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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

ESAME CRITICO DELLA DIFESA DEL CAGLIARI

SCRITTO A PRO DELLA INTENDENZA GENERALE DELLA REAL MARINA

rappresentante di diritto i predatori del medesimo

NEL CONSIGLIO DELLE PREDE E DEI NAUFRAGI 

SEDENTE IN NAPOLI

Cum de eo iure mihi dicendum sii; quod pertinet ad omnes; quod constitutum sit a maioribus, conservatum usque ad hoc tempus, quo sublato, non solum pars aliqua diminuta, sed edam vis ea quae maxime iuri est adversaria iudicio confirmata esse videatur:

Video summi ingenti causam esse, non uti demonstretur QUOD ANTE OCULOS EST, SED NE SI QUIS VOBIS ERROR IN TANTA RE SIT OBIECTUS, OMNES POTIUS ME ARBITRENTUR CAUSAE. QUAM VOS RELIGIONI VESTRAE DEFUISSE.

Cicero. Oratio pro Coecina cap. 2.

NAPOLI

REALE TIPOGRAFIA MILITARE

1858

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

INTRODUZIONE

Le angustie del tempo ed il lungo tema c’impongono di esser brevi e precisi. Difficile è il carico; scarse le forze del nostro ingegno. Ma per tentare almeno, se non per compiere l’ardua impresa, diremo quel che è, non quel che piace che fosse, in questa rivista censoria. Non lice preporre alla verità dei fatti e delle dottrine i suggerimenti dell'amor proprio e gl'impeti di un animo commosso ed irritato, come ne à dato l'esempio il collegio degli avvocati contrari, per aver veduto vittoriosamente discreditata la propria causa.

Nel mentre che ci occupavamo a distendere questo lavoro, udimmo divulgato sopra i giornali una consultazione composta dal giureconsulto inglese sig. Roberto Phillimore, relativamente alla quistione del CAGLIARI (1).

Appena che ne cominciammo la rapida lettura, fummo preoccupati dal pensiero d’incontrare in quello scritto la esposizione fedele dei fatti avvenuti, i quali unicamente formar dovevano il certo sostrato alle risoluzioni di diritto, che ci attendevamo di scorgere rigorosamente trattate. E tanto più predominava in noi quella aspettativa, da che lo scrittore protestava che, l’alta importanza della quistione ed i voluminosi documenti scritti che mi vennero dati ad esaminare sono stati cagione del ritardo necessariamente avvenuto nel concepire e nello esporre la mia opinione.

Ma nello scorrere e ponderare il consulto, sparì quasi di repente la preconcetta speranza dal nostro animo, e rimanemmo convinti, che egli più che fugacemente aveva toccato il volume ed i documenti che intendeva di confutare; dappoiché in più luoghi si vede adombrata la schietta verità dei fatti semplici ritenuti dagli stessi Rubattino e Sitzia, e surrogati ad essa, o un’assertiva gratuita, o un concetto inesatto; donde è derivata l'erronea disputazione dei pronunziati di diritto.

Laonde, nel processo della nostra fatica, non solo ripiglieremo d’inconsiderazione il dotto Phillimore, ma volgeremo a nostro profitto gran parte dei suoi argomenti.

Il collegio degli avvocati dei signori Raffaele Rubattino ed Antioco Sitzia tengono come vere le seguenti proposizioni (2).

I. L’incompetenza della Commissione (3).

II. La inammissibilità della domanda avanzata dalla Real Marina.

III. La dipendenza del giudizio di preda dall’altro penale, pendente nella G. C. criminale di Salerno.

IV. La inesistenza del caso di preda, perché difetto di guerra giusta, o di mista, resa formidabile.

V. Trattarsi di ripreda e non di preda nella specie che ne occupa.

VI. Essere male invocato l’esempio del Carlo Alberto.

VII. Non poter perdere il proprietario il legno catturato, senza il concorso della propria volontà; né essere risponsabile neanche della complicità del capitano che lo dirigeva.

VIII. Essere innocenti, il capitano Antioco Sitzia e l’equipaggio del CAGLIARI.

Tutta la materia disputabile verrà, per sommi capi, esaurita in una doppia trattazione: la prima di diritto, la seconda di fatto, affinché gli errori dell'analisi vengan corretti dal rigore della sintesi.

PARTE I

TRATTAZIONE DI DIRITTO

DIVISIONE I

Eccezioni pregiudiziali e di ordine

CAPOI

Incompetenza (4)
§. I. Che sia la competenza a senso di legge

La competenza è il potere giurisdizionale di un collegio o di un giudice nelle quistioni che insorgono. Il collegio, o il giudice competente è quello che si trova rivestito della giurisdizione che fa pari alla disputa, della quale debbe conoscere e decidere.

Competere, propriamente parlando, è convenire, parerti esse (5). Il giudice competente: iudex competens, è quegli che à giuridizione nell’affare controverso, a parere di ULPIANO (6).

La giuridizione poi si rannoda al potere Sovrano di cui è propria, e donde deriva.

Jurisdictio, suona facoltà propria ed essenziale del dominio eminente, che regge un popolo, una nazione, un’associazione civile (7).

Ditio romana, dicono gl’imperatori (8).

Nec ditione Persarum deminulum ius, scrive Tacito (9).

Ugo GROZIO definisce la guerra pubblica e solenne esser quella intimata da chi à la giuridizione, ossia il legittimo potere di dichiararla.

Publicum bellum est quod auctore eo geritur, qui IURISDICTIONEM HABET (10).

CICERONE conferma questa idea, allorché dice:

Ut sub vestrum ius, iurisdictionem, potestatem, urbes, nationes, provincias, terrarum denique orbem subiuqaretis (11).

Donde conseguita, che considerata la tesi da questo lato primario ed essenziale, la competenza giuridizionale nelle quistioni di prede marittime si appartiene alla suprema Potestà dello Stato, la quale ne delega la semplice cognizione alle autorità da lei destinate. Nel vero; della offesa Sovranità, per mezzo di atti ostili, non può essere altro il giudice che la Sovranità medesima.

Ecco perché in Europa è divenuta sentenza comune ed irreplicabile, che il Tribunale competente, nei rincontri di preda marittima, è quello del predatore, allorché questi à condotto il legno predato in uno dei porti dello Stato, cui egli appartiene.


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§. II. Continuazione

La quistione nel senso nostro è trattata dal Merlin ed è annunziata in questi termini:

Il diritto di sentenziare sulle prede, fa parte della giurisdizione ordinaria dei Tribunali, o rientra nelle attribuzioni speciali della amministrazione Suprema? (12)

Egli riferisce le parole della discussione e l’adozione della massima che prevalse, e che fu quella da noi poco avanti annunziata.

Si può paragonare, diceva l’oratore, (13) armamento della corsa, alla guerra dei partiti qualche volta autorizzata dai governi. E bene! Se i partigiani avessero delle lettere che loro permettesse di armare ed equipaggiare a loro spese: se essi non dimandassero altro compenso che il bottino che farebbero sul nemico, si crederà forse che per tutte le contestazioni che potrebbero essere elevate dagli stranieri sulle loro operazioni, si crederà, che esse sarebbero giudicabili dai tribunali civili della repubblica? No certamente. Tutte queste contestazioni non potrebbero essere terminate che dal governo; imperciocché è proprio di lui di regolare tutte le operazioni militari: è proprio di lui di far rispettare tutti i diritti della repubblica e di difenderli quando sono contrastati: come è proprio di lui contenere nei giusti limiti le intraprese di tutte le forze attive contro dell'inimico dello Stato.

Quando si reclama contro della validità di una preda si contesta evidentemente un atto ostile fatto a nome del governo, ed il suo interesse è sempre compromesso in una tale contestazione che abbraccia necessariamente l’interesse di un popolo rimpetto ad un altro popolo sotto il rapporto del diritto di guerra, DEL DIRITTO DELLE GENTI, delle alleanze, delle neutralità.

Ora non mai il potere giudiziario di una nazione si occupa di difficoltà risultanti dagli atti di guerra: NON MAI FU INCARICATO DI MANTENERE IL DIRITTO DELLE GENTI e di pronunziare sopra i trattati di alleanza e di commercio tra le nazioni. Non vi è alcuno che oserebbe sostenere l’affermativa. Badate dunque, che se si rendono i corsari o i partigiani indipendenti dal governo, a pro e nel nome del quale essi agiscono; se essi potessero far validare le loro prede ed il loro bottino in ogni caso dai tribunali civili, essi farebbero ben tosto, o sarebbe necessario di fare valere la preda per aver sempre ragione.

Dopo molti altri argomenti che qui non riferiremo, reca il lodato Merlin i risultamenti affermativi della lunga e possente discussione, e la creazione del Consiglio esecutivo di quel tempo, sotto la immediata dipendenza del governo.

BrayardVevrières, ci fa sapere dintorno alla competenza in fatto di preda, che in Francia:

La Convenzione nazionale attribuì il diritto di statuire sulle prede per via amministrativa al Consiglio esecutivo di allora. Jl Comitato di salute pubblica si arrogò pure questo diritto.

Sotto il Consolato fu stabilito un Consiglio di prede: le sue decisioni non erano suscettive di ricorso che davanti al Consiglio di Stato. Il Consiglio delle prede fu messo più tardi tra le attribuzioni del Ministro di Giustizia, ed elevato al rango di Tribunale, ma di Tribunale semplicemente amministrativo.

Dopo la Ristaurazione, il Consiglio delle prede è stato soppresso, e ciò che gli restava di affari è passato al Comitato del contenzioso del Consiglio di Stato, che oggi pronunzia sovranamente su di questa materia (14).

Presso noi, la competenza per cosiffatti rincontri è attribuita alle Commissioni ed ai Consigli delle prede e dei naufragi, ma col rito amministrativo; il che importa, che dopo gli avvisi, il Re, N. S. decide come giudice supremo le cause di tal natura (15). Ma torna maraviglioso ascoltare, che coloro che difendono i già proprietari del CAGLIARI, ostinatamente sostengono la incompetenza universale dei Tribunali del reame di Napoli, nel punto che nel reame, cui appartengono i convenuti, nettamente è stabilita per le cause di prede marittime la competenza del Magistrato Supremo dell'Ammiragliato:

Al medesimo Magistrato Supremo apparterrà pure il giudizio delle cause riguardanti LA LEGITTIMITÀ DELLE PREDE e di tutto ciò che occorre in dipendenza delle medesime (16).

Nelle cause riguardanti le prede dovrà sempre essere sentito il NOSTRO PROCURATOR FISCALE (17).

Cosicché, se quelle enormità che à commesso il CAGLIARI nel nostro reame, le avesse invece commesso un legno napolitano negli Stati Sardi, questo sarebbe stato giudicato da quel Supremo Magistrato dell’Ammiragliato. Ora il solo CAGLIARI per le ostilità da lui consumate nel nostro territorio, non trova giudici competenti nei magistrati costituiti nei domini del nostro Sovrano!

Chi mai à udito deliri di tal tempra! Se altro non stesse contro degli avversari, starebbe al certo la massima: quod quisque iuris in alterum statuerit, UT IPSE EODEM IURE UTATUR.

E ULPIANO comenta l’editto per la somma equità che contiene. Hoc edictum, egli avverte, summam habet aequitatem et sine cuiusquam indignatone iusta. Quis enim aspemabitur IDEM IUS SIBI DICI, QUOD IPSE ALIIS DIXIT VEL DICI EFFECIT (18).


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§. III. Continuazione

Se si consulta la dottrina dei giurepubblicisti, si raccoglierà l'unanime consenso relativamente alla competenza del Tribunale del predatore, sì come abbiamo copiosamente pruovato nel nostro precedente lavoro.

Piace ora qui di aggiugnere l’imponente autorità di Domenico AZUNI, esimio scrittore della materia, giureconsulto e magistrato sardo:

Nel primo caso, supponendo che si possa fare la preda nei mari di un'altra potenza, sotto le riserve, delle quali noi abbiamo parlalo, cioè dire fuori dei porti e della portata del cannone; ciò, seguendo la mia opinione, EQUIVALE AL PIENO MARE, non potrebbe contestarsi la validità della proprietà di una preda condotta nei porti di un Sovrano di questa parte di mare. Il predatore ne diviene giunto proprietario, riuscendo ad impadronirsene, e per ottenerne l'aggiudicazione egli non à che a presentarsi AL TRIBUNALE DELLA SUA NAZIONE, DOVE TUTTO PARLERÀ IN SUO FAVORE. LA VERIFICAZIONE DELLA PREDA GLIENE ASSICURA LA PROPRIETÀ, PERCHÉ ESSA PORTA CON SÈ LA SUA PROPRIA CONDANNA (19).

Loccenio aveva precedentemente opinato allo stesso modo:

Ut enim victor intra propria praesidia tutus est, ita si amici fidem elegerit et in eius praesidia se et sua contulerit etiam illic, pubblico nomine, tutus erit. Is vero cui res illae jure belli ademptae sunt, FRUSTRA EAS IN COMMUNIS AMICI TERRITORIO REPETITUM VENIT; quod enim belli sors occupanti dedit, in pacato loco apud communem amicum merito sibi servabit (20).

VATTEL (21), HURNER (22), LAMPREDI (23) dicono lo stesso.

Le quistioni che si agitano tra i pubblicisti in quanto alla competenza del Tribunale che deve conoscere della legittimità di una preda, s’impegnano allorquando avviene sopra un legno neutrale (24), e non già quando si verifica sopra un legno nemico; e quando è condotta in un porto neutro ed abbia a bordo mercanzie di proprietà dei sudditi di quella nazione.

Ma poiché queste varie ipotesi non àn che fare col caso che ne occupa, lasceremo coteste curiosità agli amatori della scienza.


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§. IV. Continuazione

Ma la sorpresa si volgerà certamente in incredibile stupore, allorché si conoscerà che gl'istessi convenuti in giudizio, e più di loro, lo stesso Real Governo Sardo, volontariamente adirono la Commissione delle prede e de' naufragi, nel fine di ottenere quella giustizia che credevano di dover loro dispensarsi.

Nel giorno 20 ottobre dell'anno 1857, e nel punto che la Real Marina, neppure aveva comunicato i documenti, su dei quali appoggiava la sua istanza, i signori Rubattino e Sitzia di ressero domanda formale alla Commissione delle prede e de' naufragi, con la quale, dopo lunga critica fatta all'attrice, conchiusero nei seguenti termini:

«La compagnia che ne è proprietaria (del piroscafo il CAGLIARI) presenta questo cenno di difesa, poiché si costituisce da fatti costanti e notori e dalle carte lasciate sul bordo del piroscafo, le quali tornerebbe indispensabile tener presenti nel giudizio. Ma nello stato attuale rispondono ad una istanza che non à per sé alcun documento, che nessuno ne annunzia, la Compagnia proprietaria la respinge compiutamente, invocando il principio, actore non probante, absolvitur reus.

«E per tanto chiede alla giustizia della Commissione, che RIGETTANDO LA MAL PRODOTTA ISTANZA, CONDANNI L’ATTRICE A RILASCIARE IL PIROSCAFO COL SUO CARICO ED A RISTORARLA DEI DANNI INTERESSI, DELLE SPESE DELLA LITE E DEL COMPENSO ALL’AVVOCATO (25)».

Leggeremo poi più basso i termini espliciti della domanda avanzata dal Real Governo di S. M. il Re di Sardegna.

Dopo la consumazione di cotesto primo fatto spontaneo e solenne, riescono irreplicabili le seguenti verità di diritto:

1.° Che da cotesta enissa e volontaria confessione deriva, di non potersi più dubitare della competenza de' giudicii istituiti nel nostro reame per le quistioni delle prede marittime, e perciò della preda del CAGLIARI; dappoiché tale competenza è stata pienamente riconosciuta e volontariamente adita dai signori Rubattino e Sitzia e dal di loro Governo.

2.° Che una volta riconosciuta e ritenuta la competenza d ella Commissione e dei giudici delle prede; ed essendosi domandato da essi le provvidenze definitive nel merito della causa, tanto importando il chiesto rigetto della domanda, tardi e contraddittoriamente si ritorna alla eccezione d'incompetenza, la quale la respingono gli stessi nostri avversari, mediante la loro decisa volontà di voler essere giudicati dai magistrati costituiti, per conoscere e decidere delle cause di prede marittime nel nostro reame.

Noi ammettiamo il principio, che quando si tratti d’incompetenza per ragion di materia, questa possa opporsi da quello stesso che volontariamente trovasi di avere adito il Tribunale incompetente; come del pari ammettiamo che il Tribunale incompetentemente adito possa elevare di ufficio la sua incompetenza, per rimettere la cognizione della causa a quel Tribunale cui l’attribuiscono le leggi organiche. Ciò risulta, meno dai principi razionali della materia, che da due disposizioni di leggi positive (26).

Ma cessa ogni dubbio e svanisce qualunque esitanza, tosto che una delle parti in giudizio, e specialmente quella che poteva opporre la incompetenza, invece di giovarsene, la rifiuta ed invita il Tribunale, che è il competente a pronunziarsi nella lite, a decidere e provvedere nel merito della medesima.

Le posizioni giuridiche adunque stanno per rovescio a quelle che immaginar potrebbero i nostri avversari, e che noi abbiamo raffigurato.

Per legge organica, in fatto di prede e naufragi, i magistrati competenti a procedere sono le Commissioni ed il Consiglio. Se Rubattino e Sitzia ànno riconosciuto la competenza di questi Tribunali speciali, ai quali è eccezionalmente attribuita giuridizione per ragion di materia ne’ rincontri di preda, non più si può parlare della loro incompetenza.

Nel vero; se fossero incompetenti la Commissione ed il Consiglio delle prede, che è la species jurisdictionis, dovrebbe essere competente un Tribunale ordinario cui appartiene, genus jurisdictionis; il che sarebbe un assurdo inconcepibile.

Noi auguriamo che non si toccasse dagli avversari il punto supremo di una dottrina riprovevole, assumendo che nissuno dei Tribunali del regno sieno competenti a giudicare della preda del CAGLIARI.

Se al collegio degli avvocati de' convenuti si appresentasse cotesto piacevole fantasma, essi careggiandolo, recherebbero la maggiore offesa alla Sovranità che ne impera, come del pari a tutte le altre Sovranità costituite; imperciocché per fatti e per atti consumati nel proprio territorio, non vi sarebbero leggi da applicare, né magistrati competenti per decidere su quegli atti e su quei fatti consumati.

È principio inconcusso: che le leggi obbligano tutti coloro che dimorano nel territorio del regno, sieno cittadini, sieno STRANIERI, DOMICILIATI, 0 DI PASSAGGIO (27).

Lo stesso principio generale si trova prefisso nel codice civile sardo (28), nel codice civile francese (29), ed in tutti i codici delle nazioni.

Ma da ultimo, compie vittoriosamente la nostra dimostrazione l’avere lo stesso Real Governo Sardo riconosciuta la competenza della Commissione delle prede nella causa che ne intrattiene.


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§. V. Compimento della dimostrazione — Risposte al signor Phillimore sulla incompetenza della cattura del CAGLIARI

Il sig. Phillimore fonda il niego sopra questo ragionamento:

S’insinua in qualche parte, che il capitano del CAGLIARI (30) si è rivolto ai Tribunali napolitani e vi patrocina la sua causa: ma è ovvio il notare, che i dritti sostenuti dal Governo Sardo sono diritti internazionali (quello della nullità della cattura) fondali su ragioni di ordine pubblico, e che non possono venire per nulla invalidati dalle pratiche fatte da un individuo suo suddito in una circostanza qualunque, e tantomeno nelle circostanze come le presenti.

Or, la ragione e l’usanza, che a parere dell’inglese giureconsulto, sono le due grandi fonti del gius internazionale, si pronunziano contro di lui:

1. La cattura di un legno è il primo fatto iniziale del giudizio di preda: è il primo punto di partenza di quel procedimento.

La sua legalità, o illegalità è l'elemento primario, inerente ed immedesimato alla quistione di legittimità, o d’illegittimità della preda del legno catturato. Se mai si distaccasse la quistione della legalità della cattura dal processo degli atti e volesse considerarsi isolatamente, ed isolatamente decidersi; da un corpo si spiccherebbe il capo, che lo anima e lo informa. Ne discenderebbe la conseguenza contraddittoria ed inevitabile, quella cioè, che la Diplomazia diverrebbe il giudice esclusivamente competente delle cause di prede, dacché si riterrebbe unico giudice competente dell'atto di cattura.

2. E questo assunto diviene verità innegabile, mentre di. qualunque cattura, considerata isolatamente, può elevarsi dubbio d’illegittimità, o pel luogo, o pel tempo, o pel modo, o per le cagioni, per le quali è avvenuta.

Laonde ritenere diplomaticamente legittima, o illegittima la cattura di un bastimento, equivarrebbe a decidere virtualmente ed anticipatamente della legittimità o della illegittimità della preda. A questo modo, e nell'un dei casi, niente rimarrebbe ai Tribunali istituiti per conoscere di tali quistioni, men che di essere pienamente passivi alla decisione fatta nelle alte regioni del Potere dintorno alla cattura del bastimento.

3. Ma che la quistione sucennata deve essenzialmente rientrare nella competenza dei Tribunali istituiti all'uopo, si giustifica per un altro principio.

La cattura può essere illegittima, indipendentemente dalla esistenza od inesistenza dei caratteri di pirateria, o di guerra; cioè dire può essere nulla ed invalida, o perché si sono trascurati gli atti comandati delle leggi in quel rincontro, o perché non si è assicurato il legno catturato nelle guise prescritte dalle stesse leggi.

Certo che di questi fatti, non potendosi occupare la Diplomazia dei Governi, ne conseguita come corollario incontrastabile, che i Tribunali delle prede sono gli unici ed esclusivamente competenti a conoscerne.

4. La stessa ragione delle cose à persuaso all’universale che i Tribunali dello Stato del catturante sono i giudici propri di tali contese. Se fosse il contrario, o non vi sarebbero Tribunali a poter pronunziare (se la cattura succedesse in pieno oceano, o in sito distantissimo), o il Tribunale dell'offensore giudicherebbe sopra i fatti della offesa, commessi nel territorio dell’offeso! Sarebbero questi assurdi intollerabili.

5. Di più, non essendosi ancora consentito da tutte le Sovranità e da tutte le nazioni un codice internazionale comune, la ragione delle cose à suggerito il mezzo di far valere contemporaneamente tutte le leggi proprie di ciascuna Sovranità o Stato, ma come una composizione transattoria per la reciproca amicizia ed utilità. Di qui è sorto il diritto internazionale privato, che non lascia di appartenere inerentemente ed essenzialmente al diritto pubblico generale.

6. La dottrina degli statuti; personale, reale e misto, cioè degli atti e dei fatti, e delle diverse regole che li governano, si rannoda, anzi prende origine dal diritto internazionale.

Nullameno, i Tribunali di ciascuna Sovranità, o Stato, sono competenti a conoscere e giudicare di tali quistioni, applicando il diritto internazionale privato, sempre però con la guida di rendere omaggio alle leggi estere, senza pregiudizio delle nazionali, del diritto di Sovranità e della tutela della propria sudditanza.

L’assioma fondamentale di questo diritto può riassumersi in queste frasi:

Ma ciò che è certo, scrive il Foelix, è che presentemente tutte le nazioni anno adottato, come principio, l’applicazione nei loro territori delle leggi straniere, salve tuttavia le restrizioni che esige il diritto di sovranità e l'interesse de' proprì sudditi. Questa è la dottrina professata da tutti gli autori che. ànno scritto sulla materia (31).

Lo stesso metodo si pratica tutte le volte che si tratta di eseguire un giudicato profferito in paese straniero.

Da PAOLO VAET (32) fino al FOELIX (33), che allega moltissimi scrittori inglesi, non si è mai pensato in contrario.

Se ciò è vero, anzi verissimo, non sappiamo perché dei fatti e delle condizioni della cattura di un legno, che involge la possibile dichiarazione di buona preda, non ne debbano essere i Tribunali i soli giudici competenti per statuirne.


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§. VI. Continuazione

L’usanza poi à univocamente sancito, che i Tribunali del catturante debbono decidere della validità, o della invalidità delle prede, allorché questa succede in alto mare, o nel mare territoriale dello Stato del catturante medesimo.

Sono di accordo sopra questo punto, MERLIN (34), FAVARD DE LANGLADE (35), MASSE ET DEVILLENEUVE (36), LOCCENIO (37), ORTOLAN (38), FOELIX (39), RAVNEVAL (40), MARTENS (41), PINHEIROFERREIRA (42), WHEATON (43), HUBNER (44), LAMPREDI (45), AZUNI (46).

Il VATTEL poi, oltre che consente in tale opinione, solennemente dichiara di essere stata massima stabilita dalla Corte d’Inghilterra (47).

Lo stesso signor Phillimore, senza avvedersene, lo confessa poco innanzi al luogo dove lo nega apertamente.

Egli dice così: E qui non è per avventura fuor di luogo il notare, che durante l’ultima guerra con la Russia, i Tribunali delle prede della Gran Brettagna costantemente ricusarono di condannare anche solo come buona preda un bastimento legalmente catturato in alto mare, pel solo motivo che non avesse con sé tutte le carte volute dalla legislazione interna del proprio paese.

Donde si ricava esplicitamente che la cattura del CAGLIARI, pel luogo, in cui avvenne, in pieno mare, e fuori della portata del cannone delle batterie napolitane, è legale, e che della medesima sono competenti i Tribunali del regno.

Nel reame di Sardegna anche vi è un Tribunale competente per le prede marittime e pei naufragi ed è il Magistrato Supremo dell'Ammiragliato, con l'intervento del Procurator generale Fiscale, come di sopra abbiamo avvertito (48).

In mezzo alla universale accoglienza di tal principio, il solo reame delle Due Sicilie dovrebbe esser privo dei Tribunali nazionali competenti nelle cause di preda fatta dai suoi legni da guerra 1

Ma compie vittoriosamente la dimostrazione e rimuove qualunque controversia, e fino la più interessata esitanza, un fatto veramente classico ed importantissimo, quello cioè di avere il Governo di S. M. il Re di Sardegna solennemente e spontaneamente riconosciuto la competenza dei Tribunali napolitani nella causa della cattura del CAGLIARI.


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§. VII. Esposizione del fatto accennato

La Commissione delle prede, nel dì 28 novembre 1857, nel mentre stesso che dichiarò legittima la preda del CAGLIARI, ordinò il rilascio delle merci e dei generi di commercio, che ne formavano il carico, a favore dei legittimi proprietari.

Nel 30 novembre, il Governo Sardo, per mezzo del cavaliere Eugenio Fasciotti nella QUALITÀ di suo Consolo Generale, avanzò domanda diretta alla su cennata Commissione, presentata nel dì 11 dicembre 1857 ed intimata ritualmente alla Intendenza Generale della Real Marina ed ai rappresentanti della compagnia Rubattino, affinché la Commissione medesima, in esecuzione della sua precedente decisione, ordinasse il rilascio a di lui favore di 79 casse di tabacchi ridotti in sigari, imbarcate sul CAGLIARI, di proprietà e per conto di quel Governo, e che quello inviava a CAGLIARI pel consumo che di quel genere se ne fa in Sardegna. Le casse avevano impresse sul coperchio lo Stemma di S. M. il Re di Sardegna, e si leggevano descritte nel manifesto rilasciato dalla dogana di Genova.

La Commissione arrise alla domanda, con posteriore decisione del 27 febbraio, anno corrente 1858, in seguito di altra decisione preparatoria del dì 19 dicembre 1857, con la quale si ordinò la comunicazione alle parti della suddetta domanda.

Il Consolo Generale levò immediatamente dai registri della segreteria della Commissione la spedizione in forma autentica per eseguirla.

Chi vuole profittare degli effetti prodotti, non può rifiutare la causa produttrice, e chi à voluto giovarsi dei disponimenti delle decisioni profferite dalla Commissione nella causa della cattura del CAGLIARI, e dopo che la stessa Commissione ne aveva di già dichiarata legittima la preda, non è più in grado d’impugnare d’incompetenza il giudice che li à pronunziato. Dunque al riconoscimento di Rubattino e di Sitzia si unisce il prepotente consenso del Governo Sardo che spegne tutte le dicerie e tutte le disputazioni sulla competenza dei Tribunali napolitani.

E noi osserviamo nel contegno giudiziale serbato dal Governo Sardo la coscienziosa uniformazione alle leggi vigenti in quel reame.

Se l'art. 2. della legge memorata in piè di pagina, prescrive che:

Al medesimo magistrato Supremo (dell'Ammiragliato) spetterà pure il giudizio delle cause riguardanti la legittimò delle PREDE, E DI TUTTO CIÒ CHE OCCORRA IN DIPENDENZA DELLE MEDESIME, il Governo Sardo à sentito bisogno, che pel rilascio dei

tabacchi, che era una dipendenza del giudizio della preda del CAGLIARI, non ad altri doveva rivolgersi, che ai Tribunali che dovevano giudicarne, e che in vero ne avevano giudicato.

Che se poi, la decisione del 27 febbraio 1858 non si è ancora eseguita ed i tabacchi non sono stati ancora ritirati dai luoghi di deposito, sarà non aver voluto usare della facoltà concessa, ma il diritto e la verità, decisori del fatto consumato non ne riceveranno mai alcun pregiudizio.


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§. VIII. Testo della decisione della Commissione delle prede del febbraio 1858

«AI SIGNORI PRESIDENTE E GIUDICI DELLA COMMISSIONE DELLE PREDE MARITTIME E DE NAUFRAGI DI PRIMA ISTANZA DEL DISTRETTO DELLA MARINA DI NAPOLI.

«Il cavaliere Eugenio Fasciotti, NELLA QUALITÀ DI CONSOLE GENERALE DEGLI STATI SARDI IN NAPOLI, domiciliato strada cavallerizza a chiaia numero 14, e rappresentato dal sottoscritto, domiciliato strada magnocavallo numero 26, giusta la procura per atto a brevetto del 27 corrente mese di novembre per notar Giovanni Scotti di Uccio, espone che il 25 giugno 1857 partiva da Genova per CAGLIARI e Tunisi il vapore il CAGLIARI, che sebbene di proprietà privata, era destinato pel Real Servizio della posta e pel trasporto de' generi di privativa DEL DETTO GOVERNO SARDO. L’Amministrazione della Regia Dogana di Genova v'imbarcava numero 79 casse di tabacchi ridotti a sigari del peso chilogrammi 3407 di SPETTANZA DEL DETTO REAL GOVERNO, per portarli in CAGLIARI per lo consumo della Sardegna.

Intanto, per fatti criminosi consumali nel territorio di Sua Maestà Siciliana da taluni passaggieri di nazioni diverse che trovavansi imbarcati nel suddetto pacchetto, IL MEDESIMO VENNE CATTURATO DA DUE VAPORI DELLA REAL MARINA NAPOLITANA, IL TANCREDI E L’ETTORE FIERAMOSCA.

Bentosto furono dalla Intendenza Generale della Real Marina restituiti al Governo Sardo i pacchi postali rinvenuti j in detto vapore, e furono ritenute le sopradette casse di tabacchi.

ESSENDOSI INTANTO DISPOSTO IL RILASCIO DEL CARICO COMMERCIALE AI RISPETTIVI PROPRIETARI, lo esponente nella detta qualità PREGA LA PRELODATA COMMISSIONE DELLE PREDE MARITTIME ad ordinare alla Intendenza Generale della Real Marina di Napoli, la restituzione delle dette casse 79 di sigari a favore dell’ESPONENTE, NELLA CENNATA QUALITÀ.

In appoggio di siffatta domanda presenta il manifesto delle mercanzie ed oggetti imbarcati sopra il cennato vapore.

LA COMMISSIONE DI PRIMA ISTANZA DELLE PREDE MARITTIME e de' naufragi del Distretto della Marina di Napoli ha resa la seguente decisione:

Nella causa tra il cavaliere D. Eugenio Fasciotti, nella QUALITÀ DI CONSOLE GENERALE DEGLI STATI SARDI in Napoli domiciliato strada cavallerizza a chiaia numero 14 rappresentato dal suo procuratore speciale D. Francesco Galiani domiciliato strada magnocavallo numero 22.

Contro l’Intendenza Generale della Real Marina rappresentata dal suo Intendente Generale Marchese D. Girolamo de Gregorio, domiciliato per ragione della sua carica coll’uffizio nella Regia Darsena di Napoli, rappresentato dal suo procuratore speciale D. Gaetano Starace, domiciliato presso l’avvocato D. Ferdinando Starace, strada ventaglieri num. 74, ed essa Real Marina rappresentante di dritto i predatori del piroscafo Sardo denominato il CAGLIARI.

D. Raffaele Rubattino, socio direttore ed amministratore della società e compagnia de' piroscafi Sardi di Genova, domiciliato ivi con la Casa commerciale, rappresentato qui in Napoli dalla Casa di commercio, Giulio Bonnet e Federico Perret, e questa dal suo procuratore speciale D. Francesco Damora, domiciliato coll'avvocato D. Gennaro Damora, strada portalba numero 30, esso signor Rubattino nella suddetta qualità domiciliato di dritto presso la sua procuratrice Casa di commercio Giulio Bonnet e Federico Perret, e questa presso il suo procuratore speciale signor Damora in quello di D. Gennaro Damora.

E D. Antioco Sitzia capitano del piroscafo Sardo il CAGLIARI, attualmente detenuto nelle prigioni penali di Salerno, rappresentato dal suo procuratore speciale D. Giuseppe Barbacci domiciliato strada sedile di porto numero 99. Esso capitano domiciliato di dritto in Napoli presso il suddetto suo procuratore signor Barbacci sito come sopra.

FATTO.

«Il cavaliere D. Eugenio Fasciotti, IN QUALITÀ DI CONSOLE GENERALE DEGLI STATI SARDI in Napoli, con suo ricorso ALLA COMMISSIONE DELLE PREDE MARITTIME, e per mezzo del suo procuratore speciale D. Francesco Galiani, espose essere DI SPETTANZA DEL GOVERNO SARDO numero 79 casse di tabacchi imbarcati in Genova sul battello a vapore il CAGLIARI di proprietà privata. Essendosi intanto consumalo de' fatti criminosi nel territorio di Sua Maestà Siciliana onde QUEL LEGNO FU CATTURATO DA QUELLA REAL MARINA. MA ESSERSI POSCIA DISPOSTO DALLA STESSA COMMISSIONE IL RILASCIO DEL CARICO COMMERCIALE ai rispettivi proprietari. Quindi conchiudeva che la PRELODATA COMMISSIONE ordinasse all'Intendenza Generale della Real Marina in Napoli la restituzione delle anzidette casse 79 di tabacchi, che disse ridotti a sigari del peso chilogrammi 3107, ed in appoggio di questa sua domanda dichiarò esibire un cosi detto manifesto delle mercanzie ed oggetti imbarcati su quel piroscafo. Esibì in fatti un informe notamento senza alcuna sottoscrizione, e senza alcun carattere di legalità, da cui risulta, tra l’altro, la indicazione di 79 colli di tabacchi della fabbrica di Genova.

«Ordinata ed eseguita la comunicazione a norma del rito, la Intendenza Generale della Real Marina con atto del 25 gennaio 1858 per l’usciere Zuardi, dedusse: Primo: Che rimettevasi alla giustizia della Commissione in quanto al carico commerciale giusta la dimanda originaria da lei inoltrata: Secondo: Che quindi la Commissione si compiacerà rendere le analoghe provvidenze nell'interesse de' veri proprietari delle merci reclamate, alla dimanda delle quali la Intendenza Generale non si oppone: con salvezza di ogni ampia ed illimitata riserva di dritti, ragioni ed azioni, nessuna esclusa ed eccettuata, da sperimentarla quando, contro di chi e come per legge.

«Per la compagnia Rubattino ed il signor Antioco Sitzia, con altro atto per l'usciere di Donato del dì 6 febbraio 1858, si dichiarò che essi prestavano il loro pieno assentimento, senza pregiudizio di ogni altra loro ragione esperibile contro chi e come di dritto.

«Con altro ricorso del cavaliere Fasciotti alla Commissione si dimandò destinarsi altro commissario in luogo di quello già destinato, e determinarsi il giorno in cui la Commissione potea riunirsi per dare i provvedimenti diffinitivi su la sua dimanda.

«Con ordinanza presidenziale del 17 febbraio 1858, fu surrogato il giudice cavaliere D. Raffaele Longobardi, e fu destinato il giorno 27 febbraio 1858 per la discussione e decisione della causa nel locale della Capitania del Porto. Quale ordinanza venne debitamente intimata.

«In tale stato fu portata la causa all’udienza.

«Napoli li 2 marzo 1858.

«Giuseppe Mollo

«Antonio de Novellis Segretario.

«LA COMMISSIONE SUDDETTA.

«Vista la dimanda presentata dal cavaliere D. Eugenio Fasciotti, NELLA QUALITÀ SUDDETTA, il dì 11 dicembre 1857.

«Vista la decisione del dì 19 detto mese di dicembre, colla quale si ordinava la comunicazione della suddetta dimanda.

«Vista la intimazione della stessa.

«Visti gli atti intimati da parte dell'Intendenza Generale della Real Marina, e de' signori Rubattino e Sitzia.

«Visti gli altri atti e documenti presentati.

«Visto il rapporto del giudice delegato cavalier D. Raffaele Longobardi.

«Inteso il Sostituto Procuratore del Re del Tribunale civile di Napoli D. Nunziante Barracano, funzionante da Procuratore del Re in luogo di D. Giacomo Winspeare infermo, nelle sue conclusioni scritte del tenor seguente:

«Il Pubblico Ministero osserva, che il cavaliere D. Eugenio Fasciotti, IN QUALITÀ DI CONSOLE GENERALE DI SUA MAESTÀ IL RE DI SARDEGNA ED A NOME DEL SUO GOVERNO, domanda la ricuperazione de' tabacchi DI PERTINENZA DELLO STESSO REAL GOVERNO rinvenuti sul pacchetto a vapore il CAGLIARI. E siccome la COMMISSIONE DELLE PREDE MARITTIME CON DECISIONE DEFINITIVA DE’ 28 NOVEMBRE 1857 HA DICHIARATO ESCLUSO DALLA BUONA PREDA il carico commerciale, abilitando i rispettivi proprietari ad ottenere il rilascio degli effetti, de' quali dimostrino legalmente l'appartenenza a lor favore, così l'anzidetto Console Generale di Sardegna ha domandato ordinarsi all'Intendenza Generale della Real Marina di Napoli la restituzione di colli 79 di tabacchi DI PERTINENZA DELL’ANZIDETTO REAL GOVERNO DI SUA MAESTÀ SARDA. Osserva che comunicata la domanda del Console Generale di Sardegna all'Intendenza Generale della Real Marina di Napoli, al capitano Sitzia, ed alla Compagnia Rubattino per contraddirla, o consentirla, tutti han dichiarato non opporsi al chiesto rilascio, giusta gli atti de' 29 gennaio, e 6 febbraio 1858 per gli) uscieri Zuardi e di Donato.

«Osserva che non può tenersi in conto veruno il notamento che ora soltanto si è esibito, perché senza firma e senza alcuna autenticità: ed infine perché si è prodotto dopo eseguita la preda. In conseguenza si può accogliere la domanda, sol perché LA DECISIONE DELLA COMMISSIONE CHE ORA SI ESEGUE, autorizza il riscatto del carico puramente commerciale, che siesi in realtà trovato a bordo e l’appartenenza di esso AL GOVERNO PIEMONTESE È DAL CONSOLE GENERALE ATTESTATA.

«Osserva infine che si può restituire ciò che, alla cattura del legno, fu realmente rinvenuto e verificato, ed indi ritirato ed immesso nei locali di deposito di Napoli.

«Laonde, senza punto riconoscere i fatti esposti nel ricorso, e non essendo contraddetta la esistenza dei tabacchi:

«Il Pubblico Ministero, richiede che LA COMMISSIONE DELLE PREDE MARITTIME E NAUFRAGI ABILITI IL CONSOLE GENERALE DI S. M. IL RE DI SARDEGNA a ritirare da' luoghi di legale deposito in Napoli i colli di tabacchi, che furono REALMENTE CATTURATI ed immessi ne’ mentovati luoghi di deposito, onde estrarli nuovamente dal Regno di Napoli per gli stati Sardi.

«Nunziante Barracano.

QUISTIONI

«Si può accogliere la dimanda per la riconsegna de' tabacchi?

«Per la risoluzione di tale quistione la Commissione RITIENE LE OSSERVAZIONI DEL PUBBLICO MINISTERO, senza riconoscere i fatti esposti nel ricorso del Console Generale, ECCETTO IL FATTO MATERIALE DELLA ESISTENZA DEL TABACCO.

«La COMMISSIONE pronunziando diffinitivamente, intese le parti ed il Pubblico Ministero in persona del sostitutore Procuratore del Re D. Nunziante Barracano nelle sue uniformi scritte ed orali conclusioni, autorizza IL CONSOLE GENERALE DI S. M. IL RE DI SARDEGNA a ritirare dai luoghi di legale deposito in Napoli i colli di tabacchi CHE FURONO REALMENTE CATTURATI SUL CAGLIARI dico LEGALMENTE inventariati ed immessi nei mentovati luoghi di deposito, onde estrarli nuovamente dal Regno di Napoli per gli stati Sardi.

«Nulla per le spese — Giudicato, pronunziato e pubblicato all’udienza del dì 27 febbraio 1858.

«Presenti i signori — Commendatore D. Giuseppe Mollo Presidente, D. Luigi Marriello capitano di Vascello graduato, capitano del porto di Napoli, e cavaliere D. Raffaele Longobardi commissario di Marina, giudici.

«Giuseppe Mollo presidente, Antonio de Novellis segretario.

«Visto, il procuratore del Re N. Barracano.

«Num. 6318—Registrato in Napoli li 16 marzo 1858 libro 3. vol. 1264 fol. 43 verso cas. 2 gr. 60 Minieri.


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CAPO II

§. Unico — Inammissibilità dell'azione

Cotesta eccezione non può meritare ascolto, né può militare in alcun modo, dopo che si sono gli avversari difesi nel merito, sino a domandare il rigetto della istanza della Real Marina. Qualunque eccezion di rito, tra le quali sta l’inammissibilità della domanda, è coperta dalle difese nel merito.

L’articolo 262 delle leggi di procedura civile, e più specialmente l'art. 115 della legge del 25 marzo 1817 conferma questa verità. Laonde sopra questo punto non dobbiamo maggiormente intrattenerci, dopo le ragioni disputate per lo innanzi, alle quali sarebbe superfluo aggiungerne altre; maggiormente se la inammissibilità si crede effetto della incompetenza dei Tribunali napolitani.


