presente comunicazione del signor marchese d’Azeglio che il Governo sardo essendosi convinto che il Cagliari fu catturato illegalmente, ha chiesto la restituzione di quella nave e la liberazione delle persone arrestate al sue bordo, e che il marchese D’Azeglio ebbe ordine di comunicare al sottoscritto i documenti ufficiali che già aveva desso trasmessi all’antecessore del sottoscritto e quelli di data posteriore.

Intorno a quest’ultimo punto, il sottoscritto si permette di osservare che egli non ha trovato fra le carte che ieri furongli rimesse dal marchese D’Azeglio un volume stampato, pubblicato dal Governo napoletano Sulla preda del Cagliari, che era stato presentato al signor avvocato generale di S. M. in febbraio ultimo dal signor marchese D’Azeglio, al quale era stato recato da Torino dal signor Carulli; volume che lo scrivente sarà pertanto tenuto al signor marchese D’Azeglio di voler mandare a questo Ministero.

Nella sua nota del andante il signor marchese D’Azeglio viene partecipando che egli è formalmente incaricato di chiedere il concorso del Governo di S. M., e, ove occorra la cooperazione del medesimo per condurre questo grave affare ad una soddisfacente conclusione. Soggiunge il signor marchese D’Azeglio che il suo Governo è convinto che le informazioni posteriormente ricevute avranno confermalo l’avviso ed i principii espressi dal ministro di S. M. britannica in Torino in una lettera dal medesimo indirizzata al conte Di Cavour il 8 gennaio ultimo, nella quale si disse che il Governo di S. M. era disposto ad opporsi ai procedimenti del Governo napoletano nel caso del Cagliari, a motivo che le navi napoletane da 'guerra non avevano il diritto d’inseguire e di catturare il Cagliari fuori dei limiti della giurisdizione territoriale del regno di Napoli.

Il sottoscritto ha l’onore d'informare il signor marchese D’Azeglio che la predetta sua nota sarà presa dal Governo di S. M. nella dovuta considerazione; ma, in attesa della risposta che sarà dovere del sottoscritto di farvi all’occorrenza, egli stima frattanto dover far conoscere al signor marchese D’Azeglio che il Governo di S. M. non aveva conoscenza della nota indirizzata al conte Di Cavour dal ministro di S. M. il 8 gennaio, non essendosene ricevuta copia a questo Ministero prima che fosse comunicata al sottoscritto dal signor marchese D’Azeglio il 10 corrente. Confrontando la copia cosi comunicata dal signor marchese D'Azeglio colle istruzioni del conte Di Clarendon, giusta le quali dovette essere compilata la nota, vi si rinvenne una differenza materiale, e risultò poscia dalle spiegazioni date dal ministro di S. M. a Torino che la dichiarazione contenuta in detta nota, dell’essere cioè il Governo di S. M. disposto ad opporsi (to object) ai procedimenti in questo caso, dichiarazione che non era autorizzata dalle istruzioni date al ministro di S. M., fu inserta nella lettera dal segretario di legazione di S. M. per inavvertenza, come egli dice, e senza che Io Sapesse o vi assentisse il ministrò di S. M.: il sottoscritto deve soggiungere che il ministro di S. M. ebbe per istruzione d’informare il segretario della legazione che la di lui condotta a questo riguardo è affatto inescusabile.

Il sottoscritto, ecc.

Foreign Office, 11 2 3 marzo 1888.

30
Nota del marchese D’Azeglio al conte Di Malmesbury

20 mars 1858.

Le soussigné, Envoyé EXtraordinaire et Ministre Plénipotentiaire, etc., a l'honneur d'accuser réception à S. E. M. le comte de Malmesbury de l’office qu ii lui a fait l'honneur de lui adresser en date d'hier. D’après le désir qui s’y trouve eXprimé, il s'empresse de lui transmettre le volume publié par le Gouvernement napolitain et intitulé Sulla preda del Cagliari.

Ainsi qu’il avait cru devoir le remarquer à S. E., ce n’est qu’après la supposition que ce volume eût déjà été envoyé de Naples qu’il ne faisait-pas partie du dossier remis par le soussigné au Foreign Office le 22 courant.

Dans l'office précité portant la date d'hier, S. E. le comte de Malmesbury fait pari au soussigné de quelques informations relativement à La note adressée le 5 janvier dernier au Président du Conseil par S. E. le ministre de S. M. Britannique à Turin. Ainsi que le portent ces informations, la partie essentielle de cette note est due à une inadvertance du secrétaire de Légation de S. M. Britannique.

Le soussigné ne se croit nullement autorisé à fa ire la moindre remarque sur l’importance d’un pareil malentendu dont il a eu la première nouvelle par S. E. dans son entrevue d’hier. Celle importance ne peut étire égalée que par celle qu'une assertion aussi positive a dû avoir dans les Conseils du Gouvernement du Roi, en venant du représentant de S. M. Britannique. Les opinions du Gouvernement anglais ont trop de poids auprès du Cabinet de Turin pour n’avoir pas eXercé une sérieuse influence sur les déterminations prises à celle époque.

Mais, par contre, le soussigné croit se rendre l’interprète des sentiments de son Gouvernement en affirmant que les faits surtout doivent être pris en considération plus que les rédactions dans une question de celle importance, et en eXprimant encore une fois l’espoir par suite des documents qu’ont jeté un nouveau jour sur la capture du Cagliari et par suite des arguments légauX qui prouvent à l’évidence auX veuX du Cabinet de Turin le droit de récuser la juridiction napolitaine, soit pour décider de la capture, soit pour juger l’équipage, que l’inadvertance ou l’erreur deviennent une vérité, et que, fondés sur les mèmes principes de droit international, les deuX Cabinets agisse ut d'accord pour revendiquer ce qui leur est dû.

En tous cas, s’il se trouvait abandonné à ses propres forces, le Gouvernement du Roi est bien décidé à poursuivre cette affaire avec la prudence et la modération qui ont caractérisé ses actes jusqu’ici, mais aussi avec l’énergie et la fermeté qu’inspire le sentiment du droit et de la dignité nationale.

Firmato: V. E. D'Azeglio.

31
Dispaccio del conte Di Cavour al marchese D’Azeglio

27 mars 1858.

Monsieur le Marquis,

Je viens de recevoir votre dépêche confidentielle n° CXXI, en date du 24 courant, avec ses anneXes.

Ainsi que je me suis empressé de vous le mander par le télégraphe, la note que vous avez adressée à S. E. le comte De Malmesbury a rencontré notre entière approbation, et je saisis avec plaisir l’occasion de vous en renouveler l’assurance. Je n'insisterai pas, M. le marquis, sur le pénible étonnement qu’a dû nous causer la révélation inattendue d’une inadvertance que rien ne pouvait nous faire soupçonner.

Vous mème vous avez relevé, avec autant de justesse que de tact, la gravité d’une erreur qui n’aurait pu demeurer sans influence sur nos décisions.

J’aime à espérer comme vous que le Cabinet de Londres reconnaîtra l’évidence des faits que nous lui avons soumis, et que dès lors, approuvant nos résolutions, il sera disposé à s’v associer et à nous soutenir.

Mais si, contre toute attente, cet espoir était déçu, le Gouvernement du Roi ne devrait pas moins prendre conseil de ses intérêts et de son honneur. Les termes dans lesquels vous en avez fait la déclaration au Cabinet de S. M. britannique sont l’eXpression fidèle de nos sentiments et de notre pensée.

Recevez. etc.

Firmato: C. Cavour.

32
MEMORANDUM DE LA COUR DE SARDAIGNE

La capture du bateau à vapeur sarde le Cagliari, faite en temps de paiX et en pleine mer par deuX frégates napolitaines, préoccupe sérieusement depuis quelque temps l’attention publique. Il s’agit en effet d’une question du droit des gens qui 4»e rattache à la sécurité du commerce maritime de toutes les nations.

Les eXplications échangées entre les deuX Gouvernement n’ayant abouti jusqu'à présent à aucun résultat satisfaisant, un grave conflit peut s’élever entre les deuX Cours. Le Gouvernement de S. M. le Roi de Sardaigne, se confiant dans son droit et dans la justice de sa cause, croit en conséquence devoir porter à la connaissance des Souverains amis et alliés de la Sardaigne, et notamment à celle des Puissances maritimes, les faits qui ont donne lieu à celle déplorable contestation.

Ces faits constituent en effet une violation flagrante de la loi commune à toutes les nations, loi à laquelle aucun État ue peut se soustraire qu’en s'eXposant à subir toutes les conséquences de cette déviation volontaire des principes du droit des gens.

Dans la soirée du juin 1857, le bateau à vapeur le Ca gliari, capitaine Sitzia, de la compagnie Rubattino, partit de Gènes pour le port de Cagliari en Sardaigne et pour Tunis. Ce paquebot avait une destination connue et publiée d’avance, il faisait un service périodique, il était en outre chargé par le Gouvernement du transport des dépêches et des paquets de l’Administration des Posyes. Le Cagliari était nanti de sa patente de nationalité et de papiers de bord réguliers; le but de sa course était pacifique et légitime. Il avait à son bord trente-trois passagers. Quelques heures après le départ, tandis qu'une partie de l’équipage était employée au service intérieur, et que l’autre prenait du repos, vingt-cinq de ces passagers s’emparent violemment de la personne du capitaine, l’entraînent sur le pont, obligent un des passagers de prendre le commandement du na ire, et, les pistolets au poing, forcent l’équipage à obéir à leurs ordres.

Après avoir débuta par ces forfaits, les insurgés continuent leur entreprise criminelle en dirigeant le bâtiment sur Pile de Ponza. Ils y prennent terre, ils délivrent les détenus avec lesquels ils vont débarquer à Sapri, terme de leur eXpédition.

Arrivés dans ces parages, les insurgés rendirent la liberté au capitaine Sitzia, qui en profila aussitôt pour se diriger vers Naples dans le but d’informer le Consul de Sardaigne de l’attentat dont il avait été la première victime.

Tous ces faits sont dûment constatés par le journal de bord et par les déclarations unanimes des passagers innocents et mis en liberté par les tribunauX des DeuX-Siciles. Les insurgés euX-mêmes avaient fait des déclarations analogues, et ils les ont ensuite confirmées devant la Cour de justice qui siège en ce moment à Salerne.

Tandis que le Cagliari, rendu à son capitaine légitime, poursuivait sa route-vers Naples dans le but indiqué, il est découvert par les deuX frégates napolitaines le Tancredi et l’Ettore Fieramosca. Le Tancredi tire le coup de canon, et le Cagliari s’arréte sans opposer aucune résistance. Le capitaine Sitzia, sur l'ordre du commandant napolitain, se rend à bord du Tancredi ; il y est arrêté, on visite son navire, on le capture et on l’amène à Naples. Là le Cagliari est séquestré, le capitaine, l’équipage et les passagers sont emprisonnés.

DeuX procès s’instruisent ensuite; l’un devant une Commission de prises maritimes, nommée ad hoc par le Gouvernement de Naples, afin de faire déclarer de bonne prise la capture du Cagliari; l’autre devant la Cour de Salerne pour juger les individua arrêtés à bord du bateau comme impliqués dans les actes commis par les insurgés à Ponza et à Sapri.

Aussitôt que la capture du Cagliari a été connue, le Gouvernement des DeuX-Siciles s’est empressé d’en informer le Chargé d’affaires de Sardaigne, en lui annonçant, en toute bonne foi sans doute, que le bateau avait été saisi dans les eauX de Policastro, c'est-à-dire dans l’endroit même du débarquement des insurgés, dans un golfe où les autorités napolitaines pouvaient prétendre d’eXercer jusqu’à un certain point leur juridiction.

En présence de celle déclaration, le Cabinet de Turin ne s’est pas cru autorisé à faire des réclamations officielles; il s’est borné en conséquence à solliciter la prompte restitution du navire et de sa cargaison auX propriétaires„et la mise en liberté de l’équipage et des passagers innocents.

