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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

PER LA INTENDENZA GENERALE DELLA REAL MARINA

CONTRO LA COMPAGNIA RAFFAELE RUBATTINI E SOCII DI GENOVA

DISCORSO

sulla legittimità della preda del piroscafo sardo, il CAGLIARI

AD USO DELLA COMMISSIONEDELLE PREDE E NAUFRAGI SEDENTE IN NAPOLI

Quod dico, non vidchitur durum, quamvis primo contra opinionem pugnet tuam, si te commendaveris mihi. Temeritas est damnare quod nescias.

SENECA, de beneficili, Lib. 2, Cap. 34, et Epistola 92.

NAPOLI

REALE TIPOGRAFIA MILITARE

1857.

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INTRODUZIONE

Un esecrando attentato alla Maestà dell’impero, e l’atroce esercizio d’inudita barbarie sono il soggetto della causa presente.

L’ignoranza dei fatti; la scarsa perizia del diritto; gli errori invalsi; le abitudini gradite; i pregiudizi accolti, le simpatie predilette; e più di tutto, le preoccupazioni di spirito agitate e sconvolte dalla morale e finora indomita vertigine dei tempi, sono le fonti della incertezza di tutti, del dubbio di molti, della censura di pochi.

Ma quando saran messi in luce gli avvenimenti consumati, e posti in risalto i precetti di leggi positive, si vedrà come il vero rivendichi dalla mano della menzogna e della seduzione i suoi diritti imprescrittibili; e come il sentimento della giustizia, che al pari di molte innocenti ed immutabili prerogative dell’umana natura, c’inspira e predomina; ci cinge e feconda nel mondo morale, quale l’aria salubre ci circonda e ravviva nel mondo fisico, diverrà in pro nostro, il pensiero di tutte le menti, il desiderio di tutti i cuori ((1)).

Allora il buon diritto dell'attrice che difendiamo, convertito in coscienza universale, raccoglierà il prezioso suffragio della credenza e della rassegnazione, perfino di quel breve numero, cui sembra istinto ignorare per elezione, presumere per abitudine e nuocere per interesse.

Sunt haec quidem magna quae nunc breviter attinguntur; sed omnium quae in hominum doctorum disputatione versantur, nihil est profecto praestabilius, quam plano intelligi, nos ad iustitiam esse natos, neque opinione, SED NATURA CONSTITUTUM ESSE IUS. CICERO.

Or, ripigliando le idee poc’anzi annunziate, ed avvicinandole più da presso alla tesi che ne occupa, ben possiamo conchiudere, che le inconsiderate ispirazioni degli uomini vietano maisempre la maturata e profonda discussione delle sentenze che essi debbono profferire. Cotesta impetuosa propensione è, per lunga esperienza, la più funesta nemica delle verità morali, tra le quali àn sede primaria le verità giuridiche; massime quando si versi in dottrine speciali, di moltiplice indagine, e di rara applicazione ai casi che occorrono.

Evitare il tormento di riflettere e meditare è la prima origine degli errori degli, uomini ((2)).

Le scienze morali non possono avere gli stessi vantaggi dalle scienze esatte. In quelle scienze più che in altre, ànno il loro pericoloso impero, le OPINIONI, LE ABITUDINI ED I PREGIUDIZII. Chiamiamo opinioni le ipotesi o i sistemi, più o meno verosimili che abbisognano di pruove. L’abitudine, la quale per una nazione, come per gl'individui, si compone di pratiche usitate e di idee ammesse, fa sì che non si consideri giammai l’origine di tali idee e di tali usanze: nulla si scorge al di là di quanto è stabilito, e credendo di aver sempre sentito ciò che si sente attualmente, non mai si ardisce di oltrepassare i limiti della usanza per elevarsi sino alla ragione ed alla natura. I pregiudizi sono viziose abitudini dello spirito, come i vizi sono abitudini depravate del cuore. I pregiudizi ànno per certi rispetti lo stesso carattere delle passioni; imperciocché imitano la loro violenza, producono la stessa ebbrezza, abbagliano la ragione, spengono il sentimento al pari di loro. Essi FORMANO UNA SPECIE D'IGNORANZA ACQUISITA, PEGGIORE DELLA IGNORANZA NATURALE, E NON SONO MEN FUNESTI ALLA VERITÀ DI QUELLO CHE LE PASSIONI LO SONO ALLA VIRTÙ». Così ne ammaestra il dotto PORTALIS((3)). Cotesto brano dell’illustre scrittore puòdirsi la parafrasi in largo giro della sentenza di CICERONE: bene adhibita ratio cernitquid optimum sii: neglecta, MULTIS IMPLICATUR ERRORI BUS ((4)).

I rimedi per ¡svellere le abitudini, per rettificare le opinioni, e per correggere i pregiudizi e gli errori, li dettarono il LEIBNIZIO,nel suo trattato dei principi di filosofia, ed il BUFFIER, nell'altro delle prime verità, ed i quali si annunziano dal REIFFENBERGin queste parole: mezzi curativi degli errori invalsi sono, la RIFLESSIONE, IL RAGIONAMENTO, L,’ESPERIENZA, L’AVVISO DEGLI UOMINI DOTTI E LO STUDIO DEGLI SCRITTORI PIU’ STIMATI ((5)).

La tesi che noi disputiamo impone ai nostri avversari, ed a tutti coloro che son vaghi, o ànno interesse di occuparsene, l'adempimento dei saggi consigli di uomini cotanto solenni.

Tostocché si ritireranno le dottrine alla purità de' loro principi, e la riposata serenità della mente prevarrà alla seducente turbazione del cuore; apparirà di facile quanto sia possente la bontà delle ragioni che raccomandano la difesa a noi commessa, e quanto sia semplice e certo il destino della stessa; dappoiché tutta si affida e risiede sul chiaro disponimento delle leggi imperanti, le quali, costituiscono la coscienza del magistrato, e l'intima persuasione del pubblico.

Il maggior lume del senno latino nobilmente diceva al proposito: mens, et animas, et consilium, et sententia civitatis posita est in legibus. Ut corpora nostra sine mente; sic civitas sine lege, suis partibus, et nervis, et sanguine, et membris idi non potest.

INDIGNUMEST, IN EA CIVITATE QUAE LEGIBUS TENEATUR, DISCEDI A LEGIBUS ((6))

Sistema e ripartizione del lavoro.

Nel fine di raggiungere il doppio e non facile scopo della necessaria chiarezza e della possibile brevità, divideremo l’intera discussione della materia che ne intrattiene in due parti principali: la prima storica; teorica l’altra. In quella esporremo, con sincerità di racconto, il novero degli avvenimenti consumati dal piroscafo il Cagliari, che mirabilmente rispondono ai fatti di pirateria e di guerra mista: nella parte teorica dimostreremo fino al punto di suprema evidenza, l’ottimo diritto della Real Marina, per ottenere la dichiarazione di legittima preda del suddetto battello dai giudici competenti: e ciò, sia per virtù de' pronunziati riconosciuti e professali dal giure pubblico delle genti, sia per effetto d’irreplicabili precetti della legislazione imperante nel nostro reame

PARTEPRIMA

CAPOI

Storia degli avvenimenti che prestano l’argomento all'attuale giudizio
§. I. Regole da seguire per far metodo di quel che si narra

Anche qui non incresca di togliere a guida della nostra fatica quella mente senza confini di CICERONE. Egli dà le norme per riescire a comporre, sopra fatti avvenuti, un esatto giudizio; e vuole che ne sieno gli elementi necessari, il prima, il mezzo, il poi: cognoscere oportet id, quod ante rem, id quod cum re, et id, quod post rem evenerit((7)).

Seguendo dunque il metodo TULLIANO,passeremo a rassegna gli occorsi che precedettero l'arrivo del piroscafo nell'isola di Ponza; poi quelli che colà si praticarono; quindi gli altri che seguirono, tra la partenza da quell'isola fino al termine della invasione di Sapri. Da ultimo, del ritorno e dello arresto del Cagliari effettuato da parte de' legni Regi.

§. II. Primo periodo.
Partenza del piroscafo, il Cagliari, dal porto di Genova.

Se fosse dato di penetrare addentro nel buio misterioso, nel quale si ordiscono le trame efficaci per operare i civili rivolgimenti, chiaro si scorgerebbe: che fin da gran tempo ricorrevano preliminari di accordo tra gli esuli ribelli del reame delle due Sicilie con altri rivoltosi di nazioni diverse: che tali accordi necessitavano, per attuarsi, di armi, di danaro, di mezzi da trasporto: che il fine unico di tanti moti e di tante sollecitudini era sommergere quasi tutta Italia nei precipizi di una guerra civile, rovesciando e distruggendone le legittime Sovranità, alle quali la Provvidenza à fatto avventuroso mandato di reggere i destini e di procurare la felicità de' popoli: che la compagniaRubattini di Genova era il centro delle speranze dei faziosi ed il necessario ¡strumento per eseguire l’orrendo disegno; da che, a prezzo convenuto, e col rimerito di lucri vistosi, prestar doveva i suoi piroscafi per compiere l’impresa: che veramente furon composti e fermati i patti, pei quali, non pure il Cagliari doveva essere adoperato al bisogno, e che per fortuna fu solo, certo perché mancò il danaro alle esigenze del Rubattini: che mesi innanzi, e poi nel corso del giugno dell'anno che volge, il precennato piroscafo fece continui viaggi e trasportò in diversi siti e città quantità quasi innumerevole di armi da guerra.

Ma poiché non si può intravedere nelle fitte tenebre delle cospirazioni; rompendo il filo delle divinazioni, comunque probabili ed accreditate, passiamo alla fedele narrazione degli occorsi verificati.

Il piroscafo, il Cagliari, scioglieva dal porto di Genova sull’imbrunire della sera (circa le ore sette p. m.) del giorno 25 giugno dell'anno che corre.

L’apparente missione di quel legno era postale, per Tunisi, toccando tra via, la città di Cagliari di Sardegna. Era capitanato da Antioco Sitzia, il quale aveva per secondo, Vincenzo Rocci, per pilota, Agostino Ghio. Era ricco di un equipaggio di 32 uomini: conduceva 33 passaggieri, conforme attestano le note dell'agente direttore della compagnia, signor Raffaele Rubattini, rimesse al Consolo generale di S. M. il Re (N. S.) residente in Genova, cavaliere Garrou, nel giorno 2 luglio 1857.

Giova avvertire di buon’ora, che de' 33 passaggieri, nientemeno che dieci avevan mentito i loro nomi, de' quali otto erano marinari, stranieri all'equipaggio del legno ((8)); altri mentirono la loro condizione civile. Dell’equipaggio poi è più segnalata la irregolarità sospetta delle persone: nove tra esse erano sfornite di passi e di librette ((9)).

È degno di noia che, tra le nove persone segnate in piè di pagina, Agostino Ghio era il pilota del Cagliari, Pietro o Santo Cedale il nostromo della ciurma, Errico Watt e Carlo Park erano i macchinisti, Giuseppe Mercurio uno de' camerieri, Carlo Noce il cuoco; in guisa che coloro che ben possono dirsi persone le più interessanti dell'equipaggio pel buon governo e felice cammino del legno, erano sforniti, come lo sono i colpevoli, dei riscontri indispensabili per legittimare i componenti di un equipaggio mercantile, e dei fatti de' quali rispondono direttamente, il proprietario ed il capitano. Né questo è tutto; dappoiché costui, il signor Sitzia, salpava, trasportando gran numero di casse ripiene di armi, dette improprie nel linguaggio marittimo, e gran fodero di munizioni da guerra, senza quei documenti imprescindibili per legge ai doveri del capitano di un bastimento che fa partenza ((10)); addimandate carte di bordo. A questo modo illegale il capitano Sitzia muoveva da Genova.

§. III. Continuazione.

Anche qui ritorna utile avvertire, anticipando per poco la disamina critica dei fatti che per sommi capi andiamo memorando, che dalle dichiarazioni dei due capitani Sitzia e Rocci, dall'altra del così detto capitano di circostanza, Giuseppe Daneri, e dalle deposizioni dei passaggieri e degli evasi da Ponza, raccolte dagli uffiziali dei legni predatori, a norma delle Ordinanze generali della Real Marina, risulta che il capitano Sitzia non patì mai, né patir poteva l’assorta da lui forza maggiore: che egli, sin dal suo partire, direttamente navigava per Ponza, mentre dal Daneri e dagli altri si depone di essere stato dubbio, a mezzo del cammino, se vi fosse nelle tramogge del piroscafo, provvigione sufficiente di carbon fossile, per approdare all'isola precennata e seguire il premeditato disegno, o meglio si dovesse deviare per Cagliari, o per l’isola di Monte-Cristo, affine di rifornirsi di legna: che nel punto stesso il capitano Sitzia, mentre assume d’ignorare, perfettamente sapeva che le molte casse che trasportava eran piene di boccacci e di altre armi da guerra, di contrabbando ed improprie ai bastimenti, e massime ai mercantili. Laonde da cotesti primi accenni, i quali saranno non solo accresciuti, ma arricchiti da lussuoso corredo di pruove irrefragabili, sarà dimostrato, anche agli animi i più schivi ed avversi, che non solo il capitano Antioco Sitzia fu complice dell'enorme attentato, ma ne fu correo principale, seguito ed aiutato nel tristo esempio, dall'intero equipaggio che egli comandava.

§. IV. Secondo periodo.
Arrivo del piroscafo, il Cagliari, a Ponza.

È da premettere che in quell'isola stanno trattenuti dal Governo tre ordini di persone infeste al riposato vivere sociale: il primo contiene i condannali per reati comuni; il secondo comprende i relegati per provvidenza di tranquillità pubblica; il terzo numera i soldati indegni dell'onorevole cingolo militare, e che compiono in quel ritrovo il periodo prefisso al servire nei rispettivi corpi loro assegnati.

All'apparire del Cagliari, circa le ore 5 pomeridiane del giorno 27 di quel mese, da un lato concorrevano sulle sponde di quell'isola grandi tratte di persone gridanti le sediziose parole: viva la repubblica, viva la libertà, viva l'Italia, svelatici del preordinato concerto con gli ospiti infesti che si appresentavano; come dall'altro, il capitano Sitzia, senza riguardo alcuno, entrava difilato nel porto, rompendo l’osservanza delle leggi sanitarie, e sconoscendo tutt’i doveri verso di un Governo amico, rappresentato dalle Regie autorità del luogo. Ed il riprensibile ardire ebbe pure compagno l’obbrobrio della menzogna e dell’inganno; dappoiché, pretestando guasti alla caldaia e chiedendo soccorsi per racconciarla, il Sitzia, spinse per generoso sentimento di umanità, il capitano del porto, Montano Magliozzi ed il pilota Antonio Roberti a recarsi sul piroscafo, dove furono violentemente trattenuti. Questo fu il primo istante che segnò la diade luttuosa degli eccessi nefandi e crudeli che insanguinarono quell’isola.

Disbarcarono dal piroscafo 25 dei 33 passaggieri ((11)); e con essi l’intero equipaggio, meno i macchinisti. Cotesto assunto è innegabile, da che Lorenzo Acquarone e Giuseppe Mercurio, entrambi camerieri del legno, disbarcarono anch'essi. Il primo pugnò a terra e rimase ferito; il secondo lo raccolse e lo ricondusse sul bordo. E costui non solo ebbe sorti comuni col compagno in Ponza, ma più di lui si distinse nella tradigion della fede, perché discese anche in Sapri, accrebbe colà il numero dei nemici, si azzuffò in Padula con le truppe Regie, fu ferito, arrestato, e quindi tradotto in carcere.

Questi successi vengon deposti dallo stesso capitano Sitzia. Questi rimase tanto libero nel comando del legno, che esci dal. porto, si pose in rada e poi vi rientrò, per accogliere e trasportare i rivoltosi in terra ferma. Egli dunque ben poteva, se avesse voluto, avvertire il Real Governo del funesto accaduto, dirigendosi a Gaeta, dalla quale non era distante che per sole ore quattro di cammino.

Intanto, i disbarcati costituivano una banda di oltre a cinquanta persone di punto armati, e dispensatori di presso che dugento fucili, per provvederne i vogliosi e secondare gli eventi della rivolta.

La serie dei fatti consumati offre le seguenti enormità incredibili, e forse anco a supporsi, ma d'altra parte vere ed innegabili:

1. Fu assaltata prima l'isola, poi la gran guardia, e furono in pari tempo aggrediti gli altri posti militari: l'aggressione fu compiuta col disarmo dei soldati che vi stanziavano a custodia dell'ordine pubblico.

2. Ciò fu poco, mentre si passò al sequestro, e poscia all'arresto di tutte le autorità militari dell'isola con l’aiuto, in quel momento possente, de' relegati e de' soldati in pena, già riforniti delle armi che i ribelli avevan recato, e che loro ministrarono all'uopo. Furon prigioni, perché colti alla sprovvista, comandante dell'isola, maggiore Antonio Astorino, l'aiutante maggiore di piazza Antonio Ferruggi, i tenenti Federico de Franco ed Antonio Fiordelisi; le autorità giudiziarie ed amministrative, per gran ventura, si sottrassero al pericolo. Né bastò tanta violenza praticata sugli uomini, che s’infierì pure sulle donne: Marianna d'Urso e Maria de Vincenzo; l'una consorte, l'altra nipote dell’Astorino, più turpemente soggiacquero alla trista sorte del marito e dello zio.

3. Si destò nei pochi soldati, scampati agl'insulti, l’amore pel Sovrano, il sentimento del proprio dovere e lo zelo di legittima difesa degl'innocenti abitanti di quell'isola, e s’impegnò sanguinosa zuffa tra le truppe Regie ed i nemici aggressori. Furon vittime del proprio dovere, il tenente Cesare Balzamo, morto nell'azione, altri di minor grado del paro rimasi spenti; ferito l'aiutante Francesco Ranza, a colpi di fuoco.

4. Dagli ammazzamenti si trapassò allo spoglio delle armi, delle munizioni ed alle precauzioni usate in tempo di guerra. I ribelli s’mpadronirono della Reale scorridoia stanziata nel porto, comandata dal precennato pilota Roberti, che poscia affondarono, come prima n’ebber tolte le armi, le munizioni, e chiodato il cannone che vi stava sugli affusti.

5. Per timore di offese e per strategia di guerra, chiodarono anche i cannoni piazzati in barbetta sulle batterie, a protezione del porto.

6. Non bastò la sfrenata licenza delle armi, ma piacquero ancora le sozzure dell'atrocità dell'incendio e della viltà del furto. Furon poste a fuoco, e rimasero incendiate le caserme della gendarmeria e del posto di polizia; e nel tempo stesso, schiantata e distrutta la baracca di ricovero del corpo di guardia messa nella contrada, Chiaro di Luna.

7. Gli abbominevoli eccessi trascesero anche i limiti del condannevole progetto, e giunsero perfino alle lordure della bassa lascivia, e del danno dei privati.

S’infransero gli stemmi e gli emblemi del legittimo Sovrano, messi sulla fronte del posto di polizia, dell'officina della posta, dell'altra della deputazione di salute, del botteghino dei generi riservati e di privativa: si gettarono nelle fiamme, i processi, i registri, in fine quasi tutto intero l’archivio del Regio giudicato, del comune, della capitania del porto, dell'uffizio della relegazione; sicché quella popolazione non serba più memorie dello stato delle famiglie, dei possedimenti, degl'interessi civili, delle relazioni tra i cittadini e di questi col Governo: si usò violenza al custode delle prigioni circondariali, e si fratturò la porta del carcere per conseguire il turpe successo di liberare due tristi colà prigioni per reati in misfatto: furon rubate armi ed oggetti di giudiziale convinzione, che in fine erano proprietà privala: si pose a sacco e si commisero furti di armi e di effetti mobigliari a pregiudizio di molti tranquilli ed innocenti abitatori dell’isola.

Così si conchiuse il primo esperimento della gloriosa missione dei liberatori d’Italia, che potremo bene addimandarli uomini esiziali per indole, e sommersi nelle voragini de' vizi e della incorregibile corruttela, che essi arrogantemente si arbitrano di esercitare contro i più reverendi doveri sociali, e che si mostrano sempre proclivi a vilipendere e calpestare anche i più santi e tenaci vincoli della umanità.

§. IV. Terzo periodo

Era quasi la notte giunta al suo mezzo (11 p. m. del suddetto giorno 27 giugno), quando il Cagliari muoveva da Ponza, già carico di 388 individui tolti dall'isola, oltre a tre servi di pena, in uno 391. Poco presso le ore 23 del giorno 28 dello stesso mese, gli abitanti di Sapri videro l’improvviso apparire di quel legno, il quale, dopo aver bordeggiato per alcun tempo, diresse il suo cammino alla marinella chiamata, Oliveto, in tenimento di Vibonati, ad un miglio di distanza, e quivi sorse sulle ancore.

Un giusto sospetto s’ingenerò nelle milizie urbane, rimase attonite a quelle apparenze, e che in piccol numero si diressero a quel luogo, nel fine di spiare e conoscere a che mirasse quel fatto insolito. Come prima vi giunsero, furono avvistati dai ribelli già disbarcati, i quali gridando il motto di precauzione: chi viva, ed ottenutone di replica, quello di riscontro: amici, urbani, replicarono unitamente: viva la repubblica, viva l’Italia.

Quel momento annunziò il principio funesto della guerra civile, della strage e di ogni maniera d’indescrivibili enormità. Attaccate quelle milizie, di facile rimasero vinte, sopraffatte dal maggior numero: due soggiacquero alla prigionia, il resto, bravamente difendendosi, ritornò in Sapri.

Alle ore cinque, in folta notte, l'oste ribelle entrò in quel paese, a modo di schiere ordinate a guerra solenne.

Costa da documenti innegabili, vergati di pugno dall'estinto Carlo Pisacane, non solo dell'ordinamento militare, ma del piano di quella spedizione, della quale egli assunse il fastoso nome di generale.

Eran divise le genti in tre compagnie, ciascuna suddivisa in squadre: il supremo comando era assunto dal. Pisacane: era colonnello Giovanni Nicotera; maggiore Giambattista Falcone, altri erano costituiti in gradi minori: tutti rivestiti e coperti di camici e berretti rossi, come indizi tremendi di repubblica radicale: l'insegna tricolore era la bandiera che sventolava a guida di quelle masse: si accamparono a maniera prescritta, che serbano gli eserciti regolari: piantarono sul colle, appellato, Coste,il vessillo liberatore: serbando i dettami dello statuto militare, composero consiglio di guerra; giudicarono un dei loro, imputato di militare contumacia, e lo dannarono a morte. Il quale però tentando di sottrarsi con la fuga, fu spento a colpi di archibugio: tutte le strade di Sapri, ed i luoghi, donde poteva temersi un pericolo, furono guernite di opportune ascolte di avamposto.

Dopo di aver descritto il contegno e l'ordinamento guerresco di quelle bande numerose, riprendiamo il filo della narrazione di quanto avvenne dopo del di loro ingresso nel mentovalo paese, Sapri.

I primi pensieri di quei nemici aggressori furono di atterrare e disperdere i segni d’impero del Potere legittimo; poscia ricercarono delle autorità, che non rinvennero; quindi investirono il posto doganale che facilmente disarmarono.

Alla prima luce del giorno 29, quelle schiere, rassegnate in punto di ordinanza, partivano per la città di Torraca, ove giungevano alle ore quattordici: precedevano le usitate grida di: viva la repubblica, viva la libertà, viva l’Italia.Per maggior provvidenza di guerra tagliavano il filo del telegrafo elettrico verso il fortino. Ciò mirava ad interrompere i mezzi di conoscenza, e la trasmissione degli ordini tra le autorità locali ed il Governo.

Proseguendo il viaggio, giunsero quelle squadre in Casalnuovo, nel mattino del 30 giugno, ed anche qui spezzarono a colpi di scure una trave di sostegno del telegrafo elettrico, nel sito detto, Cavallaro, e ne intercisero il filo nell'altro luogo, chiamato Principe.

Nella sera dello stesso giorno fecero ingresso in Padula, sempre ripetendo le medesime enormezze, e riempirono tutta intera quella popolazione di terrore e di desolante sollecitudine.

Fu allora, che le bande rivoltose, al numero di circa 400, schierate sulla mentovata collina, Coste, videro apparire di subito sull'altro colle, posto a rimpetto, addimandato Serre,quasi sul mezzo del mattino del primo luglio, non scarso numero di milizie urbane e di gendarmeria. Fu necessità a costoro di usare le industrie strategiche per ingannare e sorprendere l’inimico, con probabile speranza di vittoria.

Il fatto seguì il concetto: sanguinoso combattimento si compromise tra le parli belligeranti. Lungamente fu pugnalo e con dubbie sorti, da che gli sforzi delle truppe Regie e civili gravissima, e quasi incredibile resistenza incontravano negli efferati ribelli. Ma l’evento arrise ai primi, per aver preso parte nel maggior fervore della mischia, il settimo battaglione cacciatori.

Gl’inimici rimasero sconfìtti, ma non del tutto conquisi. I resti, rannodati e baldanzosi, ripiegarono sopra il paese Sanza, dove più gravemente ripetute le ostilità bellicose, furono pienamente distrutti. Nelle due azioni, 81 dei vinti rimasero spenti sul campo: si rimpianse dai vincitori la perdila di qualcuno, o soldato cacciatore, o gendarme, o guardia urbana: i numerosi avanzi furon prigioni.

§. V. Continuazione

Fin qui siamo andati memorando i fatti di guerra; ora ritrarremo in ¡scorcio, le pratiche del vizio e della più profonda corruzione. Si rinnovellarono le scene miserande e le scandalose immanità che afflissero Ponza: la strage ed il furto non si scompagnarono da quei tristi, in Sapri, in Casalnuovo, in Padula.

Nel punto in cui s’inseguiva il condannato a morte, volevano quelle squadre ribelli appropriarsi le armi di alcuni abitanti, al luogo denominato, Ponte Catassano, e pel niego che ne ricevevano, trassero molli colpi di archibugio alla rinfusa, per un de' quali, moriva una donna innocente e sventurata, Rosa Perretti. Furono atterrate molte case di pacifici cittadini devoti al legittimo nostro Sovrano: si sequestrarono e si trattennero di fatto le guardie doganali: si posero in libertà detenuti per reali comuni: in Sapri furon rubali i danari dalla cassa del ricevitore delle dogane: in Casalnuovo si atterrò la porla della caserma della gendarmeria, involando diversi oggetti di fornimento: si praticò lo stesso di un volume di documenti della gendarmeria Reale e delle armi delle milizie urbane. Né si perdonò alla proprietà de' privati; dappoiché si tolsero a viva forza, danaro, oggetti, vestimenta, e per fino i panni lini degli abitanti di quel paese; sicché i disastri della guerra intestina s'insozzarono delle brutture delle private depredazioni.

E se l'amore de' popoli, e l’energia de' difensori non avessero fiaccalo e vinto quello sforzo tremendo e quella repentina aggressione, forse gli sconvolgimenti di Sapri, di Casalnuovo e di Padula, avrebbero segnato nei libri della nostra storia ben altre sventure ed orrori.

Le repentine e violenti commozioni civili, quasi sempre rapiscono nel vortice delle splendide ed ingannevoli illusioni, l’incauta gioventù, cui manca sovente quell’inflessibile predominio del]' assennata ragione, che solo si acquista coi duri esperimenti di una vita penosa e coi continui ammaestramenti di una lunga esperienza.

§. VI. Quarto periodo
Ritorno da Sapri

Ilpiroscafo, il Cagliari, sull'annottare del 28 giugno, ancorandosi presso la spiaggia, olívelo, poco lungi, a mezzogiorno di Sapri, effettuato che vi ebbe lo sbarco dei ribelli, alle 11 della notte, lasciava quell'ancoraggio, prendendo il largo della costa per compiere la sua missione.

Certamente nel piano che aveva preordinato il capitano Sitzia, non era sfuggita la previsione di una possibile sorpresa, e quindi della cattura del legno e dell'arresto di lui; ond'egli, oltre alle pruove che avrebbero fornito le dichiarazioni suggerite allo intero equipaggio nell’interesse della comune difesa, munivasi pure di una dichiarazione dei capi di quella banda, che sola basterebbe a dimostrare il buono accordo in cui si lasciavano. Con quel documento, Sitzia, intendeva a pruovare sempre più come per effetto d'un complotto di repente scoppiato, egli ed il suo equipaggio fossero stati costretti dalla forza a cedere il legno, e commetterlo all'arbitrio di quei forsennati.

Così preparato agli eventi, il capitano Sitzia, intravedendo l’impunità, e perciò divenuto più ardimentoso, seguiva il suo destino. Ma l’ora era giunta in cui dovevano, come nebbia, dissiparsi quelle illusioni, e spuntare lucida e sensibile la verità.

Non appena la nuova delle orrende scene, delle quali era stato scandaloso teatro f isola di Ponza, pervenne in Gaeta, le due Reali fregate a vapore, il Tancredi e 'Ettore Fieramosca, imbarcate poche milizie, lasciando la rada di Gaeta, dov’erano stanziate, si ponevano sulle tracce del Cagliari.I riscontri che raccolsero, presso Ventotene e S. Stefano, dove si soffermarono per momenti, porsero loro sufficienti indizi della rotta, che il Cagliari, nel lasciare Ponza, aveva seguito.

Ripreso quindi il cammino e disposta su i due legni la maggiore vigilanza possibile, il dì seguente alle 8 ¾ mentre il Tancredie l’Ettore Fieramosca che lo seguiva, dirigevano all'E 30° S si riusciva a scoprire sull orizzonte un fumo di vapore, che l’uomo di scoperta indicò verso ponente. A quell’annunzio raddoppiando di sollecitudine, i movimenti del legno furono attentamente spiati, e fu certo essere il legno in vista un vapore a tre alberi, ad elica, che a vela ed a macchina dirigeva per ponente. A misura però che il cammino velocemente stringeva le distanze, dalle forme che erano state preventivamente segnalate, dalla specie di velatura e dalla rotta che percorreva il piroscafo, potè giudicarsi probabile che fosse appunto il Cagliari,al quale si dava la caccia.

Alle 9 ½ la congettura divenne una realtà, giacché, riconosciuta la bandiera sarda, non rimase ulteriore dubbio sul legno incontrato. Allora le due Reali fregale, ordinate in completo zaffarancio di combattimento, diressero a tagliargli il cammino. Il Cagliari faceva tale una rotta all’O 26° N, che abbandonando man mano la primiera direzione, accostava sulla dritta, obbligando il Tancredi a fare altrettanto sulla sinistra: movimento che non ¡sfuggì, né al comandante di quel legno, né al RetroAmmiraglio signor Cavaliere Federico Roberti, il quale sul ponte disponeva le manovre, registrale nel giornale di navigazione del Tancredi ((12)); sicché al termine di questo inverso e reciproco movimento dei due legni, il Tancredi alle 9 ¾ tirato un colpo di cannone a palla, assicurava la bandiera del Re (N. S.), e chiamando all’ubbidienza il Cagliari, lo arrestava.

Nel momento della giunzione, il Tancredi rilevava la punta Ovest di Capri per N 15° 0, alla distanza di un dieci miglia dalle bocche piccole per N 8° N. E miglia tredici in distanza, e dalla città di Salerno per N 53° 0, trenta miglia lontano.

Inalberando il Tancredi e l’Ettore Fieramosca la Reale bandiera, arrestavano la macchina, ed il Cagliari, già sotto il tiro delle loro artiglierie, imbrogliando pronta mente le vele, si fermò.

Veniva in quel momento ordinato dal RetroAmmiraglio, che il capitano del Cagliari si fosse immantinente recato sul Tancredi: ordine che ebbe celere adempimento. Così il Sitzia arrestato compiva l’ultimo stadio della sua abbominevole missione. In quel punto istesso, una lancia armala al comando del tenente di vascello signor Imbert, distaccala dal Tancredi, del cui stato maggiore faceva parte quell'uffiziale, abbordò il vapore per assicurarsi dello stato di armamento; praticarvi una prima perquisizione, disarmarlo, impadronirsi di qualunque oggetto criminoso, e recar tutto a bordo. Per la esecuzione di tale comandamento il signor Imbert montava in coverta del Cagliari, e vi sorprendeva più casse di armi improprie, una aperta con entro canne di fucili, e quindici fucili ancora carichi, una carabina, un boccaccio, due pistole, due baionette ed una sciabla, disperse e nascose in più punti della coverta: rinveniva pure, tra l'equipaggio, tre individui feriti, i quali faceva insieme con gli oggetti rinvenuti imbarcare sulla sua lancia, e ritornava sul Tancredi.

Giunto a bordo, il capitano Sitzia, fu sottoposto ad una prima sommaria interrogazione. In questa, egli invano si sforzò di pruovare essere stato insieme col suo equipaggio costretto dalla forza a cedere il legno, minacciato della vita, tenuto arrestato e guidato nella camera: esser rimaso estraneo affatto agli avvenimenti consumati fino al punto in cui, lasciato libero e reso al comando del legno, dirigeva per Napoli, all’uopo di far consapevole il Real Governo dei fatti occorsi.

Adempiute tutte le altre formalità imposte dalle Reali ordinanze di Marina per simili casi; disteso il processo verbale di cattura e le dichiarazioni dei feriti, il RetroAmmiraglio Roberti comandava, che l’Ettore Fieramosca prendesse a rimorchio il vapore predato, e dirigendo lungo la costa, si ancorasse a Sapri, mentre egli col Tancredi, senza por tempo in mezzo, faceva rotta per Salerno, ove giungeva alle 2 v4p. m. del giorno medesimo. Dopo di avere ragguagliato il Governo di questa prima e felice operazione, raggiungeva l’Ettore Fieramosca ed il Cagliari.

Tra le tante asserzioni, che il capitano Sitzia immaginava nell'interesse della sua difesa, era per lui importantissima quanto è immensamente per noi preziosa questa, cioè dire, che egli si trovasse diretto per Napoli, affine d'informare il Governo dei fatti avvenuti e protestare della sua posizione.

Ci riterremo un istante dal mettere a nudo le flagranti contraddizioni che si palesano tra la narrazione di quell'avvenimento fatta dal capitano Sitzia e quelle del capitano Daneri, che s’infinse di averlo sostituito, e del Rocci, che era il suo secondo; e senza usare per ora, de' tanti documenti che depongono a di lui carico, i quali benché fecondi di pruove luminose, rimangono di un ordine secondario nell’esame del fatto marittimo, dove il più valido argomentare è il fatto stesso.

Adunque a questo esclusivamente rivolgeremo la nostra attenzione, il quale, senza bisogno di altri elementi, speditamente ci mena alla infallibile cognizione del punto, cui trovavasi diretto il Cagliari.

§. VII. Continuazione

Nel riassumere il punto storico di questo importante periodo, la prima osservazione che si presenta spontanea alla mente è che il capitano Sitzia a suo dire, accommiatato dai ribelli, reso al comando del legno, racquistata piena libertà di azione, nella notte del 28 giugno, quando lasciava la rada di Sapri, nella trista posizione in cui era rimaso sulla sorte del suo equipaggio e del suo legno compromesso, nella urgenza di attuare la idea che aveva d’invocar l’aiuto e la protezione del Governo e d’informarlo, innanzi tratto, di quanto era accaduto, avrebbe dovuto ricercare il silo più vicino, una spiaggia qualunque, tenere in somma una direzione tutta diversa da quella che prendeva.

E come si potrebbe non fare assegnamento della opportunità che gli si presentava una prima volta all’isola di Ponza, quando oppresso com'egli asserisce e minacciato della vita e nell’onore, vedeva al fine, per un provvide azzardo, il legno sgombro da quell'orda feroce, e pochi della ciurma, che avremmo voluto sapere associali al suo destino, e non complici dell'incendio e della rapina, trovarsi tuttavia in numero sufficiente a salpare nuovamente l’ancora, abbattere in vela col fiocco ed a macchina, prendere il largo? Chi non avrebbe credulo salvo il capitano ed il legno? Gaeta era per sole quattro ore distante, ed aveva ben come metterlo sotto valida protezione. Ma checché altro ne pensi il Sitzia, è un fatto irreplicabile, che egli con fredda calcolazione, riprese l’ancoraggio: cambiò sito, solo per ¡scegliere una posizione più logica, meglio in rapporto con gli eventi, ai quali poteva dar luogo la sorte delle armi, e della quale, guardando il corso dalla costa, poter lasciare l’isola a suo talento, se per poco andasse fallito il piano della meditata rivoluzione. Sicché quello che qualunque uomo prudente avrebbe stimato sicura via di salvezza, non parve tale al capitano Sitzia; epperò senza parlarne più che tanto, rivolgiamoci alla rotta che da Sapri doveva il Cagliari correre, posto per poco in ipotesi il divisamentó,che egli asserisce di aver formato.

Era prossimo, e tra i più opportuni, l'ancoraggio di Salerno, che avrebbe riunito le più propizie condizioni, cioè prontezza, facilità e sicurezza.

E per verità, è Salerno capitale di una considerevole provincia del nostro regno, residenza di tutte le autorità, popolosa, trafficata, adatta a porgere in quella congiuntura, come poi avvenne, mezzi ed aiuti. Colà dunque il capitano Sitzia esclusivamente avrebbe dovuto dirigersi.

Operando a questo modo, il Cagliari vi sarebbe giunto allo spuntar del giorno. Né lice supporre, che il capitano avesse avuto dubbi intorno alla ricognizione del silo, tosto che lo vediamo talmente pratico della costa, che sull'annottare del dì 28, giunse su di una spiaggia deserta, senza faro, che gliel'avesse indicata, senza lumi occasionali, senza pilota che ve lo avesse guidato. Tutto solo, lo vediamo scegliere tale una posizione di ancoraggio, da mettere al coperto da una prima resistenza le operazioni di sbarco, e di assicurare, per quanto dipendeva da lui, la riescita del progetto.

E dato pure che il Sitzia fosse pienamente ignaro del sito, e che non volesse punto trasandare alcuna di quelle preveggenze sempre lodevoli in un marino, egli sarebbe arrivato sull'ancoraggio di Salerno (ripetiamolo anche una volta) ai primi albori del dì seguente, 29 giugno, quando non poteva venirgli meno la risorsa di lasciarvisi condurre da uno dei tanti legni di cabotaggio che affluiscono sulla costa; ed in difetto, dalle innumerevoli barche pescherecce che gli avrebbero offerto sinanco la scelta del pilota.

Ma non era' punto l’apprensione di mettere a repentaglio il bastimento, che predominava nella mente di Sitzia; era in vece il segreto scopo di sua missione che faceva distoglierlo dall’idea più. acconcia di dirigere a Salerno.

Allorquando il Sitzia avesse voluto tenere questo viaggio, avrebbe dovuto eleggere altro cammino, ben diverso da quello che elesse. Or governando il battello all'O26° N, e le bocche piccole di Capri restandogli per N 8° E, era un fatto compiuto che quella rotta fosse stata a disegno evitata. E quando finalmente riflettiamo che il Cagliari, partito alle 11 della notte, trovavasi alle 8 e (3)4a settantuno miglio da Sapri, si sarà col più solido argomento dimostrato, che non aveva avuto, né avrebbe potuto avere altra rotta, che quella che seguiva quando fu scoperto, cioè l'0 26° N, dappoiché laddove fosse altramente avvenuto, calcolando che il Cagliari, a cammino medio, percorreva circa otto miglia l’ora; o non si sarebbe punto scoperto, o il Tancredi non l’avrebbe mai incontrato in quel punto. Queste induzioni sono di per sé stesse evidenti.

Ma, se egli è d’uopo confondere il capitano Sitzia, e dirgli in viso, che egli à solennemente mentito, diamo uno sguardo alla carta idrografica; poniamo il Cagliari nel punto che risulta dai documenti legali; cessiamo dalle ipotesi; prolunghiamo la sua rotta di 0 26° N, ed all’estremo di questo rombo fatale, troveremo, non Gaeta, non Salerno, non Napoli, ma l'isola di Ponza, dove doveva aver termine il cammino del Cagliari e la missione di Sitzia.

E proseguendo ancora l'esame di questi fatti, quando la Real fregata a vapore il Tancredi stanziava sull'ancoraggio di Sapri, ebbe il RetroAmmiraglio propizia occasione di raccogliere i prigionieri arrestati, e per più approfondate indagini, conseguire lo scopo di meglio conoscere i particolari del capitano Sitzia, il quale fu chiarito da quelle deposizioni essere stato in pieno accordo coi capi di quei rivoltosi e quindi in perfetta intelligenza con Pesacane, Nicotera, Falcone, cooperando insieme sopra i mezzi per assicurare Tesilo della impresa, ed aver vegliato egli stesso nel transito da Ponza a Sapri, quando scoprivasi un vapore Napolitano, che si dubitava fosse da guerra.

E innegabile, che allora tutto l'equipaggio e la massa dei rivoltosi si fosse posta bocconi per terra, lasciando veder solo uno scarso numero di gente che non poteva destare sospetto; ed allora il Sitzia aver desistito da quelle misure di consigliata precauzione, quando si riconobbe esser quello un legno mercantile. In quel breve periodo potè di fermo misurarsi tutta l'efficacia dell'operare di Sitzia; lui distribuir le armi, lui confezionare e ripartire le cartucce, lui incoraggiare tutti, e valendosi del prestigio della sua posizione, pochi momenti prima dello sbarco, andar ripetendo, a voce sonora, auguri e speranze.

Equando ricordiamo il risultato delle prime perquisizioni fatte sul Cagliari, la natura impropria delle armi ancora cariche rinvenute su pel ponte e nelle stive, i feriti che si trovavano confusi con la ciurma, le casse di armi del carico vuotate, ci si fa aperto quanto fossero veraci le deposizioni di quei prigionieri estranei ad un primitivo concerto; i quali, presente il Sitzia sul ponte del Tancredi, indicavano pur lui come il più efficace cooperatore, come il solo che aveva tenuto sempre il comando del bastimento, e da cui tutte le disposizioni erano partite.

Ma, per gran ventura, diremo essere stato al tutto provvidenziale la cattura del Cagliari, ponendo mente al perfetto accordo dell’ora, nella quale veniva eseguita con quella, in che sull’isola di Ponza, il cui suolo era ancora caldo del sangue versato, rinnovavansi per brevi istanti ancorale sopite scene di orrore. Per breve istante; perocché tosto all'apparire di un fumo sull'orizzonte, fu dato riconoscere, non il Cagliari, ma sì bene la Real fregata a vapore il Ruggiero, che avvicinandosi, ripristinava alfine, l'ordine e la calma; restituiva l’isola alla legittima Sovranità, e dava non dubbie garantie che l'anarchia era cessata, ed eran caduti nei lacci della giustizia coloro, che col pugnale, aprendosi la strada tra l’incendio e la rapina, avevano immolato al loro insano furore quegli innocenti e pacifici isolani.

E che veramente il Sitzia ritornava in Ponza per imbarcare i rimasi, dopo il primo viaggio, e così accrescere esorbitantemente le falangi dei ribelli e rendere più certo lo sconvolgimento del regno, se ne à pruova dai relegati di Ponza, tra i quali, molti, e specialmente Salvatore Barberio, depone, CHE I RIVOLTOSIPROMISERO CHE SI SAREBBE EFFETTUATO IL PRIMO VIAGGIO E QUINDI SI SAREBBE RITORNATO A PRENDERE GLI ALTRI ((13)).

§. VIII. Istituzione del presente giudizio

Il giorno 22 di agosto dell'anno che volge, la casa commerciale, Carlo di Lorenzo e compagni, avanzò atto di protesta, nel quale assunse la qualità di procuratrice, con ampia facoltà ricevuta dalla compagnia Rubattini di Genova, mediante mandato del dì 8 del mese medesimo, e pretese la restituzione del piroscafo.

L’Intendenza Generale della Real Marina, per contrario, à istituito ritualmente il giudizio di buona preda del battello in quistione, con domanda del 26 dello stesso mese, e che per soperchianza di cautela, à intimato in Genova, al signor Rubattini, ed in Napoli alla casa di Lorenzo ed al capitano Antioco Sitzia, appoggiandola sopra due motivi distinti: il primo, esser gli atti ed i fatti commessi dal battello il Cagliari, di pirateria: il secondo, essere di guerra mista.

Alla doppia dimostrazione dei motivi proposti, intende il presente lavoro.

CAPO II

Disamina critica degli avvenimenti descritti finora.
§. I. Sul primo periodo; partenza del piroscafo il Cagliari
dal porto di Genova.

Giova alla discussione della causa risovvenirsi dell'importanza che le leggi di commercio attribuiscono all'uffizio di capitano di un bastimento, ed ai doveri che lo circondano, prima, nel corso, e dopo del viaggio marittimo da lui intrapreso.

Per comune sentenza della scuola, della giureprudenza, e più ancora di tutti i codici delle nazioni incivilite, il capitano, chiamato ancora maestro o padrone (magister navis) è quegli, cui vien confidato il destino, la custodia e la condotta di una nave, come pure la cura delle merci che vi sono caricate. Egli ne è il tutor nato, il depositario, il rappresentante dei proprietari dei bastimento e delle mèrci: a dir breve, è il procuratore risponsabile degli uni e degli altri.

Innanzi tratto, il capitano deve procurarsi un equipaggio sufficiente composto di uomini probi ed esperti. A lui ed ai proprietari, se mai si trovino sopra luogo, ne appartiene pienamente la scelta e la composizione delle persone e degli uffizi. E ciò perché i proprietari ed il capitano rispondono dei fatti che l'equipaggio commette a danno del bastimento e delle merci.

Il capitano, scrive dottamente il VINCENS, è sul bordo il rappresentante del proprietario, E' IL GERENTE ASSOLUTO E RISPONSABILE DI TUTTI GLI AUUENIMENTI DEL BASTIMENTO, ED IN MARE DI TUTTI GL'INTERESSI CHE RIUNISCE: egli è garante delle sue colpe e di quelle dell'equipaggio, anche leggiere: e la sua risponsabilità non cessa CHE PER LA PRUOFA DELLA FORZA MAGGIORE. Egli compone l'equipaggio, ed appartiene a lui la scelta ed il salario de' marinari.

La ragione è evidente; gl'interessi della sua sicurezza, LASUA RISPONSABILITÀ ((14)), e la subordinazione necessaria lo dimandano egualmente ((15)).

Il PARDESSUSaveva pur detto:

È essenziale, che una esatta sorveglianza, la polizia, il buon ordine e la subordinazione sieno custodite sul bastimento. Perciò il capitano à diritto di essere obbedito in tutto ciò che egli ordina pel servizio interno ed esterno.

Tutte le persone sul bastimento sono sotto la sua autorità, o sotto quella della persona che lo rimpiazza nel comando, a cui à egli delegato qualcheduno dei suoi poteri.

Alla sua volta, egli è obbligato di prendere avviso dai principali dell'equipaggio, nelle circostanze importanti, delle quali la maggior parte sono determinate dalla legge o fissate dall'uso.

Ma questa autorità non gli attribuisce giurisdizione. È una specie di potere domestico che si limita alla punizione delle mancanze, o alla repressione dei vizi pei quali le leggi, o i regolamenti non indicano le pene, o modo particolare di persecuzione, e che rientrano nel solo diritto di correzione e di disciplina. Tutti coloro che montano sul legno sono tenuti, sotto pena di essere riputati disobbedienti, e secondo i casi, anche complici dei delinquenti, di secondare il capitano nelle misure che egli prende, e delle quali è solo risponsabile ((16)).

Sotto la denominazione, marinari, van compresi tutti coloro che in modo generico compongono l’arrolamento dell'equipaggio marittimo, di qualunque grado essi sieno. Ascoltisi il TARGA, il quale dice che: il nome di marinaro comprende in sé ogni persona che si esercita nella professione nautica, DAL CAPITANO SINO ALL'ULTIMO MOZZO ((17)). AZUNIsi uniforma al TARGA ((18)). Amendue cotesti riputati scrittori fondano la loro opinione sopra un responso del giureconsulto ULPIANO, che ben quadra al bisogno ((19)).

Ed è pure riconosciuto, che il capitano esercita un potere correttorio e coercitivo nello interno del legno del bastimento, non meno sull'equipaggio, che sopra i passaggieri che vi sono imbarcati.

Il lodato AZUNIavverte che: gli scrittori delle cose marittime parlano de' marinari in guisa non troppo favorevole, adattando ad essi loro gli epiteti di gente cattiva, di ladri, d’indocili e carichi di tutti i vizi che colgono in tutti i luoghi ove approdano.

Parmi però che nel secolo presente non meritino i marinari cotesti titoli tanto prodigatigli nei tempi trascorsi.

Quindi è che per contegno dei marinari e dei passaggieri ànno dovuto le leggi deferire UNA SPECIE DI AUTORITÀ E GIURISDIZIONEAL CAPITANO DELLA NATE BASTEVOLE A CONSERVARE, O RICHIAMARE IL BUON ORDINE, PENDENTE IL TI AGGIO ((20)).

Concordano in questa opinione, il PARDESSUS ((21)), BRAVARD-VEYRIÈRES((22)), GOUJETE MERGER((23)), DEVILLENEUVE ET MASSE((24)).

§. II. Continuazione dello stesso argomento.

I citati scrittori, come ancora le nostre leggi di eccezione per gli affari di commercio ed il codice di commercio sardo ((25)), classificano i doveri del capitano prima della partenza; e quindi noverano i documenti, dei quali dev'essere fornito innanzi di salpare dal porto.

Il primo suo dovere, dopo gli obblighi di già rammentati relativamente alla formazione dell'arrotamento, è di far visitare il suo bastimento ne’ termini e nelle forme stabilite dai regolamenti, ed il processo verbale della visita debbe egli depositarlo nella cancelleria del Tribunale di commercio ((26)). Cotesto verbale di visita assicura dello stato verace del bastimento prima dell’imbarco, e sdebita il capitano di molte imputazioni, quanto gravi, tanto perigliose, tra le quali v’à spezialmente quella del trasportamento di oggetti di contrabbando di guerra, cioè dire di armi e di munizioni.

Debbe pure il capitano conservare un registro numerato e cifrato dagl'impiegati locali dell’ascrizione marittima, o in vece dall’uffiziale municipe. Cotesto registro deve contenere un rapporto fedele dell'accaduto nel corso della navigazione, le risoluzioni prese, durante il viaggio, l’introito e l'esito relativo al bastimento; ed in generale, tutto ciò che può riguardare il suo carico, un rendimento di conti, ed una domanda giudiziale ((27)).

Come ognun vede, indipendentemente dalle pruove che possono attingersi per gl'interessi e per le responsabilità civili, un provvedimento di saggia politica richiede quel registro; dappoiché può raccogliere il Governo da quelle annotazioni di tal sorta, avvenimenti donde può trarre necessarie ed utili notizie per la conservazione e per la difesa dello Stato ((28)).

È pure obbligo indispensabile del capitano di tenere a bordo, tra gli altri documenti; 1.° L’alto di proprietà del bastimento; 2.° L’atto di nazionalità; 3.° Il ruolo dell’equipaggio; 4.° le polizze di carico; 5.° i contratti di noleggio; 6.° I processi verbali di visita; 7.° Le quietanze di pagamento, ossieno fedi di cauzione delle dogane; 8.°Il passaporto nautico.

A questo proposito, bene avverte il lodato PARDESSUS: che l'obbligo nel quale il capitano si trova di fare un uso frequente di questi documenti, nel corso della navigazione, è soprattutto per evitare in tempo di guerra LA LEGITTIMITÀ DELLA PREDA, CHE È DI PIENO DIRITTO PRONUNZIATA CONTRO OGNI BASTIMENTO, DI CUI LA PROPRIETÀ ED IL CARICO NON SONO CONSTATATI DA ATTI REGOLARI ((29)).

L’atto di proprietà del bastimento giustifica a chi esso appartiene; l’atto di nazionalità, qual suddito e di quale Stato esso sia; il ruolo di equipaggio depone del carattere morale e della probità di coloro che lo compongono; le polizze di carico ed i contratti di noleggio attestano la qualità innocente o nocevole di tutto, o di parte del carico, ed il nolo pagalo o da pagarsi; i processi verbali di visita accertano l’essere pacifico del legno; le quietanze o le fedi di cauzione delle dogano pruovano i dazi che si sono pagati ((30)).

Allorché dunque il capitano à completamente osservato la integrità di cotanti suoi doveri, ed oltre ad esser fornito delle precennate carte di viaggio, conserva pure le patenti, i riscontrini, e la bolletta di spedizione, dicesi in istato di essere pronto a far vela ((31)).

§. III. Compimento delle fatte avvertenze.

Dalle carte rinvenute a bordo del piroscafo il Cagliari, nel momento del suo arresto, registrate e descritte nel legale inventario compilato dalle autorità competenti, lucidamente si raccoglie che il capitano Antioco Sitzia navigava sfornito di quasi tutti i documenti necessari, sì come a suo luogo rileveremo. Laonde, egli navigava in contravvenzione manifesta delle leggi del suo paese. Basterebbe solo cotesto segnalato mancamento a far dichiarare legittima preda la cattura del piroscafo.

CAPO III

Discussione de' fatti
§. IV. Riflessioni critiche sul primo periodo del viaggio del Cagliari

Tutti sanno, e quelli che, o sono addetti, o altramente praticano gli affari marittimi perfettamente conoscono qual sia il primo pensiere, che sta in cima a tutti gli altri nella mente di un capitano che intraprende un viaggio di mare; e specialmente in tempo di notte. Egli non meno per la propria sicurezza, che per lo esatto adempimento del doppio mandato ricevuto dagli armatori, ossieno proprietari del bastimento (exercitores) e dai caricanti; e da ultimo per la buona condotta e pel prospero termine del viaggio medesimo, rassegna attentamente l’equipaggio ed i passaggieri: livella ed alloga gli uni e gli altri ai rispettivi posti: rassetta le mercanzie: destina gli uomini di buona guardia ed i fanali di scorta: compie infine tutti gli atti di prudenza e di precauzione, che non solo praticano coloro, ai quali è confidato il supremo comando di un legno sul mare, ma che esercitaqualunque padre di famiglia, che guidi privatamente il picciol numero delle persone e delle cose che gli appartengono.

Né s’ignora quanta sia la rassegnata dipendenza de' passaggieri in un tragitto di mare notturno, non pure verso di coloro che ànno graduale dignità sul legno, ma soprattutto verso la persona del capitano comandante, il quale come guidator supremo ed assoluto della nave, è in grado di spiegare un’autonomia dispotica ed irresistibile contro de' passaggieri medesimi e dell’equipaggio, i quali tutti dai suoi cenni interamente e necessariamente debbono dipendere.

Nella distribuzione delle merci a bordo, le armi e le provvigioni da guerra, se mai ve ne sono, si collocano sotto coperta, ed in sito riposto e custodito, per voluta preservazione del legno e degli uomini che vi sono imbarcati.

Nel momento della partenza del Cagliari, sull’asserarsi del giorno 25 giugno, senza dubbio, che i 25 passaggieri tra i 33 che imbarcarono, non erano forniti di armi di qualunque sorta. E se per caso ne fossero stati forniti, di certo che il capitano avrebbe dovuto impossessarsene, o impor loro di dismettersene, sotto pena di niegar loro alcun posto sul legno. Ma poi; dai fatti assodati; dalle deposizioni degli stessi passaggieri, e principalmente dalle proprie confessioni del capitano Antioco Sitzia, e dalle altre del capitano in secondo Vincenzo Rocci, e dello stesso Giuseppe Daneri, che si vuole anche di viva forza surrogato al primo, evidentemente si raccoglie che il Sitzia non solamente fu complice efficace, ma operator principale di tutti i fatti di pirateria e di guerra civile che costituiscono la serie dei tristi e miserandi avvenimenti di Ponza, di Sapri, di Casalnuovo, di Padula e di Sanza.

§. V. Sviluppamento delle confessioni del capitano Sitzia,
di Rocci e di Daneri

Dal primo interrogatorio sostenuto dal capitano Antioco Sitzia davanti al tenente di vascello Giovanni d'Ayala Valva, il giorno 29 giugno 1857, risultano le seguenti posizioni di fatto solennemente da lui confessate, e delle quali faremo esalta disamina.

I. Proposizione

Dice Sitzia, che appena il piroscafo pervenne in alto mare, presso le ore 8 della sera, e nel mentre che egli si dirigeva a prua per spiare e provvedere apportunamente agli accidenti possibili, fu circondato di un subito da 25 dei 33 passaggieri, e l'obbligarono a deporre il comando, e fecero prigione TUTTO LO EQUIPAGGIO.

Piace di soffermarsi alquanto su di questa prima confessione del Sitzia ((32)).

La radicale falsità e la cospicua esagerazione di questo deposto sorgono dalla fisica impossibilità del fatto che egli depone.

Costa, che l'equipaggio del Cagliari contava nientemeno che 32 individui (vien confessato dallo stesso Sitzia), dai quali se si volessero sottrarre i due macchinisti, Errico Watt e Carlo Park, sarebbero 30 quelli che di repente rimasero imprigionati da soli 25 passaggieri.

Ma i finti aggressori non furono nemmeno 25, ed in vece 15 o 20. Ciò risulta dalle deposizioni dei due passaggieri, Cesare Cori ed Amilcare Buonomo, come pure dalla dichiarazione d'innocenza rilasciata dai rivoltosi al capitano Sitzia, e tra i quali figura il precennato Cesare Cori ((33)).

A prescindere, che i soggiacenti alla forza erano di numero maggiore di coloro che l'usavano; e quel numero (si noti) era accresciuto da quelli 8 tra i passaggieri medesimi, che per comune confessione, rimasero non pure indifferenti al supposto oltraggio, ma benanche dispiaciuti di quanto vedevano accadere sul legno. Adunque il numero degli aggrediti contava il doppio, e forse anche di più di quello degli aggressori; il che di per sé solo basterebbe a smentire la menzogniera asserzione.

Ma sul ponte di un bastimento che mareggia; l'angusto campo dell'azione; le tenebre della notte; il sentimento della propria superiorità che predomina nel capitano, nei maggiori dell’equipaggio e nel resto de marinari; la perizia e l'agilità di questi nelle manovre di bordo; la naturale imperizia de' viandanti e la ingenita dubitazione del successo, che smisuratamente scema il momentaneo ardire dei pochi audaci, sono tanti elementi contrari ed incompatibili, i quali rifiutano fino il sospetto della possibilità di un fatto così rimarchevole.

Dippiù, nissuna pruova convincente si offre di cotesta patita forza maggiore: che per contrario esiste la pruova chiarissima della complicità del capitano e dell'equipaggio nel riprovevole disegno.

Anche in assai minor numero, i marinari dell’equipaggio, vigilanti, come esser dovevano sulle mosse dei passaggieri, al primo allarme, avrebbero potuto montare su i bastingaggi (le murate del legno), sulle sarzie ed altrove: avrebbero potuto giovarsi degli usati artifizi di difesa e di attacco, e nel tenebrore della notte opprimere possenti ed inavvertiti gl'inesperti nemici.

La pruova della sofferta forza maggiore è un elemento di fatto, posto a peso del capitano, non solo dalle nostre leggi di eccezione per gli affari di commercio, che dal codice di commercio sardo.

L’obbligazione del capitano non cessa, che in forza della pruova degli ostacoli provegnenti da forza maggiore ((34)).

La risponsabilità del capitano non cessa, se non colla prova di ostacoli provvedenti da forza maggiore ((35)).

Noi svilupperemo più basso questa dottrina importante, che qui per ora solamente accenniamo.

Ma per poco sia pure che vuoisi, spunterà sempre vero dal contesto di tutte le deposizioni, degli interrogatori e delle confessioni dei testimoni e dei passaggieri, che né il capitano, né f intero equipaggio oppose, neppure con le sterili parole, risistenza veruna a quei pochi, che quali Enceladi e Briarei novelli dalle cento braccia, avrebbero abbattuto e vinto, coi magici atteggiamenti di una mimica inspirala, una moltitudine di uomini coraggiosi, e diremo, sicuri del fatto loro e nella propria casa. Tali ciance son meglio racconti da creduli bambini, che serie pruove da uomini adusati a rigorosi ragionamenti.

Se dunque volesse attribuirsi colore di verità, o di verosimiglianza al racconto, rimarrebbe sempre dimostrato di non essere stata mai esistente la forza maggiore, cui sarebbe soggiaciuto il capitano e f intero equipaggio; dappoiché allora soltanto si rimane vinto dalla forza maggiore, quando una minor forza che si oppone, non basta a bilanciare o a respingere il prepotente vigor dell'insulto. Ma quando si serba l’immobile passività sul cominciar delle offese, la violenza si converte in volontaria dedizione, e diviene invalida a mascherare un concerto preordinato.

Questo, e non altro è il caso, in cui trovansi costituiti il capitano Antioco Sitzia, Vincenzo Rocci, suo secondo, e l’equipaggio del Cagliari.

Né può asserirsi da ultimo, che i marinari di quel piroscafo fossero per natura o per assuetudine, imbelli e codardi; giacché vedremo che furon tutti vogliosi, lesti ed audaci a disbarcare armati in Ponza, combattere i soldati Regi, depredare quell’isola, riempire ogni casa di spavento e di strage. Né solo la ciurma osò e fece sanguinosi esperimenti, ma pure i domestici del legno, alieni per istinto dalle pratiche marine e di guerra, e solo addetti all'ozioso servigio dei pacifici viandanti, virilmente parteciparono al sanguinoso compromesso. Di questa classe furono, Lorenzo Acquarone, che fu ferito nella mischia di Ponza, e Giuseppe Mercurio, colà rimase illeso, ma poi anch'esso ferito in Padula.

Ed ammessa per poco la violenza sul bordo, riescirà sempre inammissibile l’esercizio della forza maggiore anche nella discesa dell’equipaggio dal piroscafo e nella parte attiva che prese nelle zuffe che seguirono nell isola. Se 20 uomini possono impaurire 32 marinari, non valgono certamente a portarli sul dorso. Ma poi costa irrecusabilmente che il numeroso equipaggio discese armato dal bastimento, pugnò audacemente, e fu il maggior polso di quei tristi nell'assalto di Ponza. Dunque quella ciurma non soggiacque mai alla forza maggiore; né vi poteva mai soggiacere in ogni momento, ed a grado dei pochi aggressori, se all’ordine di armarsi, di discendere e di combattere, non altro avesse opposto che la sola inerzia. L’inerzia dei corpi è forse a prima forza repellente in natura. Si può soverchiare altrui e metterlo in sofferenza, ma non si può far muovere ed operare una persona, che è decisamente renitente e restia.

II. Proposizione

Assume il signor Sitzia, che nel giorno 27 di giugno presso all'arrivo a Ponza, fu trasportato sotto coverta, e messo in un camerino.

Questo assunto vien contraddetto dalla deposizione di Giuseppe Daneri; quel desso che si vuol far credere anche forzatamente sottentrato a Sitzia nel comando del legno. Il Daneri assicura che nel mattino del giorno 26 giugno, mentre si navigava per l’isola di Monte Cristo, prima s’ncontrò un brigantino di bandiera napolitana, reduce da Odessa, carico di frumento, e che nel dubbio della sua qualità, fu prima abbordato, poscia negletto, e che a 25 miglia di distanza da quell'isola, si scorse da ponente, una squadra inglese: che in quel mentre capi della rivolta ànno mandalo a basso TUTTO ¿EQUIPAGGIODEL VA PO RE e pochi PASSAGGIERI, OBBLIGANDOLI COLLA FORZA A RIMANERCI. Quindi nasce un dilemma: il capitano Sitzia discese sotto coverta, o rimase sul ponte? Nel primo caso, è vittoriosamente smentito il suo deposto e confermato sempreppiù che egli era in pieno concerto coi ribelli; imperciocché, se veramente egli fosse stato trattenuto in quel modo, di certo che non avrebbe potuto, né ascoltare, né vedere quanto depone di aver veduto ed ascoltato. Nel secondo caso, egli sarebbe rimaso solo e libero sin dal primo momento della supposta rivolta: il che rifermerebbe grandemente la di lui correità, che per altro è luminosamente pruovata.

In vero, egli compone un’affettata, e perciò solo colpevole ed incredibile narrazione. Se fosse stato vero il sequestro, e poi l’arresto ed il trasporto della sua persona nel camerino di poppa, non avrebbe potuto esser presente alla tumultuaria elezione del Daneri a capitano del Cagliari, né agli ordini a costui comunicati: non avrebbe udito il racconto che egli scaltritamente imbocca ai ribelli, relativamente al viaggio del Cagliari, all'intento d’infìngersi di non esserne stato consapevole fino al momento della partenza: tanto meno avrebbe potuto essere in grado di udire gli alterchi tra i faziosi il Regio pilota di Ponza, Roberti, ed il capitano del porto, Magliozzi, che di buona fede ascesero quel piroscafo: e niente affatto poi poteva vedere la forza che quelli pativano a piè della scala praticata dai rivoltosi, armati di pistole.

Si può adunque confidentemente ritenere in ordine a codesta parte della dichiarazione del Sitzia, essere gli avvenimenti da lui narrati, o falsi, o colorati con finissimo accorgimento.

Ed a maggior conferma del nostro assunto, rammentiamo ai leggitori di queste carte, che il capitano Sitzia, ancor prima di levar l'ancora da Genova, aveva decisamente in animo di mentire l’apparente sua destinazione, e dirigersi difilato a Ponza, da che egli assicura, che a quell'isola il piroscafo doveva giungere, dòpo l'incontro di due barche ripiene di armi e di armati: incontro che doveva succedere nelle vicinanze di Sestri, e che si attese indarno.

Ma ciò che supera ogni altro elemento di fatto a danno di Sitzia è che egli solo preconosceva anche le operazioni che dovevano consumarsi in Ponza dai suoi mentiti passaggieri, e nel mentre stesso suoi compagni veraci: e quindi, egli soggiunge nella sua prima deposizione, si sarebbero diretti per l'isola di Ponza PER LIBERARE I PRESIDIARII ((36)).

D. cotesto scopo dei ribelli, nissuno ne fa motto. Né Daneri, né Rocci, né Cori, né Buonomo, né i passaggieri, né Mascarò, né i marinari lo dicono. né lontanamente lo accennano. Come dunque lo sapeva il solo capitano Sitzia? Non altramente, deve conchiudersi che lo sapesse, che per confidenza fattane dai rivoltosi. Egli era dunque correo, o certamente loro complice primario e fin dal bel principio, e prima pure di muovere da Genova. Laonde egli era partecipe dei criminosi progetti degl'inimici del regno.

La è questa una circostanza importantissima ed aggravante assai la persona del Sitzia, e che gli esci di bocca nella perturbazione in cui era, e che di repente e di facile sconcertò l'ordito delle sue premeditate assertive.

Cotesto diretto viaggio per Ponza, mentre viene assicurato dal Sitzia, trovasi niegato, o almanco messo in forse da Giuseppe Daneri e dal capitano in secondo Vincenzo Rocci ((37)). Costoro, e più il Daneri, vorrebbe far credere che a mezzo del cammino e sull'aggiornare del dì 26 giugno, fu dubbio se nelle tramogge e nei ripostigli del Cagliari vi fosse provvigione bastevole di carbon fossile che rispondesse al bisogno, o meglio convenisse deviare per Monte Cristo, affine di legnare per le esigenze del viaggio: che fu prima verificato, e poi consigliatamente creduto dai rivoltosi di aver tutto in pronto, e che ben potevasi proseguire il corso del viaggio per la suddetta isola di Ponza.

E qui giunti, piace avvertire, che mentre Sitzia dice del trasferito comando in Da neri, questi nel tempo stesso lo confessa e lo nega; dappoiché amendue attribuiscono in massa ai ribelli il comando e la direzione del legno, sin dal primo istante della pretestata sedizione, infino e dopo lo sbarco in Ponza. Codesta gara di scuse mal compre, ispirano a chi ben pensa l’impossibilità del fatto.

Nel vero, in terra ferma è facile a chiunque di provvedere e di disporre; ma in alto mare, sopra battello a vapore, tra i possibili perigli di una esplosione o di un sommergimento, di notte, non molti, ma un solo; e non gl'imperiti che vi si trovano a caso, o per fini privati comandono e dispongono; ma i destri ed usati alle cose marittime, e per tutti il capitano, o chi ne prende le veci, ordina e comanda ogni operazione interna e qualunque movimento del legno: tanto più che quei dissennati avevano creato a capo il Daneri, che era veramente capitano marittimo per istituzione e mestiere, loro consorte per simpatia politica, e mentitor dal suo stato nell’imbarcar sul piroscafo.

D. ultimo, è incredibile che il comando fosse stato assunto a tumulto dai vari sediziosi, anche perché il piroscafo non navigava di costa, ma viaggiava di altura. Ed in largo mare è d'uopo fissare sulla carta il punto da scegliere e la direzione da seguire, per non incontrare un certo sinistro, che può perdere il bastimento edi naviganti. Sarebbe la prima volta nei moderni annali marini, che un battello a vapore abbia potuto essere guidato, non già da un capitano, ma per lui da una frotta di passaggieri ignari e stranieri alla perizia nautica, e che collettivamente avessero dato gli ordini di comando.

rent; page-break-before: always"> II. Proposizione

Il capitano Antioco Sitzia non si rimane dallo asserire che nelle molte casse di merci imbarcate, vi erano armi di lusso, che dovevano consegnarsi ai proprietari, nella città di Tunisi: aggiunge che i ribelli nel giorno 27 giugno fecero una perquisizione in tutto il bastimento, ed avendo rinvenute quelle armi, se ne impadronirono.

La prima assertiva è in perfetta contraddizione col deposto dello stesso Sitzia, il quale, come suole intervenire ai bugiardi, dimenticò quanto poco innanzi aveva detto, e sulla domanda dell'uffiziale d'Ayala, che lo costituiva in questi termini: so che i rivoltosi ànno rinvenuto sul vostro bordo, tra le altre armi, una quantità di boccacci, esplicitamente rispose, con le seguenti parole: i detti boccacci erano rinchiusi nelle casse di armi destinate per Tunisi.. La legittima conseguenza che s’induce da questa risposta è che Sitzia preconosceva che in quelle casse, non armi di lusso, ma le più formidabili e micidiali vi stavano riposte.

D. più, si ritenga pure che i ribelli imbarcati, o ignoravano, o sapevano i depositi di armi che stavano sul legno. Nella prima ipotesi, che sarebbe la più regolare, non potevano andar rilrugando il legno medesimo, che per la sua qualità pacifica e mercantile ispirava l'impossibilità di tale speranza. Nella seconda ipotesi, non altri che il capitano Sitzia avrebbe potuto avvertirli di tal fatto, mentre le armi e le munizioni, non stanno a vista, né sono facilmente riperibili, perché si custodiscono nei riposti penetrali del legno.

La seconda assertiva poi è vittoriosamente esclusa, o almanco messa in grave dubbio dalla solenne dichiarazione di quei medesimi rivoltosi, della quale si fa scudo il Sitzia a sostegno della sua innocenza, e che fu rinvenuta nel portafogli dell’estinto Carlo Pisacane.

Questa dichiarazione è segnala alle ore 9 ½ di sera de' 25 giugno 1857; vale dire due ore e mezzo dopo la partenza da Genova, e due giorni prima del ritorno da Sapri ((38)).

I soscrittori di quell'attestato sono precisamente venti persone, le quali confessano di aver congiurato d’impossessarsi del Cagliari; di avere ricercato sul legno; di avere scoperto le armi; di essersene impadroniti, e di aver deciso di morire per la causa di libertà.

Adunque non già nei momenti prossimi allo sbarco in Ponza, (non è credibile), ma in vece dal primo momento della partenza, il capitano Sitzia volontieri e premuroso rifornì ai suoi compagni e consorti dell’orribile impresa, armi abbondevoli e bene adatte per ricscirvi; e poi nello stesso mentre fece vergare quell’attestato d’innocenza, che immediatamente gli rilasciarono quei ribelli nei primi bollori della rivoltura. Grossolani ed incredibili ripieghi son questi, ma in fondo assai nocenti alla persona del Sitzia.

D. ultimo, anche le deposizioni di Giuseppe Daneri e di Vincenzo Rocci escludono la perquisizione asserita nel 27 giugno, e la riportano al 25, o al 26 dello stesso mese; per modo che il detto di cotesti due concorda con la dichiarazione dei ribelli, e discorda col deposto di Sitzia ((39)).

Ma poi, chi potrà concedere a quella ultronea e fallace dichiarazione alcun peso di credibilità?

I dichiaranti sono i ribelli, amici e conforti del Sitzia: attestano fatti di già preordinati di pieno accordo tra loro: quella carta servirebbe a pruovare la patita forza maggiore, che per legge, deve lucidamente risultare da fatti e detti estrinseci, veri e degni di fede, e non già dalle spontanee asserzioni delle immaginarie violenze, o dagli attestati dei colpevoli autori di quelle.

IV. Proposizione

Tutto l'equipaggio del Cagliari prese parte alla guerra.

Confessa il capitano Sitzia; e la sua confessione è confortata da quella di Daneri, di Rocci e di altri: che L'INTERO EQUIPAGGIOera stato obbligato a viva forza di sbarcare a terra: ed altrove che i rivoltosi imposero al MIO EQUIPAGGIO DI METTERE IN MARE TUTTE LE IMBARCAZIONI. Ciò solo basta a smentire qualunque pruova che si potrebbe desiderare a favore di Sitzia.

Ma cresce semprepiù la forza di tale innegabile verità di fatto dall'altro brano della deposizione dello stesso Sitzia, nel quale assicura che rimasero ancora a bordo TRE RIVOLUZIONARIFERITInel ritornare da Sapri: questi son quei medesimi ritrovati a bordo del Cagliari nel momento della sua cattura, ed erano Lorenzo Acquarone, uno dell'equipaggio, perché cameriere addetto al piroscafo. Egli fu ferito nelle azioni di Ponza, come attesta il suo compagno Giuseppe Mercurio, altro cameriere ed individuo dello stesso equipaggio, che lo ricondusse sul Cagliari: gli altri due feriti erano, Cesare Cori ed Amilcare Buonomo; l'uno dei venti della famosa dichiarazione d’impunità, l'altro implicato nelle rivolture politiche e fuoruscito milanese. Adunque il capitano Sitzia definì spontaneamente quei tre essere rivoluzionari: caratteristica che egli volontieri impresse al suo equipaggio.

Il novero delle persone che dall'isola di Ponza si rimbarcarono sul battello, e che lo stesso capitano Sitzia porta alnumero di 450 circa, rafferma lo assunto, cioè che tutto l'equipaggio prese parte e pugnò all’improvviso assalto ed ai miserandi casi di Ponza. Quei 450, presso a poco si componevano a questo modo: 391 tra relegali, già militari e presidiar!; 25 tra i 33 passaggieri: 30 dell’equipaggio; in uno 446, giusta i computi di Silzia.

Che poi l’equipaggio del piroscafo abbia effettivamente partecipato ai sanguinosi compromessi di Ponza è un vero incontrastabile.

Il primo che lo confessa è lo stesso capitano Antioco Silzia, che dichiara di essere restato SOLO A BORDO, GIACCHÉ LO INTERO EQUIPAGGIO ERA STATO OBBLIGATO DI VIVA FORZA DI SBARCARE IN TERRA CON LORO (coiribelli) ((40)).

L’altro che lo conferma è il capitano in secondo, Vincenzo Rocci, che depone: ci ordinarono (quei medesimi) di mettere in mare tutte le imbarcazioni (le lance, che erano 8 o9) ((41)) e DANDOCI DELLE ARMI, CI OBBLIGARONO DI SCENDERE I PRIMI ((42)).

Il terzo che lo ribadisce è Cesare Cori, che del pari depone: i quali (i rivoltosi) obbligaronotutta la gente di bordo, di calare armati a terra, io fui obbligato di tanto fare ((43)). Cori è uno dei tre feriti, rinvenuti a bordo del Cagliari e che il Silzia chiama RIVOLUZIONARI.

Ed aggiugne forza all'assunto Giuseppe Mercurio. Questi era uno dei tre camerieri del piroscafo. Egli discese con gli altri in Ponza, e ricondusse a bordo il suo compagno Lorenzo Acquarone, ferito in quei trambusti. Mercurio è quel desso, che disbarcò coi ribelli in Sapri: combatté a Padula, fu ferito nel primo fatto d’armi, e fu prigione dei vincitori. Dunque, tutto, o gran parte dell'equipaggio guerreggiò, non pure nell'aggressione di Ponza, ma ben anche nelle maggiori ostilità di Padula e di Sanza ((44)).

E da ultimo, Vito Luigi Cafano fu pure ferito in Ponza da colpo di fuoco, durante l'attacco, che i GENOVESI ebbero con le Regie truppe ((45)).

Ciò premesso; non si può comprendere da chi à fior di senno e che serba nel giudicar delle cose e degli uomini una fredda calcolazione, come poteva succedere tutto quel che si narra, senza volerlo e per sola virtù di forza maggiore!

L’esercizio della forza maggiore può imprimere alle forze subalterne esistenza ferma ed immobile in luogo definito, e finanche una totale passività; ma non può comunicare, per gli stessi elementi del suo istantaneo predominio, all'atterrita stupidità dei soggiogali, volontà, energia, coraggio e moto continuo di operazioni simultanee, progressive e pericolose.

V. Proposizione

Il capitano Antioco Silzia fu correo de' rivoltosi.

Dopo la serie delle ragioni, degli argomenti e dei fatti ponderati e discussi Onora, l'animo il più ritroso rimane convinto della innegabile partecipazione al disegno, del capitano Sitzia e della gente del suo equipaggio. Le riflessioni su gli occorsi di questo primo periodo della storia del Cagliari, a soperchianza giustificano cosiffatto convincimento. Ma giugnerà la giustificazione al supremo punto di evidenza dalla discussione che faremo degli avvenimenti verificati nei periodi posteriori, prima e dopo dello sbarco delle bande in Sapri. Per ora ritorniamo là, donde siamo partiti per servire fedelmente al metodo che ci abbiamo proposto.

È pure solenne confessione del capitano Sitzia, registrata nelle due di lui dichiarazioni del 29 giugno e del 3 luglio 1857 ((46)), che egli ERA RIMASTO SOLO A BORDO con quei pochi passaggieri neutrali, GIACCHÉ L’INTERO EQUIPAGGIO ERA STATO OBBLIGATO A VIVA FORZA DI SBARCARE A TERRA. E cotesta solenne confessione la faceva il Sitzia ben due volte, come replica alla domanda dell'uffiziale d’Ayala, che gli dirigeva in queste frasi: quando i rivoltosi sono sbarcati a Ponza, perché non avete tentato di uscire dal porto e venire ad avvertire nel continente?

Dell’assoluta libertà del comando e della intera autonomia di funzioni nel capitano Sitzia, ne fanno fede anche Antonio Roberti, pilota della Real Marina, comandante la Regia scorridoia stanziata nel porto di Ponza, e Giovanni Colonna, guardaspiaggia sanitario e pilota pratico di quel porto ((47)).

Imendue costoro depongono, e più il pilota Roberti assicura, che il legno (il Cagliari) si avvicinò alla bocca del porlo, ma poi RETROCEDETTE E QUINDI RITORNÒ ALLA. RADA, OVE LO RINVENNE ancorato; che non vide altro che il capitano, di cui à parlato, esercitareIL COMANDO MARINO:

Che avvertì che il vapore era uscito dal porto, e poi RIENTRÒ FINO ALLA RATTERIA DI LEOPOLDO, RITORNANDO SUL PUNTO ISTESSO:

Che le mosse del capitano non facevano addivedere che avesse avuto relazione coi ribaldi, ma diceva che era stato ingannato; MA CnE ESSENDO USCITO FUORI DEL PORTO, NON VI ERA ALCUNO CIIE LO AVESSE POTUTO TRATTENERE:

Che vide sul legno armi, ma non vide gente armata, sebbene vi fosse qualche persona ((48)):

Che durante il tempo che fu trattenuto sul legno, i comandiALLA CIURMA SI DAVANO, E LA DIREZIONE ERA PORTATA DA QUEL CAPITANO CHE GLI DISSE DI ESSERE STATO INGANNATO, NÈ VI ERA ALTRI CHE AVESSI AVUTO ESERCIZIO DI COMANDO.

§. VI. Illazioni che ne discendono

Rimane dunque vestita la confessione del Sitzia dalle deposizioni, non mai smentite dei due piloti Roberti e Colonna, i quali erano sinceri spettatori di quelli avvenimenti. E dallo insieme di tali preziose confessioni e deposti ne discende la luminosa ed irreplicabile conseguenza della correità principale del Sitzia nell’operato dei ribelli.

Se egli (anche per poco ammessa la forza maggiore) ne fu libero alla fine, e fu padrone intero delle sue azioni e della suprema direzione del piroscafo, ben egli poteva e doveva, a documento della sua innocenza e del rispetto per un Governo amico, volare, a modo di dire, nella vicina Gaeta o in altro prossimo luogo per avvertire le autorità pubbliche di quei disastri, che stavano compiendosi nell'isola di Ponza. E se in vece di compiere i doveri imposti dalla giustizia, dalla morale, dal diritto delle genti e dalla sollecitudine della propria probità compromessa, Sitzia ritornò volontieri dalla rada nel porto di Ponza per rimbarcar l’equipaggio ed i faziosi, e raccogliere sul bordo quelle grandi masse dei tristi, di fermo si debbe rimaner persuasi che egli non patì l’asserta forza maggiore, e che fu spontaneo strumento ed operator primiero degl'infortuni che afflissero parte del nostro reame e ne minacciarono il soqquadro.

PAOLO giureconsulto detta una regola pel caso nostro in queste solenni parole:

Qui non facit quod facere debet, VIDETUR FACERE ADVERSUSEA, QUEA NON FACIT. Et qui facit, quod facere non debet, NONVEDETUR FACERE ID, QUOD FACERE JUSSUS EST ((49)).

E qui giunti, riproduciamo alla nostra mente la memoria dei fatti assodati di sopra, vale dire la prescienza che serbava Sitzia della esistenza delle armi improprie, delle munizioni e degli altri oggetti di guerra sul suo legno; della vera direzione del di lui viaggio e del punto obbiettivo dei progetti della rivolta, e rimarremo sempre più convinti e persuasi della bontà logico-giuridica del nostro assunto.

Il motivo di scusa replicato dal Sitzia di non aver potuto denunziare quelli avvenimenti a chi conveniva, è combattuto e vinto dalla ragione e dal fatto proprio. Dalla ragione, perché anche i mezzanamente istruiti conoscono che per muovere e dar cammino ai battelli a vapore, non è duopo di ciurma, bastando al bisogno i soli macchinisti. Dal fatto proprio, perché in onta della scusa, Sitzia, senza ciurma e senz’alcuno dell’equipaggio, fece due movimenti con intervallo di qualche ora: il primo quando esci dal porto di Ponza ed ancorò in rada; il secondo quando dalla rada rientrò nel porto per riprendere i suoi compagni.

§. VII. Riflessioni critiche sul secondo periodo

Quella stessa piena ed intera potestà di comando che serbò il capitano Sitzia lino all'arrivo in Ponza, la ritenne dopo la partenza da quell'isola.

Tra i molti testimoni che àn deposto nella istruzione informativa di bordo, ve ne à uno interessantissimo, Eugenio Lombardi ((50)). Questi depone che salito sul Cagliari: il generalissimo della banda (Carlo Pisacane), accompagnato dal comandante del vapore, col quale stava in perfettissimo accordo, e che potrei benissimo indicarlo, incominciarono ad aprire delle casse di armi, 'distribuendole a tutti, tranne che io, che nonne volli accettare, accusando la mia infermità: DIPPIÙ, LO STESSO CAPITANO DEL VAPORE SOMMINISTRÒ DELLA POLVERE, CHE SOTTO DELLA SUA DIREZIONE SI RIDUSSE A CARTUCCE. Vidi poi che a bordo vi erano TRE FERITI E TRE MORTI ((51)), i quali DAL CAPITANO DEL LEGNO FURONO GITTATI A MARE APPENA ALLONTANATICI DA PONZA. Debbo aggiungervi pure che lo STESSO CAPITANO DEL LEGNO, la mattina del 128, scorgendo da lontano un altro vapore, che lui supponeva esser da guerra, con bandiera napolitana, ci OBBLIGÒ A NASCONDERCI TUTTI, ONDE LIBERAMENTE SEGUIRE LA SUA ROTTA. Fece inoltre occultare i suoi cannonieri, e chiudere la portelleria. Il punto del disbarco, mi si disse, essere stato prossimo sopra la strada del Cilento, ed il punto di riunione coi calabresi, Campotenese.

Dalla seconda deposizione, o meglio atto di affronto dello stesso Eugenio Lombardi, del giorno 3 luglio 1857 raccolta dall'altro uffiziale Leopoldo Lecaldano, si desume quanto, qui riferiamo:

Ci abbiamo fatto venire alla nostra presenza il comandante suddetto (il signor Sitzia), e posto in mezzo ad altri individui, lo abbiamo fatto riconoscere con le seguenti domande:

Ditemi voi, Eugenio Lombardi, chi fra questi è il comandante del Cagliari?

Signore, il comandante del Cagliari è questo; e nel così dire, À INDICATO EFFETTIVAMENTE IL SIGNOR CAPITANO DEL CAGLIARI D. ANTIOCO SITZIA.

D. Diteci voi adesso, Eugenio Lombardi, in seguilo sempre della vostra prima dichiarazione, fu egli il signor D. Antioco Sitzia che in Ponza, allorché voi ve ne fuggiste, che imbarcò tre morti?

R.Si, SIGNORE.

D. Fu egli, il signor Antioco Sitzia, secondo la vostra antecedente dichiarazione, che unito al capo, detto vostro generale, che apriva delle casse di armi, facendone la distribuzione?

R.Si, SIGNORE.

D. Fu egli, il signor Sitzia, CHE ORA VI STA INNANZI, che cacciando della polvere la ridusse in cartucce, e quindi ne fece somministrazione alla vostra banda?

R.Si, SIGNORE.

R. Fu egli, il signor Antioco Silzia, CHE ORA VI STA INNANZI, mentre navigavate, nello scorgere un vapore da lontano, vi fece tutti abbassare e nascondere, onde libero proseguire la sua rotta?

R.Si, SIGNORE.

I). Avete da aggiungere altro, ora che vi sta innanziil signor Antioco Silzia, circa la sua condotta tenuta a bordo del Cagliari, da lui comandato?

R.Signore, oltre alle cennate cose, dico CHE TRA LUI ED IL GENERALE PASSAVA UNPERFETTISSIMO ACCORDO.

B. Avete altro da aggiungere, o togliere a questo atto di ricognizione?

R. Niente altro ò da aggiungere o togliere, essendo questa la verità.

§. VIII. Indicazioni innegabili derivate dai [atti riferiti

Molte decisive ed incontrastabili conseguenze si raccolgono da cotesto atto di affronto, e dalla ripetuta dichiarazione del signor Eugenio Lombardi:

1.° Che se mai vi fosse alcuna dubbiezza sopra i fatti di già vagliati e discussi, essa sparirebbe di un tratto, al lume di questi, profondamente chiariti e che s’immedesimano e si unificano coi precedenti.

2.° Le precise indicazioni date dai dieci relegali di Ponza, evasi, disbarcati in Sapri, quivi arrestati ed esaminati nelle inquisizioni compilale nel processo di bordo, che concordano sopra gli stessi avvenimenti, e che accennano sempre al capitano del legno, si compenetrano col deposto di Lombardi, e determinano la persona di quell'operoso comandante, in quelle di Antioco Sitzia, tostoché quegli lo à riconosciuto ed affrontato.

Anche Salvatore Barberio e Carlo Lofato riconoscono, come Eugenio Lombardi la persona di Silzia e nel resto concordano col Lombardi medesimo ((52)), Vincenzo Paparo ((53)), Francesco Gallo ((54)), Filippo Conte ((55)), Pasquale Battista ((56)), MicheleMilano ((57)), Michelangelo Marta ((58)), e Vito Luigi Cafano ((59))) fortificano le stesse cose, e raffermano il deposto del Lombardi.

3.° Tutte le criminose operazioni consumate dal capitano del Cagliari, non è più dubbio che sieno state recate in atto esclusivamente dal precennato Silzia, dopo che certificate ed iteratamene confermate dal Lombardi in di lui presenza, egli senza profferir motto, convinto e vergognoso della sua malvagità, tutto accolse e ratificò, mediante il suo eloquentissimo silenzio.

Al preciso riconoscimento ed affronto di Lombardi, ed alle di lui dichiarazioni solennemente riconfermate al cospetto del Silzia, questi nulla osservò a sua discolpa.

È regola, che se colui che tace sulle imputazioni che gli si appuntano non confessa quei fatti, di certo li ritiene, da che non li niega:

Qui tacet non ulique faletur, sed tamen veruntest EUM NON NEGARE ((60)).

4.° Laonde cade in fascio l'ordito artifizio della patita forza maggiore, dell’occupato comando del legno, della perquisizione del medesimo, della innocenza del capitano; che per contrario rimane irrevocabilmente dimostrato essere stato egli la mente della spedizione, il braccio operatore dell'eccidio, l’istigatore efficace della impresa nefanda, ed in una parola, il correo o almanco il complice ed il mezzo primario degli scandali e delle rovine accadute.

Che Sitzia fosse partecipe al progetto dell'aggressione nemica e della guerra civile nel regno, lo pruovano le molte deposizioni degli evasi da Ponza, che quasi all'unisono affermano che il capitano del battello era in continuo colloquio col sedicente generale Carlo Pisacane: lo dimostra la deposizione di Eugenio Lombardi, il quale riconobbe esser Sitzia quel capitano famigliare, confidente e consigliere di colui: affronto e ricognizione, che determina nella di lui persona quella indicata per dignità dai testimoni.