CAPO III

Indipendenza dell'attuale giudizio di preda dall'altro penale tuttavia pendente dalla G. Corte criminale in Salerno.
§. I. Distinzione fondamentale tra la guerra pubblica e la guerra mista.

Di sommo interesse e di grande influenza sulla causa presente è ben distinguere i principi fondamentali dell'una e dell’altra guerra, per quindi facilissimamente, e senza contrasto o esagerazione, pervenire alla sicura conoscenza delle conclusioni che ne derivano; e le quali altro non sono che gli effetti immediati prodotti da quei principi.

La guerra solenne fu detta dai pubblicisti giusta e pubblica. Questi due predicali svelano il diritto che la sostiene ed informa.

Jus a justitia dictum (49). Publicum, cioè dire universale per una nazione, populicum. Ond’è che la temuta insegna di Roma belligerante era, Senatus populusque romanus. E questo e non altro volle esprimere il giureconsulto POMPONIO (50), allorché definendo i nemici, disse: quibus PUBLICE bellum decrevimus: vale dire, populice bellum decrevimus.

E quindi a poco vedremo, che dichiarata la guerra da una Potenza costituita, lo stato della intera nazione è quello di guerra; e per legittima conseguenza, anche i sudditi inoffensivi sono riputati nemici, e perciò i loro legni van soggetti alla dichiarazione di legittima preda, senza il fatto del combattimento, dell’aggressione ostile, o della qualità piratica del bastimento.

Come del pari ci sarà dato osservare, che la sorte de' prigionieri di guerra è regolata dalle massime stabilite nel diritto delle genti, e non già decisa dai Tribunali dello Stato, i cui sudditi àn catturato i combattenti in guerra giusta. Cosiffatte disputazioni saranno intese a fugare quello spettro molesto della dipendenza del giudizio di preda dal giudizio penale, che spesso si appresenta alla mente di chi riflette sul caso, e ne turba soventi volte il placido e normale ragionamento.

La guerra solenne dunque à per fondamento la facoltà immutabile di dichiararla, che si chiama diritto, e che risiede eminentemente nella Sovranità. Ed è tanto immutabile codesto diritto, che la sapienza del Vico lo fa derivare dalla potenza di Giove tra i gentili, allo stesso modo che S. Agostino lo fa discendere dagli eterni decreti del vero DIO.

Jus, Ious scilicet a love, quia aeterno VERO constat, FAS, sapienter latinis dictum a fato, hoc est aeterno rerum ordine; quatenus Dirus AUGUSTINUS definit SANCTIO, est veluti vox DIVINAE MENTIS (51), qua DEUS homini justum aeternum fatur et dictat; unde jus immutabile manet.

Et si quandoque mutari videtur, ibi non jus, sed FACTA mutantur (52).

Ecco come dal diritto deriva la guerra giusta o pubblica, e come dal fatto eslege dipende la guerra mista o intestina.

E perciò seguitando codesta normale distinzione, giungeremo alla legittima conseguenza, che dopo la repressione del fatto ostile, la Sovranità vincitrice in guerra mista, per la protezione che deve ai suoi popoli, si trova costituita nel diritto anche di punirne gli autori, come colpevoli del reato commesso contro la sicurezza esterna dello Stato. Donde seguirà evidentemente la riconferma del postulato gerarchico, che nella guerra pubblica, se tutto origina dal diritto di poterla dichiarare, tutti i suoi effetti e tutte le sue conseguenze, a norma del diritto delle genti debbono regolarsi.

Come poi, se la guerra mista e l’aggressione ostile muovono da un fatto anormale e riprensibile di chi non à quel diritto, gli effetti e le conseguenze di quel fatto debbono regolarsi conforme alle leggi punitive di quel fatto medesimo, indipendentemente dal giudizio di valutazione del fatto della marittima aggressione, o della pirateria; i quali, o separati, o congiunti menano unitamente al giudizio civile di preda.


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§. II. In chi sta il diritto di compromettere una guerra pubblica o solenne.

UGO GROZIO dice: publicum bellum est, quod auctore eo geritur, qui jurisdictionem habet (53). Egli comprende sotto la parola giuridizione, l’imperio, seguendo le sentenze di CICERONE (54), e di SENECA (55).

GASPARE ZIEGLERO più esplicitamente scrive: dicitur igitur bellum publicum nobis illud, quod geritur auctore eo, QUI SUMMUM TENET IN REPUBLICA IMPERIUM, Deficiente ista auctoritate, bellum pro privato est habendum. Contingere autem potest, ut ex una parte AUCTORITAS IMPERANTIS, ex altera nulla talis interveniat: numquid publicum, an privatimi, id dicitur bellum? MIXTUM dicitur (56).

Sono uniformi sopra questo punto tutti i pubblicisti antichi e moderni, che scrivono intorno ai diritti di regalia, inerenti alla corona del Principe, tra i quali ALBERICO GENTILE (57), REGNERO SISTINO (58), VATTEL (59).


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§. III. Stato in cui rimangono le nazioni belligeranti in guerra pubblica

Volgarmente noi diciamo esservi stato di guerra, tutte le volte che questa venga solennemente dichiarata tra due o più Potenze costituite. L’idea comune è sentenza dei dotti. Il lodato Ugo GROZIO, riferendo la definizione di CICERONE della guerra pubblica, certatio per vim, aggiugne: sed usus obtinuit, ut non actio, sed STATUS eo nomine indicetur, ita ut sit bellum status per vim certantium, qua tales sunt (60).

Il Gronovio accuratamente insegna:

Belli status, id est conditio certa populorum. Explicatio haec Tullianae definitionis est, non alla definilio. Neque enim Cicero per certalionem intellexit actionem; vel actum unum, veluti aciei, oppugnationis, vaslationis; sed durantem temporis tracium, quo dissideatur, et prò occasionibus aut comparatur vis, aut fit, aut cavetur, atque eluditur. Bellum est tempus et conditio, manibus atque armis, quod habent controversiae decementium, donec victoria, aut colloquio transigatur (61).

Il VATTEL prosegue, insegnando che:

Quando il conduttore dello Stato, il Sovrano, dichiara la guerra ad un altro Sovrano, S’INTENDE CHE LA NAZIONE INTERA DICHIARA LA GUERRA AD UN' ALTRA NAZIONE.

IMPERCIOCCHÉ IL SOPRANO RAPPRESENTA LA NAZIONE, ED AGISCE IN NOME DELLA INTERA SOCIETÀ. E le Nazioni non ànno a fare le une contro le altre, che in corpo, nella loro qualità di nazione.

QUESTE DUE NAZIONI SONO DUNQUE NEMICHE, E TUTTI I SUDDITI DELL'UNO SONO NEMICI DI TUTTI I SUDDITI DELL'ALTRO.

Quest'uso è conforme ai principi.

I nemici rimangono tali in qualunque luogo che essi si trovino. Il luogo della dimora per niente influisce; i ligami politici stabiliscono la qualità. Finché un uomo rimane cittadino del suo paese, egli è nemico con coloro coi quali la sua nazione è in guerra (62).

Lo stato di guerra generale, nel quale si trovano promiscuamente tutti i sudditi delle nazioni tra di loro nemiche, spiega il primo effetto della guerra pubblica da noi di sopra indicato, vale dire la bontà e legittimità della preda di qualunque bastimento di proprietà o di possesso di un suddito della nazione nemica, abbenché egli non partecipi alle belliche fazioni.

Queste considerazioni ci serviranno decisivamente a bene intendere ed applicare la legge sulle prede marittime del 12 ottobre 1807.


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§. IV. Condizioni de' prigionieri in guerra pubblica

Questa materia offre all'umano ingegno un quadro di dottrina progressiva, che bisogna tener presente per farsi più dappresso alla tesi che ne occupa.

I TEMPO

In antico le guerre miravano alla distruzione delle cose ed alla schiavitù degli uomini. I servi furon detti a servando, ed una delle cause di legittima servitù fu la cattività bellica (63). E tal era l’inflessibile furore dei fortunati vincitori che nella miseranda sorte dei vinti ricadevano anche le bugiarde religioni di quel tempo: romani hostes DIPANA HUMANAQUE omnia dedere jubebant (64). Né è ignoto che gli stessi templi perdevan la loro condizione sacra per l'invasione nemica, che poscia ricuperavano quasi per diritto di postliminio:

Captae quoque ab hostibus, sono parole di GIOVANNI EINECCIO, res, sacrae esse desinebant, liberatae tamen, quasi postliminii jure pristinam recuperabant sanctimoniam (65).

Meritano di essere consultati sulla materia, MACROBIO nei suoi saturnali (66), GIACOMO REVARDO nelle sue congetture (67), GUGLIELMO BERGERO ED ERRICO COCCEI nelle erudite dissertazioni, de evocatone Sacrorum.

Abbenché men sistematiche, nullameno seguitarono ad imperare le massime spietate, che convertivano in cose gli uomini presi in guerra sul nemico.


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§. V. Passaggio a regole più miti
II TEMPO

Due elementi operarono la gran riforma a vantaggio della umanità: la dottrina e la religione. La prima la preparò; la seconda la compì.

L’austero disprezzo per tutto ciò che non fosse romano stava in piedi con la repubblica, quando l’irresistibile progresso dei tempi scosse e piegò i dommi tradizionali di un codice rimasto immobile, a traverso di molti secoli e di molte età.

CICERONE si collocò alla testa del movimento scientifico. Filosofo, augure, magistrato, oratore, e giureconsulto, ispirato dalle maravigliose concezioni di PLATONE e di ARISTOTILE, avvertì di buon ora, che le discipline e le arti greche si riversarono sul Lazio a forma di ampia fiumana, che precipitando dall'alto, tutto invade e rapisce: Influxit enim non tenuis quidam e Graecia rivulus in hanc urbem, sed abundantissimus amnis illarum disciplinarum et artium (68).

Egli pensator profondo, nelle tusculane, nelle accademiche, nella natura degli dei, nei fini, nel fato; medita, discute e dipinge i principi della filosofia predominante al suo tempo, e li avvia a destini migliori. Nelle leggi, rapisce al cielo la idea prototipa del giusto per darle albergo sulla terra. Negli uffici assembra, dispone, discopre e dichiara l’assenza e le relazioni promiscue del retto, dell'onesto e dell'utile nella vita pratica e sociale.

Egli veramente fece un gran passo, allorché di mezzo all'indocile egoismo del popolo di quirino, figurò tutti gli uomini come concittadini di una città medesima:

Inter quos porro est communio legis, inter eos communio iuris est. Quibus autem haec sunt inter eos communio, et civitatis eiusdem habendi sunt, ut iam universus hic mundus, UNA CIVITAS COMMUNIS DEORUM ATQUE HOMINUM EXISTIMANDA (69).

SENECA si avanzò di più, quando trasformò cotesta patria comune in una sola famiglia:

Philosophia docuit colere divina, humana diligere, et pene Deos imperium esse, inter homines consortium. Homo, sacra res homini. Omne hoc, quod vides, quo divina atque humana conclusa sunt, unum est: membra sumus corporis magni. NATURA NOS COGNATOS EDIDIT, quum ex iisdem et in eadem gigneret. Haec nobis amorem dedit mutuum et sociabiles fecit (70).

Ma il Cristianesimo perfezionò l'opera della filosofia, al dire di FRANCESCO BACONE; nulla omnibus saeculis reperto est, vel seda, vel religio, vel lex aut disciplina, quae in tantum communionis bonum exaltavit, bonum vero individuale depressit, quantum SANCTA FIDES CHRISTIANA (71).

Nel vero, non v’à penna più eloquente ed ispirata dell’apostolo delle genti nel delineare, a gran tratti, la divina influenza dell'Evangelio.

Questo, egli diceva, non fa eccezione, né di popoli, né di uomini, né di senno (72), né di casta (73). Esso stringe tutti in un amore cosmopolita. Esso non spezza con violenza le istituzioni consacrate dal tempo. Esso non solleva lo schiavo contro il padrone (74), i figli contro il padre (75), la moglie contro il marito (76). Non à in iscopo di abbattere le autorità delle Potenze stabilite (77); ma vuole positivamente che i principi ed i

magistrati sieno obbiditi (78). Produce i frutti della carità, della umanità, della bontà, della castità, della pace e della pazienza (79). Esso fa resistere ai suoi persecutori, come guerriero intrepido, armato dello scudo della fede, dell'elmo della salute e della spada dello spirito (80).

Nullameno cosiffatta morale che profondava le sue radici a fronte di una società orgogliosa per tradizioni, fu pervertita per interesse e corrotta per vizi.


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§. VI. Continuazione

Le incursioni di popoli barbari, che man mano inondarono ed afflissero le regioni culte dell'impero romano, mentre disfecero il trono dei Cesari, lasciarono la luttuosa eredità della gelosia personale, dell’amor di parte, dell’avarizia della dominazione, mascherate sotto le forme della più riprovevole ipocrisia. Questi e non altri dovevano essere gli abbominevoli portati dell'ignoranza, dei mal noti diritti dell'umanità e delle false pratiche religiose. Anche nella guerra solenne un codice di ferro resse le vicendevoli relazioni dei belligeranti (81).

Il rigore della guerra, se rispettò talvolta la vita dei prigionieri, non perdonò sovente alla loro normale esistenza. L’abbacinamento e la recisione del nervo di Achille furono pratiche usitate dal fortunato ed inesorabile vincitore sulle miserande persone dei vinti (82).

Ma era serbato allo zelo del Sacerdozio il rinvigorire l’irresistibile influenza della Chiesa universale, spiegatrice e ministra delle celesti massime del sacro verbo di un Dio.

Nella lunga e tenebrosa notte del medio Evo, le scienze, le lettere, le gentili discipline, intimidite e profughe dalle sedi native, già sommerse nel sangue e nel fuoco dal ferro barbaro, si ricoverarono nei penetrali del Santuario. In questo asilo di religione e di pace si alimentò dai ministri dell’Altare la sacra fiamma, alla quale si accese la face del sapere, che splendendo in Italia per la prima volta, e riverberando sul resto di Europa, diradò le caligini, illuminò le altre nazioni ed annunziò l'alba serena di quel giorno splendidissimo e sospirato, in cui rinacquero le dottrine di ogni specie.

Queste magnanimamente furono accolte dai Borboni sulla Senna, dai Medici sull’Arno e dagli Aragonesi sul Sebeto. Caldeggiate e protette dai Re cristiani, riversarono su tutte le materie, e tra queste, sopra gli usi di guerra, i pronunziati della ragione, della giustizia e della bontà religiosa (83).


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§. VII. Compimento della dimostrazione
III TEMPO

Da cotesti pronunziati ebber vita le norme assunte ed esercitate dai popoli inciviliti. E poiché la guerra pubblica poggia sul dritto e sulla giustizia, sulle basi della legittimità medesima furono regolati gli effetti e le conseguenze di essa, relativamente alle induge, alle paci, alle sue condizioni, agli scambi dei prigionieri, ed al di loro trattamento, durante lo stato provvisorio della loro prigionia. Ecco perché è stata riconosciuta la dottrina fissata da tutti i pubblicisti per la bocca del famoso VATTEL. che le potenze belligeranti ànno buon diritto d’indebolire l'inimico con tutti i mezzi leciti, e quindi avere il dritto di fare i prigionieri di guerra; ma questo dritto non è di far morire costoro. Questo dunque era, altra volta, un errore spaventevole, una pretensione ingiusta e feroce di attribuirsi il dritto di far morire i prigionieri di guerra. Si à il dritto di assicurarsi di questi prigionieri, di rinchiuderli, di legarli ancora, se vi è luogo a temere che essi si rivoltino, ma non si è autorizzati a trattarli duramente, ammeno che essi non si fossero renduti personalmente colpevoli verso di colui che li tiene in suo potere.

In questo caso, egli è il padrone di punirli. Fuori di questo caso, egli deve sovvenirsi che essi sono uomini e sventurati (84).

Ed è pur bello rammentare le magnanime parole che TITO LIVIO fa dire a Scipione in un governo inesorabile dalla pietà, nei casi di guerra:

Neque se, diceva il grand'uomo ai principi spagnuoli, da lui sottomessi e rivoltati contro di Roma, in obsides innoxios, sed in ipsos, si defecerint, saeviturum, nec ab inermi, sed ab armato hoste, poenas expetiturum (85).

Da questi postulati deriva che i prigionieri di guerra non sono puniti pel fatto della ostilità da essi legalmente esercitata, e lo possono soltanto, se mai commettano reati comuni nel territorio, in cui si trovano trattenuti

Udiamo al proposito il dotto RAUTER, il quale così ragiona:

Il dritto penale appartiene al diritto pubblico; esso fa parte del diritto del governo, cioè dire di quello che serve di regola all'amministrazione interna ed al mantenimento della sicurtà interna, essendo questa uno dei principali oggetti del governo.

Del resto, il carattere del diritto penale e del diritto pubblico non lo rende affatto assolutamente indipendente dall’influenza di tutte le altre parti della legislazione; esso è subordinato al diritto politico ed al diritto delle genti. Quindi gli atti di violenza commessi in Francia dai soldati della potenza straniera con la quale la Francia è in guerra, non possono dar luogo ad alcuna persecuzione penale, purché questi alti si ratlacchino allo stato di guerra.

Supponete che l’autore di queste violenze sia arrestato in Francia, durante la guerra, ò dopo, e che si voglia tradurlo in giudizio per un fatto di questo genere; ciò non si potrebbe.

Come, in conformità del diritto delle genti, lo stato di guerra cessa a riguardo dei prigionieri di guerra, è chiaro che l’omicidio commesso sopra un prigioniero di guerra francese o nemico, rientra nella penalità comune (86).


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§. VIII. Passaggio alla dottrina della guerra mista

La guerra mista o intestina sta categoricamente in antitesi con la guerra pubblica e solenne. Questa costituisce in istato di guerra tutta la nazione, e si fonda sul diritto che il Capo della medesima à creduto di avere per dichiararla. Quella per contrario mette nello stato di guerra soltanto coloro che la esercitano: fa rispettare gli altri cittadini pacifici e tranquilli e si fonda sopra un fatto eslege, riprovato dalla ragione e proscritto dal diritto delle genti.

Questa specie di guerra contiene un fatto collettivo; cioè dire, le ostilità dirette al Potere imperante, ed il reato contro la sicurezza esterna dello Stato. Le prime generano la legittimità della preda; il secondo la punizione degli autori e dei complici. Questo secondo effetto non si avvera nelle guerre solenni, perché i prigionieri in battaglia sono sotto la tutela del diritto; ma nelle miste, gli arrestati sono risponsabili del loro operato personale e sono giudicabili nei modi comuni, dacché per essi manca il diritto, e sta in presenza il fatto incriminato, e da loro volontariamente commesso.

Più tardi ritorneremo sopra questo argomento con più profonda disamina.

La guerra mista, consistente nel mero fatto, col quale si comincia, progredisce e si compie, non à che fare col dritto legale di poterla esercitare. Essa può venir paragonata ad una linea che sta nel suo iniziale discorrimento.

Il primo punto in flusso è il fatto ostile isolatamente riguardato: se si dilata e procede, può ribellare una parte, più o meno considerevole dei sudditi contro l’antica Sovranità: può, per conversion di fortuna, arrivare ad un fatto compiuto e costituire un governo di fatto, che si elevi contro il Potere legittimo rifornito di tutt'i mezzi, quanto potrebb’esserlo una Potenza riconosciuta. E codesta specie di guerra può esercitarsi, o dai sudditi propri levati a ribellione, o dai sudditi stranieri, che vengono a suscitarla nello Stato di una Potenza qualunque.

Poiché del fatto anormale ed ostile, abbenché isolato, non possono valutarsi, con sicuro consiglio, né la intensità, né il possibile progresso, ne consegue che gli stessi rigori di guerra vanno applicati, sì nel principio, come nel mezzo e nel fine completo delle rivolture dei popoli.

La è questa la ragione che nelle diverse ipotesi da noi raffigurate, dai pubblicisti si riguarda esservi tempo di guerra; imperciocché questo tempo, massime nel caso di guerra mista, può esser breve o protratto a misura che la ribellione si spegne, o si diffonde; e può essere, cotesto tempo, sincrono al fatto ostile isolato, quante volte si smorzi nel suo nascimento, senza avere estensione e successo.

Per l'aggressione del CAGLIARI, il tempo di guerra non cessò con l’invasione di Ponza, poiché si dilatò in terra ferma e non ebbe termine che nel 3 luglio 1857, cioè quando le schiere ribelli vennero disfatte nelle giornate di Padula e di Sanza dalle truppe regie e civili. Laonde per sette interi giorni infierì la guerra mista nel reame delle Due Sicilie, e tacque la Potestà dell'impero, finché la Maestà dell'Imperante non annullasse, con gli sforzi propri di guerra giusta, gli audaci nemici.

Il Sovrano nei rincontri di guerra mista, che s’inizia dalla prima aggressione nemica, risente il dovere di procurare la pace de' popoli che regge, come di difendersi in tutt'i modi, a simiglianza di guerra solenne. E cotesta conservazione della pace de' suoi soggetti è una delle nobili prerogative che esercita la Sovranità verso la propria sudditanza.

Il primo che abbia insegnato questa dottrina è l'ANGELICO DOTTORE, seguito da tutta la schiera de' pubblicisti antichi e moderni.

Unde egli scrive, qui perfectam communitatem regit, id est civitatem, vel provinciam, antonomasice Rex vocatur: qui autem domum regit, non Rex sed pater familias dicitur.

Habet tamen aliquam similitudinem Regi, propter quam aliquando Reges populorum patres vocantur; ex dictis igitur patet quod Rex est qui unius multitudinis civitatis, vel provinciae, et propter bonum commune regit.

Bonum autem et salus consociatae multitudinis est, ut eius unitas conservetur, QUAE. DICITUR PAX, qua remota, socialis vitae perit utilitas, quinimo multitudini dissentienti sibi ipsi fit onerosa (87).

Ecco perché in qualunque fatto di guerra mista s’ impegnano due interessi, indipendenti però l'uno dall'altro; quello della preda del legno offensore, che mette capo agli alti diritti di Maestà ed all'acquisto che ne àn fatto i predatori, e quello della punizione del reo pel misfatto contro la sicurezza esterna dello Stato.

Come nella guerra pubblica i rigori di guerra, le prede, mirano per esercizio dei diritti di Maestà a costringere il nemico alla pace pubblica, ugualmente per virtù del diritto d’impero, le punizioni mirano a serbare la pace privata.

RAUTER Io dice apertamente:

I misfatti o delitti contro la cosa pubblica ànno per oggetto, o di rovesciarla, e si chiamano misfatti e delitti contro la sicurezza dello Stato, ed essi sono analoghi a ciò che anticamente si chiamavano crimina maiestatis sensu lato, crimina perduellionis, misfatto di alto tradimento, di tradimento di primo grondo, misfatti di lesa maestà; o essi ànno per oggetto di turbare soltanto la cosa pubblica, senza disegno di rovesciarla; e si chiamano misfatti o delitti CONTRO LA PACE pubblica nello stretto senso della parola; altravolta, potestatis publicae turbatae criminali (88)).


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§. IX. Sistema degli avversari sulla immaginata pendenza di lite

Essi si esprimono presso a poco a questo modo:

Se colpevoli il capitano e la compagnia, son dessi pure i pirati, e la preda è santa; son dessi pure i ribelli, e la confisca del naviglio, istrumento del misfare, è scritta nelle nostre leggi punitive.

Or fuori ogni dubbio, il giudicato che sarà emesso nella linea penale appresterà all’attore, sia l’actio iudicati, sia l’exceptio rei iudicatae per respingere la pretensione di negarla. Ed appresterà al reo l'exceptio rei iudicatae per oppugnare l'azione alla preda, come quella che verrebbe contro i risultamenti della pronunziata assoluzione.

E ciò perché mai? perché gli obbietti esteriori delle due azioni, come che diversi; come che tendenti a vario fine, provocandosi con la penale la punizione del reo; con la civile pretendendosi all’acquisto dell’istrumento servito alla consumazione del misfatto, non impegnano che la medesima quistione, la colpa della compagnia e del capitano. Fin qui i nostri contraddittori (89).

Come ognuno si persuaderà, adoperando lieve raziocinio, e diremo quasi a colpo d’occhio, tutto il sistema degli avversari si fonda sopra due errori colossali, e perciò imperdonabili.

II primo è di confondere in una sola idea due cose tra loro separate e distinte, cioè dire l'azione penale, prettamente punitiva dell’individuo fisico del reo, e Fazione civile competente ai predatori derivante dall'occupazione bellica per virtù, non già del diritto penale, ma in vece del dritto delle genti.

Il secondo è di non aver ponderato che la confisca dell'istrumento che à servito al misfatto è conseguenza della condanna, e non azione principale ed indipendente: di più, che opera nel favore del Tesoro Reale, appartenendone il prodotto alla cassa delle ammende. E la stessa confisca dell’istrumento, in ragion penale, è del tutto diversa dalla indennizzazione dei danni ed interessi, che può pretendere soltanto la parte che sia danneggiata dal reato commesso (90). Basterebbero queste due sole riflessioni preliminari, e fatte fugacemente per distruggere radicalmente l'assurdo ed illegale sistema del collegio de' difensori di Rubattino e di Sitzia.

Ma poiché scorgiamo nei loro detti una tal quale aria di sicurtà e d’imponenza, piace d’imprendere speciale dimostrazione, sia per atterrare irrimediabilmente il disegno da essi concepito, sia per far conoscere la inopportunità, la contraddizione, il difetto, e tal volta la mutilazione delle dottrine che essi àn creduto profittevoli alla loro difesa (91).


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§. X. Essenziale indipendenza del giudizio della preda dal giudizio penale

Per riscontrare l’eccezione della indipendenza, convien riscontrare la eccezione della cosa giudicata. Ascoltisi al proposito l’illustre GIOVANNI VOET, il quale ragiona a questo modo:

Exceptioni rei indicatae affinis admodum est exceptio LITIS PENDENTIS; quippe quae toties, et omnibus illis in casibus datur, lite apud alium iudicem pendente, quoties et quibus in casibus, lite finita, rei iudicatae exceptioni secundum ante dieta, locus est, adeoquae INTER EASDEM PERSONAS, DE EADEM RE, ET EX EADEM CAUSA, lis apud alium iudicem iam coopta fuit agitata; cum ubi acceptum est semel iudicium, ibi et finem accipere debeat, leg. 30 ff. de iudiciis (92).

E piace ricordare che il nostro dotto Nicolini ripete quasi alla lettera l’insegnamento del VOET in quello stesso luogo dal quale gli avversari ne àn tolto l’autorità, senza badare che il pensiero di quel classico scrittore veniva manomesso e volontariamente posto in contrasto con sé medesimo (93).

Per riconoscere la preesistenza di un giudicato, il quale faccia arrestare il secondo giudice adito a poter pronunziarne un secondo, debbono rigorosamente concorrere due, identità; l’una di genere, l’altra di specie. La prima consiste nell'essere lo stesso l’oggetto della sentenza; la seconda, che la domanda sia fondata sulla medesima causa, che la cosa domandata sia la stessa, che la domanda sia tra le medesime parti e proposta da esse e contro di esse nella medesima qualità (94).

Or, poiché è piaciuto al collegio degli avvocati degli appellanti di far uso principalmente della dottrina del famigerato FEDERICO DE SAVIGNY, noi ci faremo un dovere di seguitarli nell’uso che àn fatto de' suoi insegnamenti; ma ci recheremo nello stesso tempo a debito di riprodurre tutto ciò che ànno trascurato, o perché loro nuoceva, o perché loro recava fastidio di riscontrare nella moltitudine delle cure, dalle quali essi sono circondati.


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§. XI. Continuazione

Essi alla faccia 141 riferiscono due responsi trascritti dal de SAVIGNY alla pag. 423 del suo trattato del diritto romano al tomo 6.°, nella quale, comincia quel grande scrittore, a discutere della eccezione della cosa giudicata.

I due responsi fissano la identità del giudicato, allorché tra le stesse persone si riagiti la stessa quistione, abbenché in un giudizio diverso. Però il SAVIGNY avverte in nota (95), che bisogna tener presente, che mai sia veramente la stessa quistione, e reca il paragrafo primo della medesima legge 7.(a) al titolo del digesto de exceptione rei iudicatae la quale contiene il responso di GIULIANO, che è un de' due riportati dagli avversari. Questo giureconsulto dice così:

Et quidem ita definiri potest, totiens eandem rem agi, quatiens apud iudicem posteriorem ID QUAERITUR QUOD APUD PRIORUM QUAESITUM EST.

Lo stesso SAVIGNY avverte che: questi due testi citati disegnano per eadem quaestio, EADEM RES, e si appella ad una moltitudine di altri frammenti; cosicché tanto è dire, eadem quaestio revocatur, quanto è dire, eadem res bis petitur (96).

Ne conchiude, che queste due condizioni cioè (della identità delle persone, e della quistione, ossia della cosa) possono riassumersi nella identità OBBIETTIVA e SUBBIETTIVA (97).

Da questo principio riconosciuto ed adottato dagli stessi nostri contraddittori, nasce evidentemente il primo difetto delle condizioni richieste per riscontrare l'eccezione dalla cosa giudicata; imperciocché nel giudizio pendente presso la G. C. criminale di Salerno, non sono presenti, né vi fanno parte, non meno la Intendenza Generale della Real Marina che lo stesso Raffaele Rubattino, proprietario del piroscafo il CAGLIARI; dappoiché la G. C., con decisione del giorno 19 ottobre 1857 si à riserbato le provvidenze contro di lui, ed intanto spedisce il giudizio tra i rei presenti. Se dunque la decisione che si aspetta e che sarebbe il giudicato donde dipenderebbe la ragione o il torto della Real Marina nel giudizio della preda, non riguarderà Rubattino; domandiamo come mai può esistere la eccezione della cosa giudicata nel favore o nel danno di colui che non à preso parte a quel giudizio?

Manca dunque la prima condizione, cioè quella della presenza delle parti e che si chiama dal SAVIGNY identità subbiettiva, e da GIULIANO giureconsulto, le stesse persone in giudizio INTER EASDEM PERSONAS eadem quaestio revocatur.

Né qui si dica, che nei misfatti, il Pubblico Ministero rappresenta tutti gl'interessati civili e l'intera società nel giudizio criminale: imperciocché se Rubattino non può essere, né assoluto, né condannato nel giudizio pendente in Salerno: se la confisca del piroscafo, che sarebbe l'istrumento che à servito a commettere il misfatto, potrebbe aver luogo quando appartenesse al condannato; e se, ove fosse condannato il capitano Sitzia, il piroscafo non sarebbe mai confiscabile, pel testo espresso dell’articolo 44 delle leggi penali, ne conseguita evidentissimamente che la Intendenza Generale della Real Marina ed i predatori non sono rappresentati dal Pubblico Ministero, che solo inutilmente contro del capitano Antioco Sitzia, per la possibile condanna del quale non può perder mai Rubattino la proprietà del piroscafo, né può la Intendenza Generale della Real Marina sperare di farlo proprio.

La confiscazione del corpo del delitto e degl'istrumenti che han servito o che erano destinati a commetterlo, QUANDO LA PROPRIETÀ NE APPARTENGA AL CONDANNATO, è comune ai tre ordini di giustizia. ESSA ACCOMPAGNA DI REGOLA ogni condanna per misfatto o delitto (98).

E sia pure per poco, che dalla condanna di Sitzia dipenda la confiscazione del CAGLIARI, e che il Pubblico Ministero rappresenti tutti gl'interessati civili nelle cause di misfatto, non perciò verrà meno il principio della diversità e della indipendenza dei due giudizi.

La confiscazione non frutta alle parti interessate, ma al Tesoro pubblico e si versa nella cassa delle ammende:

Il prodotto della vendita degli oggetti indicali nell’articolo antecedente sarà versato nella cassa delle ammende (99).

La rappresentanza poi del Pubblico Ministero delle parti interessate è di coloro che àn diritto alle restituzioni ed ai danni ed interessi, dovuti alle parti danneggiate per effetto del reato (100).

Ma i predatori, non ànno esperibile cotesto diritto derivante dal reato, dacché essi non sono stati danneggiati da questo; ma in vece agiscono presso la Commissione delle prede per l’azione diretta dell’aggiudicazione del CAGLIARI in loro piena proprietà, in virtù della occupatio bellica, la quale è una delle cause civili per acquistare il dominio delle cose.

Potrà succedere, che non si riconosca legittima l’occupazione bellica dai giudici competenti, ma sarà sempre vero, che questo oggetto è pienamente diverso dal risarcimento animato dal misfatto commesso.

Dunque i predatori sotto nome della Intendenza Generale della Real Marina non sono, né possono essere rappresentati dal Pubblico Ministero nel giudizio penale, tuttora pendente nella G. C. criminale di Salerno.

§. XII. Continuazione. Mancanza del secondo requisito, cioè dire della
identità della cosa domandata

Si è ricorso al mentovato scrittore per fissare la unicità del fatto che porge occasione al doppio giudizio, penale e di preda, e si è creduto di dimostrarla, riferendone l'autorità relativa alla condictio furtiva ed allodio furti, e si è conchiuso che il destino dell'uno dipenda dal destino affermativo o negativo dell’altro (101).

Innanzi tratto, la dottrina del SAVIGNY, che con la condictio furtiva si domanda la indennità del furto, e con l'actio furti la punizione del medesimo fatto, non è sicura in diritto. Esso stesso avverte che vi sono opinioni contrarie alla sua, cioè quelle del KELLER (102) e del PUCHTA (103).

Ma indipendentemente dalle sentenze di questi due scrittori, nel fondo comune della dottrina, le azioni che nascono da un delitto, e principalmente dal furto, non son due, ma quattro:

La prima è actio furti; la seconda è la condictio furtiva: la terza è la vindicatio; la quarta è l’aedo ad exbibendum.

L’actio furti è penale, ma non già afflittiva, o sia punitiva del rubatore. Essa si dice penale perché impone a costui la prestazione di una pena pecuniaria, che secondo la diversità de' furti, cioè, o manifesto o non manifesto, concepto o oblato, o proibito, o non exibito, giusta le antiche teoriche del dritto romano, può importare la prestazione del doppio, del triplo o del quadruplo, a seconda delle circostanze.

L’actio furti si cumula con le altre azioni persecutorie della cosa, poiché esse ànno uno scopo del tutto diverso e le condanne ottenute in virtù di un’azione, non impediscono di istituire e proseguire le altre, specialmente quando sono penali, nel senso del diritto romano (104).

La condictio furtiva poi non riguarda la indennità, ma in vece è un’azione personale per la quale il proprietario della cosa rubata sostiene, che il rubatore sia individualmente obbligato a dargliela e trasferirgliela in proprietà.

L’azione vendicatoria e l'altra esibitoria, a diversità della condictio furtiva, si possono esercitare anche contro qualunque possessore della cosa, per far sì che la restituisca o l’esibisca al proprietario, sive cum ipse possidet, sive alius quilibet.

Adunque, la condictio furtiva non è d’indennità, ma di persecuzione individuale del rubatore, perché restituisca la cosa; l'actio furti è poi d’indennità e penale, potendo sorpassare il valore della cosa rubata, del doppio, del triplo e del quadruplo; e si esercita anche contro gli eredi del ladro; finalmente le azioni vendicatone ed esibitorie sono persecutorie nella cosa in generale, contro qualunque persona detentrice della medesima.

Quello che noi assumiamo è la dottrina concorde di leggi positive (105), ed è pure l’insegnamento di tutta la scuola rappre

sentata dal Vinnio, dal Cirillo, dal Deferrière, da moltissimi altri tra gli antichi; e tra i moderni dagli stessi autori citati dal SAVIGNY, ed oltre a quelli, dall’Ortolan (106) e dal Mackeldev (107), che segnatamente dice, che la condiclio furtiva, non si attacca che alla cosa essa stessa, e che ella tende a farla restituire, e che est rei persecutoria, ed invoca una moltitudine di scrittori e di leggi.

Tutti i lodati dottori comentano il titolo delle istituta, De obligationibus, quae ex delieto nascuntur.


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§. XIII. Termine di questo argomento

Noi non osiamo appuntar di errore il dotto SAVIGNY, che ritiene la condictio furtiva, come d’indennità pecuniaria, scambiandola con l'actio furti, e sostenendo che questa sia penale, nel senso repressivo ed afflittivo di corpo. Ma da un lato sappiamo, che possono darsi divergenza di opinioni, tanto che la polemica forense, ossia il diritto controverso vive e si alimenta della dissidenza dei dotti.

D’ altra parte, è pur noto, che qualunque sia il credito di uno scrittore, le leggi positive e la comune sentenza la vincono prepotentemente sulle massime isolate, o sistematiche, ovvero favorite dai loro cultori.

Ed anche messo, per mera ipotesi, dall'un dei lati il niego dell'insegnamento del SAVIGNY, la cosa ben potrebbe conciliarsi, senza derogare ai principi che annunziamo.

Le tante azioni nascenti del furto, e specialmente le due: actio furti, et condictio furtiva ànno un fatto unico per fondamento, ossia nascono da un solo elemento generatore, che ne costituisce la causa proxima, la quale è l’ablatio, la contrectatio rei alienae (108).

Or, quando questo elemento manca, mancano ugualmente le azioni che da lui prendono origine, e perciò, se proposta una delle due precennate azioni, una venga rigettata, perché non esiste il fatto dello involamento, tacciano le altre di conseguente; ma non perché concorra la identità delle persone e delle cose, ossia della quistione di diritto, ma perché unica e medesima è la CAUSA su della quale la persona derubata à fondato le due azioni, cioè per avere la indennità, e la pena: eadem est causa proxima dei due esperimenti.

Nella quistione che àn trattato i nostri contraddittori, essi non ànno avvertito ciò che principalissimamente dovevano avvertire, cioè che diversificando essenzialmente la causa prossima dell'azione, ossia l’elemento, il fatto immediato e generatore del giudizio della preda e del giudizio penale, non vi poteva esser mai, né vi può essere, finché il mondo dura, nissuna di pendenza tra i due giudizi.

Ciò permesso; torna dunque di massimo pregio disputare della diversità delle due cause prossime dell'azione pubblica pel reato contro la sicurezza esterna dello Stato, e dell'azione pretta mente privata e civile per la consumazione del fatto ostile allo scopo della occupatio bellica, che à trasportato il piroscafo nel dominio dei predatori.

Questa tesi verrà disputata più basso; per ora seguitiamo il filo della nostra confutazione.


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§. XIV. Prosieguo della confutazione delle dottrine recate dagli avversari

Essi tentano di rannodare la teorica dei così detti giudizi pregiudiziali all'altra del giudizio penale che sostengono del pari essere d’impedimento a quello della preda: in altri termini, intendono di stabilire che il giudizio penale impedisca l’ingresso a qualunque azione civile che da quello derivi; appunto come le cause pregiudiziali impediscono qualunque richiamo, anche che si proponga da coloro che non presero parte e che furono stranieri a quelle controversie.

A pruova di questo principio adducono due opinioni; l’una del VINNIO l'altra del NICOLINI (109).


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I

Autorità del VINNIO

Innanzi tratto dovevano avvedersi i nostri contraddittori della enorme differenza che passa tra la causa unica, ossia il fondamento giuridico dell'azione penale e della civile. Fatta questa prima distinzione, dovevano por mente, che delle così dette quistioni pregiudiziali, che altro non sono che le quistioni di stato, unica, anzi individua è la causa che le anima, straniera affatto al caso che occorre.

Nella causa penale, l’azione civile è conseguenza del giudizio penale nel solo caso, cioè quando il danneggiato debba promuoverla per essere ristorato de' nocumenti che a lui sono stati prodotti dal reato commesso. In questo solo caso, e quando non si può istituire l'azione di risarcimento, indipendentemente dalla dichiarazione dei giudici penali, può stare la teorica dell'unicità della causa.

Ma nelle quistioni pregiudiziali, ossia dello stato delle persone, non esiste l'unicità della causa come nello stretto senso penale; ma invece il giudicato spiega la sua forza anche contro coloro che furono assenti e contumaci, per ragione della individuità della cosa, nella sola ipotesi, nella quale il giudizio siesi agitato e conchiuso contro il legittimo contraddittore.

E ciò perché, in tal caso la quistione, ossia l'oggetto, la cosa (ripetiamolo anche una volta) è individua.

Il brano del VINNIO che gli avversari àn riportato, è stato riferito così come giaceva in nota alla discussione che delle azioni pregiudiziali tesse il TOULLIER (110).

Ma essi trascurando di ponderare il resto dello insegnamento del Vinnio e lo insieme della discussione del Toullier, conchiudono di buona fede, proclamando una massima che diventa una eresia legale, qualora non si limiti nei suoi giuridici confini.

Il Vinnio aggiunge immediatamente dopo della sua opinione, queste importanti parole: exempla habemus in L. 1. § ult., L. 2., L. 3. fi, de adgnoscendis liberis. In his actionibus uterque et actor et reus esse potest (111).

Adunque la opinione del Vinnio per tanto sta, per quanto stanno coerentemente le leggi, alle quali esso si rimette.

Ora in queste leggi, e specialmente nella terza, de adgnoscendis liberis, sta scritto: Placet enim eius rei judicem jus facere; eoque jure utimur. Donde si ricava la massima, che il giudicato è legge in tal caso, e perciò non richiede il concorso delle quattro condizioni che lo costituiscono. Esso forma invece una eccezione alla regola generale.

Ma per poter verificarsi cotesta eccezione è d'uopo dell'estremo essenziale, vale dire, che il giudizio siesi agitato e spedito col giusto e legittimo contraddittore; dappoiché diversamente cade la eccezione e rinvigorisce la regola:

Cum non iusto contradictore quis ingenuus pronuntiatus est, PERINDE INEFFICAX EST DECRETUM, ATQUE SI NULLA IUDICATA RES INTERFENISSET (112).

Ond'è che, quando il servo non cerca la dichiarazione d’ingenuità contro del suo padrone, o il figlio non domandi di esser riconosciuto tale dai suoi genitori, non esiste la forza della eccezione del giudicato, inter omnes, e si osserva la regola che possa soltanto valere, inter partes.

Udiamo lo stesso TOULLIER a proposito, il quale insegna:

Che per conseguenza del principio, i giudicati profferiti in materia di stato, senza del contradditore legittimo NON HANNO ALCUNA FORZA CONTRO I TERZI (113).

Ed è bello osservare che lo stesso SAVIGNY, autor favorito dai nostri avversari, tratta ampiamente la dottrina delle azioni pregiudiziali, accennata dal Vinnio e disputata dal TOULLIER, e dopo di avere lungamente dissertato, conchiude in questi termini:

Ma nei due soli casi, dove la regola eccezionale è applicabile (cioè dell’ingenuo e del figlio legittimo) ella non lo è che sotto le condizioni seguenti: BISOGNA CHE IL GIUDIZIO SIA SOSTENUTO DA UN GIUSTO CONTRADDITTORE; che la sentenza sia renduta in contraddittorio e non in contumacia; in fine che non vi sia stata collusione tra le parti (114).

È innegabile adunque la inopportunità e la erroneità della dottrina delle quistioni di stato, alle quali si sono rivolti i difensori dei convenuti, senza il presidio di quel fino discernimento, che per altro, tanto li distingue nell’esercizio delle loro funzioni.


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II

Opinione del Nicolini (115)

Le basi del ragionamento del grande uomo sono le seguenti, cioè quelle che noi assumiamo:

Ma se LA CAUSA PROSSIMA dell’azione, sono parole testuali del Nicolini, nel giudizio penale e nel civile sono LE STESSE, o se l’azione è nascente sempre dal reato propriamente detto e dal fatto giudicato competentemente dal giudice penale, certamente il giudizio penale è essenzialmente pregiudiziale al civile, e pregiudiziale in tutta la forza della più stretta proprietà del vocabolo (116).

E noi plaudiamo alla giusta dottrina del Nicolini. Ma l’importanza del fatto è (come di già abbiamo accennato), che il giudizio civile della preda (occupatio bellica) non dipende intimamente dal reato, ossia fatto penale, ma nasce da una causa prossima diversa, sicché ne è indipendente per propria indole e natura; cioè per la causa petendi e pel petitum, e perciò non est eadem quaestio, eadem res, a sentimento del giureconsulto GIULIANO.


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§. XV. Dimostrazione della diversità delle cause prossime del giudizio penale e del giudizio della preda del CAGLIARI
I
Regole generali. Che sia in dritto la identità della causa

Innanzi tratto convien distinguere, la causa proxima actionis, che dev'essere identica; dalla ragione o dal motivo addotto, origo actionis; e più ancora dal titolo adoperato siccome mezzo, per sostenere la causa dell'azione, e l’azione medesima, ratio actionis.

Il giureconsulto Nerazio insegna: Cum de hoc, an eadem res est, quaeritur, haec spectanda sunt: personae, id ipsum de quo agitar; CAUSA PROXIMA ACTIONIS. NEC JAM INTEREST, QUA RATIONE QUIS EAM CAUSAM ACTIONIS COMPETERE SIBI EXISTIMASSET. Perinde ac si quis, posleaquam contra eum judicalum esset, nova {strumenta causae suae reperisset (117).

Il chiarissimo POTHIER esemplifica il testo nel seguente modo: ld est, si haec tria quae diximus, concurrant, nimirum eadem personae, res de qua agitur, et causa actionis, de coetero NIHIL JAM INTEREST QUA RATIONE QUIS EAM CAUSAM ACTIONIS SIRI COMPETERE EXISTIMAVERIT; id est, qua ratione res sua esset, adeoque causa actionis REI VINDICATIONIS sibi competeret. E. G. In priori judicio rem suam esse existimavit EX CAUSA EMPTIONIS; et quum non probaret se eam emisse, succubuit.

Quum tamen sua esset; non quidem ex causa emptionis, sed puta ex causa dolis; hoc jam intendit et probare paratus est: non ideo minus summovebitur exceptione (118).

Ed ULPIANO in più brevi termini: Eamdem causam facit origo petitionis Itaque adquisitum quidem postea dominium aliam causam facit, mutata autem opimo petitoris non facit. Utputa opinabatur ex causa hereditaria se dominium habere; mutavit opinionem, et coepit putare EX CAUSA DONATIONIS: HAEC RES NON PARIT PETITIONEM NOVAM. NAM QUALECUMQUE ET UNDECUMQUE DOMINIUM ADQUISITUM HABUIT, VINDICATIONE PRIMA IN JUDICIUM DEDUXIT (119).

Dunque per colui il quale domanda la cosa come propria; causa proxima actionis consiste nella rivendicazione della medesima che si propone ottenere, la quale rimane sempre la stessa, come che prima sostenuta ex ratione emptionis, e poscia ex ratione dolis: ed assai meno varia la causa per nuovo titolo, di cui prima non siesi fatto uso, comunque per avventura ignorato, e scoverto dappoi: e quando anche sottratto dalla parte avversa, si dovrà ricorrere al rimedio della ritrattazione, verificandosi le altre condizioni assegnate dalla legge: vale dire, che il primo giudicato potrà rescindersi; ma perché ciò non avvenga, l’ostacolo della sua autorità resiste perpetuamente.

Grave è il seguente caso deciso da Paolo: Quegli che fu istituito erede nella sesta parte dell'asse, e che può essere erede legittimo ab intestato, mentre faceva quistione del testamento, domandò ad uno degli eredi istituiti la metà della eredità, e rimase succumbente. Si considera che in quella petizione egli abbia vindicata anche la sesta parte; e quindi se domanderà al medesimo quella stessa porzione in forza del testamento, gli osterà l'eccezione della cosa giudicata (120).

Più grave è ancora l'altro caso deciso da ULPIANO. Se una madre in forza del Senatoconsulto TERTULLIANO vindicò i beni del figlio impubere defunto, perché credeva che, rotto il testamento del di lui padre, non vi fosse verun sostituito (cioè sostituito per diritto). Ella però confessava per errore che l'avversario fosse nelle seconde tavole istituito erede, mentre di falla non era istituito, e negava che la sostituzione fosse valida. E rimase succumbente per non essere quel testamento rotto; in appresso aperto il testamento pupillare, Nerazio dice che, ove essa dimandi di nuovo l'eredità, le nuoce l'eccezione della cosa giudicata (121).

Tutte queste decisioni dipendono dalla gran differenza che intercede fra le azioni personali, e le reali; la quale consiste in ciò, che quando la medesima cosa è dovuta dalla medesima persona, le singole cause seguono le singole obbligazioni; e nissuna di esse patisce per la inchiesta di un altro. Quando si promuova l'azione reale senza esprimere la causa per la quale asserisca esser una la cosa, tutte le cause sono comprese in questa sola petizione. Difalti, la cosa non può esser mia che una sola volta, laddove mi può essere dovuta più volte (122). Perciocché è regola di diritto che può bensì, per più cause essere a noi dovuta una cosa, ma non così una cosa può esser nostra per più cause (123).

La teorica procede quando pure l’attore proponesse diverso genere di azioni, ferma restando la causa prossima, ossia origo petitionis, intesa ad ottenere la stessa cosa, o la parte di essa.

Classico è un responso del giureconsulto ULPIANO:

De eadem re agere videtur, et qui NON EADEM ACTIONE AGAT QUA AB INITIO AGEBAT, SED ETIAMSI ALIA EXPERIATUR, DE EADEM TAMEN RE. UTPUTA si quis MANDATI ACTURUS, QUUM EI ADVERSARIUS JUDICIO SISTENDI CAUSA PROMISISSET, PROPTER EANDEM REM AGAT NEGOTIORUM GESTORUM, VEL CONDICAT: DE EADEM RE AGIT.

Recteque ita definietur, cum demum de re non agere, qui prorsus rem ipsam non persequitur: coeterum quum quis ACTIONEM MUTAT, ET EXPERITUR; DOMINIO DE EADEM RE EXPERIATUR, ETSI DIVERSO GENERE ACTIONIS QUAM INSTITUIT; VIDETUR DE EA RE AGERE (124).

Il lodato POTHIER chiosa: NEGOTIORUM GESTORUM ACTIO; ET CONDITIO CERTI, SAEPE CONCURRUNT CUM ACTIONE MANDATI. Puta si quis mihi decem debeat actione mandati, possum haec decem etiam CONDICTIONE CERTI ab eo petere; et, si is postea negotia mea gesserit, possum eadem decem ab ipso petere actione NEGOTIORUM GESTORUM, eo quod ea a se utpote debitore exigere debuerit.

SI COI IGITUR TRIPLA HAEC ACTIO SIMUL COMPETAT, ET UNA EX HIS ACTURA REUS PROMISERIT JUDICIO SISTI, NIHILOMINUS TENETUR JUDICIUM PATI, SI ACTOR IN JURE ALTERA EXPERIATUR: QUIA SEMPER EADEM RES EST (125).

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II
La causa prossima è il fatto generatore, ossia immediato
dell'azione

In diritto, si distingue la causa remota, origo actionis, dalla causa petendi ossia causa proxima actionis siccome avanti abbiamo accennato (126). Questa è il fondamento giuridico dell'azione che partorisce la domanda, e che forma la diversità obbiettiva, ossia la cosa che si domanda in giudizio.

Udiamo al proposito due illustri scrittori, il MARCADÉ e lo ZACHARIAE, dei quali il primo insegna a questo modo:

Ed innanzi tutto non è da confondere la causa con gli elementi che vengono a produrre o giustificare questa causa. Senza dubbio vi saranno de' principi del dritto domandato e delle basi dell'azione per la quale si reclama cotesto dritto; ma queste non sono che basi lontane e mediate, cause della causa, che la legge non avrebbe mai potuto prendere qui in considerazione senza eternare i giudizii e spogliare le decisioni giudiziarie di ogni difficoltà. Non si deve alcuno preoccupare di queste basi lontane: la causa non si trova che nelle basi vicine, che nel principio immediatamente GENERATORE, CHE I ROMANI CHIAMAVANO ESATTISSIMAMENTE CAUSA PROXIMA ACTIONIS (127).

Il secondo insegna:

Malgrado l’identità delle parli e dell’oggetto, una sentenza non à affatto l autorità della cosa giudicata, se l'azione o la eccezione formata o proposta nella nuova istanza non è fondata SOPRA LA MEDESIMA CAUSA CHE L’AZIONE O L'ECCEZIONE, SULLA QUALE QUESTA SENTENZA À STATUITO.

S’intende per causa in questa materia, il fatto giuridico CHE FORMA IL FONDAMENTO DIRETTO ED IMMEDIATO DEL DRITTO, O del beneficio legale che una delle parti fa valere per via di azione o di eccezione.

Non bisogna punto confondere con la causa di un’azione o di un’eccezione, le circostanze, o i mezzi che possono concorrere a costituire questa causa o servire a giustificarne l'esistenza.

La diversità di queste circostanze o mezzi, non implicano affatto diversità di cause (128).

III
Diversità essenziale della causa prossima dei due giudizi, in modo assoluto e per nascimento giuridico

È un punto sicuro di diritto pubblico, e da noi anche discusso altrove, che in terra non vi è luogo a preda. Questa si verifica sol quando un’aggressione marittima avviene per mezzo di un legno, o da guerra o di commercio. Laonde il fatto che porge il fondamento alla preda è di per sé stesso eccezionale.

Di qui conseguita una normale differenza tra il reato commesso in terra ferma contro la sicurezza interna dello Stato, ed il reato medesimo commesso sul mare per mezzo di un bastimento.

Questo fatto cosi qualitativo, essenzialmente involge due fatti elementari che lo compongono: il primo di aggressione ostile; il secondo di reato comune.

Nel vero, pei reati contro l'esterna sicurezza dello Stato consumati in terra ferma, una è la legge che li prevede e che vi si applica, il codice penale; come del pari uno è il giudice competente a conoscerne, le Grandi Corti criminali.

Per lo stesso fatto, ma consumato in mare, impera una legge diversa ed eccezionale, cioè quella sulle prede marittime.

Laonde nel reato marittimo essenzialmente vi sono due cause diverse nascenti dall'unico avvenimento e che differenziano la causa prossima del giudizio penale da quella del giudizio della preda.

La causa remota, ossia la origine del primo è la conservazione della tranquillità pubblica; la prossima è il reato specialmente commesso. La causa remota del secondo è la preservazione della Sovranità dalle offese nemiche; la prossima è il fatto ostile o di pirateria consumato, definito da una legge diversa dalle leggi penali. Questo è per lo appunto il fatto immediato e diretto generatore dell'azione della preda.

Ecco perché vi possono essere reati commessi contro la sicurezza esterna dello Stato, senza la meschianza della preda; ma non può avvenire che vi sia fatto che ingeneri il giudizio di preda, senza la mistura del reato commesso contro la sicurezza esterna dello Stato. Per regola generale adunque tutti possono consumare un reato cosiffatto, ma non tutti nel consumarlo, commettono una ostile aggressione contro la legittima Sovranità, che porga occasione al giudizio di preda del bastimento offensore.

Il giudizio della preda unicamente si occupa (ci si permetta il dirlo) della imputabilità delle cose, cioè del bastimento aggressore e della indole del fatto e delle condizioni che lo accompagnano, vale dire se sia d’inimicizia al regno, ovvero piratico.

Il magistrato penale, per opposito, si occupa del solo fatto incriminato che addimandasi reato, e della imputazione della persona che dicesi di averlo commesso, e la quale sarebbe l’autrice del misfatto della turbata sicurezza dello Stato.

Il giudice penale definisce la qualità della persona e del reato nei puri sensi del dritto penale, ma non mai in quelli del diritto delle genti, nei rapporti della Sovranità, vale dire di inimicizia al regno. Esso conosce e decide in virtù del diritto punitivo privato e proprio del nostro reame; mentre le Commissioni ed il Consiglio delle prede decidono di un fatto, anche possibilmente senza colpabilità delle persone, negli alti rapporti del diritto delle genti, comune a tutti i Governi ed a «Ue le Nazioni.

Anche definita una volta, la qualità di reo e di reato contro la sicurezza esterna dello Stato dalla G. C. criminale di Salerno, non altro si saprebbe che Antioco Sitzia sia reo come lo potrebbe essere ogni altro nostro concittadino che si costituisse nel caso di tal misfatto; ma certamente da lei non si definirebbe, se quel reato includa o pur no la inimicizia al regno ed il fatto ostile, che rimarrebbe sempre indecisi; dappoiché non è quella definizione propria della competenza dei giudici penali.

E ciò perché, (ripetiamolo anche una volta) l’agressione ostile marittima comprende in sé il reato contro la sicurezza esterna dello Stato, e l’offesa alla Sovranità, che è la causa prossima ed il fondamento del giudizio di preda.

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IV
Diversità della causa in senso relativo, produttrice della diversità della cosa, ossia pel fine obbiettivo de' due giudizi

Il fine, ossia l'oggetto del giudizio penale è la punizione individuale del reo: il fine, ossia la cosa domandata nel giudizio di preda, non è altro che l’aggiudicazione ai predatori del legno predato.

Ogni reato dà luogo all'azione penale. Questa è principale. Dà luogo del pari all'azione civile, la quale mira alla riparazione de' danni ed interessi che il reato à prodotto (129). Questa è accessoria.

È evidente che l'azione civile è conseguenza del reato ed è compensativa de' danni sofferti dal danneggiato nella commissione del medesimo. Essa è una dipendenza famulativa della condanna penale: l esercizio ne è sospeso, finché non siasi pronunziato diffinitivamente sull'azione penale (130).

Di più, la condanna reca come conseguenze necessarie:

Primo la confiscàzione del corpo del delitto e degl'istrumenti che ànno servito a commetterlo (131).

Secondo le restituzioni degli oggetti caduti nel reato.

Terzo il risarcimento dei danni ed interessi che possono essere dovuti alle parti (132).

Quarto la condanna all'ammenda e spese del giudizio a favore dello Stato (133).

Per contrario, l’azione depredatori non è conseguenza della condanna penale, e tanto meno è di risarcimento di danni ed interessi arrecati dalla consumazione del reato, come ne’ casi di omicidio, di ferite, di furto; ma è in vece un’azione diretta, principale, reale, cioè dire l'appropriazione del legno catturato, per mezzo di una delle cause civili, per le quali si acquista il dominio delle cose, cioè la occupazione bellica.

Questo diritto è reale, cioè di dominio sul legno catturato stabilito dalla legge sulle prede marittime del 12 ottobre 1807 e dalle Ordinanze generali della Real Marina approvate con Real Decreto del 1 ottobre 1818 (134). Ed è tanto contrassegnato cotesto dominio, che se mai il legno predato sia un bastimento da guerra, lo stesso sarà incorporalo alla Real Marina, ma il Governo ne paga il prezzo dovuto come compenso all’equipaggio predatore (135).

Ma chi mai lo crederebbe! Le stesse leggi sarde contengono le identiche disposizioni della nostra legge sulle prede marittime e delle Ordinanze generali della Real Marina.

L’amministratore di Marina trasmetterà le carte ed il rapporto sopra mentovato al nostro Procuratore Generale Fiscale presso il Magistrato supremo dell'Ammiragliato, acciò da chi di DIRITTO VENGA PROMOSSA L’ISTANZA PEL GIUDIZIO DELLA LEGITTIMITÀ DELLA PREDA (136).

L’articolo 158 della stessa legge dispone la vendita degli oggetti predati, dopo la sentenza che pronunzia la validità della preda.

Gli articoli 172 e 173 e seguenti dispongono la ripartizione ai predatori del ricavato netto del legno predato.

L’articolo 196 dispone che quante volte la preda consisterà in un bastimento da guerra o corsaro potrà incorporarsi alla Real Marina, ma sarà pagato dal Regio erario il valore del medesimo ai predatori.

Laonde non vi può esser dubbio, che, anche per virtù delle leggi del regno di Sardegna, cui appartengono Rubattino e Sitzia, il diritto e l’azione depredatori sono meramente civili, diretti, di dominio, indipendenti, separati e distinti da quella che deriva e dipende da un reato commesso, cioè indiretta e di rifazione di danni ed interessi, e niente affatto omogenea alla confiscazione dell’istrumento che à servito a commettere il reato.

Ecco perché, oltre alle notale enormi diversità tra le cause e gli oggetti, ossiano le quistioni e le cose de' due giudizi, sono diversi anche i giudici, le leggi e le procedure, che regolano i due giudizi, penale e civile, di bontà e legittimità della preda.


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§. XVI. Ultimo compimento della dimostrazione

A prescindere da tutta la serie de' vittoriosi argomenti sinora esposti, e pei quali si rende manifesto, che i concetti del collegio degli avvocati dei convenuti erano vanità da essi credute persone, facciamo osservare di esservi molti casi nei quali, anche niegato il reato dai giudici penali, à luogo per l’istesso fatto l’azione civile; tanto è indipendente l’un giudizio dall’altro. Noi riuniremo in breve l’insegnamento dei più rinomati scrittori del diritto penale che rifermano il nostro assunto.

«I Tribunali criminali non sono affatto in generale, e salvo il caso dell’intervento della parte danneggiata, chiamati a statuire sopra l’esistenza dei fatti considerati non come costituenti un reato di dritto penale, ma come presentanti i caratteri di un delitto del dritto civile, di un quasi delitto, o di ogni altro atto di natura da ingenerare in punto di veduta del dritto civile, conseguenze legali di qualunque specie.

«Conforme all'oggetto ed alla natura della istituzione di cotesti Tribunali, le loro decisioni lasciano intatta ed intiera la quistione di sapere, se in una tale specie avvenuta vi sia stato o pur no commesso un delitto o un quasi delitto di dritto civile, se i fatti rimproverati al prevenuto o all'accusato gli sono imputabili sotto il rapporto delle conseguenze civili che s’intendono di dedurne, e se essi sono di natura tale a dare apertura ad una domanda per danni ed interessi, o ad un’azione, o ad una eccezione di nullità, o a tutt'altra reclamazione d’interesse civile.

«Risulta dalla prima proposizione, che qualunque giudicato di condanna renduto nel penale, à, anche nel civile l'autorità, quanto alla esistenza dal reato, su del quale è intervenuto e quanto alla colpabilità dell’individuo condannato; di tal sorta che, se la parte lesa formi più tardi, sul fondamento dei fatti, che sono stati l’oggetto dell'azione penale, un’azione per danni interessi, di nullità di convenzione, o di revocazione di dono per causa d’ingratitudine, odi separazione di corpo, o di decadenza dalla patria potestà ecc. ecc., essa si trova dispensata dal pruovare quei fatti ed il giudice è obbligato di tenerli come costanti.

«Risulta, in senso inverso, che qualunque giudicato penale che dichiara un reato inesistente; che porti l’assoluzione del prevenuto, o dell’accusato à forza di cosa giudicala anche nel civile in questo senso, che il giudice civile impossessato di una domanda per danni interessi, o di altra, senza violare questa autorità, non può dichiarare, né che il delitto sia stato realmente commesso, né che l’individuo assoluto se n’era renduto colpevole, o che, ciò che riverrebbe allo stesso, che quegli à commesso il fatto materiale, che gli è stato rimproverato coi caratteri di penalità, che l'accusa o la presunzione vi avevano attaccato.

La seconda proposizione di sopra annunziata conduce, fra l’altro, alle seguenti conseguenze

L’arresto o la sentenza che à assoluto un individuo di una accusa di un assassinio, o anche della prevenzione di un omicidio involontario, non è mai di ostacolo all'ammissione DI UNA DOMANDA PER DANNI ED INTERESSI FORMATA CONTRO DI LUI A RAGIONE DEI FATTI CHE AVEVANO SERVITO DI BASE ALL’AZIONE PENALE, MA CHE NON SONO PIÙ RIGUARDATI CHE COME COSTITUENTI UN SEMPLICE DELITTO DI DIRITTO CIVILE, 0 UN QUASI DELITTO.

Lo STESSO AVVIENE NEL CASO DI SENTENZA D'INCOLPABILITÀ D’ INCENDIO, O DI ASSOLUZIONE DI ESTORSIONE, DI SCROCCO, 0 DI ABUSO DI CONFIDENZA».

Cosi ragionano, MERLIN (137), DURANTON (138), LEGRAVERAND (139), MANGIN (140), e RAUTER (141).


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DIVISIONE II

Discussione di merito

CAPO III

Esistenza del caso di preda
§. I. La specie del fatto costituisce il caso della preda marittima. Idee preliminari.

Tutta questa trattazione delle quistioni di merito della causa, riposa sopra principi sicuri di diritto positivo e di dottrina, i quali torna necessario rammentare, per non essere obbligati d’invocarli a misura delle occasioni che si presentano.

La parte della legislazione napolitana regolatrice delle prede marittime consiste:

1° nel real decreto del 30 agosto 1807, istitutore del Consiglio delle prede, non mai abolito pei disponimenti normali che contiene, ma derogato soltanto per quanto concerne la diversa composizione del Consiglio, in virtù della legge del 2 settembre 1826.

2° nella legge del 12 ottobre 1807 sulle prede marittime.

3° nelle Ordinanze generali della Real Marina approvate con reai decreto del 1 ottobre 1818, nella parte seconda, nella quale si contiene il titolo XXIII che tratta delle prede.

Per dottrina sono irreplicabili i lemmi che seguono: Che l’inimico del regno che presta luogo alla preda del bastimento, col quale ù commesso gli atti di nimicizia, è o palese, o sospetto, o occulto, in guerra pubblica, o mista.

Che la preda si verifica nella doppia specie di guerra testò notate, e negli atti di pirateria, ai quali il legno siesi abbandonato.

Cotesti ricordi sono indispensabili, perché influentissimi alla decisione della causa.

Le Ordinanze di Marina del 1818 sono legge speciale della, materia, e contengono talvolta disponimenti letterali derogatori della precedente legge del 1807, e quindi prevalgono a quelli per l’osservanza di due principi: il primo che la legge posteriore deroga la precedente: Lex posterior, praesertim specialis, derogai priori (142), il secondo: che le leggi speciali si applicano con preferenza nel concorso con le leggi generali: in foto iure generi per speciem, derogatur, ET ID POTISSIMUM HABETUR QUOD AD SPECIEM DIRECTUM EST (143).

La distinzione del nemico palese e del nemico sospetto, o occulto è riconosciuta universalmente ed è di effetto supremo; dappoiché, nella certezza delle ostilità commesse, cessa qualunque indagine e qualunque giustificazione che il legno predato volesse ricavare dalle carte del suo bordo e dagli argomenti dipendenti da altri fatti, che cospirerebbero a pruovare la sua qualità pacifica e normale. Questo assunto, che non solamente abbiamo chiarito altrove e che qui specialmente avvertiamo, renderà pienamente inutile e superflua tutta la parte che riguarda i fatti della causa, la disamina delle carte trovate sul CAGLIARI, l'altra delle pruove testimoniali, ed ogni altra discussione sulla innocenza o complicità del capitano Antioco Sitzia, del quale argomento quasi interamente i nostri contraddittori si occupano nella loro difesa.

Noi qui giustifichiamo non solo, ma dichiariamo le ragioni che consigliarono il metodo da noi prescelto nel precedente lavoro.

L’avvenimento straordinario e gravissimo dei fatti consumati dal CAGLIARI, il quale da un lato rese attonito il mondo, e dall'altro destò l'universale curiosità di conoscere chi, che, dove, con quali aiuti, perché, in qual modo, ed in qual tempo quelle gesto nefande si fossero operate, c’ impose l’imprescindibile dovere di far noto ai nostri concittadini ed agli stranieri tutte le particolarità di quei casi tristissimi, che noi abbiamo annunziato di volo, delineando il processo istruttorio ciceroniano.

Ma nel fondo, bastavano e bastano a soperchianza alla dichiarazione di buona preda del CAGLIARI, le ostilità da lui consumate nell'isola di Ponza e la guerra insurrezionale da lui riversata sul continente del reame di Napoli, per non aver bisogno della complicità di Rubattino, di Sitzia e dell'equipaggio di quel piroscafo.

E poiché ci siamo accorti che il collegio dei difensori avversi à impreso la discussione della causa pel rovescio, noi per opposto abbiam creduto di ritirare la vasta disputazione ai suoi rigorosi principi ed arrivare celeri e sicuri alla soluzione della nostra tesi che c’impromettiamo di successo favorevole nel Consiglio delle prede, come la è stata propizia nella Commissione.


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§. II. Intendimento e concessioni dei nostri contraddittori alla causa che sosteniamo

In questo capitolo e nell'altro che segue della difesa del CAGLIARI, i nostri avversari fanno a noi due concessioni: la prima che l’uso della preda è riconosciuto ed ammesso nelle guerre miste o intestine, ma lo negano nella specie che ne occupa: la seconda di trattarsi ora di ripresa di quel piroscafo, e quindi non di preda fatta dai catturanti; ma meglio di restituzione dello stesso all’innocente proprietario del medesimo.

E nello scorrere la difesa pubblicata da essi, ci accorgemmo, anzi fummo certi, che avevano lungamente studiato a nostro danno la decisione del Consiglio delle prede profferita nel 12 giugno 1849 ad occasione della ripreda del piroscafo il Vesuvio, distesa con alto senno da una penna maestra, di cui non si potrebbero bastevolmente ritrarre i pregi: come pure si rese manifesto, che a quello studio avevano riunito l'altro de' lavori compilati a quel tempo da un assai distinto nostro giureconsulto ed avvocato, del quale gli stretti vincoli di sangue, ci vietano di tesserne il dovuto elogio (144); e da ultimo c’invase dolce commozione di animo, nel vedere onorato anche delle di loro lucubrazioni alcuno dei nostri tenui travagli anche pubblicati in quel rincontro.

Ma gli avversari poi, con nostro rammarico, àn trascurato tre solenni avvertenze nel compiere quel disegno:

La prima che si discutono le cause a seconda e come i fatti e gli elementi delle medesime si offrono e si pruovano nel giudizio:

La seconda che, dopo il volgere dei tempi, variano le dottrine non solo, ma si avverano altri fatti, e si appresentano altre condizioni, che rendono uniformi ed applicabili quelle stesse dottrine che sembrano, a prima fronte, accennare a casi diversi.

La terza che molte dottrine ed autorità proposte, discusse e rifiutate allora, in nissuna maniera possono quadrare e trovar sede nella controversia presente, essenzialmente diversa da quella.

Ciò premesso; entriamo allegri e confidenti nella disamina degli assunti opposti alla domanda inoltrata dalla Intendenza Generale della Real Marina.


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§. III. Nella specie si è verificato legalmente la preda del piroscafo il CAGLIARI (145)

Tutti gli sforzi della difesa dei convenuti intendono a pruovare che i fatti de' 25 rivoltosi in Ponza, e dei 400 ribelli in terraferma non agguagliano le rivolture politiche e le proporzioni gigantesche che desse presero in Sicilia, l'anno 1848. Qui si riferisce dagli estensori di quella difesa un brano di una delle nostre scritture, pubblicata per la stessa nostra chente ad occasione della ripreda del Vesuvio, al quale si ricongiungono altri brani dei ragionari della decisione che allora profferì il Consiglio (146).

Nel XVI secolo, cioè quando apparve la dottrina della guerra mista o intestina, dopo della separazione delle provincie Batave dalla Corona delle Spagne, come suole comportarsi il senno umano a fronte d'impreveduti e straordinari avvenimenti, si cominciò per istabilire e riconoscere la legittimità delle prede nel caso della rivoluzione di tutto un regno, o di una parte considerevole del medesimo, alzata a così smisurate apparenze da farne di un sol regno due, e da porre a fronte della legittima Sovranità un’altra di fatto, la quale abbia eserciti, armate, curia, erario e senato.

In questi sensi principiarono a comporsi gli ammaestramenti della scuola del GROZIO, preceduto da ALBERICO GENTILE che noi medesimi abbiamo riportati nel precedente nostro lavoro (147), e che dimezzate ànno trascritto i nostri avversari (148).

Essi però àn trasandato pienamente di discutere i principi sanciti nel nostro reame ad occasione del regolamento del blocco della Sicilia, l’anno 1849, e che molto influiscono al nostro bisogno (149).

E quei principi in quel regolamento di blocco del 1 aprile di quell’anno, non costituiscono già una importante dottrina del giure pubblico pel solo nostro reame, sanciti dal Sapientissimo Sovrano, ma si confortano dalla adesione unanime delle Potenze Europee, a premura dei rappresentanti delle quali se ne sottopose il progetto a S. M. il Re (N. S.) che si benignò di approvarlo, essi perciò si convertono in principi di diritto internazionale. Quella dottrina fissa gli ulteriori e più larghi principi dell'uso legittimo della preda nelle guerre miste, e lo riconosce anche quando già riconquistata gran parte della Sicilia, picciol resto ne rimaneva a soggiogare: il che significa, che anche nei rincontri d’insurrezione sensibilmente scemata; non già di tutto un regno, né di una parte considerevole dello stesso, ma invece di una limitata frazione, possa quell'uso legittimo pienamente esercitarsi; dappoiché col correre degli anni, maggiormente l’indocile baldanza de' popoli, man mano vessando più dappresso le legittime Sovranità, à fatto necessariamente slargare dai loro confini nativi le teorie della guerra mista.


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§. IV. Continuazione. Anche nel caso isolato di ostilità si verifica la legittima preda

Non esiste finora un codice, nel quale tutte le Sovranità e tutte le Nazioni abbiano convenuto nel definire tassativamente i casi dell'uso legittimo della preda, e tanto meno quali frangenti offrano l’avveramento della guerra mista, e quindi la ipotesi del legale esercizio di quel rigore.

E poiché la ragione discute la convenienza delle massime, le esigenze politiche ne reclamano l'adempimento, e l'esperienza ne impone la sanzione, ne consegue che maggiore ampliazione ànno ricevuto le dottrine annunziate a proposito delle guerre miste, a misura degli occorsi frangenti delle ribellioni, dalle quali sono state audacemente minacciate le legittime Sovranità.

Laonde la estensione teoretica ripete il suo nascimento dal fatto e dai perigli; il che significa che la ragione, la politica e l'esperienza giustamente si son governate: rebus ipsis dictuntibus, et urgente necessitate.

Da che la corruzione delle menti e dei cuori à niegato il culto dovuto al Regio Potere, e prorompendo del continuo da eccesso in eccesso, si sono riprodotte sotto varie sembianze e colori i rivolgimenti politici, arrivati persino a ripetuti e sacrileghi attentati alla Sacra persona de' Sovrani; cosicché pare che una corrente elettrica apporti e comunichi il contagio morale da uomo ad uomo, da casta a casta, da popolo a popolo. Da questa origine è nata la imperiosa necessità di spegnere anche i primi moti di una ribellione coi rigori di guerra.

Nelle guerre miste o intestine mancan del tutto i riscontri che un Governo può procurarsi nella ipotesi delle guerre pubbliche e solenni.

Quello stesso diritto che in queste ingenera le regole sicure, nel mentre medesimo le mitiga, le modera, le spegne. Le Potenze costituite belligeranti, più o meno conoscono le forze, i mezzi, le condizioni reciproche. Esse sono possibilmente in grado di potere contrapporre pari, o almanco valevoli difese, a fine di fronteggiare ed opprimere il nemico: possono trattar per ministri quei gravi negozi, e per via di accordi diplomatici, di cessione di territorio, di franchige commerciali, di scambi, ed in mille altre guise riescire a ricomporne i dissidi ed a rannodare le rotte amicizie.

Ma nelle guerre miste o intestine mancano del tutto cotesti rimedi.

Esse nascono di fatto, di repente e per sorpresa. Cominciano nel fitto buio delle cospirazioni e si manifestano in un tratto con l'empito della rivolta. Le loro diramazioni, le loro risorse, i loro disegni, i loro concerti, le loro forze sono, o del tutto ignote o mal note ai Governanti.

Non v'à chi le rappresenti, col quale poter discutere o fermare consigli. In così fatti disastri, il più fino avvedimento non sa prevederne il corso, le fasi, il termine. Tollerarle per dirigerle è divisamente pusillanime e dannoso: prevenirle, o combatterle è sapienza e prudenza.

Esse vanno spente nel di loro primo momento iniziale; imperciocché se il Potere legittimo si lascia rapire per un istante dal vortice impetuoso delle rivolture, deve correre precipite ove lo spingeranno gl'incessanti deliri della dissennata moltitudine, essendo difficilissimo, e forse anco impossibile, prefiggere il punto di riposo delle vertigini, nel quale i tempestosi marosi della insurrezione tranquilleranno nel porto sicuro del Principato.


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§. V. Un’altra parola sulla graduale dottrina della guerra mista

Dapprima fu inflessibile il principio di rifiutare ogni altra guerra, che non fosse pubblica. Col rifiuto della teoria prototipa ne seguì quello dei suoi effetti e delle sue conseguenze, i rigori della preda.

Allorché il primo esempio della ribellione dei Paesi Bassi, mostrò che il dritto (la ragione) poteva essere spiazzato del fatto (la guerra), si cominciò a convenire che le regole accomodate per quello dovevano attemperarsi con questo. Nacque di necessità la distinzione della guerra pubblica e mista, o intestina. E come suole; la prima derogazione fu rigorosa. Si pretese un Governo de inre contro un Governo de facto.

In somma, non si fece altra concessione, che surrogare ad una delle due Potenze belligeranti, la propria sudditanza elevata però a stato costituito (150). Si credeva di aver provveduto a tutto; ma non fu così.

Il funesto esempio ebbe imitatori, e le imitazioni richiamarono più dappresso l'attenzione dei Principi e la meditazione dei dotti. Si estese la eccezione derogatoria, e si riconobbe la guerra mista, anche se una parte di un reame, una provincia, combattesse contro la legittima Sovranità. BURLAMACHI, ed altri pubblicisti furono antesignani della più estesa dottrina.

Intanto, le insurrezioni dei sudditi segnalavano quasi un desiderio favorito delle moltitudini, e quindi memore GASPARE ZIEGLERO, che il dritto romano riconosceva la preda, anche nelle dissensioni civili, tutto che non attribuisse il carattere di nemici agli autori della guerra civile (151), annunziò una massima generale, comprensiva quasi di tutte le ipotesi graduali della guerra mista, allorché scrisse:

Ut tamen cives, hostes fortius et maiore vi impellerent, voluerunt gentes, ut quod quisque caperet, sive IN EXCURSIONIBUS, sive in conflictu, sollemni, ID SIBI RETINERET ATQUE ADQUIRERET (152).

Ma ALBERICO GENTILE, l’illustre precursore di GROZIO, di buon’ora aveva preconcetto il disegno completo della guerra mista, la quale se imponeva nel suo progresso, era perché non si era spenta nel suo nascimento, e con somma sapienza universalizzò la massima, e la fece applicabile al principio, al mezzo, al fine felice delle rivolture, ed insegnò:

Hostis est QUOCUM bellum gerimus: ut iam opus est bello contra eos, qui se tuentur BELLO (153). E finì per conchiudere:

Nemo exponere se periculo: NEMO EXPECTARE DEBET SE PERCUTI, NI SI SIT FATUUS. OBVIAM OFFENSIONI EUNDUM, NON MODO QUAE EST IN ACTU, SED EI QUOQUE QUAE EST IN POTENTI A AD ACTUM (154). E questo è il principio presso a poco anche delle guerre preventive, riconosciuto ed ammesso dai pubblicisti.

Ma da che le ribellioni sono divenute dommi popolari, è sorto accanto ad esse la dottrina della guerra mista anche nel caso iniziale ed isolato dell'aggressione ostile, fecondata in Francia ad occasione del Carlo Alberto, e che in fondo ravviva un antico pronunziato del dritto internazionale, come abbiamo segnalato di sopra.

E che sia un domina la sfrenata insurrezione, lo vediamo negli eccessi che coronarono gli avvenimenti del CAGLIARI, quasi nello stesso giorno della invasione di Ponza.

In Toscana, e precisamente in Livorno ebbero luogo pratiche nimichevoli, abbenché meno avventurose. E quel che più rileva è che nel momento dello arresto del CAGLIARI, 29 giugno, nello stesso Genova si cercava di sommergere tutto nel sangue, ad onore di quella stessa repubblica italiana, che fu proclamata in Ponza e poi sul territorio del regno.

Dai pubblici giornali abbiamo pure appreso di essere stato Giuseppe Mazzini, tra gli altri, condannato nel capo, in contumacia, dai Tribunali liguri, ed in ineffigie eseguita la condanna.


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§. VI. Continuazione

Lo scrittore del consulto assume, che confondere i due casi della guerra mista e della ostile aggressione, sarebbe mettere a repentaglio le relazioni commerciali e la marineria mercantile di qualsiasi stato neutrale. Arroge, egli prosegue, che ove si ammetta questa nuova dottrina, allora si farà pur luogo alla dottrina delle intervenzioni e delle alleanze tra tali avventurieri e Stati esteri ecc. ecc.

I timori concepiti dal signor Phillimore sono esagerati e perciò vani ed insussistenti.

1.° La ragione primamente consiglia di non rendere la condizione dell'aggressore in tempo di pace, migliore di quella in cui si trovano i sudditi di una Potenza belligerante in tempo di guerra pubblica; imperciocché, nelle guerre pubbliche, i bastimenti di qualunque suddito nemico, anche pacifico e tranquillo, sono predati legittimamente. Or, a parere del signor Phillimore, nelle repentine aggressioni in tempo di pace, il nemico aggressore dovrebbe godere della fatale indulgenza della restituzione del legno, servito di mezzo all'aggressione.

E la quale indulgenza (una volta prefisso il principio) si dovrebbe ripetere al secondo, al terzo, al quarto, ed al centesimo insulto, e lo Stato aggredito dovrebbe tollerar del continuo e sino a quando non venisse il momento, che l’offesa Sovranità, già rifinita di forze, non soffrisse tale un empito nemico, da perigliare fino al segno, o di essere abbattuta, o di essere ridotta in istato di difficile difesa.

2.° E mentre a quel modo consiglia la ragione, fa rilevare nel tempo stesso, che nissun danno e nissun pericolo ne procederebbero alla tranquillità degli altri Stati esteri, e tantomeno alla loro marina mercantile. Dappoiché la punizione, per via di preda, del legno offensore si limita ad esso solo, che si è costituito nella posizione eccezionale di violazione arrecata al diritto delle genti, e perciò restano esclusi ed assicurati tutti coloro, che serbatisi fedeli alla regola del rispetto a cotesto diritto, non ànno a temere pregiudizio di sorta alcuna.

3.° Tanto meno si può spingere il pensiero alle intervenzioni ed alle alleanze.

Le rivoluzioni, nel senso di separare da uno Stato una parte di esso, finché non arrivino ad un fatto compiuto ed a creare un altro Stato indipendente, rimangono circoscritte nei confini del fatto. Esse si tramutano in diritto, sol quando vengano riconosciute dalle Potenze costituite.

Prima di questa solenne conversione, gli Stati stranieri non intervengono, né si collegano con una moltitudine, né costituita, né rappresentata.

La storia offre molti casi di coteste separazioni, le quali, finché stettero limitate nei termini del mero fatto, benché ingenti e formidabili, non ebber mai l'onore ed il vantaggio di una potente intervenzione o di una valevole alleanza.

Negli esempi recati dall'inglese giureconsulto, cioè dell’alleanza della Francia con gli Stati insorti dell'America settentrionale contro la Gran Brettagna e della quadruplice alleanza che intervenne negli affari della Spagna nel 1834, invece del niego vi è la conferma del nostro assunto. Nel primo caso precedette il tramutamento del fatto nel diritto; e nel secondo si sosteneva un diritto che dicevasi già per lo innanzi acquistato. Ma sia pace a queste cose.

4.° Nel fatto poi è notevolissimo, che l’assalto di Ponza non segnò un fatto infecondo di effetti nocenti: non si arrestò all’avvenimento solitario, come del Carlo Alberto in Francia.

Quel fatto di Ponza progredì per opera dello stesso CAGLIARI, che vomitò in altro luogo del territorio del regno (155) numerose squadre ordinate a guisa militare, provvedute abbondevolmente di armi, e di munizioni da guerra.

Durò il conflitto tra il legittimo Governo ed i ribelli, e lo stato di repubblica da questi proclamato nell'isola di Ponza ed in terraferma, ben sette giorni, e non ebbe termine, che con le pugne sanguinose di Padula e di Sanza.

Noi stessi non sappiamo immaginare quale altro eccidio dovesse attendere la Corona delle due Sicilie per darsi luogo alle teoriche delle guerre miste.

Il principio di conservazione delle legittime Sovranità, che include l'altro di preservazione delle medesime è gerarchico ed incrollabile per sentenza del dritto pubblico internazionale.

E quantevolte si contempli seriamente, e senza far passare i raggi della nostra mente a traverso del prisma delle simpatie politiche, la successiva ampliazione del principio regolatore delle guerre miste, si troverà evidentemente in fondo, che la necessità e le esigenze politiche ne sono state le cause uniche ed efficaci.

E la quale verità irrefragabile è figlia di un’altra verità più generale e che corregge e piega l’inflessibile rigorismo del principio prefisso dal signor Phillimore e dai nostri avversari, cioè dire che nella vita pratica degli uomini, e principalmente in quella degli Stati, la esperienza ammenda e modera la ragione; dappoiché la bontà assoluta di un pronunziato razionale rimane infecondo nella chiostra della mente, tosto che non si accorda coi risultamenti utili e sensibili che ne derivano.

Né le leggi altre cose esprimono che i rimedi del senno applicati ai bisogni dei popoli. E qualora si niegasse la preda, si autorizzerebbe facilmente la strage ed il massacro dei nemici aggressori: estremi partiti dai quali rifugge l’umanità, ma che sono soventi volte suggeriti nel terribile momento dello scontro animoso.


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§. VII. Maggior conferma delle massime annunziate di sopra

Dicono gli avversari che gli orrendi casi di Ponza, continuati in Sapri, Padula, e Sanza furono stoltissimo ed iniquo tentativo, rimasto umile e senza effetto (156). A questo proposito determinano il significato della parola hostis nello stretto senso del giureconsulto POMPONIO, cioè di colui col quale si comprometta una guerra pubblica (157).

Noi non avremmo mai desiderato che il collegio degli avvocati contrari avesse sprecato molto tempo sulla dissertazione, che essi dicono di aver noi composta sul valore di tale significante parola; ma ci saremmo compiaciuti di vederli in certo qual modo considerare, e non trapassar di fuga quel poco che abbiamo scritto sopra tale argomento (158). In così fatta indagine essi avrebbero trovato qualche cosa di più di quello che dicono aver letto nella decisione renduta dal Consiglio delle prede, nella contestazione del Vesuvio (159).

E certamente avrebbero incontrato la definizione della parola hostis ossia inimico, nel senso il più generico ritenuto da testi espressi di legge e dall'univoco consenso di tutt'i pubblicisti. Hostis cioè inimico, significa in senso larghissimo, a parere del BYNKERSHOEK: qui ipsi cives et subtiti adversus rempublìcam HOSTILIA MOLIEBANTUR (160): avrebbero trovato del pari, che inimico è chiunque, a sentimento di ALBERIGO GENTILE, quocum bellum genmus; come parimente coloro, ut iam bello opus contra eos sit, qui se tuentur bello (161).

Ond'è che inimico del regno è colui contro del quale la Sovranità o la nazione aggredita, non può usare di altri mezzi e di altri aiuti che degli straordinari, e quali si convengono in guerra pubblica.

GIACOMO CUIACIO evidentemente definisce i confini dei due modi di repressione; dei quali il primo provviene dal dritto d’Impero e civile, ed il secondo da quello di Maestà e delle genti:

Ubi non licet jure civili et judicio, et aequitas interveniet aliqua, sane licet VI ET ARMIS (162).

In qualunque fatto d'inimicizia palese, sin dal primo inizio, soccorre la massima: omnis est honesta ratio expediundae salutis (163).


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§. VIII. Maggior confutazione degli argomenti usati dai difensori del CAGLIARI

I convenuti, per affievolire mai sempre i fatti di guerra addebitati al CAGLIARI, riferiscono diversi brani del nostro giornale uffiziale sotto diverse date, dai quali argomentano di desumere: il picciol numero degli aggressori, la breve guerra esercitata in Ponza, le scarse milizie che colà stanziavano, la morte del tenente e la ferita dell’aiutante che le comandavano esser niente; il maggior numero degli uccisi in terra ferma essere nientissimo; la serbata fedeltà delle popolazioni, e la manifestazione della compiacenza Sovrana per l’attaccamento e per la bravura mostrata dai sudditi e dalle milizie escludere fin la immagine della guerra.

Innanzi tratto, ci permettiamo osservare che le notizie che via via s’inseriscono nei giornali, sieno puranco uffiziali, non sono che accenni necessariamente incompleti della storia precisa dello insieme dei veraci avvenimenti succeduti.

Secondamente non si fa concetto, non si risolvono quistioni importanti, né si palesano giudizi definitivi sulla fede delle gazzette e dei pubblici giornali.

Terzamente, domanderemmo ai nostri contraddittori che mai desidererebbero di più di quelle enormità commesse dal CAGLIARI in Ponza ed in terraferma, per riconoscere il caso di guerra mista e di legittima difesa della Sovranità, a motivo delle offese e della inimicizia esaurita contro di lei e del reame di Napoli? Altrove abbiamo lungamente ragionato al proposito, per non ripetere qui quanto a dilungo abbiamo evidentissimamente messo in luce (164).

Nullameno in breve ed a dir certo; in Ponza fu portata e proclamata la repubblica italiana, sottentrata alla legittima Potestà del nostro Sovrano. Si combatté, vi furon morti tra la truppa e gli aggressori: vi fu rapimento dei condannati, armamento di guerra provveduto dal CAGLIARI, trasportamento de' ribelli in terraferma, fazioni militari in questa, dapprima dubbiose, iterate, compiute con strage e morti non poche dei belligeranti.

Per sette interi giorni tacque la Potestà Regia e durò quello stato di sovversione e di spavento.

Se quei funesti principi non progredirono, e se la proclamata repubblica non trovò seguito, lo si debbe al provveder di Dio, alle cure del nostro Sovrano, all'ardente amore per lui dei popoli ed all'invitto coraggio delle milizie ordinate ed urbane; ma non è men vero perciò che la guerra mista non abbia avuto tutto il suo sfogo nel regno.

Laonde falso ed illegale è il raziocinio degli avversari, il quale, in altri termini, equivarrebbe al discorso che taluno facesse sopra un esempio pratico che rechiamo:

Essi consiglierebbero al padrone di un edilizio, che stesse cheto, tranquillo e fermo al primo appiccarsi delle faville; permettesse che le fiamme divampassero, e quando ‘ poi fossero giunte al pieno incendio, allora destarsi a prestar soccorsi e procurare aiuti, per quindi o difficilmente salvare allora la sua proprietà, o per certamente rimpiangere indarno il suo infortunio, assiso sulle ceneri ancora fumanti del suo distrutto edifizio.

Veggano coloro che tengono ancor ferma la loro mente, se cotesti assunti possano meritar l'onore di una seria discussione.


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§. IX. Una parola sulla interpretazione della Legge XXI ff. de Captivis (165)

I difensori del CAGLIARI àn creduto pruovare, che non mai nei rincontri di guerre, men che queste non sieno solenni e pubbliche, vi possano essere nemici, hostes, ma ladroni, predoni e genti di tal fatta, punibili soltanto con le leggi comuni repressive (166).

Se essi non desiderassero più che tanto, forse saremmo disposti a non contendere sulla parola e sul pensiero del giureconsulto, che palesa a bella prima. Ma tostoché li avremmo appagati sopra questo punto, rimarrebbero sempre le cose nello stesso livello, e salda la nostra dottrina.

L’importanza di questa non riposa in sapere, se nelle guerre intestine si chiamino nemici coloro che le combattono, ma meglio, se in cosiffatte guerre si ammetta l’uso della preda, cioè 1 acquisto del dominio sopra le cose catturate, e tra queste, per diritto romano, sopra gli stessi uomini liberi.

L’affermativa del dubbio è manifestamente espressa da ULPIANO. Ed è maraviglia osservare, che i contraddittori àn trapassato inavvertita cotesta rilevante sentenza, scolpita nel responso che avevano sotto gli occhi.

Da prima ULPIANO rammenta i principi protettivi della ingenuità delle persone, quantevolte si quistioni d’ingiusta causa di servitù, e conchiude che vanamente si chiederebbe di ricuperare ciò che non si è mai perduto, placuit SUPERVACUO repetere a principe ingenuitatem quam nulla captivitate amiserunt. Ma tutto questo però si annovera nei risultamenti della vendita legale dei prigionieri fatti nelle guerre miste, e nella posteriore manumissione, che ne facesse il catturante, nella stessa ipotesi figurata dal giureconsulto e conforme alle sue stesse frasi: et ideo CAPTOS ET VE NUM DAT OS, POSTEAQUE MANUMISSOS ecc. ecc.

Adunque sono deduzioni irreplicabili del testo:

1.° Che si disputava di un uomo libero, preso e venduto in una guerra intestina (civilis dissensio).

2.° Che ULPIANO ritiene legittima la cattura come, bello facta.

3.° Che ciò è così vero, che lo stesso ULPIANO riconosce legittima la vendita di quell'uomo libero catturato, che ne faccia di lui il catturante; imperciocché non dichiara la vendita nulla, perché invalida la preda, ma dice soltanto che la ingenuità del manomesso non soffre attentato da quella cattura.

4.° Che questo assioma è innegabile, mentre ULPIANO ammette la MANUMISSIONE dell'uomo libero catturato. E si sa che la manumissione era un atto solenne, col quale il PADRONE faceva libero il SERVO nato, o tale divenuto per diritto civile.

5.° Che cotesto fatto, soltanto restava inoffensivo alla ingenuità originaria del catturato, senza più.

6.° Dunque è un vero innegabile, che aveva luogo la preda delle cose e la cattura dell’uomo libero anche nelle dissensioni civili.

I contraddittori, a quel che pare, avendo incontrato il mal passo, lo àn saltato a piè pari, invece di tentar modo di superarlo degnamente: costume che si vede non dimenticato nel corso del loro lavoro, ogni qual volta s’imbattono in qualche positivo periglio.


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§. X. Ritorno sull’esempio del CARLO ALBERTO

Non si è trascurato di sformare la verità, anche a proposito del classico principio del moderno giure pubblico di Europa, proclamato per l'avvenimento dell'altro piroscafo sardo il CARLO ALBERTO, in Francia. E tanto più cresce la lamentanza, quanto che il niego degli avversari non si volgeva nell'ambito di dottrine astratte, ma rientrava nei confini di massime ricavate da avvenimenti sensibili e concreti, e che si leggono nelle memorie a noi tramandate dalla discussione positiva della causa, e dagli scrittori che la riferiscono.

È irreplicabile, che a quel tempo e per quella occorrenza si proclamò in quella grande e dotta nazione il principio che noi sosteniamo, cioè dire, che l’uso di guerra e perciò la legalità della preda si esercita non solo nella guerra intestina progredita, ma pure nella guerra iniziata da un’aggressione impreveduta ed ostile.

Porse l'argomento alla creazione della regola internazionale, il CARLO ALBERTO.

Questo piroscafo era stato noleggiato a Livorno, per trasportare in Francia molte persone che avevano formato una cospirazione contra la sicurezza dello Stato. Alcune di queste persone arrestate sopra lo stesso piroscafo, protestarono contro di quello arresto, siccome fatto sul territorio straniero.

La Corte di Aix avvisò pel rilascio degli arrestati, ma non già per applicazione dei disponimenti del diritto penale positivo, ma invece pei dettati del diritto di natura e delle genti.

Ecco il germe fecondo della discussione, preso ad argomento dal dotto DUPIN, convertito in massima dalla Corte di Cassazione, e trapassato poscia a regola di giure internazionale.

Da questo principio è duopo d’impadronirsi del filo della discussione, per quindi facilissimamente sorprendere la industria dei contraddittori, la quale risiede nel ricordare il caso deciso, e trascurare i principi che ne prepararono la decisione.

Ascoltisi il compimento delle conclusioni del grand'uomo, che qui inseriamo per tenore, e che avevamo omesso di riportare nel nostro precedente lavoro, perché non potevamo prevedere quello che si sono permessi di asserire i difensori dei signori Sitzia e Rubattino.

Ecco il lungo brano delle requisitorie dell'illustre Proccurator generale.

«Intanto, ed in presenza di questi fatti noi veniamo a parlare del Carlo Alberto, come di un bastimento neutro o amico?

«Certamente noi non pretendiamo affatto che il Governo francese abbia il diritto di andare a cercare sul territorio straniero quelli che cospirano contro di lui. Che la duchessa di Berry cospiri, se lo vuole a HolyHood: che ella si corrisponda in Francia con uomini bastantemente sciocchi per sognare una terza, o quarta ristaurazione, con l’aiuto di una terza o quarta invasione straniera. Il Governo francese non andrà punto a domandare la sua estradizione e quella dei suoi aderenti, come ha fatto la restaurazione. Ma se la cospirazione è realizzata, se la duchessa di Berry ed i suoi complici si presentano sulle coste della Francia, nel fine di eccitarvi una sollevazione e di dar la mano ai faziosi interiori, il dovere del Governo è di scomporre coteste trame criminose e di arrestare coloro che esso trova in così flagrante delitto. Chi, in effetto, oserà sostenere ancora, che arrestandoli sul proprio territorio, à violato a loro riguardo IL DIRITTO DELLE GENTI?

«Ma qui si presenta la grande scusa allegata dalla Corte di Aix, ed alla quale la difesa à dato così estesi sviluppamenti. Nel momento della cattura dei prigionieri, il Carlo Alberto era in approdo forzato: è la sventura che li à sospinti. Ed a questa occasione si fa paragone della di loro sorte a quella del dotto Dolomieu ed ai naufraghi di Calais.

«Questa nuova quistione dipende mollo dalla prima.

«Nel vero; il Carlo Alberto era un bastimento amico; se esso à osservato verso di noi i doveri della neutralità e le regole DEL DIRITTO DELLE GENTI, che l’approdo sia forzato o no, esso aveva diritto a tutta la protezione della ospitalità. Ma se esso si è CONDOTTO DA INIMICO, SE ESSO È STATO OSTILE ALLA FRANCIA, SE ESSO À VIOLATO A NOSTRO RIGUARDO IL DIRITTO SACRO CHE EGLI INVOCA, sarà egli vero di dire, che non si à affatto il diritto di arrestare i malfattori che esso à portato fino nella casa nostra?

«Si parla di esempi cavallereschi, di un governatore di Avana, il quale, padrone di un vascello inglese, che gli aveva consegnato la tempesta, rifiutò d’impadronirsene, gli fornì soccorsi e rimise ad altro tempo il pensiero di combatterlo.

«Magistrati! Voi dovete deliberarvi, non con gli esempi di cavalleria, ma con le leggi. Ora lo stesso autore che riferisce il tratto che si è citato (167), conviene che il nostro diritto è contrario; ed in effetto le leggi positive dichiarano DI BUONA PREDA QUALUNQUE BASTIMENTO NEMICO, ANCHE CHE SIESI NAUFRAGATO. Questa è la disposizione formale dell’arresto del 6 germinale anno 8 art. 19 e 20, uniforme sopra questo punto al regolamento del 26 luglio 1778 art. 14, ed alla ordinanza della marina del 1681.

«Altronde la stessa cavalleria, se vieta di uccidere un nemico inerme, non à giammai vietato di custodire la sua spada e di farla rispettare; ed io son persuaso, che se il governatore di Avana, in vece di trovare nel capitano del vascello inglese un leale nemico, vi avrebbe riconosciuto un pirata, un contrabbandiere, un cospiratore, egli lo avrebbe fatto prendere senza difficoltà.

«Conchiudiamo dunque, dopo tutta questa discussione, che l’arresto dei passaggieri del Carlo Alberto non à punto avuto luogo a disprezzo DEL DIRITTO DELLE GENTI, e che nel giudicare il contrario, la Corte d'Aix dichiarando il loro arresto come non avvenuto, ed ordinando, che fossero posti in libertà, e prescrivendo che fossero ricondotti sul territorio sardo, à violato TUTTI I PRINCIPII dei quali pretendono gli accusati di aver fatto buona applicazione.

«Passiamo ad un altro punto di veduta: possiamo domandare ancora, se la Corte d’Aix era competente per giudicare, come essa à fatto, applicando IL DIRITTO DELLE GENTI, ED I MOTIVI IMPRONTATI DAL CODICE DELLE PREDE?

«Sotto questo punto di veduta si potrebbe dire che cosiffatte quistioni non sono affatto della competenza dei Tribunali ordivi narri. In verità, il giudice dell azione è anche giudice della eccezione; ma a condizione che la eccezione NON SIA PER SUA NATURA DEVOLUTA AD ALTRI GIUDICI.

«Se dunque, nella nostra specie, la quistione a giudicare, ERA UNA QUISTIONE DI PREDA MARITTIMA, NON ERA ALLA CORTE DI ALX ATTRIBUITO DI CONOSCERNE, MA AL CONSIGLIO DI STATO.

«LA CORTE DI AIX DICHIARANDO LA PREDA ILLEGALE À GIUDICATO UNA QUISTIONE, CHE NON LE ERA PUNTO DEVOLUTA: ELLA ERA INCOMPETENTE, E SOTTO QUESTO RAPPORTO LA SUA DECISIONE DEV' ESSERE ANCHE CASSATA.

«Ma non è meglio dire, che qualunque sia la generalità dei motivi, che essa à fatto valere all'appoggio della sua decisione, che essa non à giudicato una quistione di preda marittima, e che essa à lasciato intiera questa quistione, mantenendo solamente l’arresto; che essa non à esaminato la quistione dello arresto dei passaggieri del Carlo Alberto, che relativamente alla loro qualità di accusati, prevenuti di misfatto, e che cosi essa aveva tutta la competenza per giudicare del merito del loro arresto?

«Io lo credo, o Signori; io penso che i giudici ai quali si è dato un arrestato a giudicare, non debbono punto accettarlo, senza assicurarsi che egli sia messo legalmente nelle mani della giustizia. I giudici del duca d’Enghien si sarebbero grandemente onorati, se avessero proclamato il vizio del suo arresto praticato sopra un territorio straniero, di notte, con armi ed in tempo di piena pace?

«I giudici di Aix avrebbero potuto giudicare la quistione dell'arresto; MA. ALLORA LA PRIMA PARTE DELLA NOSTRA DISCUSSIONE RESTA INTIERA, E LA DECISIONE NON INCONTRA MENO LA CASSAZIONE, PER LA FALSA INTERPRETAZIONE CHE ESSA À DATO AI PRINCIPII DELLA MATERIA (168).


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§. XI. Conseguenze che ne derivano

1.° È indubitato che la tesi della causa era la legittimità dell'arresto dei cospiratori; ma però non è men vero che la Corte. di Aix, in cambio di consultare ed applicare le leggi penali di Francia, uniche che poteva maneggiare, ricorse a leggi, delle quali l’interpretazione e l’applicazione erano straniere affatto alla sua competenza ed alla sua giuridizione: quelle leggi erano il diritto di natura e delle genti nei rapporti di due nazionalità e di due Governi.

2.° Se mai la Corte di Aix (per impossibile ipotesi) avesse rinvenute mute le leggi penali alle sue interrogazioni, doveva provocare superiori disposizioni, o rimettere lo affare ad altri magistrati, pria di deliberarsi; dappoiché doveva imprescindibilmente riputarsi interdetta a vagliare la quistione sotto quei prospetti, che unicamente potevano essere pregiati dal Potere Sovrano, o dai Magistrati, o Consessi da lui delegati a quell'uopo.

3.° L’arresto dei passaggieri fu l’argomento della causa, ma la loro qualità di nemici della Francia suscitò la quistione di maggior peso, vale dire se si potevano arrestare sopra il territorio straniero.

E questa quistione ne implicava un’altra piò cospicua ancora, cioè quella di decidere, se il legno amico, ma mezzo alle inimicizie, fosse stato sottoposto ai rigori della guerra e di conseguente avesse potuto ritenersi di buona preda.

Questa quistione, comunque incidentale nella causa dell'arresto de' passaggieri cospiratori, fu ampiamente trattata e lucidamente risoluta per l'affermativa dal Procurator Generale DUPIN.

La Corte di Cassazione, non solo ne seguì le riquisitorie, ma stabilì pure una regola generale di dritto internazionale e dichiarò, parlando del legno amico, che: SE SI ABBANDONA AD ATTI DI OSTILITÀ ESSO DIVIENE NEMICO E DEVE PATIRE TUTTE LE CONSEGUENZE DELLO STATO DI AGGRESSIONE, IN CUI SI È COLLOCATO; E DALL’ALTRA PARTE IL PAESE ATTACCATO SI TROVA ESSO STESSO NELLO STATO DI LEGITTIMA DIFESA PER RESPINGERE LE OSTILITÀ.

4.° Chi può dunque negare che sia un assunto evidentemente contrario alla verità de' fatti, quello che piace di asserire ai nostri avversari, vai quanto dire, che nella occasione del Carlo Alberto non si sieno toccati i principi del dritto delle genti ed internazionale, mentre per virtù di questi soli principi quello arresto fu dichiarato valido, e hi annullata la decisione che lo aveva ritenuto come illegale?

In altri termini: si dichiarò legale lo arresto eseguilo sopra un territorio estero amico; e ciò perché? perché quel territorio (il legno) era divenuto nemico, sicché per lui era cessata la garantia del diritto delle genti.

Ciò basta e soperchia al nostro bisogno, senza darci pensiero del destino che patì il Carlo Alberto ed il suo capitano. II punto di diritto internazionale proclamato in quel rincontro risponde e decide la quistione che disputiamo.


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§. XII. Dottrina concorde della scuola al proposito

È chiaro che conformemente alla massima proclamata dalla Corte di Cassazione di Francia, il bastimento con bandiera di Governo amico, di natura commerciale e pacifico diviene di buona preda, tostoché sia mezzo per arrecare allo Stato amico atti di ostilità; dappoiché in questo caso esso diventa nemico e perciò passibile di tutte le severe pratiche di guerra. Questa è stata la intelligenza che vi àn dato i pubblicisti francesi.

FAUSTIN HÉLIE riferisce che la massima stabilita dalla Corte di Cassazione fu del pari proclamata dal Magistrato competente a statuire sulle prede, cioè dire dal Consiglio di Stato.

La Corte di Cassazione riconosce, che qualunque bastimento che porta la bandiera della Nazione alla quale esso appartiene è una continuazione del suo territorio, e che da quel momento la qiuridizione locale del porto dove esso è entrato, non deve esercitare verun atto sul suo bordo; ma essa limita questo privilegio al caso in cui il bastimento è, SEGUENDO I TERMINI DELL'AVVISO DEL CONSIGLIO DI STATO, ALLEATO O NEUTRALE, E NEL CASO IN CUI QUESTO BASTIMENTO RISPETTA LE LEGGI DEL PAESE.

Queste regole sono incontrastabili per sé stesse e la loro applicazione può solamente dar luogo ad una quistione di fatto (169).

Il celebre ORTOLAN adotta l'annunziato principio, ed aggiugne che uniformemente ai pronunziati del dritto internazionale, lo Stato che à sofferto l'ostile agressione à tutto il dritto di perseguire quel bastimento, anche fuori delle acque territoriali e di arrestarlo in alto mare:

Imperocché, se un bastimento, sia da guerra, sia di commercio venisse in un porto, in una rada o nel mare territoriale di uno Stato straniero, a commettere esso stesso atti di ostilità contro quello Stato, o di violenze pubbliche contro i suoi abitanti, SI TRATTEREBBE NON PIÙ DI GIURIDIZIONE, MA INVECE DI LEGITTIMA DIFESA, E SENZA ALCUN DUBBIO LO STATO ATTACCATO À IL DRITTO DI PRENDERE, NON SOLAMENTE NELLE SUE ACQUE territoriali, MA ANCORA IN PIENO MARE tutte le misure NECESSARIE A QUESTO DISEGNO (170).

Lo scrittore rammenta l'arresto della Corte di Cassazione, e le requisitorie di DUPIN (171).

Ed i pubblicisti francesi spingono più in là la dottrina fin qui esposta, e la confessano applicabile anche al caso del naufragio.

La teoria è del famoso ROVER-COLLARD:

Vi è minor ragione di rilasciare un bastimento naufragato, se esso fosse stato gettalo sulle coste per tempesta di mare, nel momento in cui esso TENTAVA DELLE OSTILITÀ CONTRO IL TERRITORIO. La Corte di Cassazione à stabilito questi principii implicitamente, MA IN UNA MANIERA LA PIÙ CHIARA NEL SUO ARRESTO DEL 7 SETTEMBRE 1832, cassando la decisione profferita nel S agosto precedente della Corte Reale di Aix nell'affare del bastimento CARLO ALBERTO noleggiato negli Stati sardi per condurre in Francia la Duchessa di Berry ed i suoi complici. Vedete la Gazzetta dei Tribunali del 20 agosto e 7 settembre 1832, e SPECIALMENTE LE REQUISITORIE del Procuratore Generale DUPIN (172).

Da ultimo, LE SEYLLIER professa la stessa dottrina, del quale trascuriamo di recare l’autorità, perché sarebbe un mero ripetimento delle opinioni dei suoi precessori(173).

Essendo rimasta pienamente smentita l’asserzione del collegio degli avvocati de' convenuti pel fatto del CarloAlberto, ed a riguardo dei principi di dritto pubblico elevali a quell’uopo, passiamo ad una seconda interessante dimostrazione, e la quale intenderà a chiarire di essere la teorica professata pel caso della isolata aggressione ostile una dottrina del senno antico, adombrata con colori più vivi; sicché sarà maggiore il peso del principio consentito dal giure moderno, pel frangente del CARLOALBERTO.

§. XIII. Diverse specie di nemici, pei quali si verifica il caso di buona
preda, anche per un fallo isolato ostile, o creduto tale.

Raccogliendo le massime de' dotti e le disposizioni testuali delle leggi, ben possiamo affermare di riconoscersi tre specie di nemici del regno: i manifesti; i sospetti; gli occulti.

I manifesti son quelli che realmente praticano le offese di guerra: i sospetti, quelli che esercitano atti di adesione o di aiuto ai nemici; gli occulti, quelli che dallo stato d’irregolarità in cui sono, fan conchiudere di potersi convertire in nemici, a seconda de' casi.

I
Nemici manifesti

Nella nostra legge sulle prede marittime del 12 ottobre 1807 s’incontra l’articolo XI concepito in questi termini:

UN BASTIMENTO QUALUNQUE, che non ammainerà le sue vele, o non metterà in panno, o deriva, per attendere il bastimento che gli dà caccia, dopo che sarà stato da questo chiamato alla obbedienza, potrà esservi costretto con la forza; ed in caso di resistenza e di combattimento SARÀ DI BUONA PREDA.

L’importanza del disponimento contenuto in questo articolo è di stabilire, che il caso isolato di un bastimento che esercita atti materiali di guerra, diviene di buona preda.

E ciò non basta, poiché l’importanza del principio cresce a dismisura, allorché si vedrà che il fatto ostile materiale pareggia al bastimento nemico anche il nazionale; per modo che se il legno appartenente allo stesso Stato si metta in condizione ostile verso un legno connazionale, non eviterà la preda e tanto meno le punizioni condegne alla enorme contumacia di colui che lo governa. Le espressioni generali qualunque bastimento comprendono tutt'i bastimenti, niuno escluso o eccettuato, e di conseguente gli amici, ed anche i nazionali.

Ma cessa qualunque dubbio, allorché si rimonti alla genesi di quell'articolo.

Esso è la copia fedele dell'articolo XII, collocato sotto il titolo delle prede, dell’Ordinanza della Marina di Francia del mese di agosto dell’anno 1681.

Il famoso RÉNATO VALIN che ne tesse il comento, alle parole: tout vesseau, equivalenti a quelle registrate nel nostro articolo XI della legge sulle prede: qualunque bastimento, dice così: ANCHE FRANCESE; e tuttociò è vero per argomento dell'articolo che segue, il quale non fa divieto di arrestare i bastimenti FRANCESI, ed altri, che in quanto avranno ammainato le loro vele ecc.

E se il capitano di questo bastimento'(1), per ostinazione, impegni il combattimento, meglio che ammainar le vele e che sia preso, sarà allora di BUONA PREDA, ai termini del nostro articolo; senza pregiudizio della punizione che dovrà subire il capitano FRANCESE, sopra lutto, se à osato di resistere ad un bastimento del Re (174).

CLEIRAC professa la stessa opinione (175).

Se mai si osserverà, che il CAGLIARI imbrogliò le vele, fermò la macchina e si rese, senza resistenza, nulla si dirà di buono per respingere l'argomento; imperciocché il CAGLIARI, se allora si rendeva, aveva impertanto già lungamente combattuto nell'isola di Ponza, dopo averla assaltata: e dopo tutto questo ritornava dall'aver anche trasferita la guerra, che tuttora ardeva, sul continente del regno. Il principio desunto dall'articolo ben si adagia al CAGLIARI, con argomento dal meno al più. Ripetiamolo, anche una volta, l’importanza della massima è che la buona preda si ammette anche nel caso isolato delle ostilità che consumi un legno QUALUNQUE, sia desso amico, o anche nazionale.

II
Nemici sospetti

Sarà ARRESTATO IL BASTIMENTO che à dei generi di guerra, come per esempio armi di qualunque sorta, munizioni, arnesi, vestiarii ed altro simile ad uso delle armate nemiche; più legname di costruzione, canape, lane ed altro ad uso delle fabbriche, e costruzioni degli arsenali nemici; cavalli, viveri ed altro diretti al nemico, o alle piazze nemiche bloccate per mare o per terra (176).

Questo articolo nella parola arrestato intende PREDATO, poicehè negli articoli quarto ed undecimo si scambiano le parole, preda ed arresto; predatori ed arrestati.

Le leggi Sarde ripetono lo stesso, ma più esplicitamente:

I bastimenti NEUTRALI (cioè amici), carichi in tutto o in parte di generi di contrabbando di guerra destinati ad un paese nemico, e quelli carichi in lutto o in parte di commestibili destinati ad un porlo o piazza nemica bloccala, investita o assediata saranno considerati di BUONA PREDA; e si seguiteranno riguardo ai medesimi le regole stabilite per le altre PREDE MARITTIME (177).

Il manifesto pensiero che esprimono questi due articoli è che anche il bastimento ricoperto da bandiera amica, che non commetta ostilità, ma che si sospetti di arrecare aiuto ai nemici del regno, cade in preda legittima per questo solo fatto.

E cotesto fatto non è certamente la guerra materiale che raffigurano le leggi emanate sulle prede marittime, e che di sopra abbiamo rammentato; ma per contrario dipinge un avvenimento di minor conto, senza legame, senza progresso, del tutto isolato e senza colori o condizioni evidenti di guerra; invece circoscritto nei termini di un avvenimento solitario, e che a parere dei nostri contraddittori non dovrebbe, neppure per le mille, formare un lontano subbietto di una preda legittima.

Nel vero, si tratta di bastimento amico sospettato di possibile connivenza con i nemici del regno. Nullameno però la buona preda di lui è dichiarata testualmente. Le nostre Ordinanze di Marina e le leggi sarde ànno preso il pensiero, che poscia àn convertito in precetto positivo, precisamente dal dotto AZUNI, il quale scrive a questo modo:

Distinguesi la preda in giusta ed ingiusta, la prima dicesi quella che è fatta da inimico dichiarato secondo le leggi della guerra, qual giustizia non si riconosce soltanto dall'aperta dichiarazione di guerra, e dai dritti stabiliti dal gius delle genti, ma benanche da che la nave, o le merci caricatevi provengono da un porlo, e siano destinate ad un altro, o assedialo, od a cui sia legittimamente proibito l’accesso anche ai neutrali; OPPURE QUANDO ESERCITA UN COMMERCIO PROIBITO E DI CONTRABBANDO DANDO QUESTA CONTRAVVENZIONE UN DIRITTO DI DEPREDARE E CONFISCARE, TANTO LE MERCI CHE LE NAVI DI COLORO CHE LO COMMETTONO (178).

Allo AZUNI son di accordo perfettamente, BALDASSERRONI (179), e GALIANI (180).

Ma i moderni giurepubblicisti adottarono i pronunziati della vecchia scuola, che seguiva il principio accennato da Procopio, il quale lasciò scritto che: in exercitu hostium eum censeri, qui quae ad bellum usui sunt, hostili exercitui. subministrat (181).

GROZIO questo principio prefigge, allorquando annunzia: hostem esse, qui facit quod HOSTI PLACET (182), e conchiude per l'uso legittimo della preda del legno amico compiacente all'inimico del regno.

Giovanni Eineccio conviene nel sistema del GROZIO, ed anche nella preda del legno amico, dopo lunga discussione (183).

Sono ugualmente uniformi, SELDENO (184) WATTEL, (185) ed HUBNER, (186).

Anche in tutta questa disputazione l'assorbente è, che il bastimento amico è sospettato nemico, non già perché lo sia, ma perché si lascia supporre tale, o dai generi che trasporta, o dal luogo cui si dirige. Pel CAGLIARI,anche qui procede l’argomento dal meno al più; perciocché in lui non solo sta il vizio dell'aderenza agl'inimici, ma sta il carattere indelebile di essere esso stesso nemico manifesto del regno.

III
Nemici occulti

La citata legge sulle prede marittime contiene due concetti; uno generale, l'altro speciale nel contesto di tutt'i suoi disponimene.

Lo speciale indurrebbe a ritenere, che il legno nemico dovesse riputarsi sol quello che appartenga a Potenza nemica, o che porti nemica bandiera, o pure sia appartenente ai nemici del regno nel senso stretto di guerra mista.

Ma il secondo concetto che a bella prima, pare assoluto e tassativo, si piega e si estende a molti altri casi che declinano dalla limitazione del disponimento assoluto.

Nel vero; sono casi di buona preda, allorché il bastimento catturato abbia bandiera diversa da quella della Potenza da cui tiene commissione, o quando abbia commissione da due Potenze diverse: o quando la neutralità non sia appieno giustificata: o quando da un bastimento anche ALLEATO sia stata gettata alcuna carta in mare, o in altro modo sorpresa o distrutta dall'equipaggio; o quando sul bastimento trovasi imbarcato un sopraccarico negoziante, un commesso, o un uffiziale graduato di paese nemico; o quando sievi un numero di marinari nemici che ecceda la terza parte dell’equipaggio (187).

Laonde la presunzione, e diremo anche il semplice indizio d’inimicizia, basta a far ritenere come nemico il legno, che mareggia sotto sembianze amiche ed innocenti.

È questo il nemico occulto che può chiarirsi palese, non già quando i fatti materiali di guerra sono consumati; non già quando dai caratteri esterni di aiuto all’inimico può insospettirsi il Governo offeso; ma anche quando dall'esame delle carie del bordo si mostri, evidentemente tale (188).


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§. XIV. Deduzioni ricavate dalla discussione fin qui serbata

1. La triplice distinzione del nemico del regno, in manifesto, sospettato, ed occulto è innegabile.

2. È innegabile pure che la legittimità della preda si riconosce e si avvera di quei bastimento, che si trova costituito in una delle tre specie d’inimicizia.

3. È una quistione di fatto che s’impegna per vedere, se il bastimento catturato rientri o pur no in una delle tre categorie summentovate.

4. Nella specie che ne occupa, noi non risentiamo il dovere di occuparci dei caratteri distintivi e differenziali del nemico sospetto o del nemico occulto; dappoiché milita per noi il primo caso di suprema influenza, vale dire quello della palese materiale ostilità, che non si fermò nei termini di caso isolato ed iniziale di guerra mista, ma invece di guerra progredita per sette interi giorni nel regno, per opera del CAGLIARI, quanti appunto se ne contano tra il 27 giugno, epoca dell’agressione di Ponza ed il 3 luglio, epoca delle fazioni bellicose di PADULA e di SANZA.

Il che non fa dubbio al certo giudizio della legittimità della preda del cennato piroscafo.


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§. XV. La preda è legittima pel luogo in cui avvenne l’arresto

Nel fine di procedere con ordine sopra questo argomento, bisogna prima definire quali sieno le acque territoriali di uno Stato, e quale il pieno mare.

Le acque territoriali formano il prolungamento del dominio continentale di ciascuna Potenza o Stato. E poiché queste consistono in un elemento infido ed instabile, è d'uopo per poter riconoscerle consultare i principi del dominio civile, e dei modi pei quali può esso acquistarsi.

Il possesso materiale delle cose è il primo atto ingeneratore del dominio civile: dominium ex naturali possessione caepisse Nerva filius ail, scrive PAOLO giureconsulto (189). Da questa massima prende origine la dottrina delle acque territoriali, la quale relativamente alla sua estensione, per tanto consiste, per quanto queste possono conservarsi.

BYNKERSHOER in questo modo annunzia la sua opinione, e poiché considera che la custodia delle acque, per tanto può verificarsi, per quanto se ne possono allontanare i nemici, conchiude riconoscersi le acque territoriali fino alla portata del cannone di terraferma.

Quare, egli dice dopo molte diverse opinioni che arreca, omnino videtur rectius, eo potestatem terrae extendi, QUOUSQUE TORMENTA EXPLODUNTUR, eatenus quippe cum imperare, tum possidere videmur (190). Laonde quello che sta oltre la indicata misura è mare libero, comune a tutte le nazioni.

Il giureconsulto POMPONIO nitidamente accennò allo stesso pensiero, allorché scrisse:

Territorium ab eo dictum quidam aiunt, quod magistratus eius loci intra eos fines TERRENDI, id est SUBMOVENDI ius habet (191).

AZUNI tesse una lunga storia di pareri manifestati dalla prima all’ultima discussione tenuta dai pubblicisti al proposito (192), e tien per fermo, che la più sicura opinione sia quella, oramai uniforme in tutto il mondo incivilito, che termini la giuridizione dello Stato sulle acque territoriali, là dove termina la più grande portata del cannone di costa.

E l'esimio scrittore dichiara esser vera questa sua opinione, anche quando potesse uno Stato aver piazzato nel pieno mare una torre, ovvero una batteria artifiziale. Questi segni d’impero non sarebbero che fragili ed impotenti: sarebbero al più, frontiere artefatte sprolungate inutilmente, e non mai equivarrebbero al certo riscontro della Sovranità della costa, rappresentato dalla più estesa portata di un cannone o di un mortaio:

Il più sicuro metodo per fissare l'estensione del mare territoriale, scrive lo AZUNI, adiacente alle coste non curvate è dunque, giusta il mio avviso, di limitarla allo spazio che può percorrere una palla tirata da un cannone, o quella alla quale una bomba lanciata da un mortaio piazzalo nella riva, può colpire un bastimento. Questa opinione sembra la più conforme ai principii del dritto universale, in virtù dei quali si considera per territorio tutto lo spazio nel quale i Magistrati ed i Ministri possono far eseguire gli ordini del loro Governo, per mezzo del terrore delle forze che loro sono confidate. È dunque ragionevole, che senza esaminare se la potenza, padrona del territorio possegga qualche torre o una batteria costruita in pieno mare, si determinasse fissamente e per sempre che la giuridizione sul mare territoriale si estenda a tre miglia di distanza dalla terra, ciò che è, senza contraddetto la più GRANDE PORTATA, ALLA QUALE LA FORZA DELLA POLVERE DA CANNONE POSSA SPINGERE UNA PALLA O UNA BOMBA (193).

II nostro Galiani ampiamente aveva discusso la medesima dottrina ed aveva conchiuso similmente ad AZUNI nel suo famoso trattato de' doveri de' Principi neutrali (194).

La scuola moderna univocamente ripete lo stesso, come assicurano ORTOLAN (195), e RAYNEVAL, che à scritto due interi volumi sulla libertà del mare.

Finalmente il VATTEL riferma la stessa dottrina, sicché pensa che non lice più dubitarne (196).


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§. XVI. Del mare libero, e della legalità, della preda che in questo possa avvenire

Per ragion de' contrari, il mare libero è di uso comune, appunto perché è fuori del mare territoriale di ciascuna Potenza. GROZIO lo annunziò nel suo pregiato libro, intitolato mare liberum, allorché disse: permissum cuilibet in mari navigare, etiam a nullo principe impetrata licentia (197).

Ed è bello ricordare i detti spiritosi della Regina Elisabetta d Inghilterra, la quale precisamente sosteneva al cospetto dell'ambasciatore di Spagna la libertà del mare, comeché Giovanni Seldeno avesse sostenuto il contrario (198).

Quella Sovrana cosi parlava:

Ella non. vedeva affatto ragione alcuna che potesse escludere, tanto gl'inglesi che le altre nazioni dalla navigazione delle Indie; poicché a tal riguardo non conosceva essa nella Spagna alcuna prerogativa, e mollo meno il diritto di prescrivere leggi a coloro che non erano obbligati a veruna sorta di ubbidienza verso la medesima: che gl inglesi navigavano snf oceano, l’uso del QUALE EGUALMENTE CHE QUELLO DELL ARIA ERA COMUNE A TUTTI GLI UOMINI, E CHE PER LA SUA MEDESIMA NATURA NON POTEVA CADERE SOTTO IL POSSESSO E SOTTO LA PROPRIETÀ DI ALCUNO (199).


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§. XVII. Continuazione

In altra occasione, abbiamo creduto di dimostrare pienissimamente che la preda legittimamente avvenga fuori delle acque territoriali della Potenza cui appartiene il legno predatore, e senza che ciò succeda nelle acque territoriali di altra Potenza amica, alleata, o neutrale: vale dire che la preda è legittima allorché principalmente si verifichi in alto mare.

In virtù delle leggi positive questo punto di diritto è innegabile. L’articolo I.° della legge del 12 ottobre 1807 contempla i bastimenti che corrono il mare.

Gli articoli seguenti parlano sempre di mare, di caccia che danno i bastimenti da guerra (200), ed usano altre espressioni che accennano sempre allo stesso pensiero.

Le leggi sarde più precisamente manifestano questa verità, allorché distinguono il caso della preda fatta in alto mare dell’altro di quella fatta sotto il tiro del cannone delle proprie fortezze:

Quando un bastimento nostro da guerra siasi trovato presente ad una preda fatta da un corsaro o da un altro legno da guerra sul nemico, avrà diritto al prodotto della preda in comune col legno predatore.

Per provare la sua presenza dovrà egli annoiare nel suo giornale il fatto, indicando I epoche precise, di giorno, ora e minuto in cui ebbero luogo le diverse circostanze del medesimo, ed in ispecie la resa della preda; indicherà inoltre il PARAGGIO, L’ALTURA e tutte le altre circostanze che ànno accompagnato un tale avvenimento (201).

Questa stessa idea riferma l'articolo 141 della medesima legge:

È proibito a tutti i comandanti o capitani di bastimenti colla nostra bandiera il mettere a riscatto IN MARE in legno nemico da essi arrestato. Potranno però, quando saranno le PREDE giunte in un porto, trattare per il riscatto delle medesime, purché, se sia in PAESE ESTERO, vi procedano col consenso e l'intervento de' rispettivi consoli nostri, e se sia negli STATI NOSTRI ciò eseguiscano col consenso del Procuratore Generale della navigazione, e con licenza del primo Presidente dell'Ammiragliato e de' loro armatori.

L’articolo 142 della legge medesima, sempre più conforta l'assunto della legittimità della preda fatta in pieno mare, allorché prescrive che:

I capitani di bastimenti armati in corso di legni mercantili, nei casi permessi, giusta l'articolo 139, dopo fatta UNA PREDA dovranno condurla o spedirla per quanto sia possibile AL PORTO DELL'ARMAMENTO O IN ALTRO DELLO STATO, non potranno mai condurla o spedirla IN PORTO ESTERO, se non che giustificando di esservi stati costretti dal tempo o da altra cagione imprevista onde metterla in sicuro. Lo stesso dovranno eseguire i comandanti DE' NOSTRI LEGNI DA GUERRA.

L’articolo poi 192 della stessa legge, prevede il caso della preda fatta sotto il tiro del cannone, offrendo il contrapposto a quello della preda fatta in pieno mare.

Quando, sono le parole del testo, una preda sarà stata fatta da un bastimento SOTTO IL TIRO DEL CANNONE DI UNA BATTERIA DI COSTA O FORTEZZA NOSTRA, e che da questa siasi fallo fuoco sul nemico, gli uomini che ne compongono la guarnigione avranno parte nella preda e saranno compresi nello stato di riparto secondo il loro grado, in modo però che le parli ad essi assegnate non eccedano mai il quarto della quota spettante ai predatori.


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§. XVIII. Continuazione. Dottrina degli scrittori della materia

Il mai sempre lodato Domenico AZUNI ritiene che: la preda fatta in pieno mare non può contestarsi in quanto alla sua validità (202).

E lo stesso autore, per contrario, dichiara invalida la preda fatta sotto il tiro del cannone di una Potenza amica o neutrale. Egli dice:

In effetto, quando l’inimico perseguitalo è giunto sotto il cannone o nel mare territoriale di una potenza amica e neutrale, deve considerarsi come raccolto in uno asilo sacro e sotto la protezione della nazione amica e pacifica (203).

ORTOLAN ripete lo stesso (204).

WHEATON riferisce l'articolo 28 del trattato del 1794 conchiuso tra la Gran Brettagna e gli Stati Uniti di America, concepito in queste frasi:

Nissuna delle dette parti contraenti permetterà che sotto la portata del cannone delle coste, né nelle baie, porti o riviere dipendenti dal suo territorio, i bastimenti o i beni appartenenti ai cittadini, o sudditi dell'altra parte fossero catturati dai bastimenti da guerra o altri, avendo commissione di qualche principe, repubblica o stato qualunque (205).

Dunque è inclusa, come permessa, la preda avvenuta in pieno mare.

WATTEL aveva manifestato la medesima sentenza:

Oggi tutto lo spazio che è alla portata del cannone, lungo le coste è riguardato come faciente parte del territorio, e per questa ragione, un bastimento preso sotto il cannone di una fortezza neutra, non è affatto di BUONA PREDA (206).

Conferma questa verità il celebre annotatore del VATTEL, PINHEIRO-EERBEIRA precisamente alla nota sul paragrafo citato (207). Il Merlin consente nella stessa opinione (208). Egli, riferisce una moltitudine di scrittori che già si trovano citati dallo AZUNI, ed ai quali vanno aggiunti D'HABREU (209) e VALIN (210).


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§. XIX. — Il CAGLIARI è legno pirata, anche per impero delle leggi sarde

Lungamente abbiamo esposto e dissertalo, in altra occasione, (211) sopra le condizioni piratiche del CAGLIARI; ora piace qui ricordare che le leggi del suo paese per tale lo ritengono, in vista dei fatti da lui commessi contro i sudditi e contro il reame delle due Sicilie.

La legge penale pubblicata da S. M. il Re Carlo Felice per gli Stati Sardi del 13 gennaio 1827, più volte ricordata nel corso di questa fatica, contiene un intero capitolo relativo ai delitti si PIRATERIA e di baratteria (212).

In questo capitolo necessariamente sono precisati gli atti che li producono e li fanno riconoscere per tali. Ond’è manifesto, che anche nel reame di Sardegna si professa la fondamentale distinzione del pirata palese e del pirata occulto, il quale diviene manifesto per gli atti e pei fatti che si fa lecito di consumare.

Fra i molti provvedimenti (213) ne trascegliamo uno, che assai prospetta, anzi pienamente quadra alla causa nostra:

Se un bastimento mercantile commetta ostilità contro un bastimento nostro da guerra, od altra forza pubblica, o contro un bastimento da guerra OD ALTRA FORZA PUBBLICA DI UNA POTENZA AMICA, gli equipaggi che lo compongono saranno puniti nel modo seguente ecc. ecc. (214).

L’altro disponimento contenuto nel precedente articolo 7 4amicamente si rannoda al testo dell'articolo 102 che abbiamo trascritto. Esso è così concepito:

Gl'individui facienti parte DI UN BASTIMENTO (precetto generale) con la nostra bandiera, IL QUALE COMMETTESSE DEPREDAZIONI, O VIOLENZE contro qualche bastimento colla nostra bandiera, o contro quella di uno Stato o Potenza con cui non ci trovassimo in guerra, saranno puniti nel modo seguente ecc. (215).

Il legno è ritenuto pirata per gli alti che commetta il suo equipaggio, il QUALE, cioè il BASTIMENTO commettesse ecc. ecc.

Rivolgendoci alla specie che ne occupa, il CAGLIARI rientra, con ismisurata soperchianza negli atti piratici contemplati dalla legge del suo paese, e dei quali non ne ripetiamo il novero, meno i più cospicui:

1° L'assalto, le violenze, la guerra, gl’incendi e le depredazioni commesse in Ponza.

2° L’affondamento e le depredazioni degli arredi ed attrezzi della scorridoia reale stanziata a guardia del porto di quell'isola.

3° La guerra trasferita per di lui mezzo sul continente del regno.

4° Il contrabbando di guerra che portava a bordo.

5° L’aspetto bellico che serbava nel punto della visita e della cattura. Lo insieme di questi fatti trasmodano a mille doppi gli atti anormali che convertono il bastimento mercantile, ricoperto da bandiera amica, in bastimento pirata, e che si annoverano nelle leggi d’Inghilterra, di Francia e di Sardegna.

Sappiamo che anche la pirateria forma oggetto delle nostre leggi punitive (216); ma sappiamo pure, che essa costituisce oggetto particolare della legge sulle prede marittime del 12 ottobre 1807 (217) e delle Ordinanze generali della Real Marina.

Laonde per la piena osservanza del predominio delle leggi speciali sulle generali; e dell’altro, che tanto la guerra mista, che la pirateria comprendono due fatti collettivi, cioè del reato comune e degli atti ostili ed infesti alla Sovranità ed al regno, ne deriva che anche sotto il punto di vista della sola pirateria esercitata dal CAGLIARI, la di lui cattura mena dirittamente alla legittimità della di lui preda.


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§. XX. Il CAGLIARI fu legalmente catturato

Nel trattar noi la quistione della competenza, abbiamo avuto occasione di penetrare addentro ed esporre dove si fa consistere dal signor Phillimore il nodo della quistione, a suo credere, ed alla cui credenza si affidano gli avversari come ad ancora di salvazione.

Tutto si aggira nel far rilevare il difetto di guerra mista e dei caratteri piratici al tempo della cattura del CAGLIARI, il quale, si dice, era un legno pacifico e ricoperto di bandiera di Potenza amica. Di conseguente, e ciò presupposto vero, doveva venir rilasciato dalle fregate napolitane.

Questa indagine ne inchiude un’altra, cioè del diritto di visita e di perquisizione del bastimento arrestato.

Or poiché i principi di diritto prefissi dal Phillimore decidono dell'ottima ragione dei predatori, quante volte i fatti veri si pregino, e che egli nega pienamente nel punto medesimo che li aveva sotto gli occhi e che asserisce di averli profondamente riflettuti, giudichiamo lodevole divisamento di riportare pertenore il brano del di lui consulto.

Allo stato dei falli (egli scrive) la prima quistione che emerge si è: in quali circostanze uno Stato abbia facoltà d'impadronirsi della nave di un’altro Stato, mentr’ essa sta percorrendo LA VIA COMUNE A TUTTE LE NAZIONI.

La risposta in cui convengono tutti i pubblicisti, e con la quale si è sempre tenuta in perfetta armonia, la teoria e la pratica degli Stati è la seguente:

In tempo di pace, quando la nave è ragionevolmente SOSPETTATA DI PIRATERIA.

In tempo di guerra, quando una nave è ragionevolmente sospettata essere di spettanza DI UNA DELLE PARTI GUERREGGIANTI.

In sostanza, si tiene per nave di pirata quella che naviga senza l’autorità di uno Stato riconosciuto, senza che sia autorizzala ad avere una bandiera o carte di bordo, senza che questa autorizzazione risulti da un documento generalmente riconosciuto, e che di più navighi coll’animo furandi et depraedandi.

Ciò premesso, ne viene il quesito: questa definizione può ella applicarsi al CAGLIARI, ed in caso di affermativa, per quale momento del suo viaggio?

Il secondo quesito che si presenta è questo: benché il CAGLIARI, quando salpò da Genova fosse una nave mercantile IN LEGITTIME CONDIZIONI, non gli sarebbe forse impresso il carattere DI NAVE PIRATICA, durante il suo viaggio, contro alla volontà dei suoi proprietari, ed in tal caso quando e come sarebbe ciò succeduto?


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§. XXI. Argomenti coi quali si escludono nel CAGLIARI la qualità di pirata originario, ed i caratteri di pirateria

Il signor Phillimore niega cotesti due assunti col soccorso di fatti totalmente falsi, anzi costanti per rovescio.

1.° Egli assicura essere quel piroscafo, sardo, di Potenza amica, con bandiera sarda, pacifico, fornito di carte di bordo.

2.° Avere patito il capitano forza maggiore dai passaggieri ribelli, che lo deposero dal comando appena partito da Genova.

3.° Essere arrivato in Ponza, ed i ribelli vi fecero montare altra banda di cospiratori, e navigarono a Sapri. Là il capitano riebbe il suo comando, e si recava in Napoli per riferire al Governo quanto era avvenuto. Né si allega (soggiunge lo scrittore) che in quel punto (dello arresto) VI STESSE ANCORA A BORDO ANCHE UN SOLO RIBELLE.

4.° Che non à il diritto una nave da guerra di uno Stato di visitare e verificare, se una nave di altro Stato abbia le carte in regola secondo la legge interna del suo paese.


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§. XXII. Osservazioni e deduzioni dal ragionamento del signor Phillimore

1.° Per certo, che 1 inglese giureconsulto ammette la CATTURA (IMPADRONIRSENE) di una nave, o piratica vera, o divenuta tale IN ALTO MARE (VIA COMUNE A TUTTE LE NAZIONI), in senso di tesi generale.

2.° Pare egualmente certo, che egli riconosca, che una nave da pacifica in apparenza può convertirsi in piratica per gli atti che commette.

Ciò posto: l'esame unico che gl'imponeva la quistione era di verificare in fatto, se il CAGLIARI fosse divenuto pirata, e per quali avvenimenti da lui consumati.

E questo, senza dubbio, era Punico esame, al quale doveva corrispondere il signor Phillimore; imperciocché nissuno dubita, né può dubitarsi della natura pacifica di quel piroscafo, e di una tal quale apparente legittimità delle sue condizioni nel partire da Genova.

3.° Ma cotesto esame è stato da lui interamente trascurato; che anzi (e questo è quasi incredibile) à ritenuto pruovata la forza maggiore esercitata sul capitano: l'innocenza dell'equipaggio; l’assenza, anche di un solo ribelle dal bordo del legno, al tempo dell’arresto.

A cotal guisa arbitraria, e forse censurabile, la conclusione del signor Phillimore non trova contrasto, e riscuote plauso dagl'ignoranti dei veri fatti avvenuti.

4.° Or basta rammentare di volo quanto copiosamente abbiamo dimostrato altrove (218), affinché nello stesso tempo, resti abbattuto l'avviso dello scrittore del consulto, e questo invece si converta in luminosa difesa dei catturanti.


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§. XXIII. Novero dei caratteri piratici del CAGLIARI per soli accenni

1.° Quel piroscafo salpava da Genova con 33 passaggieri, dei quali 22 mancavano di passaporti, mentre nell’astuccio delle carte di bordo, il capitano Antioco Sitzia conservava i passaporti e le carte di soggiorno di antica data dei più cospicui ribelli, e tra questi, di Giovanni Nicotera, che vi stava imbarcato. Molti dei viaggiatori avevano mentito il nome.

2.° L’equipaggio composto di 32 persone, ne aveva 9 senza matricola, o passo. E questi erano la gente principale, in gran parte; cioè il nostromo, il pilota, i camerieri, i macchinisti e qualche altro.

3.° Aveva a bordo armi e munizioni da guerra in gran copia, non denunziate alle Autorità ligure, ed in contravvenzione delle stesse leggi sarde. Faceva il CAGLIARI commercio di contrabbando.

4.° Mancava del verbale di visita, dell'atto di proprietà, del passavanti, del registro di navigazione e del ruolo di equipaggio in buona forma.

5.° La forza maggiore non è pruovata, anzi smentita e pruovata in contrario la complicità del capitano e dell'equipaggio.

6.° Nel vero, è pruovato dalle stesse deposizioni e confessioni di Sitzia e dell’equipaggio:

Che questo al numero di 29 scese armato a Ponza coi ribelli: che combattette, perché rimase ferito uno dei camerieri del legno, Lorenzo Acquarone.

Che fu assaltala l’isola; fu combattuta, vinta ed in parte uccisa la guarnigione militare che rifiutò di arrendersi.

Che fu depredata ed affondata la scorridoia reale che guardava il porto.

Che furono rotte le leggi sanitarie, arrestate le Autorità di Marina e Militari dell'isola; incendiati e dispersi gli archivi delle Autorità giudiziarie, militari, amministrative e municipali; disserrati i luoghi di pena; rapitine i relegati; rubati molti oggetti di proprietà privata.

Che fu proclamata la repubblica italiana, con vesti e berretti rossi e con bandiere tricolori.

Che furono bruciali gli stemmi regi, e disfatte le effigie dei nostri Sovrani.

Che il capitano contribuì allo sbarco dei ribelli e dell’equipaggio in Ponza.

Che egli era libero, tanto che dopo di questo fatto, uscì dal porto e si pose in rada; donde rientrò nel porto per rim' barcare l’equipaggio, i ribelli, e le bande dei rilegati.

Che il capitano Sitzia era in pieno accordo col sommo duce delle squadre nemiche, Carlo Pisacane: che nel viaggio per Sapri dispensò armi, compose cartucce, animò tutti alla rivolta ed alla libertà.

Che vomitò la ribellione nella terraferma del reame.

Che, ritornando da Sapri, si dirigeva non a Napoli, ma a Ponza, o a Genova.

Che finalmente, nel tempo dell'arresto, il ponte del CAGLIARI simulava un campo di battaglia, qual si mostra dopo una sanguinosa azione.

Erano ancora carichi, boccacci, schioppi a due colpi, la carabina del capitano e molle pistole.

Vi esistevano due fucili di munizione dell'esercito napolitano, tuttavia carichi, (eran quelli presi alla guarnigione di Ponza); una spada nuda, (era quella del tenente Balzamo comandante della truppa di Ponza, ucciso nella mischia).

Si rinvennero due baionette di munizione dello stesso esercito napolitano nascoste tra le stive di frumento.

Finalmente stavano sul bordo tre feriti confusi con l'equipaggio, dei quali Lorenzo Acquarone cameriere del piroscafo; Amilcare Buonomo e Cesare Cori, ribelli, tutti tre feriti nella zuffa di Ponza e che perciò non disbarcarono in Sapri.

Dopo tutta questa iliade di avvenimenti, veggano coloro, che vogliamo figurare i più avversi ai catturanti, se il CAGLIARI aveva o pur no impresso alcun carattere di pirata, e quando e come, al dire del Phillimore: e se esisteva anche un solo ribelle sul suo bordo 1

Il CAGLIARI dunque non era sospettato, ma era liquidato dieci volte pirata.

E quando le Regie fregate rincontrarono, già era noto e verificato tutto il cumolo delle enormità da lui consumate, sicché quei legni da guerra si erano messi a dargli caccia e si erano formati a crociera dal giorno innanzi, 28 giugno.

E qui cade pure in taglio segnalare un altro estremo momentosissimo.

L’incontro delle Reali fregate, il Tancredi e l’Ettore Fieramosca col CAGLIARI avveniva alle ore 9 ‘2 antimeridiane del giorno 29 giugno.

Si sapeva che l’assalto di Ponza aveva progredito avanti, per avere quel piroscafo riversato sul continente del regno grosse squadre di ribelli, ma s'ignoravano intanto gli eventi della ribellione, i quali non furon noti, che dopo il 3 luglio ed in esito delle due fazioni militari di Padula e di Sanza.

Ferveva la rivolta e la guerra intestina in quel giorno, che sta di mezzo al 27 giugno ed al 3 luglio. Ed era pure possibile che la rivoltura avesse divampato, o potesse divampare nel reame, e levarsi a quella altezza formidabile, cui il signor Phillimore vorrebbe che giungesse per legittimar la cattura.

Dunque l’arresto, la visita e la cattura del CAGLIARI avvennero, non solo sopra un legno sicuramente pirata, ma ben anche nel tempo, in cui si combatteva tra il Governo costituito ed i ribelli, e nel quale erano tuttavia incerte le sorti delle battaglie, e perciò l'arresto cadde sopra un legno anche riguardato ragionevolmente nemico, in tempo di una guerra di dubbio risultamento.


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§. XXIV. Diritto di visita per sospetto piratico, o d’inimicizia

In altri termini; il vizio del ragionamento del dotto Phillimore (e che giova credere involontario) dipende da due evidentissimi trascorsi:

Il primo di volere invertire i tempi e supporre il CAGLIARI costituito nello stato di mero sospetto di pirateria:

Il secondo di non volere tener presenti i fatti da lui consumali.

Se il Governo napolitano avesse avuto prevenzioni soltanto sopra i disegni del CAGLIARI, e le sue fregate avessero incontrato questo battello prima di arrivare a Ponza, e prima di consumare lutti gli avvenimenti che consumò in quell’isola e nel continente; di fermo che rimanendo circoscritto il dubbio nei limiti del solo ragionevole sospetto e sfornito del corredo lussuoso dei fatti, dopo la visita, non vi poteva esser luogo alla cattura.

Ma quando quel piroscafo fu incontrato, lo fu dopo la consumazione dei fatti, che lo svestivano del semplice sospetto, ed invece lo rivestivano dei caratteri certi di legno pirata ed inimico, ne segue, che la visita, la perquisizione e la cattura sono state legalissimamente praticale.

Il signor Phillimore non nega il diritto di visita; ma solo sostiene che non vi è incluso l'altro diritto di perquisire.

Però egli non cela esser questa una disputa molto dibattuta tra la Gran Brettagna e gli Stati Uniti di America, ad occasione di una nave americana sospetta di fare il traffico dei negri (219)

Checchessia di ciò, l'Inghilterra lo ritiene esercibile cotesto diritto, come inerente a quello di visita (220). E se è dubbia ancora la quistione, non si può applicare decisamente la negativa alle operazioni di visita e di perquisizione, e poscia del ragionevole arresto del CAGLIARI.

La visita, pel sospetto piratico, è ammessa da tutte le nazioni.

Il KENT lo assicura, e così facendo non fa che riprodurre un antico principio, abbenché egli escluda a prima giunta, la perquisizione.

La visita reciproca, egli scrive, dei bastimenti SUL MARE si riferisce al diritto della propria difesa, ed in fatto è praticata dalle navi da guerra di tutte le nazioni, non escluse quelle degli Stati Uniti, quando il bastimento È SOSPETTO DI PIRATERIA (221).

DOMENICO AZUNI lo aveva precedentemente annunziato, pigliando la quistione pei suoi principi.

Se è permesso talora l’inganno in guerra, per strategia (222): esso è per abitudine dei pirati:

Da questo principio (sono parole di AZUNI) deriva l’antica usanza, divenuta dopo quasi universale delle nazioni, di navigare sotto la bandiera a mascherare la nazionalità di un bastimento, sia da guerra, sia mercantile, nel fine d'ingannare e di sorprendere le navi nemiche e di accostarle, per impadronirsene, più facilmente.

Questa pratica, che si può chiamare un vero abuso, fece nascere la diffidenza.

Il timore d'incontrare un PIRATA E DI ESSERE VITTIMA DI UNA FALLACE APPARENZA, OPERÒ CHE NON SI PRESTASSE PIÙ FEDE ALLA BANDIERA DI UN BASTIMENTO, COMUNQUE ARMATO IN GUERRA (223).

E riflettendo profondamente la teoria che ne occupa, bene e senza molto imbarazzo è dato conchiudere, che senza il diritto di perquisire torna vana la visita per più motivi:

Il primo, che difficilmente, o non mai il legno pirata, o divenuto tale, a prima vista, si mostra nell’aspetto in cui si è tramutato.

Il secondo, che se il diritto di visita riposa sul diritto della propria difesa, dalla sola perquisizione si può venire in chiaro del sicuro carattere del legno medesimo, e se vi si trovino a bordo generi e cose di contrabbando: altro elemento di pirateria o di inimicizia.

Del rimanente, pel CAGLIARI, riesce inutile questa disputa; dappoiché erano così flagranti e visibili i caratteri ed i riscontri di pirateria, che non era d'uopo della perquisizione del medesimo. La cattura quindi, ossia L'IMPADRONIRSENE, è stata legittima ed è incontrastabile.


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§. XXV. Continuazione

Ma che la visita includa la perquisizione è massima internazionale vetusta, tuttoché la dica dubbiosa il Phillimore e la nieghi il KENT e forse anco il WHEATON. La sentenza contraria è comune e costante, allorché si prenda a meditare collettivamente per tutti i casi che possono appresentarsi.

Lo stato di ostilità, scrive l'ORTOLAN, tra due o più Potenze, non chiudendo affatto alle nazioni che stanno in pace, il cammino del pieno mare, amici e nemici vi circolano indistintamente, sovente sotto i colori improntati, CHE MASCHERANO IL LORO VERO CARATTERE, si può stabilire come regola generale, dalla quale la prudenza avverte di non allontanarsene: che in tempo di guerra ogni bastimento scoperto IN MARE DEV’ESSERE REPUTATO NEMICO FINO ALLA PRUOVA CONTRARIA, QUALUNQUE SIA LA BANDIERA CHE INNALZI. QUESTO BASTIMENTO, SE È NEUTRALE DEVE PURGARE IL SOSPETTO, FACENDOSI RICONOSCERE, E DEVE GIUSTIFICARE LA VERACITÀ DEI SUOI COLORI. LA SUA NEUTRALITÀ GIÀ VERIFICATA, DEVE ESSO FORNIRE LA PRUOVA, CHE ESSO NON PORTA DEI NEMICI, E CHE ESSO NON È PUNTO IN UN COMMERCIO DI TRASPORTO PROIBITO A RAGIONE DELLO STATO DI GUERRA.

Quindi procede pei belligeranti il diritto di visitare i bastimenti di commercio neutrali, dritto del quale lo esercizio non è un atto di autorità, né di giuridizione sopra i neutrali, ma un atto di semplice precauzione preventiva fondato sopra IL DIRITTO DI PROPRIA DIFESA.

I pubblicisti sono unanimi nel riconoscere questo diritto, senza del quale QUELLO DELLO ARRESTO SAREBBE ILLUSORIO (224).

Più basso assicura lo stesso scrittore che tal diritto viene esercitato: nel territorio marittimo di ciascuna delle Potenze, o in quello dei loro nemici, o in fine in uno spazio che non appartiene ad alcuno, e del quale l’uso è comune a tutti, COME L'ALTO MARE (225).

Senza dubbio, che dopo l'esame DEI DOCUMENTI CHE PRUOVANO la neutralità, ed il porto di partenza e di destinazione, se tutti questi documenti non presentano alcun carattere di falsità, ogni ALTRA RICERCA SUL BASTIMENTO è inutile (226).

Dunque la visita e di conseguente, ed a seconda dei casi, la perquisizione sono ammesse all'apparire del sospetto delle carte di bordo. E pel CAGLIARI, non era il sospetto, ma la verità patente della sua condizione piratica e nemica ed in un tempo nel quale ferveva nel continente del regno la guerra intestina: e che esso stesso vi aveva arrecato, e che ancora pendeva incerta. Tempo di guerra in generale, vale dire, o pubblica, o mista.

E di più; il CAGLIARI era perseguito dalle fregate regie appena che pervennero a notizia del Governo le sanguinose scene da lui operate, e le altre che andava a compiere. Nel vero; sull'imbrunire del 27 giugno, il CAGLIARI si disbrigava dalle offese di Ponza; nelle ore pomeridiane del 28, i regi legni si posero alla caccia di lui; di buon mattino del 29 l'incontrarono, lo riconobbero essere quello stesso che ricercavano, pirata e nemico; l’arrestarono, lo visitarono, lo perquisirono, ne verificarono il doppio carattere, e lo catturarono.

Quanto noi diciamo, ed annunzia l'ORTOLAN, è teoria della Ordinanza di Francia del 1681 confermatrice delle precedenti del 1584, art. 64, e del 1 febbraio 1650, art. 1, ricordate da RENATO VALIN (227).

Le nostre Ordinanze generali del 1 ottobre 1818, prescrivono lo stesso:

In tempo di guerra ogni bastimento di commercio SOSPETTO che s’ incontri iN MARE, DORRÀ ESSERE RICONOSCIUTO E VISITATO, giusto il prescritto nel titolo I di questa seconda parte delle Ordinanze per aSSICURARSI DELLA REGOLARITÀ DELLE CARTE, della sua navigazione e della qualità del suo carico, a fine di poterlo lasciar libero, o arrestarlo (228).

BYNKERSHOEK (229), WATTEL (230), VALIN (231), AZUNI (232), GALIANI (233), LAMPREDI (234), TETENS (235), MARTENS (236), KLUBER (237), WHEATON (238) sono uniformi al proposito.

Il Governo di Napoli aveva ottimo diritto di perseguire il CAGLIARI, ed incontratolo, arrestarlo e catturarlo.

Quel piroscafo, era nella quasi flagranze dell'aggressione ostile da lui commessa.

Nello stato di guerra solenne, le Potenze belligeranti sono nella piena scienza degli oltraggi che possono patire dall'inimico, e debbono e possono praticare le opportune precauzioni per prevenirli; ma nelle aggressioni repentine in tempo di pace, non si deve e non si può adoperare altrettanto.

Nella buona fede e nella certezza di universale amicizia in cui uno Stato vive con tutto il mondo, non solamente non è dato il credere, ma neanche sospettare la possibile sofferenza di un insulto di tal fatta.

Di più; ignorandosi giustamente il tempo ed il luogo prescelto per consumare cotali enormità, non può quello Stato gremirsi di armati e circondarsi di flotte perpetuamente, per poi trovarsi apparecchiato alle sorprese di quelli amici, che tra tanti, abbian premeditato di scagliarsegli repentinamente addosso.

Nel caso figurato ed avvenuto del CAGLIARI, la persecuzione è un diritto irreplicabile concesso da due elementi; della buona fede, e della sorpresa.

La prima che giustifica la imprevvidenza della precauzione; la seconda che legittima l'arresto dell’inatteso aggressore.

Se si niegasse la persecuzione del legno offensore nel nostro caso, si proclamerebbe il funesto ed erroneo principio della simultanea impunità delle aggressioni ostili in tempo di pace e della impotente pazienza dello Stato aggredito.

Ma da ultimo, le cose ragionevolmente ritornano sullo stesso livello; dappoiché, se la preda si riconosce legittima, quando succede, e nel gran mare, e fuori del tiro delle batterie di una Potenza amica o neutrale, del pari può avvenire nello stesso luogo e sotto la stessa condizione sur un legno che frigge dopo gli atti ed i. fatti ostili da lui praticati, e che vien perseguito dagli offesi per essere catturato.


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CAPO IV

Impossibile perdita del bastimento catturato senza il concorso della volontà del proprietario; né essere costui risponsabile della complicità del capitano che lo dirigeva.

Il collegio degli avvocati impiega molto sforzo d'ingegno per sostenere questo assunto (239). Ma evidentemente mal si appone, dacché senza avvedersene anche qui, proclama un principio che conquide ed annienta il suo ragionamento. Questo principio è l'occupazione bellica che gli autori della difesa riconoscono come titolo legittimo della preda (240).

Quando si ammette questo titolo di acquisto, perciò solo si contraddice e si rinunzia necessariamente alla lesi che il proprietario non perde il legno, senza il concorso del fatto ostile da lui personalmente commesso.

La ragione è tanto evidente quanto ineluttabile, perché il diritto delle genti è diverso e superiore al diritto civile: esso fa riguardare come vacue di dominio le cose predale, dacché crea la sospensione del diritto civile e del dominio privato.

Il dubbio può essere, se per le condizioni del fatto si riconosca o pur no il caso di guerra mista nella specie che ne occupa. Ma se questo caso si ammette, svanisce la quistione di diritto come viene annunziata; imperciocché è un assioma universalmente riconosciuto, che il padrone del legno predato ne perde la proprietà, anche senza il concorso del fatto proprio, ed anche nel caso della forza maggiore sofferta dal capitano.

In altri termini; è il legno, e non la persona che soffre la imputazione della preda.


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§. I. Il proprietario del legno predato ne perde il dominio per diritto delle genti

Item ea quae ex hostibus capimus IURE GENTIUM STATIM NOSTRA FIUNT: adeo quidem et ut liberi homines in servitutem nostram deducantur. Qui tamen si evaserint nostram potestatem, et ad suos reversi fuerint, pristinum statum recipiunt (241).

Questo principio lo troviamo consacrato da Gaio in questi termini:

Ea quoque, quae ex hostibus capiuntur NATURALI RATIONE nostra funt (242). CELSO aggiugne una nuova condizione, cioè che le cose prese all’inimico non divengono mai pubbliche:

Et quae res hostiles, apud nos sunt, non publicae, SED OCCUPANTIUM FIUNT (243).

Ciò avveniva ed avviene, perché le cose predate in guerra si assomigliano alle altre cose che non ànno dominio privato; sunt NULLIUS.

Il giureconsulto PAOLO lo insegna formalmente:

ITEM BELLO CAPTA et insula in mari enata, et gemmae, lapilli ecc. ecc. eius fiunt QUI PRIMUS EORUM POSSESSIONEM NACTUS EST (244).

Il VINNIO, discorre così al proposito:

Iti vero nos docet PAULUS ex NERVA filo L. 4. §. ff. de adquirenda possessione; nimirum iure gentium res hostium hostibus esse non alio loco, quam quo SUNT NULLIUS, ac proinde eorum feri, QUI PRIMI EORUM POSSESSIONEM NACTI SUNT. Non distinguunt in hoc negotio inter res mobiles et soli, neque distinguere debemus. Nam quae NULLIUS SUNT, sive immobilia sint, sive mobilia, SEMPER FIUNT CAPIENTIUM (245).

Il nostro CIRILLO espone la stessa dottrina:

Occupatione bellica, et hostes, et res hostium nostrae fiunt, nam rupto foedere societatis humanae, RES NULLIUS VIDENTUR. Fiunt autem nostrae iure gentium (246).

Udiamo, come al proposito disserta PUFFENDORFIO.

Inter illa, quae per occupationem adquiruntur quoque res hostium.

Quod ut recte intelligatur, sciendum est, per statum hostilem uti caetera iura pacifica ita ET EFFECTUM DOMINII ADVERSSUS HOSTES OBRUMPI HACTENUS, UT NON AMPLIUS QUIS TENEATUR REBUS MANUS ABSTINERE, nisi qua humanitas suaserit.

In bello ergo res hostium in ordine ad alium hostem REDDUNTUR VELUT DOMINIO VACUAE, non quod hostes per bellum ipso iure rerum suarum domini esse desinant, SED QUIA ILLORUM DOMINIUM NON OBSTAT HOSTI, QUOMINUS EAS RES AUFERRE, SIBIQUE HABERE POSSIT (247).

Se dunque il CAGLIARI, legno nemico, è stato predato, dal momento della preda, occupatione bellica, n’è trapassato il dominio e la proprietà nei predatori, perché l'antico proprietario Rubattino ne à perduto il dominio civile, mediante il fatto ostile, il quale à operato quello effetto, fino al punto di far ritenere quel piroscafo privo di dominio altrui legalmente costituito, res nullius.

Da questi puri fonti derivano le tassative disposizioni legislative del codice di commercio sardo, e delle nostre leggi di eccezione, che fanno della preda un sinistro di mare che colpisce direttamente il proprietario, o gli assicuratori, senza bisogno della condizione di dover esservi complicità del proprietario nel fatto che presta luogo alla preda (248).

Ed il dotto BALDASSARRONI bellamente osserva al proposito, rifermando sempre più che la preda colpisce il proprietario indistintamente. E per questo rileva, che gli assicuratori non sono in danno, dacché nel contratto di assicurazione si presta dall'assicurato una forte somma, per anticipato compenso della perdita del legno, precisamente pel caso di preda.

Se qualunque arresto e detenzione di una nave, o di una mercanzia si considera dalle leggi un caso fatale e le di lui conseguenze si pongono a carico degli assicuratori è ragionevole che ciò molto più abbia luogo nelle prese, mercé le quali l’assicurato RIMANE DI FATTO SPOGLIATO DELLA SUA PROPRIETÀ, E PER GARANTIRSI DA QUESTO SPOGLIO, PAGA SPECIALMENTE IN TEMPO DI GUERRA (è lo spoglio preveduto anche fuori il caso di guerra pubblica) UN LARGO PREMIO, CONVENENDO ESPRESSAMENTE LA SUA INDENNIZZAZIONE IN CASO DI PRESA DELLA NAVE E MERCI ASSICURATE.

Essendo incontrastabile che tra i sinistri pei quali sono tenuti gli assicuratori deve annoverarsi la depredazione fatta da AMICI, O NEMICI, E LA SENTENZA 0 GIUSTA, 0 INGIUSTA CHE ABBIA CANONIZZATA ED APPROVATA LA DEPREDAZIONE, COME È PER SE STESSO EVIDENTE (249).

AZUNI, da noi riferito nel precedente lavoro, identicamente dice lo stesso, sì come anche identicamente avevano insegnato, SANTERNA (250), ROCCO (251), TARGA (252), DE HEVIA (253), VALIN (254), e POTHIER (255).

Dopo questa discussione, resta pure pruovato che il verbo appartenere usato dall'articolo 1.° della legge del 12 ottobre 1807 significa possesso, uso del bastimento, che commise le ostilità, e che ottimamente fu deciso, che il piroscafo napolitano, il Vesuvio fosse di buona preda, con l'azione di rivalsa contro i rivoltosi siciliani che si dicevano di essersene impadroniti, con Reale rescritto del 10 gennaio 1850 (256).


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§. II. Seconda polente ragione perché si avvera la precedente conchiusione

È sentenza univoca dei pubblicisti, che il rigor della preda cade principalmente sulla marina mercantile dell'inimico, e perciò sul legno di commercio che commette le ostilità e le inizii, o che aiuti e propaghi la guerra mista in tempo di pace (257).

Oggi si aggiugne altra possente ragione del comandato esercizio di cosiffatta severità, che prima non esisteva in tutta la sua intensità, come al presente; la navigazione a vapore. Questa ai tempi d’oggi prevalendo eccessivamente, e diremo quasi in modo maraviglioso ed insuperabile, à variato molti rapporti commerciali e politici dal come stavano in antico.

I battelli a vapore si rendono formidabili nelle fazioni ostili, per quattro elementi principali: 1.° per la superiorità di forze: 2.° per la multiplicità del numero: 3.° per la velocità del cammino: 4.° per la ubiquità della loro presenza.

La superiorità delle loro forze dipende dalla loro capacità, talvolta vastissima, sino a contenere molte migliaia di armati ed abbondantissima copia di provvigioni.

Il loro numero può dieci, venti e cento volte accrescersi e moltiplicarsi, fino a porre in soqquadro tutto intero uno Stato o una Nazione.

La velocità propria de' piroscafi vince enormemente nel cammino il corso de' legni a vela ed immensurabilmente stringe le distanze tra loro.

L' ubiquità è forse la massima delle loro prerogative, che dipende per lo appunto dal celerissimo viaggio, effetto del magistero speciale che li muove e precipitosamente li spinge.

Ond'è che col mezzo di battelli a vapore, un grande sforzo di nemici, un gran fodero di armi, di polvere e di artifizii da guerra, possono, con intervallo di pochi momenti, assaltare contemporaneamente ed in diverse parti, un regno, e mettere il Governo e la Nazione aggrediti, se non nella certa, almeno nella probabile condizione di non poterli convenevolmente osteggiare, e di non poter provvedere efficacemente alla propria difesa.

Son queste, iscorcio le primarie ragioni per le quali la preda si verifica, senza contraddetto alcuno, sopra i bastimenti mercantili o di guerra, e massime costruiti a vapore; sieno essi molti, ovvero un solo.


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§. III. La preda si ammette anche nei casi, nei quali non la si dovrebbe,appunto pel pericolo che s’incontra

È punto inconcusso di diritto internazionale e di giureprudenza marittima, che i pirati, non avendo alcuna nazionalità, ed essendo nemici perpetui dell'uman genere, non vantano, né vantar possono causa legittima qualunque per acquistare il dominio delle cose. Da questo primo assioma ne procede un secondo, che coloro che ritolgono ai pirati l'ingiusta preda da essi fatta, debbono restituirla ai rispettivi proprietari che ne furono spogliati.

Questi postulati ricevono nullameno una eccezione apparentemente viziosa, ma legittimata dall'importanza del fatto che richiede il danno privato in grazia della pubblica utilità.

Ecco perché la preda ricuperata dalla mano dei pirati, in vece di rendersi a chi legalmente appartiene, rimane come guiderdone meritato dal valore e dai cimenti incontrati dai ricuperatori.

Cotesta risoluzione è annunziata dalla dottrina e da non poche legislazioni marittime di Europa.

GROZIO la insegna in questi sensi: Potest tamen lege civili aliud constitui: sicuti lege Hispanica naves a piratis captae eorum fiunt, qui eos eripiunt piratis, neque enim iniquum est, ut privata res PUBLICAE UTILITATI CEDAT, PRAESERTIM IN TANTA RECUPERANDI DIFFICULTATE (258).

Il CASAREGIS si uniforma al GROZIO dettando:

Secus, si navis fuit recuperata a piratis vel infidelibus, ut in casu nostro, quia lune pro indubitato non tenentur recuperantes navem restituere OB BONUM PUBLICUM, ITA UT CHRISTIANI ALACRIORES SUNT AD PERSEQUENDOS PIRATAS, SEU INFIDELES (259).

Il nostro CARLANTONIO DE LUCA nelle sue addizioni alla decisione 268 del Presidente VINCENZO DE FRANCHIS tiene dalla stessa opinione (260).

D’ Habreu si uniforma ai preopinanti (261).

La dichiarazione del Re di Spagna del 12 dicembre 1624, rammentata dal GROZIO è concepita nello stesso senso delle autorità arrecate.

L’Inghilterra à adottato pure cotesto divisamento, e ne à formato pure un punto di regolamento, stabilendo:

«Che se qualcheduno commette qualche pirateria contro i sudditi di qualche Principe o repubblica, comunque in pace con l’Inghilterra, e che le mercanzie sieno vendute nella pubblica piazza, esse resteranno a coloro che le ànno comprate, ed i proprietari saranno esclusi dalle loro pretensioni (262)


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§. IV. Altra ragione più che potente fa perdere al proprietario del legno irrimediabilmente il legno predato

A prescindere da quanto sino a questo momento siamo andati memorando, la perdita del bastimento predato ripete una origine segnalata, e si appoggia sopra l’incrollabile sostegno della utilità pubblica.

Questa causa suprema, che forma nel tempo stesso il motivo decisore e lo scopo desiderato da tutte le legislazioni marittime delle nazioni incivilite, à derogato alla inflessibilità dei più rigorosi sistemi, custodi delle istituzioni di un popolo o della prerogativa delle stesse Sovranità costituite.

Il prepotente statuto di Roma, tutto potenziato nel ius quiritium cedette a fronte delle aggiunzioni, detrazioni ed altri euremi pretori, solo in grazia della pubblica utilità: propter UTILITATEM PUBLICAM (263).

La volontà dei defunti, rispettata come legge domestica predominante sopra i precetti della stessa legge dello Stato, sofferse commutazione per l'istessa causa succennata, cioè propter utilitatem publicam (264).

Le diverse Sovranità, le Autorità pubbliche, i Tribunali che dipendono da diverse Sovranità, rispettano ed eseguono le leggi ed i giudicati stranieri nel proprio territorio, non per effetto di un dovere di necessità, o per obbligazione veruna; dappoiché le Sovranità e le giuridizioni che da esse derivano sono indipendenti l’una rimpetto all'altra, ma solo in grazia delle considerazioni di utilità e della convenienza reciproca tra le nazioni, ex comitate, ob RECIPROCAVI UTILITATEM.

ULRICO UBERO lo dice nettamente:

OB RECIPROCAM ENIM UTILITATEM, in disciplinam, iuris gentium abiit, ut Civitas alterius Civitatis leges apud se valere patiatur (265).

BOUHIER (266), VOET (267), ROCCO (268), BURGE (269), opinano all'istesso modo, cosicché opportunamente prevale e si applica al caso delle prede la massima Giustinianea che: QUOD COMMUNITER OMNIBUS PRODEST, HOC PRIVATAE UTILITATI PRAEFERENDUM ESSE CENSEMUS (270).


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§. V. L'utilità succennata è ricongiunta alla più manifesta giustizia

Noi non parliamo della utilità meramente individuale e sensibile, che ragionevolmente sarebbe il soggetto di critiche ben fondate: essa non è quella ideata dal BENTHAM (271), e dal ROMAGNOSI (272). Ma per contrario ò quella ritratta da CICERONE con queste parole, la quale suona quanto il giusto e l’onesto:

«Nihil esse utile, quod non sit honestum: iniusta et turpia non solum non utilia, sed maxime nocentia. Nani si cui i aliud honestum videatur, aliud utile, ab hoc nulla fraus aberit, nullum facimus: sic enim cogitans res natura copulatas audebit errore divellere, qui fons est fraudum, maleficiorum, scelerum omnium (273).

«Honestate igitur dirigenda utilitas, et quidem sic, ut haec duo verba inter se discrepare, SED TAMEN UNUM SONARE VIDEANTUR (274).

Il carattere protologico della utilità che la compenetra con la giustizia e con la onestà è il bene di tutti, comunque conseguito col pregiudizio di pochi. «La giustizia è la maggiore utilità; ma l'utilità è l’effetto, la giustizia è la causa», ben considera BALDASSARRE POLI (275).

Ascoltiamo il nostro FILIPPO BRIGANTI:

«L’utilità, condizione altrettanto essenziale della legge è un proporzionato compenso del volontario sacrifizio della libertà di chi deve ubbidire. Questo compenso che si propaga dall'uomo isolato alla totale coacervazione della umana famiglia, non entra nello impasto della legge come primo elemento di privato interesse, ma come causa finale di comune beneficenza.

Basta che l’intenzione della legge sia rivolta al bene generale, senza esser necessario che ciascuna delle sue parti si trovi segnata con l’impronto caratteristico del bene particolare. La natura sempre intenta a procurare dalle minime ragioni massimi effetti, nella morale direzione della legge, TENDE ALLA TOTALITÀ DI UN EFFETTO SI COMPLICATO E SI VASTO, che non può distribuire una speciale utilità compensativa in ogni frammento delle sue tavole. E quando dalle umane istituzioni si è determinata in oggetti particolari la generale teoria della legge è convenuto darsi una inversione sì disarmonica alla utilità legale, che le parti ànno cessato di cospirare col tutto, i mezzi di tendere al fine, e l'ordine di aver coerenza. Roma nello stato repubblicano convertì le leggi in istrumento di privato interesse, e vide immediatamente singolarizzata la legislazione e sconvolta l’autorità legislativa (276).


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§. VI. La utilità pubblica è rappresentata, nella legittimità della perdita del bastimento predato, dalla conservazione e preservazione della Sovranità legittima

È un domma politico, che le Sovranità ripetono le origini dalla Provvidenza di Dio.

«Non est enim Potestas nisi DEO, et qui Potestati resistit, DEI ordinatami resistit (277).

Il nostro GENOVESI stabilisce come principio regolatore di ogni Stato la conservazione della pubblica salute commessa alla cura dei Sovrani: salus pubblica SUMMA LEX ESTO (278).

Or cotesta salute pubblica si riscontra ed è epilogata come tutta intera la società, nella persona del Sommo Imperante e dei diritti eminenti della sua Sovranità. Qualunque attentato, e qualunque aggressione che soffrir possa, equivale ad una terribile minaccia e ad un eminente pericolo per la intera società che esso comanda e dirige. Ond’è che l’utile pubblico e la pubblica salute consistono nella gelosa preservazione della Sovranità che lo rappresenta.

Anche qui I’AQUINATE ripiglia da suo pari che:

«Maius autem, et Divinius est bonum MULTITUDINIS, quam bonum unius: unde interdum malum unius sustinetur, si IN BONUM MULTITUDINIS CEDAT, sicut occiditur latro, ut pax multitudini detur. Et ipse DEUS mala esse in multitudine non sineret, nisi ex eis bona eliceret ad utilitatem et pulchritudinem universi. Pertinet autem ad Regis officium, ut bonum multitudinis studiose procuret (279).

GASPARE ZIEGLERO insegnò:

«Plerumque tamen perpetuum intelligitur regimen, quod MAIESTATI CONSTITUTAE INHAERET. Neque enim liberum deinceps est subditis, ut possint arbitrio suo alterius potestati, aut iurisdictioni se submittere et Principem, vel dominium suum, Maiestate qua pollet, exuere.

«IMO VERO STATUM REIPUBLICAE EVERTIT, quisquis intendere tam insignem mutationem velit, atque hinc parum abest, quin crimen perduellionis ei imputari queat (280)

Il VATTEL, dopo di avere ampiamente dimostrato di essere augusto uffizio della Sovranità proteggere la società civile che da lui si rappresenta, energicamente prosegue:

«Il Sovrano è l’anima della società; se egli non è in venerazione ai popoli ed in una perfetta sicurezza, LA PACE PUBBLICA, LA FELICITÀ, E LA SALUTE DELLO STATO SONO IN UN CONTINUO PERIGLIO (281).

Il Rosmini anche ottimamente osserva che:

«Nella forma Monarchica, il bene della famiglia che governa lo Stato diviene la porzione principale DEL BENE PUBBLICO, e poi il bene delle famiglie, e dei corpi con essa collegata di servigi di alleanza, ne forma una parte considerabile.

La cosa è naturale: ciò che più importa al bene generale del corpo sociale è indubitatamente il bene di quella parte DALLA QUALE DIPENDE LA VITA ED IL MOVIMENTO DI LUI; e questa parte è quella che à in proprio l'AUTORITÀ SOCIALE (282).

Or se per legittimare una preda di bastimento aggressore del regno, autore di ribellione e di guerra intestina, come pure di enormità piratiche, fosse necessario la complicità del proprietario del legno, non meno assurde che ridevoli ne sarebbero le conseguenze:

La prima sarebbe sottoporre alla ragion civile il diritto internazionale, il quale si alimenta e s’informa di massime superiori alle regole della ragion privata: esso tocca gl'interessi e le prerogative delle Sovranità:

La seconda, che la guerra e l'aggressione che sono un fatto disturbatore ed offensivo della Potestà suprema e dello Stato, e nello stesso tempo compromessivo di amendue, si vorrebbe decidere con le norme della ragion civile privata, la quale presume la rassegnata obbedienza di tutti all'imperativo categorico di una legge comune, nel punto che l'aggressione ostile, la guerra mista e gli abusi piratici includono la violazione ed il dispregio, non solo delle leggi vigenti, ma niente meno che l’attacco diretto contro l’Autorità suprema del fattore di quelle leggi:

La terza che la legittimità della preda si concederebbe, o non mai, o nel caso rarissimo della pruovata intenzione ribelle e nemica del proprietario del bastimento offensore: il che non presta mai argomento di sanzione legislativa. Gli avvenimenti continui o spessi sono l'oggetto del magistero legislativo, e non già quello che o di raro accade, o una o due volte succede (283):

La quarta che la penale sanzione della legittimità della preda di fermo desidererebbe per applicarsi un’alienazione mentale nel padrone del bastimento. E ciò perché non si è visto al mondo, almeno di frequente, che deliberatamente un uomo si spinga ad un’offesa ostile, rifornendo allo Stato offeso pruove e documenti del gran misfatto, che egli ardiva di consumare e che veramente à commesso.


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§. VII. Argomenti analoghi tratti dallo stesso diritto penale

Coloro ai quali per avventura, è concesso per istinto il sapere, non niegheranno che il diritto penale preso nell'alto significato è scienza che riposa sopra due fondamenti principali: 1.° della filosofia dell’uomo isolato: 2.° della conoscenza dell’uomo sociale.

Il diritto penale positivo è il prodotto di questo augurato connubio; onde è che i suoi donami tramezzano le generalità della scienza e le specialità dei bisogni della vita pratica dei popoli; sicché riveste la doppia impronta delle prime e delle seconde, senza però escluderne o seguirne alcuna di esse separatamente.

Da ciò dipende che molti fatti che nella ragione assoluta, ossia nelle generalità filosofiche del diritto punitivo non sono reati, lo diventano per le esigenze sociali e per la necessità della conservazione di un corpo civilmente ordinato.

Questo pensiero astratto della bontà teoreticopratica della ragion penale non è sfuggito agli scrittori, ed in particolare si trova bellamente accennato dal rauter nelle seguenti parole:

Perciò solo che il diritto criminale è un dritto positivo e che riposa sopra leggi formali, egli è distinto dal diritto criminale naturale, cioè dire quello che la sola ragione ci presenta. Senza dubbio l'uno e l'altro coincidono spesso, ma il diritto criminale positivo non è in alcun modo la sanzione del diritto naturale (284).


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§. VIII. Sistema del diritto penale positivo

Dagli accenni fatti di sopra di facile rimarremo persuasi, che il diritto penale riposa sulla ragione assoluta, temperata dalla convenienza sociale. I suoi mezzi sono le repressioni, ossieno pene. Il suo fine è prevenire più che punire i fatti che disturbano, o alterano la conservazione dell'ordine sociale.

Raggiungere questo scopo primario è il massimo pregio del magistero legislativo.

Il diritto penale istituito per opporre argini valevoli a trattenere il rovinoso torrente delle passioni e dei vizi degli uomini si occupa dei mali sociali, che rimedia col timore e con lo spavento della repressione, più che col tormento fisico del castigo. Esso somiglia in certo qual modo alla scienza medica, la quale meglio previene che cura i mali fisici che affliggono l'individuo materiale degli esseri viventi.

Il primo che scoprisse l'indole preventiva delle pene, come principale caratteristica di un codice punitivo fu PLATONE, allorché scrisse:

«Prudens legumlator, non punit quia peccatum est, sed ut ne peccetur.

«Nam praeterita non possunt revocari; et poena non ira scitur, SED CAVET (285).

E SENECA, seguendo le orme del grande uomo, insegnò più precisamente lo scopo del diritto penale:

«In vindicandis iniuriis, haec tria lex secunta est, quae Princeps quoque sequi debet; 1.° Aut, hut eum quem punit emendet; 2.° Aut, ut poena eius coeteros meliores reddet; 3.° Aut, ut sublatis malis, coeteri securiores vivant (286).

Lo stesso annunziò il Romagnosi dettando:

«Qual cosa la società si può e deve proporre di ottenere colla pena? Non di tormentare o affliggere un essere sensibile, non di soddisfare un sentimento di vendetta, non il rivocare dall'ordine delle cose un delitto già commesso, ed espiarlo, MA BENSÌ INCUTERE TIMORE AD OGNI FACINOROSO, ONDE IN FUTURO NON OFFENDA LA SOCIETÀ (287).

Cotesto carattere preventivo è quello che dai giuristi si rileva come uffizio più negativo, che positivo della legislazione penale, come in esempio da ANCILLON (288), da BENIAMINO CONSTANT (289), e dallo stesso Romagnosi in altro luogo delle sue opere pregiatissime (290).

E quante volte non può ottenersi che non sia religiosamente conservato l'ordine pubblico e la tranquillità comune col timore preventivo delle pene, queste sprigionano la loro sanzione afflittiva, tostoché si verificano due necessari riscontri di Tatto: 1.° la volontà nel tempo dell'azione; 2.° l'effetto materiale della medesima, cioè dire il fatto incriminato dalle leggi punitive, il reato. Cotesti due requisiti si dicevano in antico, dolo e danno. Così MARIO PAGANO (291), TOMMASO NANI (292), GIOVANDOMENE o ROMAGNOSI (293), e prima di essi il PAOLETTI (294), e molti altri scrittori di diritto criminale.

E la surrogazione della volontà al dolo non è infruttuosa, come forse da qualcheduno è riguardata; ma invece è dessa uno dei felici portati filosofici che abbellisce e sublima le nostre leggi penali (295), forse sopra tutte le altre legislazioni dei popoli civili.

La surrogazione della volontà al dolo, fa disparire quello inevitabile criterio di convincimento nella dilicata bensì, ma pericolosa gradazione del proposito di ledere (del dolo) (296).


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§. IX. Conseguenze delle premesse dottrine

Se fosse vero nella pura ragion penale quello che si sostiene a proposito del giudizio di preda, vale dire che nissuno può soffrir pena se non abbia commesso un fatto con la impronta del doppio riscontro, cioè della volontà di delinguere e dell'effetto incriminato e prodotto da quella volontà, non potrebbero ritenersi come misfatti o delitti punibili quei fatti che tali non sono, né nel diritto filosofico, né nel diritto positivo penale.

In esempio; è legge di natura quella di conservare il proprio individuo; tanto che le leggi penali non riconoscono reato punibile, allorché vien commesso nella necessità della propria e legittima difesa, o di altri (297).

Or se mai una città, un paese fosse contagiato da peste o da morbo esiziale che la somigliasse, e si ritrovasse prescritto il modo di cautela da osservarsi, colui che per sottrarsi a sicura morte, evadendo dalla città, o dal paese, rompesse il cordone sanitario, non dovrebbe incontrare l'estremo supplizio. Ma per contrario, rimane vittima delle leggi repressive, non già perché sia punibile pel fatto che à consumato nel riguardo della volontà che lo à sospinto, ma per evitare un male maggiore del resto della società cui appartiene quell'infelice.

Così pure la fabbricazione delle armi, la falsificazione delle monete ed altri simili fatti rimasi nella semplice iniziativa, senza spaccio e senza la circolazione, non dovrebbero formar materia di pene nel diritto positivo.

La fabbricazione delle armi, come la falsificazione delle monete possono essere prodotti di valente magistero artistico di colui che lo pratica, ma rimaso nella semplice compiacenza dell'autore, senza che ancora esista la volontà di commettere alcun reato, e senza ancora che esista il fatto commesso incriminato dalla legge.

Finalmente, evvi un esempio più vicino ed analogo alla causa che ne occupa, vale dire il contrabbando di generi di privativa.

Il padrone ed il conduttore di una vettura, possono ben pruovare di essere ignari del trasportamento dei generi di contravvenzione; ma nullameno quella vettura si perde dal proprietario irreprensibile, a motivo del fatto di un terzo inimputabile a lui (298).

Sembra ingiusta la disposizione positiva penale, ma si legittima dallo scopo obbiettivo di evitare il maggior male de' molti che compongono la società civile. Questo sistema, che la prima vista si appresenta erroneo, riposa precisamente sul calcolo di scelta del minor male in faccia al maggiore.

«Tra due o più mali disuguali, scriveva Gaetano Filangieri, il minore de' quali ferisce l'interesse dell'uomo che a scegliere vien costretto, la preferenza data al maggior male non può essere punibile, che in un sol caso, cioè quando il male personale che si evita è molto piccolo e molto soffribile, e quello che si elegge è MOLTO GRAVE E MOLTO PREGIUDIZIEVOLE A TUTTO IL CORPO SOCIALE, O AD UN ALTRO UOMO (299).

Coteste punizioni contro i fabbricatori delle armi, i falsificatori delle monete, del contrabbando e casi simili si criticano da scrittori di alto senno, come prevenzioni di reati fattizi, di mera figurata possibilità, di affettati timori, siccome notano il BECCARLI (300), ed il BENTHAM (301).

Ma altri scrittori di non minor senno giustificano il domma penale; dappoiché mediante quei fatti da noi prenotati, si può prestare occasione prossima a commettere reali, o a facilitarne la esecuzione, e perciò la società à tutto il diritto di vietarli e con tutte quelle sanzioni che rendono efficace il divieto nel fine salutare di prevenire i reati medesimi.

Gli stessi scrittori, i quali inclinano sempre alla maggiore indulgenza, variamente ragionano intorno all'indole delle leggi punitive, ed alcuni di essi le chiamano leggi sussidiarie emanate per vie meglio assicurare l'osservanza delle leggi principali tutelari della vita e dei beni dei cittadini, come ROMAGNOSI (302). Altri le appellano leggi di polizia per ovviare a reati maggiori, come PELLEGRINO ROSSI (303) e GIUSEPPE CARMIGNANI (304). Ma tutti univocamente conchiudono che giusto è il divieto sotto tutt'i rapporti ne’ quali voglia riguardarsi, e principalmente sotto quello di prevenire i reati disturbatori della tranquillità pubblica, o evitare che si ripetessero in avvenire.


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§. X. Oggetto unico che giustifica coteste pene apparentemente ingiuste

La causa che respinge qualunque censura che si dirige contro queste specie di punizioni è l'utile del resto della comunione civile, a garantia della quale diventa legale il danno di un individuo solo o di pochi.

Tra i molti, ascoltiamo Tommaso Nani, il quale detta magistralmente così:

«Siccome il dovere di conservarsi produce nell'uomo tutti i dritti conseguenti e relativi che sono indipendenti dalla volontà dell'uomo stesso, così il dovere che à il corpo sociale, una volta costituito, di mantenersi nello stato di civile aggregazione e di mantenere l'integrità dei membri che lo compongono È IL FONDAMENTO DI TUTT’ I DRITTI CHE NE RISULTANO, OSSIA DEGLI ATTRIBUTI ESSENZIALMENTE INERENTI ALLA SOVRANITÀ, INDIPENDENTI PERCIÒ DALLE ARBITRARIE DELIBERAZIONI DEGLI UOMINI (305).

Lo stesso aveva annunziato HOBBES (306), dopo di lui WOLSIO (307). Identicamente pensano, lo stesso PELLEGRINO ROSSI (308), CHAUVEAU (309), e CARMIGNANI (310).

Della pubblica sicurezza TACITO faceva il maggiore elogio all'augusto TRAJANO in queste frasi: auget quotidie felicitatem imperii NERVA TRAJANUS, nec spem modo oc votum SECURITAS PUBLICA, sed ipsius voti fiduciam oc robur adsumpsit, ecc. ecc. (311).

Ben dicevamo adunque che lo stesso codice penale comprende principi analoghi e molti coerenti al caso della legittimità della preda, pei quali punisce non solo, ma priva delle cose coloro che rei per verità non sono, ma che van soggetti a quelle sofferenze, per ragione di utilità pubblica e per la tranquillità futura del corpo sociale, tutelato e diretto dall'eminente Potere che lo governa.


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CAPO VII

Della ripreda

§. 1. Incoerenza del sistema degli avversari

Costoro nella scrittura da essi pubblicata impiegano molta fatica per conchiudere, che essendo stato predato il CAGLIARI dai passaggieri, ed essendo stato dappoi ripredato dai legni Regi, nel punto che il bastimento fu rilasciato insieme all’intero equipaggio che ne riassunse il governo, niuna ricompensa deve prestarsi dal padrone del legno ricuperato.

Ne danno la ragione, desumendola dall'art. 9 dell'ordinanza della Marina di Francia del 1681, e dal comento di RENATO VALIN su di questo articolo (312).

Proseguono nel dire che la suddetta ordinanza e la legge del 1807 sulle prede marittime presumono, per la ricompensa, l'opera spesa dal raccoglitore, onde porre a salvamento il legno, senza più guida, dato alla balìa delle onde.

I meno istruiti, anzi pienamente indotti della materia che ci occupa, senza alcuna fatica scopriranno la contraddizione e la inopportunità della dottrina della ripreda, alla quale si sono sconsigliatamente appigliati i nostri contraddittori.

Innanzi tratto dovevano riflettere, che la preda non può supporsi senza il legno predatore: che nel fatto quei ribelli imbarcati sul CAGLIARI, non avevano alcun bastimento, col quale avessero predato quel piroscafo: ché di più, sostenendo lo stesso collegio degli avvocati, che quelli stessi passaggieri, scopertisi ribelli, dopo imbarcati sul CAGLIARI, soggettarono alla loro forza maggiore violentemente il capitano e l'equipaggio.

Adunque, gli stessi avversari, nel sostenere la ripreda, manifestamente negano a quei ribelli la qualità di predoni, ladroni, misfattori e riconoscono in essi la condizione lungamente contrastata DI NIMICI DEL REGNO.

Nel vero, non vi può essere ripreda, senza che vi sia stata preda legale. E la preda legale altramente non nasce se non quando GL’INIMICI DEL REGNO l'abbiano effettuata sopra legni nazionali de' ripredatori, o sopra legni di Potenze alleate o neutrali, in rapporto a quella alla quale i ripredatori appartengono. Così parlano testualmente gli articoli 5°, 7° ed 8° della legge del 12 ottobre 1807; l’ordinanza di Francia del 1681 art. 6° e seguenti, e la stessa legge sulla marina mercantile per gli Stati sardi del 13 gennaio 1827, più volte citata, negli articoli 162 e seguenti.

Se dunque gli stessi nostri contraddittori ritengono come INIMICI DEL REGNO coloro che senza legno proprio, ma che col solo CAGLIARI operarono gli atti ostili in Ponza ed altrove, cade in fascio tutto l'edifizio della difesa da loro eretto, mentre la guerra mista è confessata, come del pari è confessato il carattere personale di coloro che l’esercitarono, cioè D’INIMICI DEL REGNO. La causa per essi adunque è irrimediabilmente perduta.


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§. II. Continuazione dello stesso argomento

Lo stesso collegio degli avvocati contrari doveva pure avvertire di buon’ora, che il legno abbandonato è quello che senza governo e senza direzione vien menato dai flutti, tra i quali fortuneggia a sicuro pericolo di naufragio. Lo dicono, l’art. 9 dell’Ordinanza di Francia riferito nella difesa del CAGLIARI, come pure lo ripete l'art. 6 della nostra legge sulle prede marittime, nei quali si parla di TEMPESTA, o di altro caso fortuito.

Ed il CAGLIARI, per converso, ebbe sempre sul suo bordo il numeroso equipaggio che lo guidava, sia prima dell'assalto di Ponza, sia nel mentre del viaggio a Sapri, sia nel ritorno dalla marina di questo paese.

Doveva avvertire dippiù che l’art. 9 dell’Ordinanza del 1681, contempla l'abbandono del legno fatto DAI NEMICI. E ciò non basta; dappoiché doveva quel collegio ben contemplare l’art. 6. della nostra legge del 12 ottobre 1807, nel quale fu trapiantato l’articolo 9 testé citato, ma con una importantissima modifica, cioè dire che il legno abbandonato DAI NEMICI antecedentemente ALLA CACCIA DATAGLI DAI BASTIMENTI DI GUERRA ecc. ecc.

Or se le due Regie fregate, sin dalle ore pomeridiane del giorno 28 giugno si erano messe ALLA CACCIA del legno sardo aggressore di Ponza e trasportatore della guerra in altro luogo del regno, poco importerebbe se fosse vero l'abbandono del CAGLIARI; imperciocché i due legni predatori godrebbero del favore della eccezione per escludere l'osservanza della regola.

Ma da ultimo doveva quel Collegio di avvocati profondamente considerare che i diversi casi delle riprede preveduti dalla connata legge del 1807 parlano di legni nazionali, o di legni di Potenze alleate o neutrali; cosicché si presuppone il caso di guerra giusta e solenne; mentre per opposto, gl’inimici di fatto in guerra mista non ànno relazioni internazionali, e di conseguente non possono godere di alleanze o di neutralità fermate con Potenze o Stati riconosciuti.

Finalmente, era indispensabile dovere ricordarsi che oltre alla legge del 1807 esiste nel regno delle Due Sicilie un’altra legge posteriore contenuta nelle Ordinanze generali della Real Marina, e perciò derogatoria della precedente nei casi specialmente contemplati.

Coteste Ordinanze generali sono leggi, perché approvate ed accompagnate dal Real Decreto del 1 di ottobre 1818 pubblicato in tutti i modi prescritti ed inserito nella collezione delle leggi e dei decreti del regno.

Coteste Ordinanze contengono due articoli derogatori, ovvero obrogatori di quelli contenuti nella legge del 1807, perché, o nuovi, o diversamente concepiti.

Questi articoli sono il 25 ed il 26 del titolo 23, con l'epigrafe DELLE PREDE (313).

Se poi un bastimento di proprietà dei nostri sudditi PREDATO DAL NEMICO sarà condotto nei suoi porti, ed indi ripredato dai nostri reali legni, apparterrà in questo caso interamente ai medesimi come tutt'altro LEGNO NEMICO predato (314).

Il bastimento che appartenendo a suddito di potenze a noi alleate predato DAL NEMICO verrà a ripredarsi dai nostri legni, prima che siano scorse ventiquattro ore, si restituirà al legittimo proprietario, coll'obbligo di corrispondere all’equipaggio ripredatore il quinto del valore totale: sarà poi ad INTERO VANTAGGIO DELL’INDICATO EQUIPAGGIO, ALLORCHÉ LA RIPREDA SARÀ FATTA DOPO SCORSO IL PREDETTO TERMINE DI ORE VENTIQUATTRO (315).

Gravissima dunque è stata la trascuranza, la quale diviene imperdonabile per uomini di senno e di acume, come sono i nostri avversari, nello avere interamente dimenticato, potremmo dire, la più efficace legge imperante sulla materia, e la quale rende vano qualunque loro ragionamento.


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§. III. Compimento della discettazione

Premesse tutte le ragioni fin qui disputate, evidentissimamente ne derivano le seguenti proposizioni:

Tutte le dottrine degli scrittori riferiti nella difesa del CAGLIARI nel luogo citato, e tutti gli esempi tratti dai lavori pubblicati dal distinto avvocato difensore del Vesuvio (316), come quello del KITY e della restituzione fatta da Re Carlo III di quel legno predato da un corsaro barbaresco, non sono punto del caso. E specialmente l’ultimo esempio.

E di vero, fa gran meraviglia rilevare che i nostri avversari osino di asserire che la decisione del Consiglio delle prede pronunziala nel 12 giugno 1849, a proposito della ripreda del Vesuvio, avesse renduto a quel fatto il debito omaggio.

Se gli avversari non avessero serbato il sistema di accomodare le dottrine e gli esempi alle loro esigenze, avrebbero scorto che veramente il Consiglio elogiò la magnanimità di Re Carlo III in quel caso riferito dal REAL. E chi mai non avrebbe potuto fare altrettanto per un tratto di alta clemenza di quello Augusto?

Ma nel tempo medesimo il Consiglio osservò che la restituzione del legno ritolto al pirata di barberia non dipese da altro principio, che dal non essersi potuto ritenere la preda legale, mentre i pirati non ànno nazione, e perciò non vantano, né possono vantare legittimo diritto di acquisto delle cose.

E se gli stessi nostri contraddittori avessero notato nel lungo studio che àn fatto del nostro primo lavoro la discussione intorno alla condizione del pirata, o di colui che lo diviene, avrebbero certamente rinvenuto il cenno che noi abbiam fatto del caso che essi rammentano fuori proposito.

Ed avrebbero certamente rilevato che ai giusti ragionari del Consiglio, noi abbiamo aggiunto che l’inesauribile bontà dell’immortale CARLO III volle meglio seguire il principio precennato che le leggi della Monarchia di Spagna, che era la sua e dell’Inghilterra, alle quali si erano uniformati GROZIO, CASAREGI, ed altri, i quali uniformemente concedono ai ripredatori il legno rapito dai pirati.

In altri termini la cattura 'del CAGLIARI, o non è il caso della ripreda, (come non lo è di certo) ma sì bene di preda diretta, siccome è evidente, e la legittimità della preda di quel piroscafo è innegabile: o è per avventura caso di ripreda, ed allora sotto questo rapporto il CAGLIARI è anche irrimediabilmente perduto pel sig. Rubattino.

PARTE II

DISCUSSIONE DEI FATTI

CAPO I

Idee Generali

§. I. Stabilimento di principi

Qui ritorna necessario distinguere le tre specie di nemici, cioè dire palesi, sospetti ed occulti.

In questa ultima parte che riguarda la confutazione degli argomenti trattati nella difesa pubblicata pel CAGLIARI intorno alla innocenza del capitano, si disputa precisamente da parte dei catturanti per riscontrare in lui l'ascosa inimicizia contro del reame di Napoli; e perciò cadono in esame i fatti di già discussi nel nostro precedente lavoro (317).

A questo proposito è anche imprescindibile rammentare che in ordine agl’inimici occulti, le leggi sulle prede marittime contemplano diversi casi, nei quali dagli avvenimenti che esse figurano possibili a verificarsi, definiscono la qualità di nemico di quel legno, che abbenché non combattesse, né si fossero in lui riscontrati altri caratteri che lo facessero sospettare ragionevolmente di esser tale, pur nondimeno si deve ritenere per inimico.

In esempio, quelle leggi ci porgono la definizione di legittima preda; o quando il bastimento abbia bandiera diversa da quella della Potenza da cui tiene commissione, o abbia commissione da due Potenze diverse; o quando la neutralità non sia appieno giustificata; o quando da un bastimento, anche alleato sia stata gettata alcuna carta in mare, ovvero in altro modo sorpresa o distrutta dall'equipaggio, o quando sul bastimento trovasi imbarcato un sopraccarico negoziante, un commesso o uffiziale graduato di pa Discorso faccia 21 e seguenti. ese inimico; o quando sievi un numero di marinari inimici che ecceda la terza parte dell'equipaggio (318).

La legge dunque oltre ai casi, nei quali riguarda il bastimento manifestamente nemico per gli atti ostili che commette, lo ritiene anche tale per le presunzioni che esso stesso ingenera

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per gli atti poco innanzi enumerati e che sono anormali a qualunque legno pacifico e mercantile.

Ed è notevole che la stessa legge poco innanzi citata parla pure di bastimenti di fabbrica nemica, e di altri rincontri, nei quali sempre tassa il bastimento di buona preda. E poiché il complesso delle ipotesi raffigurato include di necessità la disamina degli elementi, donde possa ricavarsi la certezza della qualità di inimico, à conchiuso la medesima legge tutta la serie delle sue moltiplici disposizioni, con un articolo generico e proibitorio, che è il XX, concepito in questi termini:

IN QUALSIVOGLIA OCCASIONE NON SI AVRÀ RIGUARDO CHE ALLE SOLE CARTE TROVATE A BORDO, e tutte quelle che fossero prodotte dopo fatta la preda, NON SARANNO DI VERUN MOMENTO, E NON POTRANNO ESSERE DI ALCUNA UTILITÀ, NÈ DEL MENOMO VANTAGGIO, TANTO AI PROPRIETARI DEL LEGNO PRESO, CHE A QUELLI DELLE MERCI; NON DOVENDOSI IN QUALUNQUE CIRCOSTANZA AVER RIGUARDO CHE ALLE SOLE CARTE TROVATE A BORDO DEL LEGNO PREDATO (319).

Quindi svanisce l’industrioso ragionare degli avversari che tessono al proposito, inteso ad evitare il generico limitativo precetto del memorato articolo, il quale come ognun vede, spinge collettivamente fuori dalla osservanza del presente giudizio tutti quei documenti che gli avversari medesimi si àn procurato per farne scudo dei medesimi alla pretesa innocenza del capitano Sitzia e del suo equipaggio.

Si deve dunque ritener come certo ed indubitato principio di giureprudenza marittima, che le carte che debbono avere a bordo tutt'i bastimenti sono, diremo, il battesimo legale dello stesso, e costituiscono il suo stato civile, cosicché se cotesti documenti non si trovino in piena regola di legge, si elevano fondale presunzioni che menano alla buona preda dei bastimenti medesimi.

E ripetiamolo ancora qui una volta. Il disponimento limitativo e penale dell’articolo XX di sopra trascritto, non solo è generico per tutt'i casi, ma specificamente colpisce i PROPRIETARI DEL LEGNO.

Alt. 20 della legge sulle prede marittime del 12 ottobre 1807.


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§. II. Continuazione dello stesso argomento

Poiché la regolarità delle carte di bordo di un bastimento estero dipende dalle leggi imperanti nel suo paese, perciò rammenteremo qui le disposizioni precise del codice di commercio e delle leggi sulla marina mercantile per gli stati di S. M. il Re di Sardegna, in vece di rivolgersi alla legge sulla navigazione e sul commercio del nostro reame, dell’anno 1816 ed alle nostre leggi di eccezione, come inopportunamente àn praticato i difensori dei convenuti.

«Debbe ogni capitano o padrone che comanda un bastimento maggiore di trenta tonnellate, tenere un giornale nautico parafrato, numerato e vidimalo dal Console o Vice-Console di marina della giuridizione (320)». Enumera l'articolo tutte le specialità che debbono venire indicate nel giornale.

«Il capitano è obbligato prima di caricare, di far visitare il suo bastimento a norma e nelle forme prescritte dai regolamenti».

«Il processo verbale della visita, di cui sarà dato copia al capitano è depositato nella segreteria del Tribunale di Commercio o di quell'altra autorità che sia determinata dai regolamenti (321)».

IL CAPITANO È OBBLIGATO DI AVERE A BORDO:

«L’atto di proprietà del bastimento;

«La patente di nazionalità;

«Un passaporto marittimo;

«Le polizze di carico ed i contratti di noleggio;

«I verbali di visita;

«Le quietanze di pagamento e le bolle di cauzione delle dogane (322).

«La responsabilità del capitano non cessa se non con la pruova di ostacolo PROVENIENTE DA FORZA MAGGIORE (323).

«Tutta la gente di mare sarà descritta nelle MATRICOLE nel modo seguente ecc. ecc. (324).

«Non sarà lecito ad alcun capitano o padrone d’imbarcare sul suo bastimento sotto il suo comando armi o MUNIZIONI DA GUERRA che non siano descritte sul ruolo di equipaggio dall'autorità che glielo à rilasciato (325).

L’art. 212 ripete il dovere del capitano di conservare a bordo il registro autentico indicato pure dal codice di commercio.


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§. II. Condizioni necessarie per conoscere l'avvenimento della forza maggiore

Testualmente l’articolo 246 del codice di commercio sardo mette a carico del capitano la pruova della patita forza maggiore. Ciò perché egli è risponsabile degli avvenimenti che possono verificarsi nel corso del suo viaggio marittimo. Questo principio è comune a tutt'i casi nei quali qualunque persona è tenuta per gli accidenti che possono intervenire nella esecuzione di un mandato o di un incarico. Tutto si riassume nella massima: Ei qui dicit incumbit onus probandi (326), et facti probationis NECESSITA (327).

Or il riscontro della patita forza maggiore sta nella sua significazione giuridica:

Vis major est cui NULLO MODO resisti potest. Così GIOVANNI CALVINO (328).

Il TUSCEL, il GRAZIANO, il MENOCHIO e molti altri sviluppano la definizione data dal CALVINO, e concordemente dicono che la forza maggiore è quella che supera, nel conflitto, la forza minore che le si oppone.

Vis major est quae in conflictu praevalet minori (329).

Nel vero, se non vi è contrasto, svanisce l'energica influenza della forza maggiore e si converte in volontaria passività e spontanea connivenza di colui che asserisce di averla patita: caso preciso in cui, vedremo più basso, di essersi costituito il capitano Antioco Sitzia.

L’esposta dottrina è pure sentenza dei più famigerati scrittori del diritto marittimo.

STRACCA chiaramente dice: si resistere nauta potuerit, tenetur, si vero propter vim maiorem, aut potentiam piratae resistere non poterat, excusatur. Resistere enim, et se defendere debet cum potest, et DOLO FACERE VIDETUR NAUTA, qui cum posset non resistit (330), ROCCO (331), CASAREGIS (332), LOCCENIO (333), ANSALDO ripetono lo stesso (334).

Lo AZUNI aggiugne: che ritrovandosi una nave incalzata dai nemici o pirati sarà tenuto il capitano di difendersi sino all'ULTIMO SANGUE (335).

BALDASSARONNI ripete le medesime sentenze (336).

Ed anche in luogo proprio toccheremo con mano, che Sitzia, indipendentemente da ogni altro soccorso, poteva bene e vittoriosamente resistere affine di superare l’effimera ed asserita forza maggiore dei pochi rivoltosi.


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§. IV. In che consiste la procedura dei giudizi delle prede

Tre categorie d’indagini possono aver luogo nei rincontri di prede marittime.

La prima è speciale e prevalente a qualunque altra, cioè dire quella tracciata 'dalle Ordinanze generali della nostra Real Marina, al titolo delle prede, dall’art. 6° all’art. 20(mo), vale dire suggellare le carte trovate a bordo in un sacco o in una cassa (337): assicurare il legno catturato, e fare gli altri atti che colà sono indicati (338).

Uniformemente dispone la legge sulla marina mercantile del 13 Gennaio 1827 per gli Stati di S. M. il Re di Sardegna (339).

La seconda procedura che facilmente, anzi sempre accompagna la prima è quella che si chiama istantanea militare, per non far sì che sfuggano le tracce sensibili di un reato o di un avvenimento importante succeduto (340).

Cotesto procedimento militare dipende da quattro fonti del nostro dritto positivo.

Il 1. Dalle facoltà che ànno i comandanti di squadre o di bastimenti di riconoscere e visitare qualunque legno che incontrano e di assicurare le notizie raccolte (341).

2. Dal decreto fondatore del Consiglio delle prede del 30 agosto 1807, non mai abolito (342).

3. Dallo statuto penale per l'armata di mare, il quale per tutti i casi non prevenuti, si rimette alle disposizioni contenute nello statuto penale militare (343).

4. Da questo statuto penale, militare il quale comprende ed indica tutte le disposizioni relative alla polizia giudiziaria militare, tra le quali, nel capitolo 2° del libro 2° si occupa specialmente della ispezione giudiziale.

Questa si ottiene coi rapporti e processi verbali; colle ispezioni giudiziali; coll'ispezione dei documenti; coll'esame dei testimoni; con le risposte dell'imputato; con la ricognizione delle persone (344).

Tutte le ricerche che si chiamano istantanae e che può compiere un comandante di legni da guerra sono valevoli, comunque per la necessità del luogo e del tempo, non abbiano, né possano avere il carattere di quella seria legalità che accompagna la istruzione compilata della polizia giudiziaria comune. Ciò è tanto vero, che:

«Le dichiarazioni delle persone che compariscono chiamate come nell'articolo precedente, sono distese SOMMARIAMENTE IN QUINTERNETTI separati dal processo verbale della ispezione e si faranno firmare dalle medesime; ed ove non sappiamo scrivere, né sarà fatta menzione (345).

La terza guisa di pruove è quella nel favore del legno predato, sia nello interesse dei proprietari del medesimo, sia di quelli del carico, ma sempre limitata rigorosamente alle sole carte di bordo, siccome abbiamo di sopra avvertito, in conformità dell’articolo XX della legge del 12 ottobre 1807.


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§. V. Continuazione dello stesso argomento

Riscontrando l’indole del giudizio di preda e trovandolo, per tutte le disputazioni precedentemente esaurite, allogato tra le controversie meramente civili, cioè di aggiudicazione ai predatori della proprietà del legno catturato, o del suo valore, debbono rispettarsi strettamente le disposizioni di legge e le massime di sana giureprudenza che reggono e guidano le cause civili. Donde conseguono i qui sotto notati irreplicabili postulati di dritto.

Prepotente sopra tutte le altre pruove e decisiva, senza contrasto, è la confessione giudiziale che fa la parte nella contesa compromessa davanti ai giudici competenti.

CICERONE al proposito notava, nel difendere Quinto Ligario, dirigendo la parola a Tuberone, che: habes igitur Tubero, quod est accusatori maxime optandum, CONFITENTEM REUM (346), cioè dire che la maggior pruova che avvalora e riferma l'accusa è la confessione del reo.

E ben diceva quel gran lume di sapienza; dappoiché la confessione spontanea della parte è la pruova massima nei piati giudiziali: essa equivale alla cosa giudicata.

Confessus PRO IUDICATO EST, QUIA QUODAMMODO SUA SENTENTIA DAMNATUR (347).

E perciò: la confessione giudiziale FA PIENA PRUOVA CONTRO COLUI CHE L'À FATTA.

NON PUÒ RIVOCARSI, quando non si pruovi che essa fu la conseguenza di un errore di fatto.

NON PUÒ RITRATTARSI sotto pretesto di un errore di dritto (348).

E questo principio ne crea un altro, anzi meglio diremo s’intrinseca con questo, vale dire che le parti in un giudizio civile contrattano tra di loro, come se veramente consentissero in una convenzione da essi voluta:

Ut in stipulatione contrahitur, ita in judicio contrahi (349).

Nel giudizio civile, allorché à avuto luogo una pruova testimoniale non si può ammettere la ritrattazione del detto di un testimone o di più, del pari che la parte non può ritrattare la propria confessione.

A riguardo dei testimoni non vi sono altri rimedi che rilevarne, o l'incapacità, o proporne le ripulse; però nel tempo e nei modi voluti dalla legge (350).


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§. VI. Continuazione dello stesso argomento sotto il rapporto della procedura nei giudizi penali

Unitamente all'appello si sono intimati dai signori Rubattino e Sitzia diversi certificati, rilasciati dal cancelliere della Gran Corte criminale di Salerno, e che contengono le fasi della pubblica discussione, e tra queste le variazioni, le aggiunzioni ed anche qualche ritrattazione delle deposizioni dei dieci relegati ed evasi da Ponza, uditi nella istruzione del giudizio di preda.

Non solamente cotesti documenti tardivi non possono valutarsi, né punto, né poco nel giudizio della preda, ma pure tutti gli altri, o prodotti o da prodursi e che originano delle istruzioni compilate nel giudizio penale debbono correre la stessa sorte.

Per le teoriche prefisse nelle precedenti discettazioni, il solo asserto avvenimento della forza maggiore poteva pruovarsi col detto dei testimoni, perché costituirebbe un fatto accaduto dopo della partenza del CAGLIARI dal porto di Genova. Ma cotesti testimoni non potevano, né possono essere altri, che i soli viaggiatori innocenti, che vi si trovavano imbarcati. E di questi di già si sono esibite le deposizioni.

Di qualunque altro deposto, o di qualunque variazione di testimoni, avvenuti nel corso del giudizio istruttorio e del dibattimento penale, è vietato di farne uso nella presente contestazione.

In primo luogo, perché essendo separati, distinti ed indipendenti tra loro i due giudizi, penale e civile di preda, le due procedure sono del pari tra loro indipendenti, separate, e distinte.

In secondo luogo, perché amendue sono rigorosamente individue ed incomunicabili. Né si può spigolare dal procedimento penale un elemento ed innestarlo nel procedimento civile, e viceversa.

In terzo luogo, perché nei giudizi civili si compromettono i diritti inerenti alla capacità civile delle persone, e dei quali queste possano liberamente disporre, men che non si tratti di ordine pubblico e di buon costume, sensu lato. Ond'è che àn vita le massime: che ciascuno è libero dispositore delle sue cose: che ciascuno può rinunziare ai benefizi introdotti e stabiliti a suo favore dalle leggi imperanti: che a chi lo vuole, non si reca ingiuria, o pregiudizio di sorta.

Da questi pronunziati ne segue la dottrina delle confessioni delle parti, che, una volta fatte, formano la maggior pruova contro di esse, e divengono irretrattabili ed irrevocabili.

In quarto luogo, perché differenzia la dottrina della confessione della parte da quella del reo nella istruzione penale mentre la ragion penale si rannoda essenzialmente all'ordine pubblico da un lato, e dall'altro irrescindibilmente s’immedesima col diritto eminente del Potere legislativo. Ond'è che àn vigore regole opposte e contrarie a quelle che si osservano nella ragion civile, vale, dire: non vi sono fatti imputabili ad eccezione di quelli che si trovano descritti nel testo delle leggi positive, nullum crimen sine lege: che del pari non vi son pene, meno quelle che si veggono indicate dal testo delle stesse leggi: nulla poena sine lege: che non vi può esser criterio di giudice, ossia calcolo d’imputabilità, sine probationibus undique collectis.

Da cosiffatti lemmi, ne derivano le altre proposizioni particolarmente proprie delle confessioni, e le quali sono: che la confessione nel penale non fa piena pruova come nel civile, ma è un elemento di questa: che uscendo dal cerchio della capacità delle persone il poter disporre del proprio individuo; ritenere un fatto commesso come reato, ed obbligare i giudici a condannare chi vuole spontaneamente esser condannato, s’inferisce, con sano consiglio, che si fa ingiuria e pregiudizio anche a chi lo desidera, e che in onta della volontaria confessione, il giudice deve astenersi dal profferir condanna, senza prima convincersi sul valore delle pruove che debbono vestire quella confessione.

Un esempio classico della incapacità di poter disporre del proprio individuo cel porge il sapientissimo disponimento dell'articolo 308 delle leggi della procedura nei giudizi penali, ampliato dal real decreto del 3 gennaio 1834, nel quale articolo sta scritto il necessario ricorso per annullamento alla suprema Corte di giustizia in caso di condanna all'ultimo supplizio, anche che il condannato rifiutasse quel gravame per tedio della vita o del carcere.

Ma nella specie che ne occupa, le confessioni e le deposizioni sono inalterabili, anche per un’altra ragione, oltre a quelle disputate di sopra.

La procedura eccezionale di preda rimane sempre come sta raccolta. Essa non può ricevere nuove indagini e nuove ricerche. Essa non mira ad altro che ad assodare gli elementi sensibili del fatto, e che sfuggirebbero, o si sformerebbero, se fosse permesso ritrattarli.

Se si facesse buon viso al desiderio degli appellanti sopra questo punto, ed un tanto assurdo trovasse partigiani, qualunque giudizio di preda sarebbe abbattuto, anzi radicalmente distrutto.


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§. VII. Compimento della dimostrazione

Le variazioni, le addizioni, i cangiamenti che possono apportare i testimoni alle loro precedenti dichiarazioni non si concedono che nel solo giudizio penale, noi diciamo (351). E ciò per tre potenti motivi.

Il l.° perché nella ragion penale, la pubblica discussione delle pruove e di tutte le domande del Pubblico Ministero compie definitivamente il processo istruttorio ed offre ai giudici l'ultimo stato delle cose (352).

Il 2.° perché quel testimone che vacilla nella sua deposizione, o nel variare da quella che innanzi à compiuto, e presta gravi argomenti di falsità può esser messo sotto mandato o in arresto: mezzi efficaci per ricondurlo a deporre la verità, e che mancano affatto ai giudici civili (353).

Il 3.° perché, i giudici penali, oltre agli esperimenti suddetti, possono formare il loro criterio di convinzione sopra tutti gli altri elementi che offre la stessa pubblica discussione, nel senso il più largo, ed anche in onta di quei cambiamenti e di quelle variazioni che à potuto fare, o l'accusato, o qualche testimone (354).

3. Ed oltre a tutto questo è naturale che, nei giudizi civili impera l'altra regola, che colui che produce titoli, documenti o scritture a sua difesa, non può più disconoscerli o niegarli, per l’osservanza del principio, che s’intende di avere egli confessato tutto ciò che in quelle si contiene.

Al proposito ottimamente il Cardinale FRANCESCO MANTICA riassume gl'insegnamenti della scuola in questi termini:

Quod producens titulum, VIDETUR FATERI OMNIA IN EO CONTENTA (355).

Noi abbiamo premesso l'esame delle dottrine gerarchiche e regolatrici delle opinioni che debbono farsi gli uomini ed i giudici delle pruove raccolte a fondamento di un giudizio civile, e specialmente di un giudizio eccezionale, quale è quello della preda, intorno al quale noi siamo occupati, nel fine di sempre più contrassegnare l'enorme distacco che si frapone tra il giudizio penale e quello di preda.

Noi abbiamo adoperato così fattamente, anche allo scopo di non ripetere le dottrine a misura della disamina dei fatti materiali, che più basso compiremo.

Nel sistema analitico di qualunque difesa, come quella del CAGLIARI, che miri a trar partito dai fatti giudiziali, e specialmente allorché questi non si prestano facilmente al proprio intendimento, ne segue sovente che si sacrifica tutto all'industria d’insidiare un detto, di occultare un fatto, di spilluzzicare una frase, per tessere poi con questi elementi di qua e di là desunti, un’avviluppata filatessa di apparenti contraddizioni, all'intento di conseguire, a questo modo, una fugace speranza di vittoria.

Ond'è che sempre più si accredita la massima, che gli errori dell'analisi debbono andar corretti dal rigore della sintesi, per dileguare le addensate dubbiezze sul verace aspetto delle cose, con l’aiuto caduco dello accorgimento forense.


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CAPO II

Disamina degli avvenimenti positivi

§ I. Pruove e documenti prodotti dai convenuti

Noi accompagnammo il nostro precedente discorso con un’appendice, contenente sessantotto documenti (356).

La difesa del CAGLIARI ne à pubblicato 52 (357).

Raffrontando gli uni e gli altri si rileva, che son nuovi soli quindici cioè:

1,° Piano dei ribbelli (358).

2.° Altro piano dei ribbelli (359).

3.° Una parte dell’interrogatorio di Giovanni Nicotera (360).

4.° e 5.° Stati delle merci imbarcate sul piroscafo il CAGLIARI (361).

5.° Interrogatorio di Luciano Marino (362).

7.° Interrogatorio di Rosa Mascarò (363).

8.° Interrogatorio di Giulio Schneider (364).

9.° Interrogatorio di Eligio Mì (365).

10.° Interrogatorio di Giandomenico Durante (366).

11.° Interrogatorio di Vincenzo Donadei (367).

12,° Interrogatorio di Ferdinando Bornioli (368).

13.° Interrogatorio di Giuseppe Santandrea (369).

14.° Decreto del Governo Piemontese del 7 luglio 1851 (370).

15.° Atto di proprietà del CAGLIARI (371).

Possiamo anticipare, che questi documenti novellamente prodotti dai nostri avversari, a prescindere che nulla pruovano in di loro favore, ne contengono qualcheduno che più rafforza la buona causa dei predatori.

E per servir sempre alla chiarezza ed alla precisione; doti cospicue del metodo sintetico, divideremo la nostra discussione in quattro prospetti, per quanti sono appunto i periodi dei fatti consumati dal CAGLIARI.

Il primo, dalla partenza da Genova all’arrivo a Ponza:

D secondo, delle geste compiute in quell'isola.

Il terzo del viaggio da Ponza per Sapri.

Il quarto del ritorno da questo paese.


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§. II. — 1.° Periodo. Partenza da Genova

I nostri contradittori, nel cominciare del loro lavoro ci àn fatto due rimproveri:

Il primo, di aver noi ardito di divinare qual fosse stata la origine ed il concerto della spedizione rivoltuosa a danno del reame di Napoli:

Il secondo, di aver bagnato la penna nel fiele nel vergare il nostro primo discorso.

In quanto alla prima rampogna notiamo esser proprio dei saggi contemplatori (tra i quali non osiamo di collocarci) di scoprire quasi chiaramente le cause occulte degli avvenimenti, con gli aiuti del raziocinio e della storia.

Quell'alto ingegno di CICERONE non dubitò di scrivere preziosissimi ricordi che intitolò precisamente, de Devinatione.

E ben si poteva assumere, nel caso che occorre, quel che noi, divinando abbiamo accennato, dappoiché adunati in un sol punto, usando le frasi dei nostri contraddittori, il prima, il mentre ed il poi, e ponendo attenzione alle tre mosse di rivoltura quasi contemporaneamente eseguite in Napoli, in Toscana e nella stessa Genova, di fermo ne spuntava un preconcetto innegabile disegno di generale ribellione, al quale ragionevolmente non potevano ritenersi indifferenti i signori Rubattino, Sitzia, e l’equipaggio del CAGLIARI.

In vero, gli stessi nostri contradittori ànno pubblicato due piani de' ribelli (372).

La vastità del progetto, la preveggenza degli ostacoli, la maniera di superarli, l'ampiezza della sperala rivoluzione che si desumono dai documenti prodotti dagli appellanti, cospirano a persuaderci che gli autori di tanto moto eran sicuri di aver mezzi convenevoli ed efficaci per iniziarlo, condurlo e compierlo.

E questi mezzi erano principalmente, e senza dubbio, armi e munizioni da guerra in gran copia.

Se si voglia supporre che Rubattino e Sitzia fossero stranieri a così arditi concepimenti, si dovrebbe credere ciò che torna impossibile a solo pensarlo, cioè dire che venissero gl’inimici ad assaltare, combattere e ribellare il regno delle due Sicilie, senza armi, senza munizioni, e forniti soltanto di stili e pistole.

Né può dirsi che costoro sperassero di rapirle al cominciar dell’impresa; imperciocché il duce supremo di quelle masnade era quel Carlo Pisacane che servì, tempo addietro, nei reali eserciti napolitani col grado di 1.° tenente di artiglieria, ed il quale, per notizie e per pratica del suo grado militare, ben sapeva quali armi e quali provvigioni potesse egli ritrovare nella piccola isola di Ponza, alla quale cognizione partecipavano i due capi subalterni, Giovanni Nicotera e Giovanbattista Falcone, amendue napolitani ed usati a sapere quanto conveniva, per regolarsi con profitto in simili congiunture.

Né vi è pruova che dica donde quei ribelli avesser preso le molte armi e le molte provvigioni da guerra, delle quali così poderosamente usarono in quell'isola e poi sul continente.

Nel vero, si vedrà quindi a poco che i necessari sussidi di guerra gli aveva imbarcato, o Rubattino, o certamente Sitzia, e dei quali precisamente si prevalsero quei tristi per sorprendere Ponza, rapirne gran numero di relegati, armarli di tutto punto, trasportarli in terraferma, pugnare apertamente e tentare dì porre in soqquadro tutto intero il nostro reame.

Quei due piani, che sono il prima; gli avvenimenti di Ponza, che sono il mentre, e gli scontri bellicosi di Padula e di Sanza, che sono il poi, sono elementi propri, pertinenti ed efficaci per animare una plausibile divinazione.

Ed al proposito amicamente cospirano, la fatidica lettera di Rubattino del 2 luglio 1857, diretta al consolo napolitano residente in Genova cavaliere Garrou, discussa nel precedente nostro discorso, e la tenera amistà di Sitzia, che mentre trascurava di serbare le carte di bordo, comandate dalle leggi, custodiva tra quelle che aveva gli antichi permessi di soggiorno di Giovanni Nicotera ed alcuni passaporti di persone involte in trame politiche, o certamente tali, da non potere impegnare il Sitzia a quella custodia.

Alla seconda imputazione rispondiamo, che noi non abbiamo esposto che i pensieri della nostra mente e le convinzioni della nostra coscienza, ispirate dalla verità dei casi che si verificarono. Ma lungi dal bagnar la penna nel fiele, volontieri l’avremmo intinta nel latte di Venere, se mai ci fosse stata porta la occasione d’intravedere in Rubattino ed in Sitzia la timida purità delle colombe che ne tirano il carro.

Ma chechessia di tutto ciò è d'uopo discutere le condizioni che incolpano il CAGLIARI nello sciogliere dal porto di Genova.


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§. III. Continuazione

1.° Senza dubbio, imbarcavano sul CAGLIARI 33 passeggieri, dei quali 22 mancavano di passaporti, e molti di essi sotto mentito nome, fra i quali si noverano, Gianbattista Falcone, uno dei più cospicui rivoltosi e Giuseppe Santandrea, svelatore delle trame precedentemente composte a danno del nostro e dello stesso reame di Sardegna.

Della importante deposizione del Santandrea ne siamo stati regalati dai nostri avversari. Il primo, cioè Falcone nel mentre che non si legge nel notamento de' passaggieri, figura tra i tre della famosa dichiarazione d’innocenza rilasciata al capitano Sitzia nella sera del disbarco in Sapri, 28 giugno 1857. Il secondo, cioè Santandrea comunque neanche s’incontri in quella lista, nullameno era uno dei principali istromenti della rivoluzione.

È pure costante in fatto, che otto individui dei trentadue che formavano il ruolo dell’equipaggio, erano sforniti di matricole e di passi, e perciò il CAGLIARI si trovava colpevolmente in contravvenzione delle leggi imperanti del suo paese, ed aveva nel suo bordo tutt’i caratteri della falsità, della simulazione e della infedeltà del suo viaggio.

2.° Il capitano imbarcava armi e munizioni da guerra, senza denunzia fattane ed approvazione ricevutane dalle competenti Autorità liguri, e senza che se ne facesse menzione nel ruolo dell’equipaggio dal Console della giuridizione, conforme al disposto proibitorio della legge del 13 gennaio 1827 sulla marina mercantile degli Stati sardi (373). Non sarà lecito ad alcun capitano o patrone d'imbarcare sul bastimento sotto il suo comando ARMI o MUNIZIONI DA GUERRA che non siano descritte sul ruolo di equipaggio dall'Autorità che lo à rilasciato (374).

Nel vero, altro non si legge nel permesso impartito pel trasporto delle armi, se non che vennero caricate sette casse di armi dirette a Tunisi ad un tal Paolo Cassanello.

Il dubbio che rimarrebbe sulla qualità delle armi, se da guerra o permesse, lo sciolse in peggio Io stesso Antioco Sitzia, il quale dichiarò, che le armi imbarcate in quelle sette casse eran di LUSSO. Ma poi egli stesso in seguito confessò che la grande quantità dei BOCCACCI erano rinchiusi nelle casse di armi destinate per Tunisi. Dunque le armi eran da guerra (375).

E senza esitanza affermiamo, che i boccacci sono armi micidiali e da guerra, tanto che si annoverano tra i piccioli cannoni da campagna ed i moschetti di grosso calibro.

3.° Lo stesso Sitzia assicurò che i rivoltosi non avevano che pochissima munizione, ed eran forniti di soli stili e pistole. Donde dunque presero quella larga copia di munizioni che tanto bene li servì nelle zuffe di Ponza e nelle maggiori fazioni in terraferma? Non altrimenti se ne provvidero che dal bordo del CAGLIARI, mentre non v'à pruova che le ricevessero altronde.

E Giuseppe Daneri, quel capitano marino di circostanza, depose che i ribelli non solo s’impadronirono delle armi, ma pure di UN RECIPIENTE DI POLVERE (376).

4.° Il CAGLIARI adunque salpava dal porto di Genova in piena contravvenzione alle leggi di commercio ed alla legge sulla marina mercantile degli Stati sardi e con contrabbando da guerra. Esso non aveva fra le carte di bordo, né il verbale di visita, né il passavanti, né l’atto di proprietà del legno. Per quest’ultimo interessantissimo documento la pruova negativa si è fatta dagli stessi avversari. Essi se l'àn procurato nel dì 4 febbraio del corrente anno (377).

Né poi è vero che il Decreto del Governo Piemontese del 7 Luglio 1851 abbia dispensato a questo primario dovere del capitano impostogli dall'articolo 242 del codice di commercio per gli Stati di S. M. il Re di Sardegna. Quel decreto converte soltanto il passaporto nautico nel visto dell'Autorità competente apposto sul ruolo dell'equipaggio del legno.

Questo ruolo e lo stesso registro di navigazione, in cambio di essere esattamente in regola, si veggono interrotti con fogli in bianco. Gravissimo indizio di viaggio anormale e simulato del legno (378).

Né vale appigliarsi al vidimato impresso dalle Autorità genovesi alla partenza del CAGLIARI, giacché qualunque visto, o vidimazione che rilascino i pubblici funzionari sono di forma e non di essenza; né giustificano l’intrinseca irregolarità del viaggio. Se così fosse, le Autorità competenti assumerebbero quella risponsabilità legale, della quale sono personalmente ed esclusivamente tenuti, il proprietario, e più ancora il capitano del bastimento che parte.


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§. IV. Asserita forza maggiore

Ricordiamo che l’equipaggio del CAGLIARI, numeroso, esperto e guerriero soperchiava di gran lunga i 25 rivoltosi, che avrebbero esercitato la violenza sul capitano e lo avrebbero fatto TUTTO PRIGIONIERO, al dire di Sitzia (379).

Ma quel che più importa è lo avvertire, che a nonna dell’istessa dichiarazione di costui, confermata dall’altra di Giuseppe Daneri, i voluti oppressori non ricercarono nei ripostigli del CAGLIARI, e non s’impadronirono delle armi e delle munizioni, che presso allo sbarco in Ponza, cioè dire alle ore 4 e mezzo del giorno 27 giugno.

Or se alle ore 8 p. m. del giorno 25 si asserisce avvenuta la violenza, è chiaro che i boccacci, le altre armi e le munizioni da guerra rimasero per due giorni interi soltanto note ed in possesso del capitano Sitzia, o in sua vece del capitano io secondo Vincenzo Rocci e dello intero equipaggio, il quale non prigioniero, ma liberissimo, seguitò a guidare il CAGLIARI, manovrando sul bordo. Si era dunque in grado, non solo di reagire, ma di distruggere, se fosse piaciuto, interamente quel picciol nodo di ribelli. Questo è uno de' gravissimi argomenti per ismentire l’asserto esercizio della forza maggiore.

Ma a questo argomento se ne associa un altro di suprema prepotenza, cioè dire la confessione solenne di Sitzia, maggiormente accresciuta dalle stomachevoli contraddizioni, nelle quali egli stesso del continuo s’involse.

E ben si sa che la propria confessione rifiuta qualunque detto di testimone, che per avventura potesse accennale ad una possibile ritrattazione.

Or Sitzia nei due interrogatori dichiarò, che appena deposto dal comando, fu trasportato sotto coperta e rinchiuso nel camerino di poppa; di poi, nel secondo interrogatorio, aggiunse di esservi stato guardato a vista da due rivoltosi armati di boccacci e di esser colà rimaso sino all'eseguito sbarco nell'isola di Ponza.

In seguito, nella domanda del 20 ottobre 1857, diretta alla Commissione delle prede e naufragi aggiunse, che tale stato di violenza non cessò, CHE DOPO LO SBARCO A SAPRI (380).

Dunque, secondo le dichiarazioni e le confessioni di Sitzia, egli rimase sofferente, sequestrato ed imposto nel fondo del legno, dalla sera del 25 giugno sino all'altra del 28 dello stesso mese.

Ma è maraviglioso il vedere, che lo stesso Sitzia, dimentico in un tratto di quello che aveva, prima con giuramento, e poi spontaneamente dichiarato, confessò di essersi PRESTATO A COOPERARE ALLO SBARCO MACCHINALMENTE (381).

Come mai si possono concepire due idee così tra loro sensibilmente contraddittorie ed esclusive l’una dell’altra, cioè dire che mentre il capitano Sitzia stette sepolto e custodito fino alla sera del 28 giugno nel fondo del bastimento, egli stesso nelle ore 4 e mezzo p. m. del giorno 27 si ritrovasse sul ponte, tanto libero e spedito che potesse disporre e dirigere la' complicata operazione dello sbarco dei 25 passaggieri unitamente ad altri 28 dell'equipaggio, tutti armati, e trasportatori ancora di altre armi per rifornirne i relegati di Ponza!

Chiunque mediocremente conosca che importino nel fatto coteste operazioni, vedrà se chi non vuole, possa eseguirle. Si deve dunque conchiudere, che in Sitzia (al tempo delle sue confessioni) la coscienza irruppe nel campo della verità: quella coscienza che non tace mai nel perorar la sua causa davanti al Tribunale supremo della eterna ragione delle cose:

Ipsi sibi sunt LEX, qui ostendunt opus LEGIS scriptum in cordibus suis, testimonium reddente illis CONSCIENTIA ipsorum (382).


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§. V. Maggiore conferma del medesimo assunto

E che il capitano Sitzia sia stato sempre libero nelle sue funzioni di comando lo spiega la nissuna necessità della sua direzione e cooperazione allo sbarco; dappoiché egli stesso confessa che quel Giuseppe Daneri, assunto in sua vece al comando del legno era, non già un uomo comune e dappoco, ma sì bene CAPITANO MARITTIMO: posizione che conferma il capitano in secondo del CAGLIARI Vincenzo Rocci ed il passaggiero ribelle Giuseppe Santandrea.

Si combinano amicamente allo scopo di sempre più pruovare di non essere stato mai il Sitzia deposto dal comando e di aver patita la forza maggiore, le dichiarazioni di Giovanni Colonna, pilota pratico del porto di Ponza e di Antonio Roberto, pilota della Real marina, di stazione in Ponza, e finalmente del capitano del porto Montano Magliozzi. I due primi, che furono arrestati e trattenuti sul CAGLIARI, attestano che un uomo attempato esercitava gli atti del comando del legno, ed il quale non poteva essere altro che Antioco Sitzia, che contava anni 56, in mezzo a tutta quella scorretta giovanaglia.

E questi due assicurano un altro fatto momentosissimo, cioè dire che dopo di essere entrato il CAGLIARI nel porto di Ponza, rompendo ogni riguardo ed infrangendo le leggi sanitarie, riesci in rada, e poi vi ritornò per rimbarcare i discesi e con essi accogliere i relegati evasi dai luoghi di pena. Laonde si conchiude che il capitano Sitzia rimase autonomo di qualunque sua operazione, e che non volle viaggiare sino a Gaeta, distante tre sole ore da Ponza, per denunziare alla sede del Governo i tristi casi che succedevano in quell'isola.

Ed è notevole che lo stesso Sitzia nel suo primo interrogatorio, che si deve ritenere per vero, addusse per ragione di non essersi diretto a Gaeta, ovvero in altro punto del continente, di essere rimaso solo coi macchinisti e coi fuochisti: invalida scusa, mentre tutti conoscono che per muovere il legno a vapore non è mestieri dell'equipaggio, ma bastano quelli che rimasero a bordo.

E poiché gli fu diretta una seconda domanda intorno al perché non erasi immediatamente diretto sul continente, egli aggiunse, scaltritamente cercando di emendare. l’incauta ma sincera dichiarazione già fatta, che era guardato a vista da due rivoltosi armati di boccaccio.

In primo luogo, la precedente dichiarazione non può essere variata dalla seconda assertiva.

In secondo luogo, la sua propria confessione appoggiata ai detti di coloro che abbiamo accennato poc’anzi, smentisce qualunque contraria asserzione, e lo riconvince della più sicura complicità, anzi diremo correità principale in quei fatti ostili e Innesti.

In terzo luogo, il fatto della escita e della rientrata nel porlo di Ponza non ammette qualunque dubbio, o esitanza a di lui favore.


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§. VI. Nissun presidio dal detto dei testimoni

Volgendo lo sguardo alla pruova della patita forza maggiore, intorno alla quale si travagliano, ma inutilmente gli avvocati dei convenuti, rileviamo che dessa si appoggia sopra tre elementi:

1.° Sulla dichiarazione d'innocenza del 28 giugno 1857.

2.° Sul detto dell'equipaggio.

3.° Sulle deposizioni degli otto passaggieri indifferenti.

Il primo elemento a nulla giova, perché quell’atto, o concertato, o spontaeo è sempre illegale ed inefficace. Quella carta fu composta e sottoscritta dai tre principali autori degli avvenimenti nefandi, Pisacane, Nicotera, Falcone, coi quali prese parte operosissima il capitano Sitzia.

Il secondo elemento neppur giova; imperciocché quell'equipaggio del piroscafo, che avrebbe potuto ben esser presente al fatto materiale della violenza esercitata, niente dice di ciò, e lutto in massa si rimette al detto di Francesco Mascarò, il quale quindi a poco vedremo essere un testimone unitamente agli altri, anche meno di semplice udito (383).

Il terzo elemento tanto meno profitta al Sitzia, da che come poco innanzi dicevamo, i passaggieri rimasi innocenti nulla àn veduto, sì come si farà manifesto per le seguenti osservazioni.

Innanzi tutto, parte dei passaggieri, nel momento dell'assorta rivolta (ore otto della sera del 25 giugno 1857) cenavano sotto coperta con Giuseppe Daneri. Costui dichiara questo punto di fatto, col quale concordano quelli che stavan con lui. Tutti udirono quel che annunziò loro un uomo che precipitava in basso di sopra coperta, e che si palesò essere uno de' rivoltosi. Cotesto ignoto dicesi colui che invitò il Daneri a prendere il comando del piroscafo.

2.° Il capitano in secondo, Vincenzo Rocci, anche dice che in quell'ora si era ridotto nel suo camerino, anche sotto coverta, nel quale pigliava alcun ristoro, e che da un uomo che colà discese gli fu intimato di non esser egli più nulla.

Il resto dei passaggieri, tra i quali era il dottor Francesco Mascarò e sua moglie Rosa, e che sono l’incrollabile fondamento degli avversari, non sono essi stessi che testimoni di SEMPLICE UDITO, ed anche meno (384).

3.° Per rimaner persuasi di quanto asseveriamo, è da premettere l’ora del tempo, di notte, otto e mezzo p. m. del 25 giugno 1857; in mare, sopra il bordo di un legno di gran portata, perciò assai lungo.

Il gran tubo della caldaia, gli alberi delle vele, il sarziame ed altri moltiplici impedimenti traposti, naturalmente vietavano, ad altezza di uomo, di vedere da poppa, tra quelle ombre e quelli ostacoli, quanto poteva succedere a prua, dove stava il capitano Sitzia per provvedere alla buona guardia del bastimento.

Si aggiunga che tutti i passaggieri innocenti certamente stavano alla spienserata e sgombri della prevenzione di dover succedere un sinistro sul bordo.

Ciò premesso: Francesco Moscarò dichiara «che era situato alla poppa del detto vapore di unita alla mia consorte ed altri passaggieri, VIDI COMPARIRE IL CAPITANO IN MEZZO A DIVERSI INDIVIDUI con berretti rossi in cui appoggiavano delle pistole e dei stili. DOMANDAI DI CHE COSA SI TRATTAVA, E SENZA ALTRA RISPOSTA, mi fu imposto di scendere senz’altro nella camera; giunto con gli altri passaggieri, ecc. ecc. ecc.»

Ecco tutto l’importante della deposizione a favore del signor Sitzia; dappoiché la moglie del Mascarò a nome Rosa e quei passaggieri che stavano con essi, depongono ancor meno di quel che depone lo stesso Francesco Mascarò.

Essi videro ritornare da prua il capitano circondato da alcune persone armate, ma non videro quel fatto che li costituirebbe testimoni veramente di vista, vale dire non furono presenti a prua dove stava il capitano Sitzia, e tanto meno attestano di aver veduta la materiale aggressione attuata nella di lui persona, ipsa vis illata. Laonde essi non sono altro che testimoni di veduta del corso di un fatto da essi non mai conosciuto nel suo cominciamento, ed il quale tutto riposa sopra un’asserzione di Sitzia: asserzione d'altra parte vittoriosamente smentita da lui medesimo e da altri testimoni.

Ma quando si vuol rimanere persuasissimi di ciò che diciamo, piaccia richiamare alla memoria la solenne interrogazione diretta dallo stesso Mascarò ai voluti oppressori: DOMANDAI DI CHE COSA SI TRATTAVA, senza altra risposta, ecc. ecc. ecc.

4.° Tanto dunque Mascarò e gli altri nulla videro del fatto della violenza esercitata che, attoniti, richiesero quelli stessi che ritornavano dalla prua, di che mai si trattasse, cioè dire volevano sapere che mai era avvenuto. Ciò significa che essi stessi nulla sapevano e nulla affatto avevan veduto, per rapporto all’asserita aggressione violenta fatta al capitano. Or vegga e rifletta chi è mezzanamente ragionevole, se mai le cose narrate ed assicurate negli atti del processo possano addimandarsi pruove di vista della patita forza maggiore!

Speriamo con fiducia poi, che non arrivino i nostri contraddittori ad invocare in lor vantaggio i due piani dei ribelli. Questi sono due fogli senza data, senza indicazione alcuna, laddove si eccettui la baldanza e l'audacia.

Che Carlo Pisacane avesse un dì cullata la sua mente tra le seducenti attrattive di un possibile rivolgimento del reame di Napoli e di tutta Italia, non ne conseguita la dimostrata forza maggiore che si asserisce di essersi verificata dappoi, e precisamente alle ore otto della sera del 25 giugno 1857 a danno di Sitzia e del suo equipaggio.


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§. VII. Sunto delle deposizioni dei testimoni prodotti dalla difesa del CAGLIARI

Costoro sono i seguenti:

Luciano Marino,

Antonio Venturino

Ferdinando Bornioli

Rosa Mascarò

Giulio Schneider

Eligio Mò

Vincenzo Donodei.

Giovan Domenico Durante

Giuseppe Santandrea.

I due primi non possono far parte della pruova a favore del capitano Antioco Sitzia:

1.° perché essi sono due evasi da Ponza e quindi non erano imbarcati sul CAGLIARI, allorché salpava da Genova, e di conseguente non avevan potuto, né vedere, né udire gli avvenimenti che si vogliono far credere succeduti nella notte del 25 giugno 1857.

2.° perché sono di udito dei rivoltosi, nel momento che da Ponza salirono sul bordo di quel battello.

3° perché appartengono al giudizio penale, essendo stato il primo interrogato dal giudice istruttore del distretto di Sala il 2 luglio, ed il secondo, il 4 luglio 1857 davanti al proccurator generale della G. C. criminale di Salerno (385).

Ferdinando Bornioli

Rosa Mascarò.

Giulio Schneider, nulla mettono di più di quello che risulta dalla deposizione di Francesco Mascarò. Il primo vi si riferisce interamente; la seconda è la moglie del Mascarò e stava a poppa con suo marito; il terzo stava nel medesimo luogo.

Tutti tre dunque non potevano vedere, come non vide lo stesso Mascarò l'atto di materiale violenza, ipsa vis illata. Sono tutti tre di udito dei detti dei rivoltosi, dopo che questi ritornavano da prua col ridevole concerto della esercitata forza maggiore (386).

Che anzi, lo Schneider ripete lo stesso che dicono Francesco Mascarò e sua moglie, e che riferma eminentemente di niente aver veduto, ma di avere semplicemente udito quello che spacciavasi dai rivoltosi di essere succeduto:

Si SENTIVA, depose Schneider, un forte grido di molte persone con armi in mano, pistole e stili: ferma ferma: scendete a basso. Dopo questo, DOMANDAVAMO, che cosa, che cosa è questo chiasso. DICEVANO, non temete niente, che noi siamo venuti per liberare l’Italia, poi hanno PRESENTATO il capitano con forza condottolo acanti di noi passaggieri, ASSERIVANO il comandante non aver più alcun potere.

Chi à senno, o almeno buon senso vegga, se cosiffatte deposizioni pruovino la violenza patita dal capitano Sitzia e dal suo equipaggio.

Eligio Mò, Vincenzo Donadei e Giovan Domenico Durante dicono men di tutti. Costoro sono testimoni di udito per bocca dei voluti rivoltuosi, ed assicurano che mentre stavano anche a poppa fu loro imposto da alcuni armati di calare a basso, (sotto coverta), come obbedirono: aggiungono quel che nulla monta, vale dire, che reduce il piroscafo da Sapri, udivano che si dirigeva per Napoli (387).

Rimane Giuseppe Santandrea.

La deposizione di costui, abbenché non possa tenersi presente nel giudizio di preda, perché raccolta nelle prigioni di Padula di Principato Citeriore il 3 luglio 1857 dal tenente D. Giovanni de Merich, Commissario del Re dell’11.° battaglione cacciatori, e quindi appartenente al giudizio penale, meglio lede che giova allo scopo degli avversari.

1.° Innanzi ad ogni altra osservazione notiamo, che non si legge il nome di Giuseppe Santandrea nel notamento dei viaggiatori, imbarcati in Genova il 25 giugno 1857. Dunque era anch'esso accolto sotto false indicazioni e con mentito nome (388).

2.° Egli non può far fede, anche perché è uno dei rivoltosi repubblicani, interessato ad asserir menzogne, per salvare il complice capitano Sitzia. Egli sta del paro con Pisacane, Nicotera e Falcone, che sottoscrissero la famosa ed improfittevole dichiarazione d’innocenza nel porre il piede sulla terra di Sapri.

Di più, i suoi detti ispirano manifesta sfiducia. Tra l’altro, asserisce, che il capitano Sitzia non potè resistere ai loro capi fomiti di pistole, perché poco era l'equipaggio; nel punto, che questo contava 32 uomini ed i supposti aggressori appena erano 25, dei quali 4, o 10, avrebbero operato quel fatto.

3.° Egli per le sue colpe, dichiarò di non avere speranza di vita, ed aggiunse:

Che era aderente di Carlo Pisacane, sulle cui istanze si unì ai ribelli:

Che SAPEVA dovere, nel 13 giugno, sviluppare una rivolta generale in Genova e nel regno di Napoli.

Che erano certi i ribelli di trovar molti insorti nelle Calabrie, e ne avevamo chiare assicurazioni da D. Giovanni Nicotera:

Che tra DI LORO vi era imbarcato UN CAPITANO DI LEGNO di cognome Daneri, il quale prese il comando del legno:

Che conosceva vari genovesi, i quali trattano di queste cose, ed altra persona in Ferrara che somministrava danaro, ed altre cose disse in questo torno (389).

Sembra perciò, che la divinazione da noi annunziata di essersi preconcetto un piano di sovversione universale, prenda la specie di verità.


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§. VIII. — 2.° Periodo. Arrivo a Ponza. Attitudine dell'equipaggio

Noi non vogliamo qui ritrarre per la terza volta le orrende enormità che insanguinarono l'isola di Ponza, ma notiamo soltanto che quell'equipaggio del CAGLIARI, che si vuol dare a credere tanto timido e smarrito da essere rimaso nientemeno che prigione di coloro che non avevano braccia sufficienti per operare tanto prodigio, fu in vece operosissimo nemico, coraggioso e combattente nell'isola di Ponza, e servì come principale istrumento dei ribelli nel repentino assalto che essi vi diedero.

Solo ricordiamo, che il capitano in secondo del CAGLIARI, Vincenzo Rocci, il passaggiere Cesare Cori, e Giuseppe Daneri depongono, che l’equipaggio disbarcò il primo tutto intero e tutto armato, e fu anche apportatore di altre armi. per servire al bisogno: che lo stesso Sitzia assicura questo fatto, aggiungendo di essere rimaso solo a bordo del legno.

Conferma eminentemente cotesto avvenimento di grande influenza l'essere stato ferito nello scontro con le Regie truppe, Lorenzo Acquarone, uno de' tre camerieri del legno, trovato a bordo in tale stato sul ponte del CAGLIARI al momento della cattura: essere disbarcato in Sapri l'altro cameriere del piroscafo Giuseppe Mercurio (390): essere stato costui anche ferito nel combattimento di Padula, e trovarsi tra gli accusati al cospetto della Gran Corte Criminale di Salerno.


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§. IX. —3.° Periodo. Partenza da Ponza

Allorché il piroscafo mosse da Ponza per Sapri, già pieno di oltre a 400 persone, il capitano Sitzia volse la mente ad infervorare i men caldi ed a sospingere gli animosi, augurando liete venture alla causa italiana. Egli proclive e gioioso delle geste future, apprestò mezzi ed aiuti, adoperandosi a tramutare in cartucce i foderi di polvere che egli aveva imbarcato clandestinamente sul piroscafo.

Questi fatti notevolissimi sono deposti da Eugenio Lombardi, al quale concordano le attestazioni di molti altri, presenti sul bordo.

Ed il Lombardi e gli altri suoi compagni furono quei dieci, che rifiutarono di seguire le schiere ribelli in terraferma, e volontieri si presentarono alle autorità locali, dalle quali furono inviati al retroammiraglio, cavaliere Roberti.

Cotesti dieci individui, come ognun vede, sono capaci a deporre, tuttoché relegati, mentre la loro pena non trae seco cosiffatta interdizione (391).

Il Lombardi ripeté quelle cose importantissime in presenza ed al cospetto del capitano Antioco Sitzia che nulla oppose, ed il quale più volte fu riconosciuto da lui.

La parziale ritrattazione fatta al proposito è improfittevole, come appresso vedremo, perciò l'attestazione del Lombardi, combinata col resto delle pruove, non lascia luogo a dubitare sulla manifesta complicità principale del capitano del CAGLIARI negli atti e nei fatti della rivoluzione apportata nel regno.


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§. X. — 4.° Periodo. Ritorno da Sapri

Il cenno di questo ultimo termine delle bellicose e piratiche avventure del CAGLIARI costituisce un cospicuo punto di luce, al quale si eleva la colpabilità di Sitzia.

Costui era peritissimo dei luoghi, fino al segno di approdare di notte (sera del 28 giugno) in luogo buio, importuoso e deserto (alla picciola spiaggia dell’oliveto presso Sapri), senza guida, senza faro e solo in balìa della propria perizia che aveva di quelle coste. Egli felicemente eseguì il disbarco di oste poderosa ed armala.

Egli ripartiva, e trapassava di pieno giorno (mattino del 29 giugno) il golfo di Salerno e vedeva sulla sua destra la città di tal nome, sede delle prime autorità della provincia, con porto capace ed atto a porgere tutto il bisognevole che il CAGLIARI avesse potuto desiderare.

Che di più; era quella città il primo ritrovo che incontrava il Sitzia, dove poter compiere la sua missione, cioè di rivelare agli agenti del Governo i casi avvenuti. Egli non volle, anche questa seconda volta, praticar quello che deliberatamente omise in Ponza.

La ragione di tal contegno non è occulta; che anzi è manifesta.

Denunziare a Salerno i Iagrimevoli occorsi valeva far giungere immantinenti gli avvisi al Governo: fingere di navigar per Napoli, era pretestare una scusa credibile, dar tempo alla rivolta, e tentar modo al proprio scampo.

È ciò così vero, che lo depone e riferma la rotta marina del CAGLIARI.

La via diritta, breve e sicura da chi muove dalle coste meridionali del regno, per giungere a Napoli è imboccare lo stretto della Campanella. Invece, quel piroscafo correva in alto mare, ed era arrivato nientemeno, che a 71 miglio da Sapri, ed a sei al sudovest da Capri.

Il CAGLIARI, scoperte appena le fregate nemiche e temendo la sua ultima rovina, tentò di mascherare il disegno e finse di deviare per le bocche piccole di quest'isola, che da prima aveva trascuralo. Cosicché al momento della chiamata stava per traverso.

Che proseguendo quel rombo, si ritrovasse a Ponza o sulla direzione di Genova è una incontrastabile verità che si fonda sulle posizioni di fatto e sopra i portati della scienza.

Si aggiunga a tutto questo il premeditato laconismo del giornale di navigazione del CAGLIARI, ed il largo discorso di quello della fregata ammiraglia, il Tancredi, nel quale sono registrati al preciso ed al minuto, le mosse, i fatti, e le cose. Cotesto giornale di navigazione della fregata comandante è documento irreplicabile per sé medesimo, ed irreplicato dai convenuti, da che da essi medesimi prodotto e stampato.

Prefinite le posizioni di fatto che là si leggono, il resto lo fa Inscienza esatta, che rifiuta ed annulla, qualunque, abbenché imponente paralagismo (392).

Invano poi, si protesterebbe, che quel piroscafo a Napoli si dirigesse per l’indifferibile provvigione del carbon fossile, di che scarseggiava fin dal salpare da Genova; dappoiché i fatti consumati vittoriosamente smentirebbero i mal compri pretesti:

1.° Il CAGLIARI aveva nelle sue tramagge tal copia di minerale che fu riscontrata sufficiente a compiere i progetti, dagli stessi ribelli.

2.° Nel vero; il CAGLIARI, partito il 25 da Genova, proseguì celere e spedito, abbenché fuormisura onusto, il suo nefando andare per cinque interi giorni, senza necessitare del minerale occorrente.

3.° Ma dopo tutto; ritornando a Ponza, vi avrebbe ritrovato ad abbondevole soperchianza, i rimpiazzi di legna, stando a canto di quell'isola, l'altra disabitata di Palmarola ricca di prodigiose boscaglie.

4.° Che il CAGLIARI a Ponza ritornasse, lo assicurano anche molti testimoni, i quali udirono cotal promessa fatta ai rimasi nell'isola, perché soverchi allo imbarco.


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CAPO III

Discussione de' documenti recentemente intimati dagli appellanti

§. I. Scopo di questa nuova difesa

I principali assunti dei signori Rubattino e Sitzia, che richiamano in questo luogo la nostra attenzione, sono i seguenti:

1.° L’illegalità della procedura serbata in ordine alle deposizioni dei dieci evasi da Ponza ed all'atto di ricognizione del capitano Sitzia:

2.° Le ritrattazioni fatte dalla maggior parte degli evasi da Ponza nella pubblica discussione in Salerno, dal dì 1 marzo al 9 aprile 1858:

3.° L’indulgenza del Real Decreto del Governo Piemontese del 7 Luglio 1851.

Noi abbiamo premesso di doverci in questo luogo occupare soltanto di cotesti tre assunti; dappoicché per tutto il resto della causa, sia per la parte teorica, sia pei fatti della medesima, ci troviamo di averne fatta ampia discussione, non meno nel nostro precedente discorso, che in altro luogo del presente lavoro.


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§. II. Idee preliminari alla discussione di cotesto primo assunto

Allorché si rifletta seriamente sopra la parte sostanziale e decisiva della presente causa, si rimarrà facilmente persuasi bastare alla dichiarazione di buona preda i fatti ostili e di pirateria commessi dal CAGLIARI contro il reame delle due Sicilie. Questi fatti di duplice categoria costituiscono un vero innegabile.

E diciamo bastare soltanto cotesti fatti alla legittimità della preda del suddetto piroscafo, mentre il concorso del capitano comandante il legno nella consumazione delle enormità criminose, è un dippiù per la buona causa depredatori, poiché non mira ad altro che ad aggravare il capitano Antioco Sitzia della risponsabilità del rimborso verso del proprietario del legno. Ma piace a noi di entrare animosi anche in questa discussione, tuttoché superflua nel nostro interesse, per privare i nostri avversari di qualunque presidio.


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§. III. Continuazione

Tutta la importanza della causa per Rubattino e per Sitzia consiste nel pruovare la patita forza maggiore.

Questo fatto però si limita al primo periodo della storia del CAGLIARI, e diremo al cominciare di cotesto periodo, vale dire poco dopo della sua partenza dal porto di Genova (ore 8 e mezzo p. m. del 25 Giugno 1857).

Tutto ciò che dal partire da Ponza pel continente, e dal ritorno da Sapri può raccogliersi sul detto dei relegati evasi, o di altri, potrà essere un' aggiunzione affermativa o negativa di quell'unico fatto che deve imprescindibilmente esser pruovato nella sera del giorno indicato di sopra.

Ecco perché lucidissimamente succede la necessaria separazione delle pruove, cioè dire di quella che si crede fatta per mezzo delle deposizioni degli otto passaggieri innocenti, i quali sono gli unici testimoni che avrebbero potuto conoscere di un tanto accidente, perché imbarcati sul bordo del CAGLIARI, dall’altra inutile, o almeno inconcludente degli evasi da Ponza. Donde conseguita la irreplicabile illazione che tutti gli altri, che non erano nell'istessa posizione de' passaggieri, sieno essi evasi da Ponza, sieno appartenenti a qualunque classe di persone, potranno avere udito dal capitano Sitzia, dai rivoltosi, o dagli stessi viaggiatori, quel fatto che si asserisce accaduto, ma non potranno mai influire alla pruova categorica e positiva della esercitata forza maggiore, perché (ripetiamolo anche una volta) essi non si trovavano presenti sul CAGLIARI nel tempo sincrono dell'asserito avvenimento della rivolta.

Ecco perché ragionevolmente si può far senza delle deposizioni e delle ritrattazioni degli evasi da Ponza e di coloro che sono stati uditi in dibattimento, al cospetto della G. C. criminale di Salerno, come testimoni del processo penale.


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§. IV. Continuazione dello stesso argomento. Legalità delle istruzioni praticate

Le deposizioni degli otto passaggieri rimasi indifferenti sono state ricevute, come tutte le altre deposizioni o dichiarazioni dei capitani Antioco Sitzia e Vincenzo Rocci, e degli altri, e pure degli evasi da Ponza promiscuamente dagli uffiziali Lecaldano e d'Ayala per ordine del Comandante in capo Retro Ammiraglio Roberti.

Or mentre. gli appellanti, signori Rubattino e Sitzia ànno intimato congiuntamente ai loro appelli le deposizioni di cotesti otto passaggieri, le àn fatte proprie, ed in virtù di esse ànno insistito ed insistono; àn sostenuto e sostengono risultare ad evidenza la patita forza maggiore, impugnano d’incompetenza le autorità che le raccolsero!

E ciò con è tutto; dappoiché anche univocamente i due aplanti riconoscono e fanno proprie le dichiarazioni e le confessioni, non mai smentite, di Antioco Sitzia, di Vincenzo Rocci e di Giuseppe Daneri, dalle quali fermamente intendono di venir provata la violenza sofferta dal primo nello scoppiare della rivolta nella precennata sera del giorno 25 Giugno 1857.

Dalle cose fin qui rimarcate, dalle stesse posizioni degli avversari e dalle medesime loro domande sorge una stomachevole contraddizione, nella quale s’involgono, e che rifiuta qualunque loro sforzo o pretesto di difesa.

Quelle uniche autorità militari e quelli unici procedimenti serbati, sarebbero validi, legali ed efficaci, relativamente alle dichiarazioni di Sitzia, di Rocci e di Daneri; come pure relativamente alle deposizioni degli otto passaggieri indifferenti, e nell’istesso tempo sarebbero invalide, illegali ed inefficaci in ordine alle deposizioni degli evasi da Ponza. Certo, noi crediamo di buona fede, che non possa esistere una inconciliabile, contraddittoria ed effimera difesa, che somigli a quella degli avvocati degli appellanti sopra questo punto.


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§. V. Competentemente e regolarmente sono state compilate le procedure

Per fortuna, i nostri avversari anche qui, da un lato àn preterito i disponimenti delle Ordinanze generali della Real Marina, e dall'altro non ànno ben ponderato i disponimenti dei due statuti militare, e dell’armata di mare.

Nel titolo delle prede di coteste Ordinanze (393) è descritta la procedura a serbare nei rincontri di prede marittime, dall’art. 1 all’art. 46.

Per le facoltà concesse ai comandanti di squadre, di bastimenti o di legni da guerra in generale (394), i comandanti de' legni predatori delegano un uffiziale (395) per compiere tutti gli atti ed i verbali necessari a documentare l’arresto del legno (396).

Dopo altri disponimenti, si legge che:

Ogni preda condotta in porto dai Nostri legni dovrà essere giudicata SENZA DILAZIONE dal magistrato competente, al quale sarà tenuto il Comandante Generale della Real Marina di passare TUTTI I DOCUMENTI E RAPPORTI RICEVUTI DAL COMANDANTE DEL LEGNO PREDATORE, O DA LI? UFFIZIALE INCARICATO DELLA MEDESIMA, DOVENDO QUESTI SIMILMENTE PRESTARSI A TUTTI I RISCHIARIMENTI ALL’OGGETTO RICHIESTI DALL’INDICATO MAGISTRATO (397).

L’idea delle Ordinanze generali è che, senza dilazione si spedisca il giudizio di preda: che gli atti si compilino dall’uffiziale destinato dal comandante del legno predatore, e che il primo desse gli opportuni chiarimenti ai giudici competenti.

E questi RISCHIARIMENTI sono notizie che à potuto raccogliere quell’uffiziale delegato in qualunque maniera e che possono influire sulla dichiarazione di legittimità, o d’illegittimità della preda. Sono questi rischiarimenti meramente di puro fatto e vestiti di non altra legalità, che del grado e della delegazione di quell'uffiziale.

Coteste Ordinanze generali, e segnatamente per la procedura prescritta nelle occasioni di prede, sono leggi eccezionali e speciali, e quindi inderogate dai posteriori statuti, militare e di mare, amendue dell’anno 1819, per l’osservanza del principio che: lex specialis per posteriorem legem generalem non derogatur.

Or nel fatto il Comandante Retro Ammiraglio Roberti à operato più di quello che imponevano le Ordinanze generali; dappoiché non à riserbato all'uffiziale da lui incaricato la facoltà di chiarire la procedura di preda, ma meglio à fatto compilare una istruzione completa nelle pure forme legali militari.


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§. VI. Pruova di questa proposizione

I nostri contraddittori dovevano principiare dal leggere l’articolo 96 dello statuto penale per l’armata di mare, nel quale sta scritto:

Tutti i casi non preveduti nel presente Statuto saranno regolati colle disposizioni contenute nello Statuto penale militare.

Questo rimando li avrebbe fatti imbattere nell'art. 106 dello statuto penale militare, nel quale sta pure scritto:

Che le funzioni della polizia giudiziale militare comprendono LE PROVVIDENZA: ISTANTANEE, e le istruzioni preparatorie del giudizio.

Essi avrebbero pure letto nell’art. seguente 107, che:

Sono considerate PROVVIDENZE ISTANTANEE le seguenti....

3.° Raccorre le prove che emergono, o vengono sull’istante somministrate da QUALUNQUE PERSONA.

4° Assicurare che non PERISCANO LE PRUOVE che risultano dalle tracce lasciate dall'atto criminoso e dagli oggetti che vi ànno rapporto.

Le funzioni della polizia giudiziaria militare in quanto alle PROVVIDENZE ISTANTANEE sono confidate indistintamente a tutti gli uffiziali dell'esercito, e noi diciamo, per analogia di disponimene ancora a tutti gli uffiziali della Real Marina.

TUTTI GLI UFFIZIALI DELL'ESERCITO che avessero eseguito tutto o parte DELLE PROVVIDENZE ISTANTANEE MENZIONATE NELL'ARTICOLO 107 dovranno formarne un rapporto per iscritto, ed unito agli atti CHE AVRANNO COMPILATI, ed agli oggetti di convinzione, se ve ne fossero, lo rimetteranno al rispettivo superiore, che avrà cura di farlo regolarmente pervenire al Comandante della Provincia o Valle ove fosse accaduto il fatto che avrà occasionato tali provvidenze (398).

L’articolo poi 113 parla della istruzione preparatoria militare, che contiene:

La notizia ufficiale, le pruove; il costituto dei rei.

In seguito si occupa lo stesso statuto delle altre parti complimentane della istruzione preparatoria del giudizio e della stessa decisione che dovranno profferire i rispettivi Consigli di guerra, e che affida ai rispettivi commissari del Re.

Si doveva dunque distinguere dai nostri contraddittori, la dottrina delle provvidenze istantanee dall'altra delle istruzioni preparatorie del giudizio: si doveva riflettere che la prima parte è generalmente confidata a tutti gli uffiziali, e che non à e non può avere, per la repentina necessità che impone il fatto, quella legalità di forme che può verificarsi soltanto nel secondo periodo della istruzione preparatoria del giudizio: dovevano anche riflettere che si trattava non già di un reato militare, ma di un fatto di preda, pel quale bastava raccogliere gli elementi necessari per farlo riconoscere, giusta i modi subitanei permessi dall’art. 107 di sopra summentovato: dovevano del pari considerare che in quelle istantanee assicurazioni tutto è permesso e niente è escluso, giusta i sensi dell’art. Ili: dovevano infine avvertire che lutto succedeva sotto gli occhi dello stesso Comandante superiore Retro Ammiraglio Roberti, e nel fine non già di preparare la decisione di un Consiglio di guerra, ma semplicemente d‘ istruire un giudizio civile di preda.

Ecco come si mostra l'inopportunità della citazione degli articoli 90, 93 e 95 dello statuto penale dell’armata di mare, rimproveratici dagli appellanti, i quali articoli parlano dei Consigli di guerra che debbono stare a bordo di ogni legno da guerra; e come del pari degli altri articoli 166, 190, 195 e 196 dello statuto penale militare, i quali sono registrali nel titolo, non già delle provvidenze istantanee, ma delle istruzioni preparatorie del giudizio militare.

Che se poi si volesse entrare nella discussione dell'articolo 166, e dell’altro 195, il primo relativo alla capacità dei testimoni, e l'altro concernente l'atto di ricognizione, si troverebbero amendue esattamente osservati nella procedura di preda.

Nel vero; 1 art. 166 dice:

Gl'inimici capitali de' rei, gl'infami di fatto e di dritto, i mendici che abbiano inquisizioni anche leggerissime, quelli che con qualunque atto abbiano violato l’indifferenza propria dei testimoni, sono incapaci di far testimonianza.

I dieci evasi da Ponza per apposito non sono collocabili nelle categorie di questo articolo, ma invece sono favoriti dagli articoli 17 e 18 delle leggi penali, nei quali vien disposto che la condanna alla relegazione non rende il condannato incapace di far testimonianza, ma solo rimane interdetto dai pubblici uffizi per altrettanto tempo, dopo espiata la pena.

Anche l'articolo 195 vedesi osservato, poiché l’atto di affronto di Antioco Sitzia è stato fatto, stando confuso costui con molti individui; ed i quali possono essere anche più dei cinque indicati dall'articolo.


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§. VII. Inutile ricorso alle ritrattazioni dei dieci relegali di Ponza

Questi sono: Eugenio Lombardi, Giambattista Pascale, Giovanni Parrilli, Vincenzo Paparo, Salvatore Barberio, Filippo Conte alias Ferrajuolo, Michele Milano, Francesco Gallo, Michelangelo Mundo, Carlo Lafato e Vito Luigi Cafaro.

In primo luogo osserviamo, che se i contraddittori intendono giovarsi delle ritrattazioni di costoro, perciò solo ammettono e ritengono valide le loro prime deposizioni. Si ritratta ciò che esiste legalmente e non già quello che non à mai esistito in legge.

In secondo luogo, le ritrattazioni nel giudizio penale non giovano nel giudizio civile, per tutte le ragioni di sopra disputate.

In terzo luogo, la parziale ritrattazione di Eugenio Lombardi non potrebbe mai ritenersi, poiché egli mentisce il suo stato di grave infermità.

Egli nella deposizione del 30 giugno 1857, solennemente dichiarò l'ottimo stato di sua salute. Egli disbarcò in Sapri nel 28 giugno, entrò in quel paese con le bande armate, passò in Torraca, di là ritornò indietro, fu arrestato e condotto davanti al Retro Ammiraglio Roberti (399).

E qui è notevolissimo che nissuna ritrattazione è avvenuta nelle dichiarazioni e confessioni di Antioco Sitzia, di Vincenzo Rocci e di Giuseppe Daneri, e perciò più si riferma di essere stato sempre libero il primo nel suo comando; mentre gli stessi Daneri e Rocci assicurano di non mai essergli sottentrato alcuno nel comando del piroscafo, ma in vece aver essi obbedito agli ordini che direttamente davano i rivoltosi (400).

Se dunque le ritrattazioni non giovano, niente affatto possono giovare poi le deposizioni dei testimoni del giudizio penale, i quali testimoni sono del tutto stranieri agli avvenimenti del CAGLIARI ed i quali sono: Giuseppe Caputo, Luigi Esposito, Francesco Martino, Giambattista Majorino, Michele Mazzoccoli e Giosuè Colonna.


§. VII. Inutile ricorso al Decreto del Governo Sardo del 7 luglio 1851.

L’articolo unico di cui si compone quel Decreto converte il passaporto marittimo nel visto dell'autorità competente sul ruolo dell'equipaggio del legno. Esso non parla dell'atto di proprietà del medesimo, che è il primo documento che deve conservare a bordo il capitano, conforme al testuale disponimento dell’art. 242 del codice di commercio per gli Stati sardi, in guisa che questo precetto sta tuttavia nel suo pieno vigore.

Anche qui pare che i nostri contraddittori abbiano creduto d’intravedere, ciò che in vece veder dovevano chiarissimamente.


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§. IX. Somma e conchiusione

Stringendo in poco il molto disputato, e ricordandolo per fior di accenni, abbiamo fede di aver pruovato:

I. Che sieno competenti a giudicar della preda del CAGLIARI i Tribunali napolitani:

II. Che ammissibile sia e senza contraddetto, la istanza avanzata dai predatori di quel piroscafo.

III. Che evidente si mostra la indipendenza del giudizio civile della preda dall’altro penale, tuttora in corso in Salerno.

IV. Che non meno pei fatti piratici che per gli ostili, certo ed irreplicabile sia il caso della legittima preda del CAGLIARI.

V. Che ben si asside alla specie che ne occupa l'esempio del Carlo-Alberto verificatosi in Francia nell’anno 1852.

VI. Che di preda è la disputa. E che se poi di ripreda si disputasse, avrebbe il collegio stesso degli avvocati contrari, deciso la causa contro dei suoi clienti.

VII. Che se mai son veri i riscontri di buona preda nell'operato del CAGLIARI, la perdita di questo legno colpisce il proprietario, anche a fronte della innocenza di costui e della patita forza maggiore del capitano Sitzia.

VIII. Da ultimo, essere luminosamente dimostrato, non solo il difetto della sofferta violenza, ma l’innegabile concorso di costui nel novero dei tremendi fatti consumati in Ponza e poscia nel continente del regno.

Napoli 11 Maggio 1858.


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NOTE

(1) Gazzetta piemontese, 19 marzo 1858, n. 67.

(2) Scrittura pubblicata nel dì 6 febbraio 1858, intitolata, Difesa del CAGLIARI nella Commissione delle prede e dei naufragi.

(3) Comunque di questa eccezione si fossero riserbato trattarne in altro lavoro, pure è il primo capo delle appello prodotto da Rubattino e da Sitzia.

(4) Riscontrate il Capo I §. IX della parte teorica, faccia 72, del nostro discorso.

(5) Vic. vr. Vocabolar. iuris. Voce, competere.

(6) L. 19 ff. De iurisdiction e .

(7) Vico de uno universi iuris principio et fine uno. Lib. 1. cap. 149. Lib. 2. cap. 20 e 21.

(8) L. 3. Cod. de infant. e xpos.

(9) Annalium lib. 3. cap. 61. adde Cuiacium. Comment. digest, reoit. sollemn. ad Tit. de iurisdiction e to. 7. columna 73. Editio neapolitana.

(10) De jure belli ac pacis lib. 1. cap. 3. §. 1.

(11) 2 agraria cap. 36 e Seneca De clementia lib. 1. cap. I .

(12) Rep. Prise ma ritim e §. VII. art. 2.

(13) Seduta del 25 germinale anno 4.

(14) Ordinanze del 22 luglio 1814, 9 gennaio, 23 agosto, e 5 settembre 1815. Manuel de droit commercial, chap XV des prises, pag. 497.

(15) Leggi del 2 settembre 1826, del 25 marzo 1817, e del 1816, organica della G. C. dei conti.

(16) Art. 2 della legge penale per la Marina mercantile del 13 gennaio 1827, promulgata del Re di Sardegna, Carlo Felice.

(17) Art. 69 della stessa legge.

(18) L. 2 ff. quod quisque iuris ecc.

(19) Dritto marittimo di Europa art. 3. pag. 310 §. 7.

(20) De jure m aritimo, lib. 2, cap. 4. §. 6.

(21) Droit des gens lib. 3. eh. 7. §. 132.

(22) De la Saisie des Bàtimneut. tom. 2. eh. 3. §. 2.

(23) Del commercio dei neutri pag. 208.

(24) Riscontrate AZUNI nel luogo di sopra citato, e MERUN rep. voce prede marittime §. 7. dove si recano le diverse opinioni degli scrittori.

(25) Le due intere domande da noi sono state riferite per tenore nel nostro discorso, pag. 200 a 205.

(26) Art. 11 6 della Legge 25 marzo 1817, ed art. 203 della LL. di procedura civile.

(27) Art. 5. Leggi civili.

(28) Art. 4.

(29) Art. 3.

(30) É la formale domanda di Sitzia non solo, ma pure di Rubattino del 20 ottobre 1857 diretta alla Commissione delle prede, pubblicata nel precedente nostro discorso a faccia 200 e seguenti.

(31) Trait é du droit international privé n. XI. p. 13.

(32) Tra c t. de Statutis.

(33) Trait é du droit international privé, per totura.

(34) Rep. et quaest. mot. prise maritiine, § 7. Art. 1.

(35) Rep. mot. prise maritime § i. N. 1.

(36) Diction. de commerce, mot. prises maritimes num. 98 e 99.

(37) De iure maritimo lib. 2. cap. 4, n. 6.

(38) Regles internationales tom. 1. p. 256 e 227.

(39) Trait é du droit international privé. N. 508, p. 533.

(40) De la libertà de la mer. p. 250, n. 2.

(41) Précis du droit des gens moderne de l'Europe § 322.

(42) Notes a Martens § 522.

(43) Elements of international low. tom. 2 part. 4 chap. 2 $ 13.

(44) De la saisie d e s bàtiments, tom. 2 chap. 3 $ 6.

(45) Du commerce des neutre pag. 208.

(46) Dritto marittimo di Europa tom. 2, p. 315, n. 7.

(47) Le droit des gens tom. 1., § 88 p. 374.

(48) Art. 2 e 69, della legge penale per la Marina Mercantile del 13 gennaio 1827.

(49) L. 1 . ff. de justitia et jure.

(50) L. 118 ff. de verborum significatione.

(51) De civitate Dei, Lib. 5. cap. IX.

(52) De universi juris principio et fine uno, n.° 48.

(53) De jure belli, ac pacis, tom. t. cap. 3. n.° 1.

(54) Oratio 2. de lege agraria n.° 36.

(55) De clementia Lib. t. cap. 1.

(56) Tractatus de juribus Majcstatis, Lib. 1. cap. 33. n.° 25.

(57) De jure belli, Lib. 1. cap. 3. pag. 12.

(58) Tractatus de regalibus, cap. 1.

(59) Le droit des gens, tom. 2. livre 3. chap, 1. §. 4, anche il nostro TORQUATO bellamente descrive i regi poteri, allorché dice:

Esser sue parti denno

Deliberare e comandare altrui,

Imponga ai vinti legge egli a suo senno;

PORTI LA GUERRA e quando vuole e a cui.

Ger. lib. Canto 1.

(60) Op. cit. lib. ì. cap. 1. n.° 2.

(61) Ad n otationes in GROTIUM, loco citato, n.° 4.

(62) Op. cit. tom. 2. liv. 3. c h ap. 5. §. 70, e 71, pag. 124.

(63) lnstit. tit. de jure personarum §. 3.

(64) Livius historiarum, tom. 1. cap. 38.

(65) Antiquitates romanae, lib. 2. tit. 1. de rerum divisione, $. 2. L. 36 ff. de religiosis et sumptibus funerum.

(66) Lib. 3, cap. 8.

(67) Lib. 2, cap. 17.

(68) De republica lib. 2. S. 19.

(69) De l e gibus lib. 1. cap. 7.

(70) Epist. 90 e 95.

(71) De augmentis scientiarum lib. 7. cap. 1.

(72) Ad Romanos, cap. 1. 1 4 .

(73) I bidem, cap. 10. 42.

(74) Ad Corinthios 1, cap. 7. 21 e 22.

(75) Ad Ep h esios, cap. G, 1. ad Coloss. cap. 3, 20, 21 e 23.

(76) Ad Ep h esios, cap. 5. 22, 23 e 24.

(77) Ad Romanos, cap, 13, 1 .

(78) Ad Titum, cap. 3. 1.

(79) Ad Galat. cap. 5, 22 e 23.

(80) Ad Epùesios cap. 6. 13 e seguenti.

(81) Ferrea jura. VIRGILIO Georg, lib. 2. verso 522.

(82) ANGELO DI COSTANZO, CAPECELATRO, GIANNONE ed altri storici son pieni di questi esempi.

(83) ARTURO DUCK. De auctori tate juris civilis, lib. 1. cap. 7. §. 14.

VICO. De universo juris principio et fine uno, S. 114.

MONTESQUIEU. Esprit des lois, livre 38. chap. 40.

ROBERTSON. Introduction à l'histoire de Charle V.

R Y AN. Bienfaits de la réligion cfirétienne, per totum.

M Y SENBUG. De Christianae religionis vi, et e ff ectu per totum.

GALANTI. Descrizione geografica delle due Sicilie, tom. 1 pag. 107, not. 1.

DURAND. Histoire du droit canon part. 2 chap. VII p. 255.

TROPLONG. De l'influence du christianisme per totum.

(84) Le droit des gens, tom. 2. liv. 3. chap. 8. §. 148, 149 e 150.

(85) Historiarum, lib. 28.

(86) Trait è théorique, e pratique du droit criminel, tom. 1. §. 9 et notes 1 e 2 .

(87) De regimine principum lib. 1, cap. 1. in fine et cap. 2.

(88) Trait è de droit criminel to. 1, § 274, p. 401.

(89) Pag. 138 e 140 della Difesa del CAGLIARI.

(90) Articoli 44 e seguenti LL. PP. e 1° LL. di procedura nei giudizi penali.

(91) Riscontrate il nostro discorso, pag. 74 ad 87.

(92) In pandectas, tit. de excep t ione rei iudicatae, n.° 7.

(93) Proc. pen. lom. 3 part. I.° §. 970 pag. 987, pag. 77 del nostro discorso.

(94) Art. 1305, LL. CC.

(95) Pag. 423 not. 2 .

(96) Qui vien citata gran copia di leggi romane.

(97) Ibidem pag. 424.

(98) Art. 4 4 delle Leggi Penali.

(99) Articolo 45 LL. PP.

(100) 6 LL. PP.

(101) Pag. 142 della Difesa del CAGLIARI.

(102) Institutiones, pag. 281.

(103) vol. 1, institutiones pag. 131.

(104) L. 130 ff. de R. f.

(105) Tit. del ff. de condictione furtiva per totum, Institutiones tit. de obligationibus quae ex delieto nascuntur, Cod. tit. de condictione furtiva.

(106) Spiegazione storica degli istituti di Giustiniano lib. 4. tit. 1.

(107) Manuale del dritto romano §. 447.

(108) Instit. lib. 4, tit. 1, §. 4 et sequentes, e le leggi concordanti al ff. tit. de condictione furtiva.

(109) Pag. 145 e 147 e s e g. della difesa del CAGLIARI.

(110) Droit chil tom. 10, pag. 183 n.° 216.

(111) Institu t iones lib. 4, tit. 6, de actionibus §. 13.

(112) L. 3 ff. de collusione detegenda.

(113) Opera e luogo citato n.° 226.

(114) Opera e luogo citato, pag. 478, 479 e 481.

(115) Pag. 147 e seg. della Difesa del CAGLIARI.

(116) Procedura penale tom. 3, part. 1, §. 999.

(117) L. 27 ff. de exceptione rei iudicatae.

(118) Pandect. lustin. hoc titillo, n.° II. not. 1.

(119) L. XI, §, 4 et 5 ff. tit. cit.

(120) L. XX, ff. de e xcept. rei judic.

(121) L. XI, tit. cit.

(122) L. XIV, §. 2, tit. cit.

(123) L. CLIX, ff. de reg. jur.

(124) L. V, ff. tit. cit.

(125) Pandect. instin. loc. cit. n. ° 28 not., 1.

(126) L. 14 e 27 ff. de exeptione rei iudicatae.

(127) Tom. 5, pag. 174, sulla cosa giudicata.

(128) §. 769, dell’autorità della cosa giudicata n.° 3

(129) Art. 1, Leggi della Proc. nei giud. penali.

(130) Art. 5, delle LL. di Proc. nei giud. penali.

(131) Art. 44, delle LL. penali.

(132) Art. 46, delle LL. penali.

(133) Art. 49, delle LL. penali.

(134) Art. 29 e seg. del titolo 23 part. 2, delle dette ordinanze generali.

(135) Art. 20 dello stesso titolo delle Ordinanze generali.

(136) Art. 153 della legge del 13 gennaio 1827 che approva il regolamento per la Marina mercantile del Re di Sardegna, Carlo Felice.

(137) Questioni de droit mot reparation civile §. 2 n.° 5.

(138) Tom. 13, n. 486 et suivants.

(139) Legislation criminelle, tom. 1, n. 61.

(140) Trait é de l'action publique, tom. 2, n. 423 et suivants.

(141) Trait é du droit crìminel, tom. 2, n. 660.

(142) L. '28 e 29, ff. de legibus.

(143) L. 80 ff. de regulis unis. Riscontrate il nostro discorso fac. 84 e seguenti.

(144) Antonio Starace.

(145) Vedete il nostro discorso dalla fac. 89 in seguito.

(146) Fac. 172 e seguenti della difesa del CAGLIARI.

(147) Fac. 179 e seg.

(148) Fac. 173 della Difesa del CAGLIARI.

(149) Fac. 191 e seg. del precedente discorso.

(150) Riscontrate il nostro precedente discorso da faccia 182 in seguito, dove sono riferite, per disteso, le teorie che qui ricordiamo.

(151) L. XXI ff. de captivis, vedete il nostro discorso, a faccia 174.

(152) De luribus Majestatis lib. 1 cap. 33 §. 78 e 79.

(153) De iure belli lib. 1 in principio a lib. 1 cap. 4.

(154) Op e r. cit. Lib. 1 Cap. 14.

(155) In principato citeriore.

(156) Fac. 477 della Difesa del CAGLIARI.

(157) Pag. 458, 150, 160 e seguenti.

(158) Fac. 404 a 174 del nostro discorso.

(159) Fac. ICO della Difesa del CAGLIARI.

(160) Obs e rvationes juris romani lib. 5 cap. 22.

(161) De iura belli lib. 1 in principio e 1 cap. 4.

(162) Operum tom. 7, pag. 28 e 30 Lit. E in fine del discorso fac. 101 e 103.

(163) CICERO pro Milone.

(164) Pag. 135 e scg. del nostro discorso.

(165) Fac. 174 e seg. del nostro discorso.

(166) Fac. 161 e seg. della difesa del CAGLIARI.

(167) M ERLIN Rep. mot. prise maritime §. 4.

(168) Moniteur universel p. 1084, an 1832.

(169) Traité de l'action publique et privée §. 845 e 846.

(170) Régles internationales et diplomale de la mer tom. 1 pag. SOI.

(171) Pag. 308.

(172) Note I pag. 491 du m anuel du droit commercial de BRAVARD-VÉVRIERES. Titre de prises.

(173) Traité du droit criminel applique aux actions publiques et priv é es tom. 4 pag. 365 e seguenti.

(174) Tom. 2, pag. 250.

(175) De la iurisdiction de la marine, art. 23 pag. 441.

(176) Art. 5 del titolo delle prede delle Ordinanze generali della Real Marina. 2 parte tom. 2 pag. 372.

(177) Art. 199 della legge per la marina mercantile del 13 gennaio 1827.

(178) Dritto marittimo dell’Europa tom. t cap. 4 art. 1 delle prede pag. 282 S3, e Vocabolario ragionato della giureprudenza mercantile, parola preda §. 2.

(179) Trattato delle assicurazioni marittime tom. 2, tit. 12 delle prese pag. 181 n. ° 8.

(180) Dei doveri dei Principi neutrali cap. 9, §. 2.

(181) De bello Gothico, lib. 1, cap. 2.

(182) De iure belli ac pacis lib. 3, cap. 17 n. ° 2.

(183) De navibus ob v e cturam v e litarum mercium commissis, tom. 2 pag. 310 in opusculis.

(184) Mare clausum, lib. 2, cap. 20.

(185) Droit des gens lib. 3, cap. 7, §. 3.

(186) De la saisie dcs bàtimens neutres, toin. 1, part. 2, chap. 3, §. 5.

(187) Art. 2, 3, 11, 12, 16 e 18 della legge del 12 ottobre 1807.

(188) Art. 7 del Real decreto del 31 agosto 1807.

(189) L. 1, §. 1, ff. de adquirenda vel ami tte nda possessione.

(190) De dominio maris, dissertatio, cap. 2 in fine.

(191) L. 239, § 8, ff. de verborum significatione.

(192) Dritto marittimo dell’Europa tom. 1, cap. 2 del mare, territoriale, e specialmente art. 3, pag. 257.

(193) Opera su citata, art. 2, §. 14, pag. 255.

(194) Lib. 1, cap. 1, §. t.

(195) Opera citata tom. 1, pag. 153 e seg.

(196) Opera citata tom. 1, pag. 316.

(197) Cap. 5.

(198) Mare clausum.

(199) CAMBDELI. vita Elisabethae, ad annuui 1580.

(200) Art. 6, 11, et passim.

(201) Ar t . 188 della cit. legge sulla marina mercantile del 13 gennaio 1827.

(202) Dritto marittimo di Europa tom. 2, pag. 315.

(203) Opera e luogo cit. pag. 286.

(204) Opera citata tom. 1, pag. 181.

(205) Elements of international low. tom. 2, chap. 3, §. 9.

(206) Opera citata tom. 1, pag. 366, lib. 1, cap. 23, n.° 289.

(207) Vol. 3, pag. 261

(208) Rep. mot prise maritime §. 4.

(209) De las presas part. 1, cap. 4, §. 15.

(210) Traité des prises cap. 4, section 3, per totu m .

(211) Discorso faccia 97 e seguenti e specialmente dalla faccia 116 in poi.

(212) Capitolo IX.

(213) Dall’articolo 74 al 131.

(214) Art. 102 della suddetta legge.

(215) Art. 74 della suddetta legge.

(216) Art. 11 9 LL. PP.

(217) Art. 1.

(218) Discorso faccia 116 e seguenti; faccia 1, 2, 3 e seguenti dei documenti; e faccia 2 e 3 della Difesa del CAGLIARI.

(219) E questo il caso in cui l'Inghilterra ritiene la nave pacifica tramutata in Pirata. Vedete il nostro discorso, alle facce indicate.

(220) WHEATOX. Ricerche intorno alla legalità della pretesa dell'Inghilterra di aver diritto di visitare e di perquisire navi americane, sospette di fare il traffico degli schiavi, Londra 1842, PHILLIMORE. International low tom. 3. p. 420.

(221) Comment. Vol. I, pag. 154, part. I.

(222) VELFIO. Jus nat. et gent. cap. 7, § 857, GROZIO. de Jure belli ac pacis, Lib. 3, cap. 1, § 5, 6 e 7.

(223) Diritto marittimo di Europa tom. 2. art. t. pag. 259 e 2 6 0.

(224) Opera citata, tom. 2. pag. 203.

(225) Ibidem pag. 206.

(226) Ibidem pag. 206.

(227) Comment. sur l'Ordonnance de la Marine du moi d’aùt de l’an 1681 tom. 1 pag. 250 e 251.

(228) Art. 1. Tit. XXIII delle prede, part. 2.

(229) Quaestiones iuris publiri. Lib. I cap. 14.

(230) Droit des gens. Livre 3, cap. 7, § 114.

(231) Traité des prises. chap. 1. sect. 1. §4.

(232) Diritto marittimo di Europa, tom. 2. chap. 3. art. 4.

(233) Dei doveri dei principi neutrali pag. 458.

(234) Del commercio dei neutri § 12 pag. 152.

(235) Considerations sur le droit, sect. 5. § 131.

(236) Precis du dorit des gens g 117—321.

(237) Droit des gens moderne § 293.

(238) Elements of international low. vol. 2. p. 218.

(239) Difesa del CAGLIARI faccia 223 e seguenti. Discorso precedente faccia 44 e seguenti.

(240) Faccia 179 della difesa del CAGLIARI.

(241) I nstit. Tit. 1. ile rerum divisione et de adquirendo carum dominio, S. XVII.

(242) Commentar, lib. 2. § SO.

(243) L. 51 § 1. ff. de adquirendo rerum dominio.

(244) L. 1. § 1. 1l'. de adquirenda possessione.

(245) Inst. lib. 2. tit. 1. De rerum divisione § XVII. num. 2.

(246) Instit. lib. 2. tit, c od. § XVII.

(247) De iure naturae et gentium tom. I, lib. 4, cap. 6, § 14.

(248) Vedete il nostro precedente discorso all'uopo f accia 52 e seguenti.

(249) Trattato delle assicurazioni marittime. Tom. 2, Parte 5, tit XI, delle prese n. 1, pag. 178.

(250) De assecurationibns pars. 4, n. 1627.

(251) De assecurationibns nota 54.

(252) Ponderazione marittima, cap, 56, n 2, e cap. 66.

(253) De commercio cap. 14, n. 46.

(254) Traité des assuranccs art. 48.

(255) Des assurances n. 54.

(256) Discorso, faccia 112 e 115.

(257) Discorso, faccia 148 e seguenti.

(258) De iure belli ac pacis, lib. 3, cap. 9, § 17.

(259) De commercio, discursus 64 N.° 6.

(260) N.° 5 e 6.

(261) De las presas, part cap. 6, $ 5 e G.

(262) CARLO JOIISON, histoire des pirates Anglais, Paris, an 1726 in fine.

(263) Leg. 7. £f. de iustitia et iure.

(264) Authentica res quae cod. communio de legatis.

(265) Ius publiram universale, lib. 3, cap. 8, § 7.

(266) Observations sur la cou t um e de Bourgogn e, chap. 23, N.° 62 e 63, pag. 457.

(267) Ad ff. tit. de statutis N.° 12 e 17.

(268) Dell'uso ed autorità delle leggi, passim.

(269) Traité des lois des colonies tom. 1, pag. 5, et suivants.

(270) L. ult. cod. de caducis t ollendis § 14.

(271) Tom. l° Principes de legislation chap. 4.

(272) Tom. XIX, Istituzioni di civile filosofia, lib. 1. cap. 2, § 5, pag. 61.

(273) De officiis lib. 3 cap. 12.

(274) Ibidem.

(275) Saggio di Scienza politico-legale. Vol. 1, pag. 19.

(276) Esame analitico del sistema legale lib. 1.° introduzione § 15, pag. 16., TACITO — Annali, lib. 3, § 27.

(277) S. Paolus Epist. ad Romanus.

(278) De iure et ufl i cii tom. 2, lib. 2, cap. 7, § 4, pag. 88.

(279) Opera citata cap. 9.

(280) Tractatus de Juribus Maiestati, lib. 1, cap. 1. § 43.

(281) Opera citata, tom. 1, lib. 1, cap. 4, § 50, pag. 130.

(282) Filoso fi a del diritto, vol. 2, pag. 351 e pag. 528.

(283) L. 7 e seg. ff. de Legibus.

(284) Traité teorique du droit criminel, tom. 1, liv. 1, chap. 1, n.° 1.

(285) De legibus lib. 2.

(286) De clementia lib. 1, cap. 12.

(287) Genesi del diritto penale § 195.

(288) Essa y s philosophiques, vol. 2, chap. 12, pag. 269.

(289) C omentario alla scienza della legislazione di GAETANO FILANGIERI cap. 6

(290) Introduzione al diritto pubblico universale par. 2, cap. 1.

(291) Principii penali cap. 2 e 3.

(292) Principii di giurisprudenza criminale cap. 1, sez. 1.

(293) Genesi del diritto penale § 1033.

(294) Institutiones theor. prac., lib. 1. § 12 in principio.

(295) Leggi penali lib. 1, tit. 2, cap. 3, art. 61 e seg.

(296) MITTERMAIER, dissertazione della idea e del carattere del dolo, negli scritti Germanici di diritto criminale tom. 1, pag. 31.

(297) Art. 373 leggi penali.

(298) Legge sulla Dogana del 20 dicembre 1826.

(299) Scienza della legislazione tom. 4, pag. 90.

(300) Dei delitti e delle pene § 11.

(301) Theorie des peines legales tom. 2, lib. 1, cap. 1.

(302) Genesi del diritto penale § 1094 e seg.

(303) Traité du droit pena l liv. 2, cap. 9 e 17.

(304) Teoria delle leggi della sicurezza sociale lib. 3, par. 3, cap. 3.

(305) Principii di giurisprudenza criminale, nozioni preliminari N. 35.

(306) De cive, cap. 14, § 10.

(307) De jure naturae et gentium, par. 8, cap. 3, 8 576.

(308) Opera citata liv. 1, chap. 6, de l'utilità generale pag. 90.

(309) Theorie du cod. pena l. chap. 1, n.° 5.

(310) Opera citata, to. 1 pag. 155,

(311) Vita agricole, cap. 3.

(312) Difesa del CAGLIARI faccia 220 e seguenti.

(313) Tom. 2. parte 2.

(314) Art. 25.

(315) Art. 26.

(316) Faccia 203 e seguenti.

(317) Discorso faccia 21 e seguenti.

(318) Articoli 2, 3, 11, 12, 16 e 18 della legge del 12 ottobre 1807.

(319) Art. 240 cod. di com. per gli Stati di S. M. il Re di Sardegna.

(320) Art. 241 del detto Cod.

(321) Art. 242 detto cod.

(322) Art. 246 detto cod.

(323) Queste disposizioni sono uniformi a quelle delle nostre leggi di eccezione per gli affari di commercio.

(324) Art. 24 della legge per la marina mercantile per gli Stati di S. M. il Re di Sardegna del 13 gennaio 1827.

(325) Art. 205 della stessa legge.

(326) Leg. 22 cod. de probationibus, et concordantes eodem titulo al digesto.

(327) Leg. 16 cod. de probationibus, discorso faccia 67.

(328) Loxicon iuridicum, voce vis.

(329) Apud SACELLI. R e pertorium iuris, voce, vis.

(330) De nautis, par. 5 n. 50.

(331) De nautis, not. 51 e 70 et responsum 27.

(332) De comm. discurso 23 n. 76.

(333) De jure marittimo lib. 2 cap. 4.

(334) De comm., discurso 9 e 14 per totum.

(335) Dizionario universale di giureprudenza mercantile parola capitano § 43.

(336) Trattato delle assicurazioni marittime tom. 2 part. 5 pag. 184.

(337) Art. 6.

(338) Ordinanza generale della Real Marina tom. 2. part. 2 tit. 23, delle prede.

(339) Art. 141 e seg. di detta legge.

(340) Discorso, faccia 159 e seg.

(341) Citate ordinanze generali tom. 2 tit. 1.

(342) Art. 6.

(343) Articolo 96.

(344) Art. 123 dello statuto penale militare e seguenti.

(345) Art. 137 dello statuto penale militare.

(346) Oratio pro Quinto Ligario cap. 1.

(347) L. 4. ff. de confessis.

(348) Art. 4310 leggi civili.

(349) L. 3. § 4 ff. de peculio. VOET in pandectas lit. de re judicata n. 30, MERLIN. Rep. effet retroactif sect. 3 §. 2.

(350) Art. 347 e seg. 11. di proc. civ.

(351) Art. 249 delle leggi di procedura nei giudizi penali.

(352) Art. 218 delle stesse leggi.

(353) Art. 264 e 265 delle medesime leggi.

(354) Art. 266 e seguenti delle leggi di procedura penale.

(355) De tacitis ed ambignis lib. t cap. 4, §. 9.

(356) Faccia 1. a 72 dell'appendice.

(357) Faccia 1. ad 88 dei documenti.

(358) Numero 18 faccia 35 dei documenti in appendice alla difesa del CAGLIARI.

(359) N. 19 faccia 36.

(360) N. 31 faccia 38.

(361) N. 27 e 28 fac. 44 a 45.

(362) N. 30 fac. 55.

(363) N. 31 foglio 55.

(364) N. 32 fac. 57.

(365) N. 34 fac. 60.

(366) N. 35 fac. 61.

(367) N. 36 fac. 62.

(368) N. 37 fac. 64.

(369) N. 38 fac. 65.

(370) N. 51 fac. 87.

(371) N. 52 fac. 88.

(372) N. 28 e 29 a faccia 35 e 3 6 dei documenti in appendice alla difesa del CAGLIARI.

(373) N. 25 e 26 faccia 43 e 44 dell’appendice della difesa del CAGLIARI.

(374) Art. 205 della citata legge.

(375) N. 6. pag. 6 e 7 dell'appendice dei documenti del precedente discorso e n. 9 faccia 18 dei documenti in appendice alla difesa del CAGLIARI.

(376) N. 4 faccia 4 e 5 dell'appendice del discorso e n. 15 faccia 29 de' documenti della difesa del CAGLIARI.

(377) N. 52 faccia 88 de' documenti prodotti della difesa del CAGLIARI.

(378) N. 36 faccia 43 dell'appendice de' documenti al discorso, e n. 29 faccia 46 dei documenti della difesa del CAGLIARI.

(379) Luogo citato di sopra.

(380) Faccia 203 del precedente discorso.

(381) Faccia 204 del suddetto discorso.

(382) S. PAULIS ad Romanos cap. 2 vers. 14 et 15.

(383) N.° 10 farcia 11 appendili; dei documenti del discorso.

(384) N.° 22 faccia 29 appendice del discorso, faccia 46 e seg. dei documenti della difesa del CAGLIARI.

(385) Faccia 55 XX della di f esa del CAGLIARI.

(386) I Faccia 55, 57 e 64 N.° XXI, XXII e XXVII ibidem.

(387) Fac c . 60, 61 e 6 2 N. XXIV, XXV e XXVI.

(388) N. XVI faccia 15 dell'appendice in fine del nostro precedente discorso.

(389) Faccia 65 e 66 N. XXVIII.

(390) N. 38 pag. 45 e 46 del precedente discorso.

(391) Ar t . 1 7 e 18 11. pp.

(392) Num. 66 faccia 68 dell'appendice al discorso, e num. V. foglio 8 dell'appendice alla difesa del CAGLIARI.

(393) Tom. 2.° parte 2. p. 371.

(394) Tit. 1. ° della sud. parte 2., ed art. 6 del tit. 23, delle prede.

(395) Art. 7.

(396) Art. 12, 13, 14 e 18.

(397) Art. 28 ibidem.

(398) Art. II I dello stesso Statuto militare.

(399) Num. 11, faccia 11 dell’appendice de' documenti del precedente discorso.

(400) Num. A, 5 ed 8, faccia 4 e seguenti ibidem dell'appendice al discorso.




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GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano






Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le déloppement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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