Cinq mois s’étaient écoulés, pendant lesquels le Gouvernement de Naples n’avait en aucune manière rectifié les eXplications données au Chargé d’affaires de Sardaigne, lorsqu’au mois de décembre dernier les documents publiés par l’Intendance de la marine royale napolitaine confirmèrent les soupçons qu’on avait pu concevoir dans l’intervalle, c’est-à-dire que la saisie du Cagliari n’avait pas été faite dans les eauX de Policastro. En effet, le procès verbal dressé par les bâtiments preneurs prouvent que le navire a été capturé en pleine mer. Les mèmes documents démontrent aussi qu’au moment de l’arrestation le Cagliari, rendu à son capitaine légitime, n’avait plus à bord aucun des rebelles qui s’en étaient violemment emparés; que le bateau était désarmé; qu’il al lai t manquer du charbon nécessaire pour une longue course; qu’il ne commettait aucun acte criminel ou hostile, et enfin qu’il était pourvu de papiers réguliers constatant sa nationalité et sa destination.

Le Gouvernement de Sardaigne ne douta plus alors que la capture ne pouvait être considérée que comme contraire auX privilèges mari ti in e s sanctionnés par le droit International. Mais, avant d’adresser une réclamation formelle à l’État qui avait commissionné les croiseurs, il a jugé convenable de soumettre la question à l’eXamen du Conseil du ContentieuX Diplomatique. Ce Conseil ne tarda pas à déclarer que la était illégale, et que la Sardaigne avait le droit de demander la restitution du navire et la mise en liberté des individua arrêtés à son bord, non obstant les poursuites judiciaires commencées à Naples, tous les actes postérieurs à la capture se trouvant frappés de nullité radicale.

Ces conclusions se fondent sur les principes les plus clairs et les plus précis du droit public. La capture en pleine mer ne peut avoir lieu légitimement que dans deuX cas; en temps de guerre sur les bâtiments de l’ennemi, en temps de paiX sur les bâtiments pirates.

Or, ces deuX conditions n’eXIstaient nullement à l’égard du Cagliari, il n’y avait pas guerre entre la Sardaigne et les DeuX-Siciles; la Couronne de Naples n’était en guerre avec aucune puissance. Le Cagliari n’appartenait pas à un ennemi puisqu’il n'en eXIstait pas; donc il ne pouvait légalement être capturé.

Il ne pouvait non plus être pris comme bâtiment pirate, car la simple inspection de sa patente et de ses papiers de bord démontrait évidemment le contraire.

La question posée dans ces termos, devenait une question de Gouvernement à Gouvernement. Il s’agissait de sauvegarder les privilèges du pavillon national, de protéger les intérêts du commerce maritime et les propriétés des sujets du Roi. Le Cabinet de Turin avait donc le devoir impérieuX de faire les réclamations les plus sérieuses au Gouvernement des DeuX-Siciles. C’est ce qu’il a fait par les dépêches du 16 janvier dernier et du 18 mars courant, qui se trouvent anneXées à ce(te communication, ainsi que la réponse du Cabinet des DeuX-Siciles à la première de ces dépêches (XXI).

Si les doctrines soutenues dans cette réponse par le commandeur Carafa au nom de son Gouvernement étaient admises ou tolérées, il s'ensuivrait que les bâtiments de guerre auraient le droit de saisir tout navire marchand en pleine mer et en pleine paiX, quoique ne commettant aucun acte criminel ou hostile.

Il s’ensuivrait aussi que le fait incidentel et transitoire de la révolte de quelques passagers factieuX à bord d’un navire marchand, donnerait droit au croiseur de lui courir sus, de le capturer et de le faire déclarer de bonne prise, dans le cas mème où la révolte aurait cessé au moment de la visite., et que le bâtiment serait rentré sous le gouvernement légitime et régulier du capitaine, qui en avait été momentanément dépossédé par effet de la violence et d’une force majeure.

Le Gouvernement sarde est décidé à s’opposer à l’application de telles maXImes contraires à la justifie et subversives de loi de sécurité internationale. Il tes a suffisamment réfutées dans les dépêches ci-jointes; néanmoins il croit devoir encore faire remarquer que la réponse napolitaine s’étaye sur une prétention qu’on m saurait aucunement admettre et qui mérite d’être signalée.

Le commandeur Carafa affirme que la capture du Cagliari étant du ressort des tribunauX, ne saurait donner fieu à des représentations diplomatiques, et que le procès de prise maritime intenté par la Marine Royale ayant trait à une action purement civile, le Gouvernement n’est pas responsable des faits qui en sont la conséquence.

Nous avons établi, dans la dépêche du 18 mars, que la contestation à la quelle a donne fieu la capture d’un bâtiment marchand en pleine paiX n'est pas une question de droit privé, mais une question de droit international, et que des lors elle ne peut être ni discutée ni définie que par voie diplomatique.

Le Cabinet de Turin, par des raisons de convenance qu’on saura apprécier, n’a pas cru devoir répondre directement à l’autre remarque relative à la non-responsabilità du Gouvernement à l’égard de ses croiseurs et des jugements des Oeurs des prises. Mais cette objection ne peut rester ici sans une réponse catégorique.

Rappelons d’abord que la Couronne de Sicile n’étant point en état de guerre, il fallait créer tout eXprès un tribunal qui prit connaissance de la capture du Cagliari.

C’est précisément ce qu’a du faire le Gouvernement napolitain; c’est done par sen consentement et par son propre tilt que le procès a eu lieu et que le jugement a été rendu. C’est lui qui a appliqué à l’état de paiX des foia et des institutions qui ne sont applicables qu’à l’état de guerre.

Mais, sans même tenir compte de ce fait sans précédent dans l'histoire, c'est un principe admis et reconnu par toutes les nations, que les bâtiments preneurs opèrent en vertu de la commission générale ou spéciale qu'ils ont reçue de l'État au quel ils appartiennent. Les croiseurs ne sont responsables qu'envers le souverain qui les commissionne, et ce souverain, en approuvant leur conduite et en prononçant en dernier ressort si les vaisseauX étrangers ont été saisis loyalement ou non, intervient lui- même pour décider une question entre ses sujets et les étrangers qui ont été dépouillés de leur propriété. Cette juridiction, reconnue par le droit des gens, est acquise par la force; mais elle ne saurait être en aucun cas considérée comme une juridiction complète. Les capteurs, comme membres de l'État qui institue le jugement, sont obligés de se soumettre à la sentence parce qu'il a sur leur personne une juridiction complète; mais les parties adverses étant membres d'un autre État, ne sont forcées de se sou mettre à la chose jugée qu'autant qu'elle est conforme au droit des gens. Dans le cas contraire, si leurs justes réclamations n'aboutissent pas à un résultat satisfaisant, l'État qui 96 (39) se trouve lésé dans la propriété de ses sujes, peut réclamer directement auprès du Gouvernement au quel appartiennent les bâtiments preneurs, et s'il y a déni de justice, il a droit (selon l'eXpression de Grotius) d'obtenir réparation par représailles ou par les autres moyens établis par le droit des gens.

Ces principes ne peuvent être contestés, car ils trouveraient au besoin leur appui dans l'histoire et dans les publicistes, les plus autorisés.

«Il y a évidemment une énorme distinction (dit Wheaton) i entre les tribunauX ordinaires de l'État, procédant d'après a les lois civiles comme étant la règle de leurs décisions, et les tribunauX de prises établis par son autorité pour administrer le droit des gens auX étrangers comme auX sujets. Les tribunauX civils ordinaires acquèrent la juridiction sur la personne ou la propriété d'un étranger par son consentement eXprès, s'il intente volontairement une poursuite, ou implicite, s'il transporte par le fait sa personne ou sa propriété sur le territoire. Mais quand les Cours des prises a eXercent leur juridiction sur des vaisseauX capturés en mer, la propriété des étrangers est amenée de force dans le territoire de l'État qui a constitué ces tribunauX

«...... L'institution de ces tribunauX, loin d’eXempter ou de vouloir eXempter le souverain de la nation belligérante de la responsabilité des actes de ses croiseurs, est destinée à déterminer et à fiXer cette responsabilité..... Dès que la décision du tribunal en dernier ressort a été a prononcée..... et que justice a été définitivement refusée, a la capture et la condamnation deviennent les actes de l'État, actes dont le souverain est responsable vis-à- vis du Gouvernement du réclamant (( (XXII).

Dans cet état de choses, et tout en avisant auX moyens d’obtenir réparation à son pavillon outragé et justice pour ses sujets violemment dépouillés de leurs biens, le Gouvernement de Sa Majestà le Roi de Sardaigne a cru devoir avant tout faire appel à toutes les puissances maritimes. Tel est le but de cette communication.

La Sardaigne, en défendant les privilèges et les immunités de la mer, ne défend pas seulement ses intérêts particuliers, elle défend le droit des gens et les intérêts de toutes les nations qui ont une marine marchande à protéger contre les. abus de la force; elle défend les principes salutaires qui ont reçu une consécration solennelle et de nouveauX développements au Congrès de Paris.

L’Europe, qui a applaudi auX réformes sanctionnées à cette occasion, après avoir admis que le pavillon couvrait la marchandise même en temps de guerre, ne saurait certes tolérer les prétentions d’un Gouvernement qui ne voudrait pas admettre que le pavillon couvrit les individus en temps de paiX.

La cause de la Sardaigne est la cause de toutes les puissances maritimes. Toutes ont un égal intérêt à s’opposer à ce que la capture du Cagliari n’établisse un précédent funeste à la liberté des mers, en opposition directe avec ces sages maXImes qu’après des siècles de controverse et de lutte la civilisation moderne est parvenue à introduire dans le droit public des nations.

Turin, le 30 mars 1858.

33
PARERE DI ROBERTO PHILLESORE SULLA CATTURA DEL CAGLIARI

L’alta importanza della quistione ed i voluminosi documenti scritti e stampati che mi vennero dati ad esaminare sono stati cagione del ritardo necessariamente avvenuto nel concepire e nell'esprimere la mia opinione.

Ma dopo un’attenta disamina di questi documenti, e dopo ch’io ebbi ponderalo e 1 la massima cura i principii di diritto applicabili ai fatti che vi sono riferiti, io son venuto a conchiudere che la cattura del bastimento sardo il Cagliari, operatasi dalle navi da guerra della Corona delle Due Sicilie, fu del tutto illegale, e che la domanda di restituzione del bastimento, del carico e dell’equipaggio, fatta dalla Sardegna, è pienamente fondata sul diritto delle nazioni.

Andrò a stabilire le premesse dalle quali fui tratto a questa conclusione.

Debbo però osservare dapprima che vi sono due fatti che è di un’inestimabile importanza il recare sul terreno del diritto, e che non sono contrastati dal Governo delle due Sicilie:

t° Cioè, che il Cagliari fu catturato non già nelle acque di Napoli, ma in allo mare;

2° Che ciò nullameno, nelle sue prime informative, il Governo siciliano asseverò al Governo sardo che il Cagliari era stato preso nelle acque di Napoli, e che la verità intorno a questo punto non potè essere chiarita dal Governo sardo se non quando gli furono conosciute le deposizioni dei catturanti.

L’ultimo di questi fatti è per ciò importante, che spiega il ritardo frapposto dalla Sardegna in chiedere la restituzione.

L’importanza del primo in ciò consiste, che trasporta tqtla la quistione della legalità od illegalità della presa dal terreno del diritto privato o municipale sul terreno del diritto internazionale.

Su questa osservazione si raggira la massima parte delle cose esposte nel volume infolio che il Governo siciliano ha stimato opportuno di dare alla luce in difesa della sua condotta in questa congiuntura.

Allo stato di tali fatti la prima questione che emerge si è: in quali circostanze uno Stato abbia facoltà d'impadronirsi della nave di un altro Stato mentr’essa sta percorrendo la via comune a tutte le nazioni.

La risposta iti cui convengono tutti i pubblicisti, e colla quale si è sempre tenuta in perfetta armonia la teoria e la pratica degli Stati, è la seguente:

In tempo di pace, quando la nave è ragionevolmente sospettata di pirateria.

In tempo di guerra, quando usa nave è ragionevolmente sospettata essere di spettanza di una delle parti guerreggianti.

E per cominciare dalla quistione della cattura di una nave piratica in tempo di pace.

Le opinioni dei pubblicisti, come il diritto interno degli Stati, non differiscono essenzialmente intorno alla definizione ed ai segni caratteristici del pirata.

In sostanza si tiene per nave di pirata quella che naviga senza l’autorità di uno Stato riconosciuto, senza che sia autorizzata ad avere una bandiera o carte di bordo, senza che questa autorizzazione risulti da, un documento generalmente riconosciuto, e che di più navighi coll’animo furandi et depredandi.