Finalmente, Antioco Sitzia era legato coi rivoltosi da stretti vincoli di antica simpatia ed amicizia. Nel portofogli, nel quale egli custodiva le carte di bordo, e che si ritrovò nella sua camera, eravi il certificato di permanenza (carta di soggiorno) rilasciata il 10 marzo 1853 dal Questore di Torino a Giovanni Nicotera; quel desso che fu uno dei più caldi ribelli, colonnello delle squadre bellicose discese in Sapri, e poi belligeranti in Padula ed in Sanza ((61)).

La deposizione di Lombardi ed il riconoscimento del capitano Sitzia sono divenute perfette confessioni di costui che ci dispensano dal tessere una speciale disputazione al proposito.

5.° Da ultimo non si debbe tener conto alcuno del giornale di navigazione che lo stesso Sitzia faceva scrivere con scaltrito disegno, affine di prelessere e preparare una sfuggita opportuna alla imputazione di cotanto misfatto.

Tutto svanisce a fronte della di lui oramai innegabile confessione.

Che se mai non fosse arricchita questa parte della nostra causa da così lussuoso, e diremo soperchiante corredo di pruove e di dimostrazioni, sarebbero bastevoli a smentire il giornale composto dal Sitzia le deposizioni di coloro che non fanno parte dell'equipaggio.

La pruova contraria ai documenti di bordo, può essere fatta ANCHE MEDIANTE TESTIMONI CHE NON FANNO PASTE DELL’EQUIPAGGIO ((62)).

E nel caso nostro concorre una particolare condizione di fatto, cioè dire che i testimoni non sono estranei agli occorsi verificati, ma di cambio sono di presenza e permanenti sul legno.

D. ultimo, Sitzia è già condannato dalle leggi e dalla dottrina di tutti i tempi e di tutte le nazioni.

Ritrovandosi una nave incalzala dai nemici o pirati, scrive AZUNI, sarà tenuto il CAPITANO di difendersi fino all'ultimo sangue, qualora sia in stato di ciò praticare con probabilità di poter resistere alla forza nemica o di soperchiarla; il che eseguirà sempre col consiglio dei suoi uffiziali ed equipaggio, ed allora sarà esente da ogni danno della nave e merci: NON COSÌ PERÒ, ALLORCHÉ POTENDO RESISTERE, NON LO FECE, o siasi cimentato conuna forza maggiore, a cui abbia dovuto soccombere ((63)).

Il nostro capitano non solo poteva resistere al piccol numero, non già d’inimici, ma di passaggieri; non solo non oppose veruna resistenza, ma egli stesso volontieri si volse a divenire pirata e nemico del reame delle due Sicilie.

Premessa la idea fondamentale della nissuna pruova diretta, o almeno equipollente che il capitano Sitzia offre della patita forza maggiore, a nulla valgono in suo vantaggio; anzi più lo pregiudicano le deposizioni, dalle quali gli avversari vorrebbero indurre la giustificazione di tale assunto.

Tre classi di testimoni si sono uditi nella compilazione degli atti della cattura:

1.° Dell’equipaggio del Cagliari.

2.° Dei passaggieri che vi erano imbarcati.

3.° Degli evasi da Ponza, prima imbarcati sul piroscafo, poscia discesi in Sapri, in seguito sbandati, quindi arrestati, e condotti davanti al RetroAmmiraglio signor Roberti, comandante superiore delle due Regie fregate predatrici.

Noi andremo tutto fedelmente esaminando.

CAPO IV

Valore delle diverse deposizioni degli esaminati.
§. I. CATEGORIA.Non giova la deposizione dell'equipaggio
a vantaggio del capitano.

A prescindere dalle chiarissime confessioni del capitano Antioco Sitzia, dalle più aggravanti di Lombardi, di Roberti e di Colonna, dalle intollerabili contraddizioni che porge l'ordito istruttorio della preda, e dagli argomenti convincentissimi fin qui maneggiati, la stessa deposizione dell'equipaggio del Cagliari più accusa che discolpa il suo capitano.

Tutti i marinari si rimettono, alla lettera ed in massa, al deposto di Francesco Mascarò ((64)).

Innanzi tratto, il signor Mascarò potrebbe sembrare un viaggiatore sospetto. Egli, medico chirurgo per istituto, si professò possidente nel suo passaporto. Checché sia di ciò, egli comincia la sua deposizione, affettando sentenze morali sul dubbio destino di questa umana vita, ad occasione degli accidenti che possono contristarla. Scende poi ad accennare confusamente, e non senza contraddizione, la maravigliosa e male immaginata sommossa dei pochi passaggieri sul Cagliari. Ai suoi detti risponde l'eco uniforme di tutto l'equipaggio.

È buono anticipare la notizia, che Mascaro(punto di riscontro dell'equipaggio), non è testimone di vista immediata del fatto avvenuto, ma di udito per detto di altri. Laonde il suo deposto non meriterebbe l'onore di una seria confutazione. Ma piace respingere anche quei detti infecondi.

In legge, come in ragione, non esiste, né può esistere negli uomini la identica creazione dei pensieri, e l’omonima espressione delle parole. Vi ripugna ostativamente la naturale difformità del sentire e dello apprendere nei diversi esseri forniti di ragione, quali appunto sono gli uomini in questo mondo.

Classico al proposito di convincimento del giudice, per via del detto dei testimoni è il rescritto dell'Imperatore Adriano indirizzato a Vivio Varolegato in Cilicia. Quell’Augusto assembra i precetti suasori della credibilità morale del detto dei testimoni e contrassegna principalmente, come indizio di manifesto mendacio, l'unisono discorso.

Verbo, epistolae haec sunt: tu magis scire potes quanta fides habenda sii testibus: qui et cuius dignitatis, et cuius aestimationis sint: et qui simpliciter visi sint dicere, utrumUNUM EUNDEMQUE MEDITATUM SERMONEM ATTULERINT, AN AD EA, QUAE INTERROGAVERAS, EX TEMPORE, VERISIMILIA RESPONDERINT ((65)). Su di questa legge celebre, le due scuole, antica e moderna ànno apportato le loro profonde meditazioni; e ne àn desunto la certa massima, che nissuna credenza meriti il premeditato concerto dei testimoni.

È sentenza di GIOVANNI BRUNEMANNOche: si testes omnino in verbis conveniunt, PRAESUNUMTUR PRAEMEDITATE EOQUI, ET SUBORNATI ESSE ((66)).

E da ultimo, trovandosi tutto, o almanco la maggior parte dell'equipaggio compromesso, non possono i marinari meritar fede sopra i fatti deposti a propria ed a comune salvezza. Niuno può rendere il testimonio in causa propria a sentimento di POMPONIO:

Nullus idoneus testis in re sua,intelligitur ((67)).

§.. II. Continuazione

Per le stesse ragioni, non giovano al Sitzia le due deposizioni di Cesare Cori e di Amilcare Buonomo ((68)).

1.° Amendue costoro furono evidentemente partecipi alle ostilità ed ai fatti piratici di Ponza.

2.° Entrambo furono feriti in quelle zuffe e così si rinvennero sul Cagliari al momento del suo arresto ((69)).

3.° Lo stesso capitano Sitzia segnalò i tre feriti rimasi sul suo bordo, dopo la partenza di Ponza, con la caratteristica di RIVOLUZIONARIEequesti tre erano precisamente, Lorenzo Acquarone uno dei tre camerieri del legno, Cesare Cori ed Amilcare Buonomo.

4.(0)Cesare Cori è poi uno di quei venti, che intitolandosi fastosamente, martiri della libertà italiana, sottoscrisse la famosa dichiarazione d’impunità a pro del Sitzia, nel 25 giugno 1857, nel momento quasi di muovere da Genova.

5.° Amilcare Buonomo è poi un fuoruscito milanese per pecche politiche. Egli ugualmente pugnò in Ponza; e sotto questo rapporto sta contro di lui la propria asserzione. Egli dice di essere stato ferito nell'istante del disbarco alla marina di Sapri, sol perché essendo stati tutti invitati a discendere dal battello insieme agli altri sette passaggieri, rimasi sempre indifferenti a quelle ribalderie, ricevette un colpo, senza sapere da chi partisse.

Codesto accidente è inconcepibile, perché egli solo sarebbe stato punito pel rifiuto comune: è smentito di più, perché Eugenio Lombardi, un di quelli tra i relegati di Ponza, nel montare per la prima volta sul piroscafo il Cagliari, che slava nel porto di quell’isola, rinvenne tre morti e tre feriti. E se tre sono stati sempre i feriti sul bordo del Cagliari; e se eran tre sul partire da Ponza, è indubitato che Amilcare Buonomo fu ferito negli scontri militari avvenuti in questo luogo, e non già in Sapri.

§. II. CATEGORIA.Non giovano le deposizioni dei passaggieri

Niente affatto favoreggiano il Sitzia le deposizioni dei sette passaggieri rimasi neutrali agli occorsi del Cagliari: in primo luogo perché nella notte del 26 giugno, nella quale vuoisi far credere successo il tumulto, essi non videro, ma sì bene appresero da altri l'accaduto, ed è risaputo che: testis ex auditu alieno FIDEM NON FACIT ((70)): in secondo luogo perché niente potevano vedere, tra perché la notte lo impediva, e perché non si trovavano a prua, dove si asserisce di essersi praticata la violenza al capitano. In fine quei pochi forestieri, alieni per natura e per deliberato consiglio a qualunque disordine, regolarmente non attesero avvertitamente a quei simulati trambusti generatori di quelle asserte macchinazioni. Essi àn ripetuto tutto ciò che, confusamente e tra le tenebre della notte, appresero da altri.

§ III. CATEGORIA. Pregiudicano in vece il capitano Sitzia le deposizioni dei relegati di Ponza

Per opposto, le deposizioni de' dieci relegati di Ponza ascesi sul Cagliari, mescolali ai ribelli, e perciò messi nella condizione di udire e di vedere liberamente tutti i discorsi che si facevano e tutta la serie degli avvenimenti che si passavano tra la partenza da Ponza e l’arrivo in Sapri, sono le più credibili, sia per la condizione delle persone. E ciò, sia pel concorso delle cause morali e della opportunità occasionale di tempo, di luogo e di modo che raccomandano ed avvalorano la credibilità del detto di quei dieci testimoni, alla cui testa vi è quel Eugenio Lombardi, il cui preciso deposto abbiamo ampiamente discusso e ponderato di sopra.

Le deposizioni dei relegali di Ponza sono valide ed efficaci per legge, dappoiché quei testimoni godevano e godono della piena capacità di deporre, non solo in una istruzione militare, istantanea ed amministrativa, ma pure in un solenne giudizio di qualsiesi natura.

Le vigenti leggi penali dispongono a questo modo:

La condanna ai ferri, anche nel presidio e la condanna alla reclusione porta seco la perpetua interdizione dai pubblici uffizi e P interdizione patrimoniale, durante la pena.

Il condannatoIN OLTRE non potrà mai essere impiegato come perito, né come testimone negli atti, né deporre in giudizio per altro oggetto K fuorché per somministrare semplici indicazioni ((71)).

La condanna alla relegazione porta seco l'interdizione dai pubblici uffizi per altrettanto tempo dopo espiata la pena, per quanto è durata ((72)).

Pei relegati dunque non è fulminata l’altra interdizione accessoria contenuta nel secondo comma dell’art. 17: quella frase in oltre non potrà mai, non è ripetuta per essi. Laonde ben dal principio dicevamo, che dessi erano rivestiti della piena capacità per deporre e far fede in giudizio.

Forse in avvenire potranno quei sciagurati venir condannati alla reclusione pel caso della trasgressione commessa, quantevolte però ad essi sarà imputabile; ma fino a che non sarà pronunziata una condanna definitiva a pena criminale più grave, essi rimangono e rimarranno tuttavia nella loro piena capacità civile ((73)).

§. IV. Riflessioni sul terzo ed ultimo periodo.
Ritorno del Cagliari da Sapri

Senza rivenire sulla memoria degli avvenimenti operati dal Cagliari in sul partire da Sapri, e per rapporto alla direzione che prese, brevemente diciamo, che il capitano Sitzia dirigeva per Ponza, e non per Napoli. La sua missione era anche questa volta apparente, anzi simulata per questa città, reale per quell’isola. Le precise dimostrazioni marine, già compiute in altro luogo del presente lavoro, e le indicazioni inoppugnabili che offre la carta idrografica disegnata a questo scopo ((74)) ne persuadono, senza più.

Che se mai si domandasse il fine di quel ritorno, esso sarebbe categoricamente chiarito dai medesimi elementi di fatto discussi, dallo insieme delle istruzioni compilate e da un documento rinvenuto nel portafogli del sommo duce di quelle masnade, Carlo Pisacane.

I ricordi delle pruove ne addottrinano che più battelli, e non uno abbisognavano per l'impresa, e che a poca distanza da Genova, il Cagliari doveva incontrare, nei paraggi di Sestri di levante una o due barche onuste di armi e di uomini. Cotesto sforzo, era troppo per la sola Ponza ed era scarso per tutte le isole di pena che vi stanno vicine; come ad esempio, Vento te ne e S. Stefano; ritrovi dei galeotti, oggi appellati servi di pena, che espiano, o nel bagno o nel presidio. Altronde il piano di campagna, ritrovato scritto di pugno del Pisacane, dimostra che non pure i molti relegati, e gli assai già soldati dovevano far parte delle schiere ribelli, ma che anche i moltissimi servi di pena, trattenuti in quelle isole dovevano accrescere quell’oste rivoltosa.

Or poiché mancarono gli aiuti sperati, ed il Cagliari si prestò solo a tutte le esigenze, fu necessità che ripetesse gli utili suoi servigi dopo della discesa di quelle bande in Sapri. Ecco perché il capitano Sitzia, trascurato ogni provvedimento di saggio capitano, in iscambio di navigare per Salerno, o per Napoli, ove di facile e di breve poteva giungere, volgeva per Ponza e seguiva il rombo per quell'isola. Voleva vuotar le prigioni e le custodie, rinsaguinare quelle contrade, e rivomitare nello interno del reame maggior polso di armali, a sicuro successo della guerra civile.

E tosto che si scorra quel piano di spedizione, si rimarrà convinti dell'intima persuasione dei rivoltosi di essere il Cagliari un legno loro proprio da non potergli venir meno: tanto erano fermati gli accordi con Rubatimi e con Sitzia. Infatti, lo scrittor del progetto, finge e prevede tutte le ipotesi avverse, e di esse anche le più speciali e minute; ma intanto non gli gira pel capo alcun sospetto relativamente al niego dell’uso del piroscafo. E cosiffatta certezza era ispirala nell'animo di Pisacane e dei suoi compagni molto prima d’imbarcarsi sul Cagliari, giacché il piano, di certo non fu, né ideato, né disteso sul bordo di quel piroscafo ((75)).

A conforto di quanto diciamo è utile risovvenirci delle attitudini del resto dei relegati di Ponza all’apparire della Reale fregata a vapore il Ruggiero.

Scambiata questa col Cagliari, si ridestarono impetuosamente le sospese per poco concitazioni di ribellione e di guerra. I faziosi concorsero a folte frotte; proruppero nelle usate grida sediziose; gioirono di lusinghiera speranza; ogni casa fu agitata e commossa. Ma tante brame e tante irrompenti preparazioni si fransero e decaddero, sol quando le temute insegne del nostro Re sventolarono sugli alberi del Ruggiero, superbe e minacciose, a spavento dei tristi ed a letizia dei buoni.

Era dunque un accordo preordinato tra il Sitzia ed i ribelli, pei quali egli obbliava l'osservanza di ogni legge e si votava volontario ai certi danni di uno scontro bellicoso con la formidabile annata napolitana.

§. V. Non solo il Sitzia e l'equipaggio, ma pure la compagnia
proprietaria del legno, fu correa, o complice dei ribelli.

Molti e vigorosi argomenti cospirano a persuadere, che la società proprietaria del battello entrò anch'essa nella trama ed ebbe parte ai successi.

1.° Rannodando il filo dei ragionari dintorno ai fatti compiuti ai termini del diritto positivo, le colpe della compagnia si palesano patenti ed ingiustificabili.

Abbiamo detto altrove, che l’armatore, ossia il proprietario del legno (exercitor) è il mandante, ed il capitano (magister naris)da lui eletto e preposto al comando del medesimo è il mandatario.

E poiché l’adempimento di quel mandato dipende dalla influenza di cause estranee e soventi volte dai maggiori o minori gradi di perizia e di probità del capitano e di coloro che compongono l’equipaggio del bastimento è giusto e ragionevole, che il capitano scelga, ma che il proprietario concorra e consenta nella scelta delle persone che debbono formare l'arrolamento marittimo.

Dal reo talento, dalla improbità, dal privalo interesse, dalla imperizia della gente principale e della ciurma, può dipendere la perdita del legno per molti e svariati accidenti, e tra questi pei sinistri di mare, tra i quali le leggi annoverano la preda, sì come appresso verrà dimostro, e la quale certamente si verifica, o pei fatti piratici, o pei fatti ostili (che è lo stesso) che potesse commettere il legno verso di nazione amica o neutrale.

Per ragione del grave interesse, che prendono gli armatori ed il capitano pel buon governo del bastimento e delle merci, e per le obbligazioni che assumono verso i terzi per la sinistra condotta del medesimo è stato ed è principio universale:

Appartenere al capitano della nave di formare l’equipaggio di essa e di scegliere ed assalariare i piloti, marinari ed altri nuziali della nave, che siano periti rispettivamente, del loro mestiere DEI QUALI EGLI N’È RESPONSABILE ((76)). Locché eseguirà DI CONCERTO COI PROPRIETARII DI ESSA,qualora si farà l’armamentonel luogo della loro dimora. Così il lodato AZUNI ((77)). Così l'articolo 210 delle nostre leggi di commercio, l’articolo 223 del codice di commercio francese e l'articolo 239 del codice sardo. Se la elezione e la scelta è comune, comune è del pari la risponsabilità, cioè dire del proprietario e del capitano. Né scusa di sorta favoreggia il primo, dappoiché l’armamento del Cagliari avveniva in Genova, dove sta col suo domicilio la casa sociale Rubattini e compagni.

2.° Rivolgendo la nostra attenzione sull’operato della scelta dell'equipaggio, rileviamo, che non pure la gente comune, ma la principale del medesimo era sospetta e senza caratteri di regolarità, che potessero legittimare o scusare la compagnia che la elesse.

Ed a prescindere dalla elezione del pilota; e più di lui dei tre camerieri (trai quali Acquarone e Mercurio) che sono gente domestica e di mero gradimento del proprietario del legno, sono assai notevoli le persone dei due macchinisti e del nostromo.

I macchinisti, abbenché faccian parte dell’equipaggio, però a motivo della specialità della navigazione a vapore, formano eccezione all’arrotamento dei marinari e degli uffiziali del bastimento di tal natura. Essi per la supremazia e per la opportunità della perizia che si richiede al governo della macchina, s’mpegnano per contratti particolari, per tempo definito, con pingui stipendi, e si scelgono esclusivamente dai proprietari del bastimento. Alla scelta non concorre il capitano, né vi può concorrere; dappoiché sono artisti essi stessi eccezionali, esteri, inglesi per lo spesso, di molta esigenza, ed ignoti al tempo nel quale si compilavano i codici di commercio dai diversi Governi.

Il nostromo poi, come è notissimo, è il capo della ciurma, è il terzo capitano comandante del legno, se l'occorrenza lo richieda: è poi il vigile tutore e custode degli effetti, delle cose e dello stesso bastimento nello interesse dei proprietari. Egli è forse l’uomo della maggior confidenza di costoro sotto il rapporto della provvida economia del legno.

Or costui sarebbe stato scelto tra i colpevoli o gl’ignoti, senza i requisiti di onestà, che soli possono ispirare nell'animo del proprietario le debite garantie pel geloso mandato che da Ini gli si affida. Lo stesso va detto pei camerieri e pei macchinisti del piroscafo. Erano tutti ignoti o sospetti, perché senza passi e senza librette.

Al novero ed al peso di codeste considerazioni si aggingne il gravissimo pondo della esplicita confessione del Ruba nini.

Egli, nella lettera da lui indiritta al Console generale di S. M. il Re (N. S.) residente in Genova del 2 luglio 1857, dichiara, che le carte di bordo, le spedizioni ecc. tutto può giustificare l'innocenza dell'amministrazione e DEL SUO EQUIPAGGIO.

Più basso ripete, il MIO EQUIPAGGIO;e sul fine del foglio, ritorna ad affermare l’innocenza DELL’INTERO EQUIPAGGIO ((78)).

Chi dice, mio equipaggio, dice da me scelto e salariato al mio servizio; di mio gradimento e di mia fiducia; come chi dice, mie persone famigliari, mie cose, dice senza dubbio, persone da me elette e cose da me acquistate col mio compiacimento.

Le deduzioni che noi ricaviamo dalle confessioni del signor Rubattini sono così lucide e piane da schivare ogni ulteriore illustrazione.

Cosicché per tutte le annoverate riflessioni, si aggrava sempreppiù la condizione di correità del Rubatimi nella reale missione del Cagliari.

§. VI. Continuazione

Dalla scelta dell'equipaggio, rivolgendoci sulle persone dei passaggieri, non si mostra men colpevole la compagnia proprietaria del piroscafo.

Il signor Raffaele Rubattini nella sua lettera del 2 luglio 1857, la quale forma un importantissimo documento per la causa nostra, registra due solenni confessioni: la prima che tutti i passaggieri, de' quali rimetteva il notamente, al numero di 33 erano forniti dei regolari ricapiti: la seconda, che attesa la loro indole, presagiva quel che avvenne dappoi.

La prima confessione è una solenne menzogna; imperciocché 20 di costoro non avevano passaporto; dieci avevano mentito il nome, ed altri le rispettive professioni ((79)).

La seconda confessione e una solenne dichiarazione di reità.

ll signor Rubattini si mostra presago de' futuri sinistri del piroscafo, e quasi predice alla lettera gli avvenimenti, che dappoi intervennero, quasi che un concerto preventivo fosse esistito tra lui, il capitano Sitzia e l'equipaggio. Ma rimuove ogni esitanza il brano della mentovata lettera, nel quale apertamente il Rubattini assicura di conoscere l’indole, le abitudini e le intenzioni dei ribelli imbarcati. Egli con locuzione, abbenché ammirativa, non disconviene, che doveva succedere tutto ciò che veramente successe.

Son queste le sue parole: Esaminando LA QUALITÀdei passaggieri imbarcali, riesce PER ME EVIDENTE CHE QUESTI NON SÌ TOSTO ALLONTANATO (ilCagliari) DALLE NOSTRE COSTE, S'IMPADRONIRONO CON VIOLENZA (E FORSE PEGGIO) DEL COMANDO DEL PIROSCAFO, LO DEVIARONO DALLA SUA DESTINAZIONE PER ESEGUIRE I LORO MEDITATI PROGETTI ((80)).

Dunque Rubattini era pieno conoscitore della riprensibile condotta dei passaggieri che imbarcava, e dei possibili eccessi che avrebbero potuto commettere. Dunque fu contento dei perigli del legno e della perdita dello stesso, quante volte le enormezze da lui prevedute venissero consumate. Giusto e coerente è il nostro ragionare, da che non poteva ignorare il signor Rubattini le regole dettate dalle leggi positive in argomento di fatti importanti la legittima preda del legno, e che imperano nel nostro reame non solo, ma in quel di Sardegna. Ed al nostro reame per lo appunto, le nimichevoli offese del legno furon dirette.

E se piacque al Rubattini di spontaneamente governarsi in così turpe maniera, non gli rimane scampo di sorta per francarsi dalla giusta opinione della di lui correità nelle sacrileghe pratiche attuate dal suo battello, il Cagliari.

Si è immune da colpa quando si sa e non può vietarsi che un reato si compia, ma è certamente colpevole chi promuove la consumazione di un fatto nocente,quante volte era in sua mano occorrere all'uopo, e prevenirlo ((81)). Ond’è, che se di conseguente il Rubattini perderà il piroscafo per effetto della dichiarazione di legittimità della preda, s’intenderà di non avere patito alcun danno, mentre questo non è che la conseguenza immediata della propria colpa, a parere di POMPONIOgiureconsulto: quod quis ex culpa sua domum sentii, non intelligitur damnum sentire ((82)).

§ VII. Continuazione bis

Le pratiche ostili, e le speciali condizioni dell'equipaggio maggiormente confermano il concorso del Rubattini in quei progetti.

Quel macchinista inglese, Errico Watt scelto ed assoldato, come si è detto, direttamente dal Rubattini, era in assisa di repubblica, vestito e ricoperto all'uniforme coi rivoltosi, di camice e berretto rosso. Tra i suoi effetti si è rinvenuto scritto tremendo, svelatore del piano della cospirazione, donde risulta che egli e gli altri dell'equipaggio erano consapevoli e partecipi allo scopo, cui dirigevasi il Cagliari, vale dire alla nimichevole aggressione del reame.

Né questo è tutto, mentre lo intero equipaggio, di codardo che era in sul partire da Genova, divenuto animoso e guerriero all'avvicinarsi di Ponza fu strumento principale delle morti, delle depredazioni che disastrarono quell'isola. Codesto estremo vien ribadito dalle precedenti dimostrazioni, tra le quali primeggia la solenne confessione del capitano Silzia, avvalorata da quelle dei suoi complici, Daneri e Rocci, e dalle dichiarazioni dei piloti Regi, Roberti e Colonna e finalmente dalla stessa confessione del macchinista Watt ((83)).

In vero, Lorenzo Acquarono, uno dei domestici camerieri del legno, ritornò ferito dalla mischia di Ponza: Giuseppe Mercurio, di lui compagno,. anche scese in Ponza ed in Sapri, e fu ferito in Padula.

§. VIII. Compimento della dimostrazione

Le ultime ed eloquenti pruove della colpabilità di Rubattini stanno nel contesto della memorata sua lettera del 2 luglio 1857.

1.°Egli si affatica di scusare se stesso, la compagnia che egli dirige E TUTTO IL SUO EQUIPAGGIO. Con queste frasi egli confessa ed applica alla sua persona l’adempimento del principio di risponsabilità prefisso dalla legge, per la scelta da lui fatta dell'equipaggio del Cagliari.

Or Rubattini non ignorava i difetti e le irregolarità di questo, i quali siamo andati rilevando nelle precedenti disputazioni.

Egli più volte ripete la INNOCENZAsua, dell'amministraticene, dell equipaggio e del capitano. Ma la presunzione d’innocenza sta per tutti, e ricorrervi, senza prima essere interrogato degli accidenti criminosi, è una scusa anticipata e svelatrice dei rimorsi e dei timori della propria coscienza.

2.° In quella lettera si dà notizia al Consolo della CATTURA DEL LEGNO, e DEL GIUDIZIO CHE SARÀ PER ISTITUIRSI. Di qual giudizio parlava il Rubattini, se non di quello della preda del legno davanti ai giudici competenti, e della cui legittimità non dubitava punto egli medesimo? Era discesa sin nel profondo dell'animo suo la ferma persuasione dell'inevitabile perdita del piroscafo, atteso gli atti di spietata inimicizia consumati a danno del nostro Governo.

Né vale per Rubattini l’argomento che egli s’infinge di credere invincibile tcioè dire che il battello appena aveva a bordo tanta provvigione di carbon fossile, per quanto bastasse al breve tragitto da Genova a Cagliari; dappoiché cosiffatto argomento forse ne imporrebbe a bella prima, se per ventura non si trovasse vittoriosamente smentito dal fatto dello stesso battello.

Il piroscafo mosse da Genova, e non diresse per Cagliari o per altrove, ma navigò dirittamente per Ponza. E ciò fece, senza provvedersi, o di combustibile o di legnai Giunse a Sapri, vi dimorò tutto un giorno, ed allo stesso modo ripartì per l'isola di Ponza. Dal 25 fino al mezzo del 29 giugno, il piroscafo era fornito di quanto gli era bisognevole per compiere prolungati a lontani viaggi. Dunque non scarseggiava di minerale, da non potere trapassare la città di. Cagliari; ma in vece n’era così fattamente provveduto da far di certo quel che fece con effetto.

E se anche vi fosse motivo da dubitarne per alcun poco, ogni esitanza verrebbe rimossa dàl considerare, che ritornato quel piroscafo a Ponza, avrebbe avuto abilità di largamente provvedersi di legna. E se mai fossero fallite quelle speranze in Ponza, le avrebbe tosto abbondantemente soddisfatte nella vicina isola di Palmarola, deserta, boscosa e piena di feconda e prodigiosa vegetazione.

PARTE TEORICA - >DIVISIONE I

Disamina di dritto nel doppio rapporto complessivo di atti di pirateria e di aggressione ostile

CAPO I.

Obbligazioni del capitano e del proprietario del piroscafo per gli avvenimenti che producono la legittimità della preda
§. I. Validità del giudizio istituito.

La Real Marina è in piena regola nella istituzione del giudizio che ne occupa. Essa, nell'introduzione dell'affare, à proceduto conforme all'articolo 34 della legge sulla procedura del contenzioso amministrativo, che è quella provvisoriamente applicabile al rito delle prede e dei naufragi ((84)), tuttoché non avesse comunicato, unitamente alla sua istanza, i documenti, de' quali vuole servirsi in giudizio.

1.° L’articolo summentovato è indicativo e non tassativo:

2° Non reca la sanzione di nullità, ond'è che nel difetto della penale sanzione in una legge eccezionale, ripiglia la sua forza il disponimento delle leggi comuni per l'osservanza della regola che: exceptio FIRMAT REGULAMin casibus non exceptis, alias non esset exceptio, a sentimento di GIOVANNI ZANGERO ((85)).

3.° L’articolo 159 delle leggi di procedura, che impera al proposito è, nel silenzio dell'articolo della mentovata legge della procedura sul contenzioso amministrativo, la regola generale. Esso si spiega a questo modo:

Dovrà riunirsi all'atto di citazione copia de' documenti o di quella parte di essi, su cui la dimanda è fondata: se ciò si ometta, le copie che l'attore sarà tenuto di dare nel corso della causa, non entreranno in tassa a di lui favore. In guisa che questa sola potrebb’essere la sofferenza dell'attrice, qualora dovesse incontrarne una.

4.° L’articolo 263 della mentovala legge del 25 marzo 1817, che sta registrato tra le disposizioni generali della medesima, è così concepito:

I Sindaci, i Consigli d'Intendenza, e la Camera del Contenzioso della Gran Corte dei Conti, non saranno, nella loro procedura, obbligati a serbare altre forme, oltre a quelle contenute nella presente legge. Adunque questo articolo è decisivo, né lascia esitanza veruna.

La precennata legge del 25 marzo 1817 deroga alle Leggi di procedura nei giudizi civili, soltanto per la forma, cioè pel modo come debbono essere compilali gli atti, ma per le nullità e pel resta richiamano la piena osservanza delle leggi di rito comune. Piace recarne un esempio: l'articolo 46 della medesima legge sulla procedura del contenzioso amministrativo dispone, che la comunicazione della dimanda e dei documenti sarà intimata al convenuto dagli uscieri presso il Consiglio d'Intendenza, se il medesimo domicilia nella residenza del Consiglio, o dall'usciere della giustizia di pace del luogo dov’è domiciliato.

Intanto l'articolo 53 della medesima legge prolunga il termine di otto giorni concesso al convenuto per rispondere, a contare dal giorno in cui gli è stata comunicata la domanda, se costui dimori in paese straniero; ma tace l’articolo in quanto all'uffiziale ministeriale che deve intimare la domanda. Di conseguente, se si stesse al contrario assunto, non potrebbero citarsi coloro che dimorano fuori del regno; ma si supplisce al difetto, applicando al caso il n.° 9 dell’articolo 164 delle «il. di procedura nei giudizi civili, e si citerà la parte nel domicilio del procuratore del Re presso il Tribunale, dov'è istituita la domanda.

5.° L’attrice si riserbo, nel più largo modo permesso dalla legge, di COMUNICAREiDOCUMENTIa tempo opportuno.

6.° Da ultimo, tutto assolve la deliberazione della Commissione del 27 agosto 1857, conia quale essa permise di comunicarsi la domanda della Intendenza Generale della Real Marina ai signori Rubattini, di Lorenzo e Sitzia.

Se le à dato ingresso, l'à riconosciuta fatta a capello del rito prescritto, e scevra d'imputazione.

Sembra adunque che cosiffatta eccezione non meriti neppure l’onore d’intrattenere, abbenché fugacemente, i giudici della nostra causa.

 §. II,Il capitano obbliga i proprietari del legno a motivo
dei fatti che compie

Per la regola del mandato che riceve il capitano dai proprietari e dai caricanti, questi sono tenuti a prestare tutt'i fatti che quegli pratica, e dai quali può derivarne un risarcimento a favore dei terzi.

Omnia enim facta magistri debet prestare QUI EUM PRAEPOSUIT, alioquin contrahentes decipientur ((86)). Su della quale legge scrive PIETRO RECTIO: quid enim interest per se exercitor, aut per eum quem ipse substituit, contractum ineat? Qui enim aliquem praeponit, is clara et aperta voce dicere videtur, hunc ego praeposui, qui volet cum eo contrahat ((87)).

Codesta risponsabilità sta pure pei delitti o quasi delitti, ed anche per le mancanze che rigorosamente tali non sarebbero, e che si commettono dagl'individui del suo equipaggio.

D. sopra abbiamo toccato questo punto di diritto, ed abbiam veduto dipendere codesta conclusione dalla superiorità direttiva del capitano sulla subalterna rassegnazione dell'equipaggio ((88)).

E il mandato che riceve il capitano, versando in materia non definita, né definibile per contratto, si aggira nel vago ed in una sfera estesissima di obbligazioni che ricadono tutte sul proprietario del bastimento, le quali possono derivare, sia dalle massime normali del diritto pubblico, sia dai fatti propri del capitano e dell'equipaggio, caratteristici di pirateria e d’inimicizia ad un Governo amico o neutrale, sia dai sinistri che possono essere le conseguenze, o di una causa impreveduta, o di un accidente, o finalmente prodotti dal fatto del capitano, o dei suoi subordinati.

D. questi principi procede il domina testuale dell'articolo 203 delle nostre leggi di eccezione, e dell'articolo 231 del codice di commercio sardo.

Il primo è così concepito:

QUALUNQUE PROPRIETARIOdi bastimento è civilmente tenuto delle AZIONI DEL CAPITANOin ciò che riguarda IL BASTIMENTO e la spedizione.

Il secondo si esprime in questi termini:

QUALUNQUE PROPRIETARIOdi bastimento è civilmente responsabile dei FATTI DEL CAPITANO;è tenuto per le obbligazioni CONTRATTEda quest'ultimo in ciò che concerne il BASTIMENTOe la spedizione.

La preda è un fatto che si risolve in obbligazione civile; tanto vero, che dopo di essere stata dichiarata legittima, i predatori, ai quali spetta il legno predato, possono se lor piace, restituirlo ai proprietari, e riceverne l'equivalente in contanti, o sul momento della cessione, o convenire per lettere di cambio, o per altre sicurtà, il pagamento delle somme stabilite.

Tanto che la preda toglie al proprietario il legno predalo, ancorché questi non abbia colpa nel fatto, che le leggi sarde e patrie figurando il caso del riscatto, il quale essenzialmente include il debito del proprietario di praticarlo. Ed è ciò così vero che in qualche caso anche il capitano vi contribuisce.

«Non è dovuto alcun nolo per le merci perdute per naufragio, od investimento, rapite dai pirati, o prese dai nemici.

«Il capitano è obbligato a restituire il nolo che gli sia stato anticipato, salva convenzione in contrario ((89)).»

SE IL BASTIMENTOe le merci sono RISCATTATE, o se le merci sono salvale dal naufragio, il capitano è pagato del nolo fino al luogo DELLA PREDA o del naufragio.

«Egli è pagato del nolo intiero, CONTRIBUENDO AL RISCATTO, qualora conduca le merci al luogo della loro destinazione ((90)).

«La contribuzione PER LO RISCATTOsi fa sul prezzo, corrente delle mercanzie al luogo del loro discarico, fatta la deduzione delle spese, e sulla metà del bastimento e del nolo.

«I salari dei marinari non entrano in contributo ((91)).»

Le nostre leggi di commercio letteralmente ripetono le stesse disposizioni ((92)).

Laonde, avvenuta la preda, l'unica quistione che s’impegna è definire la sua legittimità o illegittimità, senza più. Il resto è conseguenza della dichiarazione. Cosicché se la preda sarà dichiarata legittima, il proprietario perderà il legno irremisibilmente: se sarà assicurato, lo perderanno gli assicuratori, salvo per essi il riscatto, o il regresso contro il capitano, se à dato occasione alla preda, o contro coloro che si sono impadroniti del bastimento. §. I

II. Disposizioni, di leggi, ed autorità degli scrittori al proposito

Il giureconsulto PAOLOdetta un responso che sembra scritto pel caso che ne occupa:

Sed si cum quolibet nautarum sii contractum r non datur actio contra exercitorem: quamquam ex delicto cujus vis eorum, qui navis navigandae causa in nave sint DATUR IN EXERCITOREM; alla enim est contrahendi causa, alla delinquendi: siquidem qui praeponit contrahi cum eo permittit, qui nautas adhibet, non contrahi cum eis permittit, SED CULPA ET DOLO CARERE EOS CURARE DEBET((93)).

La chiusa del responso, ben dicevamo, pare preveduta nella mente del giureconsulto precisamente pel signor Rubattini. Nel vero, l'esercitore, ossia proprietario del legno è obbligato di preporre a guida e governo del bastimento, gente scevra di dolo o di colpa: se trascura questo dovere, egli risponde del fatto di costoro verso i terzi, in via di risarcimento.

Applicando la dottrina al signor Rubattini, troviamo costante in fatto che egli equipaggiò il piroscafo il Cagliari di un capitano, della gente principale, dei macchinisti, dei marinari, e de' passaggieri premeditatamente allo scopo, o al probabile successo di tali fatti, che di certo avrebbero compromesso il legno, in via di legittima preda. Egli dunque in vece di curare di assoldar gente onesta e devota ai propri doveri, raunò tristi e sediziosi; laonde è direttamente tenuto pel fatto di costoro.

Il dotto FRÉMMERYannunzia come certa sentenza, che: il proprietario del legno è tenuto tanto per le obbligazioni risultanti DAI DELITTI DEL CAPITANO, che di quelli della gente dell'equipaggio ((94)).

GIOVANNI VACTsta per la stessa opinione, specialmente se il proprietario avesse cooperato all'avvenimento delittuoso: si exercitor mandassetsi ope, vel consilio adiuvisset ((95)).

§. IV. Il capitano e l’equipaggio obbligano il proprietario precisamente in caso di preda

Le leggi regolatrici gli affari di commercio di tutte le nazioni incivilite riconoscono il caso della preda di un legno mercantile. La perdita di cotesto legno, che è una conseguenza inevitabile della preda, non pure ne priva i proprietari, ma colpisce benanche il capitano e l'equipaggio, relativamente alla corrisponsione dei convenuti stipendi, e gli assicuratori del legno medesimo, se mai si fosse preso per lui contratto di sicurtà ((96)),

Tutti gli scrittori sono di accordo su di questo punto; ché anzi portano avviso che avvenuta la cattura del bastimento, il capitane, qual mandatario dell'armatore, ossia del proprietario, deve adoperar di modo da comporre in danaro coloro che vi anno acquistato diritto, e procurarne il riscatto. In somma, il capitano deve far quello che dovrebbero fare i proprietari, si come di sopra abbiamo avuto agio di osservare. Ascoltisi il dotto PARDESSUSnei suoi ragionari sul proposito:

In caso di preda, il capitano, mandatario dell’armatore e dei caricanti delle mercanzie è obbligato di fare, nel di loro interesse, ciò che farebbero essi medesimi. Egli deve dunque impiegare tutti’i mezzi che sono in suo potere per ottenere la restituzione del legno predato. Non si possono dare delle regole precise in tali circostanze. Basta il dire, che essendo egli salarialo, e di conseguente risponsabile DI QUALUNQUE COLPA, ANCHE LEGGIERA, egli non deve niente omettere di ciò che è convenevole ed utile.

Se il capitano non può ragionevolmente sperare di ottenere la restituzione, egli à dritto di procedere a ciò che si chiama RISCATTO. Codesta negoziazione si effettua, mediante dei valori in contante, o delle lettere di cambio, che il capitano trae sopra il suo mandante, a profitto del predatore.

Si compila ordinariamente un doppio originale, che contiene le condizioni stabilite, e che in certi casi diviene una specie di salvaguardia contro gli altri predatori della medesima Potenza. Questo atto si chiama biglietto DI RANZÓNE. Accade anche soventi volte che uno degli uffiziali del bastimento predalo è dato in ostaggio per sicurtà del pagamento ((97)).

Art. 246, 251, 256, 257, 292, 293, 342 delle leggi di eccezione per gli affari di commercio. Ed art. 332, 333, 380 e 383 del codice di commercio sardo.

Lo stesso PARDESSUSgiustifica la dottrina che sviluppa, perché nota che la preda marittima rientra essenzialmente tra i casi impreveduti, e tra i rischi di mare. Ed è notevole che nel novero dei sinistri marittimi si alloga anche la forza maggiore e gli altri disastri, che operando sul legno, pregiudicano ed obbligano i proprietari del medesimo:

Le nozioni date, egli scrive, nei titoli precedenti àn di già fatto conoscere la maggior parte de' casi di forza maggiore, CHE SI DEBBONO CONSIDERARE COME FORTUNE DI MARE; COSI la tempesta, il naufragio, il guasto, il getto, l’abbordaggio, del quale L’AUTOREÈ SCONOSCIUTO,l'incendio, allorché la causa non è imputabile, la preda,il saccheggio, l’arresto per ordine di una Potenza, le conseguenze di una dichiarazione di guerra, e le rappresaglie ec. ec. ec., sono tutti avvenimenti, de' quali l’assicuratore deve riparare le conseguenze verso l'assicurato, salpo ad ESERCITARE I DIRITTI DI COSTUI, PER RECLAMARE UNA INDENNITÀ DALL’AUTORE DEL DANNO, SIA SE LA CAUSA È A LUI IMPUTABILE, o per fare riparare, mediante la contribuzione, i sacrifizi fatti per la salvezza comune ((98)).

Concordano col PARDESSUS,ilMASSE ((99)), BRAVARDVEVNIÈRES((100)), VIXCE. VS((101)), GOUIETE MERGER((102)), DÉVILLEXEUVE ET MAS SÉ((103)).

Tal’era anche in antico la dottrina della scuola e la sentenza del foro. Ed aggiungeva il senno dei nostri padri che la preda nuoceva al proprietario o all’assicuratore, anche nel caso in cui si riscontrasse la sua illegittimità: in qualunque maniera che siegue la preda di una nave, insegna il dotto DOMENICO AZUNI, o provenga questa giustamente dai nemici dichiarali, o INGIUSTAMENTE DAI NEUTRALI, ED AMICI, SI CONSIDERA SEMPRE per un caso fatalea carico degli assicuratori, essendo massima non controversa, che fra i sinistri, ai quali succumbono gli assicuratori, debba anche annoverarsi LA DEPREDAZIONE DELLA NAVE,e merci assicurate, attesa principalmente la formala solita a porsi nelle polizze di assicuranza, per cui si sottomettono sempre li medesimi ad ogni rischio di rappresaglia, ruberia di amici, o di nemici ec. ec. (7).

Sono uniformi allo AZUNI, LA GUIDA DEL MARE ((104)), L’ORDINANZA DELLA MARINA DI FRANCIADEL 1681 ((105)), VALIN ((106)), LA RUOTA GENOVESE ((107)), LA RUOTA ROMANA((108)), LA RUOTA FIORENTINA((109)), POTNIER ((110)), SCACCIA((111)) ROCCO ((112)), CASAREGIS ((113)), TARGA((114)), DE HEVIÀ((115)).

Anche le ordinanze generali della nostra Real Marina cospirano a stabilire il principio, che la preda di un bastimento qualunque percuote il proprietario del medesimo: —

Sarà obbligo del capitano del legno arrestato di formare un foglio di dichiarazione su di ogni circostanza riguardante «i suoi interessi, quelli del suo equipaggio, E DEGL'INTERESSATI NEL BASTIMENTO E NELLE MERCANZIE; e specificare in esso i fogli di ogni sorta consegnati all'incaricato DELLA PREDA. Tal foglio di dichiarazione firmato da lui servirà di documento di confronto pel giudizio da subire nel competente magistrato all'arrivo in porto ((116)).

Sarebbe stato frustaneo parlare degl'interessati nel bastimento, ossia dei proprietari dello stesso, se la dichiarazione di legittimità della preda non pregiudicasse costoro, per regola generale, e solo dovesse nuocergli nel caso che essi per fatto proprio avessero dato luogo alla preda.

Ed e pure osservabile che il capitano Sitzia non à curato di scrivere quel foglio, e tanto meno d’indicare anche a bocca, le particolari circostanze che poteva credere favorevoli a lui, o ai proprietari.

§. V. Conseguenze delle disputate ragioni

1.° Nella categoria dei sinistri, o fortune di mare, la preda del bastionato è registrata tra le maggiori, poiché produce la perdita totale del legno:

2.° Cosiffatto avvenimento direttamente spoglia il proprietario del dominio del legno, e lo trasporta nel predatore:

3.° La massima di legislazione commerciale è unisona alla regola di legge comune, che assoggetta il dominio civile delle cose alla sofferenza dei pericoli e dei casi fortuiti o impreveduti:

4.° Tanto è ciò vero, che l’infortunio della preda si riversa pure sopra gli assicuratori del legno, quantevolte i proprietari del medesimo sieno stati solleciti di provvedere alla loro cautela:

5.° E codesta pazienza non avviene altramente negli assicuratori, che per avere assunto, mediante il contratto di assicurazione, quei pericoli e quei casi che avrebbero colpito i proprietari del bastimento, se mai il contratto non si fosse consentito. Essi dunque essendo sottentrati al proprietario pei rischi del legno, esercitano, senza veruna esitanza, due azioni: la prima diretta, perché surrogati nei di lui diritti, e quindi possono esercitare tutti gli esperimenti e rimedi, che a lui competono, sì per ottenere la restituzione del legno predato, e sì per riscattarlo dalla mano dei predatori, compensandoli dell’equivalente: la seconda indiretta, ossia di risarcimento, m virtù della quale i medesimi assicuratori possono rivolgersi contro gli autori del fatto nocente produttore della preda, tanto per virtù delle leggi comuni ((117)), che specialmente contro del capitano, se mai egli à prestato l’occasione alla depredazione del bastimento, al cui comando trovavasi preposto.

E se l’azione di rimborso sta negli assicuratori contro del capitano, sta sempre più a vantaggio del proprietario del legno contro di costui, per la dottrina dei doveri del mandatario nell’esercizio del mandato a lui commesso. Ed è irrephcabile in diritto che il capitano del legno è il mandatario dell'armatore del medesimo:

Il mandatario è tenuto non., solamente PER LO DOLO, MA ANCHE PER LE COLPEcommesse nella esecuzione del mandalo ((118)):

5.° Non incresca ascoltare l’insegnamento del lodato AZUNI sopra questa tesi:

«All’articolo baratteria èdimostrato che gli assicuratori non sono per l’ordinario risponsali di quei sinistri che riconoscono la causa dalla colpa del capitano della nave, fissando la regola, che li danni accaduti dal fatto, o dall’imprudente contegno dello stesso capitano non sono sempre a carica degli assicuratori; e quando lo siano, competa ad essi il regresso CONTRO LO STESSO CAPITANO, LA NAVE ED I SUOI ARMATORI, per quei delitti, e mancamenti che abbiano loro cagionata la perdita.

Questa giurisprudenza avrà anche luogo riguardo alle PREDE, ALLORQUANDO DI FATTI SI POSSA LEGALMENTE E CONCLUDENTEMENTE GIUSTIFICARE LA COLPA DEL CAPITANO PREORDINATA AL CASO. DELLA PERDITA; 0 CHE LO STESSO ASSICURATO ARBIA PRE— POSTO IL CAPITANO AL COMANDO DELLA NAVE((119))».

Nella moderna scuola commerciale, alla cui testa evvi il PARDESSUS ((120)), seguito dagli altri, dei quali abbiamo fatto onorevole menzione, consentono nella stessa sentenza. E giova avvertire che per punto di diritto positivo, le colpe del capitano e dell’equipaggio, tecnicamente addimandate, baratteria del padrone, non sono a debito degli assicuratori, se non vi sia stata convenzione in contrario, abbenché aggravino il proprietario del legno pei rapporti giuridici che ricorrono tra il mandante ed il mandatario, e che stringono; a seconda dei casi, passivamente o l’uno o l’altro, o amendue a rimpetto dei terzi.

7.° Rivolgendo la nostra attenzione alla causa che ne in trattiene, piace per poco ammettere qualunque ipotesi che possa gradire ai nostri avversari.

Se essi vagheggiano la favorita supposizione dell’avvenuta forza maggiore, cosiffatto avvenimento straordinario, non francherebbe il piroscafo il Cagliari dalla dichiarazione di legittima preda; dappoiché il fatto dell’aggressione nemica consumata per mezzo di quel battello, affligge il legno, ed altro non concede che un regresso contro gli autori di quel fatto, dato per breve ora e non concesso, che un impeto di forza maggiore abbia operato la deviazione di quel legno dallo scopo pacifico commerciale, ai disegni abbominevoli di pirateria e di guerra intestina. È una verità, per le cose dimostrate finora per sommi capi, e che più luminosamente dimostreremo quindi a poco, Che nella preda non si mira che al solo esperimento ostile esercitato dal legno contro la legittima Autorità del luogo e come strumento e mezzo efficace per commetterlo, senza impigliarsi a discutere del concorso di volontà dei proprietari di quel legno, o della causa di dominio civile del medesimo, per la quale legalmente appartenesse, o pur agli operatori delle ostilità consumate; imperciocché le leggi sono assai chiare al proposito. Esse concedono al proprietario, o agli assicuratori del bastimento soltanto gli opportuni regressi contro i violatori della buona fede, della morale e della umanità.

La pruova della forza maggiore serve a liberare il capitano della sua risponsabilità verso il proprietario del bastimento, i caricanti delle merci e gli assicuratori ((121)), e non già per francare il bastimento dalla dichiarazione di buona preda, pel fatto ostile esercitato dagli autori della suddetta forza maggiore.

Cotesta forza maggiore è essa stessa un sinistro di mare: la preda l'è altrettanto; ed in ambo i casi, come pure in altri ancora, la dichiarazione di legittimità della preda sempre colpisce il proprietario, o in lor vece gli assicuratori del bastimento.

Non conviene confondere due dottrine, fra loro separate e distinte per principi e per effetti giuridici, annunziate e prefisse da chiari e testuali disponimenti di leggi positive.

La legge del 12 ottobre 1807 e le leggi per gli affari di commercio del 1819 sono amendue di eccezione e contemplano la dottrina delle prede marittime, con questa differenza però, che la prima ricerca il carattere di inimico o di pirata per poter dichiararsi la cattura di un legno preda legittima. Quella legge, nell'articolo primo dice pure che sono di buona preda i bastimenti appartenenti ai nemici del regno; donde gli avversari credono d’inferirne la esplicita conseguenza, che il bastimento debbe essere di proprietà degl'inimici, per poter ricadere sotto la sanzione penale di buona preda.

Ma a prescindere, che in quell'articolo il verbo appartenere significa il possesso, l'uso di fatto del legno nel momento delle ostilità praticate, siccome sarà chiarito quindi a poco, cotesta illusione svanisce pure per altre ragioni: prima per virtù del codice di commercio, e poi in forza delle leggi di eccezione per gli affari di commercio. Amendue sono posteriori alla legge del 1807, e trattano specialmente delle prede, e perciò, o la spiegano o la derogano appunto perché con essa s’intrinsecano e si unificano, per l'osservanza della massima giuridica che: leges posteriores AD PRIORES PERTINENT, nisi contrariae sint ((122)). Ed il codice ele leggi di eccezioni sono simili ed omogenee, e non già opposte e contrarie a quella del 1807, più volte citata.

Ora in coteste leggi posteriori sta chiaramente detto, che il caso di preda priva il proprietario del bastimento della proprietà di questo; né aggiunge, quante volte egli sia inimico del regno. Né poteva dirlo, perché cotesta ipotesi è rara, né andava preveduta essa sola in un codice che regola in guisa generale le materie di commercio ((123)).

Adunque il proprietario perde sempre il legno, tanto se è colpevole, che se è innocente del fatto generatore della preda, e solo avrà l'esperimento del regresso, o contro del capitano, se a costui sia imputabile il fatto medesimo, o contro di coloro che ne sono stati autori, se quegli vi è rimaso straniero.

Laonde, la sola disputa che s’impegna utilmente è di definire, se il fatto consumato attribuisca agli autori dello stesso il carattere d’inimici o di pirati; mentre l’altra della sofferenza della perdita del legno si trova testualmente decisa contro del proprietario, per modo di regola.

Ma l’improfittevole ipotesi cede alla tesi verace della nostra causa; mentre è lucidissimamente pruovata la dolosa correità, o primaria complicità del capitano del piroscafo il Cagliari negli eccessi nefandi di Ponza, di Padula e di Sanza. Quindi innegabile illazione ne discende, che risponsabile degli effetti della legittima preda sia Antioco Sitzia verso la compagnia Rubattini.

E ciò per gran ventura di costei, da che crediamo con fiducia di coscienza di aver posto nel massimo rilievo la correità e complicità volontaria dello stesso Rubattini, preordinata ai casi luttuosi che seguirono nel trascorso giugno; e la quale associazione colpevole del proprietario rimuove qualunque esitanza, costituendolo personalmente obbligato e tenuto agli effetti ed alle conseguenze di quei fatti che da lui presero origine.

<661178_3597693275"> §. VI. Maggior conferma delle cose dimostrate

È punto inconcusso di ragion positiva di affliggere la preda il proprietario del legno: lo abbiamo annunziato più volte. Le stesse leggi di commercio ne prevedono il caso, come poco innanzi si è avvertito. E la ipotesi generica suppone anche l’innocenza del capitano e dell’equipaggio. ché se l’uno o l’altro avessero causato la preda del legno, a prescindere che sempre il proprietario dovrebbe risentire la perdila del bastimento, egli solamente avrebbe in tal caso il convenevole regresso.

Le leggi di commercio che ci regolano fissano questo principio nell’articolo 208 espresso in queste frasi:

QUALUNQUE CAPITANO, MAESTRO, o PADRONEincaricalo della direzione di una nave o di un bastimento È TENUTO PER LE COLPE ANCHE LIETI CHE COMMETTESSE NELL’ESERCIZIO DELLE SUE FUNZIONI.

Proseguono le leggi ad indicare i doveri del capitano pel buon governo del legno, e stabiliscono nell’articolo 216, che: In caso di contravvenzione agli obblighi imposti dai cinque articoli precedenti, IL CAPITANO E' TENUTO DI TUTTI GLI ACCIDENTI TERSO GL'INTERESSATI DEL BASTIMENTO E DEL CARICO.

L’articolo 218 crea la sola eccezione di favore pel capitano, in grazia della forza maggiore:

L’obbligazione, ecco il testo, del capitano non cessa che IN FORZA DELLA TROTA DEGLI OSTACOLI PROTTEGNENTI DA FORZA MAGGIORE.

Codesti tre articoli delle nostre leggi di commercio sono unisoni agli articoli 237, 241, e 246 del codice di commercio per gli stati di S. M. il Re di Sardegna ((124)).

«Qualunque capitano, o padrone incaricato della direzione di una nave, o di altro bastimento, è tenuto per le colpe ANCHE LEGGIERE, CHE COMMETTE NELL’ESERCIZIO DELLE SUE FUNZIONI ((125)).

In caso di contravvenzione agli obblighi imposti dai quattro articoli precedenti, IL CAPITANO È RISPONSABILE DI TUTTI GLI ACCIDENTI VERSO GL’INTERESSATI NEL BASTIMENTO E NEL CARICO ((126)).

La risponsabilità del capitano non cessa, SE NON CON LA PROVA DI OSTACOLI PROVVEDENTI DA FORZA MAGGIORE ((127))».

§. VII. Utili conseguenze che ne derivano

1.° I disponimenti delle due leggi che riversano sul capitano la risponsabilità civile nascente dalla colpa, anche leggiera, imperano assai più, tutte le volte che in vece della colpa lieve, sta contro di lui il fermo proposito da lui stesso concepito, ossia il dolo personale: condizione nella quale per lo appunto si trova il capitano Antioco Sitzia.

2.° Il principio di risponsabilità precennato in via di fatti commerciali, è l’applicazione del principio di risponsabilità dipendente dal dolo, o dalla colpa per delitto o quasi delitto civile, contemplato dal diritto comune ((128)).

3.° E la imposta risponsabilità al capitano comprende in maniera generica i danni derivanti DA TUTTI GLI ACCIDENTImarini, atteso la natura delle funzioni che egli assume. E tra gli accidenti, ossieno fortune, sinistri, o rischi di mare, vi è annoverata segnatamente, la preda.

Laonde, stringendo in breve l’ampia discussione, diciamo che quattro casi possono avvenire:

Il primo, che la preda di un legno succeda, senza il concorso doloso o colpevole del proprietario, del capitano e dell’equipaggio, ed allora il legno lo perderanno i proprietari, salvo ad essi il regresso di rimborso contro gli autori del fatto che vi à dato luogo.

Il secondo, che il legno sia assicurato, ed in questa ipotesi, in vece del proprietario, ne risentiranno il danno gli assicuratori.

II terzo, che la preda si verifichi pel dolo o per la colpa del capitano, ed anche in questo rincontro la perdita sarà del proprietario, salvo a costui l’azione sussidiaria pel risarcimento contro del primo.

Il quarto, che una forza maggiore à trasportato il legno nel possesso di fatto di altre persone, ed anche qui il nocumento ricade a danno del proprietario, il quale potrà sperimentare il regresso di rimborso, non più contro il capitano, ma contro gli occupatori del bastimento.

4.° Ma il fatto della forza maggiore è una eccezione creata dalle leggi patrie e sarde al principio normale della risponsabilità del capitano ed alla massima incontrastabile della passiva tolleranza del proprietario, se pure potesse recargli alcun giovamento.

5.° Per diritto comune è sicuro pronunzialo, che colui che propone l’eccezione riveste le divise di attore: qui excipit, in exceptione actor est ((129)).

Donde conseguono le altre regole proverbiali, che: ei qui dicit incumbit onus probandi ((130)), et facti probationis NECESSITAS ((131)).

Nel vero, l’eccezione della patita forza maggiore (se mai potesse distogliere la legittimità della preda e la passività del proprietario del legno), mirerebbe a togliere ai predatori il titolo solenne dell'adquisitio bellica, consentito dal giure pubblico delle genti, ed ai quali questo irrevocabilmente attribuisce la proprietà del bastimento predato. Or l’assertore dell’occorso eccezionale è di fermo costituito nella necessità di pruovarlo, in necessitate facti probationis.

E la dottrina del diritto comune trova possente presidio nel testo delle leggi commerciali, le quali scolpitamente vogliono che la pruova DELLA FORZA MAGGIORE si faccia da colui che l’allega a sua difesa, ed il quale per noi è il capitano Antioco Sitzia.

E piace ricordare al proposito la risoluzione imperiale dintorno alla necessità della pruova della patita forza maggiore, precisamente in fatto di preda profferita contro di colui che, jure postliminii, ne chiedeva la restituzione dalla mano del predatore.

Il rescritto è degl'Imperadori, VALENTE, VALENTINIANOeGRAZIANO ((132)), adottato posteriormente da GIUSTINIANO ((133)).

Questo Imperadora,nel concedere il favore del postliminio,a coloro che nella guerra Alemanna, necessitas captivi talis abduxit, assegnò come imprescindibile condizione del benefizio, si non transierint, SED HOSTILIS IRRUPTONIS NECESSITATE TRADUCTI, ed espressamente volle che nella dichiarazione di appartenenza della cosa predata, bello capta, profondamente si pruovasse, ut rum aliquis cum barbaris volúntate fuerit, AN COACTVS. Su delle quali frasi il GOTOFREDOchiosa in questi termini: tamen cum adversariis sua volúntale fuerint, sed captivitate se defentos ESSE PROBAFERINT ((134)).

E si sa pure che la medesima dottrina rigorosamente si applicava ai volontari disertori della patria, e solo benignamente si prospettavano quelli che soggiacevano alla irresistibile prepotenza degl'inimici ((135)).

6.° Memorando le disamine critiche da noi tessute di sopra, relativamente ai fatti compiuti da Antioco Sitzia e dal suo equipaggio, con sicura fidanza ci è dato affermare, che lungi di essersi pruovata dal Sitzia l'eccezione della patita forza maggiore, è stato, anziché pruovato, dimostrato esplicitamente, che egli fu autore spontaneo e primiero delle nimichevoli aggressioni consumate contro la legittima Sovranità del reame delle due Sicilie.

§ VIII. Non solo non è pruovata in modo veruno la violenza
patita, ma vi è la pruova in contrario

1.° La forza maggiore non deve opprimere il capitano soltanto, ma lui e l'equipaggio intero; dappoiché se la persona individuale del capitano può soggiacere alla violenza, può non andarvi soggetto l'equipaggio, almanco la maggior parte di esso, sì perché la persona del capitano non manca mai, sottentrando a lui il capitano in secondo, ed a questo il pilota; sì perché la ciurma può benissimo reprimere gli oltraggi, liberare il capitano ed affrancare se stessa.

2.° E nella specie, ciò era non solo facile, ma certo, messo a raffronto i pochi passaggieri prepotenti ed i molti marinai del Cagliari.

3.° Ma nel vero, pel solo Sitzia si parla di violenza patita, e si dice essere stato circondato da nemici armati e vestiti di rosso; ma di Vincenzo Rocci e di Agostino Ghio, il primo capitano in secondo, l'altro pilota; e poi dell'equipaggio non si fa motto né punto, né poco. Solo si asserisce che il Sitzia rimase vinto dai rivoltosi. Nissun fatto; nissun atto offensivo si è veduto, né si racconta esercitato contro i marinari componenti l’equipaggio.

Costoro dunque impietrarono, in vece di riscuotersi, come per magico incanto!

4.° E per lo stesso Sitzia, nissuno vide l'atto di aggressione, appunto come si rileva dalle deposizioni dei passaggieri.

Il solo Francesco Mascarò, al quale fa eco l’equipaggio, neanche è testimone di veduta del fatto primitivo, che importerebbe l'esercizio materiale della forza maggiore, perché si dice avvenuto sulla prua del piroscafo. E Mascarò era nella parte opposta, cioè a poppa, e scorse il capitano Sitzia di ritorno da prua in mezzo a diversi individui con berrette rosse, tanto che maravigliato, domandò di che si trattasse. Dunque Mascarò e l’equipaggio furono spettatori non di un fatto veramente consumato, ma di un comico concerto ben composto tra il capitano e quei ribaldi.

Udiamo le parole del Mascarò: in mezzo delle grida e del rumore, egli depone, mentre era situato ALLA POPPAdel detto vapore di unita alla mia consorte ED ALTRI PASSAGGIERI, VIDI COMPARIRE IL CAPITANOin mezzo a diversi individui con berrette rosse, in cui appoggiavano delle pistole e dei stili. DOMANDAI DI CHE COSASI TRATTATA, e senz’altra risposta, mi fu imposto di scendere, senz’altro, nella camera ((136)).

5.° Il macchinista Errico Watt, depone che, dopo due ore dalla partenza, cioè dire alle 9 p. m., in notte avanzata, si trovava sul ponte, e vide diverse persone armate che si diressero al capitano del vapore, DICENDO DI ESSERE I PADRONI DEL BASTIMENTO.

Come il primo macchinista, stando in corso il battello, si trovasse sul ponte in coverta, e non già sotto ed a guida della macchina, non sa spiegarsi. Ma sia che vuoisi, per poco; egli di certo non attesta il fatto, ma il detto dei creduli aggressori. E si noti che non altro si è arbitrato di asserire costui, benché implicato nelle trame della rivoluzione.

Il Watt è quel desso, che tra le sue robe custodiva il camice rosso di uniforme, e serbava indosso una lettera vergata in idioma inglese, che lo chiarisce complice di tutte le operazioni che ebber luogo ((137)).

In somma, Mascarò, e con lui l'equipaggio (comunque questo non meriti fede, perché reo insieme coi ribelli) e Watt, non sono stati spettatori del fallo materiale dell'esercizio della forza maggiore sopra del solo Sitzia, factum ipsum, ma dei fatti posteriori, che dovrebbero farlo presumere; ed i quali possono del pari smentirlo, avendo potuto quel primo fallo essere l’effetto di un accordo prestabilito.

5.° Ma quello che fuormisura reca maraviglia e sorpresa è quanto si legge nel documento massimo del piroscafo, vogliamo dire nel giornale di navigazione. Là è smentita l’asserita forza maggiore, ed è dipinta la maniera elegante ed affettuosa, conia quale si ottenne la cessione del legno: il capitano, così sta scritto, trovavasi alla veglia di prua, a sinistra fu assaltato da un gruppo di rivoluzionari armati di pistole e stili, guidandolo A POPPA, E GRIDANDO IN NOME DELLA REPUBBLICA ITALIANAdi cedere il comando a forza, altrimenti ne andrebbe la vita DI TUTTO L’EQUIPAGGIO ((138)).

In primo luogo, se nissuno à veduto il fatto dell'aggressione, e nissuno l'à deposto, come mai si è potuto registrare nel giornale di navigazione che il capitano fu assaltato, mentre stava di guardia a prua?

In secondo luogo, il giornale nulla contiene di violenza usata sul capitano in secondo, sul pilota e sull'equipaggio.

In terzo luogo, il giornale fa parlare a quei finti aggressori un linguaggio ancor più romantico ed esagerato di quello che serberebbero gli stessi protagonisti del furioso di ARIOSTO.

Invero, trascende l’umana credibilità, che quindici o venti uomini s’impadronissero di un battello, senza tirare un colpo, o ferire alcuno, ma tacitamente operando, imporre al capitano la cessione del legno per mandato loro fatto, nientemeno che dalla repubblica italiana, e sotto pena di uccidere TUTTO L’EQUIPAGGIO, ed il quale, come altra volta abbiamo detto, si componeva di trenta persone. Certo che se quei tali fossero stati tanti, non già giganti, ma smisurati titani, neppure sarebbero riesciti a far credere i memorandi successi, che si asserisce di aver essi prodotto, non già col menar continuo delle loro braccia, ma col semplice suono della loro parola.

È chiaro che mancò al Sitzia, all'equipaggio ed ai suoi amici, il facile ingegno di simulare un’aggressione verace, per così in certo qual modo, adonestare l'incredibile successo. E ciò nel punto che il talento scenico fornisce a dovizia di simiglievoli creazioni.

IX. I Tribunali del reame delle due Sicilie sono isoli competenti a statuire sulla preda in parola

Non può niegarsi l'esercizio della giuridizione competente ai corpi giudicanti del luogo, in cui la preda di un legno è stata eseguita.

A prescindere che sono dessi i delegati del potere Sovrano che impera in quelle regioni; se così non fosse, mancherebbero i giudici e le leggi per decidere la quistione, e dichiarare i diritti ed i doveri dei contendenti.

Senza spendere molte parole in argomento facile e manifesto, ascoltiamo l'univoco sentimento dei più segnalati scrittori della materia.

Sia duce della eletta schiera, il famoso VATTEL, il quale al proposito discorre a questo modo:

«L’impero unito al dominio stabilisce la giuridizione della nazione nel paese che le appartiene, e che è nel suo territorio. Spetta a lei, o al suo Sovrano di rendere giustizia in tutt'i luoghi che la obbediscono, di prendere conoscenza DEI BEATI CHE SI COMMETTONO E DELLE QUISTIONI CHE SI ELEVANO NEL SUO STATO.

«LE ALTRE NAZIONI DEBBONO RISPETTARE QUESTO DIRITTO. E come l'amministrazione della giustizia esige necessariamente che qualunque sentenza definitiva, pronunziata regolarmente, sia tenuta per giusta, ed eseguita come tale, dopo che una causa, nella quale gli stranieri si trovano interessati, è stata giudicata nelle forme, il Sovrano non può ascoltare le querele dei loro difensori.

«Prendere a disaminare la giustizia di una sentenza definitiva è attaccare la giuridizione di colui che l'à renduta. Il Principe non deve dunque intervenire nelle cause dei suoi sudditi in paese straniero, e non deve loro accordare la sua protezione, che nel caso di denegata giustizia, o di una ingiustizia evidente e palpabile, o di una violazione manifesta delle regole e delle forme, o in fine di una distinzione odiosa, fatta in pregiudizio dei suoi sudditi, o degli stranieri in generale. La Corte d’Inghilterra à stabilito questa massima con grande evidenza, ad occasione dei vascelli prussiani arrestati E DICHIARATI DI BUONA PREDA, durante l'ultima guerra ((139)).

«IL MERLIN ((140)), FAVARD DE LANGLADE ((141)), DÉVILLENEUVE ET MASSÈ ((142)), fondandosi ancora sull’avviso di LOCCENIO ((143)), dichiarano che: è un uso costante e ricevuto da tutte le Potenze europee che il giudice del predatore È IL SOLO COMPETENTE PER FARE COGNIZIONE DELLA VALIDITÀ DELLA PREDA, nel caso in cui la preda sia condotta in un porto che dipenda dal Sovrano di quest’ultimo.

EGLI È LO STESSOnel caso in cui la preda fosse condotta in un porto neutrale, se d'altronde il bastimento ed il carico appartenessero al nemico, e se la preda fosse fatta in pieno mare ((144)).

«TEODORO ORTOLAN, in proposito della preda, sia sull'inimico del Regno, sia di un pirata che vi si agguaglia, nettamente dice: «che può essere giudicato dai tribunali del paese, nel quale si trovano gli accusati, comunque il fatto SIA STATO COMMESSO A BORDODI UN BASTIMENTO E DA UN EQUIPAGGIO ORIGINARIO DI UN’ ALTRA NAZIONE ((145)).

FAELIXaggiunge: In materia di prede marittime, è ammesso l’uso che IL GIUDICE DEL PREDATORE È IL SOLO COMPETENTE PER CONOSCERE DELLA VALIDITÀ DELLA PREDA. Questo principio non forma punto una eccezione a quello stabilito al numero 506; egli è speciale al caso di guerra, e non à alcun rapporto col diritto internazionale privato ((146)).

Sostengono lo stesso, RAYNEVAL((147)), MARTENS((148)), PINHEIRO-FERREIRA((149)), eWHEATON((150)).

CAPO II
Indipendenza del giudizio di preda dall'altro penale.
§. I. Non osta al presente giudizio, il penale tuttora pendente presso la G. Corte speciale di principato citeriore.

È una volgare opinione, fitta in capo agl'indotti, o ai mezzanamente istituiti nella ragion penale, e perciò ispirata e diffusa tra molli, senza usar critica e disamina di sorta, che il giudizio della preda del Cagliari debbe aspettare l’esito del giudizio penale.

Se così fosse, non dovrebbe esistere mai per pronunziato gerarchico, possibilità di esperimento di preda legittima, senza il necessario cimento del giudizio penale. E ciò perché il fatto di guerra, o di pirateria che presta occasione alla preda, essenzialmente in sé contiene il reato contro la sicurezza dello Stato ((151)). Ma negli annali della giureprudenza marittima delle nazioni incivilite, raro s’incontra l’esempio del simultaneo giudizio penale e di preda. Dunque dovremmo conchiudere che cosiffatti esperimenti sieno stati tutti illegittimamente compiuti.

Ed il ragionar dei contrari avrebbe di certo il merito della più erronea tracotanza; dappoiché non può verificarsi mai nel corso parallelo dei due giudizi, l'assurdo proscritto del bis in idem. Essi non sono due esperimenti contemporanei per un sol fatto e per lo stesso oggetto, per modo che potesse temersi la contrarietà di due possibili giudicati.

Un tale assurdo non può mai verificarsi, atteso la differenza capitale che ricorre e che noi mostreremo quindi a poco, tra i due giudizi, per le qualità delle persone, pel fondamento giuridico delle due azioni, per l’oggetto cui accennano entrambi.

L'autorità della cosa giudicala non à luogo, se non relativamente a CIÒ CHE À FORMATO L’OGGETTO DELLA SENTENZA. È necessario che la cosa dimandata sia la stessa; che la domanda sia fondata sulla medesima causa; che la domanda sia tra le medesime parti e proposta da esse e contro di esse n ella medesima qualità ((152)).

Se si guardi l'oggetto, ossia la cosa richiesta, si rimarrà persuasi di facile e senz’alcuno imbarazzo, che il petitum principale dell'azione pubblica è la punizione del colpevole nel giudizio penale; mentre nel giudizio di preda è la riscossione del prezzo del legno predato, domandato dai predatori per virtù di un’azione privata.

L’oggetto del giudizio, non solo è il fine, ma è il merito, il subbietto esso stesso del giudizio. Se diversifica nell’oggetto, manca radicalmente la identità del genere e della specie dei due esperimenti.

Per diritto romano, egualmente che pel nostro, eadem res è sinonimo di idem corpus, eadem quantitas; vale dire è l’identico, è l'id ipsum de quo agitur ((153))..

Se poi si rifletta la causa della domanda, ossia il fatto esclusivamente generatore della medesima, fundamentum iuridicum, causa proxima actionis, la diversità sorge più manifesta.

Si distingue in diritto la causa remota dalla causa prossima dell'azione. La causa petendi ((154)) è la causa proxima actionis; ratio causae poi è la pruova del domandato. Causa remota è il principio generale, la provvidenza legislativa che anima un diritto o che sostiene un interesse civile. Tosto che differiscono le causae proximae non si riconosce la eccezione della cosa giudicata, e svanisce il timore del bis in idem e della contrarietà del futuro giudicato ((155)).,

La causa remota della ragion penale è la tranquillità pubblica; la prossima è il reato specialmente commesso. La causa remota della preda è la preservazione della Sovranità dalle offese nemiche; la prossima è il fatto di guerra o di pirateria, definito da una legge diversa dalle penali. Questo è il fatto generatore della preda ((156)).

Nel vero, il fatto di guerra o di pirateria è contemplato da due leggi di ordine diverso: per quanto attenta alla esterna sicurezza dello Stato, forma dottrina delle leggi penali, proprie del reame delle due Sicilie, e per quanto offende e compromette l’impero della legittima Sovranità dello Stato forma dottrina del diritto pubblico delle genti, assai superiore al merito delle leggi penali; tanto che per le prime, la confiscazione del corpo del delitto e degli ¡strumenti che àn servilo, o che erano destinati a commetterlo è una conseguenza della condanna definitiva, comune ai tre ordini della giustizia penale, cioè dire ai misfatti, ai delitti ed alle contravvenzioni: e per contrario l’appartenenza del valore di un legno predato è l'obbietto esclusivo e principale dell'azione civile che promuovono i predatori, senza aver riguardo alla condizione di non essere il proprietario del legno predato autore e complice del fatto della preda, e pel quale criminalmente si procede.

Se poi si riguardino le persone e la loro qualità, neppure si potrà riscontrare la identità delle medesime nell'uno e nell'altro giudizio.

Adunque i due giudizi differiscono pei principi, per l'oggetto, pei procedimenti, per gli effetti giuridici, pei Tribunali che sono chiamati a conoscerne, e per le leggi che vi provvedono.

I

Differiscono pei principi; imperciocché il giudizio penale di qualunque specie, e di qualunque materia esso si occupi, non può, né prevenire, né sospendere altramente il giudizio civile, che vi può avere relazione. È sentenza ricevuta, che il penale non tiene in verun modo in istato il civile ((157)).

Il giudizio penale mira unicamente alla punizione o all’assoluzione dell'imputato, ritualmente pruovato autore, o innocente del reato commesso. La repressione del colpevole è il suo fine principale.

Ma va pure riflettuto che le leggi penali contemplano i fatti consumati, mancati o tentati dai cittadini, o persone che sono nel regno contro il Sovrano e lo Stato per favorire i nemici ((158)), e non già i fatti ostili commessi dai nemicidel regno che vengon di fuora contro la Sovranità dello Stato, i quali sono preveduti dalla legge speciale sulle prede marittime ((159)), e sono definiti dai principi sanciti dal dritto pubblico delle nazioni.

Ond'è che accuratamente discorre l'illustre Nicolinied avverte: «essere terza conseguenza della proposta definizione (della cosa giudicata) che per conoscere, se lo stesso oggetto sia proposto innanzi a due giudici, debb’esserci la duplice IDENTITÀ DI GENERE E DI SPECIE, CON TETTI I SUOI QUATTRO CARATTERI DI COSA, DI CAUSA PROSSIMA, DI PERSONA E di qualità di persona; talché giudicato due volte questo oggetto possa incontrarsi contrarietà di giudicati. Allora solo PUÒ DIRSI PENDENZA DI LITE, E LA ECCEZIONE CHE ARRESTA IL SECONDO GIUDICE È DETTA LITEPENDENZA ((160)).

Ma il maggiore argomento che toglie ogni esitanza è che in diritto pubblico si riconosce la buona preda anche nel caso che un legno nemico, o creduto tale, si ritrovasse abbandonato dal predatore.

Gli articoli 6 e 7 della legge del 12 ottobre 1807 evidentemente ammettono questo principio, da che dispongono la restituzione del legno ai proprietari che lo reclamassero tra un anno ed un giorno, e con un premio all'equipaggio del bastimento predatore; il quale guiderdone si chiama in linguaggio tecnico, premio di ricupero.

«Se un bastimento nazionaleo alleato, per abbandono fattone dai nemici,antecedentemente alla caccia datagli dai bastimenti di guerra o armati in corso, per tempesta o per altro caso fortuito, torni, o venga in possesso de' nazionali, prima che sia stato condotto in un porto nemico, sarà reso al proprietario, che lo reclamerà nel corso di un anno e di un giorno, ancorché sia rimasto più di 24 ore in possesso del nemico ((161)).

«Se il bastimento apparterrà a potenza neutrale, sarà egualmente reso a' proprietari, che lo reclameranno tra un anno ed un giorno; ma dovranno essi rilasciarne la terza parte del valore, la metà della quale andrà in beneficio dell’equipaggio del bastimento, che lo avrà ricuperato, e l’altra della cassa degl’invalidi di marina ((162)).

Consegue da cotesto doppio disponimento:

1.° Che il bastimento nemico abbandonato apparterrà per intero ai predatori:

2.° Che lo stesso bastimento nazionale, o alleato sarà di buona preda, se il proprietario non lo reclamerà nel corso di un anno ed un giorno:

3.° Che lo stesso avverrà per la potenza neutrale; e dippiù, anche nel caso del reclamo nel termine stabilito, spetta ai predatori il terzo del valore del legno, a titolo di premio di ricupero. Dunque vi è legittima preda, senza il giudizio penale, che intenda a punire l'autore del fatto che le à dato occasione.

È stato un accidente pel Cagliari l’arresto delle persone ed il giudizio penale, che per nulla può influire su dell’altro della preda, e del quale se ne potrebbe far di meno.

Per opposto, nei giudizi civili, anche per diritto comune, e nei casi di delitti o quasi delitti, non si tratta d’infliggere alcuna pena all'autore del fatto doloso o colpevole che rechi danno altrui, ma si versa soltanto nella dichiarazione ed attribuzione del pecuniario risarcimento, in via di liquidazione di danni ed interessi. Può essere l’azione civile anche direttamente dipendente da un reato commesso, ed in tal caso deve attendersi pel rimborso che siesi pronunziato diffinitivamente sull'azione penale.

Che lo scopo primario ed esclusivo del giudizio penale sia la punizione del reo, non è duopo di opinioni e di comentar! di scrittori per dimostrarlo, poiché la legge prevale ed a tutto supplisce nel suo letterale disponimento.

Ogni reato dà luogo ali azione penale ed all'azione civile.

Coll'azione penale si DOMANDA LA PUNIZIONE DEL COLPEVOLE.

Coll'azione civile si domanda la riparazione dei danni ed interessi che il reato à prodotto ((163)).

L’AZIONE PENALE E’ ESSENZIALMENTE PUBBLICA,ed appartiene esclusivamente agli ufiziali che sono incaricati del pubblico ministero presso i magistrati istituiti per l'amministrazione della giustizia penale.

L’azione penale DEBB’ESSERE ESERCITATA DI UFFIZIOin tutt'i casi nei quali l'istanza privata non è necessaria per promuoverla ((164)).

Per opposto, è azione essenzialmente privata quella che si promuove per risarcimento, o per pagamento pecuniario, sia pure derivante da un delitto o quasi delitto civile. Ed è ancor più caratteristicamente tale la domanda dei predatori per la legittimità della preda; dappoiché è questo un esperimento speciale e tutto particolare, che si rannoda a fatti di un ordine specialissimo, e che rientrano nelle teorie superiori ad ogni ordine di legislazione comune, quali son quelle del diritto delle genti e delle altissime ragioni della imperante Sovranità degli Stati.

Laonde la legittimità della preda non prende origine dalla certezza di reità della persona che à commesso il fatto generatore della medesima, ma in vece da questo fatto medesimo, contrassegnato però dalle caratteristiche che lo definiscono, indipendentemente dal convincimento dei giudici penali sulla innegabile punizione dell’autore di quel fatto; cosicché può non esservi giudizio penale; può essere anche innocente l’autore del fatto che à dato luogo alla preda, ed impértante può questa dichiararsi legittima. Quindi inutilmente si attenderebbe la condanna del capitano Antioco Sitzia e del suo equipaggio, ovvero la sua assoluzione, tostoché, né la prima influisce, né la seconda altera il separato e per sua natura distinto giudizio di buona preda.

II

Differiscono i due esperimenti anche per legge; mentre i giudizi penali si spediscono conforme alla seconda parte del codice per lo Regno delle due Sicilie, intitolata, Leggi Penali, e quelli di legittimità delle prede si compiono a norma del decreto fondatore del Consiglio dello prede del 30 agosto 1807, della legge posteriore del 12 di ottobre dello stesso anno, e delle Ordinanze generali della Real Marina del 1.° di ottobre 1818, approvate con Real decreto dello stesso giorno ((165)).

III

Differiscono i due giudizi anche pei procedimenti, da che il libro primo delle leggi della procedura nei giudizi penali si occupa della istruzione delle pruove nei processi penali, che affida agli uffiziali di polizia giudiziaria, la cui missione è dichiarata così:

La polizia giudiziaria investiga e scuopre i reati, ne raccoglie le pruove e ne rimette gli autori ed i complici ai giudici incaricati DELLA LORO PUNIZIONE ((166)).

L’articolo 9 delle stesse leggi classifica gli uffiziali che possono esercitarla, a cominciare dai guardiani urbani e rurali, ed a finire ai Procuratori generali presso le G. Corti criminali ((167)); e per opposto la procedura che si serba ad occasione delle prede è prettamente amministrativa, militare, istantanea, celere, breve, spedita. Dessa è precisamente quella prescritta pel contenzioso amministrativo ((168)), combinata con le Ordinanze generali della Real Marina e coi due Statuti penali, militare e dell’armata di mare.

IV

Differiscono i due giudizi pure pei Tribunali che debbono spedirli. Nei giudizi penali si occupano le G. Corti criminali istituite con la legge organica dell'ordine giudiziario ((169)), mentre la cognizione delle quistioni di prede si esaurisce da due Commissioni composte di magistrati, di uffiziali di marina navigante ed amministrativa e da altri funzionari pubblici ((170)).

V

Differiscono finalmente per gli effetti e per le conseguenze dell’uno e dell’altro.

Il giudizio penale, siccome di sopra si è avvertito, mira alla punizione dell’autore del fatto incriminato. La pena che definitivamente si pronunzia è la repressione afflittiva dell’individuo del condannato; ella gli è esclusivamente personale: pena non egreditur personam. Questo è il principale oggetto dei giudizi penali.

Due ne sono gli effetti, dei quali il primo può dirsi più conseguenza, che effetto immediato, potendo essere talvolta accidentale. L’effetto è l’azione civile che dipende dalla definitiva pronunziazione sull’azione penale ((171)). La conseguenza è la confiscazione del corpo del delitto e degl'¡strumenti che àn servito, o che erano destinati a commetterlo, quando la proprietà ne appartenga al condannato ((172)). Il prodotto degli oggetti conoscati si versa nella cassa delle ammende ((173)), e perciò s’incamera alla Tesoreria generale per farne gli usi definiti dalla legge ((174)).

Per contrario, la condizione della proprietà del legno predato in colui che à prestato occasione alla preda, non si richiede per le leggi proprie di questa materia: e se mai si richiedesse, ne basterebbe il possesso e la materiale detenzione, siccome di già abbiamo dimostrato, e più basso più largamente dimostreremo. Dippiù; il giudizio di preda non intende affatto ad infliggere pene corporali all'autor della stessa, ma solamente ad attribuire ai predatori il valore della medesima, in guiderdone delle geste guerriere da essi esercitate e coronate da felice successo. Inoltre, il prodotto degli oggetti confiscali è introitato dalla Real Tesoreria, e per converso, il ricavato dalla vendita della preda si riscuote gradualmente da tutti quelli che vi parteciparono, e che vien passato all'Intendente generale della Real Marina, che ne procede alla distribuzione ((175)).

Ed è così vero che la dichiarazione della legittimità della preda è indipendente dal convincimento di essere il capitano, o il proprietario del legno predato autori de' fatti che vi àn dato luogo, che per essenza il giudizio è meramente civile, e di pretta indennità, che anche nella inesistenza del giudizio penale dal bel principio, o dall’annientamento dello stesso, sempre procede e si compie con un corso e con un fine tulio proprio ed esclusivamente particolare.

Come l’assoluzione del capitano Silzia e del suo equipaggio non pregiudicherebbe la dichiarazione di buona preda, l'¡stessa grazia Sovrana, che cancellerebbe la condanna definitiva già profferita, ed il Rescritto di abolizione, che cancellerebbe lo stesso reato, lascerebbero sempre intatta l’aziono civile nascente dal reato abolito, o dal reato riconosciuto con la condanna diffinitiva ((176)); assai più, e con argomento irresistibile, lascerebbero intatta l'azione civile dei predatori loro attribuita dal fatto di guerra, donde ne nacque l’acquisto, che è per sua natura diverso dal reato comune, del quale si occupano le leggi penali.

D. ultimo, è un fatto costante ed irretrattabilela scissione de' due giudizi, penale e di preda. I due magistrati, l'uno dall'altro indipendente, contemporaneamente e giusta le disposizioni di legge, sono stati incaricati simultaneamente di procedere nei termini delle rispettive competenze. Ciò basterebbe a tutto, senza bisogno di altro ragionamento.

§. II. Caso importante risoluto dalla patria giureprudenza

La compagnia di navigazione a vapore istituita nel reame delle due Sicilie, diretta dal signore Augusto Viollier aveva, tra i suoi piroscafi, quello nominato il Vesuvio. Questo battello continuamente viaggiava per la Sicilia, sì per trasporto di passaggieri, e sì per servigio postale. Mentre si ritrovava stanziato nel porto di Palermo, nei primi momenti della rivoltura sicola, se ne impossessarono i rivoltosi, e lo volsero ai loro disegni. Quel piroscafo fu mezzo all'esercizio di atti ostili contro la legittima Sovranità.

Era riconquistata Messina e gran parte della Sicilia: durava nella insurrezione Palermo ed il resto. Il battello succennato si raccolse nel porto di Milazzo. La Reale fregata a vapore il Roberto ne fece cattura.

Fattane disputa nel giudizio di legittimità di preda, la Commissione di prima istanza opinò pel niego; ma il Consiglio delle prede rivocò la deliberazione, con avviso del 12 di giugno 1849, confermato da S. M. il Re (N. S.), con Reale rescritto del 10 gennaio 1850 ((177)).

In quella causa intanto si verificò grave condizione, quanto quella dell'amnistia concessa dal nostro Sovrano ai siciliani, con decreto del 7 maggio 1849, per tutti gli avvenimenti funesti della rivoltura politica, che ebbe luogo in quest’isola.

S’invocava dal Viollier in senso di argomento decisivo quell’amnistia, per la quale essendo stata obbliata l'azione penale pei misfatti politici commessi contro il Potere legittimo, era necessariamente svanito il giudizio di preda, che da quei misfatti per lo appunto prendeva la sua origine e la sua legale consistenza.

L’attrice, Intendenza Generale della Real Marina, opponeva a cotesto, a prima fronte più vistoso che solido argomento, una serie di robuste ragioni, che lo escludevano apoditticamente.

La prima, che nei termini di un semplice giudizio penale, l'amnistia, anche quando viene ammesso l’incolpato a goderne, non reca alcun pregiudizio ALL’AZIONE CIVILE NASCENTE DAL REATO,e lascia salva all'amministrazione del registro e del bollo, ed alla parte civile l'azione per la ricuperazione delle spese ((178)).

La seconda, che se nei puri giudizi penali l'azione civile non resta pregiudicata dall’amnistia che cancella l’azione penale ((179)), dal Rescritto di abolizione che cancella il reato ((180)) e dallo stesso Decreto di grazia, che cancella la condanna ((181)); assai più l'amnistia in parola non doveva affatto pregiudicare l’azione civile, di già acquistata dai predatori, mediante la bellica occupazione del piroscafo.

La terza, che la clemenza del Principe, in lui innata ed inesauribile, e che registrerà splendido e solenne il nome dell’Augusto Ferdinando II nel libro della storia, non poteva esser guida dei giudicanti, in rincontro di un’azione promossa e contestata tra privati, e che aveva in iscopo un interesse pecuniario.

La quarta, che le indulgenze del Sovrano sono benefizi personali dei gratificati nei rapporti di pene repressive, ma non possono nuocere alle terze persone e per oggetti diversi, conforme alla dottrina delle leggiromane, della quale sono informate le leggi tuttora vigenti.

Sono assai noti e nel tempo stesso indubitabili gli assiomi di diritto: che la grazia, l’indulgenza ed il privilegio largiti dal Principe, personae cujusque cohaerent, nec personam egrediuntur, e di conseguente confermano la regola contraria, e punto derogano alle leggi generali, nei casi non contemplati espressamente dalla Sovrana munificenza: che le grazie, le indulgenze ed i privilegi, nec generalia jurasunt: non transeunt ad alios: personam non egrediuntur: legesfaciunt dumtaxat in iis negotiis, al quepersonis,proquibus fuerunt promulgata((182)).

E l'imperatore GIUSTINIANOsolennemente proclamò il principio da noi assunto con queste memorade parole:

Si vero dum causa agitur, pragmatica nostra sanctio, vel spectabilium nostrorum, vel alterius cuiusdam dispositio, vel aliud quid eorum omnium, quae dieta sunt, judici insinuatum fuerit, quod cognitionemejus,aut sententiam constituat,JUBEMUS, judicem ad haec piane non attendere, sed iis cessantibus, et nullam omnino vim habentibus, SECUNDUMGENERALESNOSTRAS LEGES REM EXAMINARE, EIQUE LEGITIMUM FINEM IMPONERE ((183)).

Tra gli antichi, GIOVANNI EINECCIO ((184)), e tra i moderni Federigo de SAVIGNY ((185))degnamente sviluppano questa dottrina.

Il Consiglio adottò le difese della Real Marina, e non ostante il precitato Decreto di amnistia del 9 maggio 1849, fu di avviso per la legittimità della preda del piroscafo il Vesuvio; il quale avviso meritò la Sovrana approvazione. E qui cade opportuna una riflessione di gran momento, che molto raccomanda il buon diritto dell’attrice.

Ad occasione del piroscafo il Vesuvio, non si trattava di semplice preda, ma di ripreda di quel legno, di già predato dai ribelli siciliani. Laonde Fattuale giudizio di preda del Cagliari è del tutto indipendente, separato e destinato dal giudizio penale che pende sulla colpabilità degli arrestati; per legge, per magistrati, per principi, per procedimenti, per effetti, per conseguenza e per fissata giureprudenza nel nostro regno.

§. III. Ultimo compimento della dimostrazione

Le evidenti conclusioni da noi tratte, dopo i ragionari tessuti, e che abbiamo rassegnato fino a questo punto, spiccano luminosi anche sotto un altro punto di veduta.

Il giudizio penale, civile, o ecclesiastico ((186)) rientrano nelle giuridizioni generali attribuite ai magistrati istituiti per la giustizia penale, per la giustizia civile, e per le Curie episcopali, sunt genera jurisdictionis.

La competenza poi delle Autorità del contenzioso amministrativo e dei Tribunali di commercio, limitata alla simplex jurisdictio, sine imperio, sono speciali delegazioni dell’Autorità Sovrana, sunt jurisdictionis specie. Le attribuzioni poi dei magistrati istituiti per le quistioni delle prede e dei naufragi sono specie di specie; in altri termini specialissima delegazione, che logicamente ragionando, ben si addimanderebbe, speciei species, sire individuimi.

Or nel concorso simultaneo delle giuridizioni generali e di giuridizioni speciali o specialissime, succede la legittima derogazione delle prime operata dalla prevalenza delle seconde.

Per principi logici, qualunque uomo che ragioni per concetti generici, annunzia un largo divisamento. Ma nei concetti specifici, manifesta di aver diretta la sua mente ad uno scopo obbiettivo, che particolarmente lo à determinato, nel senso di voler preferire questo allo scopo generale del suo pensiero. Quindi tutti ritengono, che la massima di giureprudenza, attissima alla retta intelligenza delle leggi, cioè che alla legge generica si deroga con la legge specifica, non è che il fruito trasportato dal campo filosofico nel campo giuridico.

E pria d’impegnarci ad ordinare, e leggi ed opinioni, piace far precedere la sentenza del maggior lume del senno latino, cioè dire, di CICERONE. Egli esamina la tesi: si leges duae, aut si plures, aut quolquot erunt, conservati non possint, quia discrepati inter se: e dopo di avere enumeralo le varie ispezioni, che debbe compiere il giureconsulto, conchiude con queste solenni frasi il suo ragionamento: deinde utra de generi omni: utra de pare quadam; ulva communiter in plures: utra in aliquam certam rem scripta videatur. NAM QUAE IN PARTEM ALIQUAM ET QUA E IN CERTAM QUAMDAM REM SCRIPTA EST, PROTIUS AD CAUSSAM ACCEDERE FI DETUR, ET AD IUDICIUM MAGIS PERTINERE ((187)).

E noi crediamo fermamente, che il giureconsulto Papiniano su di questo grande originale modellasse la legge 80, che sta tra le regole del diritto, concepita in queste parole: IN TOTO IURE GENERI PER SPECIEM DEROGATUR, ET ILLUDPOTISSÌMUM HABETUR,QUOD AD SPECIEM DIRECTUM EST. Su della quale legge, DIONIGI GOTOFREDOchiosa: ID EVENIT IN LEGIBUS ET STATUTIS, ultimis voluntatibus, in petitionibus ac sententiis, in contracfibus ET IURISDICTIONE.E SUO FIGLIO GIACOMO GOTOFREDO ((188)) ePLETRO FABHO ((189)), dopo di avere salutato PAPINIANO, tamquam magnus regularum artifex, concordano nei loro copiosi comenti in questa sentenza, cioè che la speciale disposizione si applica a preferenza, nelle leggi, negli statuti, ed in tutte le altre disposizioni dell'uomo, ed in conflitto giuridizionale ed a conforto della regola e dei loro ragionamenti arrecano un numero infinito di responsi, ai quali fonti noi rimettiamo i lettori di queste carte, dopo qualche altra riflessione sul proposito.

§. IV. Continuazione

La derogazione per la specie al genere, della quale parla PAPINIANO, significa detrarre dalla regola la forza giuridica pel caso preveduto dalla specie. PAOLO giureconsulto scrisse, che la specie derogava al genere, come la eccezione alla regola ((190)). Egli stesso disse detrarsi al genere per la specie, in grazia del caso speciale: specie, EXIMIde genere ((191)): esso insegnò pure, che iuri communi derogatur PER JUS SINGULARE ((192)); esso anche aveva detto altrove, che l’eccezione esclude la regola: exceptio est quaedam EXCLUSIO ((193)). Ond’è che il lodato GIACOMO GOTOFREDOraccogliendo i lunghi ragionari in pochi accenti, assume: legi derogari per altera dicitur, in ESTDETRAHI ALI QUID, EXCIPI, EXIMI, MINUI, QUOMODO ET EXCEPTIO REGULAE DEROGAT. Dopo dei quali insegnamenti, nissuno à dubitato, che la legge la quale specialmente dispone pel caso di cui si tratta, prevalga alla legge, che contenga la regola generale di tutta la dottrina. E questa massima è pure annunziata dal dottissimo Pothierin queste parole:lexENIM QUAE SPECIALITER DISPONIT IN CASE DE QUO AGITUR, PRAEFALET LEGI QUAE GENERALITER REGULAM CONTI NET ((194)). Ed il Pothierdesume la sua massima dalle sunnotate teoriche inalterabili e la inculca, quando si occupa dell'uffizio del giureconsulto, allorché diverse leggi sono emanate sulla stessa dottrina: de officio iurisconsulli circa species, de quibus diversae leges sunt, aut de quibus nulla lex scripta est. Se alcuno volesse ricercare il motivo legale della massima, la raccoglierebbe dallo ¡stesso PAPINIANO, il quale assegna per ragione di non essere possibile, né verosimile che la stessa mente legislativa, con due leggi diverse, abbia inteso unicamente definire lo stesso caso: non ambigitur, sono parole del suo responso, IN CAETERO OMNI IURE SPECIEM GENERI DEROGARE: NEC SANE PERISIMILE EST DE LICE UH UNUM EADEM LEGE KARIIS AESTIMATIONIBUS COERCERI ((195)).

E da ultimo, è bello l’osservare come il Sacro diritto consuoni col civile, precisamente in questa regola normale. Il Pontefice InnocenzoIII, giureconsulto di gran fama, dichiara, generaliter procul dubie, generi per speciali derogari. Il santo Pontefice fa tesoro di questa massima per applicarla precisamente alla competenza giuridizionale, e risolutamente dichiara, quod jurisdiftio per generales literas altribnta, PER SPECIALES, QUANTUM AD EA QUAE SPECIALITER EXPRIMUNTUR, PENITUS ENERPATUR, LICET DE PRIORI BUS NON FACIAT MENTIONEM ((196)).

CAPO III

Desideri di molli per l’annullazione del diritto di preda.
I. Voli di coloro, perché le prede si abolissero, e benigne leggi riempissero il posto delle rigorose legislazioni.

Noi non ignoriamo che il GRONIGIO ((197)), il MABLV ((198)), il SOLINCOFFRE ((199)), il GALIANI ((200)), il MONTESQDIEU ((201)), il PLANTANIDA((202))), il REAL((203)), il BRUNNEMANNO((204)), il MARTENS((205)), declamano contro l'atroce pratica della preda e della ripreda. Essi rilevano tutti i danni che discendono da questi fatti; notano i semi di discordia che procedono da tali pratiche, consigliano ai Principi l'abolizione di cosi dura punizione; appuntano d'immoralità cotesto spoglio fraterno; ripresentano l’idea che il Sovrano deve procurare il minor male possibile ai propri sudditi; e mille altre esortazioni simili dirigono a Coloro che reggono i destini dei popoli.

Essi però mentre cosi affettuosamente infondono nel cuore degli uomini sentimenti di clemenza e di umanità, non progettano alcun rimedio, onde cessare dalle guerre e dalle ribellioni. I filosofi consigliano le simpatie e le tendenze universali, e figurano l'uomo in uno stato normale, in cui per fatalità non si trova. E nel cosi fare, di necessità trascurano di disputare i mezzi opportuni e di ricondurre questi nello stato di una vita tranquilla e riposala. Essi, in vece di far voti perché le prede si tolgano, dovrebbero levar caldi desideri al Cielo perché non vi fossero più, né guerre, né ribellioni, né precipizi politici. Allora ben si potrebbe adagiare la filosofia sul seggio della umanità, e proclamare l’associazione della famiglia cosmopolitica nella protopatria della fratellanza comune.

Ma fino a quando le arroganze, le ambizioni, l'egoismo, l’insofferenza e la ripugnanza a qualunque legale dipendenza, saranno gli affetti favoriti degli ospiti della terra e dei membri del corpo sociale, non è posssibile che tacciano le leggi punitaci di ogni specie, adatte a relrospingere la piena rovinosa che tutto tende di abbattere e rovesciare, e ad evitare la quale non valgono i ricordi ed i ritegni di quella umanità e di quella dolcezza che di frequente s’invocano.

Nullameno checchessia di tutto questo, non appartiene ai giudici di occuparsi degl'immegliamenti politici e legislativi. Solo ad essi è riserbato di applicare le leggi scritte, aiutandosi dei presidi delle ragioni prossime e positive, e non già delle possibilità remote ed ipotetiche delle leggi esistenti.

§. II. Le leggi patrie son sempre le più giuste per le materie
che esse contengono.

FRANCESCO BACONEnel parlare delle leggi e delle diverse loro qualità e condizioni, reca un paragone convincentissimo, abbenché forse sensibile di soverchio. «Sono (egli dice) nella natura le sorgenti della giustizia, donde discendono tutte, le leggi civili, a guisa di ruscelli; ed allo stesso modo che le. acque prendono la tinta ed il sapore dei diversi terreni che attraversano, così le leggi civili variano con le regioni ed i governi delle diverse contrade, comunque provengano dalle stesse fonti ((206)).»

Questo nobile pensiero espresso metaforicamente dal sommo scrittore, fu magnificamente svolto e dichiarato dall’HUME ((207)).

Egli rende comune la diversità delle leggi, a seconda degli uomini, dei tempi e delle regioni, alle opinioni, alle tendenze ed alle simpatie degli uomini, che pensano e che operano in diversi tempi, in diversi luoghi ed in diversi governi.

Giovandoci di tali ammaestramenti, noi dobbiam dunque distinguere e separare negli scrittori, coloro che parlano da filosofi universali e da progettisti, da coloro che precisi e positivi disputano le vere ragioni, donde ebbero vita le leggi, che vanno applicate ai casi che occorrono. Or tra gli scrittori di sistemi ecumenici, qual sarà la guida per dar preferenza tra essi più agli uni, che agli altri, e credere plausibile più l'uno che l'altro sistema che essi raccomandano?

Qui sta precisamente il dubbio, e nel nostro modo di vedere l'erroneo concetto dei nostri contraddittori.

Ilrinomato AUTORE DELLO SPIRITO DELLE LEGGIdottamente insegnava che:

«Val meglio dire che il governo il più conforme alla natura è quello di cui la disposizione particolare si riferisce meglio alla disposizione del popolo pel quale esso è stabilito. Le forze particolari non si possono riunire senza che si riunissero tutte le volontà.

«La riunione di queste volontà, dice benissimo gravina, è ciò che si chiama stato civile.

«La legge, in generale, è la ragione umana in quanto che essa governa tutt’i popoli della terra; e le leggi politiche e civili di ciascuna nazione non debbono essere che i casi particolari, ai quali si applica questa ragione umana.

«ESSE DEBBONO ESSERE TALMENTE PROPRIE AL POPOLO, PEL QUALE SON FATTE CHE È UNA GRANDISSIMA MARAVIGLIA, SE QUELLE DI UNA NAZIONE POSSONO CONVENIRE AD UN’ALTRA.

«È D’UOPOCHE ESSE SI RIFERISCANO ALLA NATURA ED AL PRINCIPIO DEL GOVERNO CHE È STABILITO, O CHE SI VUOLE STABILIRE, SIA CHE ESSE LO FORMINO, COME SONO LE LEGGI POLITICHE; SIA CHE ESSE LO MANTENGANO COME SONO LE LEGGI CIVILI.

«Esse debbono essere relative al fisico del paese, al clima glaciale, ardente o temperato; alla qualità del terreno, alla sua situazione, alla sua grandezza, al genere di vita dei popoli, coltivatori, cacciatori o pastori: esse debbono riferirsi al grado di libertà che il governo può soffrire; alla religione degli abitanti, alle loro inclinazioni, alle loro ricchezze, al loro numero, al loro commercio, ai loro costumi, ed alle loro abitudini. In fine, esse ànno rapporti tra di loro; esse ne ànno con la loro origine, coll’oggetto del legislatore, coll’ordine delle cose, sulle quali esse sono stabilite. In tutti questi aspetti bisogna considerarle ((208)).

§. III. Continuazione dello stesso argomento — Diversi sistemi sui principi legislativi delle prede

Lo AZUNI ((209)), il PIANTANIDA ((210)), e molti altri scrittori sostengono, che allora vi sia la preda, quando interviene in tempo di guerra esercitata tra due Potenze belligeranti. Questa teoria non è sviluppatrice delle razionalità prossime delle leggi positive, ma si aggira nello astratto e nello ideale: è una teoria fondatrice di un diritto universale per tutti i popoli. Discorre e contempla le nazioni nello stato normale e sotto il rapporto di non potere verificarsi altra guerra, che quella che tra Potenze costituite possa aver luogo, la sola che possa creare i dritti e gli usi di guerra pubblica e solenne, e perciò la possibilità legale delle prede e delle riprede.

Ma però, né AZUNI,né PIANTANIDA,né gli altri suppongono il caso di una guerra civile, di una rivoltura di popolo, di una prolungata ed improvvisa aggressione ostile da ridurre lo esperimento del diritto di Sovranità alla suprema e dubbia fortuna delle armi. Quella teorica sarà accettevole sol quando tutte le nazioni e tutti gli uomini la riconosceranno, l'adotteranno, vi si conformeranno. Ma quando presso i diversi popoli esistono leggi diverse, diversi principi, diverse tendenze, diversi bisogni, o reali o ipotetici, le spacciate dottrine incontrano l’ostacolo, o della diversità delle opinioni politiche, o l’ostacolo nella sanzione positiva delle leggi speciali, che unicamente decidono delle controversie che si compromettono davanti ai corpi giudicanti o amministrativi.

In proposito di opinioni, noi possiamo arrecare eletto stuolo di scrittori illustri, i quali pronunziandosi pe’ principi larghi e rilassati, ammettono ne’ popoli un diritto pari a quello del Sovrano per esercitare la guerra contro di lui con tutte le condizioni e con tutti gli usi, e tra questi della legalità della preda. Questi sono principalmente, ORTOLAN ((211)), MASSÈ ((212)), WHEATON ((213)), i quali ragionando sul proposito concordemente assumono: «essere costume generale delle nazioni di considerare la guerra civile come concedente alle parti contrarie tra di lorotutt'i diritti di guerra, sia a lor riguardo, sia a riguardo delle nazioni neutrali».

La teoria di questi scrittori largamente accomunata alle guerre miste che si possono chiamare ancora, per qualche rispetto, guerre civili, dipende da un principio più alto, che si rannoda all’elemento radicale della Sovranità. Questi scrittori seguono la dottrina di coloro i quali ardirono di sostenere che la Maestà dello impero fosse meno nel Principe che nel popolo. E tutti sanno che la credenza politica, gemella della religiosa, trascendendo i confini del retto e del giusto, à invaso le menti degli uomini da tempi antichissimi, ed à tramandato il suo contagio epidemico ai secoli succedenti, e tuttavia si agita e si riproduce nei giorni che viviamo.

SOCRATEsegnalò il primo un contratto sociale, che tacitamente suppose esser ricorso nelle prime aggregazioni degli uomini. PLATONEin vero ne espose le basi ed i concetti ((214)); cosicché l’invenzione di un contratto sociale, non è del filosofo ginevrino ((215)), ma egli ne à solo sviluppato scientificamente i paradossi, insinuandoli nello spirito altrui, col prepotente incantesimo del suo stile ((216)). Lo stesso PUFFENDORFIO((217)), ed il BURLAMACHI((218)) avevano proclamato il pensiero socratico del tacito patteggiar degli uomini. E tutti riuniti àn creduto di ritrovare negli stessi teologi il fondamento dell'assurdo sistema ((219)).

Noi, con piena coscienza abboniamo da cosiffatte esorbitanze; ma quando si dovesse vagare negli spazi della opinione, in vece di versare nel campo chiuso delle leggi positive, non sapremmo perché dovessimo calcolare di maggior senno lo AZUNI,il PIANTANIDAe qualche altro scrittore, e non quelli, che abbiamo, tra i molti trascelto nel numeroso novero dei pubblicisti e che più basso riferiremo.

Le opinioni variano col variar de' governi, delle leggi e delle simpatie. Innanzi allo scoppio tremendo della rivoluzione francese del 1789, i filosofi progettavano delle riforme, che limitavano ad un termine compatibile con le prerogative del Principato. Ma quando nacquero da quei semi le piante parasite delle Sovranità costituite, che rigogliose e superbe minacciano di aduggiare tutto il divelto dell’Europa: quando il precetto divino di non desiderare la roba altrui si svolse in domma di rubamento legittimo dell'altrui secolare proprietà: quando Ronge, Proudhon, Blanc, Mazzini,e prima di essi Hovene Saintsimonproclamarono il socialismo come fondamento de' mutamenti politici: quando lo spirito di speciale nazionalità, armato e tracotante, scosse i troni e squassò gl'imperi fin dai cardini loro, divennero inefficaci i pronunziati dei filosofi umanitari. Gli uomini si mostrarono quali sono e non quali essi supposero di poter essere, ed il pregio della filosofia speculativa soggiacque necessariamente al senno pratico, regolatore supremo delle esigenze sociali.

Convien dunque meno cullarsi tra le onde di pensieri favoriti ed ipotetici, e meglio aggirarsi tra i pronunziati delle leggi positive, e tra le utili provvidenze richieste dallo stato permanente e materiale dei reggimenti civili.

§. IV. Proseguimento della stessa tesi

Noi abbiam pruove patenti che dimostrano qual segnalato distacco si traponga, tra le ipotesi filosofiche e le realtà sociali. Molte nazioni incivilite, nelle quali sembra che libertà piena si respirasse, e che eminenti garantie prevalessero, sono rette da leggi barbare, assurde e contraddittorie ai principi puri di un bene inteso immegliamento. In esempio, negli Stati Uniti di America; parte del nuovo mondo, nella quale veramente il popolo è sovrano, è pure legale la schiavitù degli uomini ((220)). In Inghilterra, dove il Montesquieuscrisse di vedere una repubblica in forma di monarchia,, ed il quale paese salutò l’indomabile Astigiano col nome di libera terra, tra le tante leggi che disonorano l’umanità, vi è la pena ne’ reati di crimenlese, trascendente la persona del reo, e mortificante i parenti e la moglie di costui, sotto lo strano titolo della corruzione del sangue ((221)): vi è pure l'atroce pena del ferro o della pietra (pénance) descritta da un autor sommo ((222)). Nella Svizzera, nella quale sembra che il radicalismo sia l’anima dei cantoni originari, è in uso la tortura ((223)). In Olanda esiste tuttavia la flagellazione ((224)).

Comunque si appresenti deforme quest’orribile antagonismo, nullameno per coloro ai quali è dato il distinguere l'estratto possibile dal concreto esistente, si persuadono dalla necessità relativa di quelle leggi, per le condizioni particolari della società per le quali sono esse emanate. I reggimenti politici, le leggi, le garantie non sono, né possono essere il prodotto di tutti i terreni e di tutti i climi; né mai si son veduti vivere due popoli contenti e riposati sotto l’impero categorico di un sol domma politico, né sotto l’influenza di un sol principio governativo; imperciocché i saggi legislatori seguono e non precedono le società. Essi le fondarono nel principio e loro diedero delle istituzioni, mqi in progresso i bisogni speciali di ciascun popolo fanno le istituzioni, ed assennano i legislatori. Cosiffatte divergenze dipendono da che la scienza delle leggi si applica ad un soggetto che più d'ogni altro è tuffato nella materia, ED E’ DIFFICILE A RIDURSI IN ASSIOMI ((225)).

Per risparmio di tempo tralasciamo di arrecare le magistrali dottrine di HUME((226)), di BURKE((227)), e di altri molti che luminosamente dimostrano l’impossibilità di regolare la società umana con le ubbie filosofiche.

Riassumendo le discussioni di questi illustri pensatori, noi diciamo che essi inculcano la distinzione tra i principi remoti, astratti ed umanitari, e le cause reali prossime e speciali delle leggi positive. Essi in somma riproducono ciò che aveva laconicamente espresso l'immenso GIAMBATTISTA VICO ((228))in queste frasi: «che i filosofi contemplano l'uomo quale dovrebb’essere, ed i giureconsulti qual’esso è, per farne buon’uso nella umana vita». Ed il pronunziato del Vico era plasmato sul giudizio del grave Polibio, il quale comparando le repubbliche di Sparta, di Roma, e di Cartagine con quella di PLATONE, diceva che se si volesse fare cotal paragone, «sarebbe lo stesso che comparare una statua in forma umana con gli uomini viventi ed animati: di qualunque bontà, della quale si supponesse esser dotata questa statua, il paragone che se ne farebbe con gli esseri animati non potrebbe sembrare che sempre difettoso e poco convenevole ((229))». Ed il paragone è magnifico e ben si adatta al caso nostro; imperciocché voler seguire i principi di un sistema universale in un tempo nel quale il giure pubblico è variato, non solo da quel che era ai tempi di Roma, ma pure da quel che GROZIOlo dettò, e lo fecondarono i suoi seguaci: volere violentare il testo della legge per genufletterlo ad omaggio di cosiffatte opinioni, imita veramente la repubblica di PLATONE,che come statua inanimata è rimasa in semplice conato tra le concezioni ideali di quello ingegno sublime.

D. ultimo, quando da chiarissimi scrittori non si è declamato contro l'ultimo supplizio: quando non si è scritto sopra questo estremo contraddetto della giustizia umana? E pure, non leggiamo ancora in alcuna legislazione creata da sano intelletto l'abolizione teoretica dell'ultimo supplizio.

§. V. Veri principi delle prede in senso generale: fondata critica delle massime universali, qualora piaccia assumerli come decisorie degli attuali lezzi imperanti sulla materia.

Innanzi tutto ricordiamo, che nei sistemi di GROZIO, e dei due COCCEIla guerra mista si prospetta nei rapporti teorici di una ragione universale, ma senza le alterazioni che à recato all'astratta dottrina dei filosofi alemanni, l'effettiva teorica dei fatti compiuti.

Quando si comenti nel vigore della imprescindibile legalità il Sovrano ed i ribelli, le conclusioni sono quelle che deduce l’avversario dagli ammaestramenti degl’indicati filosofi.

Ma quando si riflettano le condizioni di fatto, nelle quali le guerre civili travolgono il Potere legittimo; i frangenti pericolosi nei quali l'avviluppano, le dolorose perplessità nelle quali lo respingono, ognuno rimarrà convinto che lo interesse materiale è di superar la procella, in qualunque modo si possa; lo scopo unico e finale di qualunque legislazione marittima, è di porgere i mezzi propri ed efficaci a distruggere prestamente la ribellione tramutata in gagliarda guerra civile. E se la guerra giusta, la guerra civile, ed i mezzi da osteggiarla e conquiderla sono fatti, e non diritti, i primi legittimano qualunque operazione sotto l’impero della necessità, che i secondi non segnalerebbero mai con la impronta della legalità teorica. Sopra di queste nuove meditazioni de' pensatori positivi e democratici, si adagia e riposa la famosa dottrina de' fatti, i quali compiuti e consumati, invadono la sede vacillante della legittimità riprovatrice delle insurrezioni punibili contro le leggi ed il potere preesistente((230)). È assai noto l'adagio: cosa fatta capo à.

Quando il Sovrano si trova costituito nella dura vicenda, o di mantenere o di perdere la corona, mediante il dubbio evento delle battaglie, la stessa legittimità della sua causa lo facilita ad esercitare tutti i diritti, nissuno escluso od accennato, tendenti ad accorrere in tempo agli sconci ed agl'infortuni, senza occuparsi del ragionamento dei filosofi pensatori che governano il mondo dal piccolo ritrovo del loro gabinetto. Per legittimare la preda, non altro si richiede, se non che avvenga su di chi è rivestito del carattere d'inimico del regno odi pirata, che vai lo stesso.

L’una delle due caratteristiche desidera l’articolo 1.° della legge del 12 ottobre 1807.

In questa legge che più basso riferiremo per tenore, non altro si vuole che la indicata qualità per legittimare la preda o la ripreda. E tal qualità e tal carattere è D'INIMICO DEL REGNO. Vuoisi dunque riflettere in argomento di preda e di ripreda, al fatto del nemico, non al diritto a commetterlo: al possesso preso ed all’uso dei legni da lui rivolti a danno del legittimo Potere, e non al diritto di possederli: al modo com'egli se n’è impadronita, non al diritto astratto di poterne avere il dominio.

Ecco perché noi dicevamo che le ragioni prossime delle leggi in fatto di preda e di ripreda non sono quelle universali e teoretiche, proclamate dai filosofi riformatori, ma le massime speciali informatrici delle leggi positive, e le quali possiamo annoverare come principali tra esse:

1.° Ridurre, stremare e togliere le forze ed i mezzi di offese all'inimico.

2.° Rapirgli quanto, per qualunque modo, è divenuto ¡strumento di danno e di aggressione contro l'antico Stato e la legittima Sovranità.

3.° Adoperar tutti i modi,per far sì che le offese non si rinnovino.

4.° Infervorare il valore e l'ardenza delle truppe col premio e col rimerito del profitto del legno predato o ripreso.

In questi sensi incoraggiava Giulio Cesarele sue legioni ne’ campi di Farsaglia, dove pendevano incerte le sorti delle guerre civili di Roma, quando diceva loro: ite ad gloriam et praedam.

Questi per lo appunto, e non altri sono i motivi che adduce il dotto ZIEGLERO ((231))nelle memorande parole: praeda adinventa est, ut ALACRIORES FIANT CIVES ET MILITES IN JUSTO CONFLICTU,VEL IN EXCURSIONIBUS.E lo stesso VAIAN, famosocomentatore dell’ordinanza della marina di Francia del 1681, osserva opportunamente che i più benigni provvedimenti verso de' nemici predali che proponeva il GROZIOed altri, «sarebbero stati capaci di raffreddare l’ardore e non di animarlo ne’ predatori, ond’è che il nostro articolo è SOVRANAMENTE GIUSTO ((232)). Né qui le declamazioni del MONTESQUIEU, del PUFFENDORFIO,delPIANTANIDAe di altri tornano opportune, nel ricordare ai Sovrani il far men male che si può nelle guerre; salvare la vita e il patrimonio de' sudditi. Questi ricordi vanno intesi civilmente, e come si può dal Sovrano adempiere l'augusto mandato di protezione verso la propria sudditanza. In altri termini; la Sovranità renderà men gravi le condizioni dei soggiogati, abborrirà dall’inferocire; si abbandonerà a tempo proprio alla clemenza, ma non mai s’intenderà che il gran debito debba solverlo, annullando gli effetti legittimi delle leggi imperanti sulle prede marittime.

CAPO IV
Elementi sicuri di diritto.
§. I. Leggi positive imperanti nel reame delle due Sicilie

Il Decreto del 31 agosto 1807 fondatore del Consiglio delle prede marittime, dopo di aver tracciato sommariamente la procedura da serbare nei rincontri di preda, nell’articolo 7 prescrive quanto appresso:

«Terminato che sarà l’informativo, ancorché risulti da esso, che il legno sia stato predato, avendo bandiera nemica, o CHE ESSO SIA EVIDENTEMENTE TALE; attenderà il detto uffiziale di amministrazione per il corso di dieci giorni etc. etc. ((233)).»

La legge sulle prede marittime del 12 ottobre dello stesso anno contiene le seguenti disposizioni:

«Art. 1. Saranno legittimamente predati TUTT'I BASTIMENTI APPARTENENTI AI NEMICI DEL REGNO, O COMANDATI DA PIRATI, 0 DA PERSONE CHE CORRONO IL MARE SENZA SPECIALE COMMISSIONE DI ALCUNA POTENZA».

«Art. 2. SARANNO ANCORA DI BUONA PREDA, COSÌi bastimenti come il loro carico, in tutto o in parte, allorché la neutrali lità non ne sia appieno giustificata, in conformità del presente regolamento, e dei trattali».

«Art. 4. La pruova della pertinenza a potenza neutrale risulta dai passaporti, dalle polizze di carico, dalle fatture, e dalle altre carte esistenti a bordo dei bastimenti: le carte non sottoscritte non saranno di alcun momento».

«Art. 13. Un passaporto NON PUÒ SERVIREper più di un viaggio.

«Art. 14. Non si avrà nessun riguardo ai passaporti di potenze neutrali, quando IL POSSEDITORE FOSSE CADUTO IN QUALCHE CONTRAVVENZIONE, o se i passaporti esprimessero un nome di bastimento differente da quello che si trova indicato nelle altre carte di bordo».

«Art. 15. Non vi sarà neppure alcun riguardo ai passaporti accordati dalle potenze neutrali, o alleate, ai proprietarii, o ai padronidi bastimenti che sieno sudditi delle nemiche».

Nello stesso articolo 15 si ripete la distinzione per altro riguardo, tra proprietari, e PADRONIdi bastimenti.

«Art. 16. I bastimenti di fabbrica nemica, o già stati in possessodi un proprietario nemico, non potranno riguardarsi come neutrali o alleati».

«Art. 20. IN QUALSIVOGLIA OCCASIONEnon si avrà riguardo che alle sole carte trovate a bordo, e tutte quelle, che fossero prodotte dopo fatta la preda, non saranno di verun momento, e non potranno essere di alcuna utilità, né del menomo vantaggio, tanto AI PROPRIETARIdel legno preso, che a quelli delle merci».

L’articolo 37 anche distingue l'armatore DAL CAPITANO di bastimento.

L’articolo 38 rinnova la distinzione, tra armatore E CAPITANO.

Le Ordinanze generali della Real Marina del t.° di ottobre 1818, confermate con Real Decreto dello stesso giorno, mese, ed anno, dispongono:

«Art. 4. — Si ARRESTERÀil bastimento PADRONIZZATO DA SUDDITO NEMICO.

La parola ARRESTOè omonima DI PREDA, sia per le frasi usate dagli articoli 1, 2 e 3 della legge del 12 di ottobre 1807, di sopra riferita, con la»quale si unificano le Ordinanze generali, sia per l’articolo 5, e sia più per l’articolo 11, il quale dice cosi:

SE I LEGNI PREDATORInon potessero trattenere presso di loro il LEGNO ARRESTATO ECC. ECC.

«Art. 22. OGNI LEGNO DI COMMERCIO, O CORSARO PREDATO DAI NOSTRI REALI LEGNI, APPARTERRÀ INTERAMENTE AI MEDESIMI, dopo che dal magistrato competente, in virtù delle leggi in vigore, sarà stato dichiarato di buona preda.

 §. II. Sviluppamen

to delle dottrine racchiuse nelle riferite
disposizioni di legge.

I principi stabiliti dalla legge sulle prede marittime, per tre cause ammettono la bontà giuridica di queste; vale dire 1° per l’inimicizia: 2° per la pirateria: 3° per la corsa in mare esercitata da persone senza speciale commissione di alcuna Potenza ((234)).

Il precetto legislativo precisamente compiette il doppio capo della domanda introdotta dalla Intendenza generale della Real Marina, per la dichiarazione di legittima preda del piroscafo il Cagliari. Questo, nel tempo stesso, fu pirata e nemico del regno.

Ragion di metodo adunque vorrebbe che simultaneamente si disputasse della pirateria e della guerra mista, poiché il Cagliari si trova costituito nella doppia condizione di sopra espressa. Ma per non commeschiare insieme due dottrine che per indole propria richiedono opportuna, separata e non breve disputazione, sembra prudente consiglio a proposito della trattazione dei fatti piratici, stringere in breve giro ed annunziare per sommi capi i principi del diritto pubblico delle genti in argomento di guerra mista od intestina, perché i fatti del Cagliari serbano la doppia natura di pirateria e d’inimicizia, per poi diffusamente trattarne in luogo opportuno: come del pari sarà accettevole divisamentodiscettare in questa prima parte della bontà legale della definizione e dei caratteri, tanto dell'inimico che del così detto pirata.

§. III. Significazione della parola HOSTIS e dell'altra pirata

Gl'inimici (hostes), furono in antico tutti coloro che stavan fuori i confini dell’imperio romano. Con questi s’impegnava la guerra solenne: quibus publice bellum erat indictum ((235)).

Questa teoria ricongiunta all'altra di ULPIANO ((236))fece ritenere non esservi guerra, e perciò nissun’uso di rigore che essa comporta, meno nella guerra solenne dichiarata tra due Potenze costituite.

La dottrina rigorosa così stette fino al decimosesto secolo. Ma quando cominciarono a mostrarsi le contumacie dei popoli alla propria legittima Sovranità, il cui primo esempio nella storia della moderna Europa, lo porsero le Fiandre contro Re Filippo II, lo stesso UGOGROZIO,che per nascimento a quelle province insorte apparteneva, rimise dalla prima sentenza, e riconobbe la guerra mista, o intestina ((237)).

Ma nel vero non fu GROZIOche meritò l'onore del primo esempio in coteste difficili materie. Egli ebbe a precursore loitaliano ALBERICO GENTILE, il quale scrisse in tre libri del diritto della guerra ((238)). Portò giudizio più esatto del batavo pubblicista sul dritto di preda e degli usi di guerra nei rincontri di rivolture di popoli, e di aggressioni ostili; imperciocché non vi sono allora né leggi, né magistrati per decidere la gran lite, ma in vece è d’uopo di eserciti e di battaglie. Si tratta di respingere, non giù chi viene con eserciti in carattere di Potentato riconosciuto, ma chi si presenta con masse tumultuarie per impadronirsi del potere legittimo: quodque fiet, non tam ¡usti exercitusauctu, QUAM ADEPTIONE PUBLICAE CAUSAE ((239)).

In codesti frangenti sta in tutto il suo vigore la guerra mista, ossia intestina, agitata tra la Sovranità legittima ed i ribelli che si sforzano di atterrarla.

La dottrina dello stato di legittima difesa, ed il diritto di esercitare tutt'i rigori della guerra sono riconosciuti nella ostilmente aggredita Sovranità, anche che si trattasse di breve numero di aggressori e di un fatto isolato di aggressione. Cosicché gl’inimici (hostes) furono appellati tutti coloro che generalmente rivolgevano le armi contro dello Stato, abbenchè ne fossero soggetti e cittadini: qui ipsi cives et sùbditi adversus rempublicam HOSTILI A MOLIEBANTUR, Scrive il RYNKERSHOEK ((240)).

Ecco quale ampissima estensione ebbe la limitata in origine indicazione HOSTIS, che divenne, ed è di presente applicabile e propria di colui che attenta al legittimo Potere con mezzi superiori alla forza pubblica dello Stato, stabilita a reprimere i reati comuni nei diversi luoghi dei domini dipendenti dal Potere medesimo. Questi ribelli cittadini sono gl'inimici del Regno, dei quali parla la legge del 12 ottobre 1807, nello stato presente del giure pubblico di Europa.

§. IV. Continuazione

Le dottrine che diversificano il reato contro la sicurezza dello Stato, ed il quale trarrebbe seco la semplice confiscazione, dalla guerra mista, che reca di necessità il rigore della preda, sono tutte riposte nel vedere, se può occorrersi in tempo per reprimersi il reo col mezzo ordinario delle Autorità istituite a tal uopo; o meglio, essendo queste impotenti, sia necessità che si adoprino dal Governo gli stessi mezzi di copiosa ed efficace reazione che esigerebbe una guerra solenne.

In questo senso scriveva CICERONEal proposito, nec leges ullae sunt, nec judicia, nec omnino simulacrum aliquod ac vestigium civitatis ((241)).

Lo stesso CICERONEaveva pur definito quali fossero i due generi di contesa, e li contrassegnò; il primo per ragionata discussione; ed il secondo per impeto di forza bruta: sunt duo genera decertandi, alterum per disceplationem, alterum per vim ((242)); cosicché su di questo appoggio il GROZIOdefinì la guerra, contesa risoluta dalla forza: bellumesse decertationem per vim ((243)).

Il lodato BYNKERSHOEKrileva opportunamente che vi sono dei casi, nei quali si fa la guerra tra due parti dello stesso popolo, che non sono suae potestatis, poiché stanno tuttavia sottoposti alla medesima Sovranità.

Il famoso scrittore accenna ad una specie di guerra mista, che nel nostro linguaggio penale si appellerebbe GUERRA CIVILE ((244)); ma che è più ampia e superiore al concetto espresso dal nostro legislatore nella seconda parte del nostro codice; dappoiché à per ¡scopo di combattere la precennata Sovranità, e nei suoi celeri progressi, e talvolta irresistibili discorrimenti, può enormemente crescere, e può tramutarsi in guerra pubblica, e mettere in pericolo la Maestà dell’impero:

Ratio quare bello, insegna l’esimio scrittore, hodie non privato, sedpublico attribuantur haec(gli usi di guerra), videtur esse; quod cum omnes sub magistratu, et in societate civili vivant, judicio litesdirimere teneantur. IN POPULISVERO BELLUM LOCUM HABET ((245)).

Lo stesso UGOGROZIOnon niega che la guerra privata, ossia la guerra delle persone singolari, possa girarsi in guerra giusta. Ne ravvisa il caso, a suo credere, allorché per lo appunto manchi il giudice decisore delle differenze insorte:

Bellum aliquod privatum licite geri,quantumjus naturae attinet, satisapparere arbitror. Certe quin restrictamultum sii ea, quae ante judicia constituta fuerit licentia, dubitari non potest. Est tamenubi locum nunc quoque habeat, nimirum, UBI CESSAT JUDICIUM ((246)).Cita l’autore, in sostegno della sua opinione una legge romana, e reca molti esempi che crede affacenti alsuo sistema ((247)).

Laonde possiamo assumere in principio, che qualora manchi un terzo destinato dal Poter sociale a statuire sul vario contendere delle parti, sottentra la virtù delle armi, appunto perché, nel difetto di un decisore comune, si ritorna nello stato estrasociale, ossia di natura, dove le forze materiali dei tenzonanti si trovano in presenza l'una dell'altra, cosicché cessata la decertatio per disceptationem, subentra di necessità la decertatio per vim, al dire di CICERONE.

E nel qual caso sarà sempre vero che non i Tribunali ordinari, e non i magistrati comuni, ma la volubilità della fortuna e gli esiti dubbi della guerra, porteranno seco morte o salute alle parti contendenti. Perciò QUINTILIANOopportunamente notava a difesa dei Tebani: dicamus in primis, in eo quod in judicium deduci potest, nihil valere ius belli: nec armis erepta, NISI ARMIS POSSE RETINERI ((248)).

Non incresca ascoltare il magistrale insegnamento di GIACOMO CUJACIO, il quale si esprime a questo modo:

Iusta bella sunt quibus repetimus res nobis ablatas, tel debitas, tel eorum rerum nomina pignora, quae alio nomine repetere, aut repetita obtinere non possumus: quod non sii nobis cum iis, quibus bellum inferimus, communio legum.

Et justa item sunt bella; quibus injurias et peccata admissa in rem publicam, imperium, aut rem nostram vindicamus et persequimur. QUOD ALLA RATIONE PERSEQUI NON POSSUMUS, ATQUE ITA COGIMUR MANU ET VIRIBUS AGERE, QUOD NON POSSUMUS, JURE JUDICIOQUE CIVILI. NAMUBI LICET EXPERIRI JURE CIVILI, SANE NON LICET BELLO AUT DUELLO. SED UBI NON LICET JURE CIVILI ET JUDICIO, ET AEQUITAS INTERVENIET ALIQUA, SANE LICET VI ET ARMIS. Duosunt decertandi genera: unum per disceptionem forensem; alterum per vim et ferrum. DECERNIMUS FERRO QUOD IN JUDICIO DISCEPTANDO DEFERNERE NON POSSUMUS. ETVIS IN EOS INJUSTA NON EST, QUI AD JUS AEQUABILE CAPI NON POSSUNT((249)).

D. questi pronunziati trasse il lodato UGOGROZIOla legalità della guerra mista, ossia privata, o intestina, che definì come di contrapposto alla guerra pubblica: belli prima maximaque necessaria partitio haec est: aliud publicum, aliud est privatum; aliud MIXTUM.Publicum bellum est quod auctore eo geritur, qui jurisdictionem habet: privatum quod aliter: MIXTUM,QUOD UNA EX PARTE PUBLICUM, EX ALTERA PRIEATUM ((250)):cioè dire la guerra mista è quella che si compromette tra l’Autorità Suprema, ed i semplici cittadini levati in armi contro di lei.

§. V. Continuazione

Poiché abbiam promesso di accennare le norme gerarchiche del giure pubblico relativamente alla guerra intestina o mista, nel fine di non traporre molto distacco tra la presente disputazione, che c’intrattiene dintorno alla duplice qualità d’inimico e di pirata del piroscafo il Cagliari, e quella che riguarderà esclusivamente le massime regolatrici della guerra mista, diciamo che la parte ed il numero de' sudditi volti a combattere il proprio Sovrano, è stato valutato e definito secondo le condizioni dei tempi e le esigenze politiche degli Stati e delle nazioni.

I funesti ripetimenti dei tumulti civili e gli avventurosi successi delle insurrezioni dei popoli àn fatto variar sentenza ai pubblicisti; sicché non si è richiesto più che la parte insorta fosse di tanto polso da costituire essa stessa un governo diverso, ed avere come il legittimo, curia, senato, erario, esercito ordinato ed armate composte; ma è bastato l'elemento ostile in un numero non grandemente esteso, sol che tal fosse, e di tali mezzi fornito si presentasse, da fronteggiare, e forse superare lo sforzo dei magistrati e degli ordinari custodi della tranquillità pubblica.

Si è profondamente meditato, che nel fatto delle guerre civili, facilmente da umili principi, si può rapidamente ascendere a grandi e formidabili proporzioni: che nelle stesse abbiette e lorde associazioni di ladronecci o di pirateria, tutte le volte che vi s’innesta la simpatia demagogica, possono intervenire mutamenti organici, ed ordini novelli nelle forme delle congreghe di tal sorta, e può taluno da capo di un’accozzaglia armata, audace ed avventurosa, diventare condottiero di truppe regolari, e la tumultuaria gente avventiccia, aver leggi e città. Quella banda criminosa, spregiata dapprima, può prendere in seguito l’aspetto di regno ordinato.

GEFTE ((251)), ARSACE ((252)), VIRIATO((253)), ed altri non pochi offersero esempi al mondo di cosiffatte memorabili conversioni di fortuna; ond’è che il dotto e santo Vescovo d’Ippona sapientemente avvertiva: hoc malum(la rivoltura civile) si in tantum perditorum hominum excessibus crescit, ut et loca teneat, sedes costituat civitates occupet, populos subjuget, REGNI NOMEN ADSUMIT ((254)).

CAPO V

Analisi della legge del 12 di Ottobre 1807.
§. I. Caratteri distintivi dell'inimico del regno

Ritornando sul contesto della legge emanata sulle prede marittime, ad ogni uomo che la consideri con esatto ragionamento, si presenterà come idea vera e luminosa, che quella legge definisce l'inimico del regno, tanto per quel che è, che per quel che pare: in altri termini, per la realità effettiva e pei caratteri di riscontro.

È inimico chi appartiene a Governo o a Nazione che sta in guerra col nostro.

Ma è pur tale quegli che ne à le condizioni. Il precedente decreto del 30 agosto dello stesso anno lo aveva detto nettamente. Quel decreto pareggia al legno nemico, l'altro che sia EVIDENTEMENTE TALE ((255)).

Ciò che è evidente si agguaglia al reale effettivo, all'espresso letterale, per via di raziocinio e di calcolazione di congetture indotte da fatti permanenti.

EVIDENTEM voluntatem testatoris, vocat ULPIANUS, QVAE, EX ARGUMENTIS ET INTERPRETATIONIBUS VERBORUM COLLIGITUR. COSÌ GIOVANNICALVINO((256)).

Lo è questo anche un pronunziato accettato dal giure pubblico, a sentimento dell'illustre Alberico GENTILE, il quale a proposito della guerra che i romani ebbero con Mitridate, scrive opportunamente:

Nequeenimexpectare sapientes oportuisse, dum ille hostem professus se esset; ET IN FACTA ILLIUS RESPICI, QUAM IN VERBA MAGIS ((257)).

I veri nemici son quelli che operano da tali, ancorché apertamente non ne rivestano la qualità ed il carattere. La realtà vince la credenza: il fatto prevale al concetto in cotesti repentini rincontri.

Ben si prestano ed opportunamente inservono al dritto pubblico delle genti le sentenze razionali adottate dai romani giureconsulti.

È regola di sincera interpretazione che: plus valet quod IN VERITATE EST,quam quod in opinione ((258)); come del pari vincere le parole la mente di chi le à profferite: prior, atque potentior est quam vox, MENS DICENTIS ((259)).

Ed è pure un titolo del codice di GIUSTINIANO: PLUS VALERE QUOD AGITUR, quem quod simulale concipitur.

Così, nella legge del 12 di ottobre 1807 sono ritenuti di buona preda tutti i bastimenti di bandiera nemica. Ecco l’espresso ((260)). Passa la medesima legge dall'espresso alle congetture, ed alla interpretazione, e ritiene come inimico, del regno, quel bastimento che combatte sotto bandiera diversa da quella della potenza, dalla quale tiene commissione, come ancora se abbia commissione da due potenze diverse ((261)): del pari è di buona preda il bastimento, allorché la neutralità NON NE SIA APPIENO GIUSTIFICATA ((262)); come pure UN BASTIMENTO QUALUNQUEche resista al bastimento che gli dà caccia, dopo di essere stato chiamato all'obbedienza ((263)); lo stesso accade ad un bastimento di QUALSIVOGLIA NAZIONE ANCHE SE ALLEATA,quante volte qualche carta fosse stata gettata in mare, o in altro modo sorpresa, o distrutta dall'equipaggio ((264)); i bastimenti di fabbrica nemica ((265)); oGNI BASTIMENTO ESTERO,su cui trovasi imbarcato un sopraccarico, come ancora ogni bastimento, a bordo del quale siavi un numero di marinari sudditi di nazioni nemiche del regno, che ecceda la terza parte dell'equipaggio ((266)).

Tutti questi casi non sono d'mimico palese, ma d’inimico per congetture e per condizioni che possono farlo credere tale.

Gli scrittori più accreditati pareggiano il certo inimico col creduto inimico; scambiano anch'essi il reale simulato col vero apparente.

Il PIANTANIDA, nel definire la preda, dice così:

«La presa è un atto con cui sul mare ed in luogo navigabile PER ARTEO PER FORZAviene preso il bastimento o carico nemico, o RIPUTATO TALE PER DIRITTO O SOTTO PRETESTO DI GUERRA,da alcuno che trovasi a ciò abilitato dal proprio Sovrano, e tratto in potere e dominio del prenditore, con animo di tenerselo per suo in libera proprietà, dispogliandone di questa IL VERO PADRONE DELL'UNO E DELL'ALTRO((267)).

«E lo AZUNIripete essere la preda l’impossessamento di un legno nemico, o CREDUTO TALE,esercitato da un belligerante IN TEMPO DI GUERRA((268)).

Vedremo più basso i fatti di guerra consumati dal piroscafo il Cagliari, e che comunque ricoperto dalla bandiera sarda, cioè di Governo amico del nostro, pure à operato da deciso inimico del nostro Sovrano.

§. II. Strane conseguenze che seguirebbero, se mai potesse meritare ascolto il sistema degli avversari.

La spiegazione ragionevole delle parole inimico del regno adoperate dall’articolo 1 della legge del 12 ottobre 1807, col quale va del paro il pirata, o colui che ne riveste i caratteri, induce a ritener per tale quegli che, con le armi alla mano, compromette la Sovranità dello Stato, per modo che renda inutili, leggi, magistrati e forza repressiva del Governo, preposta ordinariamente per serbare illesa la pubblica tranquillità; sicché fa d’uopo per combatterlo e conquiderlo, di eserciti, di artiglierie, di armate, e di battaglie.

In questo improvviso frangente, il Potere legittimo ostilmente aggredito, trovasi costituito nello stato di legittima difesa, e nel diritto di usare contro l'aggressore di tutt'i mezzi e di tutt'i rigori della guerra.

Forse potrebbe dubitarsi di questa verità, se mai si potesse esser certi del punto, fin dove potesse venir meno e spegnersi la nemica aggressione. Ma poiché s’ignorano le sorti ed il termine delle fazioni guerriere e dei politici rivolgimenti, è divenuto pronunziato irreplicabile del moderno giure delle genti, che dal primo momento delle repentine offese bellicose, il Governo, o la nazione aggredita si ’riconosce costituita nella legale condizione di praticare tutti i mezzi e tutte le risorse, che senza dul bio potrebbe attuare, se mai per ventura fosse pienamente compiuta la ribellione, e ridotta la Sovranità legittima negli estremi e dubbi cimenti della sua salvezza.

Sotto questo punto di veduta, i più famosi pubblicisti ammettono la guerra necessaria, ed anche utile, ossia preventiva. E sotto questo medesimo aspetto il doppio presidio si ritiene anche applicabile al caso di una isolata aggressionenemica, la quale potrebbe somigliarsi al punto di partenza di quella linea, che ordinariamente percorrono le guerre civili fino al punto di termine, in cui si compie l'annullazione della legittima Sovranità dello Stato.

§. III. Continuazione

Ammesso il principio, ne segue la sua spiegazione meglio che la sua interpretazione estensiva.

Non può niegarsi la legalità della preda del piroscafo il Cagliari, meno quando non piaccia sostenere, che il Re N. S. (per poter raggiungersi un tale scopo) avesse dovuto prima permettere: che la ribellione progredisse: che le forze dei ribelli e degli esteri loro riuniti, rivestissero grandi proporzioni: che gli sconvolgimenti ingigantissero per guisa da compromettere veramente la Sovranità legittima del reame, per poi, o impossibilmente, o almanco difficilissimamente accorrervi per combatterla e per sopprimerla.

Quel diritto che si à nel processo del fatto che volge al suo compimento, si à nel principio in cui sorge. Chi avvisasse in contrario, si porrebbe in aperto contrasto con le massime proverbiali di ragione e di legge, che impongono esser preferibile di apprestare in tempo rimedi efficaci, che dopo violati i diritti e le cose, pensare di rintegrarli. Quel pr incipit s obsta, sero medicina paratur di VIRGILIO, altro non è che un pronunziato concorde di prudenza umana e civile. E vedremo quindi a poco essere regola plaudita dai pubblicisti di tutti i tempi.

Noi versiamo in argomento eccezionale e gravissimo; in esperimenti di forza bruta, talvolta decisivi per la Sovranità e per la pubblica salute.

In tali rincontri funestissimi, tace il diritto e parla il fatto; ed accade il contrario di ciò che avviene negli scontri privati. In questi il diritto legittima il fatto; in quelli l'esito del fatto soventi volte è la pruova della giustizia del diritto. Le cose vanno per rovescio ed a precipizio.

Quasi nel mezzo del secolo XVI, pel tristo ed inatteso esempio della separazione delle sette province baiare dalla Corona di Spagna, il giure delle genti mutò dall'antico; riconobbe la guerra mista, e la bontà delle prede. Or quella separazione non fu che mero fatto iniziato da umili tentativi e cresciuto a colossale importanza. Ciò vuol dire che la dottrina, in argomento d’impero della Potestà legittima e di rassegnazione delle nazioni soggette, non predomina, ma in vece è predominata dall'esperienza, vale dire dalla vita pratica dei popoli. Cosicché prima del secolo XVI, nel qual tempo era un assioma religioso, i magistrali giudicare il popolo; dei magistrali giudicare i Re, e dei Re giudicare Dio, bene stavano in osservanza i principi rigorosi della legittimità delle prede, nel solo caso di guerra pubblica e solenne.

Ma nei tempi posteriori, nei quali sembra che lo spirito indomabile del secolo incessantemente si travagli a fondare un culto superstizioso al funesto consorzio dell'ateismo e della demagogia ((269)): nei tempi più vicini, ed ancor più in quelli in cui viviamo, dopo le vertigini scandalose dell’ultimo decennio, nel cui volgere le guerre scoppiano dintorno alle reggie, i sacrileghi attentati alla preziosa vita de' Sovrani si moltiplicano, per modo che dal successo di un istante può dipendere l’esistenza di tutto un popolo e fors’ anco di molti, le regole dottrinarie debbono ammodernarsi e piegare alle esigenze della imperiosa necessità che consiglia la legittimità della preda, anche nei gravi primordi della guerra mista, senza attendere che questa si dilati, invada e predomini in tutto il reame.

Credere il contrario varrebbe favorire, non spegnere l’inimico armato contro del Potere legittimo, attaccato violentemente nella Maestà del suo impero. Liberato una volta il legno, può quello rinnovare l'esempio; può ritornare accresciuto da altri; può la certezza della impunità travolgere l’inizio non represso in maggiori oltraggi, ed i quali ben possono, per favor di fortuna, distendersi e mettere in forse l'autorità Sovrana: in somma, ammesso il principio come dicevamo di sopra, vanno ammesse le conseguenze che gradualmente si avverano.

Tutto questo lo diciamo per non disertare il campo del diritto pubblico universale, ma quanto noi sosteniamo è legge positiva nel nostro reame, come verrà luminosamente dimostrato in seguito della presente trattazione.

§. IV. Irragionevole sistema dei nostri contraddittori

Coloro che pretendessero non darsi luogo legittimamente agli usi di guerra, e di conseguente alla preda, vorrebbero stabilire un sistema prepostero al corso naturale delle cose, condannato dalla prudenza di ogni uomo e giustamente proscritto dalla ragione di ogni Governo. Un mal di mente detterebbe coteste massime paradossali, e solo ammirevoli per la loro intrinseca fallacia.

Dell'arte del demagoghi è da consultare HERTIUS, Elementa prudentiae civilis part. 2. sectio 24 § 23. pag. 490.

Poniamo per poco in pratica l'assurdo opininare degli avversari, che può dirsi la volgare politica degl'indotti e dei prevenuti, e vediamo a quali eccessive ed intollerabili conseguenze ne spingerebbe.

Il nostro amatissimo Sovrano dovrebbe tal quale restituire il piroscafo alla compagnia Rubattini. Questa, o altri potrebbe rimandarlo, ed anche moltiplicato, alle offese praticate, ma non interamente riescite per la prima volta. E se volesse fortuna che i secondi, ed i terzi e gl'infiniti insulti toccassero lo stesso evento dei primi, sempre la restituzione dei mezzi usati alle offese dovrebbe aver luogo, non ostante la gravezza ed il numero degli abortivi e ripetuti esperimenti.

Queste sarebbero le conseguenze necessarie del principio ammesso ed elogiato dai contraddittori. Adunque, non meno il nostro Sovrano, che qualunque altro dovrebbe fervidamente impetrare dai Cieli che prosperassero le ostilità nemiche fino al punto di veder quasi certa la sua politica disfazione, per quindi potere osteggiare in tutte le guise gl'ingiusti e fortunati nemici ed ottenere il placito dei dottrinari, sempre pronti alla critica; ma nel tempo stesso sempre inetti ai consigli.

L’intrinseca futilità di cotesto assunto è così sensibile da rifiutare qualunque ulteriore comento.

Nel cominciamento della guerra, e quando la nazione si trova divisa in due parti, bellamente scrive il Masse, «che si disputano il potere colle armi alla mano, la quistione diventa molto più dilicata.

«Finché dura la guerra civile, finché vi è alternativa di rovesci e di successi, finché né l’uno, né l’altro dei due casi, nei quali si personificano le opinioni contrarie, non può prevalersi di un assentimento generale, le regole che io ò esposte sono difficilmente applicabili, POICHÉ LA FORZA POTREBBE AD OGNI ISTANTE VINCERE IL DRITTO, E CHE LA FORZA ESSENDO DIVISA, IL DRITTO LO SAREBBE UGUALMENTE. SI POTREBBE DIRE CHE ALLORA NON VI É PIÙ ALCUNA REGOLA; CHE LE CIRCOSTANZE POSSONO SOLTANTO FARE DECIDERE, A SECONDA DELLA NATURA DEI FATTI, IN CHI RISIEDE LA SOVRANITÀ, 0 ALMENO IL DIRITTO DI ESERCITARLA».

«La soluzione non polrebb’essere altra, quando anche sj ammettesse una Sovranità di diritto distinta della Sovranità di fatto, il di cui carattere sarebbe indelchile. NON SI TRATTA PUNTO DI SAPERE Qual è, se io posso parlare così, IL PROPRIETARIO DELLA SOVRANITÀ, MA QUALE NE È IL POSSESSORE((270)).

In Ponza, e poi in Sapri, in Padula, in Casalnuovo e in Sanza, di fatto cessò per sette giorni d'imperare la legittima Sovranità del Re (N. S.).

La repubblica in quelle parti era proclamata dai ribelli nazionali, dagli esteri che vi si congiunsero, dall'equipaggio e dal capitano del piroscafo il Cagliari. Tutti gli orrori della demagogia predominarono. Infrante le leggi; imprigionati i magistrati; sequestrate le autorità militari; assaltata l’isola; combattute le milizie Regie; uccisi i capi; chiodati i cannoni; incendiati gli archivi; disserrate le custodie di pena; trasportati ed armati i condannati; abbassate, rotte e vilipese le immagini e gli emblemi della Sovranità. In quelle funeste vicissitudini, di lei non rimase che il nome, il desiderio e l'amore nella mente e nel cuore di quelle popolazioni. E la guerra insulare fu pure trasportata in terra ferma.

Le masse ribelle ordinate in squadre, con condottieri, insegne, uniformi e regole militari, rinnovellarono con più tristi modi e formidabile apparato, le enormità di Ponza: ben due volte fu pugnato con pertinacia e valore. Nel fatto, tuttoché per breve tempo, una parte del regno fu in potestà dei ribelli.

E di così enorme scompigliume non altri ne fu il mezzo efficace che il Cagliari!

Senza di questo, né la guerra civile avrebbe infierito, né i relegati sarebber fuggiti, né la Sovranità derisa, oltraggiata e vinta per istanti. Non il buono, ma l'ottimo diritto alla preda del Cagliari è proclamato dalle leggi, dalla ragione, e più ancora dalla coscienza, che non tace mai nel petto degli uomini.

§. V. La legge sulle prede marittime mira al fatto e non al diritto: indica il possesso e non già il dominio del legno

Ed è ridevole poi udire, che la preda del Cagliari non debba dichiararsi legittima, perché quel legno è di dominio della compagnia Rubatimi, e non già di coloro che nemichevolmente aggredirono il Regno.

Noi abbiamo di già dimostrato la inutilità di questa disputa, stando in presenza le leggi di commercio, che decidono il caso a danno del proprietario del legno per modo di regola, e senza eccezione alcuna. Ma piace di dimostrar lo stesso, anche in virtù della legge sulle prede marittime:

1,° Per dettami di ragione e per pronunziati di dritto pubblico, la guerra è un fatto, spesso scompagnato dall'autorità del dritto. Se è civile ed intestina, è senza dubbio eslegge, e come cominciò dal fatto, nel fatto vive, cresce, consiste o si spegne. Da questi lemmi deriva, che il verbo «appartenere»usato dall'articolo primo della Legge del 12 ottobre 1807, non significa proprietà civile, ma possesso materiale del legno nell’inimico del Regno.

Il fatto del possesso del bastimento è coordinato mirabilmente al fatto e non al dritto generatore della guerra mista, o dell'insulto piratico. Se si richiedesse l'elemento del dominio civile, si dovrebbe per necessità ammettere che non solo nei reati, ma nell’ordine supremo della ribellione alla legittima Autorità, si mostrasse la proprietà del bastimento, adoperato come mezzo esclusivo ad effettuare la guerra col presidio di una causa civile ammessa e riconosciuta dalle leggi comuni; cosicché si dovrebbero trovare uomini tocchi da follia cotanto suprema ed insolita da stipulare tranquillamente di dovere aggredirsi una Potenza, o una nazione: ipotesi impossibile a succedere ed a supporsi.

Si dovrebbe conchiudere, che la preda potesse verificarsi nel solo caso in cui l’inimico del regno col proprio bastimento, apportasse la guerra nel regno altrui: questa ipotesi è anche più impossibile ed inconcepibile della precedente.

Presso i giureconsulti, il verbo «appartenere à un valore giuridico e significa il fatto ed il diritto: il possesso ed il dominio.

Udiamo POMPONIO, il quale scrive a questo modo:

Verbum illud pertinere LATISSIME PATET; nam et eis rebus petendis aptum est, quae dominii nostri sint, et eis quae iure aliquo POSSIDEAMUS, QUAMVIS NON SINT NOSTRI DOMINIIi pertinere ad nos etiam ea dicimus, quae IN NULLA EORUM CAUSA SINT, sed esse possint ((271)).

Laonde il BRISSONed il CALVINOspiegano: pertinere aliquid par esse aliquid in NOSTRA POSSESSIONE ((272)). E la voce POSSESSIO anche largamente si usurpa, da che può essere anche meramente di nuda detenzione, ossia naturale possesso, indipendente dalla proprietà; possessio appellata est a pedibus, ut et LABEOait, quasi positio, quia naturaliter tenetur ab eo qui ei insistit; NIHIL COMMUNE HABETproprietaseumPOSSESSIONE ((273)).

La stessa legge del 12 ottobre 1807, emanata sulle prede marittime consuona con le leggi precedenti e presta valido appoggio al nostro assunto.

L'articolo 14 di quella legge, a proposito dei passaporti che debbono ritrovarsi a bordo del legno predato, e che per l’altro articolo 4 della stessa legge pruovano l'APPARTENENZAdel medesimo, parla del POSSEDITORE, che sia caduto in contravvenzione.

Lo stesso ripete nel succedente articolo 16, nel quale discorre del possessodei legni di fabbrica nemica. Dunque la legge delle prede, come le leggi civili fanno in molti luoghi, scambiano come equivalenti il POSSESSOREcol PROPRIETARIO; il materiale possessocol diritto di POSSEDERE, comunque il primo fonda la sua appartenenza sopra un fatto, ed il secondo sopra un diritto, ammesso e riconosciuto come causa civile di proprietà legittima.

Né sfugga una seconda avvertenza, non meno importante della prima, quella cioè che la medesima legge del 12 ottobre 1807, negli articoli 16, 37 e seguenti scambia del pari il proprietario col padrone del legno. Ciò non lascia dubitare che nell’intendimento di quella legge sono promiscue, e diremo identicamente equivalenti le due idee, di proprietà e di possesso di un bastimento.

Al tempo in cui fu pubblicata la legge sulle prede marittime appo noi, non ancora esisteva il codice di commercio, comparso dappoi, e trapiantato nelle leggi di eccezione per gli affari di commercio. Nel primo e nelle seconde si sono fissati i diritti e le obbligazioni del proprietario e del capitano, ossia padrone o maestro del legno, relativamente al viaggio marittimo, e per tutti gli accidenti, rischi e sinistri che il legno può incontrare, e tra i quali principalmente si novera il caso della preda ((274)).

Le leggi di eccezione per gli affari di commercio, per la simiglianza della materia che trattano, sono l'appendice complementaria della legge del 12 ottobre 1807, e delle Ordinanze generali della Real Marina del 1.° ottobre 1818.

E queste Ordinanze rifermano sempre più l’equipollenza tra dominio e possesso, tra proprietario e capitano, mentre nell'articolo 4.° dichiarano di buona preda il bastimento PADRONIZZATO(non dal proprietario) ma da suddito nemico.

Ciò maggiormente procede a proposito di scontri guerrieri, nel cimento dei quali, diceva CAIO MARIO,non trovar fede il diritto civile: inter armorum strepilus NON ESSE LOCUM IURI CIBILI ((275)).

Ma (messa a parte la sicura dottrina) esaminiamo il dubbio nei rapporti voluti dagli avversari, sempre le cose ritornano sullo stesso livello. Un dilemma atterra l'effimero ragionare del convenuto. O è stato consensiente il capitano Sitzia e l’equipaggio; o àn patito la forza maggiore. Nel primo caso il capitano e l’equipaggio sono nemici del Regno: nel secondo caso il possesso di fatto del legno è stato preso dai ribelli, ed anche di questo legno ne sara sempre legittima la preda, salvo al Rubattini o a chi per lui, il regresso per la indennità contro di costoro.

La conchiusione del secondo caso ipotetico raffigurato, si fonda pure sulla solida base della patria giureprudenza marittima.

§. VI. Caso discusso e deciso in occasione più grave della presente

Sul fine delle rivolture sicule, la Real fregata a vapore, il Roberto, predò, come si è narrato, nel porto di Milazzo il piroscafo denominato il Vesuvio.

Ne era proprietaria la compagnia di navigazione a vapore istituita nel nostro regno, diretta dal signor Augusto Viollier. Il caso, dicevamo, era più forte del presente, da che si trattava di ripreda, e non di semplice preda.

La proprietaria sosteneva, che i ribelli siciliani si erano impadroniti a viva forza di quel piroscafo sul primo impeto della rivoluzione, mentre stava nel porto di Palermo per viaggi commerciali. Il fatto della forza maggiore (a differenza del Cagliari, pel quale è pruovato di non essere mai esistita) non si mostrava, ma tuttavolta rimaneva in dubbio.

La Commissione di prima istanza delle prede e naufragi sedente in Napoli, si pronunziò per la illegittimità della preda, con deliberazione del 15 marzo 1849. Il Consiglio delle prede però, rivocò la deliberazione, con decisione del 12 giugno 1849.

La Consulta generale, si scisse in pareri.

Ma S. M. il Re (N. S.) nel Consiglio ordinario di Stato del 10 gennaio 1850, approvò l’avviso del Consiglio delle prede marittime, e per innata sua clemenza concesse un’equa conciliazione sulle conseguenze della dichiarata legittimità della preda: da ultimo, fece salve le ragioni alla proprietaria del piroscafo da sperimentarle contro i ribelli.

Il Reale rescritto è così concepito:

«Ho rassegnato a S. M. (D. G.) ((276)) la sentenza della Commissione di prima istanza, l’avviso in secondo esame pronunziato dal Consiglio delle prede, non che gli avvisi emessi successivamente dal Consiglio di Stato, e dal Consiglio dei Ministri sulla quistione relativa al piroscafo il Vesuvio,preso ai rivoltosi siciliani nel porto di Milazzo dalla Real fregata a vapore il Roberto, e reclamato dalla compagnia di navigazione a vapore napolitana.

«E SUA MAESTÀ NEL CONSIGLIO ORDINARIO DI STATO DEL10 ANDANTE SI È DEGNATA APPROVARE L’AVVISO DEL CONSIGLIO DELLE PREDE MARITTIME EMESSO NEL DI 12 GIUGNO 1849, IN QUANTO ALLA DICHIARAZIONE DI BUONA PREDA DEL PIROSCAFO IL VESUVIO, ma vuole che in quanto alle conseguenze di una tale dichiarazione, il Procuratore Generale presso la Gran Corte civile in N apoli D. Ferdinando Paragalla tratti ira le parti un’equa conciliazione.

«SALVO ALLA COMPAGNIA DI ESSERE RIVALUTA AI TERMINI DI LEGGE, SE NE ABBIA RAGIONE, DAI RIVOLTOSI DI SICILIA DEI DANNI CAGIONATILE((277))».

Dopo di tutto questo, non rimane luogo ad ulteriore disputazione.

Se dunque si offrisse alla Commissione delle prede la pruova legale ed irreplicabile della forza maggiore patita da Sitzia e dal suo equipaggio, sì che rimanesse convinta della innocenza dell’uno e dell'altro, non potrebbe mai ordinare la restituzione del legno al di lui proprietario signor Rubattini; ma in vece dovrebbe nello stesso tempo dichiarare legittima la preda del Cagliari, e concedere a colui la rivalsa contro gli autori della violenza esercitata.

§. VII. Passaggio alla qualità di pirata. Esame degli alti e dei fatti che tale definiscono il Cagliari

La medesima legge del 12 ottobre 1807 dichiara di buona preda i bastimenti, «comandati da pirati, o da persone che corrono il mare senza speciale commessione di alcuna Potenza»: e ciò perché agguaglia il pirata all'inimico del regno. Il precetto è giustissimo, mentre il pirata è nemico nato di tutto l'uman genere e quindi di tutte le nazioni. Egli non à, né Re, né patria: è denazionalizzato.

CICERONEdice di lui bellamente a questo modo:

«Pirata non est perduellium numero defìnitus, SED COMMUNIS HOSTIS OMNIUM ((278)).

FRANCESCO BACONEne ripete la definizione:

«Piratae communes HUMANI GENERIS HOSTES SUNT, quossidcirco omnibus nationibus persequi incumbit ((279)).

Ed Ugo GROZIO,procedendo sulle stesse dottrine, proclama la sentenza di elogio a quei popoli che si dedicano a distruggerli:

«Unde», egli ne ammaestra, «laudandus est mos eorum populorum, apud quos navigatori instruuntur mandatis a publica potestate ad persequendos piratas, si quos in mare reperirent: ut data occasione uti possint, non quasi ausu suopte, sed ut publicae jussi ((280)).

Ed è bello vedere, a proposito di gente così turpe e perversa, come l'umanità abbia dapprima, in progresso ed in ultimo riguardato il mestiere piratico.

§. VIII. Varie opinioni intorno ai pirati fin dalla più remota antichità

Nei tempi molto da noi lontani, non esistevano che dei pirati: gli si faceva guerra, ma il loro mestiere non aveva nulla di vergognoso. Un tal mestiere sembrava anche molto legittimo, sotto l’impero di un dritto pubblico, che collocava la guerra nel novero dei mezzi naturali per arricchire ((281)). E quando si riguardava il furto e lo spoglio come cosa permessa, allorché si commetteva a danno degli stranieri, di fermo cessava l’infamia delle azioni criminose.

CESAREattesta: latrocinio, nullarn habent infamiam, quae extra fines cujusque civitatis fiunt ((282)).

Lo afferma TACITOdei Venedi ((283)), dei Catti ((284)) e dei Garamanti ((285)).

Alcuni popoli non avevano altra abitudine: era la pirateria il mestiere dei Lusitani ((286)) e degli Spagnuoli ((287)).

STRABONE((288)) E SASSOgramático ((289))rammentano popoli interi, i quali non vivevano altramente che di bottino; e Plutarco narra, che anticamente gli abitatori dell'isola di SCIROeran contenti all'esercizio della pirateria, e che la spingevano fino all’abbominevole mezzo di spogliare anche i forestieri che si recavano a commerciare con essi ((290)). Cotale esercizio divenne favorito dei Corinzi e dei Cartaginesi, dopo che le loro città, essendo state distrutte dai romani, e difettando di ritrovi, rifuggirono sul mare.

§. IX. Continuazione. Nimicizia loro dichiarata dai popoli civili

Raggruppati i pirati sulle coste della Cilicia facevano tremare Roma, che fu più volte obbligata di far loro una guerra regolare.

CAJO CESARE, nella sua gioventù, fu preda dei pirati ((291)). AUGUSTOebbe gran fama per avere purgato il mare dai predoni. I Rodi fecero una guerra sistematica ai pirati per assicurare la libera navigazione alla Grecia ((292)). Il gran POMPEOpugnò e trionfò dei pirati nella guerra piratica e nella illirica della stessa natura ((293)).

<577675_3322419160"> §. X. Definizione tecnica del pirata

Anche il pirata, come l'inimico del Regno à in sé il reale effettivo e l'induttivo razionale: o è tale veramente, o può tale reputarsi pei fatti caratteristici che egli consuma. In breve; come l'inimico è quegli che à bandiera di Potenza nemica, o che sia evidentemente tale, così il pirata o è tale per non avere apparentemente alcun segno esterno che lo manifesti palesemente, o tal diviene, anche che sia ricoperto di amica bandiera, per gli atti di pirateria che si permette di praticare.

È confidato ai giudici della preda il carico di discutere, ponderare e definire, se le operazioni ed i fatti compiuti da un bastimento, rientrano o pur no nel vero materiale, o nell'evidente che s’induce dai fatti; e con argomento analogico, se il legno di bandiera amica apparente, sia stato realmente pirata ed inimico del regno.

La scuola definisce, nel senso stretto, il pirata con queste parole, per bocca di GIUSEPPE CASAREGIS.

Nam proprie PIRATAesse dicilur, qui sine patentibus alicuis Principis, ex propria tantum ac privata auctoritate per mare discurrit depraedandi causa ((294)), ANSALDO ((295)), SANTERNA ((296)), STRACCA ((297)), AZUNI ((298)), MARTENS ((299)), HUBNER ((300)), ed altri scrittori moderni consentono col CASAREGIS.

Il lodato SANTERNA((301)) ed il LOCCENIO((302)) fanno la distinzione tra i depredatori in mare ed in terra, ed i primi addimandano pirati, e ladroni i secondi: inter piraiam et latronem nulla alla est differentia, nisi quia pirata depraedator est in mari.

Non isfuggì però all'acuto RYNKERSOHEK, che se il pirata stà in mare sempre deve considerarsi tale anche quando depredi sulla terra: qui autem, egli scrive, nullius Principis auctoritate, sive mari, si TERRA RAPIUNT,piratarum praedonumque vocabulo intelliguntur ((303)).

§. XI. È pirata ugualmente chi commette atti di pirateria

Lo stesso CASAREGISsi occupa dei pirati nel senso largo, e parla di coloro che con regolari patenti di una Sovranità riconosciuta si permettono depredazioni ed eccessi. Egli ragiona a questo modo:

Et licet ex usu ob quamdam similitudinis spederà sub piratarum appellatione, improprie tamen, receptum fuerit alios quoque cum legitimis potentibus et vexillis alicujus Principis mare infestantes comprehendi, praedasque, vel alla damna per eos illata esse, DE SINISTRIS SUB PIRATARUM NOMINE CONTENTIS ((304)). IlTARGA decisivamente riconosce i pirati detti impropri, dagli alti e dai fatti iniqui che essi esercitano a nocumento altrui ((305)).

Senza recare più sussidi di scrittori diciamo, che sul bastimento effettivamente pirata, o evidentemente tale à luogo la legittima preda, per virtù del lesto espresso dell'articolo 1.° della legge più volte citata sulle prede marittime del 12 di ottobre 1807.

§. XII. Caratteri propri della qualità piratica del legno

Il lodato CASAREGISè il primo che ne fa l'assimilazione agli infedeli, e conviene che se costoro avesser predato una nave, che fosse loro ritolta, i ripredatori non sarebbero tenuti alla restistuzione verso i proprietari, nel fine di rendere più vogliosi i cristiani alla persecuzione di quella specie di gente simiglievole ai pirati:

Secus si navis fuit recuperata A PIRATIS, PEL INFIDELIBUS, ut in casa nostro, quia tunc prò indubitato non tenentur recuperantes navem restituere ob bonum publicum, ita ut christiani alacriores sunt ad perseguendos PIRATAS, SEU INFIDELES ((306)). Il nostro DE LUCAnelle addizioni alla decisione 268 del presidente VINCENZO DE FRANCHIStiene dalla stessa opinione ((307)).

E bene stanno le assimilazioni; dappoiché come ragionevolmente il nemico s’infinge amico per meglio riescire nei suoi condannevoli progetti, parimente il pirata si maschera delle apparenze oneste, per abbandonarsi a colpo sicuro alle enormità ed agli eccessi che si à prefisso in animo di recare in atto.

La menzogna e l'inganno stanno nel nome.

La parola pirata viene da Pipo, che presso gli Ateniesi significa inganno, donde i greci chiamavano piraticoloro che rubavano sul mare con furberia.

Sono pari al pirata i venturieri che costeggiano e rubano sulle coste delle Antille nell'America.

Vien chiamato per similitudine filibustiere qualunque capitano di nave, IL QUALE TRASCENDA A SOPRUSI E PREPOTENZE.

I pirati portano talvolta ed inalberano la bandiera di tutte le nazioni per ingannarei bastimenti, dei quali vogliono impadronirsi ((308)).

Ed è notevole che il mentovato articolo 1.° della precennata legge dichiara di buona preda i bastimenti anche corsari, quante volle non anno speciale commissione di alcuna Potenza. Lo stesso statuiva l'articolo 4.° dell'Ordinanza della Marina di Francia del 1681, illustrata da Valin, nel quale articolo si parla ancora della buona preda su i bastimenti comandati dai ladri di mare (forbaus) distinti affatto dagl'inimici del regno e dagli stessi pirati. Laonde dal precennato articolo 1.° della legge sulle prede marittime sono agguagliati agl inimici del regno i pirati ed i corsari irregolari.

E questa uguaglianza è riconosciuta da distinti scrittori, come dal SAVERIEN ((309)), dalMABLY((310)), dal nostro GALIANI ((311)), e dal MASSÉ, il quale osserva che in fondo il corsaro ed il pirata è la stessa cosa: i corsari differiscono dai pirati, opportunamente nota, in quanto che i primi sono commissionati ed autorizzati dai loro Sovrani a correre il mare in tempo di guerra, mentre che i pirati corrono il mare in ogni tempo senza commissione di alcun Sovrano. Ma queste differenze toccano la forma, più che il fondo, poiché in definitivo i corsari, come i pirati non ànno altro scopo che di attaccare i particolari inoffensivi ((312)).

§. XIII. Continuazione

Il famoso TEODORO ORTOLANsapientemente osserva:

Ma bisogna fare una distinzione tra la pirateria conforme al dritto delle genti, e quella conforme al dritto particolare di uno Stato. Così le leggi particolari dell'Inghilterra e degli Stati uniti di America assimilano ai piratigl’individui che si abbandonano alla tratta dei negri. È lo stesso in Prussia, in Austria ed in Russia. dopo il trattato del mese di dicembre 1841, concluso da queste tre Potenze coll’Inghilterra per l'abolizione della tratta ((313)).

L’ultima legge emanata in Francia sulla sicurtà e navigazione del commercio marittimo fa molte assimilazioni ai pirati, che è buono tener presente.

Art. 1. «Saranno perseguitati e giudicati come pirati: 1.° qualunque individuo che faccia parte dell'equipaggio di una nave, o bastimento qualunque, armato e navigante senza essere, o essere stato munito pel viaggio, DEL PASSAPORTO, ruolo di equipaggio, commissione o ALTRI ATTIche pruovano la legittimità della spedizione. 2.° Qualunque comandante di una nave o bastimento armato e portatore di commissioni a lui fatte da due o più Potenze o Stati diversi.

Art. 2. «Saranno perseguitati e giudicati come pirati: 1.° Qualunque individuo che faccia parte dell'equipaggio di una nave o bastimento francese, il quale commettesse a mano armata, atti, depredazioni o violenze sia contro navi francesi, o navi di una Potenza colla quale la Francia non è in ¡stato di guerra, sia contro l'equipaggio o il carico di queste navi. 2.° Qualunque individuo, che faccia parte di una nave o bastimento straniero, il quale, FUORI DELLO STATO DI GUERRA,e senza essere provveduto di lettere, di marca, o di commissioni regolari, commettesse i detti atti contro le navi francesi, i loro equipaggi o carichi. 3.° Il capitano o gli uffiziali di qualunque nave o bastimento che avesse commesso degli atti di ostilità sotto una bandiera diversa da quella dello Stato, dal quale à avuto commissione.

Art. 3. «Saranno egualmente perseguitati e giudicati come pirati: 1.° Qualunque francese o naturalizzato francese, il quale, senza l'autorizzazione del Re, prendesse commissione da una Potenza straniera per comandare una nave o bastimento armato in corso: 2.° Qualunque francese, o naturalizzato francese, il quale avendo ottenuto, anche coll'autorizzazione del Re, commessione da una Potenza straniera per comandare una nave ó bastimento armato, commettesse degli atti di ostilità contro le navi francesi, il loro equipaggio, o carico.,

Art. 4. «Saranno ancora perseguitati e giudicati come pirati: 1,° Qualunque individuo che faccia parte dell'equipaggio di una nave o bastimento francese, che per frode o violi lenza contro del capitano, o del comandante s’impossessasse del detto bastimento: 2.°QUALUNQUEINDIVIDUO CHE FACCIA PARTE DELL'EQUIPAGGIO DI UNA NAVEO BASTIMENTO, IL QUALE LO CONSEGNI AI PIRATI O ALL’INIMICO ((314)).

CAPO VI

§. I. Applicazione delle riferite leggi alla causa che ne occupa

Dopo di avere osservato le tante simiglianze all’inimico ed al pirata, i quali sono considerati amendue passibili di legittima preda, relativamente ai bastimenti da essi adoperati per gli atti di ostilità e di piraterìa, non può più dubitarsi della legittimità della preda del piroscafo il Cagliari, il quale è vero nemico e pirata, siccome quindi a poco verrà copiosamente dimostrato.

Ed anche in tesi astratta e per norma generale, non può dubitarsi che tutti i rigori di guerra si userebbero contro di colui che si trovasse nelle condizioni, nelle quali il Cagliari attualmente si trova costituito.

Né a noi è interdetto di applicare al Cagliari i caratteri costitutivi della pirateria, ricavandone gli argomenti similitudinari dalle leggi straniere. Se desse non imperano nel nostro reame, ne impera dovunque la ragione e la bontà legislativa dei principi da esse annunziati.

CICERONEsapientemente osserva:

Neque est conira naturam SPOLIARE EUM, si possis, quem honestum est necare ((315)).

Il BYNKERSHOEK, pensa allo stesso modo ((316)).

Il GROZIO,precisamente a proposito della restituzione del bastimento da farsi ai legittimi proprietari preso già dai pirati, tiene per l'affermativa. Ma per l'estrema severità contro di costoro, o di chi in essi si trasforma per fatti di pirateria, nega la restituzione, e ne rende la ragione per dovere i Principi accendere sempreppiù nell’animo dei sudditi, e più assai ancora dei militari, l'ardente brama di spegnere fino al seme codesta genia infesta alla pubblica e privata tranquillità:

Potest tamen lege civili aliud constitui, scrive il grande uomo: siculi lege hispanica naves a piratis captae eorumfiunt, qui eas eripiunt piratis: neque enim iniquum est, ut privata res publicae utilitati cedat, PRAESERTIM IN TANTA RECUPERANDI DIFFICULTATE ((317)).

Il CASAREGIS, come abbiamo di sopra appreso, tiene lo stesso avviso ((318)).

Tutti gli scrittori dallo AZUNIfin oggi, insegnano di non avere il pirata alcuna nazionalità, e perciò essere incapace di acquisto, e soggette le cose da essi prese, non già alla restituzione, ma all'attribuzione in favore dei predatori ((319)).

E lo stesso AZUNI,a proposito della legittimità delle prede, che riconosce contro l'inimico, o tale riputato, estende la dottrina non solo al pirata, ma anche a coloro che a danno di un governo, o di una nazione esercitino un commercio nocente, o di contrabbando.

L’autorità dell’insigne scrittore, molto si avvicina alla causa nostra; sicché torna utile ascoltarne le parole:

«Distinguesila preda in giusta ed ingiusta: la prima dicesi quella che è fatta da inimico dichiarato secondo le leggi della guerra; quale giustizia non si riconosce soltanto dall’aperta dichiarazione di guerra, e dai dritti stabiliti dal gius delle genti, ma benanche dacché la nave o le merci caricatevi provengono da un porto, e sieno destinate ad un altro, o assediato, o a cui sia legittimamente proibito l'accesso anche ai neutrali; OPPURE ALLORQUANDO ESERCITA UN COMMERCIO PROIBITO, E DI CONTRABBANDO, DANDO QUESTA CONTRAVVENZIONE DIRITTO DI DEPREDARE, E CONFISCARE TANTO LE MERCI, CHE LE NAVI DI COLORO CHE LA COMMETTONO ((320))».

Sono concordi su questo punto, il GROZIO ((321)), l’EINECCIO ((322)), SELDENO ((323)), VATTEL ((324)), GALIANI ((325)), edHUBNER ((326)).

E veramente il Cagliari faceva commercio di generi di contrabbando e praticava tutte le maniere sospette ed ostili a danno del nostro Governo ((327)).

E fu veramente tratto di memoranda Clemenza dell’Augusto Carlo III, il quale ordinò la restituzione al proprietario di un bastimento predato da un pirata di Barberìa, e ripreso poscia dai legni napolitani ((328)). La decisione dunque dell'immortale Sovrano non fu che l’espressione della bontà del suo animo, del tutto eccezionale a fronte della dottrina comune invalsa e praticata fino a quei tempi. Fu mosso Re Carlo, forse dal considerare di non potersi ritenere guerra pubblica o mista, e perciò preda o ripreda contro coloro che non anno, né patria, né governo, né nazione, quali sono i pirati.

Ma quella stessa decisione, non tornerebbe applicabile al caso in cui si trattasse, non già della ripreda, ma della preda diretta fatta dai legni da guerra sul bastimento, che nel tempo stesso riveste il doppio carattere di pirata e di nemico. E neppure Re Carlo avrebbe così deciso, se mai si fosse trattato anche del caso della ripreda, se questa si fosse verificata in rincontro di guerra mista, che vai quanto guerra pubblica e solenne.

Ma la fluttuazione delle opinioni, frutto necessario della polemica scolastica, tutto che questa sia pronunziata pel nostro assunto, è cessata all'apparire di leggi certe, per le quali è sancito testualmente essere di buona preda il legno «dell'inimico del regno, del pirata e del corsaro, senza regolari patenti»: positiva disposizione che rimuove qualunque altra esitanza sulla tesi che sosteniamo.

§. II. Qual è lo stato in cui si trova il governo o la nazione
a fronte dell’aggressore nemico o pirata

L’incomparabile CICERONEdefinisce la massima che prevale in cotesta situazione reciproca dell'aggressore e dell'aggredito. Essa è la suprema legge della difesa, esercibile in tutt'i modi:

Omnis est honesta ratio expediendae salutis: hoc ratio doctis, necessitas barbaris, mos gentibus, feris natura praescripsit. Et haec non scripta sed nata lex ((329)).

D. questa massima normale divulgata per le bocche di tutti gli scrittori e degli uomini, ne profittò il dotto e più volte lodato Alberico GENTILE,il quale disserta in questo modo al proposito:

«Justa est defensio et caedes; etsi fugere occidens possit absque periculo: et ita se servare, et sive occisor iste, qui se defendit, ejus sit conditionis, cui sit et dedecus fugere, sive dedecus non sit. Quae receptae sententiae in causis sunt privatorum; ET MIHI IN PUBLICIS MULTO MAGIS PROBANTUR. Defensio etiam brutis jus est naturae, non opinione nobis, sed innata quadam vi persuasum et constitutum. Et necessarium jus est, nam quid est, quod contra vim fieri sine vi possit? Hoc super omnia jura est probatissimum. Vim vi repellere omnes leges, et omnia jura permittunt. LEX UNA ETPERPETUA, SALUTEM OMNI RATIONE DEFENDERE.

Res etiam ut nostras defendamus, NECESSARIA DEFENSIO HAEC EST, ET JUSTA HAEC CAUSA, ETIAM SI BELLO PETITI, BELLUM PROMERITI NOS ESSEMUS((330)).

Lo stesso esimio pubblicista passa a discutere una seconda tesi, che pare più ardua, ma che in fondo è giusta quanto l'altra. Egli discende dalla necessaria all'utile difesa, vale dire alla guerra preventiva, per spegnere sull'inizio una guerra, che cresciuta in vigore, comprometterebbe lo Stato.

«Utilem dico defensio nem», prosegue il GENTILE, «quum movemus nos bellum, verentes, ne ipsi bello petamur. Non celerius quisquam opprimitur, quam qui nihil timet: et frequentissimum est initium calamitatis, securitas. Hoc primum. Deinde expectare non debemus praesentem vim, si futurae occurrimus tutius. Neque omitto tamen, quae proverbiorum quasi locum tenent: adeoque multum probant quod significant: venienti occurrite morbo: principiis obsta, sero medicina paratur: neglecta solent incendia sumere vìres: melius est intacta jura servare, quam post vulneratum causata remedium adhibere: melius est occurrere in tempore, quam post exitum vindicare. Praevenire licei. Parantem offendere, offendo licite: et id genus reliqua. Nemo exponere se periculo: NEMO EXPECTARE DEBET SE PERCUTI, NISI SIT FATUUS. OBVIAMOFFENSIONI EUNDUM, NON MODO QUAE EST IN ACTU, SED EI QUOQUE QUAE EST IN POTENTIA AD ACTUM ((331)).

II VATTELin quanto alla guerra preventiva si uniforma al GENTILE: «noi deduciamo ancora, egli dice, dallo stesso principio lo scopo, ossia il fine legittimo di qualunque guerra, quale è di vendicare, o DI PREVENIRE L’INGIURIA ((332)).

Rivolgendoci alla causa che ne occupa, abbiamo fiducia di potere asseverare, con argomento dal meno al più, di essere legittima preda la cattura del Cagliari.

Qui non disputiamo per sapere, se per fondato sospetto fosse stata legalmente abilitata la Sovranità del regno delle due Sicilie di prorompere ostilmente sul piroscafo precennato, ma in vece siamo intesi a conoscere, se dopo le ben gravi e continuate aggressioni ostili, consumate dal medesimo battello contro la nostra Sovranità, sia questa nel legittimo diritto di esercitare gli alti di bellica difesa, ed in tutt'i modi (omni ralione) usare i rigori della gnerra, non già per ovviare alle offese possibili; ma per vietare la ripetizione delle offese già esistenti, che più fecondate e più felici altra volta, potrebbero sospingere la Sovranità medesima all'ultima sua rovina.

Nissuno potrà niegare cotesto diritto, NISI FATUUS SIT, griderebbe ALBERICO GENTILE.

§. III. Teoria del giure moderno delle genti. Classico esempio avvenuto in Francia, l'anno 1852

Quella nazione, quanto dotta e generosa, tanto forte e guerriera, à offerto al mondo un memorando esempio di giusta e severa dottrina in un caso assai men grave di quello che à presentalo il Cagliari nel nostro reame.

Noi malamente ritrarremmo il punto di diritto pubblico stabilito in quella occasione; ond’è che preferiamo di riportarlo nel suo tenore, sì come è stato espresso dal dotto FAUSTIN HÉLIE.

«Intanto bisogna aggiungere, egli dice, che tutt'i privilegi riconosciuti dal dritto delle genti, sia pei bastimenti da guerra, sia pei bastimenti di commercio, nelle acque territoriali di un altro stato, suppongono relazioni pacifiche e la stretta osservanza delle regole dello stesso dritto delle genti.

«Questa restrizione necessaria è stata fissata con molta chiarezza nell'affare del CARLO ALBERTO.

«Questo piroscafo era stato noleggiato a Livorno, per trasportare in Francia molte persone che avevano formato una cospirazione contro la sicurezza dello stato. Alcune di queste persone, arrestate sopra lo stesso piroscafo, protestarono contro quell'arresto, siccome quello che era stato fatto sul territorio straniero.

«La Camera di accusa della Corte di Aix ne pronunziò l'annullazione, dichiarando:

«Che qualunque bastimento dev'essere reputato come una continuazione del territorio della nazione alla quale essa appartiene: che la bandiera di una Potenza è il segno della nazionalità dello stato e porta con lei la sua giuridizione e la sua sovranità: che comunque il noleggio del CARLO ALBERTO, sia stato fatto per intiero da uno degli accusati; questo noleggio, il quale non è che un contratto di locazione di quel bastimento, non può cangiare il suo carattere primitivo e la sua nazionalità: che l'arresto delle diverse persone che si trovavano sul CARLO ALBERTOè stato effettuato allorquando quel piroscafo, partendo da Roses dirigendosi a Nizza, era stato forzato di approdare alla Ciotat in seguito di guasti e di gravi avarìe pruovate, sopraggiunte alla caldaia, e nel punto che ciascuno si occupava a riparare le avarìe ed a conchiudere la compera di una quantità di carbone necessaria alla continuazione del viaggio: che coteste circostanze sono della natura di quelle, che tra le nazioni incivilite ci piazzano sotto la salvaguardia della buona fede, della umanità e della generosità; che in conformità di questi principi e di questi fatti glt arresti che sono stati fatti, lo sono stati sopra un bastimento straniero, cioè sopra un territorio indipendente dalla Francia: che quelli arresti sono stati fatti nel tempo dell'approdo forzato del CARLO ALBERTO alla Ciotat, e quindi in un momento in cui non si potrebbe imputare alcun atto riprensibile ai detenuti reclamanti: che vi è di conseguenza in quelli arresti violazione del diritto delle genti ((333)).

«Questa decisione fu annullata dalla Corte di cassazione con arresto del 7 settembre 1832 ((334)) per le seguenti considerazioni.

«Attesoché il privilegio stabilito del diritto delle genti in favore dei bastimenti amici o neutrali cessa dal momento ni cui quelli bastimenti, in disprezzo dell’alleanza o della neutralità della bandiera che essi portano, commettono degli atti di ostilità: che in questo caso essi divengono inimici e debbono RISENTIRE TETTE LE CONSEGUENZE DELLO STATO DI AGGRESSIONE, NEL quale essisi sono piazzati: che risulta dai fatti riconosciuti dalla camera di accusa, che il battello a vapore sardo il CARLO ALBERTOpartì da Livorno per una destinazione supposta, con delle persone, delle quali i nomi erano anche supposti, e di conseguente con carte false a bordo: che la destinazione reale era di servire d'¡strumento alla cospirazione, che avevano formato i passaggieri contro il governo francese: che era stato noleggiato a questo scopo, ed à servito alla esecuzione di quel complotto: che non si può dunque invocare in favore di quel bastimento il privilegio del dritto delle genti, il quale non è stabilito che in favore degli alleati e dei neutrali.

«Che il principio dell'approdo forzato non può essere invocato, allorché si tratta di un bastimento che è stato noleggiato per servire d'¡strumento ad una cospirazione, e che in effetto aveva servito a questo reato, allo scoprimento del quale dovevano vigilare le autorità francesi, E CHE QUEL BASTIMENTO SI TROVAVA TUTTAVIA NELLO STATO DI OSTILITÀ, POICHÉ ESSO PORTAVA DELLE PERSONE, CHE DOPO DI QUEL MOMENTO, SONO STATE MESSE IN ARRESTO COME COSPIRATORI.

«Questo arresto conserva evidentemente, ripiglia lo scrittore, la regola, e non la nega che nella sua applicazione alla specie, di cui si occupava. La Corte di cassazione riconosce che qualunque bastimento che porta la bandiera della nazione, alla quale esso appartiene, è la continuazione del suo territorio, e che perciò la giuridizione locale del porto, nel quale è entrato, non deve in generale esercitare alcun atto sopra il suo. bordo; ma essa limita questo privilegio al caso in cui il bastimento, GIUSTA I TERMINI DELL’AVVISO DEL CONSIGLIO DI STATO, È ALLEATO, O NEUTRALE, AL CASO IN CUI IL BASTIMENTO RISPETTA LE LEGGI DEL PAESE. SEESSO SI ABBANDONA AD ATTI DI OSTILITÀ, ESSO DIVIENE NEMICO, E DEVE PATIRE TUTTE LE CONSEGUENZE DELLO STATO DI AGGRESSIONE, IN CUI SI È COLLOCATO; E DALL’ALTRA PARTE IL PAESE ATTACCATO SI TROVA ESSO STESSO NELLO STATO DI LEGITTIMA DIFESA PER RESPINGERE LE OSTILITÀ. Queste regole sono incontrastabili per se stesse, e la loro applicazione può solamente dar luogo alla discussione di un punto di fatto. La Corte di Lione, alla quale fu rinviata la causa, completamente adottò la decisione della Corte di cassazione nel dì 15 ottobre 1832 ((335)) ((336)).

Ma è pregio dell’opera apprendere come quell’arresto del senato conservatore delle leggi di Francia sia stato preparato.

L’illustre DUPIN, onore e lume dell'alta magistratura francese, procurator generale presso la Corte di cassazione sedente in Parigi, in quella causa dava le sue efficaci conclusioni, nelle quali è dubbio se è maggiore la dottrina, o l’eloquenza.

«Scendiamo dunque al merito del ricorso, diceva il grande uomo.

«L’idea fondamentale della decisione impugnata è che la cattura à avuto luogo contro il dritto delle genti ed il dritto di natura.

«Contro il dritto delle genti: dappoiché i prigionieri navigavano sopra un bastimento sardo, con carte sarde, con la bandiera di una nazione amica: quel bastimento era, per finzione, una continuazione del territorio sardo, esso portava con lui la sua giuridizione e la sua sovranità: esso era inviolabile.

«L’arresto à avuto luogo contro il diritto di natura, dappoiché il bastimento era in istato di approdo forzato per ripararsi ed approvvigionarsi in un momento, in cui non si poteva imputare alcun atto riprensibile a coloro che vi eran sopra.

«Questa è tutta la teoria, o Signori, con lo sviluppamento che à ricevuto alla vostra udienza, e che bisogna primamente esaminare e discutere, per separare Ciò che può esser vero, come principio generale, da ciò che è sterile nelle conseguenze, che la Corte di Aix si è sforzata di farne risultare.

«La bandiera di una nazione neutrale o amica dev’essere rispettata, ma a condizione di restare AMICA O NEUTRALE,e di non servirsi di false apparenze di neutralità o di amicizia, PER NUOCERE CON MAGGIOR COMODO, E CON IMPUNITÀ.

«Così nissuno contrasterà che la PIRATERIA PUÒ ESSER REPRESSA, QUALUNQUE SIA LA BANDIERA, ALL’OMBRA DELLA QUALE ESSA SI ESERCITI.

«Allo stesso modo succede pel contrabbando, sia che si tratti di mercanzie, ed oggetti di commercio, ovvero del contrabbando di guerra, per viveri, munizioni, e soldati.

«Lo stesso dritto di repressione (il quale è il dritto di difesa naturale) ESISTERÀ A VANTAGGIO DI QUALUNQUE NAZIONE, NELLA QUALE UN BASTIMENTO SOTTO QUALUNQUE BANDIERA CHE SI FOSSE, PORTI RINFORZI ALLA GUERRA CIVILE, RICONDUCE ESILIATI, CERCA D’ INTRODURRE COSPIRATORI DESTINATI E RECARE IL RIVOLGIMENTO E LA DEVASTAZIONE NEL SUO SENO.

«In tutti questi casi cd altri simili non è in effetti una derisione allegare che il bastimento portava una bandiera neutrale o amica? Amico di chi? Io vi domando. È QUEL BASTIMENTOAMICO DELLA FRANCIA, O È AMICO DEGLI INIMICI DELLA FRANCIA?

«Bisogna dire altrettanto delle carte: se esse sono sincere e senz’alterazione, i passaporti di una Potenza amica sono una raccomandazione che richiama protezione ed aiuto; ma se esse sono menzognere: SE IL RUOLO DI EQUIPAGGIO NON PRE«SENTA CHE FALSI NOMI E FALSE QUALITÀ, LA PROTEZIONE ISTITUITA A FAVORE DELLA VERITÀ, NON POTRÀ ESSERE AFFATTO INVOCATA ALL’APPOGGIO DI UNA MENZOGNA E DI UN INGANNO.

Proseguendo i suoi ragionari l’illustre Dupin, e soffermandosi alquanto sopra la decisione impugnata rileva, che il segno convenzionale dei cospiratori, e che fu quello di diversi attruppamenti che percossero le vie, era vivaErricoV., viva la bandiera bianca.

Egli dice «soffermiamoci sopra i termini di questo arresto. Gl'imprigionati del CARLO ALBERTOnon sono solamente accusati di aver nutrito intenzioni criminose contro la Francia, che sarebbero rimase senza effetto; la decisione assicura non solo la premeditazione che à presieduto ai preparativi, che l’esecuzione che n’è seguita. Vi è stata cospirazione, concerto dei congiurati venuti dall'Italia e coi congiurati dell'interno della Francia. Il noleggio del bastimento à avuto luogo nel fine di venire a riunirsi ad essi; la bandiera sarda non è stata che per lusingare la marina francese, e le carte false dell'equipaggio per ingannare la vigilanza degli agenti francesi.

«Questo bastimento à fatto falsa rotta. Esso non è stato affatto a Barcellona, e si è messo di suo pieno gradimento in contatto con le coste della Francia, di notte, in contravvenzione alle leggi sanitarie, ed ai regolamenti sulla polizia dei porti.

«Esso à violato le nostre leggi, ed à commesso un attentato alla sicurezza dello stato, disbarcando sul territorio francese la duchessa di Berry. È questo un atto di contrabbando in tutta la estensione della parola; perciocché la parola italiana bando nella sua significazione propria significa il grido pubblico, proclamazione, proibizione, interdizione, come la parola bannum del medio evo, è la parola banni che importa proibizione di rompere un bando, cioè dire d’infrangere il divieto di rientrare nel territorio, dal quale si è stato bandito.

«Ma qui si presenta la grande scusa allegata dalla Corte fi di Aix, osserva l’istesso procurator generale, e dalla quale la difesa à dato così estesi sviluppamenti: nel momento dello fi arresto degl'imprigionati, il CARLO ALBERTOera in approdo forzato: è la disgrazia che li à spinti. Ed a questa occasione si fa paragone malamente della di loro sorte a quella del dotto Dolomieu, e de' naufraghi di Calais.

«Questa nuova quistione dipende assai dalla prima. In effetto, se il CARLO ALBERTOera un bastimento amico, se esso fi à osservato verso di noi i doveri della neutralità e le regole del dritto delle genti; che l'approdo sia stato forzato o no, esso aveva dritto a tutta la protezione dell'ospitalità.

«Ma se egli si è condotto come inimico; se egli è stato ostile alla Francia; se egli à violato, a nostro riguardo, il sacro diritto che esso invoca, sarà mai vero che non si dovevano arrestare i misfattori che esso aveva condotto fino in casa nostra?

«Si parla di esempi cavallereschi del governatore di Avana, il quale padrone di un buon bastimento inglese che gli fi aveva portato la tempesta, rifiutò d’impadronirsene, gli fornì fi soccorsi e rimise ad altro tempo il pensiero di combatterlo?

«Magistrati, voi dovete deliberarvi, non già in virtù di esempi di cavalleria, ma in virtù delle leggi. E l’autore stesso che riferisce il tratto che si è citato ((337)) conviene che il nostro diritto è contrario; ed in effetto leggi positive, quelle stesse precisamente che voi vi siete incaricati di applicare, dichiarano di BUONA PREDAqualunque bastimento nemico, anche caduto in naufragio. Questa è la disposizione formole dell'arresto del 6 germinale anno VIII, articoli 19 e 20, confor«mi su di questo punto ai regolamenti del 26 luglio 1778, articolo XIV, ed ordinanza della Marina del 1681.

«Conchiudiamo dunque, dopo tutta questa discussione, che l’arresto de' passaggieri del CARLO ALBERTOnon à affatto avuto luogo in disprezzo del diritto delle genti; e che giudicando in contrario, e dichiarando il loro arresto come non avvenulo, ordinando di metterli in libertà, e prescrivendo di ricondurli sul territorio sardo, la Corte di Aix à violato tutt’i principi, de' quali gli accusati pretendono che per essi abbia fatto una giusta applicazione.

«Sotto un altro punto di vista, possiamo domandare ancora alla Corte di Aix, se essa era competente per giudicare, come essa à fatto, applicando il dritto delle genti, e per motivi «prestati dal codice delle prede?

«Sotto questo punto di vista è in effetto che cosiffatte quistioni non sono della competenza dei Tribunali ordinari. In verità il giudice dell'azione è anche giudice della eccezione, se però questa non sia per sua natura devoluta ad altri giudici.

«Se dunque, nella nostra specie di quistione a giudicare, era una quistione di PREDA MARITTIMA,non era punto concesso alla Corte di Aix di conoscerne, ma al Consiglio di Stato. La Corte di Aix dichiarando LA PREDA INVALIDA,à giudicato una quistione che a lei non era allatto devoluta: essa sarebbe stata incompetente, e sotto questo rapporto la sua decisione dev’essere ancora cassata.

«È perciò che con confidenza, o signori, io insisto al vostro cospetto per la cassazione di questa decisione. Se potesse sussistere, vi sarebbe perturbazione nello Stato; oltre allatto della libertà dei prevenutile dell’impunità del reato, vi sarebbe ingiuria permanente contro il Governo, la condotta del quale è così ingiustamente e così duramente qualificata dalla decisione.

«Ne risulterebbe ancora un pericolo reale per la Francia. Se fosse possibile di consacrare la dottrina della Corte di Aix, i partigiani della linea primogenita potrebbero impunemente ordire cospirazioni di qualunque sorta. Basterebbe loro d’intrattenere sulle coste della Vandea qualche bastimento sotto bandiera neutrale, il quale vomiterebbe, senza interruzione, sul nostro territorio emissari, armi e munizioni. Gli autori di questi complotti sarebbero immuni da qualunque mezzo di repressione, come lo sarebbero sopra un territorio straniero; e loro sarebbe facile, abbisogno, di simulare il caso di approdo forzato, o di lasciarsi mancare a proposito il carbone ((338)).

La massima proclamata dalla Corte di cassazione è passata in regola internazionale. Ascoltisi il lodato ORTOLAN, il quale ragiona così:

«È certo che tutte le franchigie riconosciute dal dritto delle genti, sia in quanto alle navi da guerra, sia in quanto ai bastimenti di commercio, nelle acque territoriali di uno Stato straniero, non esistono che nella ipotesi della relazione pacifica e dei bastimenti, i quali essi stessi osservano e rispettano il dritto delle genti. Imperciocché se un bastimento, sia di guerra, sia di commercio venisse nel porlo, nella rada, o nel mare territoriale di un mare straniero, e commettesse esso stesso atti di ostilità contro questo stato, o di violenze pubbliche contro i suoi abitanti, SITRATTEREBBE NON PIÙ DI GIURIDIZIONE, MA MEGLIO DI DIFESA LEGITTIMA, E SENZ’ALCUN DUBBIO, LO STATO ATTACCATO AVREBBE IL DRITTO DI PRENDERE, NON SOLAMENTE NELLE SUE ACQUE TERRITORIALI, MA ANCORA IN PIENO MARE, TUTTE LE MISURE NECESSARIE A QUESTA DIFESA.

«La Corte di cassazione à statuito nel 1832 sopra un punto analogo, ed essa si è pronunziata conformemente a questi principi nell’affare del CARLO ALBERTO,bastimento di «commercio sardo, che era venuto a sbarcare clandestinamente sul lido di Marsiglia la Duchessa di Berrv con molti dei suoi partigiani, per l'esecuzione di un compioto di guerra civile formato da essi ((339))».

CAPO VII

Riflessioni sulla massima stabilita dalla Corte di cassazione e dai pubblicisti francesi. Paragone dei fatti del CARLO ALBERTO con quelli del CAGLIARI.
 §. I. Utili conseguenze per la' causa nostra dalle dottrine proclamate in Francia ad occasione del CARLO ALBERTO.

1.° Il piroscafo denominato, il CARLO ALBERTO era un legno di commercio come il Cagliari; di altrui proprietà, e noleggiato in Livorno per conto dei cospiratori:

2.° Allorché approdò sul lido di Marsiglia, il capitano e l’equipaggio, rimasero inoffensivi, anzi tranquilli, e stranieri spettatori delle operazioni dei cospiratori:

3.° Nissun atto materialmente ostile commise contro la Francia, le sue Autorità, le sue truppe, ed i suoi abitanti.

4.° Il fatto dell’approdo rimase solitario, e non ebbe seguito di altri fatti e di altri avvenimenti che avesse operato il suddetto piroscafo.

5.° Non vi fu legno predatore, né da guerra, né mercantile:

6.° I cospiratori disbarcati dal CARLO ALBERTO, si trattennero nei limiti della cospirazione, e discorrendo per quelle contrade, solo con le parole gridarono: viva la prima linea; viva Errico V.

Ma essi non avevano armi, né uniforme, né insegne. Non attaccarono, non combattettero, non uccisero, non vinsero nella zuffa le truppe Regie. Non assaltarono, e non s’impadronirono dei posti militari. Non disertarono i luoghi di pena; non incendiarono i pubblici archivi; non arrestarono le autorità militari ed amministrative di terra e di mare, non proclamarono la repubblica.

Il CARLO ALBERTOnon imbarcò circa quattro centinaia, che armò, sia con le armi improprie e di contrabbando, che dolosamente trasportava, sia con quelle che furono tolte alle milizie del luogo. Non rubò, non chiodòcannoni, non sfondò un legno Regio; non infranse le immagini e gli stemmi della Suprema Autorità.

Il CARLO ALBERTOnon pugnò col suo equipaggio con le truppe Regie, non trasportò in altri luoghi della Francia quel forte polso di armati per arrecarvi gli orrori della rivoluzione e della guerra ordinata, e combattuta direttamente contro il Potere legittimo dello Stato.

D. ultimo, il CARLO ALBERTOnon ritornava al luogo, donde era partito giorni innanzi, per rinnovare gli eccessi e le enormità consumate.

7.° Impértante, il giure pubblico moderno della Francia à registrato nel suo codice le seguenti regole:

Che un fatto isolato servito di mezzo a tentare la interna turbazione dello Stato, era da ritenere aggressione ostile:

Che un tal fatto commesso da un bastimento di nazione amica, ed in tempo di profonda pace col Governo, ai cui sudditi quel bastimento apparteneva, lo collocava nel numero degli inimici del regno; costituiva lo Stato aggredito nel diritto di usare contro di lui il rigorismo e la severità degli usi di guerra; e finalmente riguardava cessati a di lui favore tutti i privilegi e le franchigie accordate dal diritto delle genti:

Che per effetto di cotesti pronunziati, quel legno era di buona preda, al dire del gran Dupine dei sapienti che decorano quella nazione:

Che il Consiglio di Stato (giudice competente per tali giudizi) fu dello stesso avviso, al riferire di Falstin Hélie;e che forse non si prestò il fatto per dichiararla, da che mancavano, il legno predatore e l'acquisto bellico, avendo le vigili autorità, custodi della tranquillità pubblica, arrestato i congiurati ed il legno.

Se ciò si disse allora pel CARLO ALBERTO, che si dirà oggi pel CAGLIARI?

§. II. Paragone dei fatti consumati da questo battello

Noi per serbare chiarezza e precisione, divideremo il confronto in tre categorie:

La prima in quanto alla irregolarità; la seconda in ordine ai fatti di aggressione guerriera; la terza in rapporto ai fatti di pirateria.

I. CATEGORIA.Irregolarità di viaggio

Il codice di commercio per gli Stati sardi contiene le seguenti disposizioni, dopo di avere imposto ai capitani o padroni di un bastimento mercantile il dovere di serbare a bordo il giornale di navigazione, e di far visitare il legno ((340)):

Il capitano è obbligato di avere a bordo:

L’atto di proprietà del bastimento;

La patente di nazionalità;

Un passaporto marittimo;

Il ruolo dell’equipaggio;

Le polizze di carico, ed i contratti di noleggio;

I verbali di visita;

Le quietanze di pagamento, o le bolle di cauzione delle dogane ((341)).

Nell'articolo 243 obbliga il capitano di trovarsi in persona sul bastimento all’ingresso ed all’uscita dei porti, seni o fiumi.

Conchiude che: In caso di contravvenzione agli obblighi imposti dai quattro articoli precedenti È RISPONSABILE DI TUTTI GLI ACCIDENTI PERSO GL’INTERESSATI NEL BASTIMENTO E NEL CARICO ((342)).

Le nostre leggi dì eccezione per gli affari di commercio contengono le medesime testuali disposizioni ((343)).

Cagliari non aveva a bordo:

1.° L’alto di proprietà del bastimento:

2.° Il passaporto marittimo:

3.° I contratti di noleggio, tanto pel bastimento, nei rapporti tra il capitano, l’equipaggio ed i proprietari, che pei rapporti tra il capitano ed i diversi caricanti delle molte merci:

4.° I verbali di visita:

5.° Ventidue passaporti dei passaggieri imbarcati ((344)).

6.° E nove passi e librette di altrettanti individui componenti l'equipaggio ((345)).

Ed è importantissimo il riflettere:

1.° Che il ruolo di equipaggio, benché di fogli 32, nondimeno vedesi interrotto ed interpolato, nulla stando scritto sul dorso dei fogli 5°, 6°, ed 11° e sul fronte del foglio 12° ((346)).

2.° Ben si comprende perché recava il capitano Sitzia viziato il ruolo del suo equipaggio. Egli aveva a bordo parte del medesimo senza gli opportuni riscontri; come poi aveva tra i 33 passaggieri otto marinari, che avevan mentito il loro mestiere unitamente a Giuseppe Daneri, che in verità era un capitano mercantile ((347)), e che da Rubattini si chiama RIVOLTOSO.

D. ultimo 22 dei 33 passaggieri erano sforniti di passaporto.

È chiaro che quei fogli in bianco furono ad arte rimasi interrotti, per supplirvi i nomi di coloro che, il Sitzia avrebbe creduto convenevole.

§. III. Continuazione

Ritornando sopra il difetto dei documenti precennati, non incresca di ritenere le seguenti avvertenze:

1.° Il primo documento di bordo è l’atto di proprietà del bastimento; questo documento è di suprema necessità. Ricordiamo che il PARDESSUSridette al proposito, che l'atto di proprietà assai influisce nel caso di preda, sia per conoscere l’appartenenza amica, o nemica del legno predato, sia per poterne giungere la notizia ai proprietari o agli assicuratori, per mettere costoro in grado di trattarne il riscatto ((348)).

2.° I verbali di visita del bastimento sono richiesti nel fine di essere certi i Governi di tutte le nazioni, che il bastimento non à caricato altro che ciò che attestano i registri delle polizze di carico, e che non fa commercio di contrabbando, da porre in pericolo lo stesso bastimento ed il suo carico.

Se il capitano Sitzia avesse confessata la verità al Direttore della dogana di Genova, cioè dire che le sette casse di armi, in gran parte si componevano di boccacci, e di altre armi improprie, quel pubblico funzionario non gliene avrebbe dato licenza, o le competenti Autorità avrebbero indagato su i motivi dell'imbarco di quelli ordegni da guerra; e di fermo con la loro vigile prudenza avrebbero provveduto al bisogno ((349)).

3.° A questo stesso fine rispondono i contratti di noleggio di tutte le merci, dai quali agevolmente si desume la qualità delle medesime, le condizioni del viaggio, il punto della destinazione delle cose imbarcate.

4.° Il passaporto marittimo poi assicura della originaria nazionalità del bastimento, della sua normale condizione, e quindi affida tutte le Potenze e le nazioni dell’innocenza del bastimento suddetto.

Ed è tanto vero che il passaporto marittimo sia di assoluta necessità, che dev'essere ripetuto per ogni viaggio, non bastandone uno per tutti.

La legge del 12 di ottobre 1807 sulle prede marittime al proposito dispone:

UN PASSAPORTO NON PUÒ SERVIRE PER PIÙ DI UN VIAGGIO ((350)). E cotesto disponimento si rannoda all'altro della stessa legge, che fa consistere la pruova della pertinenza del bastimento a Potenza amica o neutrale, principalmente dal passaporto marittimo ((351)).

E costa nel fatto, che il Cagliari à viaggiato del continuo negli anni scorsi, per Oriente e per Malta ((352)).

Ed a questo proposito spunta di per se stessa una condizione aggravante pel capitano Sitzia. Egli mentre colpevolmente trascurava l’adempimento dei propri doveri, che gli venivano imposti dalle stesse leggi del suo paese, era officioso e sollecito dei suoi consorti nelle simpatie politiche da lui predilette, da che serbava carte che avrebbero dovuto essere straniere a lui, quali sono quelle che riflettono i due suoi amici rivoltosi, Cesare Cori e Giovanni Nicotera ((353)), ed i passaporti di Domenico Cevasio, di Francesco Badino, di Vincenzo di Urbino, e di Girolamo Graci ((354)), tutti passaggieri costoro, degli anni trascorsi; cosicché è bello il considerare che il Sitzia era premuroso di conservare presso di sé documenti sospetti o inutili, e trascurava gli utili ed i necessari, cioè i passaporti, i passi e le librette, nientemeno di ventidue passaggieri e di nove persone principali dell'equipaggio nella spedizione presente, che egli dice che doveva compiere, ma che realmente aveva simulata.

§. IV. Termine della dimostrazione

Tutti i mancamenti sostanziali che siamo andati finora memorando, ed i quali cospirano alla idea di buona preda del piroscafo in parola, e che mostreranno pure la qualità piratica dello stesso, sono irreparabili ed insupplibili per espressa disposizione della legge.

IN QUALSIVOGLIA, OCCASIONEnon si avrà riguardo che alle sole carte trovate a bordo, e tutte quelle, che fossero prodotte dopo fatta la preda, non saranno di verun momento, e non potranno essere di alcuna utilità, né del menomo vantaggio, TANTO AI PROPRIETARI DEL LEGNO PRESO,che a quelli delle merci; NON DOVENDOSI IN QUALUNQUE CIRCOSTANZA AVER RIGUARDO CHE ALLE SOLE CARTE TROVATE A BORDO DEL LEGNO PREDATO ((355)).

Né può dirsi che siensi disperse, o neglette le carte del Cagliari: in primo luogo, perché nel momento della cattura si trovavano già tutte ratinate e custodite dal Sitzia in un apposito portafogli di latta ((356)): in secondo luogo, quel portafogli insieme alle altre carte rinvenute, il RetroAmmiraglio signor Roberti, le fece riporre in un sacco suggellato ALLA PRESENZA DEL CAPITANO DEL BASTIMENTO ((357)); in terzo luogo, l’assicurazione delle carte fu legalmente fatta dai predatori:

Nel portarsi a bordo l'affiziale o il pilota incaricato del bastimento arrestato, farà depositare in una cassa, o IN UN SACCO, in presenza dei suoi subalterni e del capitano, tutt'i documenti ed i fogli di qualunque natura ritrovati a bordo del bastimento arrestato e vi APPORRÀ IL SUGGELLO ((358)): in terzo luogo, il capitano Sitzia nulla à mai detto, ovvero à osservato in contrario, tanto nel momento in cui si compivano codeste operazioni, che prima e dopo della domanda avanzata dalla Intendenza generale della Real Marina, ed anche a lui ritualmente intimata nel giorno 26 agosto del volgente anno. Donde consegue che qualunque altra pruova titolare, che potrà comporre o accattare il Rubattini, o il Sitzia tornerà vana, da che respinta e rifiutata dal chiaro disponimento dell'articolo 20 della legge del 12 ottobre 1807.

II. CATEGORIA. Fatti di guerra commessi dal Cagliari 

PRIMO PERIODO 

Arrivo all'isola di Ponza.

Si è chiarito dalle pruove compilate e di già da noi riferite in ¡scorcio, che il capitano Sitzia imbarcò, senza dichiararlo alle autorità doganali del porto di Genova, armi e munizioni da guerra, e fra l’altro, BOCCACCIE POLVEREda sparo; oggetti impropri ad un bastimento mercantile, perché di contrabbando da guerra. L’articolo 23 della legge sulle prede marittime del 12 ottobre 1807 lo dice espressamente:

«Per generi di contrabbando s’intendono POLVEREda guerra, salnitro, petardi, micce, PALLE DI ARCHIBUGIOe di cannone, bombe, granate, carcasse, picche, alabarde, spade, ciberne, FUCILI, MOSCHETTI, PISTOLE, cavalli, selle da cavalleria, bardature, cannoni, mortari, carri ad essi appartenenti, e GENERALMENTE OGNI SORTA DI ARME, MUNIZIONI ED UTENSILI DA GUERRA ((359)).

Se sono i moschetti ed i fucili sospetti e proibiti, lo sono con argomento del meno al più i BOCCACCI, armi micidiali, e che stan di mezzo tra gli archibugi ed i piccoli cannoni, per lo effetto esiziale che essi producono.

Ma toglie ogni ambiguità e rimuove ogni esitanza il testo dell'art. 5 delle Reali ordinanze di Marina, il quale dispone: «sarà arrestato il bastimento che ha dei generi di guerra, come per esempio ARMI DI QUALUNQUE SORTA.»

E di queste armi era fornitissimo il legno, e se ne trovarono disperse pel bordo, nel momento della cattura, unitamente a gran copia di fucili, con molte pistole, con una carabina, e tutti carichi. Al che si aggiunga che i rivoltosi arrestati in terra ferma e tradotti sul Tancredi, erano armati «di boccacci, come quelli rinvenuti a bordo del Cagliari ((360))». Ed anche gialle di archibugio si rinvennero sul piroscafo, unitamente ad alcune baionette nascoste tra i sacchi di orzo nella stiva di poppa: di più ancora si rinvennero nella camera del secondo capitano, centinaia di capsule da pistole e da fucili ((361)). Anche tre feriti vi si rinvennero; né d'altra parte penuriava il Cagliari di sufficiente provvigione di polvere da sparo.

II Cagliari si avviava a Ponza, mentendo la sua destinazione: trasportava armati con uniforme rosso, provveduti di molte bandiere tricolori, delle quali poi essi fecero uso in Ponza, e che non avrebbero dovuto sfuggire pel dì loro volume e per le lunghe aste, alle quali erano appiccate, alla vigilanza del capitano Sitzia al momento dello imbarco nel porto di Genova, se quegli non fosse stato complice nel disegno coi ribelli.

Arrivato in Ponza, il Cagliari vomitò dal suo bordo armi ed armati in gran copia, tra i quali il proprio equipaggio ((362)): e questa circostanza solenne è deposta, tra gli altri, dal capitano in secondo del piroscafo Vincenzo Rocci ((363)).

Tutti vestivano ed erano ricoperti di camici e berretti rossi ((364)).

Il fine di tanto moto era di abbattere il Governo della legittima Sovranità e sostituirvi quello della repubblica. A questo scopo s’incitavano i popoli alla rivolta, e si sventolavano all’aria le bandiere tricolori, che i nemici brandivano come insegne del politico rivolgimento ((365)).

Si cominciarono le operazioni belliche con l’assalto dell’isola da diversi punti, col mezzo di più lance armale e messe in mare dal Cagliari ((366)). L’effetto arrise al concetto, e si compì la seconda fazione, non men difficile della prima, cioè dire l'aggressione della gran guardia; il quale secondo esperimento anche riesci prospero ai rivoltosi ((367)). E qui si avverta che lo stesso capitano Sitzia, tanto nella sua deposizione ((368)), che nel maggior titolo di bordo del piroscafo di suo comando, qual è il giornale nautico, confessa sapere cotesto primario scopo, ed afferma conoscere anche gli avvenimenti ostili succeduti nell’isola, e che egli, essendo rimaso sul legno tutto solo e sotto coverta, doveva ignorare: ecco le parole del giornale:

ONDE PRENDERE IL PAESE D'ASSALTO, COME RI RIUSCIRONO, E FECERO PRIGIONIERE TUTTE LE AUTORITÀ LOCALI CHE PORTARONO A BORDO: ASSALTARONO IL PAESE, CRI DAN DO FIFA LA REPUBBLICA, E FUORI I RELEGATI: SI BATTERONO E FINSERO LA FORZA DEL PAESE; SUBITO IMBARCARONO CIRCA 400 PRIGIONIERI, ED ALTRE ARMI PRESE IN DETTO PAESE ((369)).

Dopo l'arresto delle Autorità militari, e dopo i primi successi, chiodarono i cannoni delle batterie ((370)); obbligarono il maggiore comandante dell’isola di Ponza, Antonio Asterino, d’imporre alla guarnigione di cedere le armi, al quale comando si rifiutarono quei bravi che la componevano ((371)).

I ribelli richiesero al capitano del porto, Montano Magliozzi, che li conducesse a Ventotene ((372)). Né si omise di discendere alla corruttibile seduzione, promettendo il guiderdone di ducati 100, che indarno a quell'uffiziale onorato furono profferii ((373)).

Riacceso il coraggio dei combattenti, fu dubbia e non breve la pugna: la vittoria inclinò per gli aggressori. Tra i morti si rimpianse il tenente Cesare Balzamo, ucciso con colpo di fuoco da uno dei rivoltosi ((374)); la cui sciabla fu presa dall'uccisore ed è quella stessa rinvenuta sul Cagliari al tempo della sua cattura ((375)). Tra i feriti vi fu l'aiutante Francesco Ranza ((376)). S’infransero tutti gli emblemi d’impero della legittima Sovranità, posti sul fronte dei diversi luoghi delle officine pubbliche: si depredò e si cercò di dar fondo alla Regia scorridoia stanziata nel porto: si disserrarono le carceri e gli altri luoghi di pena; si liberarono e si armarono copiosamente le molte centinaia dei relegati evasi, incitandoli e conducendoli ad abbattere il legittimo Governo. E si discese anche all'atrocità dell'incendio, alle viltà del furto ed al disperdimento degli atti della giustizia purnitrice e delle autorità militari e del municipio ((377)), 

II. PERIODO 

Dalla partenza da Ponza all'arrivo in Sapri

Ai fotti di guerra, consumati in Ponza, pei quali la fortuna delle armi si mostrò benigna ai ribelli, seguirono quelli di preparazione a successi maggiori.

1.° Sul bordo del Cagliari, dal salpare da Ponza, e col perfetto accordo tra i ribelli, dal capitano Sitzia e dal suo equipaggio, già tutti divenuti inimici del reame delle due Sicilie, si recò al completo l’armamento delle numerose bande, che il piroscafo tragittava sul continente.

2.° Alla creazione e distribuzione delle munizioni da guerra, fu partecipe primamente il capitano Sitzia, il quale non mancò di confortare quelle squadre a novelle e più violenti aggressioni.

3.° IlCagliari, con le arti della simulazione e del sospetto, tutte proprie de' colpevoli, disbarcava in Sapri quell'imponente polso di armati, di cui era speranza la congiunzione delle Calabrie, ed il cui fíne era di compiere il gran misfatto della sovversione, nel regno, della legittima Sovranità. 

III. PERIODO 

Ritorno del Cagliari ed avvenimenti bellicosi in terra ferma

1.° Quel piroscafo, cagione e mezzo dei primi disordini, non si ristava, anzi si preparava più ardito a più grandi enormezze. Esso navigava verso Ponza per rilevarne il resto dei relegati e per accrescere le poderose squadre già introdotte nel regno, all’intento di assicurare gli effetti della rivolta ed il tramutamento della legittima forma del Governo. Si affaticava per dare agli sforzi della ribellione proporzioni colossali. Ma questa volta pel Cagliari si. convertirono le sorti. Esso fu catturato dai legni Regi.

2.° Intanto, sanguinose scene e di grande aspettativa si compivano sul continente, che distintamente abbiamo noverato nella parte storica del presente lavoro, e che qui ripeterle tornerebbe sazievole ed ingrato ai leggenti.

3.° In breve; si rinnovarono completamente, e sotto tutti gli aspetti, le tristi vicende di Ponza: fu pugnato più volte tra i Regi ed i ribelli: Sapri, Torraca, Padula, Casalnuovo e Sanza furono testimoni attoniti della strage e della guerra civile: quelle popolazioni furono afflitte e desolate, finché il valoroso sentimento delle truppe e de' sudditi non immolarono gl'inimici, quali vittime votive sull'altare durevole della fedeltà, eretto nel cuore dei popoli all'Augusto e diletto Sovrano che loro regge e felicita.

<577719_3322419160"> §. V. Il piroscafo il Cagliari rivestì il carattere di legno da guerra e battagliero

In nissun libro sta scritto che un legno, per addimandarsi guerriero, debba di necessità essere armato a cannoni. Anche dopo della invenzione della polvere, un legno, allorché rechi ¡strumenti ed artifizi di guerra, sia per armi a fuoco di qualunque specie, sia per armi bianche, o per ordigni necessari per alcuna fazione militare, è stato sempre definito e giudicato legno battagliero. Le leggi fondamentali della nostra Real Marina, le quali consistono nelle Ordinanze generali, soventi volte rammentate nel corso di questo lavoro, comprendono il titolo XX colla seguente epigrafe ((378)): RUOLODI COMBATTIMENTOE DI ABBORDAGGIO, e disposizioni preventive da praticarsi A BORDO DEI LEGNI DA GUERRA, in tali occorrenze, il legislatore, dopo di aver classificato il servizio da praticare pei cannoni in batteria, parla dell'appresto della fucileria, e dell'arrampaggio, nelle quali fazioni prendon parte, non solo tutti i soldati o marinari dell'equipaggio, ma pure i maestri d’arte, vale dire, i maestri d’ascia ed i calafati ((379)). Nell’articolo 27 specifica quelli che vanno all'abbordo per eseguire l'arrampaggio, e dichiara che i diversi distaccamenti saranno provveduti di rampini per unire i due bastimenti, di sciable dette per l'appunto di arrampaggio, di picche, di piccozze, di moschetti e di pistole.

E nell'articolo 19 il legislatore medesimo riguarda le semplici lance o scialuppe come legni da guerra, concorrenti al combattimento e all'abbordaggio. «Sarà parimente sua cura (del nostromo) di tenere LE LANCEsbarazzate e fornite dei remi, per poterle METTERE IN MARE AL PRIMO COMANDO. Terrà egualmente pronti dei cavi sottili per uso di rimorchio ((380)).

Anche quelli i quali sono mezzanamente istruiti nelle cose marine conoscono, che le lance o le scialuppe sonò legni meramente addetti al trasporto delle persone dal bordo a terra, e viceversa. Esse non ànno, né possono avere per la loro portata, né cannoni, né boccacci, né armi per iscopo determinato da battaglia. Nullameno sono legni da guerra anch'esse per l'uso al quale possono essere rivolte per la necessità del caso, e perciò si gettano in mare piene, o di soldati o di marinari provveduti di schioppi e di armi bianche per combattere l'inimico, proteggere la fazione bellica che si sta operando, e favorire in qualunque modo il combattimento da lungi, o l’arrampaggio da presso. Conchiudiamo adunque per massima generale, che non la qualità dell arma, ma la destinazione caratterizza il legno militare e da guerra, e lo distingue dal semplice mercantile.

Rivolgendoci al Cagliari, è indubitato per lui il carattere di legno battagliero. Il numero degl'individui; la loro coedizione; le armi che portavano; la loro qualità; il numero; le molte bandiere; l’uniforme; i feriti confusi coi componenti l'equipaggio; i fatti bellici consumati dal piroscafo; gli effetti micidiali che da lui solo si riversarono sul Regno; tutto in somma cospira ed assicura il di lui carattere battagliero.

Nel vero, se il Cagliari fosse stato incontrato dai legni Regi, così gremito di armi, di armati e di munizioni da guerra; senza alcuna esitanza, che in vece di arrendersi al primo invito, sarebbe venuto forse alle pratiche di ostilità per via di arrampaggio, o di abbordaggio, o per mezzo di lance armate, come avvenne all'assalto di Ponza, ovvero in altra guisa che avrebbe potuto meglio convenirgli. 

III. Categoria. Fatti di pirateria commessi dal piroscafo il Cagliari.

1.° Non indarno abbiamo prenotato, che dall’inganno i pirati traggono il loro nome (dalla voce che in greco tanto

E veramente, il Cagliari in Ponza, come il CARLO ALBERTO in Francia, con inganno, tradì la buona fede delle autorità locali. Pare che i danni avvenuti alla caldaia sieno i perenni pretesti, allorquando i piroscafi sardi si propongono di eseguire una nimìchcvole aggressione contro i Governi e le nazioni amiche del loro Sovrano.

L’esser guasta la caldaia, fu precisamente il mezzo all'inganno praticato in Ponza verso il pilota pratico, Roberti, ed il capitano del porto, Magliozzi.

2.° Seguì immediatamente alla furberia la infrazione delle leggi sanitarie, essendo il battello entrato nel porto, senza le usitate precauzioni: infrazione punita dalle nostre leggi ((381)).

3.° La serie lunga e spaventevole dei casi funesti consumati in Ponza, e poscia nel cammino per Sapri, quindi in terra ferma, e da ultimo nel ritorno per quell'isola, sono atti e fatti promiscui di guerra e di pirateria.

4.° Anche l’irriverenza religiosa aggiugne peso alle colpe. Eugenio Lombardi depose di aver ritrovalo a bordo del Cagliari, nel momento in cui vi ascendeva coi suoi compagni, tre feriti già noti, e tre cadaveri finora sconosciuti.

È legge sacra di religione, di governo civile e di umanità prestar culto agli estinti, e per noi credenti, dar loro cristiana sepoltura.

Sitzia bene aveva il destro di compiere i pietosi uffizi; ma in lui prevalse la foga di escir tosto d'impaccio, ed elesse la via facile e spedita, benché spietata, di traboccarli subitamente in mare.

5.° Il capitano Sitzia custodiva nella sua camera, una carabina, una pistola, ed uno stile: le due armi da fuoco furono ritrovate cariche al paro delle altre, nel momento della cattura.

Anche nella camera del suo secondo, si conservavano nascose più centinaia di capsule da fucili e da pistole.

Si rinvennero pure disperse sul ponte del Cagliari molte armi, e due baionette militari occultate tra due sacchi di frumento nella stiva di poppa. Sette palle inglesi erano nella camera del primo macchinista Watt. Cotesti oggetti, il modo, ed il come erano allogati, dipingono il Cagliari, come il più provetto pirata che siasi veduto al mondo ((382)).

6.° Riducendoci sul testo delle leggi, rileviamo che il 1° comma dell’art. 1.° della legge del 10 aprile 1825, imperante in Francia, e da noi di sopra riferito per tenore, caratterizza pirata quel legno che manca de' documenti, che debbono legittimare la sua spedizione. Ed il Cagliari, primamente è stato un legno battagliero e da guerra: dippiù difettava di essenziali documenti di bordo, da noi poco innanzi descritti, e richiesti dalle stesse leggi del paese, al quale esso appartiene. Dunque le stesse leggi sarde, per analogia di principi, dichiarano pirata il piroscafo il Cagliari. Il mancamento delle carte di bordo deve, in questo riscontro, misurarsi con le disposizioni delle leggi della di lui nazione.

GOUIET ET MERGERbene osservano che: la legge (quella da noi citata) non precisa i documenti necessari per pruovare la legittimità della spedizione, poiché questi documenti variano a seconda delle leggi, e degl'usi de' differenti paesi.

Così i bastimenti degli Stati Uniti viaggiano ordinariamente, senza ruolo di equipaggio; l’assenza dunque di questo documento non li farebbe riputare pirati ((383)).

Qualunque individuo che faccia parte dell'equipaggio di un legno straniero, è pirata, se in tempo di pace, commette atti ostili contro i bastimenti nazionali, il loro equipaggio o carico ((384)).

Ed il Cagliari appartiene ad estera nazione: in tempo di pace à consumato gli eccessi che si à permesso di esercitare; e non solo a recato insulti ed ostilità, per mezzo di alcuno del suo equipaggio, ma con questo, tutto intero, non à danneggiato bastimenti o carichi; ma in vece à recato la rivoluzione, la guerra, la strage e le morti nei popoli e nelle provincie del Regno.

7.° Da ultimo, è pure pirata qualunque persona che faccia parte dell'equipaggio di una nave o di un bastimento, che lo consegni ai pirati, o ALL'INIMICO ((385)).

Ed il Cagliari è stato volontariamente e dolosamente ceduto dal capitano Sitzia e dal suo equipaggio, precisamente agl’inimici del regno. Esso dunque non può sfuggire la dichiarazione di buona preda, anche sotto il rapporto della qualità piratica, in che si trasformò sin dal partire da Genova, ed in cui continuamente à persistito, oltraggiando esso stesso l’amica bandiera che lo ricopriva. Né vi è scusa sotto quest’ultimo punto di vista, da che non esiste per lui pruova di patita forza maggiore: che per opposto sta contro di lui la pruova contraria della premeditata, e spontanea cessione del legno.

CAPO VIII

Compimento di ragioni per la legittimità della preda del Cagliari.
§. I. La preda marittima principalmente cade sulla marina mercantile.

La preda marittima cade espressamente sopra la marina mercantile.

Nelle guerre continentali vi sono territoriali occupazioni, come mezzo di privare il nemico di risorse, avanzar su di lui per vincerlo, e premerlo da presso per costringerlo alla pace.

In cosiffatte guerre, i privati sono stranieri ad esse, come desse sono straniere a costoro. Perciò i loro beni non soggiacciono ai rigori ed alle severità degli usi di guerra ((386)). Non così per le guerre marittime. I progressi della navigazione, l’espertezza, la possanza, l’agilità, la facile comunicazione ed i forti ed opportuni aiuti che presta una marina mercantile, àn derogato al favor del commercio che sedeva in cima alle cure dei belligeranti: primam, scriveva PLINIO, semper in bellis commerciorum habuere curam ((387)).

È ciò anche perché delle moderne prede gli antichi non ne avevano la stessa idea che noi ne abbiamo. Per essi non correva la importante distinzione tra le guerre continentali e le marittime ((388)).

Non ignorano i dotti nella giureprudenza marittima, che non avendo fatto molto progresso sul mare la romana repubblica, non si ammirano, nel corpo delle sue leggi, sul diritto marittimo, le cospicue e sapienti sanzioni che si leggono per gli avvenimenti che si passano in terra ferma. È tanto vero questo assunto, che l’orgoglio della maestà latina cesse l’imperio giuridico alle leggi di una repubblica straniera e sottomessa ((389)).

È del giure moderno delle genti di Europa, per l'accresciuto incivilimento, pel prospero commercio, e per moltiplici relazioni, che con repentina celerità si stringono tra i popoli col traffico marittimo, il distinguere pei diritti, usi e conseguenze, le guerre continentali dalle guerre marittime. Nelle prime i beni dei privati son fuori delle leggi della guerra ((390)): non così nelle seconde. Per quanto appartiene a queste il sussidio di una marina trafficante, fa riguardare i legni mercantili come elemento di forza dell'inimico, e come mezzi pronti o almen possibili agl’insulti ed ai danni, che arrecar si possono alla Sovranità belligerante ((391)).

Ciò premesso: dimostreremo la certezza delle prede sopra i bastimenti mercantili: 1.° Con le disposizioni delle leggi positive: 2. ® Con la Sovrana dichiarazione del Re (N. S.): 3.° Con l’autorità degli scrittori.

I. La legge del 12 di ottobre 1807, ne' diversi articoli che contiene, assoggetta TUTTI i bastimenti del nemico ad esser predati. Essa specialmente prevede il caso del legno di commercio, allorché concede la buona preda quando navigasse con carte non in regola ((392)): contempla la buona preda del bastimento e del suo carico, il che significa bastimento mercantile, giacché il carico non è de' legni da guerra. Così pure parla delle riprede, e ritorna sull’ipotesi del bastimento col carico ((393)): dichiara di buona preda un bastimento QUALUNQUE (anche il mercantile) quando non ammainerà le vele o non attende il bastimento che gli dà caccia ((394)): in tutti gli altri articoli regola la misura del premio nelle riprede e la possibile restituzione ai proprietari (il che pure significa il legno mercantile, giacché de' legni da guerra il solo proprietario è il Sovrano) ((395)): si occupa della forza patita, e vuole che si dimostri co’ documenti di bordo, non potendo essere di alcuna utilità i documenti prodotti dopo della preda fatta, né pe’ proprietari del legno ovvero delle merci ((396)).

Le Ordinanze poi della Real Marina, in tutti gli articoli registrati sotto il titolo delle prede, dichiarano formalmente che in tempo di guerra, OGNI BASTIMENTO DI COMMERCIO è soggetto a preda ((397)). Tanto vero che prevedono il caso del legno da guerra predato all'inimico, e dispongono che SARÀ INCORPORATO con quanto gli appartiene alla Real Marina ((398)).

II. Quando ebbero luogo le due cause delle prede de' due leuti, ossieno schifazzi trapanesi, essendo questi meramente mercantili, poiché carichi di formaggi e di acciughe, i padroni di quei bastimenti, Carlo Corso e Giuseppe Adragna, sostenevano appunto che i legni mercantili erano fuori della legittimità della preda. Il Consiglio si versò sopra questa eccezione e pienamente la escluse, con decisione del 21 marzo 1849.

Abbiamo già fatto osservare come questa decisione fosse stata, non meno confermata che lodata da S. M. il Re (N. S.) col rescritto degli 8 di maggio di quell'anno, sicché alle leggi preesistenti si aggiugne la fresca dichiarazione del Sovrano, la quale rifermò in modo indubitabile che la preda specialmente affligge i legni mercantili.

III. Segue la dottrina della scuola.

PARDESSUS scrive: L’obbligo nel quale il capitano si trova di fare un uso frequente di questi documenti ((399)) nel corso della navigazione è soprattutto per evitare, IN TEMPO DI GUERRA, LA LEGITTIMITÀ DELLA PREDA CHE È DI PIENO DIRITTO PRONUNZIATA CONTRO OGNI BASTIMENTO, DI CUI LA PROPRIETÀ ED IL CARICO NON SONO COSTATATI DA ATTI REGOLARI ((400)).

WHEATON aggiugne? Inoltre, e principalmente perché lo scopo della guerra marittima è LA DISTRUZIONE DEL COMMERCIO E DELLA NAVIGAZIONE DELL'INIMICO, sorgente e nervo della sua potenza navale, ne consegue che questo scopo non può essere raggiunto altrimenti che con LA PREDA E LA CONFISCA DELLA PROPRIETÀ PRIVATA ((401)).

E per finirla su questo punto per noi incontrastabile, citeremo tra gli antichi il TARGA((402)), ilPIANTANIDA((403)), loAZUNI((404)): e tra imoderniMASSÈ((405)), edORTOLAN((406)).

Ed è utile ascoltare le parole di questo dotto pubblicista.

In effetto, egli scrive, perché precisamente il mare è libero e non appartiene in proprietà ad alcuno, non si presenta alcun mezzo di nuocere al nemico, analogo a quello della occupazione di territorio, e che non si può altramente usare di conseguente che sopra i legni che vi si trovano. Ugualmente là, dove il nemico à un diritto di proprietà territoriale, gli sì pone ostacolo, mediante i occupazione,. all'esercizio di questo diritto di proprietà: del pari sul mare, dove non sta, come per tutti gli altri stati che un diritto di USO, SI CERCA PER MEZZO DELLE FORZE NAVALI DI METTERE OSTACOLO ALL’ESERCIZIO DI QUEST’USO ((407)).

KLUKBERtiene la stessa opinione del WHEATON,dell’ORTOLAN, e degli altri ((408)).

D. ultimo, passando alle leggi di eccezione per gli affari di commercio, pubblicate dopo la legge del 12 di ottobre 1807 e dopo le Ordinanze del 1° ottobre 1818, troviamo manifestamente sancito ciò che à formato il subbietto della meditazione dei dotti.

Le leggi patrie ritengono la preda sopra i bastimenti di commercio e mercantili ((409)).

E lo stesso dispone il codice sardo ((410)); sicché non torna più la necessità di parlarne.

§. II. Basta il solo tempo di guerra, e non il fatto di guerra
per legittimare la preda

La legge del 1807, che traduce le diverse leggi francesi, a cominciare dall'ordinanza di Luigi XIV del 1681, dichiara la buona preda, durante lo STATO DI GUERRA ((411)). Le Ordinanze generali della Real Marina nell’articolo 1° si esprimono in questi formali termini: IN TEMPO DI GUERRA ogni bastimento di commercio sospetto che s’incontri in mare... si visiti e si arresti. Passano le Ordinanze a provvedere negli altri casi delle prede e delle riprede, e sempre sotto la stessa esclusiva ipotesi del TEMPO DI GUERRA.

Quel rescritto degli 8 maggio 1849, che più volte abbiamo rammentato, confermatore della decisione profferita a causa dei due leuti trapanesi, avvalorò il principio, che non nel fatto di guerra, ma che nel tempo di guerra la preda si poteva verificare. Non in arie, sed tempore belli. In vero, quei legni non avendo obbedito alla prima chiamata loro diretta dalle Regie fregate l'Antelope ed il Ferdinando II., furono catturati, senza combattimento o resistenza alcuna. Il Consiglio dichiarò la buona preda, e S. M. si compiacque dello avviso e ne lodò i principi. Il Re dunque à deciso Sovranamente che non occorre lo scontro guerresco, ma basta che corra il tempo, in cui fervono le ostilità.

Anche in antico la cosa è stata intesa sempre cosi come noi la esponiamo. Il Reggente de Marinisriferisce, che nel 1528, sotto l’imperator Carlo V, fu dichiarata legittima la preda fatta di una nave mercantile di nazione fiorentina nel golfo di Gaeta, sol perché in quel tempo i fiorentini non avevano riconosciuto quel Cesare per Re delle due Sicilie, e si eran collegati col Pontefice romano e con la repubblica di Venezia contro di lui ((412)).

Il PIANTANIDAnella sua recata definizione ammette la legittima preda sotto il pretesto di guerra; ond'è che per lui non si desidera neppur chiara e specchiata la condizione dell'effettivo tempo di guerra.

Lo AZUNIe tutti gli altri scrittori, da noi mille volte citati, insegnano esser la preda l'impossessamento di un legno nemico o creduto tale esercitato da un belligerante IN TEMPO DI GUERRA ((413)).

Pel Cagliari, ben quadrano le rammentate dottrine.

Il tempo di guerra non è definitivo nel codice diplomatico delle nazioni. Esso può essere di un anno, di un mese, di un giorno. Pel frangente del CARLO ALBERTO, la Francia giudicò legale l'esercizio delle severità imposte dalle leggi contro gl'inimici del regno, tuttoché quel piroscafo appena delineasse un fatto isolato di tentata cospirazione, senza il corredo di praticate ostilità, e spenta sul nascere.

Per la nostra tesi, concorre il requisito importante del tempo di guerra, durato sette giorni, cioè dal 25 giugno, giorno delle offese di Ponza, al 1 luglio, epoca della disfatta di Sanza, nel cui mezzo, 29 giugno, fu predato il piroscafo.

§. III. La dedizione non toglie la legittimità della preda del piroscafo il Cagliari. — Lo stesso non fu mai abbandonato

Le leggi veglianti, le quali escludono il fatto di guerra a giustificar la preda, includono per la bontà di essa anche la resa, ossia la dedizione ed il mero abbandono del legno. Questo principio è legale ed è morale nel tempo stesso: legale; imperciocché quando s’incontra un legno nemico, e questo misurando le sue forze, si determina ad arrendersi, senza combattere, la legge à ottenuto il suo fine; poiché da un lato era nel procinto il legno predatore, e dall’altro, se si è evitata la zuffa, non è stato per lui che non avesse avuto luogo. Laonde il premio dovuto al rischio ed al pericolo incontrato è acquistato dai predatori: morale; imperciocché se si richiedesse assolutamente il combattimento, s’inferocirebbero le truppe a desiderare la mischia come indispensabile requisito della buona preda, e quindi a procurare l’esterminio degli uomini e la distruzione del legno, le quali condizioni diverrebbero necessarie vicende e terribili, tra l’orror della morte e la perdita del guiderdone promesso.

E chi mai nei tempi di civiltà, e nella indeclinabile esigenza delle prede, potrà stabilire un postulato così grandemente offensivo dell'umanità e de' propri diritti? In omaggio degli assunti principi, la legge del 1807 fissa la teorica della legittimità della preda anche senza combattimento e sulle prime chiamate ((414)). Più chiaramente le nostre Ordinanze generali consacrano la teorica medesima nel testo dell'articolo 13 espresso in queste frasi ((415)): RESOun legno da guerra nemico alla nostra bandiera, l'Ammiraglio, o il Comandante de' nostri legni che lo avrà PREDATO, dovrà destinare al temporaneo comando del medesimo l'uffiziale a cui compete, assegnandovi il numero d'individui necessari ad equipaggiarlo. Dunque il legislatore ammette la preda legittima di un legno che si sia reso a quei di guerra della Real Marina, essendo esso stesso guerriero.

Ma quello che noi andiamo dimostrando a priori in forza delle leggi vegliami è avvalorato dalla dichiarazione Sovrana in quell’istesso Reale rescritto degli 8 maggio 1849. 1 due leuti trapanesi, meri legni mercantili e di pochissima considerazione, dopo la prima chiamata, si arresero quando fu loro tirato dalla fregata l’Antelope un colpo a palla, per categorico avvertimento. Vi fu mandata una lancia dal comandante per impadronirsene ((416)): S. M. (D. G.), approvando quello avviso, à ritenuto che la resa, ossia dedizione del legno, rende legittima la preda ((417)).

III. Né differenti sono su questo punto gli scrittori i più famigerati della materia. Gli autori della Enciclopedia insegnano che un vascello PREDATOè quello che si È RESOe che è stato ammarinato ((418)), e aggiungono i sullodati autori che s’intende la preda in questo caso, SENZA TIRAR COLPO.

Il dotto SAVERIN ((419))scrive che la PREDA è la cattura di un bastimento. Si dice che un bastimento è DI BUONA PREDA quando si può arrestare come nemico, o quando porta le mercanzie di contrabbando all'inimico. Primamente non si richiede il combattimento per legittimare la preda sopra un legno qualunque. Secondamente anche che non sia nemico, basta che abbia a bordo oggetti di contrabbando. Ed abbiamo visto di sopra ripetutamente di quali oggetti fosse trasportatore il Cagliari, per conchiuderne della legittimità della preda.

D. ultimo, avvalora e conferma codesto assunto la legge del 12 ottobre 1807. Essa distingue il caso dell’inimico, e dell'amico, allealo, o neutrale.

Pel primo, la resa non altera la legittimità della preda, perché la sua qualità normalmente l'ammette, senza bisogno del fatto dell'attuale ostilità: queste si presuppongono. Sta la regola.

Gli altri, cioè gli amici, gli alleati ed i neutrali divengono inimici e cadono sotto la penale sanzione della legittimità della preda, quando fanno resistenza, o combattono. Per questi sta l'eccezione riposta nell'attualità delle rimostranze ostili.

L’inimico dunque è sempre tale: l'amico lo diviene.

Ecco il tenore dell'articolo XI di quella legge:

Se un bastimento QUALUNQUEnon ammainerà le sue vele, e non metterà in panno, o deriva per attendere il bastimento, che gli dà caccia, dopo che sarà stato da questo chiamato alla obbedienza, potrà esservi costretto colla forza, ed in caso di resistenza o combattimento, sarà di BUONA PREDA ((420)).

§. IV. La preda del Cagliari avvenne in luogo proprio

Il più volte lodato PIANTANIDArende una definizione completa della preda in queste parole:

La presa è un atto con cui SUL MAREed in altro luogo navigabile, per arte o per forza viene preso un bastimento, o carico nemico, o reputato tale per diritto, o sotto pretesto di guerra, da colui che trovasi a ciò abilitato dal proprio Sovrano, e tratto in potere e dominio del prenditore, con animo di tenerselo persuo in libera proprietà, dispogliandone di questa il vero padrone dell'uno e dell’altro ((421)).

La prima condizione adunque è che l’arresto del legno che si preda, avvenga sul mare, o in altro luogo navigabile.

Per noi, la cattura del Cagliari è avvenuta in alto mare, ed a 12 miglia distante dall'isola di Capri verso occidente, cioè nel largo del mediterraneo. E si è riconosciuto nell’esercizio delle prede marittime, al dire di ORTOLANe degli altri pubblicisti di sopra memorati, che qualunque Potenza può praticare le misure di severità e gli usi di guerra, tanto sulle coste del proprio territorio, che in largo mare contro di un bastimento che à commesso alti di ostilità contro di lei. Udiamo al proposito ciò che ne pensano il GOUJET E MERGERsulle guide de' più famosi scrittori moderni:

Ogni Potenza, essi dicono, esercita il diritto della preda marittima, non solamente sulla parte del mare sottomessa alla sua dominazione, che si chiama il suo territorio marittimo, MA PURE SUL PIENO MARE, CHE NON APPARTIENE AD ALCUNO, E CHE È COMUNEA TUTTE LE NAZIONI:il limite dove finisce il territorio marittimo di ciascun paese, e dove comincia il pieno mare è in generale misurato dalla portata del cannone: essa è fissata il più ordinariamente a due leghe dalla costa. Sono di accordo:

VALIN, HLBNER ((422)), FAVARD((423)), MERLIN((424)), ORTOLAN((425)), MERGER((426)).

Si è solo dubitato, se nello spazio delle due leghe dal territorio di una Potenza neutrale sia interdetto, oppur no, di perseguitare il bastimento nemico, che è stato attaccalo in largo mare.

Il MERLIN((427)) edAZUNI((428))) tengono per la negativa.

Il CASAREGIS ((429)), BESOLDO((430)), e LOGGENIO((431)) pensano affermativamente.

Come ognun vede codesta dottrina, mentre non osta alla tesi che sosteniamo, vi apporta maggiore conferma, sì perché la cattura del Cagliari è avvenuta in pieno mare, e sì perché manca il territorio della Potenza neutrale, al quale si fosse il piroscafo riparato.

E per compiere la dimostrazione, memoriamo che anche in un luogo navigabile può succedere la preda legittima: ed il quale luogo può essere anche un porto.

Ascoltiamo lo stesso AZUNI: IL PORTO,egli dice, è un sene di mare rinchiuso o naturalmente, o dall’arte, capace a ricevere e contenere più navi, ed in cui restano esse al coverto dai venti, onde poter caricare le merci ((432)).

La definizione però dello AZUNIvuol essere rischiarala da lui stesso, in quanto che debba intendersi il porto annoverato precisamente tra i LUOGHI NAVIGABILI. Egli soggiunge ((433)): che l’uso de' mari per la NAVIGAZIONEà reso anche necessario L'USO DE' PORTI,qual è pubblico e procedente dal diritto delle genti; laonde è permesso A QUALUNQUE NAVE DI APPRODARVI, purché sia munita delle opportune spedizioni che la qualificano amica. Dice in seguito, che la nave, quando approdi in un porto deve postarsi, ormeggiarsi, e dar fondo nei siti destinali e serbare le prescritte distanze, a seconda della sua qualità e della sua portata ((434)). L'illustre scrittore cita un' infinità di autori a conferma del suo dello. Intanto è bello avvertire come la' sapienza romana più laconicamente, e più pienamente avesse definito il porto: portus appellatus est,scrive ULPIANO, conclusus locus, quo IMPORTANTUR merces, et inde EXPORTANTUR((435)).

Ora, per la sentenza del giureconsulto ed a credere de' dotti, non si può immaginare che il porto non sia luogo navigabile; imperciocché, approdare, stanziare in luoghi diversi, e poi riescir dal porto a riguardo di navi e di legni di diversa qualità e portala, significa navigar sul mare in quel luogo, più o men capace che sia.

E di fatti, nello stesso porto si distinguono diversi siti di maggior custodia dei legni, e si pagano al Governo i diritti fissati per goder delle stanze più riserbate, nello scopo di evitare rischi, danni e naufragi. Ed il danaro che si paga costituisce il secondo privilegio sopra i bastimenti e legni di mare: sono privilegiati.... i diritti di pilotaggio, tonnellaggio, scalo, ancoraggio, darsena e mandracchio ((436)).Spiegando La terminologia marina, sugl'insegnamenti di tutti gli scrittori commerciali: ancoraggio è il diritto che si percepisce da qualunque nave straniera per tenersi ferma in un PORTO o in una rada. Darsena è quel dritto che si percepisce per la stazione delle navi nella parte più interna di un PORTO: Mandracchio è pure un' esazione di diritto che si fa sui bastimenti stanziati in un luogo rinchiuso più sicuro dai venti ((437)).

Dunque nell'istesso porto vi è un luogo più sicuro, ed un luogo sicurissimo per evitare il nocevole predominio de' venti, e di conseguenza de' marosi che essi producono. Il che significa che il porlo, indipendentemente dalle dottrine degli scrittori, è luogo tanto navigabile, che un legno vi può naufragare per tempesta, come naufragherebbe in alto mare in mille guise e per mille cause. E noi abbiamo visto di frequente perdere legni di allo bordo dentro il porto di Napoli. Ond'è che il porto, il seno, la rada, il golfo sono tutti luoghi navigabili; imperciocché dovunque vi è mare vi è navigazione e navigabilità.

Ecco perché la prima legislazione marittima che si sia mantenuta per molti secoli, cioè a dire il Consolato del mare, ammette la ripresa nelle giurisdizioni straniere, E IN LUOGO AI DETTI NEMICI SICURO ((438)). Ed ecco perché la scuola è uniforme nel riguardare legittima quella preda che si faccia ne’ PORTI NEMICI, appena dichiarate le ostilità, e non già nei PORTI DI POTENZA NEUTRALE. Noi per non sopraggravar questo lavoro, rimettiamo i nostri lettori sopra questo punto, che è fuori di controversia, al CASAREGIS ((439)), al GROZIO ((440)), al VALIN ((441)), al PUFFENDORFIO ((442)), all'HAEREN ((443)), all'EMERIGON((444)), allo AZUNI((445)); infine al MASSE((446)).

La biologia dei principali marini di Europa, che contiene in sé la istoria degli avvenimenti bellici marittimi, depone dei maggiori premi che ànno avuto coloro che animali da un coraggio generoso, superiore ai palpiti dello spavento e sprezzatore di un qualunque pericolo, furono ardimentosi per entrare nei porti nemici, e predarono i legni, ad onta della protezione valevole dei forti e de munimenti di difesa.

<307695_438511063"> §. V. La preda del Cagliari è stata fatta dai predatori, con animo di appropriarsene, serbando legittima procedura

L’animo di far proprio il bastimento predalo è l'elemento giuridico che le leggi richiedono per rendere il trovatore di una cosa padrone della stessa pel mezzo della invenzione, seguila questa dalla occupazione, col riscontro di volerne acquistare la proprietà: cum animo sibi habendi ((447)).

Cotesto riscontro si verifica pienamente nella specie che ne intrattiene.

I legni da guerra che furono spediti dal Real Governo, ebbero e compivano la missione di catturareil Cagliari.

Le due fregate, il Tancredi e l’Ettore Fieramosca formarono la crocieraa tale oggetto.

Allorquando fu scoperto quel piroscafo, quelle fregate si disposero in pieno ZAFFARANCIOdi guerra, e fu battuta la GENERALEa bordo delle medesime: di quel legno appunto ANDAVANO IN CERCA.

L’Ettore Fieramosca prese a rimorchio LA PREDA, che à nome il Cagliari.Tutto ciò è registrato nel giornale di navigazione del Tancredi ((448)).

Nel secondo rapporto del Retro Ammiraglio Roberti del 3 luglio 1857, e nel verbale di cattura del 29 giugno dello stesso anno, più volte si ripetono le frasi: LEGNO PREDATO: legno ARRESTATO,del quale si andava in cerca: legno catturato e simili ((449)).

Lo incarico, i fatti, le operazioni, gli apparecchi guerrieri, i detti e gli scritti, pienamente mostrano nei predatori la decisa volontà di PREDARE IL PIROSCAFO; e perciò di farlo proprio.

Se dubbio vi fosse, lo dileguerebbero i procedimenti serbali dai predatori, ed i quali non sono prescritti dalle Ordinanze di Marina, che nei precisi casi di PREDA, di cui è conseguenza il dominio del bastimento predatoche passa ai PREDATORI, i quali se ne ripartiscono il valore, dopo la dichiarazione di legittimità pronunziata dai giudici competenti ((450)).

E qui si avverta, che nel linguaggio delle ricordate Ordinanze L’ARRESTOè sinonimo della PREDAdel legno ((451)).

Quanto trovasi disposto dalle medesime Ordinanze per gli atti di rito, tanto si è scrupolosamente osservato dagli Uffiziali della nostra Real Marina. Ed essi, con maggior senno provvidero alla estrema sicurezza del piroscafo predato, avendolo trascinato a rimorchio. A questo modo si supplì a soperchianza il prescritto dell'articolo 9, poiché in nissuna guisa e per nissun caso poteva evadere il Cagliari dalle sue custodie. E poi l'inchiodamento dei boccaporti e dei camerini non reca nullità dell'atto di preda.

D. ultimo, così strettamente assicurato, il Cagliari fu trasportato nel nostro porto militare, nel quale si apposero i suggelli, e si passò in seguito al di lui solenne e minuto inventario in molli verbali, nei quali, oltre a quelle di Marina, intervennero le Autorità diplomatiche, di dogana e di polizia giudiziaria.

D. tali documenti soltanto l’attrice fa uso in giudizio, senza profittare lontanamente delle istruzioni penali.

§. VI. Le istruzioni praticate pel giudizio di preda
sono state legittimamente compilate

Imperano sulla materia le seguenti disposizioni di legge:

Allorché una preda marittima fatta, tanto da' bastimenti della marina reale, che da quelli armati in corso sarà condotta in uno de' porti, o delle rade del nostro regno; il primo uffiziale di amministrazione di marina del detto porto, ed in mancanza, quello del porto più vicino, in seguito della commessione in iscritto, che nelle 21ore ne riceverà dall'Ufiziale di marina in comando nel porto medesimo, sarà incaricato dell’applicazione e della verificazione de' sigilli a lordo de' bastimenti predati, dell’esame de' testimoni, dell’inventario delle carte trovate a lordo del legno, di ricevere i rapporti, le dichiarazioni, ed assicurazioni con giurarmento, e di tutta la parte informativa, sarà egli assistito in tali processi dal primo commesso di dogana, e chiamerà a sé un procuratore degli equipaggi predatori; tutte queste operazioni saranno precedute da quelle, che il Tribunale di salute crederà convenire all’occasione, e vi saranno scrupolosamente, subordinate, durante il tempo della contumacia ((452)).

Le decisioni del Consiglio non potranno eseguirsi se prima non sieno state munite della Nostra reale approvazione ((453)).

Un decreto particolare determinerà la procedura da serbarsi innanzi alle Commessioni ed al Consiglio delle prede marittime ((454)).

Finché non sarà da Noi pubblicato il decreto richiesto dall’articolo 13 della mentovata legge de' 2 di settembre 1817, la procedura presso le Commessioni di prima istanza e presso il Consiglio delle prede marittime sarà regolala in conformità di quella stabilita per lo contenzioso amministrativo, colla legge de' 23 di marzo 1817 ((455)).

Nel t.° ottobre 1818 si pubblicarono le Ordinanze generali della Real Marina, e nella prima parte del 1.° volume sono anche descritti i doveri dei comandanti di squadra nell’incontro di legni nemici, o nazionali.

Nella seconda parte, al titolo XXIII, sono stabilite le operazioni istruttorie che debbono compiere i comandanti dei reali legni predatori.

Codeste disposizioni delle Reali Ordinanze tengono per compimento quelle dei due statuti penali; il primo per l’armata di mare, ed il secondo esclusivamente militare.

Nello statuto penale per I armata di mare sta detto cosi:

Tutt'i casi non preveduti nel presente statuto, saranno regolati COLLE DISPOSIZIONI CONTENUTE NELLO STATUTO PENALE MILITARE ((456)).

Nello statuto militare poi, al titolo primo del libro secondo con la epigrafe, della polizia giudiziaria militare, si leggono i seguenti precetti:

Le funzioni della polizia giudiziaria militare comprendono le provvidenze istantanee, e l’istruzione preparatoria del giudizio ((457)). Sono considerate PROVVIDENZE ISTANTANEE LE SEGUENTI:

1.° Impedire la fuga del delinquente colto nella flagranza o quasi flagranza dell'atto criminoso.

Dicesi essere in FLAGRANTE DELITTOcolui che è sorpreso, mentre commette l’atto criminoso, o viene inseguito dall’offeso come autore del reato.

In QUASI FLAGRANZAè colui che è inseguito dalle grida del popolo, o che in tempo e luogo vicino al reato militare è trovato aver presso di sé effetti, armi, istrumenti, o altri oggetti o segnali valevoli a farlo presumere autore del reato.

2.° Procurare che dall'atto criminoso o dall'attentato non nasca danno imminente o ulteriore.

3.° Raccorre le prove che emergono, o vengono sull’istante somministrate da qualunque persona.

4.° Assicurare che non periscano le pruove che risultano dalle tracce lasciate dall'atto criminoso, e dagli oggetti che vi anno rapporto.

5.° Formare atto della dichiarazione del ferito, in caso d’imminente pericolo di vita.

6.° Interrogare l'imputato prima che entri nelle prigioni ((458)).

§. VII. Riflessioni opportune sui riferiti testi di legge

Sono regole imprescindibili, perché consentite dalla ragione, quelle che qui notiamo:

Non est novum, UT PRIORES LEGES AD POSTERIORES TRAHUNTUR ((459)):

Ideo, quia antiquiores leges ad posteriores trahi usitatum est: et semperquasi hoc legibus inesse credi oportet, ut ad eas quoque personas, et ad eas res pertinerent,QUAE QUANDOQUE SIMILES ERUNT ((460)).

SED ET POSTERIORES LEGES AD PRIORES PERTINENT: nisi contrariae sint: idque multis argumentis probatur ((461)).

Dalle sentenze che esprimono cotesti responsi, non lice dubitare che le diverse disposizioni legislative, di sopra riferite per tenore, ottimamente avvalorano il nostro assunto, relativamente alla rituale legittimità della istruzione compilata per ordine del RetroAmmiraglio, cavalier Roberti in occasione della preda del Cagliari.

Evidentemente il decreto del 30 agosto 1807, fondatore del Consiglio delle prede marittime, si occupa della compilazione delle pruove, che debbono formare il processo in rincontro di preda. E chedi compilazione istruttoria si tratti, si raccoglie dalle espressioni testuali dell’articolo 6 di quel decreto e dal parere del Consiglio di Stato del 15 giugno 1813, il quale correggendo la parola giudizio, di cui fa uso l'articolo 11 del decreto medesimo, vi sostituisce la parola istruzione.Ed aggiunge che la surrogazione si accorda col testo dell'articolo 13 del decreto del 6 germinale anno VIII, pubblicato in Francia, il quale fu trapiantato nelI’ articolo 11 del nostro decreto.

Le posteriori disposizioni, contenute nell'articolo 1.° del Real decreto del 31 maggio 1826, non derogano al disposto dell'altro Real decreto summentovato del 30 agosto 1807, dappoiché si limita il legislatore ad indicare soltanto le forme del rito, le quali debbono essere quelle contenute nella legge di procedura del contenzioso amministrativo, che vanno provvisoriamente osservate nei casi di giudizi di prede. Nulla dice, e perciò rimane intatte tutte le provvidenze registrate nel preminato articolo 6 del decreto del 1807, che compongono e fissano gli elementi del processo militare nei casi di preda.

Le Ordinanze generali della Real Marina del 1818, mentre surrogano agli uffiziali amministrativi la nuova organizzazione contabile della stessa, il cui capo è l’Intendente generale, neanche derogano ai disponimenti del decreto del 30 agosto 1807, e soltanto aggiungono a quelli, altri atti da compiere, e si vedono prescritti dagli articoli 7 e seguenti del citalo titolo XXIII delle più volte rammentate Ordinanze.

La ultimo, dai due statuti penali, militare e dell’armata di mare, e che sono posteriori alle stesse Ordinanze generali, vengono attribuite le provvidenze istantanee di polizia giudiziaria militare a tutti coloro che si trovano in grado di dovere istruire per reato, e del quale i vestigi, le tracce, le memorie e le pruove possono facilmente disperdersi, se non si accorre a raccoglierle nel momento stesso del fatto accaduto.

E le funzioni della polizia giudiziaria precisate dall’articolo 107 dello statuto militare, sono analoghe, comunque se ne allontanino in qualche parte, all'articolo 8 delle leggi di procedura nei giudizi penali, nel quale è primaria attribuzione della polizia giudiziaria comune, raccogliere le pruove dei reati che si dicono commessi. '

Nella giureprudenza patria evvi un simiglievole esempio nella causa della ripreda del Vesuvio, di proprietà della compagnia di navigazione a vapore fondata nel regno delle due Sicilie, conchiuso con decisione del Consiglio delle prede del 12 di giugno 1849, approvato da S. M. il Re (N. S.) con Reale rescritto del 10 gennaio 1850, di sopra memorato e riferito per tenore..

Nella istruzione di quel processo, la deposizione di lutto l'equipaggio mercantile fu raccolta da un uiliziale destinato a questo oggetto: le dichiarazioni di un tal Mommi, maestro di casa del piroscafo, e del macchinista Dunkan furono raccolte, la prima da un notaio, e la seconda dal viceconsolo inglese residente in Milazzo, senza le formalità del giuramento.

Nella specie che ne occupa, i procedimenti rivestono un carattere di assoluta legittimità; dappoiché tutte le dichiarazioni e deposizioni sono state raccolte dagli uffìziali della Real Marina per delegazione fattane dal Comandante Supremo de' legni predatori, coll'assistenza del cancelliere, e sono tutte munite della forinola del giuramento.

Ed invero, in un fatto di mare qual è la preda, che si verifica in altura; nel quale rincontro vi possono essere morti, o feriti per resistenza o combattimento avvenuto, sarebbe un impossibile fisico, più che legale, che tutt’i fatti, tutti i deposti e tutte le pruove si passassero davanti a funzionari diversi da quelli che sono sopra i bastimenti predatori.

DIVISIONE II

PRINCIPI B REGOLE INTORNO ALLA GUERRA MISTA

In quest’ultima fatica, noi non ripeteremo i fatti già narrati copiosamente nella prima parie di questo discorso; e tanto menò ritorneremo sopra l'indole degli avvenimenti, caratteristici di completa guerra intestina e di pirateria. Solo c’intratterremo ad assembrare le dottrine che ammettono e riconoscono la guerra mista, e ritengono esercibili gli usi che questa reclama, pari a quelli della guerra solenne.

E poiché il corpo del diritto romano à trasmesso alla civiltà moderna un tesoro di sapienza, dal quale i nuovi ingegni àn tratto gli elementi ed i germi fecondi delle loro meditazioni, tanto in dritto pubblico che privato, si rende indispensabile dovere di ripigliare da quelle origini il filo storico e la serie dottrinale della materia delle guerre miste e del diritto di preda, affine di riescire nell'arduo divisamente di poter prospettarne il nascimento, il corso, le fasi e Io stato attuale in cui esse si trovano.

CAPO I

Sistema giuridico del diritto romano sulle quistioni che ne impegnano.
§. I. Valore comune della parola HOSTIS.

1.° La voce HOSTIS ebbe un doppio significate: il primo giuridico ed originario; il secondo politico e derivate. Quello mosse dal governo primitivo di Roma; queste nacque dalle condizioni accidentali, nelle quali soventi volte si ritrovò costituita quella repubblica.

Roma ebbe un ordinamento tutto proprio ed esclusivo, diverso e contrario alle istituzioni delle altre città che la circondavano; sicché l’uomo romano, detto quirite per eccellenza, nulla ebbe mai di comune con gli uomini del mondo, nei suoi rapporti politici e civili.

2.° La è questa una verità inoppugnabile; base e fondamento di un retto giudizio sulla intelligenza sincera del diritto romano ((462)). Di vero, il sistema giuridico di Roma identificato col sistema governativo che lo informava, riposava sulla ragion patrizia e sacerdotale, cardini della patria potestà: nihil nisi auspicato Romae gerebatur: patria potestas ex iustis nuptiis.Cosicché Roma antica presenta alle meditazioni del giureconsulto lo insieme di tante società indipendenti, per quante erano le famiglie che la componevano; fusa ciascuna di esse e personificata nella supremazia unica del capo di famiglia. Questi pel fatto della generazione naturale si disse pater, per la dipendenza servile si chiamò pater familias, e per l'influenza giuridica si disse patronus.Ebbe nella potestà figli e servi; nella mano la moglie; nel mancipio gli uomini liberi, caduti in servitù pel nesso del debito insoddisfatto ((463)).

3.° La patria potestà di cui esclusivamente si rimpronta il diritto romano, era propria dei suoi cittadini, incomunicabile ad altri nella sua integrità, nei suoi effetti e nelle sue conseguenze ((464)): ius autem potestatis quod in liberos habemus PROPRIUM EST CIVIUM ROMANORUM; nulli enim sunt homines qui talem in liberos habent potestatem, qualem nos habemus ((465)). E di necessità doveva rispettarsi cotesto principio assiomatico e capitale, giacché lo stesso diritto civile non era promiscuo con gli altri popoli della terra, e si riteneva come di contrapposto e di rilievo antagonistico col diritto delle genti, sino al punto estremo di chiamare gli uomini non romani, nemici per natura e per nascita, ((466)).Quod quisque populus(rammenta GIUSTINIANO) ipse sibi ius constituit, id IPSIUS PROPRIUM EST cirratis, vocaturque ius civile QUASI IUS PROPRIUM ipsius civitatis. Quod vero naturalis ratio inter OMNES HOMINES CONSTITUIT, id apud OMNES POPULOS peraeque custoditur, vocaturque ius gentium QUASI QUO IURE OMNES GENTES UTUNTUR ((467)).

4.° Or lo statuto politico di Roma riconobbe la teoria della legale servitù, e della quale ne assegnò e ne definì le giuste cause. Il concetto giuridico della servitù romana era singolare e tremendo. Singolare, perché nel punto medesimo che il servo difettava completamente di qualunque capacità, e si stimava come cosa materiale del padrone, e del quale poteva costui abusarne per effetto del suo eminente dominio, nullameno era inspirato dalla capacità civile di lui, in modo che validamente a lui acquistava per atti distrattivi e per atti dispositivi ((468)). Tremendo, perché figurava fisicamente tra gli uomini, ma non aveva sede civilmente tra i romani. Egli era un oggetto passibile delle voglie e dei capricci di un tiranno domestico ((469)).

Per ragion dei contrari, preziosa, invidiata e protetta fu la causa della ingenuità, su di cui si ergeva il grandiosa edifizio del pieno stato civile del cittadino romano ((470)).

§. II. Continuazione

1.° E lo statuto di speciale di servitù invalso in Roma per principi organici della sua fondazione fu necessaria conseguenza dello scopo politico ed insieme maraviglioso del suo governo originario. I rigeneratori della oligarchica società dei sette colli, addimandarono nemici (hostes) gli uomini di diverso lignaggio e di diversa nazione, per distruggerne la esistenza morale e soggettarli al proprio dispotismo.

Il sistema d‘ingrandimento, per la via di distruzione dei popoli circostanti fu canone antico ed inalterabile della gelosa cupidigia di quelle moltitudini superbe e conquistatrici. Il non esser romano volse come titolo legittimo alla guerra ed alla servitù pei bellicosi quiriti. CICERONEloda l'indicato ordinamento nella difesa di Cornelio Balbo con queste frasi: Illud vero sine omni dubitatione, maxime nostrum fundavit imperium, et populi romani nomen auxit, quod princepsille,creator huius urbis Romulus faedere sabino docuit, etiam HOSTIBUS recipiendis augeri civitatem oportere((471)). DIONIGIdiALICARNASSOe TACITO ripetono lo stesso ((472)).

Le cose riferite dai classici accadevano, se volontieri o per patto i popoli stranieri convenivano in Roma. Ma quando si usava la forza, allora i presi nel campo erano costituiti nell'infelice stato di servitù. Ed era necessario e ragionevole annullare l’altrui personalità, identificandola con quella del cittadino romano, per aver modo di reggere e contenere turbe numerose di uomini liberi e forti, travolti in vittime di fortunati ed inesorabili vincitori. Questa idea verissima la rileva maestrevolmente NICCOLÒ MACHIAVELLI ((473)), memorando il grave detto di TITO LIVIO; crescit interea Roma Albae ruinis ((474)). Ond'è che CATONEscambiava la parola servo con nemico: quot SERVI,tot hostes ((475)), e GIUSTINIANOdice, che i servi si chiamano così perché presi prigioni dai condottieri degli eserciti per vendersi ((476)).

2.° Dopo le ragioni discorse, possiamo ripigliar di errore gravissimo coloro, che nel diritto delle genti della moderna Europa volessero trarre le conclusioni ragionevoli dalle dottrine della servitù romana, e dagli usi di guerra relativi a questa materia, nel punto che oggi quei principi sono inutili, perché la servitù è abolita. E dato per poco che esistessero in vita, essi sarebbero inapplicabili al diritto delle altre nazioni, essendo di creazione eccezionale e limitatamente adatte al diritto civile, affatto esclusivo di Roma e dei figli suoi.

Dal genere si discende alla specie; dalla regola alla eccezione, ma non mai, con metodo prepostero ed illogico, dalla specie si deduce il genere, e dalla eccezione si desume la regola. Queste avvertenze che qui anticipiamo, faranno la censura degli assunti di Ugo GROZIOe dei suoi seguaci.

§. III. Decadenza della voce HOSTIS dal suo significato originario

Col volger degli anni, e per certa illazione della politica espansiva delle romane istituzioni, HOSTIS, decadde e scemò dalla eminenza del suo concetto originario. Slargò Roma il suo sacro recinto, ed i nati altrove cominciarono per prendere in quella città privilegiata, a brano a brano e per frazioni, la capacità, il godimento e l’esercizio dei diritti civili. L’enorme distacco che separava il quirite cittadino e l’HOSTIS fu riempiuto dai municipi, dai latini, dai soci, dai coloni, dagl’italiani, dai peregrini. E tra gl’¡stessi soci, i federati, i prefetturali. E tra i peregrini, quelli di certa, o d’incerta città ((477)).

Cotante diverse classi di uomini stranieri seguirono l’orbita della indolcita civiltà di Roma. Di esse, alcune godevano della piena cittadinanza, gaudebanl iure honorum et suffragii ((478)); altre godevano di parte dei diritti civili; altre infine si adornavano di mezzana civiltà: gaudebanl iura tantum civitatis, commercia scilicet et connubii. I primi adunque godevano dei diritti civili e politici: gli ultimi dei soli civili ((479)). Da ultimo cessarono tante differenze, allorché a tutto l'orbe romano fu conceduta la piena cittadinanza da ANTONINO CARACALLA ((480)).

Fin qui abbiamo disputato il significato giuridico ed originario della parola HOSTIS; svolgiamone di presente la virtù politica e derivata.

Scomparsa la diversità essenziale delle generazioni, la voce HOSTIS prese nome e valore dal fatto e dalle condizioni accidentali per cui alcuno, o molti eran messi in presenza della società romana. L’ideale e lo astratto piegò e s’inflesse al reale ed al positivo. L’instante impressione della forza fìsica predominò sul concetto morale. Fu allora che la parola HOSTIS nel linguaggio augusto, classico e giuridico valse ad esprimere il turbatore, l’infesto, il distruttore, infine l’inimico dello Stato. E poiché le leggi inflessibili, delle quali l’Onnipotente improntò la natura e la umanità, son vere ed immote in tutti i tempi, in tutti i luoghi, tra tutti i popoli, tra tutti gli uomini; si distinsero gli effetti graduali della forza fisica, ed in proporzione della loro intensità si definirono le teoriche di diritto sull'accezione del vocabolo, HOSTIS.

Si ponderò il fatto dei contumaci alle leggi, ma reprimi bili per autorità delle stesse, e si chiamò quel fatto, dissensio civium, vel crimen turbata# ripublicae, laesio reipublicae, semplice rivolta. Si valutarono i gradi di progresso della rivolta, arrivati al supremo punto da sottrarre i ribelli all'unico ed antico potere sociale, e di ergerli, organati e minacciosi, contro la costituita Maestà dello impero, e si appellò quel fatto, non più dissensio, ma bellum civile, sive intextinum, guerra mista, o civile. Si misurò quel fatto procedente da popolo parimente ordinato e riconosciuto a libero stato, e quel fatto si addimandò, bellum publicum, iustum, sollevine.

Adunque la moderna teoria del fatto politico compiuto e consumato, che involge ed inchiude la legalità del diritto, è dottrina vetusta del senno del mondo antico ed anche della sapienza romana. Conseguenza sicura di cosiffatte premesse fu la significazione univoca della parola HOSTIS, applicata legalmente al nemico pubblico in guerra giusta, al nemico privalo in guerra civile, ed al nemico della pace comune, nella semplice rivolta. Rimase soltanto ai dotti il carico di saper discernere il grado, la intensità, ed il momento supremo, al quale fosse pervenuta la via di fatto, per conchiudere, se mai si fosse nel caso, meglio della dissensione, che della guerra civile, per quindi niegare o concedere lo ingresso alla teoria degli usi di guerra, tra i quali sta quello della preda.

§. IV. Valore della parola HOSTIS, nel linguaggio classico

Nel linguaggio classico, HOSTIS, significò, dapprima l'inimico, anche quando non appartenesse a potenza straniera, ma sol che avesse governo organato, tribunali ed erario: ilio inimicus, HOSTIS est, diceva CICERONE, qui habet rempublicam, curiam, aerarium, consensum, et concordiam civium, et ralionem aliquam, si res ita tulit, pacis et faederis ((481)).

Significò dappoi, pure il traditore, il perduellione.Perciò disse TERENZIO VARRONE: Multa verba aliud nunc ostendunt, aliud ante significabant: ut HOSTIS, nam lune eo verbo dicebant peregrinum: qui suis legibus uteretur; nunc dicunt eum QUEM TUNC DICEBAKT PERDUELLEM ((482)).

E lo stesso CICERONE ((483)): Equidem enim illud etiam animadverto, quod qui proprio nomine perduellis esset, is HOSTISVOCARETUR,lenitate verbi, tristitiam rei mitigante. CICERONEmedesimo chiama hostesi semplici ladri di mare: nam pirata non es ex perduellium numero definitus, sed communis HOSTIS omnium ((484)). E soggiunge: HOSTIS enim apud majores nostros is dicebatur, quem nunc PEREGRINUM DICIMUS ((485)).

È così vero che la virtù radicale della parola vien determinata dal fatto e non dal diritto, che si usa anche nel senso d’indicare una ripugnanza a qualche cosa o a qualche obbietto. CICERONE ((486)), QUINTILIANO ((487)), OVIDIO((488)), SENECA((489)), disegnano come uomo disonesto, o ignorante quegli che sia HOSTIS VIRTUTIBUS: HOSTIS STUDIIS.

Il lodato CICERONEdifferenziava con la parola HOSTIS il semplice rivoltoso dal ribelle in guerra civile, in due luoghi segnalati delle sue orazioni ed in due frangenti straordinari della repubblica.

Orando davanti a GIULIO CESAREa favor di Ligario, maestrevolmente lo rimproverava, che SECESSIONEM illam tu existimavisti Caesar initio; non BELLUM,nonHOSTILE ODIUM, sed civile dissidium.

Aggiugne la ragione della sua distinzione; utrisque cupientibus REM-PUBLICAM SALVAM; sed partim consiliis, partim studii a communi utilitate aberrantibus((490)).

Ed arringando poi contro di Catilina, manifesta le stesse idee: civites dissensiones erant hujusmodi, quae non AD DELENDAM, sed commutandam rem-publicam pertinerent… illae omnes dissensiones civiles, quarum nullo EXITIO REIPUBLICAE quaesivit, ejusmodi fuerunt, ut non reconciliatione concordiae, SEDINTERNECIONECIVIUM FINIRENT((491)).

E LUCIO FLOROera inforse, se la ribellione di Sertorio nelle Spagne si dovesse più definire guerra, che dissidio: HOSTILEpotius, an civile bellum nescio ((492)).

§. V. Significato della parola hostìs nel linguaggio giuridico

Nel linguaggio giuridico, HOSTIS, per gli stessi principi fu medesimamente definito. PAOLO giureconsulto addimanda prettamente HOSTIS il tumultuoso ed il ribelle: defectores HOSTESesse usque eo, ut civitatem amittant ((493)). ULPIANOinsegna lo stesso pel reo di mero delitto di crimenlese: qui perduellionis reus est HOSTILI ANIMO ADPERSUS REM PUBLICAM, PEL PRINCIPEM ANIMATUS EST ((494)). Finalmente il diritto Bizantino, in caso di preda bellica, ritiene HOSTIS sinonimo di avversario ((495)).

Non dalla lingua latina adunque, rimasa interprete e svelatrice dei riposti arcani delle scienze, ma dall'indole ideologica dell’idioma bellissimo italiano debbe attingersi il valore comune della parola inimico del regno, adoperata nell'articolo 1 della legge del 12 di ottobre 1807. Cotesto valore si determina dal riflettere e ponderare lo scopo delle pratiche, dei fatti e dei procedimenti di un uomo nazionale o straniero, il quale col favore di quelli offenda o i privati o un governo. In questa ultima ipotesi egli agogna a scuotere ed impadronirsi del potere governativo, e perciò sul riflesso dell'adeptione causae publicae, diviene senza dubbio, nemico del regno.

2.° La parola HOSTIS valse a significare lo straniero autonomo, peregrinus suis legionis vivens, sicché in antico, straniero e nemico espressero la stessa cosa. Dappoi, col correre degli anni, additò il pubblico nemico, perduellis, il quale hostili animi adversus rempubblicam VEL PRINCIPEManimatus est, a parere di ULPIANOgiureconsulto ((496)). Quindi nelle succedenti età, il perduelle fu detto HOSTIS publicus, a sentimento di TERTULLIANO ((497)).

D. qui soventi volte emanarono i decreti del Senato Romano, rammentati dal giureconsulto PAOLO nella L. V. ff. de carpite minutis, che dichiaravano hostes i ribelli dello stato, defectores, fino a rapir loro la cittadinanza, usque eo ut civitatem amittant. Le formole dei quali decreti veggonsi conservati dalle strenue cure del BRISSONIO. ((498)). Così i voti del Senato gridavan Vitellio, hostem et parricidam((499)).

Così reggendo Severo lo scettro dell'orbe Romano, il ribelle Negro di conserva con Emiliano, veniva appellato HOSTIS, comechè suddito dell’impero ((500)). Così Sallustio,se addimandava latrones i cittadini cospiratori con Catilina, li appellava pure ad un tempo hostes ((501)). Così Cesarechiamava hosles gli avversari nelle guerre civili ((502)). Così da CICERONE il pirato veuiva appellato communis HOSTIS omnium((503)). Così la voce HOSTIS, fatto sinonimo di inimicus, e di adversarias, fu adoporata promiscuamente nel diritto ((504)). Così da ultimo nella codificazione de' Basilici, dov'è parola dell'occupatio bellica, non fu adoperata nel greco idioma la voce corrispondente al vocabolo latino HOSTIS, ma l’altra che si addice alla voce inimicus ((505)). È certo, dappoi che fatta adulta la civiltà Romana, cresciute le relazioni internazionali, spento il cupo sospetto che divideva l’indigeno dallo straniero, atterrato l'egoismo nazionale, che rendeva eterna f autorità del cittadino contro chiunque non avesse comunanza di patria (adversus hostes aetema auctoritas), la voce HOSTIS significò qualunque inimico che attentasse alla Sovranità, e che non potesse opprimersi con le leggi e coi giudici.

L’Impcralor Antoninosegnò il memorabile principio, tramandalo a noi da ULPIANOnella L. XVII D. de statu hominum, della cittadinanza universale a tutte le nazionalità del mondo romano; quindi la primitiva e gretta accezione della voce HOSTIS,non trovò quasi applicazione che nel solo perduellis, inimicus, tolte di mezzo le viete divisioni per le quali tenevasi in luogo di nemico, HOSTIS, solamente colui che non fosse della famiglia dei quiriti. E bene quindi Alberico GENTILEavvisava come la voce HOSTIS,passando a traverso de' secoli, finisce per dinotar chiunque, quo rum gerimus bellum((506)).

E si avverta come, in coerenza agli svolti principi, ULPIANO medesimo nella L. XXIV D. de captivis traesse la definizione de' nemici, hostes, non dalla differenza delle razze o della nazionalità, ma dalla maniera delle ostilità spiegate contro di essi. Egli improntava perciò del nome di nemici, hostes,coloro in generale, quibus publice bellumpopulus Romanus decrevit, vel ipsi populo Romano; e con ampiezza ancor maggiore POMPONIOnella L. CXVIII D. de verborum signi {¡catione comprendeva sotto la generica appellazione di nemici, hostes, tutti, quali che eglino fossero, quibus publice bellum decrevimus. Il carattere adunque di nemico soggettivamente contemplato, secondo i pensamenti di quei due solenni giureconsulti, riposa tutto nel genere di ostilità che essi muovono contro di noi, e che noi di respinta muoviamo contro di loro. Or quando si combattono bande organizzate di faziosi è la nazione offesa che, rappresentata dal suo Capo Supremo, imbrandisce le armi per combatterle; e le ostilità che l’è forza di esercitare, come unico mezzo di repressione, son pubbliche, publice bellum decrevimus.

CAPO II

Intelligenza del responso di ULPIANOcontenuto nella L. XXI ff. de captivis.
§. 1. Quale sia stata la mente del giureconsulto nel suddetto frammento

Il responso di ULPIANOriferito nella legge XXI de captivis et postliminio si mostra contrario e non favorevole alle sentenze che GROZIOe dei suoi seguaci, credettero di ricavarne. E di fatto, un folto stuolo di autori e di autorità chiariscono l’equivoco del GROZIOcaduto sulla confusione di due idee distintissime, cioè dire della causa d’ingenuità, impassibile per cattura nelle guerre civili, e del diritto alle prede, ammissibile ed ammesso anche dallo stesso ULPIANO,e nello stesso frammento, anziché dal diritto delle genti teorico e pratico della repubblica di Roma.

Quel responso è così concepito ((507)): in civilibus dissensionibus, quamvis saepe per eas res-publica laedatur,NON TAMEN IN EXITIUM REIPUBLICAE CONTENDITUR, qui in alteratas partes discedent vice hosiium non sunt eorum, inter quos jura captivitatium aut postliminiorum fecerunt; ET IDEO CAPTOS ET VENUNDATOS POSTEAQUE MANUMISSOS, PLACUIT supervacuo repetere a principe ingenuitatem, quam nulla captivitate amiserant.

Il riferito frammento, senza dubbio, contiene due membri distinti. Nel primo, il giureconsulto espone il caso; nel secondo lo risolve. In quello assume che le dissensioni civili ledono la cosa pubblica, (est crimen turbatae reipublicae) ma non ne minacciano il prossimo esterminio (non tamen in exitium reipublicae contenditur), e che coloro che vi sono implicati non figurano da nemici per quanto riguarda il diritto di servitù. Relativamente a questo diritto, dichiara ULPIANOche chi è preso prigioniero, comunque sia venduto e di poi manomesso dal comperatore, non sente necessità del favore imperatorio per acquistare quella ingenuità, che doveva giudicarsi di non aver mai perduta. ULPIANO in somma, ricorda la massima favorita del diritto romano, cioè dire, che quando non concorreva la causa di giusta servitù, la manumissione, comunque avvenisse, non nuoceva mai alla causa d’ingenuità: aliud est in servitele esse, aliud est servum esse: potest evenire ut aliquis alteri serviat, et tamen sit ingenuus: in multis casibus manumissio non officit ingenuitati ((508)).

La sentenza di ULPIANO,la quale stranamente illuse GROZIO e la sua scuola sta contro e non a favore dell’avversario, dicevamo poco innanzi.

ULPIANOcontempla il solo caso della sedizione semplice, e non già l’altro, nel quale la rivolta fosse arrivata al punto della piena guerra civile, onde ne andassero possibilmente spenti la repubblica e l’imperio. II concetto adunque del giureconsulto si rannoda alla sentenza di CICERONE, che distingueva due maniere di porre in atto i diritti; uno per via di giudizi, l'altro perla forza: sunt duo genera decertandi, alterum per disceptationem, alterum per vim ((509)).

E quando si vuole sviluppare la differenza dell'una e dell’altra guisa di compromesso, ci dobbiamo riferire alle opinioni dei comentatori del responso, i quali riassumono in poche parole la differenza tra l'esercizio di Maestà (jus Majestatis) contro i sudditi semplicemente dissidenti, e l’esercizio d’impero (jus imperii) contro i sudditi organati militarmente ed in aperta forma di belligeranti in guerra civile: UBI LICET EXPERIRI JURE CIVILI, SANE NON LICET BELLO AUT DUELLO. SED UBI NON LICET JURE CIVILI ET IUDICIO, ET AEQUITAS INTERVENIET ALIQUA, SANE LICET VI ET ARMIS. ((510)). E lo stesso GROZIOnon si rifiuta alle conclusioni del CUIACIO, poiché riflette, che comunque sovente sia la guerra civile nocevole allo stato, NULLAMENO LE DUE PARTI NON SI PROPONGONOLA RUINA DELLO STATO ((511)).

È chiaro ed indubitabile che per applicare la dottrina indulgente che proclamano i contraddittori in caso di cittadini in rivolta, si deve discernere il grado, la intensità ed il momento maggiore, al quale sia pervenuta l'aggressione, o la rivoltura per le vie di fatto, per quindi sanamente conchiudere, se mai si versi più nel caso della pura dissensione che della piena guerra civile: e ciò nel fine di niegare o di concedere lo ingresso alla teoria ed alla pratica degli usi di guerra e di preda.

§. II. Ragioni tratte dai pensieri dello stesso giureconsulto

Lo stesso ULPIANOrammenta i principi di diritto protettivi della ingenuità, qualor si tratti d ingiusta causa di servitù, e conchiude che indarno si chiederebbe ciò che non si è mai perduto, piacilit SUPER VACUOrepetere a principe ingenuitatem, quam nulla captivitate amiserant.Ma tutto ciò si avverava nei risultamenti della vendita legale del prigioniero e della posteriore manumissione, nella ipotesi discussa dal giureconsulto, siccome mostrano le sue stesse parole, et ideo CAPTOS ET VENUNDATOS, posteaque MANUMISSOS.

Dunque si trattava di un uomo libero preso e venduto. Dunque ULPIANOritiene il dritto, non solo alla legittima preda, ma pure il legittimo profitto della medesima nelle guerre civili; imperciocché non dichiara la preda e la vendila nulle ed invafide, ma dice, che unicamente la manumissione (conseguenza deli una e dell’altra) non offende la ingenuità. E noi aggiungeremo che il dubbio non poteva essere risoluto altramente, poiché i prigionieri di tal sorta, così legittimamente si vendevano, che di essi stava la garantia redibitoria, e si addimandavano venduti, shò corona militum ((512)). Or se la persona soffriva buona e valida preda nelle dissensioni civili, per testuale disponimento del diritto romano, ne conseguita di non potersi dubitare della bontà e della legittimità della preda sulle cose inanimate del patrimonio e del mondo esterno. Certo che portare diverso avviso varrebbe esorbitare da ogni retto ragionamento. Le stesse risoluzioni si veggon prese dagl'imperatori DIOCLEZIANO E MASSIMIANO nella rivolta della città di Paimira ((513)).

§. III. Compimento della discussione

Non si può argomentare da un ordine di teoriche affatto diverso e speciale, qual è la schiavitù romana (de captivis et ingenuis) a paragone delle cause civili dello acquisto delle cose (de adquirendo rerum dominio): dippiù immensa è la differenza che passa tra lo stato delle persone e la sorte delle proprietà, prospettate conforme alle norme del diritto civile privato, col destino del dominio delle cose, per virtù dei pronunziati e delle regole normali dettale dal diritto delle genti, ad occasione di aggressioni piratiche e di guerra civile dirette contro la legittima ed imperante Sovranità dello Stato.

Alla legge XXI ff. de captivis può stare accanto la legge IV, codice de ingenuis. Dal responso di ULPIANOracchiuso nella prima delle due leggi si deduce, che la prigionia nelle dissensioni civili e la vendita de' prigionieri, non offendeva la originaria ingenuità dei natali di costoro.

Dalla costituzione imperiale di DIOCLEZIANO E DI MASSIMIANO contenuta nella seconda legge si ricava, che dessi restituivano alla ingenuità dei natali il cognato di un tale Agrippa, preso tra le fazioni civili della città di Paimira, eccitate da ODENATOe da ZENOBIA, e vinte da AURELIANO.

Ma se le due leggi in fatto di discordie civili stabiliscono una eccezione in grazia della ingenuità, ne consegue luminosamente che per la stessa nalnra della eccezione, non possano quei provvedimenti speciali estendersi ai casi eccezionalmente non contemplati, quali sono gli acquisti delle cose consumate tra i fervori delle dissensioni civili (oecupatio bellica). Che anzi, nissuna legge s'incontra nel corpo del diritto romano che a ciò provvegga.

Ed è ciò così vero che, comunque il giureconsulto ULPIANOproclamasse il principio che i prigionieri presi nelle fazioni civili, dappoi venduti, e quindi manomessi, invano imploravano dal Principe la dichiarazione d’ingenuità dei loro natali; da che col fatto della cattura non mai la perdettero, si astenne però dal ritenere Bulla la vendita fatta di quei liberi cittadini, i quali, se non potevano reputarsi per servi, erano nullameno nello stato di servitù fino al momento della manumissione.

Laonde tornano irreplicabili le seguenti conclusioni:

1.° Di avere ULPIANOritenuto giuridicamente consumata la cattura dei liberi cittadini nel momento delle dissensioni civili:

2.° Legittima l'appropriazione del prezzo ricavato dalla vendita dei catturati:

3.° Inoffensiva la servitù patita fino al tempo della manumissione:

4.° Che il dominio delle cose si acquista dai catturanti, come ogni altra bellica occupazione nei primi moti delle dissensioni civili (in civilibus dissensionibus), cioè dire prima ancora di essere giunta la rivolta all'eminente grado della guerra civile (civile bellum, mixtum, site intextinum), e di fermo, ancor di essere in pericolo il Potere Sovrano dello Stato (exilium reipublicae).

Altronde, occorrono infiniti esempi delle vendite de' prigionieri di cotal sorta eseguite financo col patto di garantia dei vizi redibitori. GELLIO ((514)), SENACA ((515)), PLINIO ((516)), TACITO ((517))son pieni di cosiffatti esempi, tra i quali primeggia il memorando del figlio di Pompeo, il quale imprigionato nel momento di guerra civile, fu venduto all’asta pubblica, siccome narra APPIANO ((518)).

È par nota la compiacenza ed approvazione, che Giulio Cesareprestava all’invito di guerra che i capi facevano ai di lui eserciti in queste solenni parole: ite ad gloriam et ad PRAEDAM ((519)). Dippiù, quello Augusto se ritoglieva ai soldati le cose predate per restituirle al nemico, li ricomponeva dell'equivalente in danaro: militibus, aequa facta aestimalione, PECULIAM PRO HIS REBUS SOLEIT ((520)). Anche ai tempi di VESPASIANO, riferisce TACITO, che negli sconvolgimenti intestini promossi dalla ribellione di VITELLIO,fu massima prevalente e riconosciuta: ut civili praeda miles imbueretur expugnatae urbis PRAEAMad militem pertinere ((521)).

CAPO III

Giure pubblico moderno di Europa
§. I. Principi incontrastabili del diritto delle genti della moderna Europa. Diritti ed usi di guerra, e di legittima preda nelle guerre civili.

Nel mezzo del XVI secolo, non erano ancora ben determinati i confini, per lo innanzi facilmente confusi del diritto divino ed umano; ed in questo, di quello di pura natura e dei popoli. Svanite le teoriche speciali della società romana; spartito quel gran colosso politico in tante membra diverse; affatto spente le dottrine e gli usi della servitù e di tanti altri particolari sistemi, i ricordi di quella giureprudenza rimasero tipo ideale di miglior metodo al mondo moderno, che usciva tenzonando dalla buia e lunga notte del medio evo.

UGO GROZIO,fornito di genio infaticabile e di vasta dottrina fu quegli, cui offre il senno dei dotti la corona d’inventar primiero della desiderata e vera separazione della teologia dalla ragion di natura, e di questa del giure delle genti. Nell'epoca in cui scrisse, tutti gli Stati di Europa si occupavano a definire il loro essere politico nei travagli delle rivoluzioni, morali e religiose.

Il movimento era universale, la lotta ardente, sanguinosa la possibile vittoria. A motivo delle guerre esterne, gli Stati internamente si ordinavano; per effetto delle guerre civili e religiose, le proteste e le riforme investivano fin nei cardini loro le credenze cattoliche. Fu perciò che alla mente del GROZIOsi presentò l'Europa qual pugnante ammasso di poteri, d’idee, di tendenze, di desideri e di perigli. Egli servì alla impressione suprema e verace: intitolò il suo diritto della natura e delle genti, quello della guerra e della pace.

Egli però se fu genio nel creare, non fu compiuto nelle sue creazioni, e gli valsero molti errori i pronunziati delle leggi di Roma, tradotti ed attuati a massime gerarchiche di assunti incompatibili con le associazioni, tra le quali egli viveva. GROZIOnon dubitò di ammettere fino il diritto di schiavitù nelle guerre, e volentieri si abbandonò sul diritto di preda all'inutile dettato di ULPIANO, riferito e disputato di sopra.,

Avrebbe dovuto riflettere che per l'avvicendarsi dei secoli: magna in hac praesertim nostra occidentali Europa sequuta fuit legum et morumimmutatio ((522)): che un’altra cosa dimanda di essere approfondita e sviluppala; io voglio dire, quel ramo importante che regola le relazioni degli Stati tra di loro, e soprattutto a motivo della loro più grande perfezione e della loro più grande utilità pratica. Le regole di queste relazioni comuni sono state modificate dall'uso delle nazioni incivilite della cristianità. Tra di esse la scienza non si arresta più ai principi generali. Ciò che oggi noi chiamiamo diritto delle genti, è divenuto in molti punti agli occhi delle nazioni di Europa così certo quanto il diritto positivo. suoi principi si trovano specialmente stabiliti negli scritti di coloro che àn trattalo della scienza, della quale io mi occuperò. Basta il dire che gli scrittori del secolo decimosesto sono stati più o meno legati dalla barbara filosofa delle scuole, e sono stati ritardati nel lor cammino da una deferenza scrupolosa per le parli inferiori e tecniche del diritto romano, in vece di elevarsi fino ai principi generali, i quali debbono per sempre impegnare gli uomini ed al rispetto dovuto a questo gran monumento della saggezza umana ((523)). In grazia di cosiffatte avvertenze, anticipate dal suo spirito senza confini, GUGLIELMO GOTOFREDO LEIBNIZIOportò severa, ma giusta censura di quello scrittore: GROZIO, egli scriveva a TOMMASO BURNET, era di un grandissimo sapere e di uno spirito solido, ma egli non era abbastanza filosofo per ragionare con tutta l’esattezza necessaria delle materie dilicate, su delle quali scriveva ((524))

Quell'eccelso scrittore e chi lo à seguito, àn sacrificato al preconcetto di un simpatico pregiudizio l’evidenza della ragione, della esperienza, e dei fatti. Esso à scambiato gli uomini, i popoli, i governi nelle loro relazioni dalla vita effettiva, con le società e con gli stati meramente astratti e giuridici. Non considerò l'ampiezza dei loro principi, e tantomeno le conseguenze infallibili dei medesimi. Volle il diritto costituito nella guerra, desumendone la osservanza dal diritto romano ((525)), e smemorò che la guerra è un fatto irrimediabile dal diritto, il quale solo un altro fatto può difficoltare, librare, superare, e che il giure romano, perché privato e speciale di quel popolo, non poteva applicarsi ai popoli inciviliti per altre istituzioni, a quello opposte e contrarie.

§. II. Continuazione

Non lice ignorare che GROZIOebbe un precursore e di seme italiano, ma forse perché tale poco noto a noi stessi. Esso fu ALBERICO GENTILEil quale scrisse in tre libri, del diritto della guerra. Portò giudizio più esatto del batavo pubblicista sul diritto di preda e degli usi di guerra, negl'incontri di ribellione o di rivolte civili. Avvisò saggiamente non essere il caso di assolvere il dubbio con una opinione precisa, ma che fa d’uopo scorgere l’intensità dell’insulto, la ripetizione dei medesimi, ed il possibile processo graduale della rivolta contro la Sovranità dello Stato. Nel caso d’imponenza dei fatti e della loro qualità ostile, è guerra quanto la pubblica, quella che s’impegna tra l’antico Governo ed i ribelli, tra i quali non vi sono leggi e magistrali per decidere la gran lite, ma eserciti e battaglie: non sono adoperali i mezzi repressivi di un discorrimento di pochi, ma si attuano rimedi solenni ed estremi perla ribellione di molti, e come si attuerebbero contro una Potenza indipendente e riconosciuta.

ALBERICO GENTILEreca moltissimi fatti a conferma del suo assunto, e nel così riflettere, anticipò le teorie della scuola migliore d'oltremonti.

Esso considera i gesti di VIRIATO, diARSACE, diARISTONICO, dello stesso SPARTACOriferiti da ERODIAMO, daFLORO,da AMMIANO MARCELLINOe da tanti altri, e conchiude che costoro da semplici ribelli esercitarono, con l’ampliazione dell’amor di parte, le guerre solenni: quodque fiet, non tam iuxti exercitus auctu, quam ADEPI'IONE PUBLICAE CAUSAE ((526)).

§. III. Autorità di gravi scrittori. Primo stato della dottrina
intorno alla guerra mista

E per quanto riguarda l'erroneo giudizio di GROZIO tratto dal diritto romano, noi riportiamo le magistrali autorità di scrittori illustri, i quali assicurano di non dubitarsi più sopra cotali dottrine.

Il ZIEGLERO ((527)): ut tamen cives alacriores redderentur, vi hostes fortius et majore vi impeterent, voluerunt GENTES UT QUOD QUISQUE CAPERET, SIVEinexcursionibus, SIVE IN CONFLICTU SOLLEMNI, ID SIBI RETINERET, ATQUE ADQUIRERET.

«Il BARBEURACHIO. nella maggior parte delle guerre civili, non si riconosce affatto un giudice comune. Se lo stato è monarchico, la quistione si aggira sulla successione al regno; o sul sostenersi da una parte considerevole dello Stato, che il Re abbia abusato del suo potere, in maniera che autorizzi i sudditi a prendere le armi contro di lui. Nel primo caso, la natura stessa del suggello, pel quale si è venuto alla guerra, fa sì che le due parti dello Stato formino allora due corpi distinti, finché non convengono in un capo per qualche trattalo conchiuso volontariamente, o per effetto della superiorità di una delle due parti. Cosicché da questo trattalo dipende il diritto che si può o no avere sopra ciò che ÈSTATO PREDATO DALL'UNA E DALL'ALTRA PARTE, E NIENTE IMPEDISCE CHE SI RITENGANO LE COSE NELLA STESSA MANIERA CHE ÀN LUOGO NELLE GUERRE PUBBLICHE, TRA DUE STATI PERFETTAMENTE DISTINTI. L’altro caso, vale a dire la sollevazione di una parte considerevole, dello stato contro il Principe regnante; il governo è allora disciolto, e lo stato resta diviso in due, distinti ed indipendenti, IN MANIERA CHE SI APPLICANO LE REGOLE DEL PRIMO CASO. Il postliminio: è questa una finzione di diritto, la quale non impedisce in modo veruno che tutto ciò che io ò detto sia vero, e non accada soventi volte. Lo stato del quale io ò parlato, non è un corpo di cittadini uniti sotto uno stesso governo; ma è una riunione di genti le quali essendosi riunite in una certa estensione di paese,. vogliono da oggi innanzi rimanere in una dipendenza comune, ma non convengono affatto tra di loro sulla persona o «sul corpo, tra le mani del quale deliba essere riposta l'autorità Sovrana ((528)).

«PUFFENDORFIO: Sic et minus sollemnia sunt bella civilia, quando civitae est divisa, ut ex qua parte stat summum imperium non satis adpareat. Ubi circa bellum sollemne est observandum, quod qui illud gerunt, eorumque populi, eorumque rectores auctoritate, JUSTI HOSTES VOCARI SOLEANT, LATRONIBUS ET PRAEDONIBUS OPPOSITIS ((529)).

«BURLAMACHI: tali sono i dritti che concede la guerra sopra i beni dell’inimico (cioè a dire quelli della preda). Del rimanente GROZIOpretende che il dritto in virtù del quale si acquistano le cose predate sull’inimico, è talmente proprio e particolare delle guerre pubbliche, fatte solennemente, che non à luogo nelle altre, come nelle guerre civili. E che in particolare nelle guerre civili non avviene niun cangiamento a di padrone, meno che in virtù di un giudizio. Ma ben si può considerare su questo punto che nella maggior parte delle guerre civili, non si riconosce affatto un giudice comune. Se lo sialo è monarchico, si aggira la disputa o sulla successione alla corona, o sopra ciò che una parte dello stato pretende, che il Re à abusato del suo potere di una maniera che autorizzi i sudditi a prendere le armi contro di lui.

«Nel primo caso la natura istessa del suggello pel quale si è venuto alla guerra, fache le due parti formino allora due corpi distinti fino a che non converrano in un capo, mediante qualche trattato: cosi in rapporto ai due partili che erano in guerra. Da un lai trattato dipende, il dritto, che l'uno può avere su TUTTO CIÒ CHE È STATO PREDATO DALL’UNA ÉDALL'ALTRA PARTE, NIENTE IMPEDISCE CHE LE COSE NON SI RIMANGONO SUL PIEDE E DELLA STESSA MANIERA CHE À LUOGO NELLE GUERRE PUBBLICHE TRA DUE STATI SEMPRE DISTINTI.

«E l'altro caso, vale a dire la sollevazione di una parte considerevole dello stato contro il Principe regnante, non può punto avvenire, meno quando un Re vi à dato luogo con la sua tirannia e per la violazione delle leggi fondamentali; così allora il governo è disciolto, ed il corpo dello Stato si trova attualmente diviso in due corpi distinti ed indipendenti, in guisa che convien decidere allo stesso modo che nel primo caso.

«Il GROZIOsembra aver preso le sue idee sopra questo puntò dall'antico diritto romano: ma il dritto romano voleva che i prigionieri fatti in una guerra civile non potessero affatto divenire servi. Ciò è, come considera il giureconsulto Ulpianonella legge 21 §. 1 Dig. De captivis, perché si riguarda la guerra civile come una guerra impropria, e meglio come una dissensione civile; imperciocché una vera guerra si fa tra coloro che sono nemici ed animati da uno spirito inimico che spinge l'uno e l'altro a cercare la ruina dello stato; in vece che in una guerra civile, abbenché nocevole soventi volte ella sia allo stato, l'uno e l'altro vogliono salvarlo; in modo che essi non sono affatto nemici: ciascuno dei due partiti rimane sempre cittadino dello stato in tal modo diviso.

«Ma tutto ciò è una pura finzione di dritto, che non impedisce affatto che tutto quello che noi abbiam detto sia vero, e che abbia luogo soventi volte. E se tra i romani ciascuno non si poteva appropriare, come veri servi i prigionieri fatti in una guerra civile, ciò era in virtù di una legge particolare ricevuta da essi, non a causa di mancanza di condizioni o di formalità che richiede, secondo GROZIO,una guerra pubblica e solenne in conformità del dritto delle genti ((530)).

D. FELICE, distinto annotatore del BURLAMACRIamplia Io stesso concetto, la cui autorità per essere brevi tralasciamo ((531)).

VATTEL: La guerra civile rompe i legami della società e del governo, o essa ne sospende almeno la forza e l'effetto, e crea nella nazione due parti indipendenti, le quali si riguardano come nemici e non riconoscono alcun giudice comune. CONVIEN DUNQUE DI NECESSITÀ CHE QUESTE DUE PARTI SIENO CONSIDERATE COME FORMANTI DA QUESTO PUNTO INNANZI, O ALMENO PER UNO SPAZIO DI TEMPO, DUE CORPI SEPARATI; DUE POPOLI DIFFERENTI. CHE UNO DI ESSI ABBIA AVUTO TORTO DI ROMPERE L'UNITÀ DELLO STATO, DI RESISTERE ALL’AUTORITÀ LEGITTIMA, ESSI NON SON MENO DIVISI DI FATTO. ALTRONDE CHI LI GIUDICHERÀ, CHI PRONUNZIERÀ DA QUAL PARTE SI TROVI IL TORTO O LA GIUSTIZIA? ESSI NON ÀNNO SUPERIORI COMUNI SULLA TERRA. ESSI SONO DUNQUE NEL CASO DI DUE NAZIONI CHE STANDO IN CONTRASTO, E LE QUALI NON POTENDOSI ACCORDARE, DEBBONO A TER RICORSO ALLE ARMI ((532)).

IV. Secondo stato della dottrina, in quanto alla guerra mista.

La incessante necessità e la continua esperienza delle cose àn persuaso, che la guerra mista con tutto il corredo delle sue esigenze e delle sue usanze, può aver luogo sempre che il Principe non può far uso del diritto d’impero, ma deve ricorrere a quello di Maestà: in breve, quando tacciono le leggi ed invece parlano le armi. Man mano si è derogato alla condizione di una rivoluzione già compiuta, per la quale si è bipartita la nazione in due corpi, dei quali l'uno vuol essere indipendente, e l’altro dipende tuttavia dall'antico Sovrano.

Udiamo ALBERICO GENTILE.

Si etiam,egli scrive, inter subtitum et Principem suum lis oritur, magistratus constituti sunt, qui adeantur. At quum incidit controversia de republica, non iudices in civitate sunt, nec esse possunt. Publicam vero dico rem, quando subdi forum tanta ac talis moveatur pars, UT IAM BELLO APUS CONTRA EOS SIT, QUI SE TUENTUR BELLO ((533)).

GIACOMO CULAGIO:Ubi licet experiri iure civili, sane non licet bello aut duello. Sed ubi non licet iure civili et iudicio, et aequitas interveniet aliqua, SANE LICET VI ET ARMIS ((534)).

KLUBER.La guerra civile(bellumintextinum) può essere privata(bellum civile), se la costituzione dello stato è sospesa: appartiene alla guerra mista(bellum mixtum) se à luogo tira il governo ed una parte dei cittadini, sia che questi abbiano o pur no diritto per farlo: ESSA È GUERRA GIUSTA ((535)).

MACAREL. Le sedizioni son mai sempre accompagnate da tumulti, poiché il disordine è da esse inseparabile. Laonde debbono attirare la forza pubblica per reprimerle; ed a ciò è massimamente destinata nei governi costituzionali la guardia nazionale, composta di cittadini ugualmente interessati a far sì che il tumulto si calmi, e che tutto rientri al più presto nell'ordine. Essa d'altronde agisce con minor violenza della truppa di linea, e la sua opera tende a risparmiare, o arrestare l'effusione del sangue.

PINHEIRO-FERREIRA,celebre chiosatore del VATTELritiene le ¡stesse idee del citato autore sulla guerra civile ((536)).

Anche l’antichità aveva anticipato le stesse idee, non solo per la penna degli scrittori che di sopra abbiamo riportato, ma pure specialmente per le dottrine di ARISTOTILE ((537)), diCICERONE ((538)), delBODINO ((539)), diMACHIAVELLI ((540))e di tanti altri, che perbrevità tralasciamo.

<353008_438511063"> §. V. Applicazione nello interesse delle Sovranità e delle nazioni delle recate dottrine

Le dottrine uniformi dei pubblicisti riposano sul diritto riconosciuto degli uomini e dei corpi sociali alla difesa legittima da un lato, e dall’altro alla sottrazione dei mezzi di offese che praticar potrebbero gli aggressori ed i nemici. Le nazioni ed i governi al pari degli uomini àn santa ragione di difendersi per conservarsi, e di punire per preservarsi. Né questo secondo scopo si raggiugnerebbe, se non si mettesse l'offensore nello stato di non ritornare fornito e potente a novelle aggressioni.

Laonde il privato in rissa si difende non solo, ma disarma e si appropria le armi del suo avversario; ed il governo e la nazione in guerra medesimamente, non solo respinge le offese, ma priva e ritoglie all'inimico gli artifizi, i sussidi, i presidi, gli aiuti, dei quali era fornito, e praticava gli oltraggi e gli atti di nimicizia((541)): quae ab hostibus capimus iure gentium, STATIM NOSTRASUNT:in bello capta efficiuntur capientium ((542)).

E per esercitare cotesto diritto basta il fatto della guerra, sia pur essa che si comprometta civilmente tra due membra armeggianti dello stesso Stato, e senza formidabili proporzioni.

Le teoriche tratte dalla legge XXI ff. de captivis et postliminio reversis non sono che relative allo stato di servitù costituita nei tempi di Roma, la quale era considerata come uno de' più speciosi effetti della vittoria. Laonde nelle guerre tra nazioni, e non già nelle guerre civili aveva luogo il diritto del postliminio ed il bisogno della manumissione per esservi stata in prima occasione a quella servitù, alla quale soggiacevano coloro che venivan fatti prigionieri. Donde sempre più riluce l’assurda applicazione di un principio sancito a protezione della libertà personale, inestendibile certamente al legale esercizio degli altri dritti di guerra.

In vero, è stato sempre riconosciuto che i Governi legittimamente costituiti ànno incontrastabile diritto di ostare in tutt’i modi e con tutt'i mezzi per reprimere, ed anche prevenire il progresso ruinoso della guerra intestina, svellendone perfino i primi germi.

La rivolta è un fatto de' ribelli che crea la guerra con la legittima Sovranità che tuttavia impera la parte della nazione rimasa tranquilla, e devota al suo Sovrano. Le offese della parte insorta e la resistenza della parte conservatrice costituisce lo stato di guerra di fatto; e questa, al pari di ogni altra guerra solenne altramente finir non potrà, che col trionfo dell'una, e con la disfatta dell’altro.

Non saprebbe intendersi perché in questa guerra così passionatamente e furiosamente combattuta, la parte conservatrice non abbia il dritto di preda sopra le cose prese al nemico; poiché nemico è chiunque che giustamente o per ribellione impugna le armi, e tenta di rovesciare il Governo stabilito.

Il vincitore acquista dritto super bona devictorum, dell’acquisto de' quali, in quanto al dritto non si è mai disputato; e solo si è dubitato, se s’intendevano soltanto acquistate per dovuto compensamento della vittoria a titolo particolare, e non già a titolo universale ((543)).

Ciò che QUINTILIANO ((544))poneva per questione, i moderni autori ritengono per certa teoria, che totum hoc est jus in manu et captivitate positum.

Cosiffatte guerre sono proscritte da tutte leggi divine ed umane, perché sanguinarie, disturbatrici della pace dei buoni, e desolanti per lo spesso la parte tranquilla ed innocente della nazione.

Quum ergo in omni civitate rei republica sit imperium summumet cives tantum voluntates suas vel uni, vel pluribus, vel universo populosubmiserint, consequens est ut quibuscumque voluntatessuas submiserunt cives, ii et imperio ilio summo gaudeant, adeoque illi a nemine praeterquam a Deo multoque minus a populosupplicio aliisque poenis adfìci possint, adeoque pestilentissimum sit illud dogma monarchomacorum, quod populus sit ipso regevel principe superioretpenesillum realis, peneshunc personalis majestas oriatur. Così ragiona GIOVANNI EINECCIO ((545)).

§. VI. Continuazione

Sarebbe veramente insostenibile l'assunto, che il legittimo Potere costretto di de venire allo stato di guerra, per la fellonia dei suoi soggetti, si ritrovasse in condizioni peggiori di quelle, nelle quali si troverebbe a rimpetto di un nemico men colpevole, qual sarebbe una Potenza belligerante, per dover essere soltanto passivo ai colpi ed alle offese dei ribelli, senza poter usare i rigori della guerra ed invocare l'esercizio del diritto di buona preda ((546)).

Cotesti rigori sono praticabili sin dal primo momento in cui divampa la ribellione, e prima ancora che incendii e devasti tutto intero il reame, affine di declinare da quel funesto ed esiziale contagio politico che tratteggia CORNELIO TACITO,e che sovente si avvera nelle rivolture delle nazioni: isque habitus animorum fuit, ut pessimum [acinus auderent pauci, plures vellent, omnes paterentur ((547)).

Nei moti civili è costante e naturale, che non si comincia di là, ove talvolta si finisce.

L’essere un popolo intero, o una parte considerevole di un reame elevata a forma di governo costituito, con eserciti, flotte, erario, senato, leggi, autorità ed ordini consentiti contrassegna il supremo grado della rivoluzione o della guerra civile. Cotesto punto di ultima potenza è diffìcile a presentarsi in un tratto, ma sempre muove dal punto iniziale mcn formidabile per intima natura delle umane operazioni. In questo punto di movimento iniziale precisamente si verifica la legale necessità del diritto e degli usi di guerra contro i ribelli al Potere Sovrano. Il contrario sistema non provvederebbe efficacemente al bisogno, ma multiplicherebbe gli esempi abbominevoli di Viriato, di Arsace, di Aristonico, di Sertorio e di mille altri campioni delle insurrezioni nazionali.

§. VII. Diritto delle genti pratico e consuetudinario

Alle dottrine si associa la pratica del giure delle genti della moderna Europa.

Mille esempi noi abbiamo di semplici sedizioni tramutate successivamente e per gradi, in guerre civili, e finalmente arrivate ad una totale separazione dall'antica Sovranità. Senza riferirci ai ricordi delle storie più remote, rimembriamo gli avvenimenti cospicui delle famose separazioni politiche avvenute tra i sudditi di una medesima Sovranità nei tempi a noi più vicini. La Svizzera, per guerra civile si sottrasse dalla dominazione dei Duchi di Austria, e si elevò a Stato indipendente: lo stesso fece il Portogallo con la Spagna: lo stesso le provincie Batave con Filippo II: Io stesso àn praticato gli Stati Uniti di America con l’Inghilterra: lo stesso di recente à fatto il Belgio con l’Olanda, e la Grecia con la Porta Ottomana. E MÜLLER ((548)), GIORZIO((549)), CARLO BORTA ((550)), CERISIER((551)), RAVNEVAL ((552))e tanti altri non lasciano di osservare di essersi costantemente serbati in quelle occasioni gli usi di guerra, e segnatamente le prede in terra ed in mare.

Né coloro che son usi a contemplare la vita dei popoli, ignorano che anche nelle semplici guerre di religione, per gli stessi principi di sopra esposti, aveva luogo la preda e la rappresaglia.

Famosi e tremendi furono gli orrori e le crudeltà feroci del barone di ADRETSe del duca di MONTMORENCYnelle guerre civili dei riformisti di Francia; come pure gli eccessi commessi da) principe di CONDÈsopra gli Ugonotti ((553)) e dal duca di ALBE nei paesi bassi ((554)). E tutti sanno che anche gli Ugonotti (che nella forma morale erano Calvinisti) originarono da politiche dissensioni; imperocché le credente religiose e le simpatie politiche sono figlie gemelle di una stessa maternità, e sono rami innestati sullo stesso tronco ((555)).

E ritirando lo sguardo dagli altri popoli per volgerlo sopra i domestici fatti, certamente rileveremo che gli usi di gue ria ed il dritto di preda si esercitarono nelle due guerre civili: la prima divampata sotto Carlo I Andegavense in seguito del vespro siciliano, e l'altra sotto Ferdinando I di Aragona pel parteggiar dei baroni del regno di Napoli.

La Sicilia, precisamente allora, si redense dal dominio francese e si levò a monarchia indipendente. In quelle guerre civili vi fu ragion bellica e diritto di preda tra le due parti belligeranti, come si sarebbe costumato tra due regni indipendenti in guerra pubblica e solenne, e fin dai primi momenti della insurrezione.

Ruggiero di Loria, e poscia Blasco di Alagona, i quali tenevano dalla casa Sveva, mettevano in atto severamente i principi da noi assunti a danno di Carlo I. e di Carlo II., i quali pretendevano alla legittima Sovranità di quell'Isola per ragion di conquista ((556)).

I baroni del Regno di Napoli apertamente, ora in più ampia, ed ora in più ristretta maniera, sempre però in guerra civile, combattettero contro la stirpe Aragonese, ed in quelle fazioni, come in guerra pubblica, le stesse pratiche si esercitavano.

E poiché allora era in uso la protestazione, perciò si leggono le lamentanze d’ambe le parli per le rotte induge, mediante le prede che a ricambio si facevano ((557)).

CAPO IV

La guerra mista è anche pubblica e solenne, quando una qualunque parte del reame sta contro la legittima Sovranità.
§. I. Terzo stato della dottrina in occasione di guerra mista.

Siccome abbiamo avuto abilità di osservare nelle disputazioni già esaurite in altro luogo di questo lavoro, nel moderno giure delle genti, si è riconosciuto legale l'esercizio dei rigori permessi in guerra pubblica, anche nel caso isolato di una aggressione ostile, lutto che non avesse avuto seguito e progresso; né si fosse compromessa la sorte delle armi per alcun periodo di tempo. Il fatto del CARLO ALBERTOavvenuto in Francia nel 1832, e di sopra memorato ed esposto in tutti i suoi particolari, lo pruova evidentemente.

Conforme a codesti principi, mai sempre rifermati nei tempi posteriori, il nostro Sovrano si guidò nei tristi frangenti della ribellione sicula, nell'anno 1848, pubblicando all’uopo il regolamento di blocco.

Ma per penetrarsi intimamente de' principi fissati in quel regolamento è necessario preconoscere come e perché fu emanato: le disposizioni che esso comprende: infine la virtù giuridica di quelle disposizioni.

II. Stato della Sicilia a quel tempo, e cause che ne prepararono la pubblicazione del blocco

Fin dai primi albori dei rivolgimenti politici di quell'isola, e quando quel reame si sottrasse di fatto alla legittima Dominazione, fu sempre viva la Sovranità in quei domini insulari, da che la cittadella di Messina fu costantemente conservata, e sulle sue torri grandeggiò continua la bandiera dell'antico Sovrano.

Poscia, fin dal settembre dell’anno 1848, una gran parte di quell'isola fu riconquistata, sicché combattuta e vinta l’insurrezione, un resto soltanto rimase ribelle al Potere legittimo.

Adunque non era più possente in armi il regno di Sicilia, o la maggior parte di esso, per modo che avesse potuto ammettersi il grado estremo di guerra mista nel senso che abbiamo appreso, conforme alle dottrine del primo stato di guerra intestina.

Impertanto, si stette fedele alla stessa regola, e si ebbe come tuttora ardente la guerra mista.

Né fu special pensiero del nostro Governo, ma fu intimo convincimento di tutte le Potenze europee manifestato per la voce de' loro legittimi rappresentanti.

Udiamo come sia avvenuto codesto fatto interessantissimo:

Signore (è il Ministro di Guerra e Marina che scrive all’Intendente generale) S. E. il Ministro Segretario di Stato di Guerra e Marina in data del 9 corrente mese mi scrive quanto segue:

A sfogo di un uffizio da me diretto al Ministro degli affari Esteri, sono stato riscontrato nei seguenti termini:

Mi onoro dare prestamente riscontro alla pregevole sua di oggi, manifestandole, che sebbene era incumbenza del Ministro di Marina la formulazione del Regolamento pel blocco della Sicilia, pure A PREMURA DEL CORPO DIPLOMATICO, NE PENNE SOTTOMESSO IL PROGETTO A S. M., E LA M. S. IN DATA DEL aprile ne approdò la pubblicazione, quindi con questa data fu messo alle stampe.

La solennità poi della promulgazione è contestata dalla inserzione che ne venne fatta nel giornale ufficiale — Firmato — Principe di Cariati ((558)).

Mi affretto comunicarlo a Lei, onde lo passi subito a notizia degli avvocati della Real Marina, interessati nella nota causa della preda del Vesuvio, potendo ciò interessare la difesa. Pel Ministro Segretario di Stato della Real Marina, il Direttore, Francesco Carreras ((559)).

§. III. Disposizioni contenute nel Regolamento di blocco

Il Regolamento parla di ribelli siciliani, i quali equivalgono a nemici ((560)).

Contempla i bastimenti appartenenti a quelle parli della Sicilia NON ANCORA SOTTOMESSE ((561)).

Mette a paragone i bastimenti del resto dei ribellicoi bastimenti AMICI e NEUTRALI ((562)).

E dippiù ancora, discorrendo dei medesimi RIBELLI, li pone come a confronto CON UNA POTENZA AMICA O NEUTRALE ((563)).

Proclama, non solo l'arresto dei bastimenti, ma pure la preda, e la ripreda dei medesimi, quante volte appartenessero ai siciliani: saranno considerati DI BUONA PREDAtutti i bastimenti appartenenti con tutta evidenza ai ribelli siciliani.

Un bastimento napolitano che dopo di essere stato PRESO DAI SICILIANI RIBELLI, È RIPRESO DINUORO tra lo spazio di due giorni. Per questa ripresail terzo del valore del bastimento e del carico spetta al legno PREDATORE, e gli altri due terzi si restituiranno al proprietario. Se la ripresaà luogo dopo i due giorni, tutto spetta al legno PREDATORE ((564)).

E della preda e del predatore si seguita a parlare, ad occasione di trasportare il legno ed il carico predato in una dogana, o in luogo più vicino ((565)).

§. IV. Principi che si desumono dal riferito regolamento di blocco

Innanzi tutto, si deve ritenere che il dir blocco equivale a dir guerra dichiarata ad un paese; per modo che il blocco include e suppone la preesistenza della guerra pubblica e solenne; e con essa necessariamente i diritti e gli usi che vi stanno annessi, e tra questi, senza dubbio, quelli delle prede e delle riprede. E questa è una sicura sentenza del diritto pubblico ((566)).

Non ignoriamo che terminata la guerra intestina colla riconquista della intera Sicilia, è cessato il regolamento di blocco. Ma son vivi e superstiti tuttavia i principi che lo informarono, e che deliberarono le Potenze di Europa a sollecitarne la pubblicazione, al che si compiacque di annuire il nostro Sovrano.

Qualunque legge, anche reclamata da una necessità tutta speciale ed istantanea, contiene sempre in sé il germe di una regola generale, la quale può e deve applicarsi ai casi simiglievoli che possono occorrere, abbenché la condizione imperiosa, in grazia della quale quella legge eccezionale fu promulgata, sia svanita.

Laonde, se non esiste più la rivoluzione sicula, che promosse il blocco di una parte di quell’isola, esistono tuttavia però nella intera loro forza ed osservanza i principi che presiedettero alla sua composizione, ed i quali irreplicabilmente sono quelli che qui noveriamo:

1.° Che esiste guerra pubblica, e perciò usi di preda e di ripreda anche quando non tutto un regno, o una gran parte di esso, ma una provincia, o una parte di essa obblighi la Sovranità a far uso delle armi, e ridurre le popolazioni ribelli alla prisca obbedienza:

2.° Che in questo rincontro e negli altri simili, i ribelli (che sono sudditi certamente) sono pareggiati agl'inimici del regno, ed i loro bastimenti soggiacciono alla severità della preda e della ripreda, come se fossero bastimenti a costoro appartenenti.

3.°Che a confronto de' sudditi ribelli stanno per opposto le Potenze costituite, amiche o neutrali, quasi che i primi fossero essi stessi le Potenze costituite nemiche:

4.° Che cosiffatte sentenze non sono di esclusiva creazione del nostro Governo, ma sono regole internazionali, riconosciute e consentite della diplomazia di tutt'i Potentati europei, e perciò sono diventate massime inconcusse del nuovissimo giure delle genti.

Nel vero, il Ministro degli affari esteri assicurò, che quel regolamento di blocco doveva essere un semplice lavoro ministeriale, ma che sulle istanze dei rappresentanti delle Potenze straniere, accreditati presso la nostra Corte, fu quel regolamento roborato dell'approvazione Sovrana.

§. V. Il regolamento di blocco del 1° aprile 1849 è dichiarativo
della legge precedente del 12 ottobre 1801.

Non solo nel nostro reame, ma altrove del pari è stile del Regio Potere di spiegare ed interpretare per punti generali le leggi anteriori, per mezzo di rescritti o di regolamenti di pubblica amministrazione.

Il DURANTOXragiona a questo modo sul proposito:

L’interpretazione oggi à luogo per via di ordinanze, o di REGOLAMENTI DI AMMINISTRAZIONE PUBBLICA ((567)).

Ciò è in qualche maniera fondalo sulla necessità; imperciocché se le tre branche del corpo legislativo, non si accordino sulla maniera d'interpretare la legge (ciò che avverrebbe di frequente a proposito di una legge, sul senso della quale le Corti Reali discordino completamente colla Corte di cassazione), essa resterebbe con un senso incerto ed equivoco, e sarebbe per conseguenza una cattiva legge.

L’amministrazione della giustizia rimarrebbe necessariamente impedita; inoltre ciò sarebbe far partecipare le camere al potere giudiziario, poiché la loro decisione influirebbe sulla causa, ad occasione della quale interverrebbe l'interpretazione: ciò che i principi non ammettono in modo alcuno ((568)).

Passando a discutere poi la virtù essenziale che sviluppa quel regolamento, non vi sarà alcuno che logicamente raziocinando, nieghi a quel regolamento l’indole dichiarativa ed interpretativa, e perciò imperante sul passato, senza vizio di retroattività.

In effetti, quel regolamento presume ed include le leggi preesistenti sulle prede e sulle riprede, e le quali sono per verità non altre che quelle del 12 di ottobre 1807, e le Ordinanze di Marina del I(o)di ottobre 1818.

Non si può regolareuna disposizione, se prima questa non esista: del pari non si può manodurre il giudice nell'applicazione di una legge, se per lo innanzi questa medesima legge non sia stata creata. Basta leggere le parole del regolamento per rimaner convinti che esso altro non contiene, né può contenere che dichiarazioni di leggi anteriori ed imperanti.

Ciò premesso: i principi e le sanzioni annunziate nel regolamento di blocco, per virtù della dichiarazione, si debbono ritenere come scritte e comprese nella legge del 1807 e nelle Ordinanze del 1818, con le quali quelle si compenetrano e s’immedesimano, per osservanza della regola sicurissima, che posteriores leges AD PRIORES PERTINENT, nisi contrariae sint. E qui in vece di essere contrarie, sono perfettamente simili ed uniformi, sì per riguardo alle persone, che per rapporto alle cose ((569)).

§. VI. Continuazione

Anche per la situazione, nella quale a quei dì si trovò costituita la Sicilia a motivo della guerra civile in cui s’immerse, si deduceva la idea della virtù dichiarativa del regolamento de' principi e dei disponimenti annunziati già dalle leggi sulle prede marittime.

Il jus gentium practicum et consuetudinarium ammetteva la legittimità della preda nei rincontri di guerra civile, abbenché limitata e ristretta ((570)).

In Francia pel fatto solitario e circoscritto dell'aggressione nemica praticata dal piroscafo sardo, il CARLO ALBERTO,la stessa dottrina solennemente ed ancora più estesamente si ritenne; cosicché presso quella grande nazione, l'abortiva aggressione ostile fece dichiarare l'aggressore inimico del Regno.

Nel reame delle due Sicilie, (l’anno 1848) furon più gravi, anzi possiamo dire formidabili le proporzioni, alle quali si elevò la ribellione sicula.

Avvenne il primo caso che impegnò di sapere, se i siciliani ribelli fossero oppur no inimici del regno, giusta i sensi dell’articolo 1 della legge del 12 di ottobre 1807.

Il caso che si presentò fu la cattura che le due Reali fregate l'Antelope ed il Ferdinando II fecero di due leuti, ossieno schifazzi trapanesi, pertinenti a Carlo Corso ed a Giuseppe Adragna.

In quella occasione bisognò dichiarare il primo dubbio sulla qualità di nemico del regnonella persona dei ribelli e dei legni, ed il nostro Sovrano altro non fece, nel ritenere raffermaliva, che rispettare ed applicare nei suoi domini le sentenze ricevute dal dritto pratico delle genti, e con ispecialità dalla Francia.

E certamente quel Reale rescritto del 16 maggio 1849, fu strettamente dichiarativo; dappoicché S. M. autenticamente rese certo l’universale, che nell'articolo primo della legge del 12 di ottobre 1807, e nell’articolo quarto delle Ordinanze di Marina del primo di ottobre 1818, si dovevano leggere anche i sudditi ribelli, quali inimici del regno, al pari di ogni altra Potenza costituita e nemica. Questa prima dichiarazione però assodava uno de' due punti dubbi, cioè dire che la preda era legale sopra i legni di proprietà de' siciliani. Rimaneva intanto il secondo dubbio più grave del primo, vale dire relativamente alla ripreda, che significa preda su di un legno nazionale tolto al padrone dai ribelli.

Questo secondo punto, anche senza il regolamento del blocco, in virtù dei principi informatori del testo delle nostre leggi, poteva bene risolversi, per interpretazione dottrinale che di quelle leggi avrebbero fatto i corpi giudicanti.

Ma piacque allo stesso Sovrano di dichiarare ed interpretare autenticamente, se mai la ripresa dovesse anche leggersi nel testo delle leggi preesistenti ad occasione degli stessi ribelli siciliani; e con l’atto Sovrano del regolamento del blocco, manifestò anche affermativamente la sua intenzione. Non altro fece il nostro Re in questo secondo riscontro, che dichiarare il dubbio possibile che avrebbe potuto insorgere nell’animo dei magistrati, in quanto alla legittimità delle riprede o riprese nel resto dei fatti bellici della guerra sicula.

Ed indipendentemente dalla imponente specialità della nostra tesi, le regole generali, per poter desumere la disposizione delle leggi, se mai sia tutta nuova dall'altra che potrebb'essere dichiarativa, consigliano di applicar la mente e riflettere, meno la disposizione essa stessa, che le persone, le cose o gli avvenimenti che quelle leggi contemplano, e nel cui scopo finale esse furono emanale ((571)).

Massimamente spicca e riluce la nota caratteristica di legge dichiarativa e non d'innovativa nella disposizione posteriore, qualora si tratti di qualità dichiarata in qualche persona o in qualche ceto; imperciocché la qualità non è altro che lo stato relativo in cui l’individuo o il ceto si ritrova costituito, e dal quale dipendono i diritti ed i doveri che vi sono annessi. Perciò: qualitas subsequens, scriveva Agostino Barbosa ((572))qualificai OMNIA PRAECEDENTIA, sive praecedentia copulative, sive alternative posita sint. E con lui la stessa sentenza sostengono CEFALO ((573))eFARINACIO ((574)).

Or rivolgendoci al regolamento del blocco, noi non troviamo che esso contenga disposizioni diverse o affatto nuove in para

gone delle leggi imperanti sulle prede e sulle riprede. Amendue queste penali sezioni stavano registrate in quelle leggi, le quali erano comuni ai siciliani, e le quali sanzioni penali pel fatto di essere coloro divenuti nemici del regno,sono state dichiarate ad esse applicabili.

Laonde falso si mostra l'argomento dell avversario, il quale ci rimprovera il conosciuto assioma, che le leggi penali non possono essere retroattive. Manca al rimprovero il fondamento, attesoché, (ripetiamolo anche una volta) il regolamento di blocco niente à stabilito di nuovo, e tanto meno di penale che non esistesse tal quale nelle leggi precedenti. Esso à solo chiarito la condizione e la qualità d’inimico del regno in persona dei sudditi in guerra mista col proprio Sovrano, senza più.

$. VII. Effetti giuridici della dichiarazione legislativa.

Qualunque volta nella espressione della legge vi sta la comprensione di altri casi non espressi, ma di necessità inclusi in quel concetto, allora non si verifica una interpretazione estensiva, ma meglio una enucleazione dichiarativa del testo: ubi eadem est ratio, dispositio non exlenditur, sed enucleatur, cosi MENOCUIO ((575)): cum regula venit consecutive ex juris dispositione, tune non est extensio: così BARTOLO,ed i molti giureconsulti appo de MARINIS ((576)).

Ed in questo senso deve intendersi di avere il regolamento di blocco sviluppato i suoi effetti.

E sarebbe sempre lo stesso, se piaccia riguardarlo semplicemente dichiarativo.

Il GAILOdice: constitutio, quando juris antiqui declaratoria est, concemit etiam praeterita: et est quod is qui declarad, nil novi dat ((577)). Egli trae la ragione di ciò che scrive dalla legge 21. §. 1. ff. qui testamenta facere possunt, dalla quale si raccoglie che propriamente fare una legge dichiarativa, non è fare una legge nuova, ma è piuttosto spiegare una disposizione di già fatta.

Il VOETprofessa la stessa dottrina: ad praeterita legem trahendam ratio dictat, quoties non tam novi quid lege nova iniungitur, QUIM TOTIUS DUBIAE LEGI8 ANTEHLOHIS INTERPRETATIO FIT ((578)). Ed ecco perché GIUSTINIANOnella novella XIX dichiara che le interpretazioni contenute nella novella XII, in quanto agli effetti della legittimazione, debbono servir di regola anche per le successioni aperte anteriormente a quest'ultima legge. Coteste dottrine sono state pure annunziate dal famoso BACONEdaVERULAMIO, il quale magistralmente lasciò scritto che: lex declarartoria omnis, licei non habeat verba de praeterito, TAMEN AD PRAETERITA IPSA VI DECLARATIONIS OMNINO TRAHITUR. NONENIM TUNC INCIPIT INTERPRETATIO, CUM DECLARATLB, SE EFFICITUR TAMQUAM CONTEMPORANEA IP8I LEGI ((579)).

§. VIII. Giureprudenza patria

Due casi importanti si sono avverati nella patria giureprudenza, che depongono dell'applicazione esatta de' principi che noi abbiamo copiosamente disputato.

I casi son quelli stessi, de' quali si è fatta menzione nei luoghi opportuni del presente lavoro.

Il primo fu quello della preda de' leuti, ossieno schifazzi trapanesi, di Carlo Corso e di Giuseppe Adragna.

Il secondo fu quello della ripreda del piroscafo il Vesuvio, appartenente alla compagnia di navigazione a vapore istituita nel Regno di Napoli.

Ed i due suddetti esempi, possiamo affermare di contenere in sé medesimi due Sovrane dichiarazioni, per avere meritato le decisioni profferite dal Consiglio delle prede, l'approvazione del Re (N. S.). Ond'è che le dottrine fondamentali della presente contesa sono state riconosciute, piaudite e sanzionate nel nostro reame, di modo che non debbono più ritornare in forse negli altri casi che occorrano.

Confrontata la cattura del Cagliari con quella dei leuti trapanesi e del Vesuvio, non vi può essere alcuno che dissenta dalla buona preda di quel piroscafo, pel quale si trovano di già. assodate le. massime di diritto, ed eminentemente pruovati i fatti d’inimicizia e di pirateria da lui commessi contro del nostro Governo.

GIUNTA IMPORTANTE. RIFLESSIONI DECISIVE SULLE DIFESE DEI SIGNORI RUBATTINI E SITZIA.
§. I. Testo delle difese da costoro, intimate il dì 20 ottobre 1851

Ai signori Presidente e Componenti la Commessione delle prede e naufragi di prima istanza.

«Raffaele Rubatimi residente in Genova, direttore e rappresentante la compagnia proprietaria del piroscafo il Cagliari, rappresentato dal sottoscritto procuratore sostituito dalla casa di commercio stabilita in questa città, Carlo di Lorenzo e compagni, procuratrice della nominata compagnia Raffaele Rubattini e compagni di Genova, espone e deduce quanto appresso contro la istanza presentata a codesta Commissione il 17 vf agosto ultimo dalla Intendenza Generale della Real Marina, rappresentata dal suo Intendente Generale, Marchese D. Girolamo de Gregorio.

«Il fatto, che precede la detta istanza è del tutto supposto in quanto riflette la compagnia proprietaria del piroscafo. Lo è del pari in quanto concerne il capitano e l'equipaggio del medesimo.

«Quel piroscafo partiva il 25 giugno dal porto di Genova non apparentemente, ma realmente per Cagliari di Sardegna, e per Tunisi.

«Ne fan fede tutte le carte di bordo in regola pienissima; i passaporti, le polizze di carico, il registro dell'Amministrazione del bastimento in cui son dinotati i passaggieri CON LE LORO RISPETTIVE DESTINAZIONI CONFORMI AI PASSAPORTI O CARTE DI PASSO. Ne fa fede il fatto de' passaggieri imbarcati per tramutarsi in Cagliari o in Tunisi, trovati nel piroscafo dopo la sofferta sciagura, liberati da ogni procedimento per decisione della G. C. criminale di Salerno: fatto, in tutti i versi, pugnante colla pretesa apparenza del viaggio per quelli porti, e con disegno preconcetto di navigare per Ponza.

«È un’affermazione onninamente opposta al vero, che nella rotta per Ponza, ed indi per Sapri, il capitano Sitzia avesse tenuto il comando del legno, siccome non è vero che l'equipaggio si fosse colà unito ai rivoltosi per combattere i sudditi di Sua Maestà (D. G.).

«Non guari dopo la partenza da Genova, il capitano Sitzia, fu sorpreso, fu violentato per minacce di morte, e destituito, e posto sotto coperta insieme ai pàssaggieri innocenti; il fu del pari talari altro dell'equipaggio. UN INDIVIDUO CHETROVAVASI A BORDO TRA I RIVOLTOSI NE IMPRESE IL COMANDO. L'equipaggio inerme, restò come era naturale, interdetto, costernato e passivo per l'imminente pericolo del capitano.

«Pruova della sua innocenza è l’uso spontaneamente fatto della sua libertà, non appena dopo lo sbarco a Sapri, ebbe ricevuta la disposizione del bastimento.

«Padrone di navigare per dove gli fosse piaciuto; egli dal golfo di Pollastro dirigevasi per Napoli, traversando il golfo di Salerno, al confine del quale, nelle acque di Capri, ravvisati «due piroscafi di Sua Maestà (D. G.), comeché a non lieve distanza, volontariamente si fece ad incontrarli; pruova della sua innocenza, ed argomento affatto esclusivo della imputazione che egli si fosse proposto il ritorno in Ponza, per rilevare altri servi di pena, ed accrescere le file nelle pertinenze di Sapri.

«DI QUESTI FATTI, M FOLO ACCENNATI, IL CAPITANO SITZIA NON TRASCURERÀ DI ESPORRE I PARTICOLARI, E LA COMPAGNIA PROPRIETARIA DEL PIROSCAFO NE RITIENE TUTTA INTERA LA FERITApienamente istrutta, corri è della vita, e dei costumi di lui; ED A TUTTE QUESTE GUARENTIGIE AFFIDA LA SUA BUONA CAUSA, COMECHÉ UN COMANDANTE CHE PERVERTA, ED ENTRI PARTECIPE IN UN CONCERTO CRIMINOSO, COME SAREBBE QUELLO DELLE SPECIE, per sacri principi di dritto non compromette i proprietari.

«La buona preda è resistita dai precetti contrari a ciò che ne stabilisce la legge, la idea, ed il sostrato; il bastimento non appartiene ai nimici del Regno, né era comandato da pirata; non correva il mare, ma serviva come postale a potenza amica.

«Né regge argomento che valga ad ingenerare, o rendere tollerabile un dubbio, che presti occasione al discutere.

«La compagnia, che n’è proprietaria, presenta questo cenno di difesa, poiché si costituiscono da fatti costanti e notori, e dalle carte lasciate dal capitano sul bordo del piroscafo, le quali tornerebbe indispensabile tener presenti nel giudizio; ma nello stato attuale, rispondono ad una istanza, che non à per sé alcun documento, che nessuno né annunzia, la compagnia proprietaria la respinge compiutamente invocando il principio, astore non probante, absolvitur reus.

«E per tanto chiede alla giustizia della Commissione, CHE RIGETTANDO LA MAL PRODOTTA ISTANZA,condanni fattrice a rilasciare il piroscafo coi suo carico, ed a ristorarla de' danni interessi, delle spese della lite, e del compenso all’avvocato— Francesco Damona procuratore.

Ai signori presidente e componenti la Commessione
delle prede e neaufragi in prima istanza.

«Antioco Sitzia capitano del piroscafo sardo il Cagliari, rappresentato dal sottoscritto suo procuratore, espone quanto n segue, avverso l’istanza presentata a codesta Commissione il 17 agosto ultimo dall’intendenza generale della realMarina, e per essa del suo Intendente generale marchese D. Girolamo de Gregorio.

«L'attrice sostituisce un fatto non vero a quello costante per le pruove migliori.

«Pretende simulata la destinazione dell'esponente col suo piroscafo per Cagliari dì Sardegna, e per Tunisi, e lo addebita del tristo disegno, innanzi formato di trasportare in Ponza i rivoltosi, che per sua disavventura gli toccò imbarcare, presentati come si erano passaggieri per i porti, ai quali era realmente ed esclusivamente diretto.

«In ciò essa attrice è contraddetta da quante sono le carte trovate sul bordo, tutte legalmente regolari, dai passaporti, dalle polizze di carico, dal registro dell'amministrazione del bastimento, che depone de' passaggieri; è contraddetta dal carico effettivo del bastimento, dalla corrispondenza che lo accompagnava, dal fatto che reca alla evidenza il torto e l'asrardo della imputazione di una partenza, annunziata per luoghi diversi da quello dove s’intendeva approdare.

«Presume l'attrice, che esso esponente abbia comandato il piroscafo, e quando navigò per Ponza, e quando si tramutò in Sapri; ed in ciò è contraddetta dal notorio, che un tal Daneri, INDIVIDUOCHE VIAGGIAVA COI RIVOLTOSI, comandava il legno, allorché accostavasi a Ponza.

«Esso capitano, dopo breve ora dalla partenza da Genova, circa le otto pomeridiane; mentre recatosi a prua per avvisare alle precauzioni reclamate dall'incontro che doveva avere col piroscafo il Piemonte, reduce sulla medesima rotta, fa sorpreso DA QUATTRO UOMINI ARMATI DI PISTOLE E DA ALTRI ARMATI DI STILE, alla inchiesta dei quali, non avendo voluto acconsentire fa minacciato di morte ove si fosse determinato a resistere,destituito dal comando, trasportato sotto coperta insieme ai passaggieri innocenti, e custodito per guardie collocate appositamente al disotto, e al di sopra del boccaporto.

«La medesima violenza usavasi nel tempo stesso DA ALTRI INDIVIDUI, TRA I RIVOLTOSI, VERSO AGOSTINO RAPULLODESTINATO AL GOVERNO DEL TIMONE, CUI SUPPLIVAGLI ALTRO INDIVIDUO.

«Questo stato di violenza non cessò, che dopo lo sbarco a Sapri; allora soltanto riebbe l'esponente la disposizione del piroscafo, comeché il Daneri fosse rimasto a bordo.

«Sostiene l'attrice, che l'esponente fu sorpreso, e catturato dai piroscafi di Sua Maestà (D. G.) quando riconducevasi a Ponza per rilevarne altri servi di pena e trasportarli in Sapri, mentre per contrario, egli padrone assoluto della sua navigazione, dopo lo sbarco de' rivoltosi a Sapri, preferiva approdare a Napoli, lasciando il golfo di Policastro,. e traversando l'altro di Salerno; mentre al confine di quest'ultimo, è precisamente nei paraggi di Capri, ravvisati dei piroscafi, e presumendo che fossero di questo Real Governo a loro spontaneamente dirigevasi, e tosto, e prima che fosse chiamato, ammainava le vele, e svaporava la macchina, e poi salito al bordo del Tancredi faceva dichiarazioni conformi alla verità, ed al fatto che la difende.

«La rotta, che egli teneva, respinge l'imputazione di riportarsi a Ponza; il suo contegno esclude qualunque coscienza di colpa, toglie qualsivoglia idea di cattura.

«Vuoisi dall'attrice, che l'equipaggio del piroscafo fosse stato di accordo co’ rivoltosi, che avesse combattuto colla guarBigione di Ponza: questi sono supposti avversi al vero.

«L’equipaggio,SENZ’ARMI, contro uomini armati, e rivoltosi; atterrito, e pauroso per la violenza usata allo esponente,e sollecito del suo pericolo, NON RESISTETTE, NÉ AVREBBELO POTUTO; MA TRANNE UN SOLO, CHE SI CHIARIDE RIVOLTOSI, ED UN ALTRO CHE FORSE FU OBBLIGATO A SEGUIRLI, niuno dell'equipaggio, né fermò piede a. Ponza, né toccò la terra di Sapri.

«SE L'ESPONENTE SUBIVA L’ESTREMA MINACCIA, SE SOTTO LA MEDESIMA PREPOTENZA, E NON AVENDO MODO A SOTTRARSENE, OD A VINCERLA, MACCHINALMENTE PRESTAVASI A COOPERARE ALLO SBARCO, NESSUNO, CHE RAGIONEVOLMENTE PENSI, SARÀ CERTO. PER FARGLIENE UNA COLPA.

«La pruova di questi fatti si compie in gran parte per i documenti che si trovavano sul piroscafo, i quali fuori dubbio, sono stati colla maggior religione conservati dai funzionari di questo Real Governo; che anzi tra essi debbe esistere benanche una dichiarazione, che l'esponente ottenne per suppliche, da tre individui tra i rivoltosi, i principali, Pisacane, Nicotera, ed un terzo che crede fosse un calabrese, ma non ne ritiene il nome, si opera quella pruova nel restante per non dubbie testimonianze, e costituisce l’ineluttabile «giustificazione dell'innocenza dell'esponente.

«Ma nello stato attuale egli non à bisogno di tanto, perché l'attrice non solamente non produce, ma non enuncia alcun documento che sostenga la sua induzione mal fondata «nel diritto e peggio nel fatto.

«Ed è però, che se inconcusso è il principio che quando l'attore non somministri pruova dell'azione che istituisce, debbasi la sua dimanda rigettare, lo esponente chiede alla giustizia della Commissione, CHE QUELLA PRODOTTA DALL'ATTRICE SI RIGETTI, e che si ordini la restituzione del piroscafo illegalmente arrestato, e l'ampio ristoro del danno nei suoi svariati rapporti materiali e personali, e delle spese del giudizio, e compenso dell’avvocato — Li 20 Ottobre 1857 — Giuseppe Barbacci procuratore.

«Utili e decisive conseguenze che derivano
dalle, surriferite difese.

«Noi abbiamo prescelto di trascrivere nel di loro intero tenore le difese intimate dai signori Rubattini e Sitzia, per esimerci dalla possibile taccia di avere esagerato il vero che si è consegnato in quegli atti, e per francarci ancora dell'altra accusa di aver potuto moncarle, delibandone soltanto quei brani che abbiamo creduto giovevoli alla nostra causa.

«Quelle difese, le quali sono atti di parte, e stanno sotto gli occhi della Commissione e del pubblico, nella loro piena integrità, concedono a tutti di ricavare le seguenti illazioni, che sono tanti elementi di fatto oramai ammessi e confessati dai convenuti nel quasi contratto giudiziale, stretto tra essi e l'attrice Intendenza generale della Real Marina, per effetto di quelle deduzioni.

§. III. Novero e disamina dei fatti ammessi e confessati
dai signori Rubattini e Silzia

Innanzi tratto, è importante osservare che amendue i convenuti in giudizio, direttamente e tassativamente si difendono nel meritodella causa contro dell'azione proposta dall'attrice e ne domandano il rigetto, col ristoro de' danni e delle spese.

Adunque sono irreplicabili verità: che non più deve dubitarsi della competenza de' giudici delle prede nella quistione della cattura del Cagliari, pienamente riconosciuta e volontariamente adita da Rubattini e da Sitzia: che da questo fatto spontaneo ne deriva un’altra conseguenza certa, cioè dire che l’unica quistione che va discussa e decisa è della sola legittimità, o illegittimità della preda del piroscafo il Cagliari: che non si potrà mai più dai convenuti deviare ad altro Tribunale, poiché essi stessi, da quelli istituiti eccezionalmente pei casi delle prede marittime, attendono quella giustizia che credono di appartenergli.

Del pari non può più parlarsi della rituale validità del giudizio presente istituito dalla Real Marina, per tutto ciò che potrebbe riguardare i motivi di ordine e preliminari al merito della domanda avanzata dall'attrice.

Gli stessi convenuti sono persuasi della indipendenza del giudizio attuale dall'altro penale, già introdotto e pendente davanti la Gran Corte speciale della provincia di Pincipato citeriore, prima che il presente dalla Real Marina s’istituisse.

Adunque essi stessi attestano che l'esperimento della buona preda à elementi essenziali e fatti tutti propri, separati e distinti da quelli che formano gli estremi ed i requisiti necessari del giudizio penale, quali inservono soltanto alla convinzione del magistrato, alfine di assolvere o condannare i prevenuti, creduti autori del reato commesso ((580)).

§.IV. Continuazione.

Il signor Rubattini comincia per confessare, che il comando del suo piroscafo fa violentemente trasportato in un rivoltoso, che stava tra gli altri a bordo.

Questi è Giuseppe Daneri: quel desso che per propria confessione, non contraddetta dalle pruove raccolte, e tanto meno da Sitzia, sarebbe stato primamente forzato; e secondamente non avrebbe preso mai il comando del Cagliari, perché i ribelli collettivamente lo dirigevano. Quindi molte conseguenze a danno del Rubattini.

La prima è: che egli preconosceva di stare il Daneri tra i. rivoltosi, mentre costui, dal Sitzia e dagli altri si assicura che nel momento dell'asserta violenza si trovava sotto coverta, e stava cenando con quei passaggieri che rimasero indifferenti e tranquilli. Deve dunque conchiudersi che il Rubattini sapeva di qual indole si fosse Daneri, e gli altri che egli accolse sul Cagliari; della quale scienza non deve per altro dubitarsi, avendolo egli nettamente assicurato nella sua lettera del 2 luglio 1857, diretta al Consolo generale di S. M. in Genova, e della quale lungamente. abbiamo ragionato di sopra.

La seconda conseguenza è, che lo stesso Rubattini si mette in contrasto con le istruzioni compilate, e confessa sapere quello che non à potuto apprendere da altri, né per mezzo di qualsiesi documento.

Lo stesso Rubattini sostiene essere consistita la violenza fatta al capitano Sitzia nella minaccia di morte; e che a quella minaccia, l'intero equipaggio rimase interdetto e passivo per l’imminente pericolo del capitano. Relativamente a questa sorprendente passività, il Sitzia aggiugne, che l’equipaggio tal divenne, perché inerme, e perciò impotente a resistere.

Ma in primo luogo, la forza maggiore non consiste nella minaccia, ma in vece nell'esercizio di fatti materiali.

In secondo luogo, il numeroso equipaggio non fii mai circondato o sorpreso dai pochi passaggieri: non intervenne altrettanto al secondo capitano Vincenzo Rocci, niente affatto al pilota Agostino Ghio. Ciò basterebbe (se non esistesse la pruova contraria) a smentire radicalmente l'asserzione della patita forza maggiore.

In terzo luogo, i fatti asseriti succedevano in folta notte: ed è poi menzogna solenne che l'equipaggio fosse inerme.

È pruovato che il capitano era rifornito di armi da fuoco a dovizia, di armi bianche, e di munizione da guerra in gran copia.

È pure un fatto: che tutto ciò era noto a Sitzia ed a tutto l’equipaggio; che sul bordo del Cagliari vi erano sette casse di armi, tra le quali gran numero di boccacci e di pólvere da sparo. E qui si avverta che Sitzia à deposto che non prima del giorno 27 giugno, e verso le ore 4 pomeridiane, i ribelli fecero perquisizione nel legno, e ritrovate le casse di armi, se ne impadronirono.

Laonde, se i rivoltosi ignoravano, e se il capitano e l'equipaggio sapevano il luogo dove stavan riposte le armi e le munizioni, ogni uomo di buon senso dirà, che era non pure facile, ma certo, che ad un sol cenno, tutti o gran parte potevano armarsi, e quindi opprimere e spegnere quei pochi voluti aggressori, i quali, in tal vicenda, divenivano essi stessi inermi a fronte dell equipaggio e del capitano.

In questo luogo debbono ricordare i signori Rubattini e Sitzia, esser dovere del capitano e dell’equipaggio, non già di rimaner passivi alle sole minacce verbali, ma di battersi fino all'ultimo sangue per difendere il legno, il proprio dritto e quello degli altri; dappoiché non vi è mai forza maggiore dove non vi è reciprocanza di offese; e quella forza maggiore, nel caso di passività assoluta dai soggiocati, si traduce in volontaria cessione del legno.

§. V. Compimento della dimostrazione

Il precennato signor Rubattini esplicitamente ed interamente fa propri i fatti e le giustificazioni del Sitzia nel presente giudizio, e ne ritiene tutta intera la verità.

Adunque il signor Rubattini confessa di aver causa e destino comune con costui, e lo confessa per antica e ribadita persuasione dell'animo suo.

Ciò posto: i fatti pruovati nella causa e che definiscono il Sitzia principale inimico del Regno e riconvinto pirata, ugualmente chiariscono e dimostrano inimico e pirata il Rubattini. Tra di loro vi era complicità ed accordo di pensieri, di disegno, di mezzi e di fidanza reciproca. Questa è una conseguenza innegabile della di lui esplicita confessione.

Ed indipendentemente da ciò, per diritto positivo, la perdita del legno lo colpisce sempre, dato per poco anche la sua innocenza, per virtù delle chiare disposizioni di legge, che regolano la dottrina delle prede.

Sempre premessa la volontà del Rubattini di accomunare le sue sorti a quelle del Sitzia, egli non può più niegare i fatti d’inimicizia e di pirateria consumati dal Sitzia e dall’equipaggio del Cagliari, che egli stesso prescelse al comando ed all'armamento del piroscafo, e dei quali perciò la legge lo chiama risponsabile.

Or Sitzia nelle succennate difese confessa, che, prima di ogni altro, fu sorpreso da quattro uomini armati di pistole e da altri armati di stile, e che nel tempo stesso altra violenza si usava al timoniere Agostino Rapullo. Sitzia dunque smentisce e contraddice se stesso, tutte le volte che si rifletta che egli nella sua deposizione fatta davanti all'uffiziale d’Ayalaaffermò di essere stato assalito da 25 dei passaggieri.

D. più, egli confessa che un solo del suo equipaggio scese a Ponza, il quale era dei rivoltosi, con un altro che forse fu obbligato, ma che non toccò la terra di Sapri.

Sopra questa seconda confessione è da avvertire, che dessa anche trovasi pienamente smentita dalle istruzioni del giudizio, e nientemeno che dall’¡stesso Vincenzo Rocci capitano in secondo del Cagliari: che basterebbero solo quei due che dichiara il Sitzia di essere discesi in Ponza, e che caratterizza rivoluzionari; ed i quali erano precisamente Lorenzo Acquarone e Giuseppe Mercurio, entrambi camerieri addetti al piroscafo.

Finalmente quest’ultimo, non solo toccò la terra di Sapri, ma anche quella di Padula, dove combattette contro delle Regie truppe e vi rimase ferito e prigioniero. Ond’è che delle 33 persone che componevano l’equipaggio, di presente ne manca una.

Dippiù, il Sitzia esplicitamente confessa, quello che à sempre niegato nelle sue deposizioni, e che osta ancora all'asserzione della patita forza maggiore, vale dire che egli si prestò a cooperare allo sbarco dei ribelli in Ponza.

Or la cooperazione al fatto più solenne ed essenziale, e senza di cui non si avrebbe potuto compiere tutta la serie delle aggressioni ostili commesse in Ponza, distrugge radicalmente la possibilità della tollerata violenza.

Il Sitzia attivamente operò: egli era libero nel comando del legno, ed à mentito e mentisce solennemente anche con lui il signor Rubattini, allorché sostengono di accordo, che il primo fu messo sotto coverta, e chiuso in un camerino di poppa ((581)).

Se ciò fosse stato vero, come mai Sitzia, nello stesso tempo si poteva trovare sotto coverta e sul ponte per dare tutte le disposizioni affine di assicurare ed eseguire la discesa dei ribelli e dell’equipaggio nell’isola di Ponza? E come mai può accadere, che un capitano di un battello a vapore macchinalmente diriga ed esegua le difficili e complicate operazioni del disbarco dello intero equipaggio, e con lui di altri venticinque individui; tutti armati, e col mezzo di nove lance gettate in mare e preparate all’uopo?

Ben dicevamo che le preziose confessioni fatte dal Rubattini e dal Sitzia, negli atti di difesa surriferiti, sono per se stesse così prepotenti da assorbire e prevalere a tutte le pruove già compilate in processo a di loro pregiudizio.

§. VI. Somma, epilogo e conchiusione di tutta la causa

Interviene a noi ciò che soventi volte accade a coloro, che dopo lungo e penoso viaggio, prendono alcun riposo nel tetto natio.

Dolce è per essi allegrar l’animo, memorando i vinti perigli ed i superati travagli.

Così a noi recherà gradito conforto, dopo le lunghe disputazioni sostenute, l’augurarsi di aver messo nel massimo punto di evidenza i seguenti assunti:

I. Che il piroscafo il Cagliari muoveva dal porto di Genova in contravvenzione manifesta delle leggi del suo paese e di tutti i popoli inciviliti.

II. Esso mancava delle carte necessarie di bordo, pel difetto delle quali è qualificato pirata.

III. Dei passaggieri e dell'equipaggio, gran parte mancava di passaporti, di passi, di libretta, e di riscontri opportuni.

IV. Quel piroscafo mentì la sua destinazione, e col pieno consenso del capitano, dell'equipaggio, e lice aggiugnere dello stesso Rubattini, volse all’isola di Ponza, per consumarvi, come fece, atti della più solenne inimicizia contro del nostro Sovrano, e della più segnalata pirateria.

V. Seguitò l’empio metodo dal partire di Ponza, all’arrivo in Sapri, nel qual paese, il Cagliari vomitò numerose squadre ordinate a guerra, che apportarono ed esercitarono sul continente del Regno solennemente la guerra intestina.

VI. Né dimise il Cagliari i meditati progetti, dappoiché ritornava in Ponza per ripetere le offese.

VII. Legalmente è avvenuta la cattura del Cagliari: rituale è la istruzione degli atti compilati: competente n’è il magistrato istituito a conoscerne.

VIII. La dichiarazione di legittimità della preda di quel piroscafo è indubitabile e manifesta, attesa la qualità di nemico del regno e di pirata che in lui è manifesta.

IX. Per testo di leggi espresse, e per la patria giureprudenza marittima è regola generale che la preda colpisce il proprietario del legno, se pur’egli fosse innocente nel fatto d’inimicizia.

X. Non restare a lui che il regresso di rimborso, o contro del capitano, se colpevole, o contro gli autori della esercitata forza maggiore, se questa si fosse mai veramente esercitata.

XI. È inimico del Regno colui che in guisa da non tollerare le ordinarie repressioni, obbliga il Governo ad usare di quelli stessi mezzi che adoperar dovrebbe in una guerra pubblica e solenne.

XII. Nel qual caso e nella quale condizione si trova costituito indubitatamente il Cagliari, in vista del soperchiante corredo delle pruove compilate a suo danno.

XIII. Ond’è, che non dubita l’attrice di vedere accolta la sua domanda dal maggior senno è dalla impassibile giustizia della Commissione di prima istanza delle prede e naufragi.

Napoli 6 Novembre 1857.

Ferdinando Starace.

APPENDICE

contenente i documenti, dei quali fa uso l’Intendenza Generale
DELLA
REAL MARINA
NELLA
causa di legittima preda del piroscafo sardo,
IL CAGLIARI.

APPENDICE

Comando superiore dei legni di particolare servizio di S. M. (D. G.) N.° 403—Salerno 29 Giugno 1851—Al signor cavaliere D. Antonio Bracco Direttore del Real Ministero e Segreteria di Stato di Marina. Napoli.

Signor Generale — In esecuzione degli ordini superiormente ricevuti, ieri sera colle Reali fregate a vapore, il Tancredi e l’Ettore Fieramosca posi in movimento per Mola, dove imbarcai su i detti legni quattro compagnie dell'11.° battaglione Cacciatori, ed all’una a. m. diressi per l’isola di Ventotene, dove essendomi sollecitamente assicurato che nulla vi era di nuovo, tanto in quell’isola, che nell’ergastolo di S. Stefano, giacché il battello a vapore, con i rivoltosi, era passato largo dall’isola, diressi pel fiume Sele, onde, percorrendo poi il littorale, conoscere in qual sito erano i rivoltosi, e sbarcare la truppa; ma verso le ore 8 (3)4annunziato dalla scoverta un legno a vapore di prua che dirigeva a ponente dell'isola di Capri, feci rotta in conseguenza per raggiungerlo. Alle 9 % si osservò che il detto legno, il quale navigava con macchina, e vele, aveva accostato sulla sua dritta, e sembrava che dirigesse per le bocche piccole di Capri. Feci accostare allora molto alla sinistra per tagliargli il cammino, ed alle 10essendo a poca distanza, il legno in ' parola che aveva la bandiera Sarda, come dai segni che mi erano stati indicati al momento della partenza da Mola, era quello che aveva i rivoltosi di Ponza a bordo, feci tirare un colpo di cannone per chiamarlo all'ubbidienza, ed essendo giunto a traverso molto vicino, colle macchine fermate, feci chiamare il capitano con tutte le sue carte, al che egli ubbidì immediatamente, e giunto sul mio bordo, gli feci le prime interrogazioni verbali. Intanto spedii subito una lancia col tenente di vascello signor Imbert per fare esatta visita su quel bastimento, cercando le armi, se ve ne fossero, munizioni, ed altre carte.

Contemporaneamente ordinai all’altro tenente di vascello signor Ayala di prendere le deposizioni, tanto del capitano, che dell'equipaggio e passaggieri, che seppi esservene a bordo, nonché di tre feriti de' rivoltosi, che lo stesso capitano disse essere sul suo bordo.

Ritornato il signor Imbert a bordo, portò delle armi che descrivo al margine, e confermò esservi a bordo numero 8 passaggieri ed i tre feriti, come sarà tutto descritto nel processo verbale di cattura che avrò l’onore rimetterle ((582)).

Fatto ciò con tutta sollecitudine, considerando che il trascinare a rimorchio il legno predato, ritardava il cammino del legno rimorchiatore, e volendo far conoscere immediatamente al Re (D. G.) la presa fatta, e dirigere a Lei il presente primordiale rapporto, disposi che la Real fregata a vapore l’Ettore Fieramosca avesse preso a rimorchio il ripetuto legno predato, e diretto pel capo Alicosa, ove lo avrei raggiunto, e col Tancredi diressi per Salerno, ove giunto ho fatto passare la segnalazione telegrafica elettrica alla M. S., e fo passare a Lei il presente rapporto, e dirigo per raggiungere il Fieramosca, riserbandomi farle pervenire altri rapporti in seguito, non che il processo verbale di cattura, le deposizioni che si stanno prendendo, e quanto altro potesse in seguito avvenire.

IlRetro Ammiraglio Comandante superiore — firmato, Federico Roberti.

II
Copia — Comando superiore de legni di particolare servizio di S. M. (D. G.) N.° 409. Sapri 3 Luglio 1851—Al Signor Brigadiere Cavaliere D. Antonio Bracco Direttore del Ministero e Real Segreteria di Stato della Marina —Napoli.

Signor Generale — In continuazione del mio foglio del 29 prossimo scorso giugno speditole da Salerno, mi do l'onore compiegarle, tanto il processo verbale di cattura del battello a vapore Sardo il Cagliari, che la deposizione del capitano, equipaggio, otto passaggieri, e tre feriti. Di questi ultimi, per due figurano anche nel notamento di tutt'i passaggieri imbarcati in Genova, ed uno de' rivoltosi di Ponza. Il notamento di tutt’i passaggieri imbarcati sul detto legno in Genova colla indicazione di quelli che promossero armati la rivolta sull'isola di Ponza, e che poi sbarcarono con tutti gli altri rivoltosi in Sapri, ella l'avrà certamente ricevuto a quest'ora, avendolo rimesso a S. A. R. il Vice Ammiraglio presidente del consiglio di ammiragliato. Similmente dall’A. S. R. avrà ricevuto un sacco suggellato alla presenza del capitano del bastimento, contenente tutte le carte rinvenute sul ridetto battello predato, non che una cassetta anche suggellata della posta fra Genova e Cagliari, avendola rimessa alla prelodata A. S. R. col mezzo della Real fregata a vapore l'Ettore Fieramosca, la quale analogamente agli ordini ricevuti, rimorchia in Napoli il più volte ripetuto battello a vapore predato.Durante la permanenza in questo porto, mi sono stati spediti in più volte dieci rivoltosi arrestati dalla forza a terra, alcuni de' quali armati di boccaccio, come quelli rinvenuti a bordo del Cagliari, ed avendo incaricato il tenente del reggimento Real Marina, signor Lecaldano, imbarcato sul Tancredi di prendere volta per volta le loro deposizioni, mi do l’onore qui compiegarle al numero di 10, nella prevenzione che i detti arrestati sono benanche spediti in Napoli bene assicurati, col mezzo della fregata il Fieramosca, dal di cui comandante nel ritornare qui dalla crociera, essendomi stato diretto il seguente rapporto, mi onoro rimetterle ancora l'originale deposizione in esso citata.

«Signor Retro Ammiraglio. Mi onoro rapportarle che avendo uno dei prigionieri, che ho in questo bordo, nominato Filippo Ferrajolo manifestato di voler far una dichiarazione, l’ho chiamato in mia presenza per tanto praticare. Avendo però facilmente scorto essere detto individuo di cervello poco sano, ho creduto interrompere siffatta dichiarazione, che non per tanto le accludo tal quale è stata da esso dettata».

Il Retro Ammiraglio Comandante Superiore — firmato, Federico Roberti.

III
Copia — Anno 1857—Mese di Giugno—Giorno 29—Regno delle due Sicilie — Real fregata a vapore Tancredi.

Oggi che sono li 29 Giugno 1857, alle ore 8 34a. m. essendo all’ovest di Capri, distante miglia 12 circa, seguiti dall’altra fregata a vapore l’Ettore Fieramosca, che in quel momento trovavasi a circa due miglia distante da noi, si è scoverto un vapore che dalle acque di capo Licosa dirigeva colla macchina e con le vele fuori la punta ovest di Capri, e si è immediatamente diretto verso di lui, onde riconoscerlo, ed essendoci avveduti alle 9 ½ che man mano accostava alla sua dritta, da noi si è diretto per tagliargli il cammino, onde raggiugnerlo al piùpresto, ed in effetti poco dopo ci siamo assicurati essere un vapore genovese di commercio, e che dai segni esterni di riconoscenza avuta in Gaeta, al momento della nostra partenza, presentava tutte le probabilità di esser quello precisamente che da noi si doveva riconoscere ed arrestare.Alle 10 a. m. essendoci molto avvicinati al medesimo si è tirato un colpo di caunone a palla, fermando la macchina per chiamarlo all’ubbidienza, al che il più volte nominato vapore ha fermato la macchina, ed imbrogliate le vele: indi si è imposto al capitano di venire al nostro bordo con le sue carte, ed avendo immediatamente ubbidito, si è presentato al signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti che superiormente comandava le due fregate, e mentre che dal prelodato signor generale si riceveva la deposizione del capitano, e si esaminavano le sue carte, si è spedito a bordo del vapore arrestato una lancia armata in guerra col tenente di vascello D. Antonio Imbert per eseguire una esatta perquisizione sul legno, ed assicurarsi se vi fossero state armi di sorta alcuna, munizioni da guerra, ed altre carte. Al ritorno di detto uffiziale si sono ricevute a bordo una cassa aperta, contenente cinquanta canne di fucili, un’altra chiusa che si diceva contenere benanche cinquanta fucili, nove fucili a due colpi, quattro ad un colpo, e due di munizione, una carabina, un boccaccio, due pistole, una sciabla di modello per gli uffiziali del nostro esercito senza fodero, una cassetta di munizione simile a quelle che si ricevono dal nostro parco di artiglieria, contenente pochi razzi per segnali, e tre individui feriti, che appartenevano alla banda de' rivoltosi, sbarcata in Sapri, come asseriva il capitano nella sua deposizione. Le armi da fuoco erano cariche. Impossessatosi quindi del bastimento, il generale comandante superiore dispose che la Real fregala Ettore Fieramosca avesse preso a rimorchio il vapore predato dirigendo per capo Licosa, ove si sarebbe' da noi raggiunto, avendo fatto trattenere al nostro bordo il capitano del vapore; da noi si è diretto per Salerno, ove giunto dopo aver conferito con quel signor Intendente, siamo andato a riunirci al Fieramosca, e di conserva diretti a Sapri, onde eseguire gli ordini ulteriori superiormente ricevuti. Dal tenente di vascello Ayala per ordine del signor generale si è ripresa la deposizione del capitano, e continuando a procedere ha ricevuto man mano anche le deposizioni dell'equipaggio, passaggieri, e feriti trovati sul vapore che saranno spediti col presente processo verbale di cattura— Il vapore arrestato è di nazione Sarda, da commercio, denominato il Cagliari, ed il capitano si chiama Antioco Sitzia—Il tenente di vascello col dettaglio Amilcare Anguissola. —Il capitano di fregata comandante Ferdinando Rodríguez.

IV
Copia—29 Giugno 1851.

D. Qual è il vostro nome? R. Giuseppe Daneri. —D. Quali sono i vostri genitori? R. cavaliere Giuseppe Daneri, e Rosa Boncaivano. —D. Che età avete? R. Di anni 28, nato a Fincialmarino dello Stato Sardo. —D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari? R. Di passaggio per Cagliari per affari commerciali imbarcai il giorno 25 in questo vapore che trovavasi nel porto di Genova. Partimmo la sera alle sette circa ed alle ore 8% io era in coverta, e calai a BASSO ONDE CENARE.In questo mentre sento precipitarsi un uomo, il quale gridava rivoluzione, rivoluzione. A questo, mi fu INIBITO DI SALIRE IN COVERTAda un uomo vestito di rosso ed armato con pugnale e pistola, che chiuse il passaggio a tutti, onde salire in coverta. Intesi chiamare ripetutamente il mio nome, e scesero altri due uomini armati, mi condussero in coperta ed avanti vidi il capitano del vapore circondalo da molti individui armati, e vestiti di rosso, i quali m’imposero di prendere il comando del vapore; io cercai di rifiutarmi, ma obbligato di accettare a forza a prendere il comando del vapore. Allora domandando consiglio dal capitano, lui mi rispose: Contro la forza ragion non vale. —Allora uno de' capi, che nominavano Pisacane mi prese per il braccio, e mi condusse nello stanzino del capitano con una pistola in mano; mi disse: voi siete un buon giovane e non dovete temere di nulla, purché facciate a modo nostro; ma se per qualunque evento il vapore non sarà ben diretto al punto che noi vogliamo, la vostra vita sarà la prima ad essere sacrificata, indi m’indicò il punto dove io doveva condurli a venti miglia di distanza dal paese di Sestri di levante sulla rotta che percorrono i vapori che da Genova vanno a Cagliari, aggiungendo che in quel punto noi dobbiamo trovare due barche cariche di armi, munizioni, ed uomini, i quali dovevano unirsi a loro. Allora cercai di portarli in [questo sito, ma non trovandovi le due barche, rimanemmo in quelle acque tutta la notte, marciando a mezza forza. ALLA MATTINA MI SI ORDINÒdi far rotta pel capo Corso, indi essendovi alla distanza di dieci miglia circa, vedemmo un brigantino che abbordammo, e venendo a conoscere che era carico di grano che veniva da Odessa di bandiera Napolitana,proseguimmo la rotta per Monte Cristo onde far legna, giacché i macchinisti asserivano che non vi era carbone sufficiente pel viaggio da farsi.Giunti alla distanza di circa 25 miglia da Monte Cristo verso il ponente, scorgemmo una squadra inglese di cinque vascelli e due vapori. Allora i capi della rivolta hanno mandato a basso tutto l'equipaggio del vapore, e poiché i passàggieri, obbligandoli con la forza a rimanerci, si proseguì LA ROTTA PER CAGLIARI. Passata la flotta, scesero nella carboniera e rassicuratisi della quantità del CARBONE, DECISERO DI FAR ROTTA PER PONZA. Praticaromo una visita al Bastimento e rinvenute varie casse di armi, se ne impossessarono di unito ad un recipiente di polvere, e si organizzarono a loro modo. Verso l’imbrunire giungemmo a Ponza, dove si chiamò il pilota con la bandiera a prua. Questi, dopo poco giunse, e fattolo salire, gli si obbligò con minacce della vita a dire la guarnigione dell'isola. In seguito di che ancorammo nel porto, ed io in compagnia de' due capi nominato, uno Nicotera e l’altro Falcone (io credo) mi condussero a terra con la patente di sanità per prendere pratica. Appena scesi a terra, si sentirono grida e fucilate, e quei pochi sergenti si misero a correre verso il paese; io rimasi lì solo sul molo, che gli altri fuggivano al seguito de' due capi: rimasi colà finché cessate delle fucilate, passò una barca del nostro bordo, e m'imbarcai, e venni a bordo. Il vapore si riempiva di genti armate che venivano da terra, e giunte verso le 11 della sera al numero di un quattrocento all’incirca, mettemmo in moto, e fui obbligato di dirigere sopra Sapri, dove giunti l’indomani sera alle 9 circa, sbarcammo tutta la gente armata che volle. Gli ultimi a scendere furono gl’insorti a bordo, dopo la partenza da Genova. Terminati di calare tutti, di consenso con tutti gli altri rimasti a bordo, si partì prendendo la direzione di Napoli—D. Avete niente altro da aggiungere, o togliere a quanto avete riferito? R. Non signore — D. Potete giurarlo? R. Sissignore, e mi sottoscrivo— Il tenente di vascello—Giovanni d’Ayala Valva—Il cannoniere di 3.(a)classe da cancelliere, Pasquale Todisco — Giuseppe Daneri di Giuseppe.

V Copia — Oggi che sono li 5 Luglio 1857

—Io Giovanni d’Ayala Valva tenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorato sulla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, Comandante superiore de' Reali legni di particolar servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal cannoniere di 3. (a)classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il signor Giuseppe Daneri di condizione marittimo imbarcato da passaggiere su detto vapore qui ancorato, ed in seguito dell'interrogatorio da questo subito il giorno 29 giugno ho proceduto alle seguenti domande — D. In seguito di quanto avete riferito di aver preso il comando del vapore Cagliari, obbligato dagl’insorti, perché non cercaste con tutti i mezzi possibili, allora quando si praticò lo sbarco in Ponza, di lasciare quel porto, e riferire lutto l’accaduto a chi si doveva? R. Approdato col vapore in Ponza, io fui imbarcato nella lancia con due de' capi che mi condussero a terra per dare il costituto. Appena posi piedi a terra, si seutirono fucilate e grida, e restai solo abbandonato dalla lancia, finche cessate le fucilate, passò una lancia di bordo, che chiamai per farmi condurre a bordo. Arrivato a bordo trovai il bastimento pieno d’insorti, ai quali il mio dovere era solamente quello di ubbidire—D. Che cosa sapete della scorridoia Reale esistente nel porto di Ponza? R. Ho veduto ancorata nel porto una barca, che il pilota mi disse essere la scorridoia Reale, e poi ho sentito dire che la scorridoia era stata sfondata. In riguardo ai viveri, armi, e munizioni da guerra ne ho veduto gran copia a bordo distribuirsi tra loro gl’insorti, ma non conosco niente, se le dette appartenevano alla scorridoia, o pure provvenienti da terra—D. Avete niente altro da aggiungnere o togliere a ciò che avete riferito, sì nel primo interrogatorio, che in questo secondo? R. Che io mi ricordi no, e confermo di nuovo quanto ho detto nei sopra menzionati interrogatorii—D. Potete giurare quanto avete riferito sull'accaduto? R. Sissignore lo giuro, e ini sottoscrivo. — Il cannoniere di 3. (a)classe da cancelliere—Pasquale Todisco—Il tenente di vascello—Giovanni d’Ayala Valva—Giuseppe Daneri di Giuseppe.

VI
Copia

—D. Come vi chiamate? R. Mi chiamo Antioco Sitzia figlio di Vincenzo nato in Cagliari, di anni 56 — D. Da dove venite? R. Partito da Genova il 25 giugno alle 7 p. m. per la destinazione di Cagliari e Tunisi, con pieghi dell’uno e dell'altro Governo, e mercanzie diverse, come costa dalle polizze di carico. Alle 8 feci mettere a segno la guardia, ordinando la rotta per S 16° E. In questo frattempo andava a prora per fare le mie osservazioni, e mi son trovalo circondato da una banda di 25 individui, che componevano buona parte dei miei passagieri che in tutto erano num. 33, facendo prigioniere TUTTO L’EQUIPAGGIO, ed obbligandomi a deporre il comando, e quindi si diressero ad un tale LUIGI DAÑERO CAPITANO MARITTIMOche faceva parte degli otto residuali passaggieri, ordinandogli di continuare l'istessa rotta del vapore Cagliari: che dovevano incontrare una barca carica di munizioni da guerra, più 60 uomini e QUINDI SI SAREBBERO DIRETTI PER L’ISOLA DI PONZA PER LIBERARE I PRESIDIARII. Questa navigazione si è durata con diverse rotte per cercare la suddetta barca, che per fortuna non si è trovata fi no a mezzanotte. A MEZZANOTTEhanno ordinato di mettersi in rotta per il capo Corso. Alle 3 ½ a. m. del 26 ci siamo diretti per l’isola di Ponza. Alle 11 ½ abbiamo osservato la squadra Inglese, che non mi ricordo se fossero da otto a nove grossi legni da guerra, che si dirigevano per il golfo di Spezia. Alle 3½ p. m. del 27 eravamo a poca distanza dal paese di Ponza, è posta la bandiera, onde chiamare il PILOTA PRATICOche giunse immantinente, 1(?)obbligarono a montare a bordo, unitamente al suo uomo, e colle armi rivolte al petto, l’obbligarono a montare a bordo, unitamente al suo uomo a confessare la qualità della forza del paese. Il disgraziato disse a voce tremante molte cose CHE IO NON COMPRESI. In questo intervallo venne a bordo una lancia del porto con quattro uomini e due uffiziali, uno era il capitano del porto, e l’altro un uffiziale di piazza: l’invitarono a montare a bordo, e questi si ricusavano dicendo, che se non prima prendevano pratica, secondo le leggi, non potevano montare a bordo. A ciò due de' rivoltosi calarono abbasso alla scala, e con le pistole in mano le diressero al petto dei detti ufiziali, e li obbligarono a rendersi ed a deporre le loro spade. Alle 5 si diè fondo nel porto di Ponza ed imposero al mio equipaggio di mettere in mare tutte le imbarcazioni, onde aiutare a fare lo sbarco, e prendere il paese d'assalto, come vi riuscirono, e fecero prigioniere tutte le autorità locali che portarono a bordo. Alle 6 ½ p. m. la banda era già composta di 450 CIRCAed all'1 a. m. del 28 giunse a bordo una mia imbarcazione con armi acquistate a terra. Senza darmi tempo di salvare il mio canotto, che credo l’avranno trovato a Ponza, e data la libertà a tutte le autorità locali, si partì immediatamente per la volta di Sapri, ove giunti alle 8 ¾ p. m. senza dar fondo, posero in mare tutte le lance, e con l’aiuto d’una altra barca peschereccia, si effettui lo sbarco, che si ultimò alle 10 2/3LASCIANDOMI UNA DICHIARAZIONE, onde garantirmi tanto dal mio Governo, quanto da quello Napolitano, esponendo tutto ciò che loro a viva forza avevano praticato, rimanendo ancora a bordo numero 3 RIVOLUZIONARII FERITI, uno de' quali si apparteneva a quelli presi in Pouza. Subito pensai dirigermi per Napoli, onde darne una dettagliata relazione a questo Regio Governo, come pure mettermi in regola con il mio, ed al tempo stesso provvedermi DI CARRONI,per quindi proseguire il mio destino. Dimenticavo dire che il giorno 27 fecero una perquisizione in tutto il bastimento, in cui tra le mercanzie di Tunisi trovavansi sette casse d’armi di lusso, tra montate e smontale, l’ultima delle quali mi lasciarono a bordo. Dimenticava ancora dire, che essi mi consigliavano di non approdare in Napoli, perché sarei stato compromesso con il Governo. Io risposi che la mia posizione me l'obbligava, stante che questo Governo non aveva, e non ha discordia alcuna con il mio. — D. Sapete se questa banda di rivoluzionarii, avevano o pur no munizioni? R. Ne avevano, ma in pochissima quantità, essendo molta gente disarmata. D. Se avevano delle armi, e delle munizioni, come succede che non ve ne eravate accorto nel loro imbarco? R. Allorché s’imbarcarono questi individui a bordo non avevano alcun segno di gente malvagia da sospettare; DOPO LA PARTENZA HO VEDUTO CHE OGNUNO ERA ARMATO DI PISTOLE, E STILI. —D. Quando i rivoltosi sono sbarcati a Ponza, perché non avete tentato di uscire dal porto, e venire ad avvertire nel continente? R. Perché era rimasto SOLO A BORDOcon quei pochi PASSAGGIERIneutrali, GIACCHÉ L’INTERO MIO EQUIPAGGIO ERA STATO OBBLIGATO A VIVAforza di sbarcare a terra CON LORO—D. Avete altro ad aggiugnere a questa vostra deposizione? R. Non ho altro ad aggiugnere, né togliere a questa mia deposizione, essendo questa la pura verità—In seguito si sono fatte le altre domande. D. So che i rivoltosi hanno ricevuto sul vostro bordo fra le altre armi, una quantità di Boccacci? R. I DETTI BOCCACCI ERANO RINCHIUSI NELLE CASSE DI ARMI DESTINATE PER TUNISI— D. Chi è il vostro raccomandatario? R Carlo di Lorenzo di Napoli — Sapri 29 Giugno 1851—Firmato, Antioco Sitzia—Il tenente di vascello—Giovanni d’Ayala Valva—Il 3.° pilota da cancelliere—Luigi Todisco.

VII
Copia

—Oggi che sono li 3 Luglio. 1857—Io Giovanni d’Ayala Valva lenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a Vapore il Tancredi ora ancorato nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti Comandante superiore dei Reali legni di particolare servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal cannoniere di 3. (a)classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il Signor Antioco Sitzia comandante il vapore Sardo, Cagliari qui ancorato, ed in seguito dell’interrogatorio da questo subito il giorno 29 Giungilo, ho proceduto alle seguenti domande.

D. In seguito di quanto avete riferito di essere rimasto sul bordo del vapore allora quando si praticò lo sbarco della gente armata in Ponza, perché non cercaste con tutt’i mezzi possibili di lasciare quel porto, e riferire tutto l’accaduto a chi credevate? R. Allora quando la gente armata praticò lo sbarco in Ponza, io fui messo in arresto nella stanza di poppa,con tutti i passaggieri, il capitano del porto di Ponza, ed un vecchio uJìziale di Piazza, e tutti insieme eravamo minacciati di vita da due persone armate di boccacci che ci vietavano di salire in coverta, e di parlare, perciò inabilitato a poter fare la menoma azione; oltre di che i miei marinari furono adibiti obbligatoriamente in tutte le lance del bordo, ed adibite allo imbarco della gente proveniente da terra, è perciò che se fossi stato libero del mio agire, né anche avrei potuto muovere da questo ancoraggio, giacché mancante di marinari.

D. Perché non cercaste lasciare quel porto servendovi de' Fuochisti, Carbonari, Nostromo, e tutt’altro che potè rimanere sul bordo? R. Tutta questa genteè tale che nella circostanza del momento invasa da spavento, non poteva addirsi ad alcun servizio — D. Che sapete della scorridoia Reale che trovavasi nel porto di Ponza? R. Durante il tempo che questo vapore riempivasi di genie, ho veduto la scorridoiavicino a noi, e lateralmente al suo bordo esservi un paranzella venuto da terra con viveri. Si ordinava all’equipaggio della scorridoia di lasciarla, imbarcandosi sul detto parauzello, ed andarsene a terra. Il comandante della scorridoia era in arresto a bordo. Abbandonata la scorridoia, questa è stata sfondata dagli insorti eh’erano a bordo di essa, e ciò in seguito di avergli tolti i viveri che aveva e munizioni. Dopo di questo fu lasciala andar via di poppa, e sentiva dire dai capi,che la detta scorridoia era aranciata per la feste—D. Avete niente altro da aggiugnere, o togliere a ciò che avete detto sì nel primo interrogatorio, che in questo secondo? R. Non ho niente da aggiugnere o togliere a quanto ho riferito, e confermo di nuovo quanto ho detto, ne’ sopra nominati interrogatorii —D. Potete giurare quanto avete riferito sull’accaduto? R. Sissignore e mi sottoscrivo—firmato—Antioco Sitzia—Il cannoniere di 3. classe da cancelliere—Pasquale Todisco—Il tenente di vascello —Giovanni d’Ayala Valva. i

VIII
Copia—29 Giugno 1831

—D. Qual è il vostro nome? R. Francesco.dico Vincenzo Rocci—D. Quali sono i vostri genitori? R. Figlio di Vincenzo Rocci, e di fu Bonifacia Peralis—D. Che età avete? R. Di anni 35 — D. Qual è la vostra condizione? — R. Capitano di 2. (a)classe — D. Qual è la vostra patria?—R. Genova—D. Come vi ritrovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?—R. Essendo il secondo capitano del detto vapore, la sera del 25 corrente mese verso le ore sette partimmo dal porto di Genova dove eravamo ancorati, diretti per Cagliari e Tunisi, avendo a bordo numero 33 passaggieri per la suddetta direzione. Alle ore 8 prese la guardia il capitano in primo, mi ritirai nel mio camerino onde cambiarmi, udii dei gridi: fermi, fermi: siamo padroni del bastimento, andremo dove noi vogliamo. Sortito dal mio camerino, trovai deb con le pistolemontate, dicendomi che io non era più nulla, e che non avessi nessun timore. Subito sentii chiamare il capitano Daneri che cenavatra gli altri passaggieri, e lo forzarono con le armi alla mano di prendere il comando del vapore, e gli ordinarono dirigere per la stessa direzione che aveva il bastimento per capo Corso, ed ho inteso da' detti capi che dovevano trovare una barca carica di armi e munizioni da guerra, con molta gente alla distanza di sedici miglia da costa di Sestri di levante: si navigò così fino alle ore 10, facendo segnale con i fanali ad acqua di raggio, e continuammo così fino alla mezzanotte. Videro che non trovavano questa barca, e che perdevano tempo, e si diressero per il capo Corso. Già loro erano al termine; il timone governavano a loro piacere; il 26 alle 11 del mattino eravamo al capo Corso, colà incominciavano a consigliarsi che direzione dovevano prendere, siccome avevano detto che il carbone non era bastante, si diceva di andare a Monte Cristo, onde provvedersi di legna, quando ad un tratto si avvidero di molti bastimenti vicino alla Corsica: ci chiamarono, e ci fecero scendere in camera con delle guardie, ove siamo rimasti là per circa due ore: poi quando siamo saliti dalla camera abbiamo saputo che era una squadra inglese composta di nove bastimenti da guerra, appena passando la squadra e che ebbero trovate queste armi, si vollero assicurare della quantità del carbone, e trovandolo bastante per il loro progetto, si diressero per l’isola di Ponza con delle grida di gioia, viva la Repubblica, viva l’Italia, e continuarono questa direzione finché siamo giunti l’indomani all'isola che era verso le 3 del giorno; decisero di chiamare il pilota alzando la bandiera; vedendo che il pilota non veniva, il capo mi ordinò d’imbarcarmi in una lancia ed assieme a lui, nominato Pisacane, ci diressimo verso il porto; quando fummo vicino al molo si trovò il pilota, che si dirigeva a bordo: gli chiese allo stesso pilota se vi erano carboni nell’isola, e se il bastimento poteva entrare in porto per fare una piccola riparazione alla macchina, alla quale il pilota rispose affermativamente. Allora si tornò, a bordo ed il pilota dopo poco anche esso se ne salì a bordo. Appena che fu sul ponte, con le pistole al petto, l’obbligarono b a confessare tutto ciò che gli chiedevano; poco dopo si accostò al bordo il capitano del porto assieme ad un uffiziale militare i quali furono invitati di salire a bordo; ma i suddetti dicevano che prima bisognava fare il costituto sanitario. Allora i due de' tre capi sono scesi, e subito imbarcati sulla lancia del capitano del porto sempre colle armi alla mano, COME PURE DAL BORDO FURONO PORTATI MOLTI FUCILI, vedendo questa maniera e furono obbligati di salire a bordo. Allora subito si diressero al porto, ed appena ancorati ci ORDINARONO DI METTERE IN MARE TUTTE LE IMBARCAZIONI, E DANDOCI DELLE ARMI CI OBBLIGARONO DI SCENDERE I PRIMI; in seguito calarono tutti gli altri congiurati, e solamente rimasero a bordo tre uomini armali per essere padroni del legno: si diressero a terra con tre lance, ove giunti sbarcarono tutti a terra, gridando viva la Repubblica e fuori i relegati, SUBITO COMINCIÒ UN ATTACCO CON LA GUARNIGIONE DELL’ISOLA E DOPO CHE S'IMPADRONIRONO DELLA GRAN GUARDIA, chiamai quattro de' nostri marinari di bordo, e mi ritirai con una lancia a bordo. Da dove sentii che continuavano sempre de' colpi di fucili sparsi qua e là, la lancia fu spedita di nuovo a terra e s’incominciò l’imbarco di molta gente armata. Hanno condotto a viva forza comandante dell'isola, e la sua famiglia e di unita ad altri due ufiziali Regi, trattenendo tutti in arresto nelle stanze SINO A CHE INDUSSEROa COMANDANTE A FIRMARE UN ORDINE CHE DATASI ALLA GUARNIGIONE DI CEDERE LE ARMI, E LE MUNIZIONI, SEMPRE MINACCIANDOLO DELLA VITA. INSEGUITO DI QUESTO ORDINE, NON AVENDO LA GUARNIGIONE VOLUTO CEDERE LE ARMI, CONDUSSERO SECO LORO IL COMANDANTE, ONDE COL VIVO DELLA VOCE INDUCESSE LA TRUPPA CHE CEDESSE, e sempre minacciandolo della vita. Alle 11 della sera erano già saliti a bordo numero quattrocento individui allo incirca, nella maggior parte armati, e tosto si partì da quel porto dirigendo per la spiaggia di Sapri, dove siamo giunti la domane sera alle ore 9, e tosto si praticò lo sbarco di tutti coloro che avevamo nel bordo, e con loro pieno consenso tale operazione finita, alle ore 11 circa mettemmo in moto, deciso di comune accordo coi passaggieri rimasti, dirigerci per il porto di Napoli, onde fare il nostro rapporto dovuto alle autorità locali. Alle 10 siamo stati fermati da un colpo di cannone a palla tirato da una fregata a vapore Napolitana che navigava di conserva ad un’altra — D. Avete niente altro da aggiungere o togliere alla deposizione fatta? R. Non Signore — D. Potete giurare di aver detto la verità? R. Sissignore, e sottoscrivo — V. Rocci—Il cannoniere di 3.(a)classe da cancelliere, Pasquale Todisco — Il tenente di vascello, Giovanni d'Ayala Valva.

IX

Copia

—È da osservarsi che nelle carte appartenenti agl'individui dell'equipaggio del battello a vapore il Cagliari mancano i libretti, e passi degl'individui seguenti: Prospero Bruciacaso — Prospero Sajone — Pietro Cedale — Carlo Nucci — Agostino Ghio. Mentre di tutti gli altri individui componenti l’equipaggio del suindicato legno non che de' passaggieri esistono i libretti e passi negl'involti suggellati in presenza del capitano del vapore, e mancano egualmente le carte de' due macchinisti, e quella del cameriere Lorenzo Acquarone —11 tenente di vascello— Giovanni d’Ayala Valva.

X
Copia — 29 Giugno 1851

—Pietro Cedale nostromo — segue la firma — Nicola Albertino dispensiere — segue la firma — Giovanni Fromento timoniere — segno di + per non sapere scrivere — Agostino Rappolla timoniere—segue la firma—Lorenzo Flomento timoniere—segno di + per non sapere scrivere — Giovanni Rebua timoniere—segno di¡per non sapere scrivere — Girolamo Flomento marinaro—fa segno di + per non sapere scrivere—Girolamo Bertireti marinaro—fa segno di + ec. Simone Picanci marinaro—fa segno di + ec. —DOMENICO Stralese marinaro — fa segno di + ec. — Prospero Bruciacaso marinaro — fa segno di +ec. —Claudio Barbieri marinaro—segue la firma—Pasquale Casella marinaro — fa segno di + ec. — Ignazio Fiomenta marinaro—in segno di + ec. — Prospero Sasini fuochista — fa segno di + ec. — DOMENICO Cevasca fuochista — fa segno di + ec. — Vincenzo Turbino carbonaro—fa segno di + ec. —Francesco Badino carbonaro — fa segno di + ec. Luigi Rebbua fuochista — fa segno di + ec. — DOMENICO Costamozzo — fa segno di + ec. — Santo Cidale mozzo — fa segno di + ec. Giovanni Battista Botte cameriere — e si sottoscrive — Girolamo Trani cameriere — e si sottoscrive — Carlo Nucci cuoco — si sottoscrive. Tutti i sunnotati individui formanti in parte l’equipaggio del vapore genovese il Cagliari, cui dal giorno 25 del corrente mese nel quale iL detto vapore era ancorato in Genova, da dove ne partì la sera, onde portarsi in Cagliari e Tunisi, asseriscono essere accaduto a bordo dal momento della partenza tutto quanto ha l'atto relazione il passaggiero Dottore Moscaroed in verità del vero segnano il loro nome come sopra — Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva.

XI
Copia

—Oggi che sono 30 Giugno 1851 — Io Leopoldo Lecaldano 2.° tenente del reggimento Real Marina comandante del distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, Comandante superiore de' Reali legni armati per particolar servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza I’arrestalo evaso dall'isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande — D. Quale è il vostro nome? R. Eugenio Lombardi—D. Di dove siete? R. Di Napoli. —D. Quali sono i vostri genitori? R. Fu DOMENICO, e Caterina Moja —D. L’età? R. Di anni trenta — D. La vostra condizione? R. Ex milite congedato per cattiva condotta dalla gendarmeria — D. Come dall'isola di Ponza, dove stavate relegato, siete venuto arrestato su questo Real legno? — R. Il giorno 27, sul dopo pranzo, io mi trovava rinchiuso nelle prigioni di Ponza, allora quando intesi varii colpi di fucile, e dopo poco si aprirono le dette carceri, e sebbene io fossi infermo, come tuttora mi trovo, pur tuttavia fui portato a forza a bordo di un vapore—D. Giunto a bordo di questo vapore ne conosceste la bandiera e la ragione per la quale vi foste condotto? R. La bandiera del vapore era tricolore a strisce orizzontali; l'oggetto poi per cui era stato tratto dall'isola mi dissero che esser dovea quello di difendere la libertà—D. Giunto a bordo da chi riceveste le armi e munizione, e cosa vedeste? R. Il generalissimo della banda, accompagnalo dal comandante del vapore, COL QUALE STAVA IN PERFETTISSIMO ACCORDO, e che potrei benissimo indicarlo, incominciarono ad aprire delle casse d'armi, distribuendole a tutti, tranne che io che non ne volli accettare, accusando la mia infermità: di più lo stesso capitano del VAPORE SOMMINISTRÒ DELLA POLVERE CHE SOTTO DELLA SUADIREZIONE SI RIDESSE A CARTOCCI. Vidi poi che a bordo vi erano tre feriti, e tre morti quali dal capitano del legno furono buttati a mare, appena allontanatici da Ponza. Debbo aggiungervi pure che lo stesso capitano del legno, la mattina del 28, mentre navigavamo, scorgendo da lontano un altro vapore che lui supponeva esser da guerra con bandiera Napolitana, ci obbligò a nasconderci tutti, onde liberamente seguire la sua rotta: fece inoltre occultare i suoi cannoncini, e chiudere la portelleria — D. Sapeste, e da chi, il punto del vostro disbarco, e la strada da tenere? R. Il punto del disbarco, mi si disse esser stato prefisso sopra la strada del Cilento, ed il punto di riunione con i Calabresi, Campotenese — D. Quando giungeste in Sapri? R. Si giunse in Sapri al cadere del giorno ventotto, e si effettui lo sbarco a notte avanzata, restando occultati per il corso della notte negli oliveti, quindi all’alba del 29 si fece l’ingresso in Sapri—D. quale accoglimento vi venne fatto dagli abitanti di Sapri? R. La massima riserbatezza si manifestò in essi, restando chiusi nelle proprie case—D. A che ora partiste da Sapri? R. Dopo tal dimostrazione, la colonna si pose in movimento per Torraca alle ore dodici italiane — D. A che ora giungeste a Torraca e quale accoglimento vi fu fatto dagli abitanti? R. Si giunse a Torraca verso il mezzogiorno, il massimo disprezzo si manifestò negli abitanti del paese; ed io che fin dal principio era risoluto di sempre appartenere tra i fedeli sudditi, ed ubbidire alle leggi, profittai di una favorevole oecasione per allontanarmi da loro, e presentarmi volontariamente alle autorità locali, dalle quali sono stato qui spedito arrestato — D. Avete altro da aggiungere, o togliere alla deposizione fatta? R. Non signore essendo questa la verità. E quindi si è passato innanzi a noi alla sottoscrizione del presente attestato — firmato, Eugenio Lombardi—Errico Lari sergente del reggimento Real Marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano 2.° tenente del reggimento Real Marina.

XII
Copia

—Oggi che sono li 3 Luglio 1851—Io Leopoldo Lecaldano secondo tenente del reggimento Real Marina, comandante il distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ancorato alla spiaggia di Sapri, ed assistito dal sergente Errico Lari del corpo suddetto, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, comandante superiore dei Reali legni armati per particolar servizio di S. M. il Re (D. ti.) ed in seguito della dichiarazione fatta dall’errestato evaso dall'isola di Ponza Eugenio Lombardi, il quale assicurava conoscere il comandante del vapore Cagliari, ci abbiamo fatto venire alla nostra presenza il comandante suddetto, e posto in mezzo ad altri individui, lo abbiamo fatto riconoscere con le seguenti domande—D. Diteci voi Eugenio Lombardi, chi fra questi è il comandante del Cagliari? R. SIGNORE IL COMANDANTE DEL CAGLIARI È QUESTO(e nel così dire) HA INDICATO EFFETTIVAMENTE IL SIGNOR CAPITANO DEL CAGLIARI D. ANTIOCO SITZIA

D. Diteci voi adesso Eugenio Lombardi, in seguito sempre della vostra prima dichiarazione, fu egli il signor D. Antioco Sitzia che in Ponza, allorché voi ve ne fuggiste che IMBARCÒ TRE MORTI? R. SISSIGNORE—D. Fu egli il signor Antioco Sitzia, secondo la vostra antecedente dichiarazione, che unito al così detto vostro generale, che apriva delle casse d'armi facendone la distribuzione? R. SISSIGNORE—D. Fu egli il signor Antioco Sitzia, che ora vi sta innanzi, che cacciando della polvere, la fece ridurre in cartocci, e quindi ne fece somministrazione alla vostra banda? R. SISSIGNORE— D. Fu egli il signor Antioco Sitzia, ora innanzi a voi, che mentre navigavate, nello scorgere un vapore da lontano, vi fece tutti abbassare e nascondere onde libero proseguire la sua rotta? R. SISSIGNORE—D.Avete da aggiungnere altro, ora che vi sta innanzi il signor Antioco Sitzia, circa la sua condotta tenuta a bordo del Cagliari da lui comandato? R. Signore, oltre alle cennate cose, dico CHE TRA LUI ED IL GENERALE PASSAVA UN PERFETTISSIMO ACCORDO.

D. Avete altro da aggiungnere, o togliere a questo atto di ricognizione? R. Niente altro ho da aggiungere, o togliere, essendo questa la verità. Quindi in nostra presenza si è passato alla sottoscrizione del presente atto—firmato Eugenio Lombardi—Errico Lari sergente del reggimento Real Marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano 2.° tenente del reggimento Real Marina.

XIII
Copia

—Oggi che sono li 29 Giugno 1851 — Io Giovanni d’AyalaValva tenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi; ora ancorato alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, comandante superiore de' Reali legni armati di particolar servizio di S. M. il Re (N. S.) ed assistito dal cannoniere di 3.°classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza un passaggiero arrestato che trovasi ferito sul vapore il Cagliari, ed ho proceduto alle seguenti domande — D. Qual è il vostro nome? R. Cesare Cori—D. Che età avete? R. Di anni 25 — D. Qual è la vostra patria? R. Ancona — D. Quali sono i vostri genitori? R. Figlio di Giovanni Cori, e di Rosa— D. Qual è la vostra condizione? R. Marinaro mercantile — D. Come vi trovate a bordo del vapore Cagliari? R. M’imbarcai a bordo del vapore genovese il Cagliari l'ultimo giovedì decorso nel porto di Genova, onde portarmi in Tunisi per travagliare — D. Come vi trovate ferito? R. Non appena partito dal porto di Genova, che la sera, quindici, o venti persone armate, imbarcate da passaggieri che parlavano l’italiano, incominciarono a gridare viva la repubblica, in seguito di che scoppiò una rivolta. Tosto si diresse per l’isola di Ponza, dove giunti l’altro ieri verso sera si praticò uno sbarco di persone armate, le quali obbligavano TUTTA LA GENTE DI BORDO A CALARE ARMATI A TERRA, Ì0 fui obbligato di tanto fare. Giunti a terra, e non avendo voluto calare nel paese, i sbarcati mi tirarono da terra un colpo di fucile, in seguito di che arrivai a salvarmi a bordo del vapore colla lancia. Il capitano del vapore conoscendo la mia innocenza del fatto accaduto mi ha dato un letto— D. Cosa sapete della gente armata che rimase a terra? R. Conosco per detto, che loro a tutti coloro che trovavano a terra obbligavano di lasciare le armi, e dargli nelle loro mani, i carcerati dell'isola. Verso notte vidi in coverta quantità di gente armata, indi partimmo e sentivo dire che si dirigeva per la Calabria. Questa notte si è eseguito uno sbarco di gente armata sopra di una spiaggia, essendo rimasto sul vapore l’equipaggio del bordo perché passaggieri, dopo di che abbiamo messo in moto per andare a Napoli, e nella rotta vi abbiamo incontrato—D. Avete altro da aggiungere, o togliere? R. Non signore —D. Potete giurare ciò che avete asserito? R. Sissignore, e non sapendo scrivere fo segno di + croce — Il cannoniere di 3.(3)classe da cancelliere Pasquale Todisco —Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva.

XIV
Copia

—Oggi che sono li 29 Giugno 4857—10 Giovanni d’Ayala Valva tenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorata alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, Comandante superiore de' Reali legni armati di particolar servizio di S. M. il Re (N. S.) ed assistito dal cannoniere di 3. (a)classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza un PASSAGGIERO FERITOche trovavasi sul vapore Genovese il Cagliari ed ho proceduto alle seguenti domande — D. Qual è il vostro nome? R. Buonomo Amilcare — D. Che età avete? R. Di anni 28—D. Quale è la vostra patria? R. Milano— D. Quali sono i vostri genitori? R. Ruonomo Giuseppe mio padre, e Teresa Zenani mia madre—D. Qual è la vostra condizione? R. Bisciottiere— D. Come vi trovate a bordo del vapore il Cagliari? R. L’ultimo giovedì scorso m’imbarcai a bordo del vapore genovese il Cagliari che trovavasi nel porto di Genova, onde portarmi in Cagliari. La sera partimmo da Genova dirigendo per Cagliari, e durante il viaggio, accadde una sommossa tra le genti di bordo, dopo di che si diresse all'isola di Ponza dove vi giungemmo la sera seguente. Non appena colà giunti quindici o venti persone all'incirca essendosi armati con armi CHE IL VAPORE TRASPORTAVA IN TUNISIpraticarono uno sbarco all'isola ed io rimasi sul bordo del vapore—D. Che sapete dello sbarco della gente armata che trovavasi sul vapore? R. Niente, dappoiché non calai con loro, ma solamente essendosi riempito il detto vapore di altra gente armata venuta da terra, alcuni di essi mi volevano baciare: io mi ci negai, la sera partimmo da Ponza e sentiva dire a bordo da tutti che dovevasi praticare un altro sbarco sopra di un’altra isola. Ieri sera, giunti sopra di una spiaggia si eseguì lo sbarco, nel quale io non volli prenderne parte alcuna, rimanendo a bordo l’equipaggio, pochi passaggieri, dòpo di che il vapore pose in moto per Napoli—D. Come vi trovate ferito? R. Nel mentre che si eseguiva lo sbarco di ieri sulla spiaggia da me sconosciuta mi si voleva obbligare di calare a terra con tutti, ed essendomi negato a questo, m’intesi ferito alla testa, ed al fianco, e così perdei i sensi. Non volli calare a terra con loro, onde non associare il mio nome a quello di tanti malfattori rilegati — D. Avete niente altro da aggiungere? R. Non signore—Il detto individuo non può firmarsi, o far segno di croce, giacché caduto in abbattimento di sensi—Il cannoniere di 3.(a)classe da cancelliere Pasquale Todisco—Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva.

XV
Stato nominativo de' passaggierì imbarcati in Genova il 25 Giugno 1857 sul Pacchetto a Vapore il Cagliari per Tunisi, toccando Cagliari.

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NOMI E COGNOMI

Età

PATRIA

Condizione

DESTINO

OSSERVAZIONE

Giuseppe Daneri

38

Genova

Capit. Marittimo

Cagliari

Passaggiero rimasto a bordo.

Tommaso Battifora

29

idem

Pizzicagnolo

idem


Luigi Copici

40

idem

Bottaio

idem


Giuseppe Mascherò

29

Spagna

Possidente

Tunisi

Con moglie, passaggieri

Achille Perucci

»

Roma

Marinaro

idem

inasto a bordo.

DOMENICO Mazzone

»

idem

idem

idem


Cesare Cori

»

idem

idem

idem

Fuoruscito ferito dal Tancredi.

Ferdinando Boniali

36

Genova

Vetraio

Cagliari

Passaggiero rimasto a bordo.

Conte Ludovico Negroni

»

Roma

Possidente

Tunisi


Carlo Venturino

»

Genova

idem

idem


Amilcare Buonomo

»

Austria

Lavorante

Cagliari

Fuoruscito ferito dal Tancredi.

Carlo Pisacane

»

Napoli

Possidente

idem


Giovanni Comilucie

»

Roma

Marinaio

Tunisi


Filippo Vaiasi

»

Genova

Maestro di lingue

idem


Michele Galli

»

Toscana

Bracciante

idem


Giovanni Schuieder

»

Prussia

Possidente

idem

Passaggiero rimasto a bordo.

Eligio Mò

»

Sardegna

Verniciatore

idem

Idem.

Vincenzo Donadeo

»

idem

Sellaio

idem

Idem.

Giovanni Durando

»

idem

Garzone

idem

Idem.

Giuseppe Luchi

»

Toscana

Bracciante

idem


Enrico Morace

»

Sardegna

Commesso

idem


Lorenzo Giannoni

»

idem

Marinaio

Cagliari


Gaetano Poggi

»

idem

idem

idem


Felice Poggi

»

idem

idem

idem


Luigi Barbieri

»

Genova

idem

idem


Francesco Mendassi

»

idem

idem

idem


DOMENICO Zolla

»

idem

idem

idem


DOMENICO Porro

»

idem

idem

idem


Cesare Landini

»

idem

idem

idem


Antonio Biffo

28

idem

Falegname

idem


Giacomo Bruno

34

idem

Intagliatore

idem


Nicotera Zio

»

Napoli

Avvocato

idem


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Per copia conforme —11 Retro Ammiraglio, Firmato—Federico Roberti.

Per copia conforme—Il Direttore del Ministero e Real Segreteria di Stato della Real Marina—Firmato, Bracco.

XVI
Copia — Estratta, da un incartamento di documenti rinvenuti sulle persone, e su i cadaveri de' rivoltosi che sbarcarono nella marina di Sapri.

Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente che avendo tutti congiurato d’impossessarci del vapore il Cagliari, e ci siamo imbarcati come passaggieri, e dopo che eravamo due ore lontano da Genova, abbiamo impugnate le armi, e forzato il capitano e tutto l'equipaggio a cedere il comando del vapore. Il capitano, e tutt’i suoi vedendoci decisi piuttosto di perire che di cedere hanno fatto quanto era in loro potere per evitare lo spargimento del Sangue, e tutelare gl’interessi dell’amministrazione. Eravi a bordo come passaggiere per Cagliari il Capitano marittimo Daneri; avendolo sapido, l’abbiamo costretto a prendere il comando: egli ha ceduto alla forza, né poteva fare altrimenti sprezzando le calunnie del volgo, stretto dalla giustizia della causa, e dalla gagliardia delle nostre armi, ed operiamo da iniziatori della rivoluzione italiana. Se il paese non risponderà al nostro appello, noi senza maledirlo, sapremo morire da forti, seguendo le nobili falangi de' martiri italiani—Trovi in altra nazione del mondo uomini, che come noi s'immolano alla sua libertà, ed allora solo potrà paragonarsi all’Italia, abbenché fino ad oggi ancora schiava — Sul vapore—Sul Cagliari—Alle ORE DI SERA DE' 25 GIUGNO1851—Firmati, Carlo Pisacane — Giovanni Nicotera—Gio: Battista Falcone—Barbiere Luigi di Sicilia—Gaetano Raggi di Sicilia—Achille Pomari — Cesare Fardone—Poggi Felice di Sora—Gagliani Giovanni di Sora — Rolla Domenico—Cesare Goridi Ancona — Fuse bini Federico. Ludovico Nigromonti di Orvieto — Metarci Francesco da Sensi marinaro. Sala Giovanni—Lorenzo Giannoni—Filippo Fajello—Giovanni Canriellani. Domenico Massone di Ancona — Necestari Pietro — Noi sottoscritti dichiariamo eziandio, che avendo scoverto, dopo una perquisizione, che a bordo vi erano SETTE CASSE DI ARMI, CE NE SIAMO IMPADRONITI. Esse contenevano in tre casse di fuccaici di 25 ognuna, tre di fucili a due canne di 20 ognuna, ed una cassa di semplici canne—Carlo Pisacane—G. Focher 2.° sergente— E. Di Litala foriere—G. de Sangro—V. Conte—Per copia conforme. Il Segretario della Procura Generale—Vincenzo Magnaliarca—Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XVII
Copia—Estratto della dichiarazione di D. Antonino Roberto di Nicola di Napoli terzo pilota della Real Marina di stazione in Ponza renduta in Gaeta nel giorno 7 Luglio 1851

—Dichiara che verso le ore quattro p. m. del giorno 27 dello scorso giugno, egli andava a diporto, quando s’invenne a sapere da un marinaro, che stava per approdare un vapore: e siccome vi era prevenzione che doveva arrivare un legno della Real Marina, così fece preparare una barca appellata ¿olla per ciò che al vapore poteva bisognare; ma avvedutosi che era un legno mercantile, e Sardo, retrocesse, e fu allora che il capitano del porto si recò da lui che stava sulla banchina, richiedendogli la iolla ed i quattro marinari in nome del comandante dell'isola, con dirgli che gli serviva per recarsi a bordo del vapore di unita ad un uffiziale di piazza. Quel vapore addimandava l'accomodamento della macchina, epperò entrava nel porto, in quel mentre il deponente fu sorpreso alle spalle da tre individui vestiti rossi, forniti di armi bianche e da fuoco, i quali gl'imposero di arrendersi, ed ebbe perciò necessità di tanto eseguire.

Nello stesso tempo obbligarono quegl'individui tre de' suoi marinari ed un sotto uffiziale che si trovavano a bordo (mentre altri erano altrove a diporto perché franchi di servizio) a seguirli. I tre medesimi marinari ogni sforzo fecero per preparare la scorridoia che era nel porto, ed allontanarsi da colà; ma furono avvinti dalla forza maggiore de' rivoltosi, e quindi tanto i medesimi che il deponente vennero condotti arrestati nella gran Guardia della Piazza, dove rimasero custoditi ed a cui altri rivoltosi avevano tolte le armi. Le armi tolte alle milizie di Ponza, ed altre in abbondante numero bianche e da evocoche essi avevan portate dal vapore furon distribuite agli ex militi, ed a' relegati che non saprebbe distinguere s’erano condannati per reati comuni, o per reati di stato. Questi avendo in mano le armi, cominciarono a percorrere il paese portando la devastazione da per tutto, e commettendo eccedenze di ogni specie. Fu allora, che mentre prima si erano limitati ad inchiodare il cannone, si appropriarono della munizione, e delle armi, lasciando alla guardia della scorridoia un numero di essi. In questo frattempo essendo rimasti liberi, ed essendo stati rafforzati da marinari che erano franchi, si avviarono alla scorridoia, ma non fu loro permesso di ascendervi, e rimasero a guardarla da fuori. Tra quelli che s’impadronirono degli effetti della scorridoia vi era un tal Davide Volpe naturale di Ponza. Ad un’ora e mezzo di notte furono presi a viva forza, ed obbligati a portare sul legno quelli che volevano imbarcarsi e lo dovettero eseguire perché minacciati di vita, e sprovvisti di armi. Quando furono avvicinati, salirono quelli che aveva trasportati e fu benanche obbligato esso a salire sul legno, e presentarsi al sedicente generale il quale non rispose, ma altri in vece disse che era prigioniero il capitano della scorridoia, e contemporaneamente gli altri marinari furono costretti di andare a viva forza su di un paranzello, essendo loro concesso salvare solo alcuni effetti ad esso appartenenti; la scorridoia rimase in potere de' ribelli, ma dopo di averla predata delle vele, delle provvisioni, ed altro; dopo di averla bucata in tre punti, giusta osservò nel mattino, l'abbandonarono. Fu trattenuto a bordo sino al tempo in cui mossero, ed ebbe a soffrire minacce di morte, se la Torre non avesse ceduto. Che il legno si avvicinò alla bocca del Porto, MA POI RETROCEDETTE, E QUINDI RITORNÒ ALLA RADA, OVE LO RINVENNI ANCORATO. Che egli vide andar sotto e sopra un individuo attampato che si chiamava capitano, ma in ciò fare ubbidiva agl'ordini di quelli che regolavan la massa. Che gli effetti della scorridoia tolti furono da una turba, e che venne solo conosciuto colui che ho indicato, cioè Davide Volpe. Che non vide altro che il capitano che ha potuto esercitare il comando marino, e che mentre era trattenuto a bordo, un individuo di circa 40 anni annunciandosi a lui, gli manifestò che anche lui era passaggiero, e che correva rischio della vita al par di lui. Che allora furono liberati quando un gozzo aveva portate le armi che pretesero dalla milizia rinchiusa, e sullo stesso gozzo egli e l’uffiziale di Ponza ritornarono a terra, dove dovettero scassinare la porta di un tal Federico de Francesco, mentre la casa era chiusa dai suoi, perché in campagna, onde scampar la vita, poiché SI COMMETTEVA OGNI SORTA DI DEVASTAZIONE, ED IL SACCHEGGIO, ed il mattino seguente rinvenne alla spiaggia di Giancassa la ripetuta scorridoia, che fece da' suoi dipendenti marinari ricondurre nel porto—Per estratto conforme — Il Segretario della Procura Generale — Vincenzo Magnaliarca — Visto, il Procurator Generale del Re, Pacifico.

XVIII
Copia—Estratto della dichiarazione di Giovanni Colonna di Antonio, guarda spiaggia sanitario, e pilota pratico del porto di Ponza, venduta in Gaeta nel dì 7 Luglio 1851

—Dichiara—Che nel giorno di Sabato 27 giugno, mentre stava in sua casa, gli vennero dirette le seguenti parole, che gente che lo chiamava, il pilota pratico, il pilota pratico. Che per averlo inteso dire da più giorni, si aspettava un vapore di cui esso non conosceva l’oggetto, e credeva che fosse stato quello che portar doveva il Vescovo. Si affacciò e vide un vapore con bandiera che non distinse il colore, ma che poi vide che era bandiera di nazione Sarda, distinguendo che la bandiera che non conobbe era quella del pilota. Uscì di sua casa ed imbarcandosi sulla propria lancia colla bandiera del Re (D. G.) si avviò verso il legno, e fuori la bocca del porto trovò la lancia del vapore che veniva a richiederlo come pilota. Che questa barca si trovava equipaggiata da quattro marinari che vogavano secondo la regola dell’arte, e vestivano da marinari. Vi era altra persona che non distinse, se era timoniere, o persona estranea; in tutto, quelli che erano nella lancia, erano quattro, cinque, o sei. Nell’incontro gli chiesero se era il pilota, ed alla risposta affermativa, l’invitarono ad avvicinarsi con essi al legno, dicendo che la macchina si era guastata, e volevano quindi accomodarla, essendo questo il motivo per lo quale volevano entrare in porto: rispose ch’era il pilota e disse che avessero camminato, perché egli veniva a seguirli. A certa distanza dal legno, domandò al bordo del comandante, uno di quelli che stava sul legno, gli disse favorite da parte di poppa, che era l’opposto del legno, e che guardava il sud. Quando fu nel punto prescritto, gli uscì la lancia del vapore che era quella che da esso era stata vista, e portando 5 o 6 persone vestite chi con giacca, e chi da marinari, lo portarono sul legno, e dopo di averlo fatto sedere, gli posero impugnate delle pistole e due stili sulla testa, soggiungendo, dite la verità altrimenti la vostra testa se ne va per l’aria. Gli domandarono quanta truppa vi era in Ponza, ed egli rispose che vi erano da cinque o seicento, credendo che la dimanda fosse stata sospetta: lo richiesero del comandante dell'isola indicandolo per Asta-Asta, ed egli rispose, Astorino —Gli dissero in fine se conosceva D. Giovannino Matino, ed egli rispose che vi era stato una volta, ma che al presente non vi si trovava più, ed allora il forestiere replicò che stava carcerato nel castello di S. Elmo—Mentre parlavano di ciò che ha riferito, sopraggiunse il capitano del porto, di cognome Magliozzi, ed il tenente di piazza, ma li presero, e li portarono a bordo del vapore, facendoli situare sotto coverta. Che ciò avveniva verso le quattro e mezzo alle cinque, che in seguito lo fecero salire sul casseretto, dicendogli che avesse diretto il vapore nel porto, e mentre si stava sul casseretto istesso, vi era anche un individuo che si faceva credere capitano; questo individuo era dell’età di oltre quaranti anni, di statura regolare, senza poter badare ad altro, esso dichiarante faceva girare il vapore sulla dritta e così entrava nella imboccatura del porto, pittando l’ancora. Dopo gittata l’ancora, fecero muovere le lance che avevano: una si diresse al molo per la pratica, e le altre due alla parte opposta, cioè così detta la Caletta dei padiglioni militari, ed in quelle sbarcarono i rivoltosi che empivano due lance, oltre quelle che erano andate a prendere pratica che poteano ascendere a sei, o sette. Che nel disturbo in cui era non può precisare il numero vero. Che essendosi ritirato a casa avvertì che il vapore era uscito fuori del Porto, e poi rientrò fino alla batteria di Leopoldo, ritornando sul punto ¡stesso: che siccome i masnadieri conoscevano i luoghi, e furono bene accolti, così ritiene che fossero stati con la gente di Ponza in rapporto. Che le mosse del capitano non facevano addivedere che avesse avuto relazione co’ ribaldi, ma diceva che era stato ingannalo, MA CHE ESSENDO USCITO FUORI IL PORTO NON VI ERA ALCUNO CHE LO AVESSE POTUTO TRATTENERE. Esso vide sul legno, armi, ma non vide gente armata, sebbene vi fosse qualche persona. Che quello che fa il trafico da Napoli a Ponza, e viceversa è un certo Salvatore Verde. Che la scorridoia della Real Marina che stava in quelle acque fu assalita contemporaneamente all’assalto della gran guardia, ed alle altre eccedenze, vide salire su di essa i rivoltosi, e scenderne coloro che erano addetti a servirla, e nel giorno seguente la vide tutta disarmata sul lido della spiaggia di Giancassa, ed abbandonata. Che non ha visto sul bordo del vapore il capitano della scorridoia — Che durante il tempo che fu trattenuto sul legno, i comandi alla ciurma si davano, e la direzione era portata DA QUEL CAPITANO,CHE GLI DISSE DI ESSERE STATO INGANNATO, NE CI ERA ALTRO CHE AVESSE AVUTO ESERCIZIO DI COMANDO. Che gli eccessi furono la maggior parte dei rilegati, non potendo specificare a quale classe di relegati appartenessero, e che anche da lui si presero un fucile e degli oggetti. Che arrivarono a circa le ore cinque, e che partirono verso le ore 11 della notte. Che un D. Angelo Novi fu quello che disse ai rivoltosi che là non ci era che fare, e che se ne fossero andati, e ciò lo apprese dalla bocca stessa del Novi;—Per estratto conforme—Il Segretario della Procura Generale Vincenzo Magnaliarca—Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XIX Copia
Società R. Rubattino, per la navigazione a vapore—Genova 2 Luglio 1857

—Illustrissimo Signor Console Generale — Siccome ebbi l’onore far conoscere ier sera a V. S. Illustrissima che il piroscafo della mia amministrazione, il Cagliari, partiva da questo porto secondo il suo regolare itinerario il 25 p.° p.° giugno a ore 6 ½ p. m. in servizio postale per Cagliari, e Tunisi — Un’ora circa prima della partenza si presentarono a prendere imbarco, parte per Cagliari, parte per Tunisi, muniti di regolari ricapiti, varii passaggieri.

Nessun dubbio, neppur lontanamente remoto potea sorgere nell’amministrazione che questi individui s’imbarcassero a scopo diverso da quello di recarsi, o in Sardegna o in Tunisi—Il bastimento era carico di varie merci per le due destinazioni, tra le altre aveva a bordo la mobilia del nuovo Direttore della Dogana di Cagliari—Secondo il suo orario, il Cagliari doveva giungere in Cagliari sabato a sera e ripartire per Tunisi la domenica — Lunedì io riceveva dispaccio da Cagliari che mi avvisava il vapore non essere anco giunto al destino, attribuendo il ritardo o a mancanza del carbone, o a qualche guasto di macchina. Telegrafai al mio agente di spedire in ricerca il vapore Piemonte, o di ottenere che il Governo di Cagliari mandasse il Real vapore Ishenusa, dubitando, che il Cagliari si trovasse inabile a proseguire, trattenuto per via. Ieri di fatto ricevevo dispaccio che il Governò di Cagliari spediva il Real vapore Ishenusa alla ricerca del ritardato naviglio. — Se non che dopo i tentativi di sommossa che ebbero luogo in Genova nella notte del 29 al 30 corrente, e che fortunatamente per le provvidenze del nostro Governo andarono falliti, corse ieri vagamente la voce che il Cagliari aveva imbarcato individui che si mutarono la qualità di viaggiatori, unicamente per impadronirsi del legno, e dirigerlo chi sa dove—Questo dubbio divenne ieri sventuratamente una certezza, quando il dispaccio che la S. V. Illustrissima si compiacque comunicarmi, avvertiva che un piroscafo, a bandiera Piemontese, era stato catturatodalle Reali fregate nelle acque di Ponza—ESAMINANDO LA QUALITÀDEI PASSAGGIERI IMBARCATI RIESCE PER ME EVIDENTE CHE QUESTI, NON SÌ TOSTO ALLONTANATO IL VAPORE DALLE NOSTRE COSTE, S’IMPADRONIRONO CON VIOLENZA (EFORSE PEGGIO) DEL COMANDO DEL PIROSCAFO, LO DEVIARONO DALLA SUA DESTINAZIONE, PER ESEGUIRE I LORO MEDITATI PROGETTI—Nel ripetere qui a V. S. Illustrissima l’immenso dispiacere che provo per questi fatti che ogni animo onesto non può che altamente disapprovare, devo pure ripetere qui l’asserzione la più solenne che tutta l'amministrazione mia, e l’equipaggio tutto del piroscafo è completamente innocente, ed ignaro di quanto andava a succedere — Il bastimento era destinato per Tunisi. Il comandante, dopo ritirati i pieghi postali, s’imbarcava con quella solita fiducia, nulla temendo di quanto doveva succedere. Le indagini del Real Governo di Napoli, le deposizioni di tutti non potranno che provare ampiamente che alla sola violenza (e Dio sa quali violenze) l’equipaggio avrà ceduto—Tanto era fiduciosa l’amministrazione, e l’ufficialità che il viaggio non potea che farsi sotto le più normali condizioni; che il piroscafo partiva senza aver ripieni i suoi magazzini di carbone per la ragione che avendone attualmente esuberante deposito in Cagliari, avrebbe in quella preso il necessario, onde proseguire per Tunisi, e solamente 35 circa tonnellate esso aveva a bordo quando partì da Genova, quantità appena necessaria, o poco più per arrivare a Cagliari—Questa circostanza significantissima per provare la buona fede, la cieca confidenza con cui amministrazione ed equipaggio andavano ad eseguire il viaggio, non è la sola che giustifichi la compagnia da qualunque sospetto — LE SARTE DI BORDO, le spedizioni di dogane, il carico, la corrispondenza postale, tutto può giustificare l’innocenza dell’amministrazione e del suo equipaggio. Unisco alla presente la copia del suo manifesto di carico, e la nota de' passaggieri imbarcati; come vedrà la V. S. Illustrissima, fra i passaggieri vi sono gente aliena da qualunque macchinazione politica. Tra questi è il medico del Dev di Tunisi colla moglie—Io prego V. S. Illustrissima a voler prendere in proposito anche più ampie informazioni, e trasmetterle senza indugio al Real Governo di Napoli, onde nel giudizio che sarà per istituirsi, risulti chiara e limpida la verità di quanto le espongo, e da essa l’innocenza la più perfetta della mia amministrazione, e del mio equipaggio. Sarò anche riconoscente alla V. S. Illustrissima se vorrà far pervenire a S. M. il Re di Napoli l’espressione del sentito dispiacere che provo per fatti così riprovevoli. La mia amministrazione è nota in Napoli da oltre 16 anni di navigazione periodica, né in sì lungo periodo un fatto solo può essere ascritto ai miei vapori contro le leggi del regno—Anche in questo avvenimento, nessuna colpa può essere ascritta alla mia Amministrazione—Io ho troppo fiducia nella giustizia che regge il Governo di Napoli per essere certo che dalle investigazioni che esso sarà per fare non ne abbia a risultare la più sollecita, la più ampia giustificazione DELL INTERO MIO EQUIPAGGIO— Mi affido ai sentimenti di lealtà che tanto distinguono la V. S. Illustrissima per essere certo che Ella vorrà farsi l’interpetre mio presso il Governo di S. M. Siciliana, portando a sua conoscenza tutta la verità in cui sta ogni mia giustificazione — Aggradisca Signor Console Generale l’ossequio, e le espressioni della mia massima considerazione con cui sono di V. S. Illustrissima—DivotissoObb.oR. Rubatimi—Signor Cav. Garrou Console Generale del Re delle Due Sicilie—Genova—Per copia conforme. Il Segretario della Procura Generale in Salerno, Magnaliarca—Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XX
Copia

—L’anno 1857, il giorno 12 Luglio, in Napoli. Noi Francesco Pacifico Procuratore Generale del Re presso la gran Corte criminale di Principato Citra, e primo agente della polizia giudiziaria, e facoltato, per ordine superiore, a conferirci ovunque il bisogno lo richieda, per l’istruzione sugli avvenimenti di Ponza e di Sapri, assistiti dal vicesegretario della procura generale signor D. Michele Rienzi. Essendo stato consegnato dal signor Direttore del Ministero e Real Segreteria di Stato di grazia e giustizia, un sacco chiuso contenente tutte le carte rinvenute a bordo del piroscafo Cagliari, a lui trasmesso dal signor Direttore di Marina, e volendo procedere alla verifica, descrizione e e reperto delle carte medesime, abbiamo fatto venire innanzi a noi i i seguenti quattro individui, perché i primi due venissero adoperati da periti nell'atto da eseguirsi, e gli altri due ci assistessero come testimoni; abbiamo in seguito fatto ad essi prestare il giuramento dalla legge prescritto, ed i primi due han giurato di dire la verità, e di fare la loro dichiarazione sul proprio onore e sulla propria coscienza. E del pari gli altri due han giurato di dire la verità e di deporre per la verità su tutto ciò che loro verrà richiesto.

Dei due periti, uno ha detto chiamarsi:

1.° Domenico Volpe fu Vincenzo, di anni 40, legatore di libri, e qui domiciliato vico Loffredo numero 5.

2.° D. Tommaso Lieto di Michele di anni 31, tipografo di Napoli, e qui domiciliato al detto vico numero 8.

I testimoni poi hanno indicato nel seguente modo i loro connotati personali.

1.° Giuseppe Infusini fu Nicola di anni 48 ebanista di Napoli, domicilialo nel detto vico Loffredo numero 14.

2.° Michele Peracca fu Raffaele di anni 34 falegname di Napoli, domiciliato nel ridetto vico numero 14.

Mostrato a' due testimoni il sacco istesso han riconosciuto con noi di non esservi alterazione, né sulla cucitura, né sul suggello apposto alla fune, che lo chiude. Richiesti i periti a farci la descrizione dello stesso sacco, han risposto nel seguente modo: Il sacco che ci mostrate è di tela luna, precisamente di quella, che usano i marinari per fame tende; dell'altezza di due palmi e due once, e cucito in sul lato dalla parte interna, e sotto vi è un fondo formato da un pezzo della stessa tela di figura circolare, e colla cucitura esistente alla parte interna: la estremità è chiusa con fune, e su di essa vi è un suggello con impronta di suggello uffiziale, ma non contiene l’impressiono della leggenda: lo stesso sacco trovasi nella integrità dopo la chiusura, perché la chiusura e 1 impronta non è stata menomamente alterata.

Togliendo la detta fune, ci abbiamo rinvenuti i seguenti oggetti.

1.° Un portafogli grande di latta dell'altezza di un palmo e quarto, di larghezza un palmo, e di vuoto un quarto di palmo, contenente diverse carte, che abbiamo estratte. Invitati i periti a fare la descrizione del detto portafogli, e ad indicarne la destinazione, han dichiarato come segue.

Il portafogli o astuccio che ci mostrate ha le dimensioni di un palmo e quarto di altezza, di un palmo di larghezza, e la capacità interna di un quarto di palmo: si chiude come astuccio, e si ferma con ciappa, che può chiudersi con ferro, con maschio, o altrimenti.

Usano di essi i padroni di barca, ed i comandanti di vapori. Nel mezzo, con lettere color giallo, vi è scritto. CAGLIARI. Le carte che in questo astuccio si contengono, sono le seguenti:

1.° Una carta chiusa a forma di lettera sul cui esteriore presenta scritta queste parole, documenti da scaricarsi, e riportarsi in Cagliari. Aperto lo stesso foglio vi si è rinvenuto altro foglietto, che contiene la richiesta del direttore delle dogane e porto franco di Genova d’imbarcare del tabacco.

2.° Un foglietto di carta con dichiarazione formata a bordo del Cagliari il 28 giugno 1857 in versi scritti numero 28, oltre le sottoscrizioni, che sono quelle dei capi rivoltosi, Carlo Pisacane, Giovambattista Falcone, e Giovanni Nicotera.

3.° Un plico aperto da un lato diretto a Massoni, agente de' vapori postali sardi in Cagliari, colla griffa del direttore de' vapori sardi nei mediterraneo Rubattini.

Nel detto plico si contengono, un foglio della data 25 giugno 1857. scritto da Raffaele Rubattini a Massoni, e gli partecipa la partenza del Cagliari il giorno 25 da Genova per Cagliari, per Tunisi, ed altra lettera chiusa scritta a Marcello Massoni, che aperta, si è verificato contenere altre due lettere oltre quella, che le racchiude.

Le lettere contenute sono dirette a Cristofaro Pacchi, ed a Luigi Ruggiero in Cagliari; si versano tutte sopra oggetti di commercio.

4.° Un plico chiuso alla direzione di Frediacci, agente di vapori postali sardi in Tunisi colla griffa della società Rubattini.

Aperto il detto plico vi si è rinvenuto il foglio d’invio firmato da Raffaele Rubattini, e tre lettere chiuse dirette a Mensiore Vaicupi, a Raffaello Scanallino, e Domenico Mangano di Tunisi.

Quella diretta a Mangano contiene altre due lettere, e tutte parlano di oggetti di famiglia, e nulla presentano d’importanza, come del pari quella scritta a Raffaele Scanallino.

La lettera a Mon. Valensi ne contiene altre tre, una per un tale Sombor Samauro Felix, le altre due dirette allo stesso, delle quali una scritta in arabo. Le lettere succitate parlano di affari particolari, e nulla presentano d’importanza, meno quella scritta in arabo, che non si comprende.

5.° Il ruolo di equipaggio del piroscafo denominato Cagliari di fogli numero 32 in ¡stampa; i fogli ai numeri 2. 3. 4, e 5 sono sopra carta di più breve dimensione. Sono tutti scritti, meno i fogli 5 v. e 6 v. 10 v., v. 11 e 12 ret. e num. L’ultimo visto del console è della data di Genova del 25 giugno, per la partenza per Tunisi, di 30 persone di equipaggio, e 33 passaggieri.

6.° Due manifesti di sortita di mercanzia data dalla Dogana di Genova il 25 giugno 1857.

7.° Due lettere di carico per una cassa di cristallo lavorato.

8.° Quattro bolle di circolazione, ossia lascia passare, rilasciate a 25 giugno.

9.° Una bolla per esenzione di uscita.

10.° Tre bolle a pagamento a statlaggio. Una bolla a pagamento di asportazione, ed un’altra di partenza.

11.° Venticinque lettere di carico. Più altre otto.

12.° Lo stato nominativo de' passaggieri imbarcati sul pacchetto a vapore il Cagliari, il 25 giugno a Genova, al numero di 33, oltre 30 individui di equipaggio.

13.° Otto carte di passaggio rilasciate a Schneider, a D. Francesco Mascarrò, a Carlo Venturino, a Cesare Cori, a Giuseppe Lecchi, ad Eligio Mo, a Vincenzo Donadei, ed a Giovandomenico Durando.

14.° Ventotto bollette di diverse specie.

15.° Una patente di sanità, rilasciata il 25 giugno a Genova.

16.° Un foglio di dispacci spediti dalle poste di Genova per Cagliari e per Sassari.

17.° Un libretto di fogli in istampa n.° 4, relativo il primo e secondo ai passaggieri, il 3.° ed il 1.° alle mercanzie ed oggetti, con una sopravveste in istampa, coll’intestazione «manifesto del viaggio».

II.Tre libri di carta per scrivere, per i quali richiesti i periti a farne la descrizione, ed indicarne la destinazione, ci ànno risposto essere della dimensione di un palmo e terzo di lunghezza per un palmo circa di larghezza, di 60 fogli circa per ognuno, e la destinazione di essi è a registri di amministrazione di uffizi, ed altro. Esaminando lo stato materiale di detti registri, abbiamo verificato che sopra uno si legge «Tunis 1851» e sotto «Genova». Contiene fogli scritti numero 6 perché il rimanente in bianco. Comincia il primo foglio numero colle parole «spese fatte» contiene versi scritti num. 29 e termina colle parole «al cuoco» — Comincia il foglio primo colla parola «vetro» etermina coll’altra «guanti» — Contiene fogli scritti oltre le cifre numeriche fol. 10; anche dieci versi come il precedente contiene il fol. 2.° n.° il fol. 2.° 1. “ è in bianco — Il fol. 3.° r.° contiene versi scritti num. 29, e comincia colla parola «merci» e termina coll’altra «a conto» il detto fol. 1.° contiene versi scritti, di cui l’ultimo a lapis, num. 7—Il foglio 4.° r.° contiene versi scritti num. 18, comincia colla parola «merci»termina coll’altra «ristori». Il detto foglio 1.° contiene versi scritti n. 30, comincia colle parole «merci»e termina coll'altra «idem».Il fol. 5 v. contiene versi scritti numero 29, comincia colle lettere «G. C.» e termina colla parola «termese»detto fol. 1.° contiene versi scritti numero 28, comincia colle lettere «ecc.e termina colla parola «disegno». Il fol. 6 v. contiene versi scritti numero 29, comincia colle parole «ind.»e termina coll’altra «Livorno» detto fol. 1.° contiene versi scritti num. 27, comincia colla parola «ind. caminali» e termina coll'altra «vignala». —Il 2.° registro viene scritto sull’esterno colle parole «movimento del personale». Nell'intorno incollato sul cartone che covre il registro, vi è uno stato dimostrativo scritto per versi numero 21. Questo registro contiene fogli 50, giusta la indicazione in fine—Contiene fogli scritti numero 12 relativi ai pagamenti del personale. — Il 3.° registro finalmente è per fogli meno voluminoso degli altri— Tiene fol. scritti numero 4 colle indicazioni delle merci imbarcate in Genova dal 9 maggio, in sino al 25 giugno inclusivo— quelle imbarcate in Genova per Cagliari il giorno 25 giugno sono indicate per versi scritti numero 10, nel fol. 4 v. e per versi scritti numero 4.

III.Un registro di fogli numero 20 in carta di bollo di Genova numerati dal console di marina di Genova, coll'intestazione del piroscafo ad elica Cagliari, comandato dal capitano Sitzia Antioco — A fol. scritti numero 7; comincia dal 25 maggio e termina al 30 giugno. Nel fol. 7 vi sono scritti versi numero dodici.

IV.Una pergamena. Mostrata la stessa ai periti, àn detto di essere un foglio di pergamena di palmi due per palmo uno e mezzo circa: che tali pergamene son destinate per patenti, per diplomi ed altri oggetti simili — Abbiamo in effetti verificato che è la patente di nazionalità del legno.

V.Un involto legato con funi impeciate contenente diversi libretti in forma di portafogli; altre carte; delle stampe, e qualche registro. Sciolto l’involto, vi abbiamo rinvenuto i libretti di matricola numero 18 intestati a Nicolò Luigi Maria Rebua, a Pietro Felice Cedale, a Lorenzo Fomento, a Pasquale Antonio Casella, a Claudio Pietro Barberi, a Domenico Sturlese, ad Antioco Sitzia, ad Ignazio Frumento, a Giacomo Nicolò Albertino, a Giovanni Frumento, a Giuseppe Agostino Maria Daneri, a Salvatore Domenico Agostino Rapello, a Vincenzo Rocci, a Simone Pecunia, a Girolamo Bertiratto, a Domenico Costa, ed a Giovanni Rebua.

VI.Un libretto scritto di fogli 17 contenente memoria sulla scienza della navigazione, e di libri necessarii a bordo, non che di quanto possa esser necessario al. componimento di un legno con tutte le sue distinzioni — Comincia colle parole «memorie»e termina coi numeri 41 e 33.

VII.Altro libretto manoscritto di fol. 1 numero 15 contenente simili notizie intorno ai legni di navigazione, non che viaggio da Genova a Cagliari; tavola di Loch, e spese: comincia colle parole «trovare il peso» e termina coi numeri 25 e 13.

VIII. Un foglio in grande stampato, con l’intestazione «stato nominativo de' passaggieri».

IX.Un libretto stampato nei primi sei fogli che racchiude il regolamento per gli operai di mare, e la intestazione a Battista Boffa, e tre altri fogli e mezzo manoscritti. Lo stampato comincia «Carlo Felice», e termina colle parole «del padrone». Indi la firma di Antonio Bianchi. Lo scritto comincia «V. Lesiteli sindaco e termina «G. Filippi».

X.Un portafogli in cui sono cuciti varii foglietti in bianco; se non che otto versi scritti alla prima pagina ed altre notizie e numeri alle tre ultime; come pure altri numeri alla parte interna dei due fogli che formano la covertura. Nelle borsette si sono rinvenuti: 1.°Un biglietto di visita di Patellani Raffaele dottore in medicine e chirurgie. 2.° Una lettera scritta su di un pezzettino di carta contenente notizie di famiglia. Incomincia «Amatissimo figlio e termina «Tuo affez. Padre che ti ama» «EGD 3.° Un biglietto stampato in lingua inglese, che comincia «THEe termina CHESTS 4.° Una lettera diretta da una donna a nome Anna Roccia al capitano Sitzia.

XI. Un foglio di carta stragrande colle intestazioni, conti, pani, e panatica dell'equipaggio del Castore.

XII. Altro stato delle paghe e panatiche dell'equipaggio del piroscafo Cagliari dal 16 a 31 ottobre 1854.

XIII. Altro stato simile per febbraio 1855.

XIV. Altri due per maggio e giugno 1854.

XV. Un foglio contenente lo stato nominativo dell'equipaggio del Cagliari in novembre del 1854 alla campagna d’Oriente.

XVI. Un inventario del piroscafo il Cagliari in due fogli di carta imperiale.

XVII. Un passaporto rilasciato dal governo Sardo a 20 ottobre 1853 a Domenico Cevasio.

XVIII. Un foglio di giornale Lamaja del 16 Novembre 1856.

XIX. Un foglio di giornale, corriere mercantile stampato a Genova come il precedente del 13 dicembre 1856, in cui fra l’altro vi è un articolo del MorninclePost sui mari di Sicilia.

XX. Un libretto di oggetti provetti al vapore di Michele Vitelli.

XXI. Quarantino foglio di carta racchiusi in una fascia colla intestazione «corrispondenza officiale colla compagnia delle Saline di Sardegna.

XXII. Cento e cinque lettere dirette per la maggior parte al capitano del vapore e relative ad affari particolari. Più sei sopraccarte.

XXIII. Ventuno biglietto d’imbarco rilasciati per lo viaggio a farsi del Cagliari a 25 giugno 1857, rilasciati per 33 persone.

XXIV. Trentaquattro suggelli di carta più o meno larghi contenenti ricevi, conti, ed altre notizie.

XXV. Quattro fogli di carta cuciti, scritti per una metà e per una altra pagina colla intestazione «Armée d’orient, copie de la diarie partie Cagliari cap. Sitzia.

XXVI. Due bolle di pagamento di entrata.

XXVII. Un libretto di tre foglietti stampato, Cagliari il 1856, contenente orazione in onore della Vergine Assunta.

XXVIII. Una nota di spese per riparazioni occorse al legno il Cagliari.

XXIX. Una circolare per l’illuminazione de' legni da guerra ed ogni bastimento a vapore, in tre fogli stampati.

XXX. Dieci libretti stampati a Londra di quattro foglietti ognuno.

XXXI. Un foglio d’istruzione pel capitano Sitzia, dato dalla compagnia Rubattini a maggio 1855.

XXXII. Un memorandum in istampa contenente l’indicazione di articoli soggetti.

XXXIII. Un modello di lista di passaggieri in istampa sfornito, senza indicazione.

XXXIV. Un invito alla compagnia transatlantica.

XXXV. Un foglio di stampa contenente la patente di capitano di seconda classe rilasciata a Vincenzo Rocci..

XXXVI. Un foglio di stampa contenente manifesto di passaggieri' imbarcati sul Cagliari nel viaggio per Malta de' 22 novembre 1856.

XXXVII. Un certificato di ascrizione rilasciato dall’autorità del porto di Ancona a 11febbraio 1851 a Cesare Cori.

XXXVIII. Un foglio in carta grande stampato, contenente il conto del capitano Sitzia coll’amministrazione, della data del 17 gennaio 1855.

XXXIX. Un certificato di permanenza rilasciato a Giovanni Nicotera, della data del 10 marzo 1853, dal questore di Torino.

XL. Un passaporto rilasciato dal governo sardo a Francesco Badino. XLI. Un foglio contenente nolo sul contratto.

XLII. Sci carte stampate, strappate da libri di romanzi francesi.

XLIII. Un foglio della data di Malta del 28 novembre 1856 contenente indicazioni di oggetti imbarcati.

XLIV. Un passaporto rilasciato dal governo sardo a Girolamo Graci.

XLV. Due manifesti di un ottico di Morovia.

XLVI. Due note di pagamenti fatti ad individui di equipaggio e di conto.

XLVII. Una Citarle Parlic in un foglio.

XLVIII. Un passaporto rilasciato dal governo sardo, a Vincenzo d’Urbino.

XLIX. Altro foglio di carta relativo anche a navigazione.

L. Una nota di Bazar.

LI. Un manifesto di sortita rilasciato dalla dogana di Genova a 25 maggio 1857.

LII. Un foglio di conteggio di mare.

LUI. Altre due note di pagamenti in due fogli.

LIV. Una istruzione stampata per l’imbarco e trasporto di cavalli e muli.

LV. Un notamento di somme da pagarsi in novembre.

LVI. Un verbale con consegna in due fogli contenente un rapporto.

LVII. Altro verbale de' 22 marzo 1857.

LVIII. Un foglio indicante il modo di far seguire imbarco e disbarco, LIX. Altro foglio di spedizione. ’

LX. Altro foglio d’imbarco.

LXI. Un biglietto in istampa rilascialo dall’amministrazione sanitaria.

LXII. Altra notizia di oggetti imbarcati.

LXIII. Una fattura di generi.

LXIV. Un estratto rilasciato dal proconsolato di S. M. Sarda alla Goletta di Tunisi de' 6 dicembre 1856 —Una cambiale da Costantinopoli a Marsiglia per 1270 franchi sopra i fratelli Amò.

LXV. In fine un involtino di carta contenente fogli 10 anche relativi ad affari di commercio e navigazione.

LXVI. Un registro di fogli a metà in cui vien riportata la indicazione delle spese di mare.

Terminata la verifica e la descrizione dei diversi oggetti, abbiamo formati due incartamenti di tutte le carte. Nel primo si contengono tutte le carte rinvenute nel portafogli. Nell’altro quelle rinvenute nell’involto.

D. tutti i registri si è formato altro incartamento. Il portafogli si è avvolto in una carta chiusa con cera lacca soprapponendovi un suggello, la di cui impronta è simile a quella impressa nel presente verbale.

Delle matricole de' marinari si è del pari formato involto chiuso a cera lacca, suggellato come il portafogli.

Non essendovi altro a praticare, i detti involti e gl’incartamenti si sono consegnati al vicesegretario, e si è formato il presente verbale che vien firmato da tutti gl’intervenuti, da noi, e dal vicesegretario. Seguono le firme — Per copia conforme — Il Segretario della procura generale del Re—Vincenzo Magnaliarca —Visto — Il Procuratore Generale del Re — firmato, Pacifico

XXI
29 Giugno 1857

D. Qual è il vostro nome? R. Carlo Park — D. Quali sono i vostri genitori? R. Figlio di Carlo Park e di Caterina Gous — D. Che età avete? R. Di anni 21 — D. qual è la vostra condizione? R. Macchinista, come secondo, a bordo — D. Qual è la vostra patria? R. Londra — D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari? R. Mi trovo imbarcato da secondo macchinista, e di quanto si è passato a bordo di questo vapore dal giorno 25 di questo corrente mese, che partimmo da Genova, mi uniformo perfettamente a quanto ha fatto relazione il primo macchinista Watt, e ciò sino al momento che dirigendo per Napoli fummo incontrati dai vapori napolitani di guerra — D. Avete niente altro da aggiungere? R. Non signore — D. Potete giurare su quanto avete asserito? R. Sissignore e mi sottoscrivo—Carlo Park — Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva — Il cannoniere di terza classe da cancelliere — Pasquale Todisco.

XXII
29 Giugno 1857

D. Qual è il vostro nome? R. Francesco Mascarò — D. Quali sono i vostri genitori? R. Figlio di Giovanni Mascarò e Marianna Rais — D. Che età avete? R. Di anni 53 all'incirca — D. Qual è la vostra condizione? R. Medico chirurgo — D. Qual è la vostra patria? R. Spagnuolo, e naturale di Maone — D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari? R. Il giorno 25 del corrente m’imbarcai a bordo di questo legno che trova vasi nel porto di Genova, onde portarmi in Tunisi. Verso le sette di sera mettemmo in moto dopo di un’ora in circa, in mezzo delle grida e del rumore, mentre era situato alla poppa del detto vapore di unita alla mia consorte ed altri passaggieri, vidi comparire il capitano in mezzo a diversi individui con berretti rossi,in cui appoggiavano delle pistole e de' stili. Domandai di che cosa si trattava, e senza altra risposta, mi fu imposto di scendere senz’altro nella camera, giunto cogli altri passaggieri, amminacciandomi di non farlo, di servirsi della violenza. Dopo pochi momenti, un capitano passaggiere, che trova vasi nella camera, scesero i rivoluzionarii imponendo al detto capitano, contro le minacce, a prendere il comando del detto vapore. Il capitano si negò, ma fu obbligato colle minacce della vita, dopo di che si diresse per l’isola di Ponza, dove vi giungemmo verso la sera. Si alzò immediatamente la bandiera dal pilota, che giunto, fu obbligato di salire diunita con un uffiziale regio. In seguito, essendo al numero di venti all'incirca si PORTARONO A TERRA TUTTI ARMATI. Fecero imbarcare con viva forza il secondo ed il pilota come parimenti il nuovo comandante del vapore, imponendoci a noi di non muoverci dalla stanza. Dal bordo sentivamo de' colpi di fucile a terra, e dopo diverso tempo di questo disordine, a terra comparivano parecchie barche cariche di gente, e verso la mezzanotte essendo a bordo al numero di circa quattrocento, partimmo dall'isola. Sentivamo dire a bordo che si andava a sbarcare nella spiaggia di Sapri. Verso la sera del giorno seguente giungemmo sopra di una costa, dove si eseguì lo sbarco di quasi tutti quelli imbarcati da passaggieri e gli altri imbarcati a Ponza, ESSENDO RIMASTI DE' PRIMI DEE FERITI ED UNO CHE APPARENTEMENTE AVEVA DELLE CONVULSIONI. Onde evitare di proseguire gli altri armati. Partimmo immediatamente, facendoci conoscere il capitano del vapore andare a Napoli, ove fare il suo rapporto, e nella via trovammo i due vapori da guerra napolitani — D. Avete niente altro da aggiungere o togliere a quanto avete asserito? R. Nonsignore — D. Potete giurarlo? R. Sissignore ed in attestato del vero mi sottoscrivo — Francesco Mascarò — Il tenente di vascello — Giovanni d'Ayala Valva.

XXIII
29 Giugno 1857

D. Qual è il vostro nome? R. Errico Watt — D. Quali sono i vostri genitori? R. Errico Watt, e di Maria Gane — D. Che età avete? R. Di anni 27, nato in Newcastle — D. Qual è la vostra condizione? R. Macchinista — D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari? R. Essendo il macchinista di questo vapore genovese chiamato il Cagliari, la sera del 25 corrente mese trovandoci nel porto di Genova, dopo imbarcati molti passaggieri partimmo verso le sette. Dopo circa due ore della partenza, trovandomi in sul ponte, vidi diverse persone armate con pistole e stile, che si diressero al capitano del vapore, dicendo di esserei padroni del bastimento, e dirigere dove a loro piaceva. Diversi marinari imbarcati da passaggieri s'impossessarono del timone. In questo mentre diverse persone armate di pistole mi obbligarono di calare a basso alla macchina. Quindi quattro di loro armati calati nella macchina mi portarono una lettera scritta in inglese, senza firma, che tuttavia conservo, COLLA QUALE MI SI OBBLIGAVA DI ESSERE DAL CANTO LORO PER TUTTOCIÒ CHE IN ESSASÌ CONTIENE. Fui minacciato di essere massacrato di unita al mio secondo, se mi negava. Fui obbligato di accettare. Il vapore camminò a mezza macchina per quattro ore della notte. La mattina, uno dei capi volle sapere da me la quantità di carbone che ci era a basso; gli risposi che vi erano per cinquanta a sessant'ore di cammino. Il giorno seguente incontrammo una squadra inglese di cinque vascelli e due vapori, ed io col mio secondo fui obbligato di scendere a basso, ove mi chiusero tutti i portellini del bordo, onde evitare qualunque segnale, che avessi voluto fare. Verso le cinque del giorno giungemmo all'isola di Ponza, dove alzata la bandiera del pilota, questi dopo poco giunse in una barca e fu obbligato di salire a bordo da molti degl'insorti che lo minacciavano della vita. Ancorammo nel porto, e tosto calarono a terra armati molti passaggieri, rimanendo a bordo tre persone armate onde non salire nessuno in coverta. Sentivamo da bordo molte fucilate che si tiravano a terra, e dopo poco, finite queste, cominciarono a venire a bordo molte barche con gente armata che imbarcavamo, e giunti al numero di quattrocento all'incirca, verso l’una dopo mezzanotte partimmo, dirigendo per una delle coste del regno di Napoli (come sentivamo dire), e l’indomani sera alle nove circa giungemmo sulla spiaggia di Sapri, dove si sbarcò tutta la gente armata, rimanendo a bordo chi voleva. Ci fu ordinato di non far rumore colla macchina, onde non attirarci l’attenzione degli abitanti della marina. Terminato lo sbarco alle ore undici circa, partimmo, e secondo i detti dpl capitano si diresse per Napoli, onde rimpiazzare il carbone e dare conoscenza all'autorità competente di quanto si era passato a bordo del vapore sin dalla partenza da Genova — D. Avete nient’altro da aggiungere a quanto avete asserito? R. Nonsignore—D. Potete giurare? R. Sissignore, e mi sottoscrivo — Errico Watt—Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva — Il terzo cannoniere da cancelliere — Pasquale Todisco.

XXIV
Oggi che sono li 3 Luglio 1857

— Io Leopoldo Lecaldano primo tenente del reggimento Real Marina comandante del distaccamento del detto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor RetroAmmiraglio D. Federico Roberti Comandante superiore dei Reali legni armati per particolare servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza un arrestato evaso dall'isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande;—D. Qual è il vostro nome? R. Vincenzo Paparo — D. Di dove siete? R. Di Guardavalli provincia di Catanzaro—D. I vostri genitori? R. Fu Giuseppe e Francesca Soma — D. L'età? R. Di anni 21 — D. La vostra condizione? R. Muratore, condannato a Ponza perché bestemmiatore — D. Come dall'isola di Ponza, ove stavate rilegato siete qui venuto arrestato con un fucile a due colpi fra le mani? R. Il giorno 27 giugno prossimo passato verso 5 ore p. m. giungeva in Ponza un vapore, che sbarcando una ventina di uomini VESTITI ROSSI CON BANDIERA TRICOLORE,incominciarono a far fuoco, e ad incitare noi tutti alla rivolta ed evasione; perlocché io fui tra quelli ad imbarcarmi. Ciò lo feci dal perché ci veniva assicurato che saremmo ritornati liberi alle nostre famiglie. Ma mi disingannai allora quando giunto in Sapri il vapore, e calato aerra, intesi che avrei dovuto combattere contro il mio Sovrano. Quindi immaginai di allontanarmi da costoro, come tanto eseguii, tostocché mi riuscì; ma disgraziatamente nel cammino che faceva onde recarmi a qualche autorità, mi si presentarono degli urbani, i quali mi hanno arrestato e qui condotto, senza tener conto della mia spontanea presentazione — D. Ditemi se il fucile a due colpi col quale siete venuto arrestato vi apparteneva, e da chi lo riceveste? R. A me non mi è venuto data arma di sorta alcuna, né quell'arma mi appartiene; ma bensì dagli urbani è stata raccolta a terra da altri miei compagni, i quali si son posti in fuga — D. Ditemi le operazioni che vedeste durante il vostro viaggio? R. LE OPERAZIONI FURONO QUELLE DELLA SOMMINISTRAZIONEDELLE ARMI, DELLA COSTRUZIONE DE’ CARTUCCI, E DELL’AVVERTIMENTO CHE CI FECERO MOLTI CAPI ALL’APPARIRE DI UN VAPORE ONDE NON ESSERE VEDUTI, E LIBERI COSÌ PROSEGUIRE IL NOSTRO VIAGGIO D. Avete altro da aggiungere o togliere da questa vostra deposizione? R. Non ho altro da togliere o diminuire essendo questa la verità, ed in fede passo a sottoscriverla — Vincenzo Paparo — Errico Lari, sergente del reggimento Real Marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano, sotto tenente del reggimento Real Marina.

XXV
Oggi che sono li 30 Giugno 1857

— Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina comandante del distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata nella spiaggia di Sapri; dietro ordini verbali ricevuti dal RetroAmmiraglio D. Federico Roberti comandante superiore dei Reali legni armati per particolare servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza l'arrestato evaso dall'isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande: — D. Qual è il vostro nome? R. Giovanni Parrilli —D. Di dove siete? R. Capriata, Terra di Lavoro — D. I genitori? R. Fu Alessandro e fu Maria Telli — D. L’età? R. Di anni 24 — D. Il mestiere? R. Campagnuolo — D. Per qual causa vi trovate rilegato in Ponza? R. Per omicidio — D. Come dall’isola di Ponza vi siete trovato arrestato su questo Real legno? R. Il dì 27 verso le ore del dopo pranzo intesi dei colpi di fucile e quindi alcuni forestieri armati che ad alta voce gridavano cose da me sconosciute, ed uno di questi approssimandosi a me, mi obbligò a caricare un barile di vino che m’indusse a portarglielo sino a bordo. Ivi giunto mi spinse colla forza a restar con loro, dandomi un’arme da fuoco che non so affatto maneggiare — D. Cosa sentivate dire a bordo? R. Signore, attesa la mia infima posizione sociale, nulla mi veniva partecipato de' loro progetti; solo la notte del 28 verso le nove p. m. ci obbligarono a calare a terra in un paese a me sconosciuto, e che tutt'ora ignoro: vi restammo appiattati tutta la notte, e la mattina del 29 poi la banda ponendosi in movimento, io cercai di sfuggirli, come mi riuscì e di presentarmi alle autorità locali, che mi hanno qui condotto — D. Avete niente altro d'aggiungere o togliere da questa vostra deposizione? R. Niente altro ho da aggiungere o togliere essendo questa la verità—Firmato, Errico Lari, sergente del reggimento Real marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano sottotenente del reggimento Real marina.

XXVI
Oggi che sono 3 Luglio 1857

—Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina, comandante del distaccamento del suddetto corpo, imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorato alla spiaggia di Sapri, dietro ordini ricevuti verbalmente dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti Comandante superiore dei Reali legni armati per particolar servizio di S. M. il Re (N. S.), ed assistiti dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza un arrestato evaso dall'isola di Ponza ed ho proceduto alle seguenti domande — D. Qual è il vostro nome? R. Francesco Gallo — D. Di dove siete? R. Del Pizzo di Catanzaro— D. I genitori? R. Raffaele ed Elisabetta Morano—D. L’età? R. Di anni ventisei — D. La vostra condizione? R. Ex soldato del 1.° di linea concedalo per cattiva condotta e rilegato a Ponza — D. Ditemi come dall'Isola di Ponza, ove stavate rilegato siete venuto qui arrestato e coll'arme alla mano? R. Nelle ore p. m. del dì 27 giugno prossimo passato io mi trovava rinchiuso nelle prigioni di Ponza, allorché intesi dei colpi di fucile, e quindi mi si aprirono le prigioni gridando da molti uomini VESTITI ROSSI, CON BANDIERA TRICOLORE, che dal loro linguaggio apparivano italiani, uscite, venite ad imbarcarvi, e ritornate liberi alle vostre famiglie. Non esitai un momento e corsi ad imbarcarmi. Si navigò tutta la notte ed il giorno seguente, verso le ore 9 del dì 28 si giungeva in Sapri. Poi ci veniva comunicato da un tale che chiamavasi il. generale, che l'oggetto della nostra evasione era stato quello di combattere contro il nostro legittimo Sovrano, e ne concepii orrore. Proponevami perciò di allontanarmi da loro alla prima occasione, e tanto riuscendomi, il dì 28 m’incaminava per qualche paese, onde presentarmi alle autorità, ma affrontato dagli urbani, sono stato arrestato, tenendo in mano un fucile a due colpi — D. Ditemi da chi riceveste l'arma colla quale siete stato trovato? R. Il fucile a due colpi me l’ho io procurato calando a terra dagli altri compagni della banda, dopocché costoro avevano attaccato il primo fuoco — D. Ditemi le operazioni che ebbero luogo durante il vostro viaggio da Ponza a Sapri? R. Signore vi FU DISTRIBUZIONE A BORDO DEL VAPORE, DI ARMI, E DI MONIZIONI, QUALE SI MANIFATTURO SOPRA LUOGO, NONCHÉ DELL'AVVERTIMENTO DI ABBASSARCI E NASCONDERCI ALLA VISTA DI UN VAPORE, CONCORRENDOVI, IN TUTTE QUESTE OPERAZIONI, LA DECISA VOLONTÀ ED IL PIENO ACCORDO DEL COMANDANTE DEL LEGNO— D. Ditemi deve, e come siete stato arrestato? R. Signore allora quando io mi allontanai dalla banda, mi trovava in compagnia di altri sei calabresi, cercando prendere la via che mena a Catanzaro, ma giunti sulla sponda di un fiume, ci uscirono di fronte una quantità di urbani, coi quali si attaccò il fuoco reciproco, io però capovolgendo al suolo togliendomi la coppola da testa mi sono arreso — D. Avete niente altro da aggiungere o togliere da questa vostra deposizione? R. Niente altro ho da togliere o aggiungere da questa mia deposizione, essendo questa la verità, e non sapendo scrivere fo segno di + croce—Errico Lari sergente del reggimento Rea 1 Marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real marina.

XXVII
Oggi che sono li 30 Giugno 1857

— Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina, comandante del distaccamento del suddetto corpo, imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorata alla spiaggia di Sapri; dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore dei Reali legni armati per particolare servizio di S. M. il Re (D. G.)ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il primo degli arrestati evasi dall’isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande—D. Qual è il vostro nome? R. Filippo Conte alias Ferrajuolo—D. Qual è la vostra patria? R. Rocca di Arci provincia di Terra di Lavoro—D. 1 genitori? R. Fu Benedetto ed Eleonora Conte—D. L’età? R. Di anni 33 — D. Condizione? R. Sarto. D. Per quale ragione vi trovavate a Ponza? R. Perché implicato in affari politici—D. Come dall’isola di Ponza, dove stavate rilegato, vi trovate adesso arrestato su questa Real fregata? R. Signore, il dì 27 verso le ore 21 io mi trovava carcerato nell'isola di Ponza, e dopo alcuni colpi di fucile, vidi aprire le prigioni e darmi la libertà, e da una inano di uomini armati, con bandiera tricolore, ed alle voci di viva l'Italia e la libertà invitarono a far parte di loro per imbarcarmi e recarmi in Napoli — D. Riconoscete il legno su del quale vi andaste ad imbarcare? R. Dalla bandiera tricolore mi accorsi che dovevano essere costituzionali — D. Giunto che foste a bordo chi conosceste per capo? R. Un tale che io non conosco, che da tutti appellavasi generale — D. Riceveste armi e munizioni da costui? R. Non volli riceverne, né mi dettero armi di sorta alcuna, perché tutti mi appellavano per pazzo — D. Conoscevate lo scopo della vostra evasione e la direzione da prendersi? R. LO SCOPO ERA DI RIVOLTARE I POPOLI ALLA LIBERTÀ e la direzione per Napoli—D. Mi sapreste dire quale intelligenza passava tra il comandante del legno ed il generale? R. Niente posso assicurarle su di ciò, dal perché non faceva parte dei loro discorsi segreti—D. Riconosceste il luogo del vostro disbarco ed a qualora e giorno si effettui? R. Solo dai compagni seppi che lo sbarco si era effettuito alla spiaggia di Sapri, la notte del 28 verso le 9 p. m. — D. Quanto tempo siete stato in Sapri? R. In Sapri vi sono stato tutto il tempo che vi ho posto piede a terra sino al momento dell'allontanamento della banda; che appena partita mi son diretto da un contadino per volere essere indicata la strada di Napoli, ma in vece costui, questa mattina 30 verso il far dell'aurora mi à consegnato all'autorità del luogo — D. Avete altro da aggiungere o togliere da questa vostra deposizione? R. Niente altro ho da aggiungere o da togliere essendo questa la verità — Firmato Errico Lari sergente del reggimento della Real marina da cancelliere—Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real marina.

XXVIII
Oggi che sono li 30 Giugno 1837

— Io Leopoldo Lecaldano sottotenente del reggimento Real Marina comandante il distaccamento del suddetto corpo, imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri; dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore dei Reali legni armati per particolar servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ò fatto venire in mia presenza l'arrestato evaso dall'isola di Ponza ed ò proceduto alle seguenti domande — D. Qual è il vostro nome? R. Battista Pasquale — D. Di dove siete? R Scuciano provincia di Teramo. D. I vostri genitori? R. Lorenzo e Teresa Valerio — D. Quant’anni avete? R. anni 18 — D. Il mestiere? R. Bracciale —D. Per quale causa vi trovavate rilegato a Ponza? R. Per sfregio commesso — D. Ditemi come dall'isola di Ponza vi trovate ora a bordo di questo Real legno? R. Signore posso assicurarvi che non so rendervi conto, attesa la bassa condizione mia ed il mio stato, cosa sia avvenuto di me, solo posso dirvi che il 27 nelle ore del dopo pranzo, stando all'isola di Ponza, vidi giungere un bastimento, che non ne conosceva la nazione, e quindi delle genti armate, che con diabolico chiasso ed allegria di voci, per me sconosciute, mi obbligarono di portare alcuni fasci di legna dalla terra sulla nave, ed ivi giunto mi venne inibito di più calare—D. Ditemi; giunto a bordo cosa vedeste, cosa sentiste, chi si fece vostro capo? R. Signore al mio arrivo a bordo alcuno si curò di me, solo sentiva nominare un generale, non vidi altro che somministrava armi, e dire cose per me nuove affatto — D. Conoscete il luogo del vostro disbarco la direzione a prendersi? R. Il luogo non ci venne detto, né tuttora lo conosco, vi giungemmo all'imbrunire della notte del 28 e calammo a terra dopo circa un’ora. Restammo nascosti tutta la notte, ed al far del giorno, allorquando il generale metteva in movimento i suoi seguaci, io cercai di allontanarmene, come mi riuscì, presentandomi poi alle autorità locali, che mi ànno qui consegnato — D. Avete altro da aggiungere o togliere da questa vostra deposizione? R. Niente altro ò da aggiungere o togliere, ed essendo questa la verità — firmato Errico Lari sergente del reggimento Real Marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina.

XXIX
Oggi che sono li 30 Giugno 1857

— Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina comandante del distaccamento del suddetto corpo, imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri, dietro ordini del signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante de' Reali legni armati per particolar servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ò fatto venire in mia presenza uno degli arrestati evaso dall'isola di Ponza, ed ò proceduto alle seguenti domande— D. Qual è il vostro nome? R. Michele Milano — D. Qual è la vostra patria? R. Napoli — D. Quali sono i vostri genitori? R. Fu Luigi ed Arcangela Lanella — D. Che età avete? R. Ho venti anni — D. Qual è la vostra condizione? R. La mia condizione è ex soldato congedato per cattiva condotta, e rilegato all'isola di Ponza — D. Come dall’isola di Ponza, dove stavate rilegato, vi trovate adesso in questo Real legno arrestato con le armi alla mano? R. Signore sabato scorso, giorno 27, verso le ore 4 p. m. dall'isola di Ponza, ove mi trovava con gli altri rilegati, vidi apparire un vapore con la bandiera tricolore, che credetti francese; ma che poi conobbi sarda, e poco dopo intesi scambiare delle fucilate, e quindi un numero d’individui forestieri con bandiera tricoloreed armati, incominciarono a percorrere l’isola gridando «Viva l'Italia, siamo fratelli ed immediatamente, all’evasione ed alla rivolta. In compagnia di altri trecento e più c’imbarcammo su del detto vapore — 1). Ditemi ora, giunti che foste a bordo del vapore sardo, chi vi fornì d'armi chi di munizioni, chi riconosceste per vostro capo? R. Giunto a bordo, un tale che io non conosceva, e che trovavasi a bordo, ma che da tutti appellavasi generale mi consegnò le armi da fuoco, ed un pacco di cartocci a palla — D. Ditemi se il comandante del legno sardo, su del quale vi trovavate, era per quanto vi sembrava vedere, in accordo con i fautori della sedizione? R. IL COMANDANTE DEL LEGNO SEMBRAVA DI PERFETTISSIMO ACCORDO CON LORO STANDO SEMPRE IN LORO COMPAGNIA, PROGETTANDO E CONFABULANDO ASSIEME — D. Quale scopo vi fu manifestato dal così detto vostro generale essere l'oggetto della vostra evasione da Ponza, ed armatamano? R. LO SCOPO ERA DI DARE LA LIBERTÀ AL PAESE E INVITARE I POPOLI ALLA RIVOLTA — D. Conoscete il luogo del disbarco, e la strada da percorrere? R. Dal generale mi venne detto, che il punto del disbarco sarebbe Sapri, e la strada da percorrere le Calabrie — D. Si effettui lo sbarco, ed a che ora, ed a che giorno? R. Lo sbarco si avverò il dì 28 alle ore una di notte — D. Riceveste resistenza dagli abitanti del paese? R. Attesa l’ora tarda, gli abitanti non ci videro, ma l’indomani del 29 che entrammo nel paese alle grida di «Viva l’Italia ec. ec.»gli abitanti parte fuggirono, e parte ne restarono nelle loro case pacificamente—D. Quanto tempo vi fermaste a Sapri? R. La nostra dimora non fu altro che la sola notte del 28 al 29; e la mattina dopo di averci fatta la suindicata dimostrazione ci ponemmo in marcia — D. Ditemi la strada che percorreste mettendovi in marcia? R La strada che noi battevamo era una via accorciatoia che mena direttamente a Lagonegro, che per giungere si deve passare per un altro paesetto, che io non ricordo il nome: che ivi giunto, mi allontanai dalla banda, presentandomi al sindaco e parroco del paese, i quali mi ànno fatto condurre arrestato dagli urbani su questo Real legno — D. Durante il tempo che avete fatto parte della banda, mi sapreste dire, se si sono commessi degli eccessi e di qual natura? R. Signore posso assicurarvi che per le poche ore che vi l'alto parto, non ò commesso né ò visto commettere cosa alcuna — D Avete altro da aggiungere o togliere da questa vostra deposizione? R. Niente altro da aggiungere e togliere essendo questa la verità—Firmato Errico Lari secondo sergente del reggimento Real Marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano secondo tenente del Reggimento Real Marina.

XXX
Oggi che sono li 30 Giugno 1857

— Io Leopoldo Lecaldano secondo tenente del reggimento Real Marina comandante del distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante dei Reali legni armati, per particolar servizio di S. M. il Re (N. S.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il primo degli arrestati evasi dall'isola di Ponza, ed ò proceduto alle seguenti domande—D. Qual e il vostro nome? R. Io mi chiamo Michelangelo Mundo—D. Qual è la vostra patria? R. Io sono di Manfredonia— D. Quali sono i vostri genitori? R. Giuseppe e Francesca Cinsera — D. Quanti anni avete? R. 29 — D. La vostra condizione? R. Ex soldato concedato per cattiva condotta, e rilegato all’isola di Ponza — D. Come dall'isola di Ponza, dove stavate rilegato, vi trovate adesso su questo Real legno arrestato con le armi alla mano? R. Signore sabato scorso, giorno 27 verso le ore 4 p. m. dall'isola di Ponza, ove mi trovava con gli altri rilegati, vidi apparire un vapore con la bandiera tricolore francese, ma che poi conobbi esser sarda, e poco dopo intesi scambiare delle fucilate, e quindi un numero d’individui forestieri CON BANDIERA TRICOLORE, ed armati incominciarono a percorrere l'isola, gridando «Vita l'Italia, siamo fratelli»ed invitandoci alla evasione, ed alla rivolta in compagnia di altri trecento, e più c’imbarcammo su del detto vapore — D. Ditemi ora, giunti che foste a bordo del vapore sardo chi vi forni di armi, chi di munizioni, chi riconosceste per vostro capo? R. Giunto a bordo un tale che io non conosceva, e che trovavasi a bordo, ma che da tutti appellavasi generale, mi consegnò le armi da fuoco ed un pacco di cartucci a palla. D Ditemi se il comandante del legno sardo, su del quale vi trovavate era per quanto vi sembrava vedere, d'accordo con i fautori della sedizione? R. IL COMANDANTE DEL LEGNO SEMBRAVA DI PERFETTISSIMO ACCORDO CON LORO, STANDO SEMPRE IN LORO COMPAGNIA, PROGETTANDO E CONFABULANDO ASSIEME — D. QUALE SCOPO VI FU PROGETTATO DALCOSI DETTO VOSTRO GENERALS ESSER L'OGGETTODELLA VOSTRA EVASIONE A PONZA ED ARMAMENTO? R. LO SCOPO ERA DI DARE LA LIBERTÀ AL PAESE, E D INVITARE I POPOLI ALLA RIVOLTA— D. Conoscete il luogo del disbarco, e la strada da percorrere? R. Dal generale mi venne detto, che il punto del disbarco sarebbe Sapri, e la strada da percorrere le Calabrie. — D. Si effettui lo sbarco ed a che ora, ed a che giorno? R. Lo sbarco si avverò il 28 alle ore una di notte — D. Riceveste resistenza dagli abitanti del paese? R. Attesa l’ora tarda, gli abitanti non ci videro, ma l’indomani del 29 che entrammo nel paese, alle grida di «Viva l’Italiaec. ec. ec.»gli abitanti parte fuggirono, e parte se ne restarono pacificamente — D. Quanto tempo vi fermaste a Sapri? R. La nostra dimora non fu altro che la sola notte del 28 al 29, e la mattina dopo di avere fatto la su indicata dimostrazione ci ponemmo in marcia—D. Ditemi la strada che percorreste mettendovi, in marcia? R. La strada che noi battemmo era una via accorciatoia che mena direttamente a Lagonegro, che per giungervi, si deve passare per un altro paesetto, che io non ricordo il nome, e che ivi giunto, mi allontanai dalla banda presentandomi al sindaco, e parroco del paese, i quali mi anno fatto condurre arrestato dagli urbani, su questo Real legno — D. Durante il tempo che avete fatto parte della banda, mi sapreste dire, se si sono commessi degli eccessi e di qual natura? R. Posso assicurarvi che per le poche ore che vi ò fatto parte, non ò commesso, né ò visto commettere cosa alcuna — D. Avete altro da aggiungere o togliere da questa vostra deposizione? R. Niente altro ò da aggiungere o da togliere essendo questa la verità—Firmato Errico Lari sergente del reggimento Real Marina da cancelliere—Leopoldo Lecaldano secondo tenente del reggimento Real Marina.

XXXI
Notamento d'armi rinvenute sul piroscafo il Cagliari

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Fucili a due colpi per uso di caccia a selice numero

7

Fucili a due colpi a percussione

5

Boccacci a mano a selice

4

Pistole a percussione

2

Fucili di caccia a percussione

4

Fucili di munizione guarniti in ferro

2

Carabina a percussione

1

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I suddetti fucili sono mancanti di alcuni pezzi al completo—Due casse contenenti numero 100 canne di fucili nuovi per uso di caccia. Sciabla una, mancante del fodero — Napoli 6 luglio 1857. Il RetroAmmiraglio maggior generale — Firmato Gaves — Per copia conforme — Il Direttore del Ministero e Real Segreteria di Stato della Marina — A. Bracco.

XXXII
29 Luglio 1857 —Signor Direttore

Per l’uopo che stimerà convenevole, le trascrivo il seguente rapporto diretto dal capitano del porto di Ponza in data de' 5 andante allo ispettore de' rami alieni della Real Marina. In prosieguo del mio uffizio de' 28 giugno numero 49 mi do l’alto onore rassegnarle, in adempimento del mio dovere, aver ieri fatto per ordine Sovrano una deposizione sullo avvenimento in questa isola del 27 giugno al Regio giudice di questo circondario del tenor seguente:

«Il dì 27 giugno alle ore 4 p. m. fui chiamato dal comandante militale di questa isola in sua casa per mezzo di un sergente de' veterani. Appena giunto mi disse che, in rada vi era un vapore che avea danneggiata la macchina, e che voleva entrare in porto per riparare le avarie, e che perciò mi fossi recato a bordo con la lancia della scorridoia per l'occorrente che gli fa bisogno. A tale detto io dissi di dover condurre meco un ufficiale della piazza per miglior convenienza, rimanendo a mia cura farlo entrare in porto con sicurtà: il comandante allora annuì alla mia domanda, e l'uffiziale di piazza de Francesco, che era presente, venne meco unendoci alla punta del molo vicino alla scorridoia, e dimandammo a quel comandante la sua lancia per ordine del comandante dell’isola onde andare sul vapore. A tal detto, subito ci venne data la detta lancia armata di quattro marinari. Mentre c’imbarcavamo, vedemmo una lancia colla bandiera di S. M. il Re (N. S.), ventolare sulla poppa; io opinai, che dessa dovea essere la lancia sanitaria, in poco tempo ci avvicinammo al vapore, che stava poco distante dal porto fermato, avendo a poppa la bandiera del Re di Sardegna, ed a prua la bandiera del pilota pratico, così dissi ai marinari di vogare più forte. Appena fui distante dal vapore, tre colpi di lancia non più feci vogare, ed osservai che sulla lancia della sanità nessuno vi era dentro, e vidi sul ponte delle ruote il pilota pratico di questa isola, mi figurai che detto vapore stava in pratica. In quel momento fui chiamato dal comandante colle consuete maniere di uso, le prime parole che mi disse furono: SIGNOR COMANDANTE NON POSSO PERDERE UN MINUTO DI TEMPO AVENDO FATTO DANNO ALLA MACCHINA, E MI È DI MESTIERI ENTRARE NEL PORTO. MONTATO A BORDO IO DOMANDAI SE AVEVA PRESO PRATICA, MI DISSE DI NO, E CHE VENIVA DA GENOVA DIRETTO PER CAGLIARI, CON POCHE PERSONE DI PASSAGGIO A BORDO, io replicai non posso montare a bordo se non prendete pratica. Da un altro mi si disse: il vostro camerata ha di già montato a bordo e voi non. volete salire, lo risposi che Costui che ha montato a bordo è uno sciagurato che non conosce le leggi del Re. Non appena detto ciò, in un momento mi vidi più di venti bocche a fuoco, composte di fucili, boccacci e pistole da sulla frisata del vapore, imponendomi col dire: montate scellerato; così fui obbligato avvicinarmi alla scala, ed allora tre individui vennero sulla lancia, mettendomi de' pugnali alla gola e mi condussero in coverta, unito all'uffiziale che portava meco. Non appena fui in coverta ci obbligarono di calare nella camera con sentinella a vista. Nel tempo stesso sentii calare tutte le lance, e con silenzio, E DOPO POCO MI ACCORSI CAMMINARE IL VAPORE. Dopo un’ora intesi le grida, viva Lorenzo, viva Antonio, viva l’Italia, indi il sottocapo de' rivoltosi, per quanto intesi venne a basso, e dirigendo a me la parola, disse, uno di voi calar deve a terra, è questo un ordine scritto dal comandante militare della isola per cedere a noi tutte le armi e munizioni. Io risposi: Signore io ignoro ove sono queste armi e munizioni, perché io dirvi posso quante braccia di acqua vi sono nel porto, ma di questo nulla vi posso dire: ma qui vi è l'uffiziale di piazza che vi può rispondere, così riprese parola con l'uffiziale.

Dopo un quarto d'ora sentimmo che il comandante e tutti gli uffiziali stavano sul ponte del vapore: domandai in grazia alla sentinella di permettere che io vedessi il comandante, no mi rispose con tuono grave, non posso; senza mai levare la bocca del boccaccio dal mio viso, minacciandomi di tirare il colpo, se io mi alzava; DOPO POCO TEMPO VIDI CALARE LA MOGLIE DEL COMANDANTE DELL’ISOLA CON SUA NIPOTE.

Verso le ore 23 ½mi permisero di montare in coverta, ove trovai il comandante e famiglia, e tutti gli uffiziali: dopo mezz’ ora vidi calare la moglie e nipote del comandante, sulla lancia per andare a terra, subito domandai in grazia al generale de' rivoltosi di permettere che io andassi a terra: mi rispose di no, facendomi condurre da due de' suoi seguaci a poppa e tenermi a vista.

Alle 8 ½p. m. venne da me il capo e sottocapo de' rivoltosi con dirmi: signor comandante, se volete vita, ci dovete condurre in Ventotene per insegnarci il punto ove si sbarca, ed ove può ancorare il vapore per questi paraggi, e che non era possibile ignorare l'ancoraggio di Ventotene, soggiungendomi, se voi venite con noi, vi giuriamo che non appena ancoreremo in Ventotene, vi spediremo qui una barca di quell’isola, dandovi cento ducati. Io risposi: signor generale, non posso eseguire una tale commissione, perché io tutto ignoro. Se mi potete fare la grazia di darmi vita, mi dovete lasciare su di uno scoglio di Ponza, altrimenti non vi darò il piacere di venire vivo in Ventotene: mi ucciderò io medesimo, al che mi fu risposto che a punta di giorno mi facevano trovare a terra Ponza, perché da Ventotene in Ponza non vi sono che miglia 22, di modo che una buona barca da remo in poche ore faceva un tal tratto.

Alle 9 ½circa, mentre che a bordo vidi più di 300 individui che tutti gridavano: viva l’Italia, viva il nostro generale, viva Lorenzo, viva Antonio, il sottocapo de' sediziosi andò in mare dal lato sinistro, mentre dava ordine a. tutte quelle imbarcazioni che vi erano al bordo. Nel sentire che il sottocapo de' rivoltosi era andato in mare e che non sapeva nuotare, tutti s’ avvicinarono al luogo ove cadde ed io in quel momento mi avvicinai al lato dritto del vapore e profittando che nessuno mi vedeva mi buttai sul paranzello che poco prima aveva finito di sbarcare legna sul vapore, e contemporaneamente mi menai abbasso nascondendomi sotto prua, dietro una vecchia vela che vi era.

Dopo di un quarto d'ora si allontanò il paranzello dal bordo e andare a terra onde caricare altri generi. Avvicinato che fu il paranzello alla bandiera, tutti i rivoltosi unitamente a molti ex militi e rilegati vollero andare a bere; così profittando di ciò e voltandomi il soprabito e con passo celere, mi incaminai alla volta di un sito che era oscuro per salvarmi la vita e propriamente ove sono tirati i paranzelli. Sulla banchina a terra mi riuscì mettermi sotto il piano di uno de' paranzelli che stavano tirati, ove dimorai sino alle 2 a. m. che cominciò un poco di quiete a sentirsi pel paese, certo che il vapore de' rivoltosi se n’era andato. Appena uscito, mi diressi per la mia casa, ove trovai tutte le porte a terra, e dentro tutto pienamente rubato e bruciato, per fino le 8 sedie della capitania buttate dalla finestra per fare fuoco in mezzo alla piazza. Fino al giorno chiaro mi stiedi a casa senza potermi neanche cambiare i panni bagnati che avea sopra; essendo tutto involato, uscito il sole mi diressi in casa del comandante OVE TROVAI LE AUTORITÀtutte per dar parte dell'occorsomi alla mia persona, e alla mia casa, mi risposero che tutto conoscevano.

Dopo poco si opinò di mandare una barca a Gaeta onde avvisare quel governatore militare, ed io umiliare con rapporto al mio superiore immediato — Il Vice Ammiraglio Presidente, firmato Luigi Borbone.

Per copia conforme il Direttore della Real Segreteria di Stato di Marina, Antonio Bracco.

XXXIII
Oggi 29 Giugno 1857

— Io Giovanni d’Ayala Valva tenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fragata a vapore il Tancredi ora ancorata nella spiaggia di Sapri, dietro ordini ricevuti dal signor RetroAmmiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni armati di particolare servizio di S. M. il Re (N. S.) ed assistito dal cannoniere di terza classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il nominato Vito Luigi Cafano, ed ho proceduto alle seguenti domande. D. Qual è il vostro nome? R. Vito Luigi Cafano. — D. Qual è la vostra patria? R. Di Fa sano. — D. Quali sono i vostri genitori? R. Sono figlio di Pietro Cafano e di Pasqua Calafato. D. Qual è la vostra condizione? R. Sono rilegato sull’isola di Ponza. D. Che età avete? R. Di anni 24. —D. Come vi trovaste a bordo del vapore il Cagliari? R. L’altro ieri sera mi rattrovava all’isola di Ponza facendo parte degli ex militi colà dimoranti. Verso le ore 21 d’Italia venne sopra Ponza il vapore genovese Cagliari, il quale sbarcò a terra della gente armata, che andò radunando per il paese tutti coloro che incontravano, gridando ad alta voce viva l’Italia, FACENDO FUOCO NELLO 1STESSO TEMPO ED AFFRONTATA LA COMPAGNIA DI RISERVA, ED I VETERANI DI QUELL’ISOLA, DISARMARONO I PRIMI ESSENDOSI I SECONDI RIFUGGITI NEL CASTELLO. Indi ci condussero a poco a poco sul vapore, il quale, empitosi di gente armata, la notte si pose in moto. Ieri mattina, nel mentre che tutti mangiavano si sentiva dire che si voleva eseguire uno sbarco in Calabria. D. Come vi trovate ferito? R. FUI FERITO CON ARMA DA FUOCO DURANTE L'ATTACCO CHE I GENOVESI EBBERO CON LE REGIE TRUPPE NELL’ISOLA DI PONZA. D. Che cosa sapete dello sbarco di tutta la gente armata che trovavasi sul vapore. R. Niente. — D. Potete giurare ciò che avete detto? R. Si signore e non sapendo scrivere fo segno di croce.

Il cannoniere di terza classe Pasquale Todisco. Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva.

XXXIV
29 Luglio 1857

— Signor Direttore. — Il Maggior generale della Real Marina, mi ha trascritto il seguente rapporto direttogli dal comandante della Real fregata a vapore il Ruggiero, al quale ingiunse di riferire quanto aveva avuto luogo a conoscere sul conto della scorridoia numero 18, e degl’individui su di essa imbarcati, allorquando dopo il tristo avvenimento che ebbe luogo in Ponza si recò in quell'isola.

In riscontro al riverito di lei uffizio de' 16 corrente, numero 2690, mi onoro rassegnarle che nella mia andata a Ponza, dalle interrogazioni fatte al comandante della scorridoia numero 18 ivi stanziata, rilevai solo che la scorridoia poteva mareggiare, benché mancante della vela, poiché gli era riuscito di averla ad imprestito da barca paesana; vela che non potette fornirla perché avrebbe dovuto costruirsi: che la scorridoia era stata sfondata da' rivoltosi con colpi di baionetta, i quali vennero immediatamente calafatati e riparati, e che non era morto nessuno dell’equipaggio.

A viemaggiormente assicurarne il servizio, giusta i Sovrani ordini dal rispetto di questa Real fregata le furono rimpiazzati i principali oggetti depredati. Ed io lo partecipo a lei per l'uso che stimerà convenevole. — II Vice Ammiraglio Presidente firmato, LUIGI BORBONE—Per copia conforme il Direttore del Ministero e Real Segreteria di Stato della Marina, Antonio Bracco.

XXXV

Certifico io qui sottoscritto segretario della commissione di prima istanza delle prede marittime e de' naufragi, Distretto della marina di Napoli, come avendo perquisito l’incartamento rimessomi dal procuratore del Re relativo alla cattura del piroscafo il Cagliari, e precisamente il volume numero dodici delle copie conformi di ventidue verbali componenti l’inventario degli oggetti rinvenuti sul detto piroscafo, nel verbale sesto redatto nel 13 luglio 1857 nella Regia darsena sul piroscafo medesimo folio 25 a tergo si legge che, quando ebbe luogo la legale inquisizione fatta nel camerino colla leggenda di ottone, CAPITANOil giudice istruttore assicurò le carte quivi rinvenute, i registri, ed altri oggetti, nonché UNA PISTOLA ED UN COLTELLO.

Nel verbale numero 9 fol. 46 si rileva che il giudice delegato rinvenne di criminoso nella STIVA DI POPPA DUE BAIONETTE POSTE FRA DUE SACCHI DI ORZO,liquidato una di costruzione del Belgio e l’altra della Reale fabbrica di Torre Annunziata; entrambe di recente tolte dai corrispondenti fucili. Nel verbale numero 12 fol. 54 a tergo si rileva che il giudice reperto nel camerino colla leggenda in ottone, SECONDO CAPITANO. quattro carte manoscritte e cinque fogli periodici che disse essere d’interesse penale ritrovando ANCORA220 CAPSOLE PER PISTOLE INVIATEal sotto ispettore del posto di Artiglieria.

Nel verbale numero 14 fol. 60 ed a tergo e fol. 61 si legge come segue:

Il signor giudice delegato per effetto della carta spagnola repertata nel giorno di ieri nel locale della prima classe e, sommariamente tradotta, avendo rilevato che i rivoltosi vestivano tutti uniformemente con camici rossi e coppola dello stesso colore, ha ritenuto che una camicia rossa pertinente al secondo macchinista e giudicata come inutile, poteva dopo la visita anzidetta, divenire oggetto della giustizia inquisitoriale, in conseguenza à chiesto le chiavi dei camerino del secondo macchinista, dove stavano riposti gli effetti reclamali dai signori Park e Watt, onde assi curare nei modi legali, la camicia in discorso, e quindi dopo rimossi i suggelli ne’ modi di rito, ch'erano apposti amministrativamente al camerino anzidetto, ha praticalo ricerca fra gli effetti de' suddetti inglesi ed à riconosciuto fra essi quella camicia di lana rossa orlata di bianco ai polsi che fu trovata a basso la macchina e che poi venne frammista fra gli effetti del detto secondo macchinista; quale camicia detto signor giudice ha ritenuto presso di sé.

Più appresso si legge.

E dal signor giudice delegato si sono completate le ricerche nel suddetto locale, e mentre nulla si è rinvenuto d’interesse doganale e diplomatico, à repertato varii oggetti criminosi giusta il dettaglio indicato nel separato apposito verbale da lui redatto, copia del quale si alliga al presente, come parte integrale.

E più appresso si legge.

In seguito si è proceduto alla rimozione de' suggelli apposti alla carrozza per accedere nel locale della macchina e conseguentemente in presenza di tutti gl'intervenuti all'atto, e de' testimonii, dopo essersi riconosciuta la perfetta integrità de' quattro suggelli agli estremi delle due strisce di olona, ed altri due ad una striscia di carta, e riconosciute, le firme apposte da noi, dal signor (giudice delegato e suo cancelliere, non che de' testimonii, si è dischiuso il locale suddetto, e discesovi, nulla si è trovato d’interesse doganale, e diplomatico, ma solo numero 7 palle di piccolo calibro inglese, le quali detto signor giudice ha riportate e ritenute presso di sé. Napoli 10ottobre 1857. Antonio de Novellis.

XXXVI

Estratto dal verbale di assicurazione delle carte rinvenute a bordo del piroscafo Cagliari. Fra le altre carte rinvenute sul detto piroscafo, veniva assicurato un registro di fol. numero 20 in carta da bollo di Genova, portante il titolo — Giornale Nautico del piroscafo ad elice, Cagliari comandato dal capitano Sitzia Antioco — Lo stesso ha fogli scritti numero 7.

Nel fol. 5.° a 6.°, al fol. 7.° a 1.° ci è scritto ciò che segue.

Giovedì 25 Giugno — S’imbarcano merci diverse: si prepara il bastimento per la partenza alle ore 6, pronti avendo a bordo numero 33 passaggieri diretti per Cagliari a Tunisi. Alle 7 p. m. partiti con calma di mare e piccolo vento al nord. Facendo rotta al sud est alle ore 8. p. m. si rese la guardia, poco dopo il capitano, essendo di prima guardia ordinava al nostromo di bordo di far aprire il boccaporto di prua per dar ricovero ai passaggieri di terza classe. In questo frattempo il capitano trovavasi alla veglia di prua, a sinistra fu assaltato da un gruppo di rivoluzionarii armati di pistole e stili, guidandolo a poppa e gridando in nome della repubblica italiana di cedere il comando a forza, altrimenti ne andrebbe la vita di tutto l’equipaggio, e passaggieri della destinazione di Cagliari e Tunisi; del che trovandoci convinti dalla forza armata, fummo prigionieri dei suddetti e guidarono il bastimento a loro volontà con fare assumere il comando del bastimento ad un passaggiere per nome Daneri Giuseppe, al quale ordinavano l'¡stessa nostra rotta di sud nord est, e sentimmo avrebbe trovato una barca carica di munizioni da guerra, e 60 uomini, sino alla mezza notte intesimo sempre fare diverse rotte e segnali con dei fuochi, vedendo che alla mezza notte furono inutili le loro ricerche e dirigevansi per il capo corso.

Venerdì 26 Giugno 1857 — Alle 3 ½ a. m. presero la determinazione e dirigevansi per l’isola di Ponza. Alle ore 11 a. m. avendo osservato una squadra inglese composta di 9 grossi legni ci misero rinchiusi con guardie armate, appena passata la suddetta, ci lasciarono salire sul ponte, e fu continuata la stessa direzione tutta la notte.

Sabato 27 Giugno 1857—Continuando la stessa rotta, il capo di detta congiura ordinò una visita nelle stive del bastimento e trovarono numero 7 casse di fucili ed altre armi che erano dirette per Tunisi al signor PAOLO Cassanello e se ne impadronirono. Alle ore 4 p. m. giunti all’isola, chiamarono il pilota a bordo e lo fecero salire, facendolo palesare ogni cosa colle armi alla mano: poscia giunto al bordo il comandante del porto lo assaltarono nella barca facendolo salire al bordo a forza e si fecero condurre nel porto subito, ci ordinarono di armare tutte le lance, obbligando anche noi ad imbarcarci e far parte dello sbarco fatto alle ore

Assaltarono il paese; gridando viva la repubblica e fuori i relegati; si batterono e vinsero la forza di detto paese; subito imbarcarono circa 400 prigionieri ed altre armi prese in detto paese.

Domenica 28 Giugno 1857 — A 4 ora a. m. si partì dirigendo per il golfo di Policastro ove si navigò così tutto il giorno; alle ore 8 a. in. si approdò alla spiaggia tra Policastro e Sapri ove attuarono lo sbarco generale di tutti i nominati, lasciandoci a bordo numero 3 feriti appartenenti alla loro compagnia; appena fummo liberi, partimmo diretti per Napoli navigando a cognizione sino a mezza notte.

Lunedì 29 giugno 1857—Alle ore 9 a. m. incontrate due fregate napolitane, le quali ci imposero di fermarci ed ordinarono al capitano di portarsi a bordo con tutte le rispettive carte, pertanto vennero a bordo le quali si compongono come segue. Due casse di canne di fucile in numero 50 per cassa e numero 8 fucili a due canne; numero 7 ad un colpo ed una CARABINA DEL CAPITANO;numero 3 pistole, una sciabla, una cassa contenente numero 20 razzi, un pacco polvere ed un sucelietto terra; alle ore 11 una delle dette fregate ci prese al rimorchio e ci tenne tutto il giorno in aspettativa dell'altra; alle ore 7 p. m. giunta l’altra andiedero a parlamento, ci ordinarono di smorzare i fuochi alla macchina, poscia si prese la direzione del golfo di Policastro, si naviga con calma di mare e vento sempre al rimorchio di detta così sino a mezza notte.

Martedì 30 giugno 1857 — Alle ore 3 a. m. giunto al luogo così detto Policastro ò ricevuto l’ordine di mollare il rimorchio di dritta e prepararci per dar fondo, poscia il nostro rimorchiatore ricevette l'ordine di non ancorare; si stette così sino a giorno essendo calma perfetta; alle ore 4 v.a. m. si ancorò poco distante da terra ove le due fregate attivarono lo sbarco delle truppe—Per estratto conforme—Il segretario della procura generale—Magnaliarca — Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XXXVII
Notamente de' passaporti dei passaggieri

1.° Passaporto rilasciato a Vincenzo Donadei dal Ministero per gli affari esteri in Torino nel dì 23 giugno 1857 per andare in Algeria.

2.° Passaporto rilasciato ad Eligio Mo dal detto Ministero nel dì 23 giugno 1857 per andare in Algeria.

3.° Passaporto rilasciato a Carlo Venturino dal consolo generale in Londra nel dì 13 settembre 1856.

4.° Passaporto rilasciato a D. Francesco Mascarò, e moglie D. Rosa Gamba in marzo 1857.

5.° Passaporto rilasciato nel dì due marzo 1857 a Giovanni Schneider.

6.° Passaporto rilasciato a Domenico Durando nel dì 24 giugno 1857 dal Ministero degli affari esteri.

7.° Passaporto rilasciato a Giuseppe Nucci fu Giuseppe dal consolo generale in Genova nel dì 4 maggio, 1857 onde recarsi a Marsiglia per esercitarci la sua professione.

8.° Passaporto rilasciato a Cesare Cori di Giovanni di Ancona dal consolo generale in Genova nel dì 9 giugno 1857 per andare da Genova a Tunisi.

9.(0)Passaporto rilasciato a Ludovico Negroni in Orvieto nel dì 24 aprile 1857 per portarsi a Parigi.

10.(0)Libretto di matricolazione rilasciato a Domenico Porro.

11.° Libretto di matricolazione rilasciato a Bartolomeo Domenico Rolla— Il segretario della procura generale in Salerno—Magnaliarca— Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XXXVIII

Estratto dal verbale di assicurazione delle carte rinvenute a bordo del piroscafo Cagliari.

Fra le altre carte rinvenute sul detto piroscafo, sono stati assicurati con legale reperto i seguenti libretti di matricola al numero 18, intestati a Niccolò Felice Cidale, a Lorenzo Frumento, a Pasquale Antonio Casella, a Claudio Pietro Barberi, a Domenico Sturlese, ad Antioco Sitzia, ad Ignazio Frumento, a Giacomo Nicolò Alberimi, a Giovanni Frumento, a Girolamo Frumento, a Giuseppe Agostino Maria Daneri, a Salvatore Domenico Agostino Rapello, a Girolamo Bertiretti, a Domenico Costa, ed a Giovanni Reboa.

N. B. Dell’equipaggio mancano di ricapiti i seguenti:

Ghio Agostino

Crusacca o Bruciacasa Prospero

Watt Errico

Park Carlo

Salani Prospero

Noce Carlo

Cedale Santo

Cedale Giovanni

Mercurio Giuseppe—Fu arrestato in Padula, dopo il conflitto.

Lazzaro Giuseppe — Di costui non se n’ha notizia

Per estratto conforme — Il segretario Magnaliarca — Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XXXIX
Estratto dal ruolo d’equipaggio—Visto—Genova 25 Giugno 1857.

Buono per Cagliari, Annisi con persone 30 di equipaggio, e 33 paséaggieri.

Per estratto conforme—Il segretario della procura generale in Salerno—Magnaliarca—Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XL
Autorizzazioni particolari degli oggetti di controbbando e di guerra

Genova 23 Giugno 4857—Ha caricato col nome di Dio a buon salvamento in questo porto di Genova Giuseppe Fabiani quondam Michele per conto e rischio di chi spetta sotto coperta del piroscafo nominato Cagliari, comandato dal capitano Antioco Sitzia sardo, le sotto mercato mercanzie asciutte, intiere, ben condizionate e numerate come in margine per essere condotte in questo presente viaggio nella stessa condizione in Tunisi e consegnarle al signor PAOLO Cassanello, contro il nolo di niente affatto, essendo il tutto qui stato pagato, ed in obbligazione di ciò il suddetto capitano ha firmata questa con altre simili, da valere ad un solo effetto. Dio l’accompagni a salvamento.

Dieci casse, sette mercato, enumerate, come in margine, contenenti armi in tutta buona condizione ed in peso Chilogrammi 974 — Giuseppe Fabiani 9 novembre—Domenico Bacigalupi Cancelliere—Buono per imbarco—Visconti—Per copia conforme—Il segretario della procura generale—Magnaliarca—Visto il procuratore generale del Re, Pacifico.

XLI

Dal portafogli rinvenuto su di Carlo Pisacane, e legalmente assicurato, risulta quanto segue:

Prima Compagnia

Prima capo squadra, Vito Iannuzziello

Seconda capo squadra, Salvatore Tipoli

Terza capo squadra, Pasquale Menacapo

Quarta squadra, Giuseppe Reale Quinta squadra, Nicola Alaggio Sesta squadra, Rocco La Cava Settima squadra, Giuseppe Rartelomi Ottava squadra, Giuseppe Lepore Nona squadra, Giovanni Battista Iauneo Decima squadra, Francesco Ferrara Capitano Nicola Giordano Tenente Errico Cerina

Seconda Compagnia

Prima squadra, Giovanni Poi ¡cani Seconda squadra, Michele Milano Terza squadra, Vincenzo de Rosa Quarta squadra, Fortunato Fiorio Quinta squadra Antonio Vaierà Sesta squadra Giuseppe La Ferola Settima squadra, Liborio Antinoria Ottava squadra, Nazzareno Molinari Nona squadra, Lorenzo Sabelli Decima squadra, Francesco de Gennaro Capitano Nicola Vailetta Tenente Benedetto Pagano Tenente Francesco de Martino

Terza compagnia

Prima squadra, Fiorindo Sette

Seconda squadra, Raffaele Parola

Terza squadra, Michele Tommonella

Quarta squadra, Domenico Catapano

Quinta squadra, Achille Gotena

Sesta squadra, Domenico Coja

Settima squadra, Francesco Torrer

Ottava squadra, Luciano Marino

Nona squadra, Vincenzo Dauria

Decima squadra, Giuseppe Caputi

Capitano Federico Priorelli

Tenente Giuseppe Colacino

Tenente Luigi La Sala.

Per copia conforme — Il segretario Magnaliarca — Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XLII

Oggi che sono 3 Luglio 1857. —Io Leopoldo Lecaldano secondò lenente del reggimento Real Marina comandante del distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Reale fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor RetroAmmiraglio D. Federico Roberti comandante de' Reati legni armati per particolar servizio di S. M. il Re (N. S.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza l’arrestato evaso dall’isola di Ponza ed ho proceduto alle seguenti domande — D. Qual è il vostro nome? R. Salvatore Barberio— D. Di dove siete? R. Di Celico provincia di Cosenza — D. I vostri genitori? R. Di Michele e Michela Raniera — D. L’età?R. Di anni 21 — D. La vostra condizione? R. Ferraro condannato all'isola di Ponza per ferite — D. Come dall'isola di Ponza, ove stavate rilegato, siete venuto poi arrestato con le armi da fuoco in mano? R. Il giorno 27 giugno verso le 5 p. m. giungeva in Ponza, dove io mi trovava rilegato, un vapore, che mettendo a terra una ventina d’individui che per il loro linguaggio si distinguevano per italiani, incominciarono a far fuoco, INCHIODARONOI CANNONI E GRIDANDO VIVA L’ITALIA. COSTORO ERANO VESTITI DI ROSSO FACENDO SVENTOLARE DELLE BANDIERE TRICOLORI CONVITARONO ALLA RIVOLTA ed alla evasione proponendoci di farci ritornare a ognuno alle proprie case. E siccome per la quantità che noi eravamo rilegati non si potevano tutti in una volta imbarcare sul detto vapore così ci pROPOSERO CIIE SI SAREBBE EFFETTUITO IL PRIMO VIAGGIO, E QUINDI SI SAREBBE RITORNATO A PRENDERE GLI ALTRI. Ma allorché fummo imbarcati, e durante tutto il viaggio fino al momento del nostro disbarco in Sapri, non ci venne nulla comunicato di quanto in prosieguo si effettui, cioè che dovevamo impugnare le armi contro il nostro proprio Sovrano. Quindi da Sapri concepimmo l’idea di sbandarci come di fatto abbiamo eseguito, che perciò dopo qualche tempo, circondato ed inseguito dagli urbani di diversi paesi che hanno fatto fuoco, mi trovo qui preso ed arrestato con un’arma da fuoco a due colpi — D. L’ARMA COLLA QUALE SIETE STATO ARRESTATO DA CHI l’avete ricevuta, e quando? R. L’arma mi fu data a terra Sapri, da UN GENOVESE CON5 CARTUCCI FUCILIERI—D. Che cosa potete dirmi circa le operazioni che ebbero luogo sul vapore durante il vostro viaggio, e di qual nazione egli era? R. ILVAPORE ERA SARDO, LE OPERAZIONI FURONO QUELLE DELLA DISTRIBUZIONE DELLE ARMI, DELLA MANIFATTURAZIONE DELLE CARTUCCE, IL, TUTTO ESEGUITO DA MOLTI CAPI CHE IO NON CONOSCO, E COL CONSENSO DEL CAPITANO DEL LEGNO COL QUALE STAVANO IN PERFETTISSIMO ACCORDO, COME PURE DURANTE IL VIAGGIO, AL COMPARIRE DI UN ALTRO VAPORE CI VENNE OBBLIGATO DI ABBASSARCI E NASCONDERCI ONDE NON ESSER VEDUTI, CHE IL CAPITANO (POTREI BENISSIMO INDICARLO) DA SOPRA IL PONTE COMANDAVA E DIRIGEVA TUTTE LE OPERAZIONI D’ACCORDO SEMPRE CONI CAPI— D. Precisatemi il luogo dove siete stato arrestato? R. Signore il luogo non saprei precisarlo perché non lo conosco; il fucile si trova carico perché così datomi, ed i cinque cartacei li ho dati ad un pastore; ed io posso assicurarvi di avere consegnato l’arma e di essermi presentato e non mai d’essere arrestato.

D. Avete altro da aggiungere o togliere a questa vostra deposizione? R. Niente ho da aggiungere o togliere essendo questa la mia verità, ed in fede di ciò passo a sottoscriverla — Salvatore Barberio —Errico Lari sergente del reggimento Real Marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano sottotenente del reggimento Real Marina.

XLIII

Oggi che sono li 30 Giugno 1857—Io Leopoldo Lecaldano secondo tenente del reggimento Real Marina, comandante del distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Reale fregala a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor RetroAmmiraglio D. Federico Roberti comandante superiore dei Reali legni armali per particolar servizio di S. M. il Re (N. S.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto aa cancelliere, ho fatto venire in mia presenza un arrestato evaso dall'isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande — D. Qual è il vostro nome? R. Carlo Lafato — D. Di dove siete? R. Di Quartinico in Sicilia. D. I vostri genitori? R. Pietro e fu Rosa Tamburrelli — D. L’età? R. Di anni 20 — D. La vostra condizione? R. Ex soldato congedato per cattiva condotta dal quinto cacciatori, e rilegato all'isola di Ponza—D. Come dall’isola di Ponza, dove stavate rilegato, siete venuto arrestato su questo Real legno? R. Signore il giorno 27, circa le ore 21 italiane GIUNSE IN PONZA UN VAPORE,!IL QUALE METTENDO DELLA GENTE A TERRA INCOMINCIARONO A FAR FUOCO, ED A GRIDARE VIVA L’ITALIA E SVENTOLANDO DELLE BANDIERE TRICOLORI INVITAVANO TUTTI ALLA EVASIONE ED ALLA RIVOLTA, MOLTI DE’ QUALI VOLENTIEROSAMENTE LI SEGUIRONO, ma io ne venni forzato; quindi mi trovai a bordo del vapore quasi che senza mio volere—D. Ditemi se conoscete la bandiera essere Piemontese, dico del vapore, e giunto a bordo cosa vedeste, e chi si elesse per vostro capo? R. Riconobbi la bandiera essere Piemontese: vidi che eravamo circa 400 individui imbarcati; intesi che il progetto era di scendere nelle Calabrie PER METTERLE IN RIVOLTA;e che mi trovava sotto il comando di un tale che io non conosco, ma che si faceva chiamare il generale — D. Mi sapreste a dire chi furono i primi che calarono dal vapore in Ponza, e vi eccitarono all'evasione ed alla rivolta? R. Signore non erano di mia conoscenza, ma dal loro modo di parlare conobbi essere italiani — D. Mi sapreste precisare il numero di costoro? R. Credo che non oltrepassavano i quindici — D. Riceveste armi da costoro?R. Non ho ricevuto, né armi né munizioni—D. Riconosceste il comandante del legno, e qual condotta egli serbò, e qual linguaggio? R. Lo conobbi subito annunziandosi egli stento, conservando una condotta dell'uomo dell'indifferenza dispensandoci de' sigari ed animavaci col dire: allegri figliuoli—D. Avete conosciuto il punto dove dovevate sbarcare? R. Partendo da Ponza verso le tre ore di notte, sino al dì 28 ad un’ora di notte che siamo sbarcati sulla spiaggia di Sapri, mi era affatto sconosciuto il luogo, solo la mattina del 29 allorché ci siamo posti in marcia sopra Torraca conobbi essere sbarcato a Sapri—D. Quale accoglimento vi venne fatto dagli abitanti di Sapri? R. La massima freddezza — D. A che ora partiste da Sapri? R. Dopo una dimostrazione che non ebbe alcun risultato, verso le ore 12 italiane partimmo per Torraca — D. A che ora giungeste in Torraca e quale accoglimento vi venne fatto dagli abitanti? R. Si giunse in Torraca verso il mezzogiorno; il massimo silenzio si manifestò per il paese; ed io che fin dal principio nutriva il sentimento di non appartenere a questa banda, cogliendo una favorevole occasione me ne sono allontanato, e presentandomi spontaneamente alle autorità locali sono stato da costoro spedito arrestato su di questo Real legno, dove tull'ora mi trovo —D. Avete altro da aggiungere o togliere da questa vostra deposizione? R. Non ho altro da aggiungere o togliere, essendo questa la verità, e non sapendo scrivere fo segno di + — Errico Lari sergente del reggimento Real Marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano secondo, tenente del reggimento Real Marina.

XLIV

L'anno 1857 il giorno 31 Giugno in Ponza — Io Montano Magliozzi Capitano del porto di Ponza. Volendo formare un verbale relativo alle carte che esistevano in questa capitania, e che nel giorno 27 del mese corrente furono bruciate dai repubblicani rivoltosi sbarcati dai vapore sardo, mi sono a tanto accinto, ed ho verificato che nell'armadio ove si conservavano le dette carte, nulla vi è rimasto, essendo state tutte buttate dalla finestra, e quindi bruciate in mezzo alla strada da quei sediziosi, come mi è stato assicurato.

Le carte quindi che esistevano in detto armadio e che furono bruciate sono le seguenti: cioè

1.° Un registro di legni di approdo.

2.° Idem di partenza.

3.° Altro per la corrispondenza attiva per gli uffizii che si spediscono.

4.° Altro per gli uffizii che si ricevono.

5.° Quello della corrispondenza passiva contenente gli uffizii della Real Marina e di tutte le altre autorità dal 1857 fino al corrente esercizio.

6.° Le ordinanze della capitania di porlo.

7.° Due regolamenti pei legni che escono ed entrono nel porto.

8.° Ed in fine altre carte che non ho potuto richiamare alla memoria.

Del che se ne è formato il presente verbale che è stato da me sottoscritto. Il capitano del porto — Montano Magliozzi — Per copia conforme— Il segretario della procura generale—Magnaliarca — Visto, il procuratore generale del Re, Pacifico.

XLV

L’anno 1857 il giorno 28 Giugno, in Ponza — Noi Antonio Astorino, maggiore comandante l’isola di Ponza assistito dal capitano aiutante-maggiore di Ponza D. Antonio Ferruggia e della relegazione D. Crescenzo Colonna, in vista di quanto ci è stato dal detto segretario riferito, e sulla voce pubblica ancora, cioè di essersi da molti rivoltosi, fra quali eransi da esso segretario distinti gli ex-militi Giovanni Scarponito, Luciano Marino, Felice Romano, ed il rilegato Giuseppe Carione, i quali avevano ieri alle ore 22 circa assalita con violenza, armata mano, la officina della relegazione, lacerando e ponendo in fiamma alcuni registri e carte officiali della stessa, ci siamo recati nel detto locale, vicino al quale abbiamo rinvenuto le tracce del fuoco, con residuali pezzetti di matricola, ed altre carte incendiate, o lacerate, siccome è stato benanche confermato dai prossimi abitanti D. Domenico Aromatici, Angelo Manimetti, Pellegrino Indisco, Sabato del Giudice, Giovanni Marino, Rosario Piterelli, Tommaso Gallo, Francesco Fratta, Nicoletta Nuoro, Giammaria Fadisco, Antonio Pietropaoli, D. Felicetto Onorato e Francesco Cella. Quindi, fattasi sommaria rassegna, si è rilevato di essersi dato in fiamme due matricole de' relegali per pubblico interesse, altra matricola della compagnia di punizione e quattro matricole di relegati a condanna. Più tre registri ove erano scritti progressivamente i relegati di diverse classi con la indicazione del termine della pena per ciascuno, un registro dove venivano segnali i movimenti e presenza numerica dei relegati distinto per classe, un fascicolo di varii ufficii di prevenzione pei relegati a disposizione e congedati, altre carte officiali, fra quali quattro liberatorie per altrettanti relegati da abilitarsi nel prossimo entrante mese, pervenute approvate dal Ministro col relativo stato, un fascicolo di estratti di condanna, un registro di matrice alfabetico dei relegati a condanna ed altre carte.

Del che ne abbiamo formato il presente verbale in tre originali sottoscritto dagl'intervenuti, onde rimettersi uno al Ministero de' lavori pubblici, un altro all'Autorità giudiziaria, ed un altro per corredo alla Segreteria. Seguono le firme — Per copia conforme — Il Segretario — Magnaliarca — Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XLVI
Ingenere per la caserma di gendarmeria

L’anno 1857, il giorno 30 Giugno in Ponza. —Noi Michele Mazzoccolo giudice Regio del circondario di Ponza assistiti dal nostro cancelliere.

Volendo assodare la pruova generica, in ordine all'incendio avvenuto alla sera del 27 cadente giugno nella caserma di questa gendarmeria Reale, sita alla strada detta sopra S Antuono, ci siamo in essa conferiti unitamente ai periti Ferraiuolo e Coppa, citati con apposita cedola, ove giunti, avendo richiesti essi periti della loro qualità han detto chiamarsi:

1.° Vincenzo Ferraiuolo fu Raffaele di anni 31 di Nola ex relegato domiciliato in Ponza, falegname.

2.° Salvatore Coppa di Giovanni di anni 28 anche falegname, nato e domiciliato in Ponza.

Quindi hanno giurato di fare la loro dichiarazione, e dare il loro giudizio sul proprio onore e sulla propria coscienza.

Dopo di ciò, essi periti dietro le nostre indicazioni, e prescrizioni, ed al seguilo delle loro atiente ed accurate osservazioni, hanno concordemente dichiarato quanto segue cioè:

Che la caserma abitata da quella gendarmeria Reale, è composta di tre stanze, le quali restano alla strada così detta sopra S. Antuono, alquanto distante e segregata dall'abitato, delle quali una è intiera e le altre due hanno le porte d'ingresso sulla strada.

Che in mezzo alla strada, avanti la detta caserma si osserva gran quantità di cenere, indicante che molti oggetti sono stati incendiati in tal sito, de' quali oggetti non può specificarsene la natura, per non esserci rimasto awanzo di sorta alcuna.

Che nella prima delle suddette stanze si osserva interamente mancante un mezzo telaio con lastre e ferratura della finestra, che in essa esiste, dell'altezza di palmi quattro per uno, e tre quarti di larghezza, in uno palmi sei.

Che nella seconda stanza non esiste affatto, mentre si entra dalla porta d’ingresso di legno castagno dell’altezza di palmi otto, per due di larghezza che in uno sono palmi sedici.

Che in fine nella terza stanza, si osserva interamente rotto, e scassinato uno stipo a muro dell’altezza palmi cinque per tre di larghezza, in uno palmi quindici.

Onde essi periti portano giudizio che gli oggetti furono incendiati fuori la strada, non ravvisandosi nell’interno di tutte le stanze alcuna di tali tracce. Che il danno arrecato per la mancanza del suddetto mezzo telaio di finestra, non che mezza porta d’ingresso e stipo a muro, può ascendere al valore complessivo di ducati sei e grana 65, oltre il valore degli oggetti, che han dovuto essere bruciali.

D. lutto ciò se n’è formalo il presente verbale che è stato sottoscritto dai suddetti periti, da noi e dal nostro cancelliere — Seguono le firme—Per copia conforme — Il segretario Magnaliarca—Visto il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XLVII
 Ingenere pel giudicalo regio

L’anno 1857, il giorno 30 Giugno in Ponza. —Noi Michele Mazzoccolo giudice regio del circondario di Ponza suddetto, assistilo dal nostro cancelliere.

Volendo assodare la pruova generica relativamente allo incendio avvenuto nella sera del 27 ora spirante giugno, nella stanza sita nello stesso comprensorio di questo giudicato regio, ed abitata provvisoriamente dalle guardie di polizia, ci siamo in essa conferiti coi periti Ferraiuolo e Coppa, citali con apposita cedola, e giunti, avendo richiesti ad essi periti della loro qualità personale han detto chiamarsi:

1.° Vincenzo Ferraiuolo fu Raffaele di anni 31 di Nola falegname ex relegato, domiciliato in Ponza.

2.°Salvatore Coppa di Giovanni di anni 28 anche falegname nato e domiciliato in Ponza.

Indi hanno giurato di fare la loro dichiarazione e dare il loro giudizio sul proprio onore e sulla propria coscienza.

Dopo di ciò essi periti dietro le nostre indicazioni e prescrizioni, ed al seguito delle loro attente ed esatte osservazioni, hanno concordemente dichiaralo quanto appresso cioè:

Che la stanza provvisoriamente destinata per alloggio alle guardie di polizia si ritrova nel comprensorio di case ove resta questo giudicato ’ regio alla strada delta sopra S. Antuono, alquanto lontano e segregalo da questo abitato. Tale stanza è contigua alla sala di udienza, prossima alla stanza abitata dal giudice, ed all'archivio di questa cancelleria. Che la suddetta stanza ha la porla di entrata che affaccia sulla strada, quale porta si osserva interamente consumata dalle fiamme. Che nello interno di detta stanza si osserva molla cenere avutala dalle robe che vi esistevano, perché del tutto incendiate: come pure si vede tutta consumata dal fuoco, senza esservi rimasto awanzo alcuno, la finestra sporgente sulla strada. Che dalla detta stanza si passa nella sala di udienza per mezzo di due bussole situate alle facce opposte del muro di soglia. Che di tali bussole, la prima è stata interamente consumata dal fuoco senza aver rimasto avanzo alcuno, e la seconda dalla parte interna della sala di udienza è rimasta tutta carbonizzala nella faccia opposta dalla parte di sotto, ed interamente bruciata dalla parte di sopra per l'altezza di circa un palmo; come pure è stata interamente bruciata la faccia di sopra con la corrispondente porzione degli stipiti laterali. Vedesi inoltre interamente annerito dalle fiamme del fuoco tutto il muro soprapposto a tale porta.

Che inoltre, nella sala di udienza vi esiste una scrivania interamente rolla e scassinata in modo, che si è. resa inutile ed inservibile. Che in fine sulla parte della surriferita stanza abitata dalle guardie di polizia, si ravvisa tuttavia sospeso al muro lo stemma Reale, della guardia urbana che prima vi era, ma lo stesso però si osserva rotto in due parti, e tutto fracassato.

Onde i suddetti periti portano giudizio che il fuoco è stato appiccalo nella precitata stanza, dove ha consumato quanto vi era dentro, non che la porta d’ingresso, la finestra e le due bussole che menano nella sala di udienza, la seconda delle quali bussole, sebbene non sia stata interamente distrutta, pure è rimasta totalmente bruciata, e che della stessa non può farsene più uso. Che il fuoco erasi incominciato a comunicare alla sala di udienza, dove non si è potuto propagare, perché non vi à trovalo elementi combustibili al vano donde il fuoco entrava; e quanto anche il fuoco medesimo avesse preso vigore in tutto il comprensorio di case, pur tuttavia non potevasi divulgare per la ragione, che il detto comprensorio resta alquanto distante da questo abitato ed affatto isolalo e segregalo dagli altri casamenti.

Che il danno prodotto da tale incendio per la distruzione delle suddette finestre, porta d’ingresso e bussole, tutte di legno castagno, ascende tutto alla somma complessiva di due. 35,35 calcolato alla ragione di grana 28 il palmo, compreso le ferrature, oltre il valore degli oggetti che vi stavano dentro, che pure sono rimasti interamente bruciati, e che dovevano essere non pochi, atteso la gran quantità di cenere rinvenuta nella stanza medesima. Che inoltre la indicata scrivania à dovuto esser rotta e scassinata con scarpello ed altro consimile ¡strumento di ferro, e che la stessa poteva avere il costo di circa due. 4. Che infine lo stemma reale dovette essere rotto e fracassato dietro forti colpi di mazza ed altro su lo stesso vibrati, e che il medesimo, compresa la pittura, poteva avere il valore di circa duc. 2:40.

D. tuttocciò se ne è formato il presente verbale, che è stato sottoscritto da noi e dal nostro cancelliere unitamente ai periti. Seguono le firme — Per copia conforme — Il segretario, Magnaliarca — Visto, il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XLVIII
 Copia — L'anno 1857, il giorno 30 Giugno, in Ponza

Io Francesco Merudo cancelliere del giudicato regio di questo suddetto circondario colla cooperazione del cancelliere sostituto, signor Capolongo.

Volendo riordinare questo archivio circondariale onde assicurarci delle carte ed oggetti mancanti, i quali furono lacerati ed involati nel. giorno 27 caduto mese, allorché quest'isola fu assalita e presa da una banda di sediziosi sbarcati da un vapore sardo, i quali gridando a mano armata «Viva l'Italia, viva la repubblica vennero tosto accompagnali dagli ex militi, e quasi da questa intera relegazione, in modo che una ventina di questi ultimi, con fucili fra le mani si portarono in questa regia giustizia, e lacerarono diverse carte e registri, si rubarono tutti gli oggetti di convinzione consistenti IN PANNAMENTI, ARMI E DANARO. Perlocché collo intervento del signor giudice D. Michele Mazzoccolo si è verificato e praticato quanto appresso:

1.° L’archivio contenente tutte le carte e registri riguardante il ramo civile si è trovato intatto e non mancante di cosa alcuna.

2.° Nell'archivio poi, ove sono conservate tutte le carte ed oggetti penali sono stati lacerati e rubati i seguenti oggetti cioè:

1.Tutta la corrispondenza antica tenuta colle diverse autorità sino al 1839, essendo rimasta intatta quella dal 1840, a tutto il corrente esercizio.

2. Tutti gli oggetti di convinzione in armi, pannamenti, generi e danaro contante, consistenti in diversi involti, e dettagliali tutti nei 42 articoli descritti nel verbale d’inventario del giorno 31 marzo ultimo, rimesso già in procura.

3. Lacerati interamente i fascicoli delle circolari del signor giudice istruttore relativi agli esercizi del 1839, 1846, 1847, 1848, e 1849.

4. Lacerate in parte le circolari del signor giudice istruttore riguardanti il corrente esercizio, ma poi interamente lacerato il registro ove le dette circolari si trascrivono unitamente a quello relativo alla trascrizione delle altre circolari del signor Procuratore Generale del Re.

5. Lacerato lo elenco dei notai della provincia, come pure lo stato dei rei assenti che slava affisso in questa sala di udienza..

6. Il ballettino del 1825 secondo semestre, e le cinque parti del codice furono del lutto lacerate, unitamente alle seguenti altre carte e registri, che stavano sulla panca di questo giudicato pel lavoro della statistica, e per gli altri affari in corso.

7. Interamente lacerata la pandetta dei misfatti, e quella de' delitti e contravvenzioni dal 1821 a tutto il 1855 inclusivo, essendo rimaste intatte le nuove formate dal 1856 in poi, come dal suddetto verbale d’inventario.

8. Il registro de' misfatti fu lacerati' in sole quattro carte, le quali sono riunite e ridotte allo stato primiero.

9. Interamente laceralo il registro dei delitti relativamente agli anni 1856 e 1857.

10. Anche lacerato del tutto quello degli arresti ed escarcerazioni dal 1854 al 1857 inclusivo.

11. Lacerato quello delle contravvenzioni contenente gli escrcizii dal 1856 al 1857.

12. Idem quelli di corrispondenza col signor Procurator Generale del Re e colle autorità diverse riguardante il corrente esercizio.

13. Idem quello delle condanne divenute esecutive relativo agli esercizii del 1856 e 1857.

14. Idem quello degli appelli avverso le sentenze correzionali.

15. Interamente laceralo il processo correzionale unitamente alla sentenza ed ai mandati d’indennità perché stava sulla panca per spedirsi alla tassa, segnato al numero 22 dei delitti del 1857, a carico di Salvatore Minieri.

16. Idem segnato col numero 24 detto registro, a carico di Giuseppe Garofalo ed altri.

17. Idem quello segnato col 25, detto registro a carico di Antonio Giancola.

18. Idem, quello segnato al numero 26, detto registro a carico di Francesco Rosati.

19. Interamente lacerato del pari, quello segnato al numero 23, detto registro, a carico di Michele Esposito indúltalo.

20. Interamente lacerato del pari, quello segnato ai numero 17, detto registro a carico di Carmine Damiano, non esitato perché si attendeva l’esito della perizia sulla moneta creduta falsa.

21. Lacerato il processo segnalo al numero 3, dei delitti del 1856 a carico di Filippo Iodice su cui fu pronunziato il non cosía.

22. Idem l'altro sotto al numero 8, detto anco a carico di Vincenzo Poltrone, anche esitato col non cosía.

23. Idem infine quello segnato al numero 46 de' delitti del 1857, a carico di Michele Esposito, del pari esitato col non costa.

24. Nella più parte lacerato il processo criminale segnato al numeio 18, de' misfatti del corrente anno a carico di Michele Cataldo e di altri, il quale stava sulla panca per aspettarsene il rinvio.

25. Idem quello segnato al numero 19, detto registro a carico di Pasquale Scorziello.

26. Idem quello segnalo al numero 20, detto registro a carico di Domenico Catapano.

I quali ultimi tre processi criminali possono riformarsi cotte sarà praticato, e quindi si rimetteranno al loro destino al più presto possibile.

3.° Inoltre tutte le altre carte sono rimaste illese pei buoni modi e pretesti accennati a quei rivoltosi da tutti gl’impiegati del giudicato.

4.° Infine, gli archivii suddetti furono tutti sconvolti, confusi e menati a terra, ma al presente sono stati riordinati e rimessi al loro primiero stato, e si sono di già incominciati a formare i novelli registri.

D. tutto ciò se ne è redatto il presente verbale che si è sottoscritto da me e dal cancelliere sostituto e vidimato dal signor giudice — Seguono le firme — Per copia conforme — Il segretario, Magnaliarca — Visto — Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

XLIX
Copia — L’anno 1857 il giorno 30 Giugno in Ponza nella casa comunale

Noi Gennaro Vitiello sindaco del comune suddetto, assistito dal cancelliere comunale D. Saverio Onorato, ed alla presenza dei due testimonii D. Antonio Prallo impiegato sanitario e D. Saverio Migliaccio architetto, ambi domiciliati in Ponza, siamo devenuti alla redazione del presente verbale.

Essendo materia di fatto pubblico che nel dì 27 dell’andante mese, avvenne in quest'isola una rivoluzione de' rilegati promossa da gen te che disbarcò da un bastimento a vapore di nazione piemontese, e non appena che ebbe approdato nella vicinanza di questo porto, tra i disastri cagionati da detta rivoluzione, fu quello della scassinazione di varie pubbliche officine, sconquassandoci i rivoltosi gli armadii ed altri oggetti mobili, e soltraendovi carte che menarono in fiamme, in parte lacerarono, oltre quelle che sottrassero per farne quell'uso che non si conosce.

Tra le indicate officine non venne risparmiato quest’ufficio comunale, e siccome da noi a nulla si è potuto procedere per siffatto oggetto prima di. oggi, in cui essendo sopravvenuta la truppa da Gaeta, l’ordine ha qui preso il primiero vigore, così oggi stesso ci siamo conferiti in questo officio ridetto per rilevare le carte che mancano, dovendo essere l'oggetto di altro procedimento lo sperimento del danno patito.

Tutte le carte corografiche della provincia del regno, come quella generale del regno, esistono in parte, mentre le rimanenti ravvisansi lacerate.

Mancano i bullettini di legge legati a libri, e quelli precisamente del 1825, 1829, secondo semestre del 1840, secondo semestre del 1846, 1847 e 1848.

Mancano i censimenti di popolazione, tranne quelli del 1851 e 1856.

L’intiera opera intitolata Tavola analitica.

La contabilità comunale del 1856 e 1857.

La corrispondenza del 1834 e 1835.

Il giornale Esculapio Napolitano.

Dell'altro giornale medico cerusico, detto il Severino, esiste quello del 1842 al 1846.

I protocolli mancano tutti, tranne quello del 1830 al 1833.

Il vocabolario di Cardinale.

Mancano parimenti le sette matricole dell’ascrizione marittima.

Tre registri del contenzioso amministrativo.

Altri tre registri da servire di repertorio de' nati, morti e matrimonii.

Altro registro da servire per matricola degl’impiegati.

Un registro per la pubblicazione de' Reali decreti.

Un registro per la registrazione delle mercuriali.

Tre fascicoli di carte di passaggio risguardanti il secondo trimestre dell ’ anno corrente.

D. che si è redatto il presente verbale sottoscritto da noi, dal cancelliere e testimonii suddetti — Seguono le firme — Per copia conforme— Il segretario, Magnaliarca — Visto — Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

L
Copia — L’anno 1857, il giorno 30 Giugno in Ponza

Noi Michele Mazzoccolo, giudice regio del circondario di Ponza, assistito dal nostro cancelliere.

Volendo assodare la pruova generica relativamente alla scassinazione del cancello di questo carcere circondariale avvenuta nel giorno 27 giugno 1857 dietro violenza a roano annata, praticata dai rivoltosi repubblicani, ci siamo ivi conferiti unitamente ai periti,

Antonio Cusmai fu Giuseppe di anni 33 di Trani in Bari, falegname qui rilegato.

Francesco Cerposma di Cristofaro di Mormanno in Calabria, anche falegname qui rilegato.

I quali hanno giurato di fare la loro dichiarazione, e dare il loro giudizio sul proprio onore, e sulla propria coscienza.

Giunti in detto carcere vi abbiamo rinvenuto il custode dello stesso, che ci ha detto chiamarsi,

Francesco Luciano di Vittore, di anni 40 di Avellino', secondo sergente de' Reali veterani.

Il quale dopo di aver prestato il giuramento di dire tutta la verità, e null'altro che la verità, ci ha condotto vicino al cancello del carcere sito nell'estremità della scalinata, per la quale si discende in detto carcere, e ci ha dichiarato che il cancello medesimo nel giorno 27 detto giugno fu scassinato dai repubblicani rivoltosi.

Perlocché i suddetti periti, dietro le indicazioni ricevute da esso Luciano ed al seguito delle nostre prescrizioni e delle loro diligenti osservazioni, hanno unanimamente dichiarato;

Che il carcere è sito sotto al locale di questo giudicato Regio, alla strada delta sopra S. Antonio; che nel detto carcere si discende per una scalinata di travertino, alla estremità della quale havvi un cancello di legno pioppo condizionato con una toppa, così detta alla mascolina. E che la indicata toppa vedesi schiodata ed affatto mancante, come pure nel cancello medesimo si ravvisano delle impressioni come colarciate di fucile ed altro, ed esistono in corrispondenza della riferita toppa un bastone di legno, ed il così detto telaio maggiore per la lunghezza di circa due palmi.

Che perciò essi periti portano giudizio che essendosi contro del ripetuto cancello vibrate con forza delle colarciate di fucile, urti e calci, come si osserva dalle impressioni e bastone e telaio rotto, sono riusciti a far saltare interamente la toppa con cui veniva chiuso e quindi ad aprirlo, locché non poteva non succedere atteso la praticata violenza.

Dopo di che volendosi assicurare se nell'interno del carcere ci esistono i detenuti Francesco Romano condannato a pena correzionale, Pasquale Scorziello e Domenico Catapane giudicati per misfatti segnali ai numeri 19 e 20 corrente anno; ci siamo recati in detto Carcere, unitamente al custode Francesco Luciano, ed ai periti suddetti, che abbiamo adoperati come testimoni, ed ivi giunti, abbiamo verificato che il carcere è perfettamente vuoto e sgombro di detenuti, non essendoci nessuno de' suddetti tre individui, i quali dovevano esistervi, come appare dal registro fattoci esibire dal suddetto custode.

D. tutto ciò se n’è redatto il presente verbale sottoscritto da noi, dal cancelliere e dal solo Luciano, mentre i periti hanno detto di non saper firmare — Seguono le firme — Per copia conforme — Il segretario Magnaliarca — Visto — il Procurator Generale del Re, Pacifico.

LI
Copia — Ingenere pel posto a chiaro di Luna

L'anno 1857 il giorno 30 Giugno in Ponza.

Noi Michele Mazzoccoli, giudice regio del circondario di Ponza suddetto assistito dal nostro cancelliere.

Volendo, siccome abbiamo preinteso, assodare la pruova generica, relativamente alla scassinazione fatta dai rivoltosi della baracca ad uso di corpo di guardia, sita nella contrada detta Chiaro di Luna alle spalle di questo abitato, accompagnati dagli esperti di perizia Vincenzo Terraiuolo fu Raffaele di anni 31 di Nola; ex relegato domiciliato in Ponza di condizione falegname, e Salvatore Cappa di Giovanni, di anni 28 anche falegname, nato e domiciliato in Ponza.

I quali hanno giurato di fare la loro dichiarazione, e dare il loro giudizio sul proprio onore, e sulla propria coscienza.

Ci siamo conferiti nella indicata baracca, ove giunti vi abbiamo rinvenuto di guardia un soldato de' Reali veterani, il quale ha detto chiamarsi Domenico Primavera fu Francesco di anni 43 di Tolto, soldato de' Reali veterani.

Il medesimo, dopo di avere prestato il giuramento di dire tutta la verità, e null'altro che la verità, ci ha indicato la toppa della porta della stessa, e ci ha dichiarato di essere la medesima stata scassinata dai rivoltosi nel giorno 27 spirante giugno.

Perlocché i suddetti periti, dietro le indicazioni ricevute dal detto Primavera, ed al seguito delle nostre prescrizioni, e delle loro esatte osservazioni, hanno concordemente dichiarato:

Che la porla della surriferita baracca è priva affatto della toppa, con cui si chiudeva, e che vicino alla chiusura della stessa, ove la detta toppa veniva fermata, si osserva per la lunghezza di circa un palmo e mezzo rotta la foglietta a legno che la condizionava.

Onde essi periti portano giudizio, che i malfattori dopo di avelia Ito leva vicino la indicata chiusura e rotta la detta foglietta di legno, ne àn fatta saltare la descritta toppa, e quindi ne anno dischiusa la porta.

Del che se n’è formato il presente verbale, che si è firmato da essi periti, da noi e dal cancelliere, avendo il Primavera detto di essere illetterato—Seguono le firme—Per copia conforme — Il segretario—Magnaliarca—Visto —Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LII
Copia — Ingenere per la caserma

L'anno 1857 il giorno 30 Giugno in Ponza

Noi Michele Mazzoccoli, regio giudice del circondario di Ponza assistito dal nostro cancelliere.

Volendo, siccome abbiamo preinteso, assodare la pruova generica, relativamente alla scassinazione fatta dai relegati in diverse stanze della caserma di relegazione, ci siamo nella stessa conferiti, unitamente agli esperti di perizia:

Vincenzo Ferraiuolo fu Raffaele di anni 31 di Nola, ex relegato, domiciliato in Ponza falegname, e

Salvatore Cappa di Giovanni di anni 28 anche falegname nato e dcmiciliato in Ponza.

I quali ànno giurato di fare la loro dichiarazione, e dare il loro giudizio sul proprio onore e sulla propria coscienza.

Giunti in delta caserma ci abbiamo trovato il custode della stessa, che à detto chiamarsi,

Pasquale Egidio, di Matteo di anni 42 di Ponza, 2.° sergente de' Reali veterani, il quale dopo di aver prestato il giuramento di dire tutta la verità, e null'altro che la verità, ci à indicato molte e diverse stanze della caserma medesima, delle cui porte in parte mancano del tutto, ed in parte esistono scassinati i rispettivi catenacci, da cui venivano chiuse, e condizionate;

Perlocché i suddetti periti dietro le indicazioni ricevute dal detto secondo sergente Pasquale Egidio, ed al seguito delle nostre prescrizioni, e delle loro attente ed accurate osservazioni ci ànno concordemente dichiarato quanto appresso: Che le porte delle stanze marcate coi numeri 15, 16, 17, 18, 19, 22, 23, 9 e 10 si veggono aperte, perché mancanti de' rispettivi catenacci, da cui venivano chiuse, restando vicino ad esse, le così dette mezze scive, ove i detti catenacci venivano conficcali per chiudere le dette porte. Che la toppa così detta a borsa della stanza numero 15 si osserva interamente scassinata. E che le porte delle altre stanze segnate coi numeri 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 37, 40 e 41 si veggono parimenti aperte, perché i rispettivi catenacci si osservano del tutto scassinati. Che perciò essi periti portano giudizio che i catenacci delle prime dieci stanze sono state forse aperti colle proprie chiavi e quindi portati via dagli stessi malfattori, poicché non si ravvisa altra impressione ed alterazione di sorta.

E che tanto la borsa a toppa, quanto i catenacci delle altre successive dieci stanze sono stati scassinali con qualche scalpello, ed altro consimile ¡strumento di ferro, mercé il quale si sono interamente rotti, facendoli saltare le così dette fogliette, dalle quali le rispettive toppe erano condizionate.

D. tutto ciò se n’è formato il presente verbale che è stato sottoscritto da' periti, da noi e dal nostro cancelliere — Seguono le firme — Per copia conforme—Il segretario, Magnaliarca—Visto—Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LIII
L’anno 1857 il giorno 14 Luglio in Ponza

Innanzi a noi Michele Mazzoccoli, giudice Regio del circondario di Ponza, assistito dal cancelliere Mundo, previa chiamata, sono comparsi: 4.° D. Carmine Rapido di anni 26, chirurgo militare in Ponza.

2.° D. Leopoldo Scognamiglio fu Baldassarre, di anni 40 chirurgo dell'isola di Ponza. I medesimi hanno giurato di fare il loro rapporto e dare il loro giudizio sul proprio onore e coscienza, e quindi dopo di avere osservato l’offeso Francesco Ranza ci hanno esibito il loro rapporto qui appresso alligato.

D. tutto ciò se n’è formato il presente verbale sottoscritto da essi periti, da noi e dal cancelliere — Seguono le firme — Per copia conforme — Il segretario della procura generale, Magnaliarca — Visto — Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LIII
Copia — Rapporto sanitario

Ponza, addì 4 Luglio 4857.

Signore — Previo di lei invito, ci siamo portati in questo Regio giudicato, ed alla di lei presenza assistiti dal cancelliere, abbiamo prestato il nostro giuramento secondo la formola delle leggi; indi abbiamo osservato il signor Francesco Ranza aiutante della quinta compagnia dei Reali veterani, il quale tiene una ferita sulla regione temporale sinistra, prodotta da proiettata esplosione di arma da fuoco, fiorendo la sola pelle, quale ferita giudichiamo lieve di sua natura.

Del che ne facciamo il presente — I periti firmati — Rapido — Leopoldo Scognamiglio — Visto, il giudice Regio firmato, Michele Mazzoccolo — firmato, F. Mundo — Al signor giudice Regio — Ponza — Per copia conforme — Il segretario Magnaliarca — Visto — Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LII
Copia — Ingenere sul botteghino privilegiato

L’anno 4857 il giorno 11 Luglio in Ponza.

Noi Michele Mazzoccolo, Regio giudice del circondario di Ponza, assistito dal cancelliere.

Avendo preinteso dalla voce pubblica di essere stato dai rivoltosi scassinato lo stemma Reale del botteghino privilegiato di questo comune, sito alla strada detta Ranchina inferiore, e volendone quindi assodare la pruova generale, ci siamo ivi conferiti unitamente ai periti,

Antonio Cusmai fu Giuseppe di anni 33 di Trani in Bari, falegname quivi rilegato, e

Francesco Corfosimo di Cristofaro di anni 31 di Mormanno in Calabria, falegname qui rilegato; i quali hanno giurato di fare la loro dichiarazione e dare il loro giudizio sul proprio onore, e sulla propria coscienza.

Giunti in detto botteghino, ci abbiamo rinvenuto il venditore dei generi di privativa, che ha detto chiamarsi

Francesco de Luca, fu Giuseppe' di anni 30, nato e domiciliato in Ponza. Il medesimo dopo di aver prestato il giuramento, di dire tutta la verità e null'altro che la verità, ci ha esibito lo stemma Reale, che stava sulla porta del suo botteghino, ridotto in tre pezzi, e ci ha dichiarato di essere lo stesso stato rotto dai rivoltosi nel giorno 27 giugno.

Perlocché i suddetti periti dietro le indicazioni ricevute dal detto de Luca, ed al seguilo delle nostre prescrizioni, e delle loro attente osservazioni, hanno concordemente dichiarato quanto segue, cioè:

Che lo stemma Reale del botteghino di generi di privativa ad esso loro esibito è di legno pioppo con cappello di latta, ed è rotto in tre pezzi, presentando degl'intagli, causali da strumento tagliente, ed il detto cappello di latta smosso dal suo sito, te tutto schiacciato.

Che perciò essi periti portano giudizio che il surriferito emblema Reale è stato rotto dietro replicati e forti colpi di sciabla o di altro simile strumento sullo stesso vibrali, e che il medesimo, circa la pittura, poteva valere circa carlini dieciotto.

D. tutto ciò se n’è formato il presente verbale, che è statò sottoscritto con noi e col nostro cancelliere, e dal solo de Luca, avendo i periti detto di non sapere firmare perché illetterati — Seguono le firme — Per copia conforme — Ilsegretario, Magnaliarca — Visto — Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LVII
Copia — Ingenere per la Regia Posta

L’anno 1857 il giorno 14 Luglio in Ponza.

Noi Michele Mazzoccolo giudice Regio del circondario di Ponza suddetto assistito dal nostro cancelliere.

Avendo preinteso dalla voce pubblica di essere stato dai rivoltosi scassinato lo stemma Reale della officina di questa Regia posta, sita alla strada Piazza', di questo abitato; e volendo quindi assodare la pruova generica, ci siamo ivi conferiti in unione dei periti,

Antonio Cusmai fu Giuseppe, di anni 33 di Trani in Bari, falegname qui rilegato, e Francesco Cercosimo di Cristofaro di anni 31 di Mormanno in Calabria, anche falegname qui rilegato.

I quali hanno giurato di fare la loro dichiarazione, e dare il loro giudizio sul proprio onore e sulla propria coscienza. Giunti in detta officina vi abbiamo rinvenuto l’uffiziale di posta, che ha detto chiamarsi,

Salvatore Noli fu Giuseppe di anni 26 di Ponza; il quale dopo di aver prestato il giuramento di dire la verità, e null'altro che la verità, ci à esibito la impresa Reale che stava sulla porta della detta officina, ridotta in quattro pezzi, e ci ha dichiarato di essere la stessa stata rotta dai rivoltosi nel giorno 27 giugno.

Perlocché i suddetti periti dietro le indicazioni ricevute dal detto signor Noli, ed al seguito delle nostre prescrizioni e delle loro attente osservazioni hanno concordemente dichiarato:

Che la impresa ad essi loro esibita è un pezzo di legno castagno rotto in quattro pezzi, facce a colori è scolpito lo stemma Reale di questa Regia posta, ed in pezzi più grandi si osservano delle impressioni causate. da strumento tagliente e da puntonate di fucile.

Che perciò essi periti portano giudizio che, il surriferito emblema Reale è stato rotto dietro replicati e forti colpi di sciabla o di altro consimile strumento non solo, ma benanche dietro puntonate di fucili sullo stesso vibrati, e che il medesimo, compresa la pittura, potrà avere il costo di circa ducati due.

Del che se n’è formato il presente verbale, che è stato sottoscritto con noi e col nostro cancelliere e dal solo signor Noli, avendo i periti detto di essere illetterati — Seguono le firme — Per copia conforme — 11 segretario, Magnaliarca—Visto—Il Procurator Generale del Re, Pacifico.

LVII
Copia — Ingenere per la deputazione sanitaria

L'anno 1857 il giorno 14 Luglio in Ponza.

Noi Michele Mazzoccolo, giudice Regio del circondario di Ponza suddetto assistito dal nostro cancelliere.

Avendo preinteso dalla voce pubblica di essere stato dai rivoltosi scassinato lo stemma Reale dell'officina di questa deputazione di salute, sita alla strada del Bagno, e volendone quindi assodare la pruova generica, ci siamo ivi conferiti in unione de' periti,

Antonio Cusmai fu Giuseppe, di anni 33, di Trani in Bari falegname qui relegato, e Francesco Cercosimo di Cristofaro, di anni 31, di Mormanno in Calabria, anche falegname quivi relegato. I quali ànno giurato di fare la loro dichiarazione, e dare il loro giudizio sul proprio onore, e sulla propria coscienza.

Giunti in delta officina, ci abbiamo rinvenuto il cancelliere della delta deputazione sanitaria, che à detto chiamarsi,

D. Angelo Farese, fu Catiello, di anni 59, domiciliato in Ponza; il quale dopo di avere prestato il giuramento di dire la verità, e null'altro che la verità, ci à esibita la impresa Reale, che stava sulla porta della detta officina, ridotta in pezzi, e ci à dichiarato di essere la stessa stata rotta dai rivoltosi nel giorno 27 scorso giugno.

Perlocché i suddetti periti, dietro le indicazioni ricevute dal detto signor Farese ed al seguito delle nostre prescrizioni e delle loro attente osservazioni, ànno concordemente dichiarato:

Che la impresa ad essi loro esibita è un pezzo di legno castagno rotto in più parti; che su cui, a colori, vedesi scolpito lo stemma Reale di questa deputazione sanitaria, e su i delti pezzi si osservano delle impressioni causate da strumento tagliente,, e da puntonate di fucili.

Che perciò essi periti portano giudizio che il surriferito emblema Reale è stato rotto dietro replicati colpi di sciabla, o di altro consimile strumento non solo, ma benanche dietro puntonate di fucili sullo stesso vibrati, e che il medesimo una colla pittura può avere il costo di circa due. due: del che se n è formato il presente verbale, che è stato sottoscritto con noi, e col nostro cancelliere, e dal solo Farese, avendo i periti detto di essere illetterati— Seguono le firme—Per copia conforme il segretario della procura generale — Magnaliarca — Visto — Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LVIII
Copia — L'anno 4857 il giorno 24 Luglio in Ponza

Noi Michele Mazzoccolo giudice regio del circondario di Ponza, assistito dal cancelliere.

Volendo suppletoriamente assodare come sia avvenuta la morte del 2.° tenente D. Cesare Balzamo, abbiamo fatto venire innanzi a noi i seguenti individui, citati con apposita cedola, che abbiamo inteso l’uno dopo l’altro, e separatamente fra loro nell'ordine che segue:

Andrea Cassese di Angelo Maria, di anni 27 di S. Andrea, Principato Ultra, pratico dell'ospedale di Ponza, à giurato di fare la sua dichiarazione e dare, il suo giudizio sul proprio onore e sulla propria coscienza, e di dire tutta la verità, e null'altro che la verità.

Opportunamente dimandato à risposto: Nel giorno 27 caduto giugno, quando sviluppò la rivolta in quell’isola per opera di alcuni rivoltosi armati, vestiti di rosso, e sbarcali da un vapore sardo, io stava sull’ospedale de' relegati, dove fo da pratico, ed a circa le ore 22 fu da un paio di veterani e tre o quattro ex militi armati, a me incogniti, trasportato colà dai primi due su di una sedia il 2.° tenente Balsamo, che dissero essere stato in quella mischia ferito da una palla di moschetto, tirata da uno de' rivoltosi vestito di rosso. Io medicai il ferito, e vidi che egli sul petto, e precisamente due dita traverse di sotto il capezzolo della mammella destra teneva una ferita taura contusa a bordi sfrangiati di figura ovale tutto al dintorno annerita, diretta da destra a sinistra ed alla parte opposta del torace, e propriamente tra lo spazio della quinta e sesta costa del petto sinistro altra ferita anche ad orli sfrangiata, senza, ammortimento circostante, quali ferite erano state prodotte da una palla di fucile che gli aveva passato il petto da parte a parte, facendo a destra la ferita d’ingresso, ed a sinistra quella a sinistra della spalla. 11 ferito sopravvisse per circa una mezz’ora e poi morì, perché non poteva assolutamente vivere, avendo dovuto la palla per la posizione della ferita interessare ambo i polmoni, ed altri organi contenuti nella stessa cavità del petto.

Precedente lettara e conferma à con noi sottoscritto—Seguono le firme — Per copia conforme—Il segretario della procura generale del Re Magnaliarca—Visto—Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LIX
Successivamente

Nello stesso giorno 24 Luglio 1857, previa citazione, è comparso.

Vincenzo Salerno, fu Fabio, di anni 72, di Bellona di Capua, qui relegato.

À giurato di fare la sua dichiarazione e dare il suo giudizio sul proprio onore, sulla propria coscienza, e di dire tutta la verità, e null'altro che la verità.

Dimandato analogamente à risposto.

Nel giorno 27 caduto giugno a circa le ore 22, quando era già scoppiata la rivolta in quell’isola, io mi trovava nell’ospedale di questa relegazione, perché infermo. Mentre m’intratteneva su quelle scale vidi che un paio di veterani e tre o quattro ex militi armati, dei quali ultimi conobbi solfano i cognominati Branzino e Visconti, trasportarono in detto ospedale il secondo tenente Balzamo, che dissero essere stato ferito da uno dei rivoltosi a colpo di fucile senza però indicarne il nome. Immediatamente sopraggiunse il pratico di detto ospedale a nome Andrea Cassese, il quale medicò il ferito, e con tale occasione osservai che a costui con una palla di fucile era stata trapassato il petto da una parte all'altra, essendo la palla entrata da sotto la mammella destra dove la ferita si vedeva annerita allo intorno ed infossata, ed uscita sotto l’ascella del braccio sinistro, ove la ferita era più aperta ed annerita. Siccome la ferita suddetta si credette dal pratico essere mortale, così lo stesso mandò subito a chiamare il prete, il quale allo istante vi si recò, ma quel disgraziato spense dopo circa un quarto d’ora.

Precedente lettura e conferma si è sottoscritto — Seguono le firme. Per copia conforme il segretario — Magnaliarca — Visto — Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LX
Successivamente

Nello stesso giorno 21 luglio 1857 è comparso Francesco Celentano fu Antonio, di anni 21, di Ruoli in Basilicata, calzolaio qui relegato, à giurato di fare la sua dichiarazione e dare il suo giudizio sul proprio onore e sulla propria coscienza di dire la verità, e null'altro che la verità.

Domandato analogamente à risposto.

Nel giorno 27 caduto giugno, a circa le ore 22, quando era già scoppiata la rivolta in quest'isola, io mi trovava nell'ospedale di questa relegazione, perché infermo. Mentre stava coricato, vidi che un paio di veterani con tre o quattro ex militi armati, de' quali ultimi conobbi il solo Visconti, trasportarono colà il 2.° tenente Balsamo, che dissero essere stato ferito da uno de' rivoltosi a colpi di fucile, senza indicare chi fosse stato. Immediatamente sopraggiunse il pratico di dett'ospedale a nome D. Andrea Cassese, il quale medicò il ferito, e con tale occasione osservai che a costui con una palla di fucile era stato trapassato il petto da una parte all’altra, essendo la palla entrata da sotto la mammella destra, dove la ferita si vedeva annerita all'intorno, ed infossata ed aperta sotto l’ascella sinistra, ove la ferita era più aperta ed annerita. Siccome la ferita suddetta si credette dal pratico essere mortale, così lo stesso mandò subito a chiamare il prete, il quale all'istante vi si recò, ma quel disgraziato mancò ai viventi, dopo circa un quarto d’ora. Datogli lettura ha persistito, ed ha detto non sapere scrivere — Seguono le firme — Per copia conforme — Il segretario, Magnaliarca — Visto —

Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LXI
Successivamente:

Nello stesso giorno 21 luglio 1857 è comparso Gerardo Pascaretti fu Giuseppe, di anni 27, di Tito in Basilicata, ex milito, qui rilegato.

Ha giurato di fare la sua dichiarazione e dare il suo giudizio sul proprio onore e sulla propria coscienza di dire tutta la verità, e null’altro che la verità.

Domandato analogamente, ha risposto:

Nel giorno 27 cadente giugno, a circa le ore 22, quando era già scoppiata la rivolta in quest'isola, io mi trovava nell'ospedale di questa rilegazione, perché infermo. Mentre stava coricato, vidi che un paio di veterani e tre o quattro ex. militi armati, de' quali ultimi conobbi il solo Visconti, trasportarono colà il secondo tenente Balsamo, che dissero essere stato ferito, da uno de' rivoltosi a colpi di fucile, senza indicare chi fosse stato.

Immediatamente sopraggiunse il pratico di dell'ospedale a nome Andrea Cassese, il quale medicò il ferito, e con tale occasione osservai che a costui con una palla di fucile era stato trapassato il petto da una parte all'altro, essendo la palla entrata da sotto la mammella destra, dove la ferita si vedeva annerita allo intorno ed infossata, ed uscita sotto l’ascella sinistra, ove la ferita era più aperta e non annerita. Siccome la ferita suddetta si credette dal pratico essere mortale, così lo stesso mandò subito a chiamare il prete, il quale all'istante vi si recò, ma quel disgraziato cessò ai viventi dopo circa un quarto d'ora. Precedente lettura e conferma ha con noi firmato — Seguono le firme — Per copia conforme — Il segretario, Magnaliarca — Visto — Il Procuratore Generale del Re, Pacifico.

LXII
Archivio dell'Intendenza Generale della Real Marina

Ministero e Real Segreteria di Stato della Guerra e Marina— Ramo di Marina, 1.° ripartimento, 1.° carico, numero 461 —Napoli 22 maggio 1849 — Signor Intendente — Prodottosi gravame presso il Consiglio delle prede dalle deliberazioni della Commessione di prima istanza, in ordine ai due legni trapanesi catturati, il Consiglio suddetto uniformemente alle conchiusioni del Pubblico Ministero, ha dichiaralo buona preda.

Ora il Ministro di Grazia e Giustizia mi ha comunicato il seguente Real rescritto:

Ho rassegnato a Sua Maestà gli avvisi emessi dal Consiglio delle prede nel dì 21 marzo ultimo, pei quali si sono dichiarati di buona preda il Le uto e lo Schifazzo Trapanesi, intitolati Gesù Maria, e Giuseppe, l’uno del padrone Carlo Corso, l'altrodel capitano Giuseppe Adragna, catturali rispettivamente dai vapori della Real marina l'Antelope, ed il Ferdinando Secondo. Ho pure fatto presente alla Maestà Sua il ricorso del procuratore de' due capitani de' bastimenti predati, per ottenere il rinvio dell'affare al nuovo esame del Consiglio di Stato, non che l'avviso uniforme del Consiglio dei Ministri per lo rigetto del ricorso, e ' approvazione degli avvisi del Consiglio delle prede.

E la Maestà Sua trovando CONFORME NEI PRINCIPII DEL DRITTO REGOLATORE DELLA MATERIA DELLE PREDE la pronunziazione del Consiglio delle prede; e ritenendo privo di fondamento legale il ricorso nello interesse dei capitani dei bastimenti predati, con determinazione presa nel consiglio ordinario degli otto andante in Albano, senza tener conto del ricorso da parte de' capitani Corso ed Adragna, ha approvato i sopraccennati due avvisi.

Nel Real Nome partecipo a V. E. questa Sovrana determinazione per l’uso conveniente — Napoli 16 maggio 1849.

Glielo partecipo per l’uso che la riguarda. Pel Ministro Segretario di Stato di Guerra e Marina — Il Direttore, Francesco Carreras —Signor Intendente Generale della Real Marina. Per copia conforme ali originale sistente nell’archivio dell’intendenza Generale suddetta. Napoli 7 agosto 1857. L'Ufiziale di prima classe archivario — Gennaro Fava — Verificato. Il commessario capo dell’ufficio della verifica, Magno Durante — Visto — L'Intendente Generale, de Gregorio.

LXIII
 Archivio dell'Intendenza Generale della Real Marina

Ministero e Real Segreteria di Stato di Guerra e Marina — Ramo di Marina — 1.° ripartimento, 2.° carico, numero 245 — Napoli 5 febbraio 1850 — Signor Intendente Generale — Giusta lo stabilito inseguito dell’abboccamento tenuto con lei e l’avvocato della Real Marina D. Ferdinando Starace, son sicuro che questi siasi già portato dal procurator generale presso la gran Corte civile di Napoli D. Ferdinando Paragallo, pel noto affare del piroscafo il Vesuvio. Laddove però, per qualche circostanza non si abbia a tanto adempito finora, io la prego disporre che al momento il signor Starace esegua l’enunciata missione, ed affinché gli possa servir di norma, le trascrivo qui appresso un Sovrano rescritto partecipatomi dal Ministro Segretario di Stato di Grazia e Giustizia.

Ho rassegnato a Sua Maestà (D. G.) la sentenza della Commissione di prima istanza, l’avviso in secondo esame, pronunziato dal Consiglio delle prede e di Stato, e dal Consiglio dei Ministri, sulla quistione relativa al piroscafo il Vesuvio preso a' rivoltosi siciliani nel porto di Milazzo dalla Real fregata a vapore il Roberto, e reclamato dalla compagnia di navigazione a vapore napolitana.

E la Maestà Sua nel Consiglio ordinario di Stato dello andante, is È DEGNATA APPROVARE E AVVISO DEL CONSIGLIO DELLE PREDE MARITTIME EMESSO NEL DÌ 12 GIUGNO 1849 IN QUANTO ALLA DICHIARAZIONE DI BUONA PREDA DEL PIROSCAFO IL VESUVIO. Ma VUOLE che in quanto alle conseguenze di una tale dichiarazione, il procurator generale presso la Gran Corte civile in Napoli D. Ferdinando Paragallo tratti fra le parti una equa conciliazione; SALVO ALLA COMPAGNIA DI ESSERE RIVALUTA AL TERMINI DI LEGGE, SE NE ABBIA RAGIONE, DAI RIVOLTOSI DI SICILIA DE’ DANNI CAGIONATILE.

Nel Real Nome le partecipo tale Sovrana determinazione per l’uso che convenga, soggiugnendo a V. E. di averne io dato comunicazione al procurator generale presso il Consiglio delle prede, ed al procurator Generale Paragallo, per la parte che concerne a ciascuno di essi.

Pel Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina —Il Direttore, Francesco Carreras —Signor Intendente Generale della Real Marina—Per copia conforme all’originale sistente nell’archivio dell’intendenza Generale suddetta — Napoli 8 agosto 1857—L’uffiziale di prima classe archivario, Gennaro Fava — Verificato—Il commessario capo dell’ufficio di verifica, Magno Durante — Visto — L’Intendente Generale, de Gregorio.

LXV
 Ministero e Real Segreteria di Stato di Guerra e Marina—Ramo di Marina—1.° ripartimento, 2.° carico, numero 2224— Napoli 9 Giugno 1849

Signor Intendente Generate — A sfogo di un uffizio da me diretto ieri al Ministro degli Affari Esteri, sono stato riscontrato nei termini seguenti: Mi onoro dare prestamente riscontro alla pregevole sua di oggi, numero 2190 manifestandole, che sebbene era incombenza del Ministero di Marina la formulazione del regolamento pel blocco della Sicilia, pure a premura del CORPO DIPLOMATICOne venne sottomesso il progetto a Sua Maestà, e la Maestà Sua in data del 1.° aprite ne approvò la pubblicazione. Quindi con questa data fu messo alle stampe.

La solennità poi della loro promulgazione è contestata dalla inserzione che ne venne fatta nel giornate uffiziale.

Mi affretto comunicarlo a tei, onde lo passi subito a notizia degli avvocati della Real marina, interessati nella nota causa della preda del Vesuvio, potendo ciò interessare la difesa — Pel Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina — Il Direttore, Francesco Carreras — Per copia conforme all'originate esistente nell'archivio della Intendenza Generate della Real Marina — Napoli 14 agosto 1857 — L’uffiziale di prima classe archivario, Gennaro Fava — Verificato — Il Commissario capo dell uffizio di verifica, Magno Durante — Visto — L’Intendente Generale, de Gregorio.

LXVI
Estratto de' fogli 454 e 452 del giornale di navigazione della Real fregata a vapore, il Tancredi

Alte ore 4 ½a. m. del 29 giugno 1857 tra S. Stefano e Ventotene si è fermata la macchina, indi armata una lancia in guerra, domandandone un’altra all'Ettore: dopo poco essendo veduto sotto il bordo un deputato sanitario di Ventatene si è disarmata la lancia, indi posto in mota, e diretto sul golfo di Salerno. L’Ettore ci segue sempre. Sino alle 8. L’uffiziale di guardia Amilcare Anguissola. Alle ore 8 ¾in vista di un vapore che dalle acque di Licosa corre per fuori Capri, perciò si è accostato alla sinistra, navigando per incontrarlo. Alle ore 9 ½essendoci assicurato che il vapore sopradetto è genovese di commercio, e giusto quello per il quale siamo IN CROCIERA PER CATTURARLO,si è battuta la generale. L’uffiziale di guardia Giovanni d’Ayala Valva. Alle ore 10 si è tirato un colpo di cannone da 30 a palla, per chiamare all'ubbidienza il suindicato vapore, il quale subito ha fermata la macchina, e mandata a bordo il suo comandante, da noi imposto. Si è accertato essere il vapore menzionata, precisamente quello del quale si andava in cerca. Si è fatto all’Ettore il segnale n. 1501. Si è spedito sul vapore il tenente di vascello signor Imbert con una lancia armata per conoscere lo stato del legno, e se era armato. Tutta ciò stando fermati alla distanza di circa sei miglia al sud ovest di Capri. Il detto ufficiate ha condotto da quello su questo bordo i seguenti generi, che erano le armi tutte che là esistevano, cioè una cassa con canne di fucili aperta, un altra chiusa anche con armi, più quindici fucili, una carabina, un boccaccio, due pistole ed una sciabla. Sono anche venuti a bordo tre individui feriti. Il comandante del vapore è rimasto a bordo. L’Ettore ha dato i rimorchi ALLA PREDAche ha il nome il Cagliari ed alle 11 1/8 ha fatto rotta lungo la costa di Calabria attaccando il capo Licosa. Da noi si è posto in moto e diretto per Salerno; essendo le ore 11 ¼. Nelle 24 ore buon tempo. Lunedì 29 a 30 giugno 1857 p. m. Aria chiara e poco vento del 3.° quadrante. Si è rimesso il taffarancio. A tutta macchina si dirige per Salerno. Ilcomandante Ferdinando Rodriquez. Sino alle 2 come sopra. L’ufficiale di guardia Amilcare Anguissola. Alle ore 2 ½sulla spiaggia di Salerno si è fermata la macchina, ed ancorato l’usto a sei passi di fondo con dieci di catena. La macchina sempre pronta. Il comandante Ferdinando Rodriquez. E calato questo signor comandante, onde far passare in Gaeta telegraficamente i rapporti di questo signor generale Roberti a Sua Maestà il Re (D. G.), compresovi le dichiarazioni fatte dai quattro qui prigionieri fatti. Alle 4 è ritornalo il comandante. Il pilota da uffiziale di guardia, Guglielmo Cafiero. Si è chiamato ogni uomo a suo luogo per salpare. Si è alzata l’ancora, posto in moto e fatto rotta alle ore 4 1/3 per capo Licosa. Il comandante Ferdinando Rodriquez. Alle ore 7 su di Licosa tre miglia fuori si è fatto rotta per Palinuro. L’Ettore col suo rimorchio per sud ovest 4 miglia. Alle ore 7 ½l’Ettore ha fatto il segnale numero 1556. Si è diretto per lo stesso. Alle ore 7 ¾è venuto a bordo una lancia del Fieramosca, che poco dopo essendosene andata, si è posto in moto, e fatto rotta per Palinuro. Al tramonto del sole capo Licosa per nord, e Palinuro per sud est 18° est. L’Ettore di poppa. Alle 8 si è alzato un fanale di distinzione. L’uffiziale di guardia, Antonio Imbert. Alle ore 9 ¾sulla perpendicolare di Palinuro a due miglia distante si è diretto per punta Linfreschi, e poi per Sapri. Alle ore 11 ¾vicino detto paese si è battuta la generale, si è fermata la macchina, attendendo il vapore l’Ettore. A. M. buon tempo. Alle ore 2 si è tirato un razzo per rispondere all’Ettore. Alle ore 4 ½si è posto in moto e diretto per Sapri. Alle ore 4 ¾sulla spiaggia di detto paese, si è fermata la macchina, ed ancorato l’usto a 5 passi di fondo con 15 catene. Dopo poco ha ancorato anche l'Ettore col suo rimorchio. Si è sbarcata la truppa, avendole data la razione, come le si diede ieri. La macchina in alimento. Alle ore 6 si è rimesso il taffarancio. Il comandante Rodriquez. Si certifica da me qui sottoscritto comandante della Real fregata a vapore il Tancredi, di essere questa copia conforme all'originale esistente a bordo — Il capitano di fregata, Ferdinando Rodriquez — Visto—Il RetroAmmiraglio comandante superiore, Federico Roberti.

LXVII
 Al foglio 15 ci è un prospetto delle operazioni a farsi nello sbarco di Sapri rinvenuto nel portafogli di Carlo Pisacane

«In Ponza essendovi il telegrafo bisogna giungervi a notte, regolando la rotta in modo da giungervi di sera, non si corre neppure il rischio di essere veduti in un’ora, che fossero ancora in tempo da segnalarne a Gaeta l’arrivo.

«Il telegrafo si distrugge affatto, quindi appena giorno da Gaeta, accorgendosi di un tal fatto spediscono un vapore: al più presto questo vapore (se ci è da Gaeta) partirà alle 5 del mattino e giungerà circa»le 10. Se assicuratosi del fallo ci corre dietro, noi essendo partiti alle 5 pure, avremo quattr’ore di vantaggio, aggiungi l’incertezza della direzione e non resta dubbio alcuno che potesse raggiungerci. Ma niun capitano prenderà su di sétale determinazione. Egli tornerà immediatamente a Gaeta, e segnalerà a Napoli l'accaduto. Tutto procedendo con una rapidità inconcepibile, alle due dopo mezzogiorno salperanno da Napoli due tre fregate per darci la caccia; di queste quella che passando per le bocche piccole si dirigerà in x vi giungerà alle 6 di sera, ed a tale ora, noi ci troveremo in g ovvero fuori pericolo».

«Quindi ci rimangono dalle 9 alle 5 otto ore per far le operazioni a Ponza, ma per maggior precauzione è buono far più presto».

«Facciamo un’ipotesi, (quasi impossibile) noi partiamo; a Ponza si danno all'opera alacremente, ristabiliscono il telegrafo. Segnalano a Gaeta, vapore partito co’ relegati, da Gaeta si segnala in Napoli partono le fregate, al più presto alle 7 di mattina, quella che percorre la rotta x vi giungerà alle 11, noi ci troveremmo in 7 ancora in pericolo, dunque se vedremo la possibilità di ristabilire il telegrafo, allora è d'uopo partire da Ponza 6 ore prima, in tal caso ci troveremo in g, ovvero partire da Ponza alle 11. Non avremmo allora che due ore di tempo le quali sarebbero sufficienti. Ma 1.° considerando che il vapore forzando un poco potrà fare più di 8 miglia l'ora. Considerando che possiamo giungervi, particolarmente se il tempo è coverto, alle 8, considerando che questa rapidità di avvisi e determinazioni è favolosa. Noi possiamo contare 4 o 5 ore a nostra disposizione, ed esser certi di risultamento».

«Nel primo caso si sbarcherebbe verso mezzanotte vicino Sapri.

«Nel secondo alle 7 o 8 ore di sera».

«Il vapore partirà da Londra, con 20 uomini armati, 200 fucili e un poco di munizione. Nelle acque dell’isola dell’Alicosa prima di entrare nel canale di S. Bonifacio, troverà una goletta, con altri 15 uomini armati, 12 mila cartucci, e forse qualche altro numero di fucili. De Giorgio li darà».

«Nel caso più favorevole arriveremo a Ponza in 40 armati con 300 fucili, ed un 20 mila cartocci».

«Nel caso il più sfavorevole, vi giungeremo in 25 armati con 200 fucili e poca munizione».

«Nel caso che le cose sono come quelli hanno scritto, e le cose nostre vanno bene, noi sbarcheremo con 500 uomini armati e muniti, forse di due pezzi di artiglieria, ed altro numero di uomini disarmati».

«Se tutto va malissimo e che i relegati non vogliono venire, noi sbarcheremo, con 25 armati e 200 fucili.

«1.° vantaggio, ci troveremo nel regno ove vorremmo andare.

«2.° avremo di fatti introdotti i fucili che da tanto tempo non è possibile introdurre.

«3.° daremo un impulso alla Basilicata che dicesi pronta ad insorgere.

«4.° e se nessuno muove?.... Creperemo.

«Per copia conforme — Il procuratore generale del Re, Francesco Pacifico.

Ruolo dell’equipaggio delCagliari

Raffaele Rubattino, direttore della società Rubattino, con lettera luglio al signor cavaliere Garrou Consolo generale di S. M. in Genova rimetteva la nota degl'individui componenti l'equipaggio del piroscafoCagliari i nomi che segnava in esso erano i seguenti:

1.° Capitano Sitzia Antioco

2.° Secondo Rocci Vincenzo

3.° Terzo Ghio Agostino

4. Nostromo Cedale Pietro

5.° Dispensiere Albertini Nicolò

6.° Stivatore Brosacca Prospero

7.° Timoniere Frumento Giovanni

8.° Idem Rapallo Agostino

9.° Idem Rebora Giovanni

10.° Idem Fromento Lorenzo

14.° Idem Fromento Ignazio

12.° Marinaro Fromento Nicolò

13.° idem Bertirotti Girolamo

14.° Idem Fromento Girolamo

15.° Idem Casella Pasquale

16.° Idem Sturlese Domenico

17.° Idem Lazzaro Giuseppe

18.° Giovinotto Barberi Pietro

19.° Mozzo Costa Domenico

20.° Idem Cedale Giovanni

21.° Macchinista Watt Errico

22.º Idem Park Carlo

23.º Fuochista Sajoni Prospero

24.° Idem Rebora Luigi

25.° Idem Cevasio Domenico

26.° Carbonaio Turbino Vincenzo

27.° Idem Badino Francesco

28.° Maestro di casa Bussa Giovanni

29.º Cuoco Noce Carlo

30.º Cameriere Travi Girolamo

31.º Idem Mercurio Giuseppe

32.°Idem Acquarone Lorenzo.

NOTE

(1)De Legibus. Lib. 3.

(2)Vico. Opere vol. 6. pag. 1. Lettera all’abate Esperti.

(3)Dell’uso e dell’abuso dello spirito filosofico. Tom. 2. pag. 110 e 111.

(4)Quaestiones Tusculanae. Lib. 4.

(5)Principes de logique, pag. 236 et 237.

(6) Gicero, Orario proCLUENTIO. Cap. 53.

(7)Tepica. Lib. I.

(8)Giovan Battista Falcone (uno dei capi dei ribelli).

Giovanni Gagliani.

Federico Foschini.

Lodovico Negromonte. Giovanni Sala.

Filippo Tacilli.

Pietro Rusconi.

Giuseppe Santandrea.

Carlo Rotta.

Giuseppe Tela.

(9)Prospero Bmciacaso.

Prospero Scione, o Saluni.

Pietro o Santo Cedale.

Carlo Noce.

Agostino Ghio.

Errico Watt.

Carlo Park.

Giuseppe Mercurio.

Giovanni Cedale.

(10)Ciò risulta dall'inventario delle carte trovate a bordo del piroscafo, il Cagliari, e dagli altri documenti autentici compilati nel momento e dopo della cattura.

(11)Otto rimasero indifferenti e tranquilli.

(12)In appendice pag. 88.

(13)N. XLII dei documenti, pag. 48

(14)L. 16 ff. de rei vindicatione, L. 27. §. 9 e 11. ad L. Aquiliam, L. 7. ff. nautae, caupones eie.

(15)Exposition raisonnéc de la législation commerciale, Tom. 3, livr. 12, chap. 4, n. 4 et suivants.

(16)Cour de droit commercial, tom. 3. n. 638.

(17)Ponderazione marittima, capo 17.

(18)Dizionario ragionato di giurisprudenza mercantile, parola marinaro.

(19)L. 1. $. 1. ff. de nautis, cauponibus, et stabulari.

(20)Op. cit. parola marinaro §. 1 e 2.

(21)Gours de droit commercial, tom. 3. pag. 50 n. 129.

(22)Manuel de droit commercial pag. 328, et suivants.

(23)Dictionnaire de droit commercial v. capitani.

(24)Dictionnaire de commerce v. capitato.

(25)Dall’art. 202 e seguenti, et dall'articolo 210 e seguenti.

(26)PARDESSUS. Op. cit. n. G38, tom. 3, art. 212, LL. di Eccezione per gli altari di commercio, ed art. 211, del codice di commercio sardo.

(27)Art. 211 LL. di eccezione, ed art. 240 del codice sardo.

(28)Vedete gli articoli 7, 84 ed 85 della legge di navigazione del 25 febbraio 1826.

(29)Op. e luogo cit. n. 634.

(30)L’atto di proprietà è quello che dicesi di riconoscimento, art. 10, legge di navigazione e di commercio di sopra citata.

(31)Art. 27, 41 e 75 della suddetta legge di navigazione e di commercio.

(32)N.° VI. dei documenti nell’appendice, pag. 6.

(33)N.° XIII dei documenti in appendice, pag. 14, n.° XIV, pag. 15, e n.° XVI, pag. 17.

(34)Art. 218 11. di eccezione.

(35)Art. 216 del cod. di commercio per gli stati di S. M. il Re di Sardegna.

(36)Citato N. VI. dei documenti, pag. C.

(37)N.° IV, VI ed VIII, dichiarazioni di Sitzia. Daneri e Docci, nell appendice.

(38)N’.° XVI, dei documenti, in appendice, pag. 17.

(39)N.° VI, ed VIII, ibidem.

(40)Documenti, N.° VI, in appendice, pag. 8.

(41)Deposizione del pilota Giovanni Colonna, N.° XVIII, dei documenti, pag. 21.

(42)N.° VIII, ibidem.

(43)N.° XIII, ibidem.

(44)N.° XXVIII, in appendice pag. 46.

(45)N.° XXIII, ibidem, pag. 41. Costui è uno dei relegati evasi da Ponza.

(46)N.° VI e VII dei documenti in appendice, pag. 6, 8, 10 cd 11.

(47)N.° XVII e XVIII, dei documenti in appendice, pag. 17 a 19.

(48)Erano gli otto passaggieri rimasti neutrali, di cui parla Sitzia nella sua doppia dichiarazione.

(49)L. 121, ff, de regulis iurte.

(50) N° XI e XII dei documenti in appendice, pag. 13 a 16.

(51)I Tre feriti sono. Lorenzo Acquarone, Cesare Cori, ed Amilcare Buonomo. 1 nomi dei tre morti finora sono ignoti. Di questi tre feriti, parla pure Francesco Mascará, uno dei passaggieri imbarcato sul Cagliari, al detto del quale si riferì quasi tutto l'equipaggio (1).

(a) N.° XXII dei documenti, pag. 29.

(52)N.° XLII, e XLIII, dei documenti, pag. 46.

(53)N.° XXIV, ibidem pag. 31.

(54)N.° XXVI, ibidem pag. 33.

(55)N.° XXVII, ibidem pag. 34.

(56)N.° XXVIII, ibidem pag. 35.

(57)N.° XXIX, ibidem pag. 35.

(58)N.° XX, ibidem pag. 37.

(59)N.° XXIII, ibidem pag. 41.

(60)L. 142 il. de regulis juris.

(61)N.° XXIX, dell’inventario, segnato n.° XX. pag. 28 in appendice.

(62)DEVILLENEUVEeMASSE op. cit. voce prede marittime, pag. 1214. n.° 60.

(63)Dizionario di giurisprudenza marittima. Voce Capitano, §. 43, L. 13, §. 7, e L. 33, ff. locati, L. 2, 1. Si ventr. nominat. CONSOLATO DEL MARE, cap. 285. STRACCA de nautis, part. 3, n.° 5. Rocco Respons. 22. CASAREGIS. De commercio Discurs. 19, n.° 33, et discurs. 23, n.° 75.

(64)N.° X, e XIX, dei documenti, pag. 13 e 29.

(65)L. 3. ff. de testibus.

(66) In pandectas, in dictam legem. Aggiugnete Giovanni Voet in pandectos. tit. de testibus, ed i pratici scrittori sulla nostra procedura civile; al titolo delle pruove per testimoni.

(67) L. 10, ff. de testibus, et l. 10 cod. eodem titillo.

(68)N.° XIII e XIV dei documenti in appendice pag. 16 e 17.

(69)N.° I, ibidem pag. 3.

(70)RANTER. Cours de procédure civile française, §. 213 e le autorità che egli cita.

(71)Art. 17, 11. pp.

(72)Art. 18, 11. pp.

(73)Art. 12 e 52. 11. pp. — CHAUVAU. Thèorie du code penai, vol. 1, p. 11 e seguenti e tutti gli scrittori di diritto penale sopra questo punto di dottrina.

(74)In fine dell'appendice, pag. 72.

(75)N. LXVI, pag. 70.

(76)CASAREGIS. oper. cilat. Disc. 23. n. 67. L. 46. ff. de rei vindicatione, L. 27. s. 9 et 11. IT. ad L. Aquiliane. DROIT HANSEATIQUE. Tit. 3. art. 2.

(77)Oper. et toc. cit. §. 7. CONSOLATO DEL MARE. Cap. 55 E 195. DROIT HANSEATIOUE. TIT. 3. Art. 2. GUIDE DE LA MER. Chap. 15. N. 2. CLEIRAC. du jugement d'Oleren. §. 13. n. 9. Ordonnanec e de France du 1681, Tit. du capilain ari. 5. Targa. Ponderatione marittima cap. 14. n. 1.

(78)N.° XIX dei documenti in appendice, pag. 23.

(79)N. XXVII dei documenti pag. 45.

(80)Documento N.° XIX, in appendice, pag. 23.

(81)Argomento a contrario sensu della L. 50, ff. de regulis juris.

(82)L. 203, ff. de regulis juris.

(83)N. XXI, in appendice, pag. 29.

(84)Decreto del 31 maggio 1826.

(85) Tractatus de exceptionibus Cap.? et passum.

(86)L. 1. S 1ffde exercitoria actione.

(87)Tit. Ad L. Rhodiam, in operibus suis.

(88)Aggiugnete agli scrittori citali in quel luogo, anche Domat. Lois civiles, Livre 2. litre 8, sect. 1. per intero, e Pothier trailé des obbligations, partie 1. chap. 1. sect. 2. ’ s 2. n. 119 e seguenti.

(89)Art. 332 del codice di commercio per gli stati di S. M. il Re di Sardegna,

(90)Art. 333 ibidem.

(91)Art. 334 ibidem.

(92)Articoli 292, 293 e 294.

(93) L. 4. $3 ff. de exercitoria actione. L. 7, §4 ff. nautae, canpones, stabularii. Instit. de, obligationibus quae quasi ex delicto nascuntur.

(94)Études de droit commercial, pag. 73.

(95) In pandectas. Lib. 14 Tit. 1 n. 7.

(96)Op. cit. tom. 3, pag. 58 n.° 642.

(97)Ibidem num. 770.

(98)Droit commercial, tom. I. Pag. 337 e seguenti.

(99)Manuel du droit commercial. Pag. 414 e seguenti.

(100)Exposition résonné de la législation commerciale tom. 3 pag. 260.

(101)Dictionaire du droit commercial, v. risques, avarie, e cas sinistres.

(102)Dictionaire du commerce, v. risques, avarcè, et cas sinistres.

(103)Dizionario universale della giurisprudenza mercantile, voce preda, S 3.

(104)Chap. 7. § 1.

(105)Titre dcs assurances art. 26 e 46.

(106)Commenti sur l’ordonnance, ibidem.

(107)De mercatoribus, Decisio 101 per totum.

(108)In Anconitana assecuratione, decisio 12 febbruar: 1776, § 5. coram Mons. Ratta.

(109)In Liburnensi assecuratione, decisio, 22 Junii 1785, §16.

(110)Des assurances num. 54.

(111)De commercio quaestio l. (a) num. 135 et 137.

(112)De assecurationibus notae 41, 54, 55, 64 et 67.

(113)De commercio, discurss. 1, num. 118.

(114)Ponderazione marittima, capo 54, mini. 11.

(115)Comment. naval. capo 14, num. 27.

(116)Art. 9 del titolo XXIII parte 2. delle Ordinanze generali della Real Marina.

(117)Art. 1136 e seg. delle LL. CC.

(118)Art. 1864 LL. CC. tit. ff. mandati vel contro, et de exercitorià actione.

(119)Op. e luog. cit. e tutti gli scrittori di sopra memorati.

(120)Tomo 3 pag. 455 e seguenti.

(121)Art. 218, II. di eccezione per gli affari di commercio, ed art. 246 del codice di commercio sardo, riferiti di sopra.

(122)L. 27 ff. de legibus.

(123)L. 7 e seguenti, ff. eodem titillo.

(124)Torino, stamperia Reale, 1842.

(125)Art. 237.

(126)Articolo 244 dello stesso codice.

(127)Articolo 246 dello stesso codice.

(128)Articolo 1336 e seguenti LL. CC.

(129)Instit. tit. de exceptionibus et ibi Doctores.

(130)L. 22 Cod. de probationibus, et LL., eodem titulo al Digesto.

(131)L. 16 Cod. de probationibus.

(132)L. 1. Codicis Theodosiani, tit: de postliminio.

(133)1. 19 cod: tit. de postliminio.

(134)Comment: in dictam legcm 1.(a)codicis Theodosiani, tit. de postliminio.

(135)L. 2 et 19 ff. de captivis et postliminio reversis.

(136)N.° 22 de' documenti, pag. 19.

(137)N.° 23 de' documenti, pag. 30

(138)N.° 36 dei documenti, pag. 43.

(139)Le droit des gens toro. 1. pag. 371 § 88.

(140)Rép. et quacstion de droit, v. prises marittimes § 7 art. 1

(141)Rép. de la nouvelle législation,v. prises marittimes §4, num. 1.

(142)Op. cit. pag. 1219 §3, numeri 98 e 99 v. prises marittimes.

(143)De jure marit. et navali, lib. 2. cap. 4.° § 6.

(144)Il piroscafo il Cagliari fu predato dalle Reali fregate, e condotto nel porto di Napoli, dove tutt'ora esiste, ed in pieno mare, cioè a 12 miglia di distanza a ponente dell'Isola di Capri.

(145)Règles internationales, et diplomatiques de la mer, tomo 1 pag. 256 et 257.

(146)Traité du droit international privé, pag. 533, num. 508.

(147)De la libertà des mers pag. 250, num, 2.

(148)Précis du droit des gens moderne de l'Europe, § 322.

(149)Notes a Martens, § 322.

(150)Eléments of international low. tom. 2 par. 4. chap. 2 § 13.

(151)Articolo 105 e seguenti delle LL. PP.

(152)Articolo 1305 LL. CO. e L. 12, 13 e 14 il’, de exceptione rei iudicatae.

(153)L. 12, 13 et 14 ff. de exceptione rei iudicatae.

(154)L. 14 ff. codem.

(155)L. 27 eodem.

(156)Voet in pandectas. tit. de re judicata t et de exceptione rei judicataé, Merlin Rep. et quaest. V. choses jugées, Zachariae. Cours de droit, § 769 per totum, Marcade, Eléments du droit civil, sur l'article 1351 du code civil, art. 1305 11. cc.

(157)MERLIN. Rep. voce compétence.

(158)Artinili 105 e seguenti, delle LL. PP. e L. degli 8 marzo 1826.

(159)L. del 12 ottobre 1807.

(160)Della procedura penale tom. 3. parí. 1 § 970 pag. 987,

(161)Articolo 6 della legge del 12 di ottobre 1807.

(162)Articolo 7 della suddetta legge.

(163)Articolo 1. LL. della procedura nei giudizii penali.

(164)Articolo 2,° delle dette leggi.

(165)Parte 2.(a)tit. 23, pag. 371 e seguenti.

(166)Articolo 8 delle LL. della procedura nei giudizi penali.

(167)Vedete anche l’articolo 10 delle istruzioni sulla polizia dei 22 gennaio 1817.;

(168)L. del 25 marzo 1817, e Decreto del 31 ottobre 1820.

(169)L. del 29 di maggio 1817.

(170)L. del 2 settembre 1817, e decreti del 25 febbraio e 31 maggio 1826.

(171)Articoli 1, e 5 delle LL. di procedura.

(172)Articolo 44 LL. PP.

(173)Articolo 45 LL. PP.

(174)Articoli 35 e 44 LL. PP. ed articoli 122 e 588 delle LL. di procedura penale.

(175)Articolo 29 e seguenti delle citate Ordinanze generali.

(176)Articoli 639 e 645 LL. PP.

(177)Numero LXIII nell’appendice de' documenti pag. 67.

(178)Articolo 637 LL. di procedura nei giudizi penali.

(179)Citato articolo 637.

(180)Articoli 638 e 639 delle dette LL. di procedura penale.

(181)Articolo 615 delle medesime leggi.

(182) L. 2 Cod. de legibus, L. 7 fl'. de exceptionibus, L. 196 ff. de regulis juris L. 1 ff. de constitutionibus et rescriptis Principum. Instit. de jure natnrae,§. L. 13 Cod. de sententia et interlocutionibus. L. 1 Cod. THESDOS. tit. de rescriptis. L. 6 Cod. JUSTINIANI, tit. si contra jus, Novella 82, cap. 43, L. 4 cod. JUSTINJANI tit. de legibus.

(183)Novella 113 capo l.°.

(184)Elementa juris civilis, lib. 1 tit. 2.

(185)Traité du droit romain. Vol. 1 pag. 125 a 137.

(186)Secondo i casi preveduti dal Concordato del 1818 e dai Reali posteriori Decreti de. 18 e del 27 maggio 1857, inseriti nel giornale del Regno delle Due Sicilie del 2G giugno 1857.

(187)De inventione, num. 49.

(188)Tractatus de regulis juris, ad leg. 80.

(189)Tractatus de regulis juris, ad log. 80.

(190)L. 99 in fin. fi, de legatis 3.

(191)L. 10 IT. de manumiss. tcstanient.

(192)L. 15 e 16 ff. de legihus.

(193)L. 2 il. de exeeptionibus.

(194)Pandect. Justin. de reg. juris § 5 mira. 8.

(195)L. Al ff. de paenis.

(196)Decretates Gregorii IX, tit. de rescript, cap. 14, Pastoralis.

(197)De libera navigatione.

(198)Droit publique de l'Europe.

(199)Memoire sur le droit des prises.

(200)Dei doveri dei principi neutrali.

(201)Esprit de lais. Liv. 1 chap. 3.

(202)Giurisprudenza marittima commerciate to: 3 tit. 13 num. 253.

(203)Science du gouvcrnement to: 5 cliap. 2 num. 2.

(204)In pandeclas. Lib. 49 tit. 15 in L. XXIV.

(205)Essai concernant Ics armateurs, les prises, et sur tool Ics reprises.

(206)De dignitate scientiarum, in principio.

(207)Essais, tom. 2 pag. 352.

(208)MONTESQUIEU. De l'ésprit dcs lois Liv. 1 chap. 3.

Consultate Vico. De constantia philosophiae. Capo 15, BOEMERO, Elementa juris criminalis, sect. 1 capo 1, § 6.

(209)Sistema universale del dritto marittimo di Europa tom. 2 tit. del ricupero.

(210)Cit. op. et loc. cit.

(211)Diritto internazionale marittimo toni. 2 pag. 12.

(212)Diritto di commercio nelle sue relazioni col diritto delle genti tom. 1 pag. 628.

(213)Elementi del diritto internazionale, tom. 2 parte 4, cap. 4 § 7 pag. 11.

(214)Dialogo in Critone.

(215)ROUSSEAU. Contratto sociale lib. 2 cap. 5 e lib. 4 cap. 6.

(216)CARLO CONTE nel suo trattato di legislazione tom. 1 pag. 159 è colui che meglio à dimostrato la fallacia di questa ipotesi.

(217)Diritto della natura 0 delle genti lib. 7 cap. 1.

(218)Principi del dritto della natura e delle genti, tom. 4, pag. 84.

(219)S. Tommaso quaest. 90 art. 3. Suarez de legibus lib. 3 cap. 42.

(220)STORY. Comentario sulla costituzione degli Stati Uniti.

(221)VAUGLANS. Leggi criminali esposte nel loro ordine naturale, pag. 48 a 134. Blackstone. Comentario sulle leggi d’Inghilterra tom. 4 cap. 6. RAUTER. Droit criminel, tom. 1. Titre des peines.

(222)NIGON DE BERTY. Istoria della libertà individuale presso i principali popoli antichi e moderni pag. 337.

(223)SISMONDI. Studi sulle costituzioni de' popoli liberi pag. 60 e seguenti.

(224)GIOVANNI DE VITT. Memorie pag. 75; ed altri scrittori che per brevità tralasciamo.

(225)ROUSSEAU, lettera al marchese di MIRABEAU.

(226)Saggi, tom. 2 pag. 558.

(227)Opere, tom. 3 pag. 134.

(228)Scienza nuova lib. 1.

(229)Istoria generale della repubblica romana, lib. G, frammento 9.

(230)Dei fatti compiuti, quasi tutti i giurepubblicisti moderni ne ragionano, come in esempio. Il SERRIGNY nel diritto pubblico della Francia; il LEZARDIERE nella teoria delle leggi politiche della Francia; CHERIBOUILLEZ nelle garantie sociali. Ma specialmente se ne occupano: MICHELET. Sistema di filosofia tom. 2 pag. 21; HELLO. Filosofia della storia di Francia. Cap. 6 pag. 211 a 221, BELIME. Filosofia del diritto pag. 312 e seguenti.

(231)De iuribus Maiestatis. Lib. 15 cap. 6.

(232)Tom. 2 pag. 236 tit. delle prede, sull’art. 8.

(233)Art. 7 del Decreto del 30 agosto 1807.

(234)Articolo 1 della legge del 12 ottobre 1807.

(235)L. 118 ff. de verborum signiiìcatione.

(236)L. 21 IT. de captivis et posiliminio reversis.

(237)De jure belli et pacis, lib. 1. cap. 3 § 1.

(238)Egli nacque nel 1551, mori nel 1611. Fu gradito in Inghilterra, e professò pubblicamente nella famosa università di Oxford. Egli precorse il GROZIO, e fu lodato da lui (a).

Il celebre Macintosh ne tesse l’encomio (b). Fu avvocato perpetuo del Re di Spagna Filippo III. Di lui scrive il RAYNEVAL, che è lo scrittore il più stimato ed il più abile nella giureprudenza nazionale, poiché lo stesso GROZIO gli cede la palma (c).

Al proposito è bello e gradito risovvenirsi di CICERONE E DI TACITO.Il primo rilevava:

Ingenia vero (ut mullis rebus possumus indicare) nostrorum hominum caeteris hominibus praestiterunt. Namque semper meum judicium fuit omnia nostros aut evenisse sapientius,AUT ACCEPTA FECISSE MEMORA, quae quidem digna statuissent in quibus elaborarent (d).

Il secondo notava; non omnia apud exteros meliora, sed nostri quoque majores MULTA LAUDIS ET ARTIUM IMITANDA POSTERIS TULERUNT.

Etas suorum incuriosa, certamina ex honesto mancant (e).

(a) LERNINIER. Introduction générale à l'histoire du droit.

(b ) Discours sur l'étude du droit de la nature et des gens

(c) De la liberté des mers, tom. 2 pag. 127.

(d) De oratore Lib. 1, cap. 4 et Tusculanoe quaestiones. Lib

(e) Annales. Lib. 3. Cap. 58, et vita AGRICOLAE Capo 2.

(239)De iure belli Lib. 1 Cap. 3 et 5 et seg.

(240) Observationes juris romani lib. 5 capo 22.

(241)Epistola ad familiares. Lib. 40, epistola 1..

(242)De officiis, lib. 4, capo 2.

(243)De jure belli lib. 4, cap. 4, §2.

(244)Chiunque ecciterà la GUERRA CIVILE tra popolazione e popolazione del Regno, o tra gli abitanti di una stessa popolazione, armandoli, o inducendoli ad armarsi gli uni contro gli altri, è punito con la morte. Art. 129 LL. PP.

(245)Quaestiones juris publici, lib. 1 cap. 1.

(246) Op. et loc. cit. lib. 1 cap. 3 § 3.

(247)La legge è la 176 ff. de regulis juris cosi concepita: non est singulis concedendum quod per magistratum publice possit peri, ne occasio sit majoris tumultui faciendi.

Riscontrate sopra questa legge il comento di GIACOMO GOTOFREDO. Comment. de diversi regulis juris in dictam legem.

(248)Instit. orat. lib. 5, capo 10.

(249)Operum. Tomo 7, pag. 28 et 30, Litera E. in fine, Neapol. 1758.

(250)De jure belli et pacis, lib. 1 cap. 3, § 1.

(251)Judicum, capo n, num. 3..

(252)JUSTINUS hirtor: lib. 41, capo 4, num. 6 e 7.

(253)FLORUS histor: lib. 2 capo 17, num. 15.

(254)De Civitate Dei, lib. 4. capo 4.°.

(255)Art. 7 del detto decreto.

(256)Lexicon juridicum voce. Evidentem.

(257)De jure belli. Lib. 4, capo 13.

(258)Instit. de legatis §11.

(259)L. 7 in fine ff. de supelletile legata, L. 219 ff. de verborum obiigationibus.

(260)Art. 1 della legge del 12 ottobre 1807.

(261)Art. 2 della legge del 12 ottobre 1807.

(262)Art. 3 della citata legge.

(263)Art. 41 della medesima legge.

(264)Art. 12 detta legge.

(265)Art. 16 detta legge.

(266)Art. 18 detta legge.

(267)Giureprudenza marittima, vol. 2 pag. 20, §22 num. 1.

(268)Dritto marittimo dell'Europa, tomo 2, capo 4 delle prede.

(270)Le droit commercial dans ses rapports avec le droit des gens et le droit civil, tomo 4 pag. 167 num. 162.

(271)L. 181 ff. de verborum signifìcatione.

(272)Lexicon. Voce, pertinere.

(273)L. l, 17 § 1, et 52 ff. de adquivenda possessione.

(274)Articoli 203, 208 e seguenti LL. di eccezione per gli affari di commercio ed articoli 231, 237 e seguenti del codice di commercio per gli Stati di S. M. il Re di Sardegna.

(275)VALERIUS MAXIMUS. Lib. 5 cap. 2.

(276)Ministeriale di S. E. il Segretario di Stato Ministro di Guerra e Marina del 5 febbraio 1850 diretta all'Intendente generale della Real Marina.

(277)Num. 65 pag. 68 dei documenti in appendice.

(278)De officiis lib. 1 capo 29.

(279)De bello sacro pag. 346.

(280)De jure belli et pacis Lib. 2 capo 20, § 14.

(281) ARISTOTELES. Politica. Lib. 1 capo 8.

(282) De bello Gallico. Lib. 6 capo 23.

(283) De moribus Gcrmaniae, capo 16 num. 2.

(284) Annal. Lib. 12, capo 27, num. 3.

(285) Historiarum. Lib. 4, capo 1, num. 6. ‘

(286) DIODORUS SICULUS. Lib. 1 capo 34.

(287) PLUTARCHUS. In vita Caii Marii.

(288) Geographia. Lib. 11.

(289) Libro 14, pag. 234.

(290) In vita Cimonis.

(291) GROZIO. Oper. cit. Lib. 8, capo 2, num. 3.

(292) DIODORUS SICULUS. Lib. 20.

(293) APPIANUS. De bello mithridatico, pag. 116 et 117, Phinius hist, natural. Lib. 7, capo 24,. HUET histoire du commerce et de la navigation des anciens, chap. 36 pag. 189.

(294) De commercio, discursus 64, num. 4.

(295) De commercio, discurs. 14, num. 25.

(296)De assecurationibus, parte 4, num. 50.

(297)Parte 3 (a), num. 30.

(298)Dritto marittimo di Europa, tomo secondo, pag. 442 capitolo 5, articolo 3, e vocabolario ragionato di commercio v. Pirata, § 1.

(299)Traité des armateurs, chap. 1 § I.

(300)De la saisie de bàtimens neutres, partie 2, chap. 3 section 6.

(301)Op. cit. Parte 4. num. 50.

(302)De jure maritimo, lib. 2 capo 3 §I.

(303)Quaestiones juris publici, lib. 1, capo 17.

(304)Op. cit. discurs. 64, num. 6.

(305)De ponderatione maritima, capo 61.

(306)Op. cit. discursus 24, num. 6.

(307)Numeri 5 e 6.

(308)SAVERIEN,dictionnaire de marine, voce PIRATA e CORSARO, PARRILLI vocabolario militare di marineria, voce filibustiere. BALLERINO dizionario militare, voce pirata e filibustiere.

(309)Op. et loc. cit.

(310)Droit publique de l’Europe, tom. 2 pag. 417.

(311)Trattato dei doveri dei principi neutrali, cap. 9, $ 8.

(312)Le droit commercial, tom. 1, pag. 153.

(313)Régles internationales et diplomaties de la mer. Tomo 1, pag. 257.

(314)Legge per la sicurtà della navigazione e del commercio marittimo del 10 aprile 1825 presso GOUIET ET MERGER. Dictionnaire du droit commercial, mot pirate, et piraterie, pag. 177 et suivants, e presso ORTOLAN. Op. cit. Tom. 1, pag. 434, in appendice.

(315)De officiis Lib. 3 capo 6.

(316)Quaestiones juris publici. lib. 1 cap. 3.

(317)De jure belli. Lib. 3 capo 9, § il.

(318)De commercio. Citato discorso 21, num. 6.

(319)Dizionario universale della giurisprudenza mercantile. Voce Pirata, § 6, e gli scrittori esso cita, ORTOLAN, opera cit. tom. 1, pag. 253.

(320)Op. cit. Parola preda, § 2.

(321)Op. cit. Lib. 3 cap. 3 S 1 e capo 17, $3.

(322)De navibus, capo 1 § 9.

(323)Mare alausum, Lib. 2 cap. 20.

(324)Droit des gens, line 3 chap. 7, § 3.

(325)Dei doveri dei Principi neutrali, capo 9 $ 2.

(326)De la saisie, tomo 1, par. 2, cap, 3, § 5.

(327)Art. 23 de. lla legge del 12 ottobre 1807.

(328)Real. Science du gouvernement, vol. 5, chap. 2, num. 2.

(329)Pro Milone.

(330)Op. cit. Lib. 1 cap. 13, de necessaria de tensione.

(331)Op. cit. De utili defensione capo 14.

(332)Le droit des gens. Tom. 2, § 28, pag. 93.

(333)Decisione del 6 agosto 1832 presso DIVILLENEUVE Journal du palais tom. 38, par. 1 pag. 578.

(334)Ibidem pag. 591.

(335)Ibidem tom. 39 par. 2 pag. 237.

(336)Traité de l'action publique et civile § 845 et 816.

(337)MERLIN rep. v. prise marittime § 4.

(338) Moniteur universel. Samedi 8 septembre 1832, num. 252,t pag. 1662 e seg.

(339)Op. cit. Tomo 1 pag. 307 e 308, ed ANNALI MARITTIMI E COLONIALI DELLA FRANCIA, ANNO 1832, part. 1 pag. 579.

(340)Art. 240 e 241.

(341)Art. 242 del codice di commercio per gli stati di S. M. il Re di Sardegna.

(342)Art. 244 ibidem.

(343)Articoli 212, 213, 214, 215 e 216.

(344)Num. 37 dei documenti pag. 45.

(345)Num. 37 dei documenti, pag. 45 e 46.

(346)Num. 20 dei documenti foglio 25 al num. 2, num. 5, faccia 24.

(347)Riscontrate la deposizione del macchinista inglese Errico Watt, num. XXIII dei documenti pag. 30.

(348)Articoli 332 e seguenti del codice di commercio Sardo, ed articoli 392 e seguenti delle LL. di eccezione per gli affari di commercio.

(349)Num. 40 dei documenti pag. 46.

(350)Articolo 13.

(351)Articolo 4 della citata legge.

(352)Queste notizie si raccolgono dalle carte di bordo rinvenute sul Cagliari. Riscontrate il num. XX de' documenti pag. 23, e di tal numero, i num. XXV e XXVI, pag. 32 e 43.

(353)Citato num. XX, pag. 23, e di tal documento i numeri XXII e XXIX.

(354)Ibidem XXVII, XL, XLIV e XLIX.

(355)Articolo 20 della citala legge del 12 ottobre 1807.

(356)Vedete il citalo numero 20 dei documenti pag. 23.

(357)Num. 2 de' documenti, pag. 2.

(358)Articolo 7 del titolo XXIII, delle prede, seconda parte delle Ordinanze generali della Real Marina del 1 ottobre 1818.

(359)Art. 23 Legge del 12 ottobre 1807 sulle prede marittime.

(360)Num. Il e 111 dei documenti, pag. 2 e 3.

(361)Num. XXI e XXV de documenti pag. 38 e 42.

(362)Num. VIII e XIII dei documenti, pag. 9 e 14.

(363)Detto num. VIII.

(364)Num. XXV, XLII e LVIII, pag. 42, 48 e 63.

(365)Num. XXIX, XXV, XXIII, XLII, XLIII de documenti, pag. 17, 35. 41, 48 e 49.

(366)Num. XVIII de' documenti pag. 19.

(367)Num. VI, XVIII e XXVI de' documenti, pag. 6, 19, 43 e 44.

(368)Citato num. VI.

(369)Citato num. XXVI.

(370)Citato num. XLII.

(371)Citato num. VIII, pag. 6. È Vincenzo Rocci capitano in secondo del Cagliari che lo attesta.

(372)È isola di pena, dove sono trattenuti i condannati ai ferri: certa per associarli all'impresa.

(373)Num. XXII, pag. 38.

(374)Era un rivoltoso vestito di rosso.

(375)Num. I, III e LVIII pag. 1, 3, e 63.

(376)LIX, pag. 60.

(377)Num. XVII, XVIII, XL e seg. de' documenti, pag. il, 49, 50 e seg.

(378)Tomo 2, servizio di mare.

(379)Art. 1 a 20.

(380)Art. 19 luogo cit.

(381)Articoli 10 e 27 della legge e statuto penale per le infrazioni dei regolamenti sanitari.

(382)Num. XXV XXVI dei documenti pag. 42 e 43.

(383)Op. cit. v. Pirata, pirateria, pag. 177, numero 2. Vedete BEAUNSANT. Droit commercial, num. 199, DUVERGIER. Collection des lois, tomo 25, pag. 63.

(384)Articolo 2, $ 2 detta legge.

(385)Articolo 4 della suddetta legge.

(386)GROZIO. Oper. cit. Lib. 3 cap. 12 et 13.

(387)Histor. natur. Lib. 26. cap. i.

(388)REYNEVAL. Instit. du droit de nature et dea gens. Lib. 26 cap. 4.

(389)Lex Rhodia, in ff. hoc titulo.

(390)PIANTANIDA. Giureprudenza marittima commerciale, tom. 3 tit. 2 delle prese $ 12«

(391)RAYNEVAL. Istituzioni del diritto di natura, lib. 26 cap. 4.

(392)Articolo 3.

(393)Articolo 5.

(394)Art. 1 ed 11.

(395)Art. 20.

(396)Art. 20.

(397)Tomo 2 pag. 371, tit. 23.

(398)Art. 1, 2, 4, 23 e seg. del detto titolo.

(399)Quelli voluti dall’art. 214 delle LL. di commercio, il quale numera le carte che i capitano del legno mercantile è obbligato di tenere a bordo.

(400)Corso di dritto commerciale, num. 634.

(401)Elements of irternat. low vol. 2, pag. Ri.

(402)Ponderazione marittima, capo 56,

(403)Op. cit. vol. 3, pag. 127, num.

(404)Dritto marittimo universale, delle prede, tom. 2, pag. 282, e seg.

(405)Op. cit. tom. 1 tit. 1 cap. 2.

(406)Regole internazionali, o diplomazia del mare, tom. 2, pag. 44 e 288, e gli altri autori che esso adduce.

(407)Oper. cit. tom. 2 pag. 45.

(408)Droit des gens moderne § 252.

(409)Art. 246, 251, 256, 251, 292, 293 e 342 LL. di eccezione per gli affari di commercio.

(410)Art. 332, 333, 380 e 383 del codice di commercio per gli Stati di S. M. il Re di Sardegna.

(411)Art. 2 e seg. della suddetta legge.

(412)Decisio 445.

(413)Opera cit. toni. 2. cap. 4 delle prede.

(414)Art. 11 e seg.

(415)Luogo cit.

(416)§ 13 del doppio avviso del Consiglio profferito in quell'occasione.

(417)Reale rescritto di approvazione del di 8 maggio 1849, num. LXII dei documenti pag. 66.

(418)Enciclopedia ramo marino, toni. 3, pag. 256. Ammarinare significa mettersi in possesso di un bastimento predato, mandandovi un uffiziale con alquanti uomini a bordo.

(419)Dizionario ¡storico e pratico di marina, tom. 2 pag. 255.

(420)Art. XI della legge del 12 ottobre 1807.

(421)Giureprudenza commerciale, vol. 2 pag. 20 § 42, num. 4.

(422)Traité des prises. di amendue.

(423)Répért. V. prises mariltimes, § 3 num. 4.

(424)Rép. ibidem, § 4.

(425)Diplomatie de la mer tomo 4, pag. 480.

(426)Dictionaire du droit commercial V. prises marittimes, $4, num. 2.

(427)0p. cit. § 4, num. 2.

(428)Dritto marittimo di Europa, tomo 2, pag. 286.

(429)Discurs. 175, num. II.

(430)De jure territoriali, cap. 3, num. 4.

(431)De jure maritimo, lib. 1, cap. 8, num. 10.

(432)Dizionario universale ragionato della giurisprudenza mercantile, parola, porto.

(433)Loco cit. § 3.

(434)§ 4.

(435)L. 59. ff. de verborum significatone.

(436)Art. 196 num. 2 delle LL. di eccezione per gli affari di commercio.

(437)Consultate PARDESSUS, MASSE, MONCALVYeGERMAIN; Analisi ragionata del codice di commercio, VINCENS Esposizione ragionata della legislazione commerciale, sui privilegi sopra i bastimenti. E tra gli antichi, VALIN sull'ordinanza della marina del 1681 al tit. de' porti.

(438)Cap. 287, pag. 378 di sopra riferito.

(439)De commercio dis. 174, num. 11.

(440)Op. cit. lib. 3 cap. 3 S 1.

(441)Trattato delle prede, cap. 4 Sez. 3.

(442)De jure naturae et gentimn lib. 4, cap, 5, § 6 e 7.

(443)Trattato delle prede par. 5, cap. 13 e 1G e par. l.(a) cap. 4, 815.

(444)Trattato delle assicurazioni cap. 12, sezione 23.

(445)Dritto marittimo universale, toni. 1, cap. 1, art. 1 e 3, e tom. 2 cap. 4$4.

(446)Opera cit. tom. 1, num. 358 e seg.

(447)Instit. Lib. 2 tit. de rerum divisione et de adquirendo earum dominio § de inventione, EINECCIO. Recitationes. Lib. 2 tit. 1 S 442 e 443.

(448)Num. LXVI pag. 70.

(449)Num. Il e 111 dei documenti, pag. 2 e 3.

(450)Art. 29 e seguenti del citato titolo XXII delle prede. Parte 2 delle Reali Ordinanze del 1 ottobre 1818 approvate con Real decreto della stessa data.

(451)Art. 3, 4, 5, 0, e più articolo 11.

(452)Art. 6 del decreto del 30 agosto 1807, per lo stabilimento di un Consiglio di prede marittime,

(453)Articolo 12 della Legge del 2 settembre 1817 sulla giurisdizione giudiziaria per le prede marittime.

(454)Articolo 13 della suddetta legge.

(455)Articolo 1 del decreto del 31 maggio 1826, col quale è regolata la procedura presso le Commessioni di prima istanza e del Consiglio delle prede marittime.

(456)Articolo 96 dello statuto penale per l'annata di mare.

(457)Articolo 106.

(458)Articolo 107.

(459) L. 26 ff. de legibus.

(460)L. 27 ff. eodem titillo.

(461)L. 28 il’, eodem.

(462)Il cittadino romano riuniva la partecipazione univoca del diritto civile, pubblica, e sacro. Per lui l'elemento religioso era intrinsecato nella sua capacità civile ea in ogni funzione ed esercizio che da esso dipendeva. DIONIGIdiALICARNASSO. Lib. 1 antiquit. POLIBIO. Histor. lib. 6 CICERONE. De divinai. lib. 1 cap. 12. De legibus lib. 2, cap. 15. De natura deorum, lib. 3, cap. 2.

HERBERT. De religione gentilium. pag. 216.

GUIGNAUD. Des religions des anciens.

Vico. De principio uno et line uno. Scienza nuova, passim. Le idee arcane, ma vere dell'immenso napolitano sono ampiamente dichiarate da EMMANUELE DUNI, Origine e progressi del cittadino romano e del governo civile di Roma, passim, e da suo fratello SAVERIO DUNE Della giureprudenza universale, massime nel vol. 2 pag. 270 e seguenti.

Tra i moderni, primeggiano nel dichiarire il VICO, GUSTAVO HUGO. Hist. romaine. BERTOLDO NIHEBUR. Hist. romaine tom. 1 per tolum, eCARLO FEDERICO SAVIGNY. Hist. rom. an moven àge tom. 1 passim, VALERIANE Sulle XII tavole cap. 1, 2 e 3.

(463)Famulatus a fama virtulis, vel a famulis.SAVERIO DUNI loc. cit. e le tante dottrine che arreca. Nacque perciò la idea progressiva, ma complessa della domus, della familia, della gens romana.

GAIO com. juris civil. lib. 1 e lib. 2 § 87. ULPIANO. Liber Regul. tit. 19, $ 18: adquiritur autem nobis etiarn per eas personas quas in potestate, manu, mancipioque habemus. Nozioni eminentemente dichiaratrici della natura essenziale della primitiva fondazione organica della ragion di Roma, a noi concesse dalla Provvidenza nella discoperta di molti documenti, e segnatamente de' comentari di GAIO giureconsulto, e pei quali tanto si abbella e tanto presume la moderna scuola germanico-francese.

(464)Ottimamente dice il nostro GIANVINCENZO GRAVINA, che sono conseguenze necessarie del jus patriae potestatis, le tutele, i testamenti, le sostituzioni, le successioni, le adozioni ed ogni altra attualità del diritto civile quiritario. De orlu et progressi juris civilit. Cap. 1. 2. 3.

(465)Instit. tit. 9. De patria patentate.

Il padre di famiglia nel santuario del suo domicilio, era giudice e legislatore der figli suoi: index domestieus lo dice SENECA. Controv. 2 eap. 3, ed altrove domestieus magistratus. De benefì. lib. 3, eap. 2; censor filli lo addimanda SVETONIO. Claud. eap. 16. Consultate gli esempi recati da VALERIO Massimo. Lib. 5, eap. 2, da SALLUSTIO. De Bello Catilin. § 39. PLUTARCO scrive che Bruto condannò i figli suoi, non come consolo, ma come padre. Vita Publicolae.

(466)Adversus hostes aeterna auctoritas etto. Tab V. duodecim tabularum.

Sulla parola auctoritas molto si disputa. GUSTAVO UREO sull'autorità di CICERONE pro Caccina, 19, Topic. lib. 4, stima essere l'uso civile, o il possesso civile per acquistare. Teofilo aveva detto altrettanto. Instit. lib. 2, cap. 6. BOEZIO, aveva annunziata la stessa opinione. Ilist. roman. p. 75 not. 3, GOTOFIIEDO, GRAVINA ed altri nei loro comenti alle leggi delle dodici tavole avvisarono che auctoritas equivaleva alla virtù delle leggi. Ma il sentimento di ORTOLAN. Esplicatimi liisluriquc des instituts. Livre 2 lit. 1, è il più pellegrino, ma il più vero ed al tempo stesso il più giuridico. Egli assume, che auctoritas significa difesa, garantia, cautela; in guisa che egli traduce la formola decemvirale in queste frasi: pei quiriti sta contro gli stranieri eternamente la garantia delle leggi: in altri termini le leggi della città di Doma sono avverse a chi non è romano. In questo senso appunto VENULEIO adopera la parola auctoritas nella L. 72 ff. de evictionibus. Sempre la cosa ritorna ai suoi fonti originari.

(467)Instit. lib. 1 tit. 2 § 1.

(468)Il titolo delle Istituta, per quas persona«cuique adquiritu, contiene le regole di co siffatta dottrina.

(469)Che patissero i servi Io descrive SENECA. De ira lib. 3 cap. 40. De clementia lib. 1 cap. 18, PLINIOHist. lib. 9 cap. 39. DIONE CASSIOHist. 2 cap. 54. PLUTARCO Vita Flaminii. BODINO. De república p. 38. Aggiugnete quanto ne dico TROPLONG. De l’influence dii Christianisme sur le droil civil des romains. pag. 147etsequ. Perciò PAOLO giureconsulto distinguendo nel servo le due personalità, fisica e civile, osserva che quod allinei ad ins civile servi pro nullis habentur: non autem et iure naturali; quia quod ad ius naturale attinet, omnes homines acquala sunt. L. 23 ff. de D. I. quindi le massime crudeli della morte civile dei servi, L. 209 ff. eod. lit. Instit. tit. de capite deminutis § 4; e quasi l’incredenza di potere appartenere il servo alla specie umana: o demens ita. servashomo est? alluse satiricamente GIOVENALE Sat. VI vers. 221.

(470)Le umane massime registrate sotto i titoli de liberali causa al digesto, e de Ingenui«nelle istituta di GIUSTINIANO.

(471)Cap. 31.

(472)Antiquit. lib. 2 pag. 103. Annal. lib. XI cap. 24.

(473)Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Lib. 2 cap. 3.

(474)Hist. Lib 1 cap. 29 et 33.

(475)SENECA. Epist. 47.

(476) Servi autem ex eo appellati sunt quod imperatore captivosvendere iubent, ac per hoc servare, nec occidere solent; qui etiam mancipio dicti sunt, eo quod ah hostibus manu capiuntur, Instit. Lib. 1 tit. 3. Dejurepersonarum § 3.

(477)CARLO SIGONIO. De antiquo jure ital. Lib. 1 cap. 4, CRISTIANO SCHWARZIO. Dissert. de jure italie. GIRAND. Histoire du droit romainc. pag. 65 et suiv. NIHEBUR. od. cit. tom. 3. NICCOLÒ RIGAULT, ed ISMAELE BOUILLAND Disput. de populis fluidi in Thesaur. GRAEVII tom. 2 p. 1925.

DIRSENeMAREZOLL in tabul. Horacheens. HAUBOLD. Epicrisis ad calccm mtiquit. romanar. Heineccii. In append. cap. 1 de iure quirit. et civitatis, et lnstit. histor. dogmat. tom. 2 pag. 36. MACEIOWSKI. Hist. jur. rom. p. 74 SAVIGNY. Hist du droit romain au moven àge tom. 1, pag. 48, HOLVEG. De causae probalione. NAUDET. Des changements opérés dans l'administration de l’empire romain. tom. 1 pag. 44. BEAUFORT De la republique romaine liv. 8, cap. 4, MICHELET, bist. romaiu. toni. 1, pag. 296. Roth de re municipali romanorum passim.

(478)CATONE il censore e CICERONE, non erano romani, ma municipi di Tuscolo e di Arpico. Avevano due patrie, l’una di natura, e l’altra di città. CICERO. De legib. lib. 2 cap. 2.

Pro Milone cap. 37. Epist; ad famil. lib. 13. Epist. 11. AULO GELLIO. Noct. attic. Lib. 16 cap. 13. SPARZIANO. Vita Adriani. Cap. 20. ULPIANO lib. regolar, cap. 20 g 14.

(479)SAVIGNY. De jure civitatis.

(480)L. 17 ff. de statti hominum.

(481)Philipp. IV. cap. 6.

(482)De lingua Latina lib. 4.

(483)De Officiis. Cap. 12 lib. 1.

(484)Loc. cit. cap. 29.

(485)0p. cit. lib. 3 cap. 4.

(486)Orat. pro Domo sua cap. 25.

(487)lnstit. Orat. lib. 2 cap. 2.

(488)De arte amandi vcrs. 461.

(489)Trag. Ilerc. act. 1 vers. 21.

(490)PRO LIGARIO. Cap. 6.

(491)In Catilin. Orat. 3, cap. 10.

(492)Hist. lib. 3 cap. 22.

(493)L. 5 ff. De capite minutis.

(494)L. Uit. ff. ad L. Juliam Majestatis.

(495)HUBERUS. Praefectiones tom. i. pag. 148.

(496)L. ult. ff. ad legem Juliam Majestatis.

(497)Apologeticum, capo 2.

(498)Lexicon.

(499)Tacit. Hist. lib. 1. cap. 85.

(500)Spartianus in Severo.

(501)De bello Catilinario §. 59, 60 e 61.

(502)De bello civili, passim.

(503)De Officiis, lib. 1.° cap 29.

(504)V. TIENENin Disputat. ad Tit. Instit. de adquir. rer. dominio. V. Rosimi Antiquit. Romanae.

(505)Basilicorum libri apud Mcerman, Thesaur. Jur. civ. et Michaelis Ataliatae, Svnopsis legum.

(506)De iure belli, lib. 1. in princ,

(507)L. XXI ff. de captivis et postliminio reversis.

(508)QUINTILIANO. De institutione oratoria. Lib. 5. cap. 10.

CUIACIO. Tom. 9. pag. 1319 e 1320 Litera C.

EINECCIO, CIRILLO e tutti gli altri cementatori, al titolo delle istituzioni di GIUSTINIANO, de jure personarum.

(509) De officiis. Lib. 2. cap. 2.

(510)CUIACIO. Operum, tom. 7, pag. 28 1. c. e pag. 30 l e. in fine.

(511) De jure belli et pacis lib. 3. cap. 3. §. Traduzione di BARBEVRACHIO, e dippiù le sapienti note di questo illustre scrittore.

(512)AULO GELLIS noct. act. Lib. 4, cap. 2, e lib. 7 cap. 4.

(513)L. 4. cod. de ingenuis.

(514)Ned. att. lib. 4. cap. 2 e lib. 7 cap. 4.

(515)Epist; 47.

(516)Historia natur. lib. 35 cap. 17 e 18.

(517)Histor. lib. 3 § 34.

(518)De bello civili lib. 5.

(519)CAESAR. De bello civili. Lib. 2 cap. 14.

(520)Op. cit. lib. 1 cap. 37.

(521)Historiar. Lib. 2 cap. 15 e 42.

(522)CARD. DE LUCA de regai. disc. 120 num. 5.

(523)MACKINTOHS. Discours sur l'étude du droit da la nature et des gens p. 4 n. 12.

(524)Opere, tom. VI, 1 part. pag. 27 edit. Dutent.

(525) Cit. L. XXI ff. de captivis.

(526) De jure belli. Lib. £ cap. I in medio.

(527)De iuribus Maiestatis. Lib. 1, cap. 33, § 78 e 79.

(528)Note a GROZIO. Traduzione del diritto delle guerra e della pace, tom. 1, lib. 3, cap. 6, nota d.

(529)Elementia jurisprudentiae. Lib. 1. Cap. 6.

(530)Principe du droit de nature et des gens tom. 8 part. 4 chap. 7, n. 5 e 16.

(531)Not. 145.

(532)Droit des gens liv. 3 cap. 18 § 293.

(533)Opera citata. Lib. I cap. XVI.

(534)Oper. et loc. citato.

(535)Droit des gens moderne de l'Europe tom. 2 pag. 235 e 237. Nota A.

(536)Nota ai paragrafi 293 e 296 del capitolo del VATTEL di sopra riferito.

(537)Politica L. 1 cap. 5.

(538)De officiis L. 1 cap. 3. De inve. ntione L. 3 et pro Milone cap. 27.

(539)De Republica L. 1 cap. 1.

(540)Del principe cap. 4.

(541)L. Ex non iure il. De justitia et iure. Bartolo in L. hostes ff. de captivis.

(542)L. 1 ff. De adquirendo rerum dominio.

(543)FRANCESCO OTTOMANO Illustr. quaest. 5 cap. 10. Gentil, de jur. belli loc. cit.

(544)Oper. cit. Lib. 5 cap. 10.

(545) Elem. jur. naturar, et gent. Lib. 2 cap. XX.

(546)BALDASSARRE AYALA. De iure et officiis belli. Lib. 4 cap. 2.

(547)Historiar. Lib. 1 cap. 28.

(548) Histoires des Suisses, passim.

(549)Anuales lib. 2.

(550)Istoria della independenza di America, passim.

(551)Tableau des revolutions de la Belgique, passim.

(552)Histoire de la guerre des Grecs, passim.

(553)Mémoircs du due de Rohan, passim.

(554)GROZIO Annales. Loc. cit. VATTEL. Op. et loc. cit.

(555)MAINBOURG. Ilistorie du Calvinismo. Lib. 4 cap. 4 Dictinnaire des Iléretiques, roc. v. Huguenats.

(556)Registro di Carlo II presso il Regio generale archivio n. 1291, fo). 183 n. 4. NICCOLO SPECIALE. Historia Siciliae, lib. 2 passim. NICCOLÒ PALMIERI. Saggio storico sulla costituzione del regno di Sicilia, passim.

(557)ANGELO DI COSTANZO. Istoria del regno di Napoli. CAMILLO PORZIO, Congiura de' baroni del regno di Napoli, GIOVANNI ALBINO De bello intestino, in omnibus subinde possim.

(558)Il suddetto Regolamento di blocco fu pubblicato per tenore nel giornale uffiziale del 17 aprile 1819.

(559)Num. LXIV de' documenti, pag. 68, Ministeriale del 9 giugno 1840.

(560)§ 11, Lettera A. ed E.

(561)§ 6. Lettera A.

(562)§ 2 e 3.

(563)§ 7, 9, 13, e 14.

(564)§ 11, Lettera A. e E.

(565)§ 17 e 18.

(566)BYNKERSHOECK. Quaestiones juris publici, lib. 1 cap. 2. ERRICO COCCEI, de ]ure belli in amiros, § 788. LOCCENIO de jure maritimo, lib. 2, cap. 3. Gents mémoires, pag. 432. KLUBER, op. cit. § 297. Lucchesi Palli, Principi del dritto pubblico marittimo, pag. 180. Masse, op. cit. tom. 1 pag. 275 e seg. ORTOLAN op. cit. pag. 76 a 288.

(567)Avviso del Consiglio di Stato del 27 di novembre 1823 approvato dal di dicembre dello stesso anno.

(568)Cours de droit français tom. 1 pag. 43 titre prélim. not..

(569)LL. 27 e 28 ff. de legibus.

(570)Vedete le disputazioni compiute di sopra.

(571)MAILHER DE CHASSAT. Della interpretazione dichiarativa della legge part. 3; e gl'innumeri scrittori che esso cita.

(572)Tesoro di giureprudenza, voce qualità, num. 42.

(573)Lib. I, consig. 138, num. 50.

(574) Consiglio 87, num. 3.

(575)De arbitrariis judicant, lib. Centur. 1 cas. 84, num. 9.

(576)Allegatio 3, num. 24 e 25.

(577)Observationes practicae, lib. 2 observatio 6, num. 6.

(578)In pandectas, tom. 1 tit. de legibus, num. 17.

(579)De retrospedione legum, aphorismus 51.

(580)Giova allo assunto l’art. 115 della legge del 25 marzo 1817.

(581)Vedete n. VI dei documenti in appendice pag. 8.

(582)Una cassa aperta contenente cinquanta canne di fucili.

Una detta chiusa che si diceva contenere benanche cinquanta fucili.

Nove fucili a due colpi — carichi.

Quattro detti ad un colpo, e due di munizione— carichi.

Una carabina—carica.

Un Boccaccio — carico.

Due pistole — cariche.

Una sciabla.

Una cassetta di munizione contenente pochi razzi per segnali.



















Pisacane e la spedizione di Sapri (1857) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito
1851 Carlo Pisacane Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49
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1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. I HTML ODT PDF
1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. II HTML ODT PDF
1860 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. III HTML ODT PDF
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1849

CARLO PISACANE Rapido cenno sugli ultimi avvenimenti di Roma

1855

La quistione napolitana Ferdinando di Borbone e Luciano Murat

1855

ITALIA E POPOLO giornale politico Pisacane murattisti

1856

Italia e Popolo - Giornale Politico N. 223 Murat e i Borboni

1856

L'Unita italiana e Luciano Murat re di Napoli

1856

ITALIA E POPOLO - I 10 mila fucili

1856

Situation politique de angleterre et sa conduite machiavelique

1857

La Ragione - foglio ebdomadario - diretto da Ausonio Franchi

1857

GIUSEPPE MAZZINI La situazione Carlo Pisacane

1857

ATTO DI ACCUSA proposta procuratore corte criminale 2023

1857

INTENDENZA GENERALE Real Marina contro compagnia RUBATTINI

1858

Documenti diplomatici relativi alla cattura del Cagliari - Camera dei Deputati - Sessione 1857-58

1858

Difesa del Cagliari presso la Commissione delle Prede e de' Naufragi

1858

Domenico Ventimiglia - La quistione del Cagliari e la stampa piemontese

1858

ANNUAIRE DES DEUX MONDES – Histoire générale des divers états

1858

GAZZETTA LETTERARIA - L’impresa di Sapri

1858

LA BILANCIA - Napoli e Piemonte

1858

Documenti ufficiali della corrispondenza di S. M. Siciliana con S. M. Britannica

1858

Esame ed esposizione de' pareri de' Consiglieri della corona inglese sullaquestione del Cagliari

1858

Ferdinando Starace - Esame critico della difesa del Cagliari

1858

Sulla legalità della cattura del Cagliari - Risposta dell'avvocato FerdinandoStarace al signor Roberto Phillimore

1858

The Jurist - May 1, 1858 - The case of the Cagliari

1858

Ricordi su Carlo Pisacane per Giuseppe Mazzini

1858

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RIVISTA CONTEMPORANEA - Carlo Pisacane e le sue opere postume

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POLITECNICO PISACANE esercito lombardo

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LOMBROSO 03 Storia di dodici anni narrata al popolo (Vol. 3)

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1863

Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

1863

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1864

NICOLA FABRIZJ - La spedizione di Sapri e il comitato di Napoli (relazione a Garibaldi)

1866

Giuseppe Castiglione - Martirio e Libert࠭ Racconti storici di un parroco dicampagna (XXXVIII-XL)

1868

Vincenzo De Leo - Un episodio sullo sbarco di Carlo Pisacane in Ponza

1869

Leopoldo Perez De Vera - La Repubblica - Venti dialoghi politico-popolari

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BELVIGLIERI - Storia d'Italia dal 1814 al 1866 - CAP. XXVII

1873

Atti del ParlamentoItaliano - Sessionedel 1871-72

1876

Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

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Gazzetta d'Italia n.307 - Autobiografia di Giovanni Nicotera

1876

F. Palleschi - Giovanni Nicotera e i fatti Sapri - Risposta alla Gazzettad'Italia

1876

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AURELIO SAFFI Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini (Vol. 9)

1878

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1880

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1883

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1885

Antonio Pizzolorusso - I martiri per la libertࠩtaliana della provincia diSalerno dall'anno 1820 al 1857

1886

JESSIE WHITE MARIO Della vita di Giuseppe Mazzini

1886

MATTEO MAURO Biografia di Giovanni Nicotera

1888

LA REVUE SOCIALISTE - Charles Pisacane conjuré italien

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FRANCESCO BERTOLINI - Storia del Risorgimento – L’eccidio di Pisacane

1889

BERTOLINI MATANNA Storia risorgimento italiano PISACANE

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Decio Albini - La spedizione di Sapri e la provincia di Basilicata

1893

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Carlo Tivaroni - Storia critica del risorgimento italiano (cap-VI)

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PAOLUCCI ROSOLINO PILO memorie e documenti archivio storico siciliano

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GIUSEPPE RENSI Introduzione PISACANE Ordinamento costituzione milizie italiane

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LUIGI FABBRI Carlo Pisacane vita opere azione rivoluzionaria

1908

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1908

RISORGIMENTO ITALIANO - Lettera di Carlo Cattaneo a Carlo Pisacane

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - I tentativi per far evadere Luigi Settembrini

1911

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1912

 MATTEO MAZZIOTTI reazione borbonica regno di Napoli

1914

RISORGIMENTO ITALIANO - