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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

UN EPISODIO SULLO SBARCO DI CARLO PISACANE IN PONZA

NARRATO DAL DOTTOR VINCENZO DE LEO

NAPOLI

TIPOGRAFIA DI GIUSEPPE CARLUCCIO

Vico Carogioiello a Toledo, 17

1868

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Quando per la prima volta nel 1861

Quando per la prima volta nel 1861 appresi che il disastro della spedizione Pisacane si voleva in tutto o in parte attribuire a me, che nel 1857 unico relegato politico mi era sull’Isola di Ponza, scrissi poche righe di difesa, ed aspettai che il tempo riconducesse sulla dritta via la pubblica coscienza forviata per inganno altrui.

Poco tempo dopo però anziché sventarsi la diceria, parve prendere consistenza maggiore; ciò non pertanto nel dubbio se più meritasse riso chi la rimetteva in campo, o coloro che vi aggiusterebbero fede, certo della rettitudine del mio operato, trincerato nel quartiere della propria coscienza, mi tacqui.

Ma posciaché ad onta di chi fin dal 1863 sforzossi impedire «che più oltre il plauso della storia cadesse come sasso da fromba al declivio» della parabola sopra uomini, popoli e province,cui per vero noti spetta»,altri surse a confermare l’infame accusa, che nell’attuale mio soggiorno in Napoli seppi persino ripetuta, da chi in verità aveva interesse a divulgarla, in pubblica assemblea tenuta nella sala della Facoltà Chimica; non potei più in là contenermi, imperocché è l’onore l’unico retaggio che lasciar potessi a' miei posteri, ed acciò non venisse menomamente ottenebrato dalla nequizia de' tristi; a queste pagini attesi; dalle quali si apprenderà una volta di più come, specialmente ne’ politici travolgimenti, le azioni generose offrono ad un tempo la seducente prospettiva del Campidoglio e l’abisso della rupe Tarpea.

Con l’animo affranto dal dolore ed umiliato nel mio più caldo sentimento, che è l’onore d'Italia, mi accingo a narrare i fatti sanguinosi e vituperevoli avvenuti nella nefanda settimana di Palermo.

Nato in Basilicata

E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe Mendicando sua vita a frusto a frusto, Assai lo loda, e più lo loderebbe.

Dante — Paradiso C. VI.

Nato in Basilicata, terra classica per rivoluzione, e propriamente in Montalbano Jonico, là ov’ebber culla Francesco Lomonaco, Nicola Fiorentini e Felice Mastrangiolo, sortii da natura animo intollerante di oppressione. Mi ebbi in famiglia ed in Napoli una educazione abbastanza progredita; fanciullo ancora, i primi lumi della ragione mi fecero desiderare la libertà; crebbe in me questo desiderio al pari di Alba non leggiera istituzione letteraria e scientifica,che nel 1844 mi fruttò la Laurea dottorale in Medicina è Chirurgia. Non mai le più disastrose vicende, gli esiti, i pericoli, la carcere, gli agi stessi potettero farmi perdere di vista un obbietto sì caro, l’amor de|, verso il quale ha sempre mirala ogni mia operazione.

Nel 1848, alla età, di cinque lustri a un di presso, in una condizione sociale discretamente agiata, lieto di gioventù e di speranze; all’inizio di una brillante carriera che il felice successo con cui inaugurai l'esercizio della professione Medico-Chirurgica m'imprometteva; guidato sempre da quegl'ineluttabili principi di filosofia, universale, che il cardine costituiscono di ogni ordinato viver civile, «allora che il Borbone meditava distruggere ogni ombra di progresso, e, spergiuro, ci ritoglieva le franchigie concesse; senz’altrimenti esitare mi lanciai a corpo perduto in quel movimento, che col suo fine miserando preluse all'altro che sotto migliori auspici più gloriosamente compimmo nel 1860.

Non dirò quel che feci e scrissi dopo il fatale 15 maggio, e come non mai smentissi me stesso. Chi. ne abbia vaghezza rivegga le tavole processuali esistenti nella ex ’ Corte Criminale di Potenza, e «erto resterebbe meravigliato vedendo con quant’abnegazione e generosità mi acconciassi al martirio, ch'era per venirmi da una Idea!11 — Cennerò

soltanto, che qual Deputato Lucano nella confederazione delle tre Puglie, Contado di Molise e Basilicata, apponessi il mio nome al Memorandum spedito al Bombardatore di Napoli; che nel processo contro di me compilato, diversi carichi da vari comuni addebitatimi vi figurassero; e finalmente come ne) mio interrogatorio, con. virtù piuttosto unica che rara, addossassi a me solo una corrispondenza cospiratoria avuta col Comitato di Calabria Città, allegando aver io stesso apposto ad essa la firma dell’egregio patriota signor Nicola Rogges da Pisticci, che vi si leggeva al pari della mia. Ciò facendo salvai il Rogges; ma i miei inquisitori condannandomi a 19 anni di ferri, tennero avermi usata amicizia!....

Onorato del titolo di cospiratore e di eccitatore fui condotto ad espiar la pena nel Bagno di Procida, ove rimasi un lustro all'incirca; e l’altezza della Idea che a sì nobile martirio avevami spinto, rendendomi superiore a tutte le privazioni e a' dispiaceri che poteva indurre la catena, che ci legava a coppie come bestie aggiogate all'aratro, mi vi ci tenni con irreprensibile decoro. La testimonianza di molle centinaia di compagni con i quali soffrii, sperai, e pur. anco cospirai, dica se mai vacillassi menomamente sotto il duro peso della sventura. —Ben si rammenteranno essi, che ogni qualvolta colà si agitava la quistione se dovevasi o pur no far dimande per grazie al Borbone, io soleva rispondere, che più che individui rappresentavamo noi su quell'Isola un principio, che non pativa umiliazione di sorta, e formanti il cuore di questo nuovo Prometeo, che il continente Napoletano si era, incatenato su di una roccia, aspettavamo rassegnati il novello Ercole; quando nello scorcio dell'agosto 1856, con mia somma sorpresa ed a mia insaputa, il degno Arciprete di S. Chirico Rapato, premurato dalle preghiere dell’affettuoso mio amico Signor Luigi Chiurazzi, ottenne che la pena di ferri di dieci anni di relegazione commutata mi fosse.

Partii dalla galera di Procida con l'animo commosso dalle affezioni di tanti compagni, che potrei dir cari fratelli, e fui condotto sull'Isola di Ventotene, ove altri ne trovai, molti a me nuovi, e i rimanenti parte conosciuti nelle carceri di Potenza e parte in Procida stessa; donde, prima che a me, commutata loro la pena, n’eran pur essi venuti.

Nella nuova stazione non si trascinava la inseparabile catena, come nella galera: più liberamente ci univa il sacro fuoco di amor di patria, che pur sempre ci persuadeva a sperare un migliore avvenire lungamente atteso — Sicché quando in un bel giorno alcuni amici politici da Napoli richiesero il nostro avviso e quello degli onorevoli captivi di S. Stefano intorno la questione Murattiana, sollevata da un emissario colà giunto, a noi, raccolti in consiglio, la proposta ci parve tale da ritenersi non che indegna d’ogni italiano, — un insulto, e all’unanimità venne da tutti respinta — Ciò potrà essere felicemente ricordato da' signori Settembrini e Spaventa, a' quali io stesso comunicai la notizia del fatto, e le ragioni che c’ indussero a respingerlo.

Circa due mesi dopo questo avvenimento, giunse al Comandante di Ventotene Uffizio superiore col quale gli s’ingiungeva di persuadere i relegati politici a scrivere suppliche per grazie al Re, che l’avrebbe tosto esaudite. Animata discussione ebbe luogo sul proposito, ma non ripeterò né anche quali si fossero state le opinioni da me spiegate in quel rincontro, dirò bensì ch’esse trovarono un eco nella mente di tutti, ed in conferma di ciò stà il fatto, che di circa 70 relegati politici due solamente avvanzarono dimande di essere restituiti in famiglia, e lo furono.

Si badi: ciò avveniva soltanto pochi mesi prima del di 27 giugno 1857.

Improvvisamente un secondo Rescritto mi relega a Ponza, perché quell’Isola difettava di medici: ecco altra separazione, nuove lacrime, nuovi dolorosi addii — Era la fine di febbraro 1857, quando toccai quest’Isola. Allontanalo dal consorzio di quegli uomini, che per educazione ed aspirazioni mi erano stati fratelli si a Procida che a Ventotene; mesto sì, ma cordialmente risposi alla festevole accoglienza che mi fecero pochi relegati di condizione civile ed una diecina di ex militi di colore politico; e detti opera all’esercizio della mia professione medica. Cosi la mia vita con istancabile vicenda venivasi alternando Ira l’amor della patria e quello della scienza.

L’assiduità, lo zelo, il disinteresse con cui mi prestai per tutti indistintamente mi meritarono un rispetto da padre da que' relegati ed isolani. Le stesse Autorità locali non potettero fare a meno di dimostrarmi stima ed affetto; ed anche ora mi corre l’obbligo dichiarare francamente, che vi era tra quelle tale ch’era ben degno di esserne ricambialo, e ’l nome del Capitano Ferruggia suonerà sempre grato all’animo mio, come nell’animo di coloro che lo conobbero nel Bagno di Procida, poiché costui, cosa rara in vero, pur servendo un Governo esacrato, si mantenne galantuomo, e vado persuaso che quando si è galantuomo davvero si può avere ogni opinione politica, si può essere Assolutista, Costituzionalista, Repubblicano o altro, ma non si cesserà mai di essere onesto e leale. Tale mi si addimostrò, e tale mi stimò anch'esso, che sicuro di non esser da me com. promesso, mi permetteva financo la lettura delle Gazzette.

Ma queste pubblicate in un Regno segregato dal resto di Europa, con muraglie ben altre che quelle della Cina, in un regno in cui severamente veniva proscritta l’intelligenza, non altro che decozioni papaveriche Loiolesche si erano, e mal potevano sbramar la mia voglia di aver notizie politiche, che altrimenti mi procurava con segreta corrispondenza, che mi aveva con i cari compagni di sventura, da cui mi era allontanalo, i quali come meglio potevano, di quando in quando mi davan contezza degl’inutili sforzi fatti da colà e da Napoli per riorganizzare una seria rivoluzione in Salerno e Basilicata,, che tutte le pratiche erano quasi quasi andate a monte, e che le cose per conseguenza stavano come io le aveva Rimaste, o a un di presso nello stesso modo, non essendosi per anco affatto riordinate le fila della corrispondenza già spezzate con la carcerazione di Mignogna.

Giova qui premettere per l’intelligenza di quel che andrò svolgendo, come il signor Matina, due anni prima di me condannato alla breve e confinata libertà dell'isola di Ponza, concepisse l'ardito pensiero di accozzare tutti quei relegali, trarneli con un colpo di mano, approdare con essi in qualche punto del continente, e farne leva di una già apparecchiala insurrezione. Accettalo il suo disegno dal Comitato di Napoli, nel 1857 si credè travolgerlo in alto, e mentr’io era in Ponza, non m’ebbi da questo alcun mandato che m’ingiungesse a coltivare il bel pensiero del signor Matina, illuso che tutto dipendesse dal secreto. AI Mazzini che incessantemente domandava un ragguaglio su Ponza, glie lo dette chi sa in che modo, ben altri che io. Si slava per sino mandandolo in effetto, e sempre me inconscio e se tutte queste cose posso ricordare come prefazione del mio racconto, si è solo perché oggi sono fatti oramai entrali nel dominio della storia, alla quale essendo mio intendimento dare quegli elementi veri che mi riguardino, verrò esponendo man mano in tutte le sue circostanziate particolarità l'arrivo e la partenza del Pisacane da Ponza.

Verso le ore quattro p. m. del di 17 Giugno 1857 fermavasi nelle acque di Ponza un battello a vapore, senza che né relegali né Autorità sapessero nulla della sua missione. Dalla mia casa, ch'era a vista del Porto, per un. buon pezzo fui testimone di quanto venivasi colà operando. Datosi dal Piroscafo il segnale della riconoscenza, il Pilota, seguito dagli Uffiziali Sanitarii, subito accorse, per dar come dicesi, là pratica, ed invece se l'ebbero; giacché tratti, con astuzia e forza sul legno, vi furon tenuti; mentre tre o quattro degli arrivati, gettatisi in barchetta, si diressero verso il posto doganale, e, agii Impiegali che si mantenevano sulla Banchina, spiegarono un foglio, di cui tra pel movimento incessante che ad arte imprimevano al guscio di noce su cui stavano, tra per nomi stranieri, geroglifici e ghirigori di chi era ripieno quel foglio, mal potettero interpretare il contenuto, che per altro bentosto fu lor chiaro, da che i parlamentari da pulcini divenuti falchi, volarono sulla banchina, imponendo loro di non fiatare, mentre altri dodici, giovani audaci approdarono in altro punto, e sbucati nel largo presso la Gran Guardia, alle grida di di Viva l’Italia, sparavano colpi di gioia.

Fu tanta la paura incussa da quel pugno di valorosi, che i due quartieri vicini, contenenti buon numero di soldati, erano tenuti chiusi da un solo degli sbarcati, il quale postatosi il fucile in atto di scaricarlo, guardando a dritta ed a manca, faceva da sentinella. Solo un Tenente mise per poco il capo fuori di una terrazza, tantosto salutato da un proiettile, si rimpiattò imparando a non esporre mai più il capo a' saluti infuocali di rivoltosi.

Si succedevano queste cose, quando mi si affollarono taluni ex militi politici, richiedendomi di consigli, e quantunque non ancora sapessi di che cosa trattassesi, li spinsi ad aprire il quartiere della compagnia di punizione.

Il cenno venne immantinenti eseguito, e si metto in sodo anche questo, che sguinzagliati que’ corsi., s’introdussero nelle caserme, s’impossessarono delle armi, ed in un subito tutta l’Isola, ad eccezione del solo Fortino, che pur vinto dalla onnipotenza della paura non si attentava tirar colpo, pel mio consiglio, da un capo all’altro era in piena rivolle.

Già uscito di casa, in compagnia del mio amico signor Davide Volpe, ardentissimo giovane Ponzese, ci avviammo all’incontro degli sbarcati, che si erano già diretti per la casa del Comandante Astorino, e buon per questo che giungemmo in tempo a rattenere la mano che il giovine capo teneva alto levala su lui. Rimasto quegli, che compitissimo giovine si era, a mezzo; e quasi pentito di essere stato da noi sorpreso in allo così feroce, riposto nel fodero il pugnale con cui stava li li per consumare l'omicidio, rivoltosi a me con modi gentili ed urbani, mi chiese dapprima chi fossi, e poscia intimò all’Astorino l'escarcerazione dii tutt’i prigionieri politici, non che. la consegna di tutte le armi che nel Fortino si trovassero — Rispondendo per quella. parte che mi riguardava, gli dissi essere io l'unico politico relegato colà — Luogo di relegazione e non di carcere è Ponza, gli rispose a volta sua il Comandante. Quanto alla seconda parte, subito questi firmò l'ordinativo per la consegna delle armi; ma siccome a' pressanti interessava far economia di tempo, perché più sollecitamente le potessero ottenere, così il vollero in ostaggio insieme con la sua famiglia, sino alla resa del Fortino; e nella stessa barchetta che li doveva trasportare sul Cagliari; disceso. pur io; ne andai con essi, a fin di poterne. sapere il netto; poiché l'aver sentito richiedere al Comandante l'escarcerazione di tutt'i prigionieri politici, mi faceva tenzonar nella metile, se mai quei generosi non avessero dato in un gran granchio l’equivoco era evidente: sull'Isola di Ponza non vi erano prigionieri politici... fossero stati ingannati? si fossero pigliato giuoco di loro, spingendoli incontro a certa morte? si dovesse ripetere la seconda dolorosa scena degl'infelici fratelli Bandiera?... Intanto che mulinava simili concetti, giunti a prossimità del Piroscafo, que’ relegali che precedendomi vi avevano già piglialo posto, vedendomi giungere, cominciarono subilo a gridare «Viva il Dottore» ed io contracambiandoli il saluto con un «Viva l’Italia» montai su, ed immantinenti da due bravi giovani Napoletani fui presentato al Generale Pisacane, del quale tosto mi procacciai la confidenza, ricordandogli certe sue lettere scritte a taluni compagni del Bagno di Procida. Avendogli, poscia domandato lo scopo di quell’approdo, i mezzi e gli aiuti di cui disponeva, ei mi disse abbisognar di tutto; di uomini, viveri, combustibile per la macchina, che si era impossessalo di quel Vapore su cui si era imbarcate da Genova consoli diciassette uomini, nel mentre questo faceva rotta per Tunisi; confidare d'altronde nell’ottimo fine dell'impresa, sapere come tutte le province fossero disposte ad una grande e generale rivoluzione; la Basilicata a preferenza essere una mina, cui mancava solo la miccia, e questa voler egli apportare, sbarcando a Sapri. Intanto mi dessi opera a coadiuvarlo approvvigionando dall’Isola quanto mai potessi raccogliere, e mi disponessi a seguirlo, e come Lucano conoscitore di luoghi e persone, e come Medico dell’armata.

Il discorso di Pisacane non che rischiarare i miei dubbi, maggiormente mi riempi di stupore e meraviglia, l’avventurarsi cosi all'impazzata ad impresa si ardua poteva avere dell’eroico e del comico a un tempo; e forse più comico ch’eroe fu creduto dal Borbone, che spettatore indolente si trastullò di lui, facendolo vagar senza molestia per Ire giorni nelle campagne da Sapri a Padula.

Il suo linguaggio mi parve il delirio della mente di un egro, e senza punto nasconderglielo, alla scoverta gli dissi il mio parere senza reticenze, senz’ambagi, senza illusioni, esponendogli come non credessi ad una maturità di preparamenti io tutte le province, che se pure ignorassi quanto in esse erasi venuto operando, come Lucano avrei potuto facilmente sapere se colà vi fosse stata cosa, avvegnaché da qualche tempo avessi mancato di corrispondenze dirette: gli soggiunsi averlo forse ingannalo i corrispondenti, non per depravazione di mente, ma per sovraccedenza di cuore, ricordasse il cuore non guidato dalla mente aver dato sempre nelle secche; inoltre essere stata Sapri la tomba del Carducci, poter ancora l’influenza del brigante Peluso aggirantesi colà tenervi chiusi i cuori degli spaventati cittadini; che quella spedizione mi faceva, prevedere una tragica luttuosa conseguenza, tanto più che non vi era da fare assegnamento sul contingente offertogli da Ponza, che grande fiducia non potevagli ispirare una marmaglia di relegati per delitti comuni; e di militi parte indisciplinati e parte camorristi, salvo pochissime eccezioni; l’Isola non contenere condannati politici, me eccettualo, tutti gli altri trovarsi a Ventotene, a S. Stefano e a Procida, non che a Montesarchio. Poi vedendo come il mio parlare non valse a smuoverlo dal suo tenace proposto, mi proffersi prontissimo a provvederlo di quanto mi aveva chiesto; circa poi il seguirlo, l’era ben altra cosa.

Ahi sventura! Si verificò alla lettera quant’io predissi— Mori il Pisacane, e la sua morte fè perdere un altro Eroe alla patria, ed a me un difensore, che avrebbe dovuto confessare avermi in quel rincontro trovato Profeta.

Cuore quanto il suo, e quanto altri mai non ha avuto capace di sacrifizio mi aveva, se non che quanto potesse questo approdare non mi sapeva,. imperciocché per la mia fisica costituzione divenuto inetto alla difesa come all’offesa, io considerava più che di aiuto, gli sarei stato d’impaccio — Al che si aggiungevano le ragioni dianzi esposte della convinzione che mi aveva contraria a quella spedizione.

Otto o dieci anni innanti il suo invito sarebbe stato per me una festa, ma allora!!!... — credei meglio fargli più buoni augurii di quel che un fatale presentimento non mi predicesse, e tornarmene sull'isola.

Preso quindi commiato, e toccato la terra, come mantenessi la promessa data al Pisacane vel dica il fatto, che di relegati ne spinsi ad andarvi, e tanti che molli furono respinti, non capendone più la nave, e dando loro ad intendere che lo stesso Cagliari tornerebbe il dimani per rilevarli; e più ancora vel dica quest’altro, che negl’interrogatori raccolti da diverse Autorità, molli degl’imbarcatisi mi designavano qual principale agente eccitatore alla partenza della intera relegazione. ((1))

E se sul Cagliari immantinenti si vide buona proviggione di pasta, riso, pane e legna, ciò debbasi allo zelo e solerzia di que’ bravi ex militi politici, i quali furono, appena ebbi toccalo il terreno, da me pregati a ciò eseguire; e cosi solamente quel Piroscafo, carico di uomini e di viveri, e provvisto di combustibile potè salpare da Ponza nella notte de' 27 giugno.

Come sbarcasse a Sapri il Pisacane, quale accoglienza si avesse, come inutilmente per due giorni vagasse in quelle campagne sino a Padula, come infelicemente lo sventurato Pisacane al terzo giorno lasciasse la vita nella ma. {augurata pianura di Sanza, è campo già mietuto da più valente falce che, nulla lascia da spigolare. Pietoso ufficio invita lo storico comporre in pace nel sepolcro le. ossa dei magnanimi caduti per la libertà del paese, e questo egregiamente compiendo il Racioppi, al martirio fa succedere l’apoteosi del Pisacane: «grande figura storica fu pe’ contemporanei il Pisacane, scrive costui, un eroe da poema per i posteri, un nome degno di simpatia, di ammirazione e di onoranza per tutti». E di vero tale si addimostrò Carlo Pisacane, e tal sia di lui.

Ma che dire di qualche altro che per furente mania di deificare sé stesso, sparse voci di tradimenti, di preavvisi: al Governo di Napoli, di mancala fede di chi promise ausili! ed opere, e. non mantenne! Che dire di colui che innalza accuse a dignità di fatti privati! Ahi! troppo spesso suole accadere che le passioni offuscando l’intelletto, per attenuare le proprie colpe spinge taluni nel campo della calunnia per ivi cercarvi mallevadori de' proprii fatti.

Fu questa passione che indusse in Palermo ad agitare alla presenza dell’Eroe de' due mondi una prima quistione di onore sopra Antonio Santelmo da Padula, quello stesso che sbandito dopo la catastrofe di Ponza dalla mala Signoria de' Borboni, per tre anni andò ramingo sulla terra dell'esilio; allora, dopo esser partito da Genova con la sacra falange di Mille, dopo essersi battuto da eroe a Calatafimi, accusato di non so che tradimento nella spedizione di Pisacane.

Vedendosi così vilmente calunnialo il valoroso giovine, per non scendere alla bassezza di farsi ragione con le proprie mani, chiese al Generale del popolo qual riparazione meglio stimasse opportuna, e questi, riunito tosto un Giury d'onore, ebbe la soddisfazione di apprendere che «irreprensibile ed inattaccabile era da ritenersi la condotta del Santelmo nel disastro di Pisacane.»

Non pago di tale disfatta, lo stess'eroe ad ogni costo, nel tempo di universale tripudio, invido forse degli allori che andavansi intrecciandosi sul capo di Garibaldi, calunniò a dritto ed a rovescio tutti coloro che avevano tenuto corrispondenza con gli emigrati di Genova, ed in ispecie i tre membri del Comitato signori Fanelli, Pateras e Dragone.

Lo scandalo sarebbe divenuto considerevole, e forse il provocatore avrebbe pagato il fio della sua insolente audacia, se uomini di sperimentata reputazione liberale non si fossero frapposti a sedare quella tempesta.

Ed ecco riunirsi un secondo Giury d'onore, composto de' signori Agresti, Zuppetta, Jacovelli, Migoogna, de Boni, Matina, Fabbrizi, Saffi, Mordini e Crispi, i quali tutti a base di documenti dichiararono, ch'essi signori Fanelli Pateras e Dragone in fatti di promesse portarono il dubbio sino allo scrupolo che le loro vedute e i loro piani accennavano a semplici previdenze di favorevoli risultati, e che infine il disastro doveva ascriversi ad una di quelle fatalità, che ogni popolo è condannato a subire come inesplicabile volere del cielo, e come prezzo anticipato della redenzione.

Entrambi i tentativi così infelicemente riusciti avrebbero dovuto valere se non a far mettere senno a' detrattori per professione dell’altrui stima, almeno a farli essere meno corrivi ad incaponirsi sulla stessa calunnia gettata in volto ora ad uno, ora ad un altro; ma signor noi In tutt’i sacrifizii v’ha da essere un capro espiatorio, or perché avrebbe a mancare in quello consumato nell'agro di Sanza? É bello e grasso il Dottor De Leo; bene, non potrebb’esser egli questo capro! Ci si provarono — E di me, che dopo la liberazione da Ponza dal Governo Borbonico, confinato in Ferrandina, sotto vigile sorveglianza, animato sempre dalle idee sublimi della rigenerazione del nostro bel Paese, attestato con martirio bilustre, vi stetti mantenendo viva corrispondenza politica con amici della Calabria Citra, con i signori Cecere di Grottole, Matera di Miglionico, Rogges, De Giulio e Franchi di Pisticci, e col Comitato di Corleto; di me che l’anno innanzi presi parte alla insurrezione Lucana, e non ostante che la mia condizione fisica noi comportasse, istallai giunte insurrezionali in molli comuni, e seguii le milizie cittadine qual Medico dell'Ambulanza, ch'erroneamente venne sciolta in Napoli, quando ancor poteva essere di gran giovamento sotto le mura di Capua, ecco come agli undici di marzo 1861 vien fuori la lancia spezzata del corrispondente del Popolo d’Italia, a dare un ritratto in miniatura della mia biografia politica.

«Il De Leo, scriveva quel corrispondente, espiando condanna politica sopra Ponza, volle fare ammenda dell’errore, rifugiò in sua casa il Parroco Vitiello, prese incarico dal Pisacane di muovere i relegati ed invece li dissuase dalla impresa, e non contento, dettò al Parroco un righetto pel Re Ferdinando in Gaeta, e ’l traditore si ebbe trenta ducati, (somma grossa davvero pria quattro, poi altri sei anni di grazia, ed usci: ora è proprio uno scandalo vederlo a Capitano di Guardia Nazionale di Montalbano.

A quella lettura non potei fare a meno di ridere sull'altrui mattezza, o meglio sulla malvagità di quel corrispondente, che certo per quanto appariva bugiardo falsificando uomini e cose, altrettanto abbietto e vile mostrossi non firmandosi. In fatti poteva mai seriamente asserirsi, e rinvenire chi seriamente prestasse fede, a simili frottole! qual gonzo avrebbe pensato ch'io mi fossi dignitosamente aggiustato a dieci anni di martirio, per poi ritrarne una nota d’infamia! Era mai presumibile che quell’io che pochi mesi prima sdegnava avermi la libertà al buon mercato di una semplice dimanda, senza che il mio onore ne avesse potuto soffrire il menomo scapito, ed avessi poi, dopo l'elasso di poche lune, potuto avere l’ignominioso pensiero da procurarmela a costo di un tradimento! Avrei lascialo volentieri la pubblica opinione soltanto arbitra tra me e i miei detrattori, se non che più per compiacere il desiderio di molti e rispettabili amici, che per mio proprio molo mi decisi a scrivere un articolo, che fu inserito sul Nazionale, che restituendo ai fatti il loro valore effettivo, sbugiardava le villane asserzioni del corrispondente del Popolo d’Italia, presso a poco nel seguente tenore.

Tacerei di un fatto, che potrebbe sembrare ostentazione di una carità cristiana, del che non è merito mio, se questa mi appartenga, bensì colpa de' tempi nostri che l'hanno affatto sbandita; ma ragioni vogliono che lo palesassi.

Disceso dal Cagliari, mentre insinuava que’ bravi ex militi politici a mandar su quel Piroscafo viveri e combustibili, fui chiamato dal Parroco signor Vitiello, e in quel Patto gli giunse avviso che un Camorrista, daini punito per fatti riguardanti la morale pubblica, sarebbe al più presto li pervenuto per dare sfogo alla sua brutale vendetta. Il povero Parroco mi si raccomandò che lo facessi salvo, e pensai che il meglio sarebbe metterlo in luogo sicuro, e cosi feci, menandolo in casa di certe mie conoscenze fuori l'abitato, ove fummo seguiti dal signor Volpe, Ferruggia, Dottore Rapillo ed altri con rispettive famiglie, chè ognuno andava in cerca di un luogo recondito, per fuggire ì pericoli della ciurmaglia camorristica, abbandonatasi ad ogni eccesso. L’angusto locale, mi fè lasciare quivi il signor Vitiello, né più lo rividi che il mattino, avendo passato la notte in una contigua grolla, io compagnia de' signori Volpe, Ferruggia e Rapillo, quando, sempre unito a costoro, facendo ritorno ove era il resto della brigata, apprendemmo dallo stesso Parroco come poco innanti aveva scritto e spedito lettera al Re in Gaeta, narrandogli l'accaduto. Non è a dirsi la trista impressione che mi ebbi da tal fallo, e sarebbe tornalo intempestivo ogni rimprotto; e pur gli faceva comprendere la inutilità di quell’operato, che prima ancora quella tale lettera fosse giunta al suo destino, il Cagliari per la sua celerità, non che uno due sbarchi avrebb’eseguito.

Niuno sorse a confutarmi, ed io credeva che ninno più Si avrebbe insozzato la lingua ripetendo le già confutale bugie.

Ma le opinioni delle moltitudini, troppo più spesso che non si vorrebbe fanno come le acque alle quali per poco sgrondo si dia o per un poco di canale loro si scavi, tu le vedi pigliare tutto quel verso; in tal guisa altri, che voglio credere non avessero interesse né desiderio di attestare il falso, sia che una frazioncina di vero sopprimessero o un frammento di meno sostituissero, qui un briciolino alterando, li il giudizio proprio offerendo come realtà, vennero poi a confermare sospetti ingiuriosi alla mia opinione politica — al mio onore.

Prima Ira questi ultimi un tal Felice Venosta, nel suo libro chiamalo (Dio lo perdoni) Storia di Carlo Pisacane, Agesilao Milano ed altre vittime Napoletane, cosi scriveva «I relegati resi a libertà avrebbero tutti impugnato le armi se un tal De Leo, udito come la spedizione non fatta nello scopo d’insediare a Napoli la monarchia Murat, non li avesse insinuati a non imbarcarsi, contento di ciò il De Leo coglieva un momento che niuno il vedesse, e fuggiva in Gaeta, facendo al Governo rapporto dell’accaduto di Ponza. Pe’ tristi uffizi di questo scellerato, de' relegati se ne imbarcarono poco più di 400 La voce de' fatti dell’Isola di Ponza e dello sbarco in Sapri venne tosto sparsa pel regno per opera del traditore De Leo».

Quasi tutto ciò non bastasse, il Venosta in una Nota aggiungeva poi la notizia ultima forse pervenutagli: «che il De Leo, in premio del suo spionaggio otteneva la condonazione della pena, ed una Licenza da farmacista».

Più tardi, anzi troppo lardi, e quando già il su lodato Racioppi con quell’acume d’ingegno, che gli è proprio aveva fatto dono all'Italia di un nuovo parto della sua rara mente con la pubblicazione della Spedizione di Carlo Pisacane a Sapri, il Castiglione da Gallipoli venendo su col suo Martirio e Libertà a rifare (Dio perdoni anche lui) la storia di quel funesto avvenimento, più che del Racioppi, al dettato del Venosta attenendosi, scrisse, che «nello sbarco di Pisacane a Ponza il De Leo andò subito in Gaeta per riferire al Borbone l’accaduto di colà; che da questo avviso ne venne la catastrofe dolorosa a quegl’infelici, che vi erano venuti per una missione tanto nobile e sublime».

Il Castiglione non è più, ed il Venosta vive ancora. Parlerò a questo, tacerò di quello, che

Oltre il rogo non vale ira nemica.

Èi pare che il Venosta avesse temuto di non esser messo in mazzo Ira preclari e tra grandissimi scrittori, né manco pel fatto della verità, se scrivendo storia contemporanea non si fosse valuto della infedele cronaca del Popolo d'Italia; e di ciò non gli farò colpa, bensì di quest'altro, ch'ei pria di propalare una calunnia, non curasse indagare, se mai da qualche altra Gazzella ai fosse elevala una voce per smentirla.

Ma Dio a cui vuol bene toglie il senno, e lo tolse di fatti al povero Venosta giusto quando, ei pensando a dettarmi, senz’avvedersene fece la mia apologia, non certo ne’ modi più cortesi, è vero; ma la fece asserendo che per i tristi effetti di questo scellerato s’imbarcarono poco più di 400 relegati.

Uno storico prezzolato del Borbone non altrimenti mi avrebbe trattato: ma il fatto starebbe.

Che si vuole? Se scellerato fui, spingendo que’ poveri gonzi a dare ascolto alle lusinghe del Cagliari; io non attenderò altrimenti a difendermi: che se poi il Venosta in altro senso intese farmi regalo di sì bel titolo, oh! sì, l’é certo che incontrando in me l’innocenza, forte sotto l’usbergo del sentirmi puro, il velenoso dardo scoccato dalla sua freccia, farà ritorno a percuoterlo sul volto: è vero tra scellerato e scellerato ei corre; ma se scellerato è ehi pose le mani nella roba altrui per cupidigia; e nel sangue per vendetta privata: non di manco scellerato è maggiormente colui che adopera la lingua non per benedire chi imbandisse questo banchetto nazionale (a cui accorser poscia tanti bruchi affamati per disfamar loro vogliose brame) ma per commettere un assassinio morale, nell'onore, in quell’unica preziosa gemma che mi venne da due lustri d’intemerato martirio politico.

Ma vi ha di più: il Venosta, al pari del suo Mentore ispiratore, altera fatti, scambia nomi, luoghi e persone. — Questo si chiama a dirittura ignorar proprio coma si scrive la storia.

Oh! se il grave storico Milanese avesse tenuto dietro a' convegni politici (non mai mancati ad onta della vigile Polizia Borbonica da' cent’occhi di Argo) a cui ancor stante in carcere vi ho preso parte, certo non avrebbe preso l'abbrivo dal credermi Murattista, sapendo la risposta (riferita più sopra) che da Ventotene detti, insieme a molti altri, all'emissario di Murat.

E se non altro, se il naturale processo logico de' tempi, in cui dice avere il De Leo colto un momento che niuno il vedeva per fuggire in Gaeta a rapportare al Re l'accaduto di Ponza, avesse seguito, sicuramente avrebbe causato un altro di que' suoi grossi svarioni. É malignità o pretta ignoranza delle condizioni del condannato a relegazione? Sa il Venosta che a costui, per quanto fossegli libero il vagar per l’isola, altrettanto eragli rigorosamente vietato di porre il piede in una barchetta, da diporto! Sa che per questo fatto eravi penalità pel condannato non solo, ma ancora pel barcaiuolo che l’accogliesse? — Se tutte queste cose ignora il Venosta, io di cuore gli auguro che non le conosca mai per propria esperienza; e stia contento al sapersele da me narrate, e sperò ch’egli ricambiandomi di tanta gentilezza, si compiacerà dirmi, se ritenendo impossibile ch'io avessi potuto compiere una lunga traversata marittima da Ponza a Gaeta, se, dico, sia presumibile; che mi fossi avvaluto, per giungerci, di qualche aerostato, a cui egli, il Venosta, fosse riuscito imprimere un moto a seconda la sua volontà direttiva! Dato che sì, io gli domanderei poscia, come avrebbe potuto essere che niuno mi vedesse! tutti non sarebbero accorsi a godere della novità del fenomeno!!

Ma lasciando le celie, lo sfido a provare la mia menoma assenza dall’Isola, dalle ore quattro p. m. del di 27 giugno, sino al giorno in cui avvenne la mia liberazione, mentr’io anticipatamente e recisamente gliela contesto.

Ma se si opporrà che l’interesse di difendermi può trasfondere colore di falso alla mia asserzione, io confermerò la verità dell’esposto con la testimonianza de' signori Volpe, Ferruggia e Rapillo, co’ quali più sopra dissi aver passato la notte de' 27, e co’ quali, qui aggiungo, la mattina del 28 ritornai alla propria abitazione; e quanto né anche questo bastasse, ne attesto tutta la presente generazione di Ponza.

La voce poi sul fatto di Ponza non fu sparsa pel regno per opera mia; che le Autorità locali dell'Isola, e del luogo ove lo sbarco avvenne, non stavano li dormendo, e non vi era al certo bisogno di me per divulgarsi un fatto che rumoreggiava di comune in comune.

Scrissi inoltre sul Nazionale, e qui ripeto, ch'io non dettai lettera pel Re Ferdinando, che colui che la scrisse e la spedì non fui io, né di questo il Parroco Vitiello si dolse mai, né in privato né in pubblico; che anzi conoscendolo purtroppo coscienzioso ed onesto, invoco, lui stesso a testimone della verità.

Quello poi di cui non so darmi pace si è il vedere la qualifica di traditore affibbiata al mio nome. Traditore uno che non essendo mai stato a parte di un complotto, sì arrischia far causa comune con gli uomini di esso, favorendone l’aumento del numero, e provvedendone le bisogna! È proprio il caso dello spectatum admissi…!!!

Come appendice rispondo alla Nota dei Venosta, al modo che risposi al corrispondente del Popolo d'Italia pe’ ducati trenta ad altro pagali, e poco degnamente equivocato, con me. Che io Dottore in Medicina e Chirurgia non avrei saputo che farmene di un Diploma da Farmacista, che ben vi fu, ma non a me, sebbene ad altro giovine largito, il quale è vero che andò in Gaeta (ove si ebbe la liberazione della pena) non spontaneo però, ma condottovi — Del pari che non fui delatore del Borbone, noi voglio, né anco esserlo della storia: ma trattandosi di un giovine virtuoso ed onesto, nel mentre stimo miglior consiglio astenermi dal palesarne il nome, e dal fare pubblicità di aneddoti che potrebbero dar luogo a maligne interpetrazioni, mi affretto a dichiarare che invano la storia cercherebbe trovare in esso l’ombra della colpabilità non che del tradimento.

Adesso restami a favellare come dopo l’accaduto di Ponza avvenisse la condonazione de' miei nove anni di pena.

Ciò si debba ad un semplice sentimento di gratitudine che mi serbarono il Comandante Istorino e ih Parroco Vitiello; da che il dì 30 giugno il Commendatore d’Ambrosio Ispettore Generale delle Isole, partilo da Ponza per Gaeta, volendo compiacere le premure di quelli, allorché il di 2 luglio fece ritorno in Ponza, mi comunicò il Decreto di condonazione di quattro anni di pena.

Posteriormente, tenutasi commessione col Re, tra' componenti trovandosi pure l’Astorino e Vitiello, memori come a me andassero debitori della vita lor rimasta, impetrarono ed ottennero dal Borbone la totale mia liberazione.

Ed in tutto questo il Lettore troverà una pruova di più favorevole alla mia innocenza, contraria al carico che taluni calunniando mi addebitarono; dappoiché è abbastanza noto come quel Governo compensasse coloro che gli rendevano servigi; e ninno ha dimenticato il Re Ferdinando complice persino di visita il prete Pel uso, ammalato in Sapri, per aver oggi bisogno di dimostrare che ribassarmisi a spizzico la pena, pria quattro e poi cinque anni condonandomi, è indizio sicuro che il Re Bomba non avesse di me a tenersi molto edificato.

Finalmente dò termine al mio racconto improntando dal Racioppi ciò ch’egli, me insciente, generosamente si compiacque scrivere:

«A fare subitamente a Gaeta il successo di Ponza non è d’uopo fantasticare di un relegato trafugatosi a darne l’avviso. Il Venosta scrive erratamente un nome, che pria del suo libro altri ha udito a ripetere, e forse vi prestò fede, se non ebbe conosciuto di persona l'egregio giovane, alle amarezze del quale non bastò la carcere e la galera settenne, e vi si aggiunsero, saette de' Parti, le calunnie degli amici! Salpato il Piroscafo nelle acque dell’Isola la notte del 27, per le Autorità civili e militari, tanto più pronte a riferire, quanto più molti a difendere,l’indomani il successo di Ponza fu noto in Gaeta.»

S’inchinino i miei detrattori a tanta Autorità storica, confessino che perché vinti seguirono il natural costume di chiamare in colpa tradimenti e traditori, e mi calunniarono; e comportino in pace se Montalbano-Jonico nel 1861 era ben paga di annoverare tra gli uffiziali della sua Guardia Nazionale, insignito del grado di Luogotenente, non già di Capitano, (come anche erratamente scrisse il corrispondente del Popolo d'Italia) il dottore Vincenzo De Leo, che nato in essa, per tredici anni n’era vissuto lontano per solo delitto di averla amata libera.

________________

Riepilogando, panni che la luce della verità abbia diradato le tenebre della calunnia, avendo lucidamente di mostrato a nulla appartenermi la lettera scritta al Borbone: non dissuasi ma eccitati all'imbarco in quel rincontro da me furono i relegati: che un sogno, una fantasmagoria, una infamia, di chi la suggerì e di chi la scrisse fu la mia gita a Gaeta: che la Dio mercé, non sono stato giammai in grado di aver elemosina, e che i ducati trenta furono ad altri sborsati: che la mia professione l’è di Medico e Chirurgo, e non di Farmacista: che la spedizione di Pisacane non da me contrastata, ma favorita ne venne.

Ora la opinione pubblica, severo ed infallibile giudice,. pronunzierà il suo verdello sulla mia innocenza, stimmatizzando col marchio di calunniatore chi ha osato deturparla —Che ho amato ed amerò sempre il mio Paese, ma per sentimento, non mai per vile interesse o per secondare. ambiziose brame — E finalmente, con orgoglio che nasce dalla convinzione del proprio fallo, posso dichiarare di essere stato un galantuomo, come l’attestano nove. lustri di vita intemerata; e lo sarò sino alle ceneri: e ’l galantuomo rifugge da ogni azione vile e degradante. Quindi le infamie addebitatemi, ritornano. a' miei detrattori, a' quali giustamente convengono.


NOTE

1Leggansi gl'interrogatori di Gennaro Mainieri e Rocco Rosio di Morano, non che di Luciano Marino di S. Maria di Capua, e di altri al fascicolo 376 Vo. 1. fol. 402 del processo esistente nella ex Gran Corte Criminale di Salerno, che attestano averli io spinti alla partenza, e che moli altri furono respinti; perch si era fatto il pieno sul Vapore, e pi non poteva contenerne.




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Pisacane e la spedizione di Sapri (1857) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito
1851 Carlo Pisacane Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49
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1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. I HTML ODT PDF
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CARLO PISACANE Rapido cenno sugli ultimi avvenimenti di Roma

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La quistione napolitana Ferdinando di Borbone e Luciano Murat

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ITALIA E POPOLO giornale politico Pisacane murattisti

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Italia e Popolo - Giornale Politico N. 223 Murat e i Borboni

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Situation politique de angleterre et sa conduite machiavelique

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La Ragione - foglio ebdomadario - diretto da Ausonio Franchi

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GIUSEPPE MAZZINI La situazione Carlo Pisacane

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Documenti diplomatici relativi alla cattura del Cagliari - Camera dei Deputati - Sessione 1857-58

1858

Difesa del Cagliari presso la Commissione delle Prede e de' Naufragi

1858

Domenico Ventimiglia - La quistione del Cagliari e la stampa piemontese

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ANNUAIRE DES DEUX MONDES – Histoire générale des divers états

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GAZZETTA LETTERARIA - L’impresa di Sapri

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LA BILANCIA - Napoli e Piemonte

1858

Documenti ufficiali della corrispondenza di S. M. Siciliana con S. M. Britannica

1858

Esame ed esposizione de' pareri de' Consiglieri della corona inglese sullaquestione del Cagliari

1858

Ferdinando Starace - Esame critico della difesa del Cagliari

1858

Sulla legalità della cattura del Cagliari - Risposta dell'avvocato FerdinandoStarace al signor Roberto Phillimore

1858

The Jurist - May 1, 1858 - The case of the Cagliari

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CARLO PISACANE - Saggi storici politici militari sull'Italia

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POLITECNICO PISACANE esercito lombardo

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Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

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Giacomo Racioppi - La spedizione di Carlo Pisacane a Sapri con documenti inediti

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NICOLA FABRIZJ - La spedizione di Sapri e il comitato di Napoli (relazione a Garibaldi)

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Giuseppe Castiglione - Martirio e Libert࠭ Racconti storici di un parroco dicampagna (XXXVIII-XL)

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Vincenzo De Leo - Un episodio sullo sbarco di Carlo Pisacane in Ponza

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BELVIGLIERI - Storia d'Italia dal 1814 al 1866 - CAP. XXVII

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Atti del ParlamentoItaliano - Sessionedel 1871-72

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Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

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Gazzetta d'Italia n.307 - Autobiografia di Giovanni Nicotera

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F. Palleschi - Giovanni Nicotera e i fatti Sapri - Risposta alla Gazzettad'Italia

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L. D. Foschini - Processo Nicotera-Gazzetta d'Italia

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Gaetano Fischetti - Cenno storico della invasione dei liberali in Sapri del 1857

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Luigi de Monte - Cronaca del comitato segreto di Napoli su la spedizione di Sapri

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AURELIO SAFFI Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini (Vol. 9)

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Giovanni Faldella - Salita a Montecitorio - Dai fratelli Bandiera alladissidenza - Cronaca di Cinbro

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FRANCESCO BERTOLINI - Storia del Risorgimento – L’eccidio di Pisacane

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BERTOLINI MATANNA Storia risorgimento italiano PISACANE

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Decio Albini - La spedizione di Sapri e la provincia di Basilicata

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L'ILLUSTRAZIONE POPOLARE - Le memorie di Rosolino Pilo

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Napoleone Colajanni - Saggio sulla rivoluzione di Carlo Pisacane

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RIVISTA POPOLARE - Spedizione di Carlo Pisacane e i moti di Genova

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Carlo Tivaroni - Storia critica del risorgimento italiano (cap-VI)

1899

PAOLUCCI ROSOLINO PILO memorie e documenti archivio storico siciliano

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GIUSEPPE RENSI Introduzione PISACANE Ordinamento costituzione milizie italiane

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Rivista di Roma lettere inedite Pisacane Mazzini spedizione Sapri

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LUIGI FABBRI Carlo Pisacane vita opere azione rivoluzionaria

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 MATTEO MAZZIOTTI reazione borbonica regno di Napoli

1914

RISORGIMENTO ITALIANO - Nuovi Documenti sulla spedizione di Sapri

1919

ANGIOLINI-CIACCHI - Socialismo e socialisti in Italia - Carlo Pisacane

1923

MICHELE ROSI - L'Italia odierna (Capitolo 2)

1927

NELLO ROSSELLI Carlo Pisacane nel risorgimento italiano

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - CODIGNOLA Rubattino

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano


























Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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