Ciò premesso, ne viene il quesito: questa definizione può ella applicarsi al Cagliari? ed in caso affermativo, per qual momento del suo viaggio?

Non v'ha sfoggio di ragionamenti, non v’ha tetraggine di fogli stampati, non apparato di vana erudizione che possa far cadere il Cagliari sotto ai termini della suesposta definizione al momento ch’esso lasciò Genova.

Esso era diffatti una nave sarda, con bandiera sarda e munita di carte più che sufficienti per soddisfare ai requisiti voluti dalle leggi internazionali, ed a quanto pare, dalle leggi sarde eziandio. Questa nave faceva il consueto suo viaggio sulla via da essa abitualmente battuta, era insomma un piroscafo sardo postale e per viaggiatori, e come tale universalmente conosciuta.

Non vi esiste pur ombra di prova per imputare al proprietario della nave una intenzione qualunque di far navigare la nave con uno scopo colpevole od illegale.

Il secondo quesito che si presenta è questo: benché il Cagliari quando salpò da Genova fosse una nave mercantile in legittime condizioni non gli sarebbe forse stato impresso il carattere di nave piratica, durante il suo viaggio, contro alla volontà de' suoi proprietari, ed in tale caso, quando e come ciò sarebbe succeduto?

Ecco i fatti quali si presentano nella loro semplicità:

Una mano considerevole di cospiratori armati che avevano preso imbarco sotto all'aspetto di legittimi passaggieri, dopo che il bastimento fu in alto mare, con atti di violenza e con minaccie. di morte costrinsero il capitano, o per la paura lo indussero (il che vale lo stesso) a deporre il suo comando, s'impossessarono totalmente della condotta della nave, la diressero a Ponza; vi fecero montare numerosa banda di altri cospiratori, e cambiandone la direzione navigarono a Sapri. Là, i cospiratori sbarcarono, il capitano riebbe la sua autorità e partissi immediatamente da Sapri coll'intenzione di recarsi a Napoli per riferirvi ai Governi quanto era avvenuto.

Navigando a quella volta e. giunto a non grande distanza dalla sua destinazione, viene assalito dal fuoco di un bastimento da guerra siciliano, gli si intima di fermarsi, ed avendo tostamente obbedito senza far resistenza, vien preso e condotto a Napoli. Può egli dirsi che al momento in cui fu catturato il Cagliari fosse impiegato in atti di pirateria?

Io rispondo assolutamente: no — L’asserzione contraria si fonda su di un sospetto. —

Sospetto non convalidato da veruna prova, che io sappia, né orale né scritta,

«Che cioè la nave stesse ritornando a Ponza per pigliarvi altri cospiratori e trasportarli a Sapri.»

Ma contro questo vago sospetto stanno: il giuramento del capitano, la provata circostanza della violenza antecedentemente patita, ed a cui egli si era poco prima di quel momento sottratto; la ragionevolezza del suo racconto e Indi gli antecedenti relativi al carattere della have mercantile da lui comandata.

Né si allega che in quel ponto vi stesse ancora a bordo anche un solo ribelle.

Ammettiamo, a modo di argomentazione (benché sia questa aria quistione stata testé molto disputata fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America), ammettiamo che nelle circostanze del caso i bastimenti da guerra siciliani avessero il diritto di visitare (diritto distinto, come convien notarlo, dal diritto dì perquisire) in alto mare ed in tempo di pace il Cagliari, col solo ed unico fine di constatare la sua nazionalità (XXIII).

Io dico, senza tema di errare, che non si tosto che si era chiarito non solo dalla bandiera e dalle carte di bordo, ma eziandio per i noli antecedenti ed il cavaliere di quella nave, che la sua nazionalità era, bona fide, sarda (ciò che poteva subito verificarsi appena montati a bordo), veniva sicura mente, evidentemente ad aver termine la ristretta e dubbia autorità del bastimento siciliano (XXIV).

I diritti di visita e di prigionia sono diritti di guerra, la Sardegna e le Due Sicilie non erano in guerra.

Se credevasi di avere qualche motivo di lagnanza contro il Cagliari, è manifesln, giusta ogni principio di gius internazionale, che invece di catturare, come si fece, questa nave in piena pace ed in alto mare, la si doveva lasciar proseguire liberamente la sua strada, e poi proporre al Governo sardo i gravami che contro di essa si avevano, oppure darne istanza nanli ai tribunali ai quali solo spettava il giudicarne, cioè ai tribunali della potenza amica, e giova aggiungere, vicinissima, ai sudditi della quale ben si sapeva appartenere il Cagliari.

Prima di scostarmi da questa parte del nostro soggetto, io dovrei rispondere ad una obbiezione che venne fatta rispetto all'allegata insufficienza delle carte di bordo del Cagliari. A questo proposito la Memoria siciliana sostiene un errore madornale in punto ai precetti del diritto internazionale.

Non s’appartiene né coi né dovere, né come diritto agli Stati stranieri il vedere se la nave di un altro Stato abbia o non abbia tutte le carte che si richiedono dalla legislazione interna del paese da cui essa dipende.

Purché sia sufficientemente chiarita la nazionalità della nave, la nazione forestiera non ha diritto di cercar altro.

Nel caso nostro però il Cagliari aveva a bordo la patente, e ciò bastava per soddisfare ai requisiti della legislazione interna (XXV).

E qui non è per avventura fuor di luogo il notare che durante l'ultima guerra colla Russia, i tribunali delle prese della Gran Bretagna costantemente ricusarono di condannare, anche solo come buona preda, un bastimento legalmente catturato in alto mare, sul solo motivo che non avesse con sé tutte le carte volute dalla legislazione interna del proprio paese.

La proposizione messa innanzi dall’ufficio d'ammiragliato delle Due Sicilie che cioè, esso mancava delle carte necessarie di bordo, pel difetto delle quali è da qualificarsi pirata (XXVI) ;

Proposizione che, interpretata in correlazione colle circostanze del caso, viene a dire che «il Cagliari era un bastimento pirata, perché non aveva a bordo tutte quelle carte che sarebbonsi richieste dalla legislazione interna del suo paese;»

È una proposizione affatto nuova e piena di pericoli per tutti gli Stati commerciali.

E dunque chiarissimamente provato che né all’epoca in cui il Cagliari lasciò Genova, né al momento in cui venne preso, non era né in alto, né per intenzione, o per destinazione, impiegalo ad usi di pirateria.

Diffatti non ci vuol fatica a scorgere che il Governo siciliano capisce egli stesso che quest'accusa di pirateria non può reggere, poiché, prevedendone U, crollo, pone innanzi un'altra proposizione; proposizione, che io ardirei dirglielo in faccia, pecca contro ai primi elementi e la pratica riconosciuta del diritto delle genti.

Questa proposizione suona, che se il Cagliari non era egli stesso pirata, era diventato proprietà di pirati e come tale era stato catturato (XXVII)

lo non saprei in qual modo esprimere lo stupore che mi cagiona argomento siffatto. Ed invero la è una delle massime più trite e più certe della giurisprudenza internazionale, massima che scaturisce dallo stesso carattere e definizione della pirateria, che la cattura fatta da pirati non reca veruna mutazione legale alla proprietà, la quale continua a spettare al primitivo proprietario. Idque, così osserva Binkershock, est furia communi, quod apud omnes gente receptum est pirata dominium non mutare (XXVIII) .

Né fa tampoco d’uopo di notare, che non è nella competenza del Governo siciliano, benché egli sembri supporre il contrario, di alterare, con una definizione della pirateria inserita ne’ suoi Codici interni, la legge generale delle nazioni, in questo od altro punto su cui tutti gli Stati siano d’accordo, dato pure che tale modificazione possa aver forza per i sudditi di quel Governo.

Ma quando pure la legge siciliana fosse di qualche autorità al caso (ciò che non è), sarebbe impossibile di stabilire, stando ai principii di una qualunque regola riconosciuta d’interpretazione, che il Cagliari fosse compreso nella' categoria contemplata in quella legge col titolo di bastimenti appartenenti ai nemici del regno (XXIX) .

Ci resta ora' ad esaminare l’altro motivo col quale venne legittimata la presa del Cagliari, motivo che occupa la seconda parte del volume in folio sovra citato.

Questo motivo consiste in dire che il Cagliari fu preso come legittima preda in tempo di guerra e nell’esercizio dei diritti di propria difesa, spettanti alla Corona delle Due Sicilie, o, come si allega, vim vi repellendo.

Qui in primo luogo mi giova notare che sembrami cosa senza precedenti che si cerchi giustificar la cattura di un bastimento straniero, con due argomenti affatto disparati e contraddittorii, cioè allegando, in un luogo, virtualmente uno stato di pace e facendo un’accusa di pirateria, e nell’altro allegando uno stato di guerra e ponendo innanzi un diritto di preda.

Non so se sia maggiore la novità o la sconvenienza di questo modo di procedura, poiché col pretesto di ma doppia difesa o di un doppio attacco, che lo si voglia chiamare, gli argomenti che si riferiscono ad uno stato di cose vengono perpetuamente ad intralciarsi con altri che non vi hanno nulla che fare.

Ma in qual guerra mai era impegnata la Corona delle Due Sicilie!

No per certo in una guerra con un altro Stato; ma, ci si dice, in quel tal genere di guerra coi propri sudditi che Grozio chiama bellum miXtum

(XXX).

È questa una quistione gravissima e che sommamente importa a tutti gli Stati.

Bisogna, cred’io, concedere come cosa di fatto e di diritto, che vi esiste una specie di conflitto civile fra un Governo de iure ed un Governo de facto, quale conflitto assume le proporzioni e va collocato nel novera delle guerre regolari, e seco trae tutte le conseguenze di una guerra ne' suoi effetti rispetto a Stati stranieri.

Tale fu la guerra sorta dalle dissensioni civili che travagliarono l'Inghilterra nel 17 secolo; tale la guerra accesasi tra la Spagna ed i Paesi Bassi, che fu il fondamento della libertà della repubblica olandese (avvenimento, lo noterò di passaggio, che il Governo siciliano nei documenti da me esaminati considera come la sorgente di tutte le calamità che dappoi afflissero l'Europa) (XXXI).

Tale ih pure la guerra combattutasi fra l'Inghilterra e le sue colonie dell’America settentrionale sullo scorcio del secolo passato. Tale la guerra fra la Spagna e le sue colonie dell’America del sud nel presente secolo; tale la guerra cagionata dalla recente ribellione della Sicilia al Governo napoletana, ribellione a cui più di una volta s’allude in questi documenti.

Ma la ragione delle cose e l’usanza, queste due grandi fonti del gius internazionale, rendono manifesto corrervi una enorme differenza fra casi come quelli da noi citali, dove ebbervi giuste battaglie ed impiego di forze regolari da ambe le parti, ed una avventura isolata di una mano di ribelli, come lo fu quella di che presentemente si tratta, dei cospiratori di Ponza e di Sapri.

Confondere questi due stati di cose tanto distinti egli è un voler introdurre la massima confusione nelle relazioni internazionali, poiché se ad ambidue si attribuiscono quegli effetti nelle relazioni internazionali che nascono da una guerra sia per rispetto ai neutri come per rispetto alle parti guerreggianti, allora sarà in potere di pochissimi disperati, i quali colla violenza opprimano la ciurma di una nave mercantile ed aggrediscano il proprio loro paese, e benché poi siano ridotti alla ragione dagli agenti della polizia, sarà, dico, in loro potere il mettere a repentaglio le relazioni commerciali e la marineria mercantile di qualsiasi Stato neutrale.

Arrogo che, ove si ammetta questa nuova dottrina, allora si farà pur luogo alla dottrina delle intervenzioni, e le alleanze fra tali avventurieri e Stati esteri saranno poste sullo stesso piede che l’alleanza della Francia cogli Stati insorti dell’America Settentrionale contro la Gran Bretagna e colla quadruplice alleanza che intervenne negli affari della Spagna nel 1834.

Non v'è scrittore di vaglia, niun esempio giudiziario, nessun giurista, niuna usanza fra gli Stati che sancisca una estensione siffatta del bellum miXtum, la quale tornerebbe fatale non meno ai doveri de' neutrali che ai diritti dei guerreggianti.

Diffatti si concede quasi nel volume in folio da me esaminato che questo é un primo esperimento sui diritti delle nazioni (XXXII). .

Si fa forza per provare che il crescere dell'ateismo e della democrazia durante gli ultimi dieci anni rende assolutamente necessaria per la protezione del Governo siciliano una modificazione della dottrina del bellwn miXtum. Questo è infatti il fondamento su cui arditamente si sostiene la legalità della cattura del Cagliari, come preda di guerra. Ma sembra sia sfuggito all’attenzione del Governo napolitano che una sola nazione non è competente per lare una mutazione più o meno grave nel diritto delle genti.

Narra Wicquefort che il Ministero svedese avendo allegato le leggi di Svezia contro una domanda del ministro francese, Chamet (che così chiamavasi il ministro di Francia) «répondit que la loi de Suède ne pouvait pas abolir le droit des gens,» e soggiunge il dotto scrittore «ce qu’il faut bien remarquer contre les nouveauX politiques (XXXIII) ».

E tale è pure l’opinione di un altro pubblicista ancor più grande, lord Stowel, il quale, trattandosi di un caso in cui uno Stato cercava d’introdurre novazioni negli usi internazionali a pregiudizio di altri Stati, così si esprimeva: È mio dovere di non ammettere che, perché una nazione avrà creduto op portuno di scostarsi dall’uso generale del mondo e di farsi contro alle massime del genere umano con un procedere nuovo e senza esempio, io sia per ciò obbligati) a riconoscere la efficacia di tal nuova istitucione, per la sola ragione che potrebbe avere un certo grado di appoggio nella pura teoria, astrazion fatta da ogni pratica seguita dai primi tempi che ricordi la storia. La istituzione debb’essere conforme al testo delle leggi non meno che all’uso costante in quella materia. E se mi si accerta che prima dell'attuale guerra non si vide mai negli annali del genere umano massima di questa fatta e che viene messa fuori per la prima volta in questa guerra da una sola nazione, io non cerco altro per dichiarare che è debito della Corte il respingere tale massima come inammessibile (XXXIv)».

Ci si viene a dire che il procedere del Governo siciliano verso il Cagliari non è nuovo né senza precedenti, in quanto che la condotta della Francia (condotta a cui tributa molti elogi la Memoria siciliana) nel 1833, nel caso del Carlo Alberto, presenta un esempio affatto analogo.

Per buona ventura i fatti di questo precedente stanno stampati ed ognuno li può verificare.

Il Carlo Alberto, bastimento sardo, trasportò la duchessa di Berrvyed un certo numero de' suoi partigiani sulle coste presso Marsiglia collo scopo di suscitare una guerra civile in Francia. Il Carlo Alberto aveva carte false a bordo; contravvenne formalmente alle leggi di sanità e di polizia vigenti nelle acque giurisdizionali in cui fu incontrato.

Ma quale fu la decisione pronunciata dalla Corte di cassazione! Che la cattura del Carlo Alberto fosse legittima come preda, o come bastimento pirata? Né Cuna cosa né l’altra. Quel gran tribunale, presieduto dal signor Dupin, decise, e con tutta ragione, che la polizia francese aveva avuto il diritto di arrestare le persone che si trovavano a bordo di quella nave mercantile in territorio francese; in altri termini, che il diritto delle genti non affrancava una nave mercantile dalla visita della polizia, né impediva l’arresto dei cospiratori che vi stavano a bordo, ma la Corte espressamente rifiutò di condannare il Carlo Alberto come preda.

Questa semplice esposizione di fatti dimostra che l’invocalo caso del Carlo Alberto, questo precedente isolato, non è assolutamente di niuna autorità per la cattura del Cagliari ; anzi viene per contrario a condannarla.

S'insinua in qualche parte che il capitano dei Cagliari si è rivolto al tribunale napolitano evi patrocinala sua causa; ma è ovvio il notare che i diritti sostenuti dal Governo sardo sono diritti internazionali fondati su ragioni di ordine pubblico e che non possono venire per nulla invalidati dalle pratiche fatte da un individuo suo suddito in una circostanza qualunque, e molto meno poi in circostanze come le presenti.

Il Cagliari non poteva essere legittimamente catturato come preda fuorché in tempo di guerra aperta e riconosciuta; il diritto di preda e tutti gli accessorii ben noti che ne dipendono, appartengono alla parte guerreggiante e non già ad un Governo in pace.

Il Cagliari non era meglio passibile di condanna in virtù delle leggi di pirateria.

Ma vi sono altre circostanze nelle quali il Governo siciliano non ha tenuto verun conto delle norme del diritto internazionale.

Non parlerò della costituzione della così detta Corte delle prede; del modo in cui si procede agli esami; dell’ingiusta ed insostenibile proibizione colla quale s’impedì per lungo tempo al capitano di una nave straniera presa in alto mare di farsi assistere da un consulente legale. Ma io non posso a meno di notare che questa così detta preda di guerra è stata, come consta in modo positivo, ad un tempo medesimo il soggetto di un procedimento penale e di un procedimento politico: metodo questo affatto inconsistente col diritto internazionale intorno alle prede.

Leggo poi con non minore meraviglia nel dispaccio del ministro di Napoli, che il bastimento da. guerra spettante alla Corona delle Due Sicilie abbia il diritto di procedere, come lo farebbe un attore privato, per la condanna di un bastimento di un altro Stato, senza il consenso del suo Governo.

La verità, che chiara emerge, si è che tutte queste anomale innovazioni al prescritto dal gius delle genti sono la necessaria conseguenza del sistema adottato di applicare ad uno stato di pace le dure massime che una inesorabile necessità costringe a seguire nello stato passaggiero di guerra, e che il diritto internazionale limita strettamente a questo stato.

Ma è d’una importanza capitale per lutti gli Stati neutrali ed indipendenti lo star bene in guardia perché questi straordinari diritti dei guerreggianti non vengano ad invadere il campo delle ordinarie loro pacifiche relazioni.

Il caso del Cagliari è il primo tentativo di questa specie, ed io punto non mi meràviglio che il ministro britannico a Torino nel suo dispaccio» gennaio 1838 abbia espresso, come speranza del Governo britannico, che la Sardegna si opporrebbe ad un’ingiustificabile violazione dei diritti delle genti, chiedendo la restituzione del Cagliari, del suo carico e dell’equipaggio.

E per vero la Sardegna può aspettarsi a buon diritto di ottenere alla sua opposizione l’appoggio e la cooperazione di ogni Stato indipendente e specialmente di ogni Stato marittimo.

Doctors Commons, 5 marzo 1888.

vai su

(Traduzione)

ROBERT PHILLIMORE

PARERI DELL’AVVOCATO TRAVERS TWISS

Richiesto di esternare al Governo sardo la mia opinione intorno al punto se dai documenti datimi ad esaminare emergano sufficienti motivi in appoggio delle cattura e della di tensione della nave mercantile sarda il Cagliari per parte dei vapori di crociera di S. A. Siciliana, il Tancredi e l'Ettore Fieramosca, ho rivolto particolarmente la mia attensione agli atti della Commissione delle prede marittime di Napoli, ed all’atto di accusa proferito dal procurator generale di S. M. Siciliana contro il capitano è l'equipaggio del Cagliari nanti l’alta Corte criminale di Salerno. Dopo un allento esame di tutti i documenti mi è sembrato che gli atti suddetti forniscono i dati più essenziali per formarsi giusto criterio del carattere legale della pratica, giacché dai medesimi si desumono i fatti allegati dalle autorità siciliane, sia contro la nave, aia contro il capitano e l’equipaggio di essa.

Stando a questi documenti non può cader dubbio che il Cagliari fu catturato e ditenuto dagli incrocicchiatori siciliani nello stretto senso attribuito a tali parole dal diritto internazionale.

Al giornale di navigazione del Tancredi, stato prodotto nauti la Commissione delle prede, porge a questo riguardo evidente testimonianza contro i catturanti. Ecco, in sostanza, quanto vi sta registrato sotto la data del 29 giugno 1837:

«Alle 8 e 34 a. m. il Tancredi essendo all'ovest di Capri, distante miglia il circa, seguito dall’altra real fregata a vapore l’Ettore Fieramosca, che in quel momento trovavasi a circa, due miglia distante da noi, si è scoverto un vapore, che dalle acque di capo Licosa dirigeva con la macchina e con le vele fuori la punta ovest di Capri. Si è immediatamente diretto verso di lui, onde riconoscerlo, ed essendoci avveduti alle 9 e 12 che man mano accostava alla sua dritta, da noi si è diretto per tagliagli il cammino, ecc. In effetto poco dopo ci siamo assicurati essere un vapore genovese di commercio, e dai segni esterni sospettammo, fosse quello che da noi si doveva arrestare. Alle 10 a. m. essendoci avvicinati si è tirato un colpo di cannone a palla, fermando la macchina per chiamarlo all’ubbedienza: al che il sunnominato vapore avendo fermato la macchina ed imbrogliate le vele, si è imposto al capitano di venire al nostro bordo con le sue carte, intantoché una lancia armata in guerra fu spedita a bordo del vapore arrestato per eseguire una esatta perquisizione sul legno ed assicurarsi se vi fossero munizioni di guerra. A bordo del Cagliari si rinvennero una cassa aperta con cinquanta fucili, un’altra chiusa che si diceva contenere ben anche cinquanta focili, non che varie altre armi. ( 1)

« C’impossessammo quindi del bastimento che fo preso a rimorchio dall’attore Fieramosca, ed il capitano del vapore fu trattenuto a nostro bordo», ecc.

Tali sono le circostanze della cattura quali stanno descritte nel processo verbale di presa del Tancredi.

Le relazioni fattene dai comandanti dei legni di crociera ai loro superiori marittimi in Napoli, e state prodotte nanti la Corte, concordano pienamente colla narrazione del giornale. Né v’ha alcuna cosa nelle deposizioni del capitano Sitzia e di due individui del suo equipaggio, state parimente lette nanti la Corte, che contraddica alle relazioni dei catturanti per quanto concerne le circostanze ed il luogo della cattura. Le deposizioni del capitano Sitzia, che sembrano H risultamento degli interrogatori! cui venne assoggettato, giusta le prescrizioni della procedura in vigore per le prede, si limitano essenzialmente a spiegare gli avvenimenti di Ponza e di Sapri, e non si estendono a verun fatto posteriore alla partenza di quella nave da Sapri, ove si eccettui la interpellanza fattagli perché non avesse subito lasciato il porto di Sapri e non si fosse tostamente recato ad informare le autorità del continente.

La risposta a tale interpellanza fu che il suo equipaggio era stato costretto a scendere a terra e che egli non poteva mettersi in mare coi soli passeggieri a bordo.

Appare però dalle deposizioni di un medico, per nome Mascarò, il quale si trovava come passaggiero a bordo del Cagliari, e fu esaminato unitamente agii altri passeggieri nanti il magistrato di Napoli e la cui asserzione fa confermata dai suoi compagni, che il capitano del Cagliari nel salpare da Sapri disse loro che disegnava recarsi a Napoli per farvi il suo rapporto. Quel testimonio però non ha specificato se avesse inteso che il capitano volesse fare il suo rapporto alla legazione sarda ovvero alla polizia napoletana.

Comunque tale deposizione non fu presentata alla Commissione delle prede, né secondo le regole della procedura in materia di prede avrebbe potuto venir ammessa, sinché dalla Corte non si fosse aperta la via ai proprietari della nave di farvi le loro osservazioni.

Del resto la circostanza dell’essersi dichiarata dal capitano quella sua intenzione, sia che lo avesse fatto in buona fede o no, non poteva pregiudicare, né in favore dei proprietari, né in favore dei catturanti, il carattere legale della cattura per quanto spetta alla località in cui essa venne operata.

Risulta dunque, sia dagli atti prodotti nanti la Commissione delle prede, come dagli esami cui procedette la Corte, che gli incrocicchiatori stavano in alto mare quando scopersero il Cagliari, e che il Cagliari esso pure era in quel momento in alto mare e navigava verso occidente a distanza dalle acque napoletane, diretto per la estremità ponente del Capo di Capri, e che la cattura avvenne appunto quando il Cagliari ancora trovavasi in alto mare.

Le quistioni che nascono da questo concorso di fatti si restringono a ben poche ed in limiti ben determinati. L’inseguimento cominciò e la cattura ebbe luogo in alto mare, cioè in una situazione che è nullità territorium e dove nissuno Stato può pretendere né esercitare giurisdizione a titolo di sovranità locale. Uno Stato può ratione loci esigere l’osservanza delle sue leggi municipali od interne nelle sue acque territoriali per parte dei bastimenti e degli equipaggi di commercio di altre nazioni, quando questi uscendo dalle libere vie dell’Oceano contraggono nuove e speciali relazioni col sovrano nelle cui acque sono entrati. Ma in alto mare una nave non va soggetta ad altre leggi fuorché a quelle della sua propria nazione, delle quali fa parte il diritto marittimo generale, essendo questo comune a tutti gli Stati. Si è in questo senso diffatti che una nave viene quasi considerata come una estensione del territorio della nazione a cui essa appartiene, ed è questo il motivo per cui si può respingere ogni applicazione qualunque che vi si volesse fare delle leggi interne di un'altra nazione.

Stabilito cosi che la località in cui succedette la cattura del Cagliari era in alto mare, e che il locus in quo non conferiva agli incrocicchiatori siciliani verun diritto assoluto di prendere e sostenere un bastimento con bandiera mercantile di altra nazione, converrà esaminare sino a qual punto la cattura e la detenzione del Cagliari possano venire giustificate ratione personarum o ratione delicti. Un bastimento può essere legittimamente catturato in alto mare per infrazione alle leggi interne del proprio paese, o per violazione del diritto generale marittimo, che è parte del diritto delle genti.

Ma trattandosi di violazione delle leggi interne del proprio paese, il bastimento può solo essere catturato dalle autorità del suo sovrano, il quale è libero di conferirne la facoltà direttamente al comandante di una nave portante la sua bandiera, ovvero di delegarla indirettamente agli incrocicchiatori di un altro Stato, in virtù di trattali con quello Stato medesimo. Ove non vi esistano pertanto stipulazioni di trattati, i diritti della sovranità non ponno farsi valere in alto mare da altri che da incrocicchiatori appartenenti allo Stato, sotto alla protezione della cui bandiera naviga il legno di commercio.

La cattura del Cagliari non cade nell’applicazione di veruno dei principii summenzionati. 11 Cagliari navigava sotto la protezione della bandiera sarda, e le navi che lo catturarono erano per nazionalità siciliane. D’altra parte non vi esisteva trattato, veruno fra le corone di Sardegna e di Sicilia che autorizzasse un incrocicchiatore siciliano ad operare la cattura di una nave sarda in alto mare, per violazione delle leggi interne della Sardegna.

Ma potrebbe darsi che la cattura del Cagliari fattasi dai bastimenti siciliani fosse giustificata dal diritto marittimo generale, di cui gli incrocicchiatori pubblici di tutti gli Stati possono esigere la osservanza per parte dei legni privati.

Un bastimento da guerra tiene dal diritto delle genti la facoltà di verificare la bandiera di una nave privala in allo mare ed il diritto delle genti non concede a veruna nave privata di poter navigare se non è munita di appositi documenti che provino il suo diritto a spiegare la bandiera ch'essa porta.

Questa massima è affatto indipendente da qualsiasi regolamento speciale dello Stato, sotto la cui bandiera naviga il bastimento, e qualora un incrocicchiatore pubblico, visitando un bastimento privato in alto mare lo trovi mancante di quelle carte di bordo che sono richieste dal diritto marittimo generale per la verificazione della bandiera, esso può legalmente catturarlo e tenerlo nell’interesse della polizia generale dei mari. I proprietarii poi che avessero messo in mare un bastimento senza le carte necessarie di bordo, debbono sottostare alle conseguenze derivanti dal proprio loro fatto.

Ma il Cagliari non era passibile di cattura né di detenzione per difetto di carte di bordo. Le sue carte, in quanto lo esige il diritto internazionale, erano in piena regola, ed il capitano le produsse senza verun ritardo al comandante del Tancredi.

Visto che per parte dei proprietarii del Cagliari non s’era commessa infrazione al diritto delle genti per rispetto al modo nel quale essi misero in mare il loro bastimento, resta ad esaminare se per caso gli si potesse imputare qualche colpabilità atta a giustificarne la presa e la detenzione, per il modo in cui esso navigava, od in altri termini se il capitano e l’equipaggio hanno commessa qualche infrazione al diritto delle. genti dopo di essere usciti dalle acque sarde.

L’ onus probandi a questo riguardo incumbe ai catturanti. La relazione fatta da questi davanti ai loro proprii tribunali può essere considerata come la migliore esposizione dei motivi coi quali essi pretendono sostenere la legittimità della preda.

Pare che il procedimento intentato contro il Cagliari nanti la Commissione delle prede di Napoli consideri quella nave sotto il doppio carattere di pirata e di nemico, per la ragione ch’essa ha contravveuuto ai regolamenti sanitarii dell’isola di Ponza; che il suo equipaggio era sbarcato su quell’isola ed aveva combattuto contro le truppe di S. M. Siciliana; che alcuni malfattori emigrati ed altre persone in istato di ribellione contro la corona delle Due Sicilie erano venute col Cagliari a Sapri e vi avevano preso terra; che infine la nave stava ritornando a Ponza per imbarcarvi altri ribelli quando fu inseguita e presa dagli incrocicchiatori siciliani.

I catturanti chiesero che fossero applicate a questi fatti le leggi vigenti nel regno, le quali dichiarano buona preda ogni bastimento avente un carattere piratico od il quale abbia dato aiuto ai nemici della corona, e sostennero che il Cagliari doveva essere condannato per questi due capi.

Ora, secondo il gius delle genti, il delitto Ai pirateria è un delitto dì precisa e determinala specie, e per quanto possano variare le definizioni sn altri ponti, tutti gli scrittori di diritto marittimo concorrono» dichiarare che, secondo ii gius delle genti, la «pirateria consiste nella depredatone commessa in alto mare col mezzo della forza e coll’animo furandi. Pirata depraedator est in mari, et potest dici fur et latra mari» (Santenna, l. h, § SO). Piratae sunt latrones maritimi (Straccha). È lecito per vero ad ogni nazione il dichiarare pirateria un delitto qualunque; ma, per quatto un qualche delitto sia dichiarate pirateria dotte leggi di uno Stato, non ne consegue però che queste delitto possa essere considerato come atto di pirateria, giusta it diritto dette genti.

Dichiarando un dato delitto pirateria, uno Stato può autorizzare i suoi propri tribunali a punire i delinquenti soggetti alla sua interna legislazione, in quello stesso modo che i pirati sarebbero puniti, in virtù del diritto delle genti.

La tratta degli schiavi, per esempio, fa dichiarata da varii Stati pirateria; ma questi Stati possono solo applicare le pene comminate dalle loro leggi interne per tale delitto ai loro propri sudditi, ovvero ai sudditi di quegli altri Stati con cui vi esistessero trattati a questo fine.

Per conseguenza, sebbene la trasgressione delle leggi sanitarie del regno delle Due Sicilie possa essere punita come pirateria, in virtù delle leggi territoriali dello Stato, ciò nulla meno i bastimenti stranieri non sono passibili delle disposizioni di quelle leggi, salvo nel caso navigassero nelle acque siciliane.

Nello stesso modo gli altri delitti imputati ai Cagliari potrebbero essere puniti come pirateria, secondo le speciali disposizioni del Codice delle Due Sicilie; ma il Cagliari non poteva più andar soggetto alle prescrizioni di quel Codice dal momento che esso navigava nelle vie aperte a tutte le nazioni. Cosi pure non poteva essere giustamente catturato e ridotto in possesso dei catturanti per venir legalmente giudicato dai tribunali napolitani, còme colpevole di violazione di quel Codice.

Nelle sentenze delle Corti inglesi ed americane si possono trovare per verità certi casi che a prima vista sembrano contrastare alla massima che le navi di commercio non possono essere legalmente catturate in alto mare da incrocicchiatori stranieri, per violazione delle leggi interne dello Stato al quale appartengono gli incrocicchiatori. Per esempio la legge inglese contro i corsari (24, Giorgio III, cap. 47) e la legge degli Stati Uniti d’America contro la importazione degli schiavi (atto dei 1807) autorizzano gli incrocicchiatori nazionali a catturare qualunque nave di commercio a cui bordo si trovino certi carichi, anche fuori dei limiti dell’ordinaria giurisdizione marittima; dei bastimenti cosi catturati furono sottoposti a processo nanti i tribunali del catturante, e fu pronunciata contro di loro la sentenza di confisca.

Gli stessi ed altri statuti in materia di commercio autorizzano eziandio la cattura di navi che abbiano commesso qualche grave trasgressione nelle acque giurisdizionali, sebbene poi gli incrocicchiatori li raggiungano in alto mane. Ma queste leggi. valgono solo per giustificare l’operato dei catturanti innanzi ai tribunali dei loro proprio statole non conferiscono un diritto atto Stato dal quale emanarono contro la potenza estera sotto alla protezione detta cui bandiera il bastimento navigava a momento detta catturai qualora questa polenta non riconosca la latta iattura e ne chieda la restituzione.

Il signor giudice Story ha osservato nell’affare della Marianna Flora (11, Wheatons Reports, pag. 40) che lo stato, il quale per mezzo delle sue leggi interne autorizza i suoi incrocicchiatori a far simili catturo,. assume su di sé la responsabilità dalla esecuzione di tali leggi rimpetto alle potenze straniere, Diffatti la sola ragione per cui uno Stato possa avventurarsi a far eseguire tali sue leggi si è la sua fiducia nella cortesia dette nazioni (comity of nations ) in materia di commercio. Quindi esso altro non esercita in queste parte che una giurisdizione permissiva, e se un altro Stato porgesse richiami e si apponesse atta loro applicazione, esso. sarebbe obbligato a recedere da ogni pretesa di voler far eseguire quelle leggi. Nei noto affare per (ratta di schiavi contro il Louis (2, Dodson, pag. 246), lord Stowel allude ad un esempio di queste genero, cioè ad un editto svedese, il quale autorizzava gli incrocicchiatori di quello Stato a visitare i bastimenti stranieri jn alto mare entro, a certi limiti dichiarati come dipendenti dai porti svedesi.

Il Governo britannico si oppose. alla esecuzione di quella ordinanza, e la Svezia. fini per desistere detta sua pretesa. Diffatti nei casi ordinari, quando una nave mercantile vien presa per aver violate le. leggi di un altro Sfato in materia di commercio, si è il sovrano la cui bandiera fu violata che rinuncia al suo privilegio, ritenendo che la nave delinquente abbia agito mala fide contro, di quest’altro Stato con cui egli ba relazioni d’amicizia, e che siasi perciò resa immeritevole della sua protezione.

Ed in vero appartiene al solo sovrano, e non al proprietario del bastimento catturato, di rivendicare l’inviolabilità della bandiera; netto stesso modo che, un bastimento nemico venendo preso in tempo di guerra in acque neutrali, spetta allo Staio in cui territorio fii violato il far valere i diritti della neutralità, ed i proprietari del. bastimento non, possono invocarla per distruggere gli effetti della cattura. Nel caso attuale il re di Sardegna, la cui bandiera mercantile fu violata in alto mare, ha rivendicato il privilegio di questa bandiera e chiesta la restituzione del bastimento. Egli ha dovuto considerare, cosi facendo, che da tutto il corso, della pratica non risulta esservi stato caso alcuno di mala fides da parte dei proprietari, del capitano, e dell'equipaggio, e che il re delle Due Sicilie non può invocare i provvedimenti delle sue proprie leggi per esimersi da un richiamo fondato sul diritto internazionale.

Il caso del Carlo Alberto, del 1832, citato dai consiglieri legali della corona di Napoli, non contrasta per nulla coi principii legali che vennero qui sovra esposti. Il Carlo Alberto era un bastimento di commercio sardo che era stato preso a nolo a Livorno dalla duchessa di Berry collo scopo di recarsi essa stessa ed i suoi aderenti ad operare uno sbarco sulla costa di Francia. Quel bastimento salpò da Livorno portando con sé carte di bordo che gli davano Barcellona per luogo apparente della sua destinazione, e riuscì a sbarcare la duchessa ed i suoi partigiani vicino al porto di Marsiglia. Ciò fatto, il bastimento si rimise in mare e scostossi dalle acque francesi; ma, costretto dappoi per un guasto avvenuto nelle caldaie a ritornare indietro, approdò nella rada della Ciotat, e cosi venne a porsi da se medesimo entro ai limiti della giurisdizione territoriale della corona di Francia.

Capitano ed equipaggio furono in allora arrestati dagli ufficiali municipali di polizia e tradotti nanti un tribunale francese, sotto all'imputazione di avere violato le leggi interne della Francia.

La Corte di AiX ordinò fossero rimessi in libertà, opinando che il loro arresto si fosse operato in violazione del diritto delle genti. Ma la Corte di cassazione, pronunziando in appello, riformò la sentenza della Corte inferiore e condannò il capitano e l'equipaggio come colpevoli di trasgressione delle leggi interne della Francia, per aver preso parte ad una impresa contro la sicurezza dello Stato. Non s’intentò però verun processo di preda contro il bastimento, che sembra essere stato restituito ai suoi proprietari.

Si scorgerà d’un tratto che vi esiste una differenza notevole tra il Carlo Alberto ed il Cagliari, giacché l’equipaggio del primo di questi due bastimenti, quando fu arrestato, si trovava nella giurisdizione locale dello Stato di cui esso aveva violate le leggi interne, e per conseguenza le Corti ordinarie del paese erano competenti a giudicarlo per violazione di tali leggi, mentre all’incontro il Cagliari navigava in alto mare quando il suo capitano ed il suo equipaggio caddero in mano dei catturanti.

Ma nel suo giudizio la Commissione delle prede di Napoli non s’attenne totalmente al sistema accampato dai catturanti.

Da quanto sembra la Corte condannò il bastimento, non come nave pirata, ma come nave spettante al nemico.

In pari tempo condannò una parte del carico quale contrabbando di guerra, ordinando che il resto del carico stesso fosse restituito ai rispettivi proprietari. Insomma la Corte applicò alla cattura del Cagliari i principii di diritto da cui sono rette le quistioni di cattura in tempo di guerra. Ove si ammettesse adunque per un momento che le operazioni in cui trovossi implicata quella nave a Ponza ed a Sapri rivestissero il carattere di ciò che dai pubblicisti venne detto bellum miXtum, non v’ha dubbio che il capitano e l’equipaggio sarebbero passibili delle pene stabilite dal gius delle genti. Ma il capitalo ed equipaggio non vennero tradotti nanti l'alta Corte criminale di Salerno per delitto contro le leggi internazionali, ma per delitto contro le leggi interne delle Due Sicilie. Essi, cioè, sono accusati di complicità in un atto di alto tradimento, commesso da sudditi di S. M. Siciliana all’intento di mutare il Governo di quel paese, ed un tribunale, il cui officio si è di applicare le leggi interne, viene richiesto di dichiararli incorsi nelle pene comminate dalla sezione 123 del Codice delle Due Sicilie, la quale dice:

«È misfatto di lesa maestà e punito colla morte e col terzo grado di pubblico esempio l’attentato e la cospirazione che abbia per oggetto o di distruggere o di cambiare il Governo, o di eccitare i sudditi e gli abitanti del regno ad armarsi contro l'autorità reale.» Le pene cosi invocate contro il capitano e l'equipaggio del Cagliari sono, secondoché appare dallo stesso atto d’accusa, delle pene sconosciute al diritto internazionale, giacché il delitto medesimo di lesae maiestatis, che loro si appone, è un delitto non contemplato dal gius delle genti.

Ma, per tornare al giudizio della Commissione delle prede, è perfettamente chiaro (valendomi mutatis mutandis dello stesso linguaggio tenuto da lord Stowel nel giudizio da lui pronunziato nel caso del Louis (2 Dodson, pag. 246) e, dico, perfettamente chiaro che il Cagliari non poteva considerarsi quale pirata per un difetto qualunque di prova della nazionalità legalmente ottenuta. Esso apparteneva, non già a ladroni di mare, ma a sudditi sardi, come tali riconosciuti; esso aveva a bordo carte sarde e faceva notoriamente parte della marineria Mercantile di quel paese. Per imprimergli adunque il carattere di pirata bisogna necessariamente addurne a causa il suo impiego.

Sotto agli ordini de' suoi proprietari quella nave faceva il servizio di passeggieri e di merci da Genova a Tunisi toccando a Cagliari. Pel fa|to delle persone che sf trovavano a bordo, come si sostiene per parte del Governo delle Due Sicilie, essa servì di stromento ad un atto di alto tradimento contro lo Stato siciliano. Ora nessuno di questi impieghi può legalmente tacciarsi di pirateria, in modo a renderla possibile di cattura dovunque si trovasse come hostis humani generis.

Diffatti l’accusa di pirateria non fu menzionata nella sentenza. Si può dunque metterla in disparte come imputazione che la Corte stessa non giudicò ammessibile, giusta le risultanze del processo.

La condanna del bastimento sembra essersi fondata sul motivo che vi fu guerra di fatto fra il bastimento medesimo e la corona delle Due Sicilie. Ora, secondo Grozio, la guerra non consiste in un atto di ostilità, ma è lo stato, la situazione di coloro che sostengono una contesa colla forza delle armi. «Usus obtinet, ut non actio, sed status eo nomine indicetur, ita ut sit bellum Status per vim eertantium, quo tales sunt.» (Grotius, De bello et pace, lib. I, cap. I. )

Stando a tale definizione sembra difficile a capirsi come mai si possa applicare alla cattura del Cagliari alcuna delle dottrine riflettenti lo stato di guerra. Eravi amicizia fra le due corone, né vi fu querela combattuta coll’armi fra le due navi. Il Cagliari si arrese senz'altro alla prima ammonizione che gli venne fatta; né il capitano, né la ciurma opposero resistenza di sorta; nessun atto di ostilità fu da loro commesso contro gli incrocicchiatori. Per ciò che riflette adunque la condotta del capitano e della ciurma del Cagliari rimpetto agli incrocicchiatori, nulla vi fu che non si concilii pienamente con uno stato di pace. Sostiensi però dai catturanti che gli attentati commessi dai rivoltosi a Ponza ed a Sapri costituiscono uno stato di ostilità, pendente il quale il Cagliari diventò legalmente preda di guerra; in altri termini che il Cagliari era infettato del delitto di rivolta; che tale rivolta oltrepassava le proporzioni di una insurrezione cui bastassero a reprimere le autorità civili col concorso di una qualche forza armata, e che aveva pigliato in sostanza il carattere di una guerra civile.

Ora è in facoltà di ogni Stato, messo in pericolo da una ribellione, il proclamare la legge marziale. Esso può far uso de' suoi mezzi militari per soffocare un'insurrezione armata troppo forte per essere spenta dall’autorità civile. Egli può eziandio, proclamando la legge marziale, costituire uno stato di guerra, durante il quale l’autorità sovrana può ricorrere ai diritti ed agli usi della guerra per difendere se stesso ed annientare una illegittima opposizione (Luther v. Borden; 7, Howard'& Reports, p. 46). Ma un turbamento passaggiero della pace di un paese, per quanto sia violento al momento in cui succede, non è però tale fatto che la sentenza giudiziale di una Corte possa in seguilo attribuirvi il carattere dello stato di guerra, per modo che la proprietà ed i sudditi di un altro Stato, catturati in alto mare nel tempo di quello sconvolgimento, ne abbiano a risentire gli effetti, e si possano applicare loro le gravi conseguenze che il gius delle genti consente rispetto alla proprietà di nemici catturata in alto mare durante la guerra.

Vattel, al lib. III, cap. XVlII, pag. 292, stabilisce una distinzione fra la guerra civile e la ribellione; quale distinzione in ciò consiste che «nella prima i malcontenti hanno qualche ragione d’impugnare le armi, mentre la seconda altro non è che una insurrezione contro l’autorità legittima, senza che vi esista veruna apparenza di giustizia. — «Il sovrano, dic’egli, non può a meno di chiamar ribelli i sudditi che a lui resistono; ma quando questi sono abbastanza forti per fargli testa ed obbligarlo a venire con loro a guerra regolare, egli allora deve risolversi ad accettare l’espressione di guerra civile.

Ma sarebbe inutile lo estendersi maggiormente su questo soggetto. Il Governo delle Due Sicilie ha deciso di considerare la rivolta come un atto di ribellione contro lo Stato, e di processare i rivoltosi secondo le leggi criminali ordinarie, come colpevoli di alto tradimento. Egli ha involto nello stesso processo criminale il capitano e l’equipaggio del Cagliari come complici nell’attentato di cospirazione per mutare il Governo del paese.

Il procuratore generale del re delle due Sicilie ha cercato nauti la Commissione delle prede di conciliare l’azione civile contro la nave coll’azione criminale contro il capitano e l’equipaggio, allegando esistervi fra un bellum miXtum ed un bellum publicum la distinzione seguente: cioè che quando il bellum miXtum è terminato rinasce il tua imperii di punire quelli che vi hanno presa parte, e può tale diritto esercitarsi dal sovrano; mentre trattandosi di bellum publicum il ristabilimento della pace trae seco urna generale amnistia.

È ovvio tuttavia che il ius imperii può spettare al sovrano unicamente verso i proprii sudditi. Il ius imperii non può in verun modo applicarsi ai sudditi di un altro stato, contro questi ultimi i diritti fondati sullo stato di bellum miXtum cessano col cessare dei fatti che porsero occasione ad esercitarli.

Cosicché, dato pure che terminato il bellum miXtum il sovrano possa infliggere a quelli de' suoi prigionieri, che sono suoi sudditi e gli debbono ubbedienza, le pene comminate dalle sue leggi interne per certi delitti commessi in tempo di pace, proposizione però che ripugna con tutte le massime del bellum miXtum, il quale va ben distinto dal tumulto civile, la teoria che fa rivivere il ius imperii dopo terminata la guerra non può estendersi al capitano ed all’equipaggio del Cagliari, i quali erano de iure sudditi della corona di Sardegna e de facto non si trovavano sotto alla giurisdizione del re delle due Sicilie.

Dall’esame pertanto il più accurato che per me si potesse fare di questa importantissima quistione, la quale ridotta ai suoi più semplici termini involge non poche difficoltà di diritto, ma che fu resa più imbrogliata ancora dagli atti giuridici cui procedettero le autorità siciliane dopo la cattura, io son tratto a conchiudere che, secondo le circostanze riferite nel giornale dei catturanti, la cattura del Cagliari non poteva essere giustificata col diritto delle genti, il quale è la sola legge che possa autorizzare gl’incrocicchiatori di una potenza sovrana ad arrestare e confiscare in alto mare una nave mercantile che navighi sotto la protezione della bandiera di un altro sovrano.

Il diritto di chiedere la restituzione del bastimento non che del capitano e dell’equipaggio per avvenuta violazione della bandiera compete al sovrano la cui bandiera fu violata. Nel caso però la Corte criminale di Salerno condannasse il capitano e l’equipaggio in virtù della sezione 123 del Codice penale delle Due Sicilie, ed i Governo siciliano volesse far subire all’equipaggio del Cagliari le pene comminate dalle sue leggi interne, se nell’equipaggio si trovassero individui appartenenti ad altra potenza straniera in fuori della Sardegna, sarebbe lecito a questa potenza l’intervenire in favore de' suoi sudditi pel motivo che, attese le circostanze della cattura, le leggi interne non si possono legalmente far valere contro di essi.

Io non chiuderò tuttavia questo mio parere, nel quale son venuto esponendo ciò che mi pare lo stretto diritto applicabile al caso del Cagliari, senza accennare ad un inconveniente, cui forse sembrerebbero poter dar luogo le condizioni stesse del diritto, che cioè ano Stato si trovi impotente a reprimere o punire attentati commessi sulle sue coste da navi aventi bandiera di un altro Stato, e che non costituiscano il delitto di pirateria, se bastasse a queste navi il salvarsi per tempo in alto mare, prima che fossero colte dagli incrocicchiatori dello Stato.

Questa anomalia però, che in pratica è piuttosto ideale che reale, trova il suo rimedio nella cortesia delle nazioni, la quale tempera gli stretti termini del diritto internazionale, a quello stesso modo che nelle cause civili la equità tempera l’applicazione delle massime della legge positiva.

Il privilegio della bandiera, come già si è osservato, è un privilegio dello Stato, e quando vi è mala fide nei malfattori, lo Stato rinunzia per cortesia al suo privilegio, e cessa di tenere sotto l’egida della sua nazionalità i suoi sudditi, ma o permette che lo Stato offeso vendicherei mezzo de' suoi proprii tribunali la violazione delle sue leggi, oppure gli porge mezzo di ottenere riparazione contro i delinquenti nanti i tribunali del loro proprio paese, se in qualche modo essi sono passibili di pena per avere violate le proprie loro leggi.

Doctors Commons, 33 marzo 1858.

vai su

(Traduzione)

Travers Twiss.

APPENDICE

1
Estratto di dispaccio del 20 ottobre 1857, del conte Di Gropello al conte Di Cavour

Per tenerla ragguagliata 'su quanto concerne la vertenza del Cagliari, mi onoro di trasmetterle copia di nota del signor commendatore Carafa, colla quale mi notifica che infine si daranno al capitano Sitzia alquanti suoi effetti d'uso. B l’equipaggio, quando mai perverrà ad ottenerli?...

Firmato: Gropello.

2
Nota del commendatore Carafa al conte Di Gropello

Napoli, 17 ottobre 1857.

Il sottoscritto, incaricato del portafoglio degli affari esteri, si reca a premura manifestare al signor conte Di Gropello, incaricato di affari di S. M. Sarda, in continuazione della precedente corrispondenza, che dal direttore di giustizia gli è stato ora comunicato aver la Corte civile di Salerno ordinato, con apposita decisione, di restituirsi ad Antonio Sitzia diversi Oggetti di biancheria ed effetti di sua proprietà, delegando all'oggetto il signor giudice istruttore Pignatelli, al quale sono state già passate le analoghe prevenzioni per lo adempimento, nonché al Direttore di Marina.

Lo scrivente si vale intanto dell'opportunità per ripetere al signor conte le proteste della particolare considerazione.

Firmato: Carafa.

3
Estratto di dispaccio del conte Di Gropello a S. E. il signor conte Di Cavour

Napoli, 26 Novembre 1857.

Eccellenza

Sabbato scorso 21 corrente arrivava in Napoli il sig. Park, padre dell'infelice macchinista, che da più mesi è ditenuto prigione nelle carceri napoletane in seguito dei falli di Ponza e di Sapri.

Il conte Clarendon ordinò al vice-console: Barbar di rinnovare gli uffici necessarii nel modo il più pressante onde al padre Park venisse accordalo il permesso di recarsi a Salerno a visitare il figlio ditenuto ed instare eziandio fortemente onde egli stesso (signor Barbar) potesse accompagnarlo colà.

Il signor Barbar interpose presso il signor Carafa le pratiche opportune, e questi, presi gli ordini di S. M., rispose che ad ambedue era concesso di visitare i due detenuti inglesi.

Ieri adunque costoro si recarono in Salerno e dopo molte formalità vennero introdotti alla presenza dei due macchinisti.

Ieri sera io venni informato del fatto, e subito questa mane mi recai dal signor Barbar per avere da lui esatte nozioni sul risultato della sua visita alla prigione di Salerno.

Il signor Barbar mi disse che trovò i due macchinisti inglesi in tristissimo stato e nella disperazione per la tanto prolungata prigionia. Appena il figlio Park vide suo padre svenne per ben due volle e l’agitazione del sistema nervoso era tale che quasi vaneggiava.

Il signor Barbar vide pur anco il capitano Sitzia e gli altri sudditi sardi che formavano l’equipaggio del Cagliari. Più triste e miseranda è la sorte di costoro. Si lamentavano tutti di soffrire la fame ed il freddo, mentre i denari che manda la Compagnia corrispondente della casa Rubattino non sono sufficienti a provvedere abbastante villo per tutti, e mentre, dolorosa cosa a dirsi! sono tuttora vestiti con quegli abiti di estate che portavano al momento del loro arresto.

Il capitano Sitzia e l’equipaggio quando videro il console inglese speravano che a lui tenesse dietro quello di S. M.; ma, delusi nella loro fiducia, esposero piangendo le loro lagnanze al signor Barbar onde me le facesse conoscere ed implorasse per loro la protezione del Sovrano a cui appartengono. Dissemi Barbar che il cuore gli si schiantava in petto nel vedere la miseranda situazione di quegl’infelici che chiedevano pane ed abili.

Dopoché io ebbi appreso dal signor Barbar le cose più sopra esposte, corsi dal commendatore Carafa coll’animo compreso dalla più viva indignazione; ma, temperando la mia emozione, mi limitai ad instare presso di lui onde la medesima facoltà che era stata accordala al console inglese venisse concessa a quello di S. M., mentre ora non poteva esservi più nessun ostacolo. Lo pregar caldamente di voler prendere in seria considerazione lo stato di quegl’infelici che stanno in questa invernale stagione coi pochi abili che un marinaio porla addosso nell’estate quando è di servizio. Gli rinnovai infine le sollecitazioni più calde perché volesse interessarsi per ottenere a quei sudditi il miglior trattamento possibile.

Il signor commendatore Carafa mi disse che, riguardo al primo punto, avrebbe subito sollecitalo gli ordini di S. M., e che rispetto ai due ultimi non avrebbe mancato di tenerne parola col Direttore di Grazia e Giustizia, perché da questi si diano le disposizioni che crederà opportune.

Firmato: Gropello.

4
Lettera del signor commendatore Carafa al conte Di Gropello del 27 novembre 1857

Signor Conte,

Mi è grato poterle annunziare, che Sua Maestà il Re, mio augusto signore, si è degnata annuire ai desiderii da lei manifestati con ordinare che venga permesso al Console, suo dipendente, di visitare i suoi connazionali, detenuti nelle prigioni di Salerno, osservate ben vero le formalità dai regolamenti prescritte.

Di tutto ho dato oggi stesso comunicazione al Direttore di Giustizia per gli effetti di risulta.

Profitto del rincontro per rinnovarle i sentimenti della particolare considerazione, con la quale mi pregio di essere

Firmato: Carafa.

5
Estratto di dispaccio del conte Di Gropello al conte Di Cavour del 1° dicembre 1858.

Eccellenza,

Siccome avrà rilevato dalla copia di lettera del signor commendatore Carafa, in data del 27 p. p, ed acchiusa al mio ultimo rapporto, era fatta facoltà al signor Fasciotti, Console di Sua Maestà, di recarsi in Salerno per visitare i sudditi sardi colà detenuti. Questo agente consolare, si affretti di avvalorai dell’autorizzazione ed il 29 dell’ora decorso mese si recò in quella città, ed ivi visitò il capitana e l’equipaggio del Cagliari.

Il signor Fasciotti avrà l'onore di fare a. V. E. particolareggiato rapporto sulla sua visita a Salerno, e creda non sarà gran fatto diverso da quello che annunziai essermi stato esposto dal viceconsole inglese.

Firmato: Di Gropello.

6
Estratto di dispaccio del Console di Sua Maestà a Napoli al conte Di Cavour, in data 30 novembre 1857

Facendo seguito al mio rapporto n° 39 del 27 cadente, sulla situazione dell’equipaggio del Cagliari, ho l’onore di rassegnarle che ieri, come già aveva annunziato a V. E., mi recai a Salerno in compagnia del regio viceconsole, ed entrambi furono introdotti nelle carceri dove trovansi detenuti i rimanenti 9 individui dell’equipaggio in parola.

Trovai che al giorno d’oggi essi sono collocati in due buone camere lucide ed ariose, dove respirano l’aria pura, con mediocri letti ed il necessario.

Interrogato il capitano Sitzia mi fece conoscere che erano prima d’ora riposti in luoghi angusti ed incomodi; ma che dietro i suoi reclami, quel procuratore generale del re aveva loro fatto assegnare il locale, dove ora si trovano tutti riuniti, del quale mostransi contenti. È vero però che mancano d’abiti per ripararsi dal freddo e togliersi di dosso oggetti sucidi e fatti laceri, dopo cinque mesi di carcere; ma pare che questo Governo siasi finalmente penetrato dei loro urgenti bisogni perché ba disposto che siano restituiti gli effetti d’uso a tutti gl’individui dell’equipaggio, ed oggi appunto debbo recarmi a bordo del Cagliari di unita alla Commissione delle prede marittime per procedere colle formalità d’uso al ritiro degli accennati effetti, i quali, appena ricevuti, li rimetterò a Salerno. .

I pessimi trattamenti ricevuti dal Sitzia e dalla sua gente di cui trattenni V. E. sulla relazione del console inglese, si riferiscono, al dire di esso capitano, al tempo che rimasero detenuti in Castel Capuano, dove erano effettivamente oppressi in ogni maniera, tanto rapporto al vitto, che al malsano alloggio, ed al barbaro modo con cui furono condotti a Salerno con manette di farro, e legati con doppia fune intorno al tronco, e su di ciò tutti mi fecero i piò lamentevoli rapporti.

Attualmente però, in ordine al vitto, tra quel che passa il Governo e la sovvenzione che ricevono dalla casa Di Lorenzo e Compagnia per conto Rubattino, ogni marinaro viene ad avere presso a poco la tenue somma di centesimi 60 al giorno, ma con ciò non possono al certo supplire a tutti i bisogni della vita.

Firmato: G. Fasciotti.

7
Estratto del dispaccio del conte Di Gropello al conte Di Cavour dell’11 marzo 1858.

Continuano innanzi alla Gran Corte di Salerno gl’interrogatorii degli sbarcati a Sapri. Martedì dell'entrante settimana finirà l’esame degli interrogatorii, e mercoledì comincieranno le prove testimoniali. L’avvocato della compagnia Rubattino che mi diè questi ragguagli mi accertò che dai precitati esami risultò gran copia di argomenti a discarico del capitano e dell’equipaggio, i quali nel processo scritto ridondavano a loro danno, per modo che l’accusa ne riuscì ora di molto sgagliardita.

Grandissima parte degli imputati che avevano deposto contro il capitano, disdissero le loro deposizioni, spiegando che quando essi nei loro costituti nominarono il capitano intendevano parlare del capitano comandante generale Pisacane, e non di Silzia che non conoscevano punto.

Tra gli altri molti casi di simil specie è degno di noia quello del facinoroso Eugenio Lombardi, infermo molto aggravato, il quale avendo disdetto tutto quanto manifestò contro il capitano Sitzia, chiesto del perché smentiva le sue deposizioni, e richiamato dal P. M. specialmente sull’atto di affronto col capitano Sitzia, accaduto sull’Ettore Fieramosca, rispose che per verità egli non poteva sapere ciò che era accaduto sul Cagliari da Ponza a Sapri, perché molto ammalato discese sotto coperta, appena giunse a bordo, e non risalì sul ponte che per sbarcare a Sapri; che perciò non aveva nemmeno potuto conoscere il capitano del vapore; che se si trova scritto diversamente è perché l’uffiziale scriveva quel che voleva, e perché avvicinatoglisi con un individuo, di cui si trova avergli dato i connotati, gli rivolse la parola, dicendo: Questi è il comandante del vapore il capitano Silzia, questi è quegli che distribuiva le armi, ecc. ecc., per cui essendo egli infermo ed atterrito rispose di si, credendo che l’uffiziale avesse detto il vero.

Moltissimi degli sbarcati a Sapri protestarono contro le immani ferocie delle guardie urbane; ma il P. M. si. oppose a che se ne facesse menzione nel verbale, asserendo che ciò era inutile, non interessando punto la causa; e che d’altronde era effetto di un concerto precedente onde screditare la forza pubblica.

firmato: G. Di Gropello.

NOTE

I Nota precedente del 8 agosto 1887.

II Nota precedente del 31 luglio 1887.

II Dispaccio antecedente del 14 agosto 1887.

IV Presenti in Consiglio il conte Federico Sclopis, presidente, il conte Sauli, il commendatore Mercier, il cavaliere C. BarbarouX, il cavaliere Gaetti-De Angeli, il cavaliere Mancini, il cavaliere Carutti, consigliere segretario.

V Azuni, Dizionario universale ragionalo della Giurisprudenza mercantile, voc. Preda e predatore, 5 : Non esigendosi da un capitano di nave mercantile la stessa bravura e coraggio che si vuole in quello di una nave armata in guerra, ne viene in conseguenza clic, incontrandosi egli col nemico, e, conoscendosi di forza inferiore, ammaini tosto le vele e la sua bandiera, non si renda perci biasimevole, n sia da condannarsi la di lui condotta in guisa a renderlo risponsahile dei fatti accaduti, salvoch si provasse la negligenza e poltroneria del medesimo ell'essersi lasciato pre dare quando potea resistere al nemico e liberarsene.

VI Deposizione di Francesco Gallo, rilegato di Ponza per cattiva condotta come soldato, liberato poi dai rivoltosi.

VII Nel Discorso per Intendenza generale della regia marina di Napoli si legge a pagina 1: Nel momento della giunzione, il Tancredi rilevava la punta ovest di Capri per n 1 0., alla distanza di un dieci miglia dalle bocche piccole per n 8 N. E. miglia tredici in distanza e dalla citt di Salerno per n53 0., 0 miglia lontano.

VIII Wheaton, Elments de droit International (II partie, chap. iv), dove si riassumono le dottrine dei precedenti scrittori di diritto pubblico sovra tale punto. V, rispetto a Napoli in particolare: De Cuss, Phases et causes cbres du droit maritime des nations, tom. ( er), pag. 9.

IX Vattel, Droit des gens, liv. III, chap. VII, 114. Vedi anche le Regie Patenti del 13 febbraio 1827.

X Delle quali tanto si parla nel discorso del signor Ferdinando Starace, pag. 146.

XI Vedi la legge francese del 10 aprile 182, colla discussione che la precedette.

XII Vedi Merlin, pertoire universel et raisonn de jurisprudence ad v.

XIII V. art. 184 delle Regie Patenti 13 gennaio 1827, portanti Regolameno per la marina mercantile Sarda Art. 178 del Codice di procedura di Napoli.

XIV art. 97 delle Regie Patenti 13 gennaio 1827, colle quali si stabilisce e si manda osservare la legge penale per l marina mercantile, colpisce di pena pecuniaria e di prigionia i capitani patroni di bastimenti che navigano essendo mancanti dalcuna delle prescritte carte di bordo; ma non va pi in l

XV art. 72 delle suddette Regie Patenti sulla legge penale considera come pirata qualunque individuo faciente parte dellequipaggio di un bastimento armato che navighi senza essere od essere stato munito pel viaggio dalcuna carta constatante la legittimit della sua spedizione.

XVI Del diritto alle prede ed alle riprese nelle guerre miste: avviso del Consiglio delle prede marittime e dei naufragi, il di 12 di giugno 1847, nella causa tra r Intendenza generale della regia marina e la Compagnia della navigazione a vapore del regno delle Due Sicilie, in ordine alla cattura del piroscafo di ferro il Vesuvio, pagine 82-83.

XVII Verbum illud pertinere latissie patet, nam et eis rebus petendis aptum est, quae dominii nostri sint, et eis quas iure aliquo possideamus, quamvis non sint nostri dminii; pertinere ad nos etiam ea dicimus quae in nulla eorum causa sint, sed esse possint. (L. 181 Dig. De verb. s.)

XVIII Pagina 114 del discorso del signor Ferdinando Starace.

XIX Tome ( er), page 51

XX Vedi la nota a pag. 61.

XXI Vedi a pag. 63, 73 e 69. 13

XXII Wheaton, mens du droit internaional, quarime partie, cap. XI, 16.

XXIIIVedi WHEATON, Ricerche intorno alla legalità della pretesa dell'Inghilterra di aver diritto di visitare e perquisire navi americane sospette di fare il traffico degli schiavi. Londra, 1842.

PHILLIMORE, Diritto internazionale, vol. II, pag. 420.

XXIV

Il cancelliere Kent dice:

«La visita reciproca dei bastimenti su mare si riferisce al diritto della propria difesa, ed in fallo è praticata dalle navi da guerra di tutte le nazioni, non escluse quelle degli Stati Uniti, quando il bastimento è sospetto di pirateria.

«Il diritto di visita è ammesso unicamente allo scopo di certificare il vero carattere nazionale della nave che naviga in circostanze sospette, ed è totalmente distinto dal diritto di perquisizione. Perciò la suprema Corte degli Stati Uniti lo ha chiarato diritto di approccio, e lo si ritiene fondato sui principii del diritto pubblico e sull'uso delle nazioni.» (Kent, Comm., Vol. 1, pag. 184, nota 6.) = PHILLIMORÉ, Diritto internazionale, vol. III, pag. 423-4.

XXVVedi pag. 194 della Difesa del Cagliari, dove questo punio è chiarissimamente accertato.

XXVIVedi il volume in folio. Per la intendenza generale della real marina, pag. 209.

XXVIIVolume in folio, pag. 114.

XXVIIIBINKERSHOEK, Quaest. jur. pub., lib. 1, c. XIII.

Vedi pure GROTIUS, De iure belli et pacis, I. III, cap IX. s. 16:. «Et quae piratae aut latrones nobis eripuerunt non opus habent postliminio, ut Ulpianus et Javolenus responderunt; quia ius gentium illis non concessit ut ius domini mutare possint.»

XXIXVedi volume in folio, pag. 97, in cui si cita l'articolo 1 della legge sulle prese marittime del 12 ottobre 1807.

XXX Grozius, De iure belli et poeta, 1. 1, cap. tu.

«Publicum bellum est quod auctore eo geritur qui iuris dictionem habet: privatum quod una eX parte est publicum, eX altera privatum.»

XXXI Pag. 99 e 108 del volume in folio.

XXXII Pag. 108-9. Ma nei tempi posteriori nei quali sembra che lo spirito indomabile del secolo incessantemente si travagli a fondare un culto superstizioso al funesto consorzio dell teismo e della demagogia, le regole dottrinarie debbono ammodernarsi, e piegare alle esigenze della imperiosa necessità che consiglia la legittimità della preda, anche nei gravi primordi della guerra misto. (Per la intendenza generale, pag, 109).

XXXIII Wicquefort, L'ambassadeur et ses fonctons, tom. I, pag. 416.

XXXIN The Flad Oyen 1, Robinson, Rep., pag. 140.



vai su







Pisacane e la spedizione di Sapri (1857) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito
1851 Carlo Pisacane Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49
HTML ODT PDF
1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. I HTML ODT PDF
1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. II HTML ODT PDF
1860 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. III HTML ODT PDF
1860 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. IV HTML ODT PDF

1849

CARLO PISACANE Rapido cenno sugli ultimi avvenimenti di Roma

1855

La quistione napolitana Ferdinando di Borbone e Luciano Murat

1855

ITALIA E POPOLO giornale politico Pisacane murattisti

1856

Italia e Popolo - Giornale Politico N. 223 Murat e i Borboni

1856

L'Unita italiana e Luciano Murat re di Napoli

1856

ITALIA E POPOLO - I 10 mila fucili

1856

Situation politique de angleterre et sa conduite machiavelique

1857

La Ragione - foglio ebdomadario - diretto da Ausonio Franchi

1857

GIUSEPPE MAZZINI La situazione Carlo Pisacane

1857

ATTO DI ACCUSA proposta procuratore corte criminale 2023

1857

INTENDENZA GENERALE Real Marina contro compagnia RUBATTINI

1858

Documenti diplomatici relativi alla cattura del Cagliari - Camera dei Deputati - Sessione 1857-58

1858

Difesa del Cagliari presso la Commissione delle Prede e de' Naufragi

1858

Domenico Ventimiglia - La quistione del Cagliari e la stampa piemontese

1858

ANNUAIRE DES DEUX MONDES – Histoire générale des divers états

1858

GAZZETTA LETTERARIA - L’impresa di Sapri

1858

LA BILANCIA - Napoli e Piemonte

1858

Documenti ufficiali della corrispondenza di S. M. Siciliana con S. M. Britannica

1858

Esame ed esposizione de' pareri de' Consiglieri della corona inglese sullaquestione del Cagliari

1858

Ferdinando Starace - Esame critico della difesa del Cagliari

1858

Sulla legalità della cattura del Cagliari - Risposta dell'avvocato FerdinandoStarace al signor Roberto Phillimore

1858

The Jurist - May 1, 1858 - The case of the Cagliari

1858

Ricordi su Carlo Pisacane per Giuseppe Mazzini

1858

CARLO PISACANE - Saggi storici politici militari sull'Italia

1859

RIVISTA CONTEMPORANEA - Carlo Pisacane e le sue opere postume

1860

POLITECNICO PISACANE esercito lombardo

1861

LOMBROSO 03 Storia di dodici anni narrata al popolo (Vol. 3)

1862

Raccolta dei trattati e delle convenzioni commerciali in vigore tra l'Italia egli stati stranieri

1863

Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

1863

Giacomo Racioppi - La spedizione di Carlo Pisacane a Sapri con documenti inediti

1864

NICOLA FABRIZJ - La spedizione di Sapri e il comitato di Napoli (relazione a Garibaldi)

1866

Giuseppe Castiglione - Martirio e Libert࠭ Racconti storici di un parroco dicampagna (XXXVIII-XL)

1868

Vincenzo De Leo - Un episodio sullo sbarco di Carlo Pisacane in Ponza

1869

Leopoldo Perez De Vera - La Repubblica - Venti dialoghi politico-popolari

1872

BELVIGLIERI - Storia d'Italia dal 1814 al 1866 - CAP. XXVII

1873

Atti del ParlamentoItaliano - Sessionedel 1871-72

1876

Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

1876

Gazzetta d'Italia n.307 - Autobiografia di Giovanni Nicotera

1876

F. Palleschi - Giovanni Nicotera e i fatti Sapri - Risposta alla Gazzettad'Italia

1876

L. D. Foschini - Processo Nicotera-Gazzetta d'Italia

1877

Gaetano Fischetti - Cenno storico della invasione dei liberali in Sapri del 1857

1877

Luigi de Monte - Cronaca del comitato segreto di Napoli su la spedizione di Sapri

1877

AURELIO SAFFI Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini (Vol. 9)

1878

PISACANE vita discorsi parlamentari di Giovanni Nicotera

1880

Telesforo Sarti - Rappresentanti del Piemonte e d'Italia - Giovanni Nicotera

1883

Giovanni Faldella - Salita a Montecitorio - Dai fratelli Bandiera alladissidenza - Cronaca di Cinbro

1885

Antonio Pizzolorusso - I martiri per la libertࠩtaliana della provincia diSalerno dall'anno 1820 al 1857

1886

JESSIE WHITE MARIO Della vita di Giuseppe Mazzini

1886

MATTEO MAURO Biografia di Giovanni Nicotera

1888

LA REVUE SOCIALISTE - Charles Pisacane conjuré italien

1889

FRANCESCO BERTOLINI - Storia del Risorgimento – L’eccidio di Pisacane

1889

BERTOLINI MATANNA Storia risorgimento italiano PISACANE

1891

Decio Albini - La spedizione di Sapri e la provincia di Basilicata

1893

L'ILLUSTRAZIONE POPOLARE - Le memorie di Rosolino Pilo

1893

 MICHELE LACAVA nuova luce sullo sbarco di Sapri

1894

Napoleone Colajanni - Saggio sulla rivoluzione di Carlo Pisacane

1905

RIVISTA POPOLARE - Spedizione di Carlo Pisacane e i moti di Genova

1895

Carlo Tivaroni - Storia critica del risorgimento italiano (cap-VI)

1899

PAOLUCCI ROSOLINO PILO memorie e documenti archivio storico siciliano

1901

GIUSEPPE RENSI Introduzione PISACANE Ordinamento costituzione milizie italiane

1901

Rivista di Roma lettere inedite Pisacane Mazzini spedizione Sapri

1904

LUIGI FABBRI Carlo Pisacane vita opere azione rivoluzionaria

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - Giudizi d’un esule su figure e fatti del Risorgimento

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - Lettera di Carlo Cattaneo a Carlo Pisacane

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - I tentativi per far evadere Luigi Settembrini

1911

RISORGIMENTO ITALIANO - La spedizione di Sapri narrata dal capitano Daneri

1912

 MATTEO MAZZIOTTI reazione borbonica regno di Napoli

1914

RISORGIMENTO ITALIANO - Nuovi Documenti sulla spedizione di Sapri

1919

ANGIOLINI-CIACCHI - Socialismo e socialisti in Italia - Carlo Pisacane

1923

MICHELE ROSI - L'Italia odierna (Capitolo 2)

1927

NELLO ROSSELLI Carlo Pisacane nel risorgimento italiano

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - CODIGNOLA Rubattino

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano






Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le déloppement inél et la question nationale (Samir Amin)










vai su





Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilitࠠdel materiale e del Webm@ster.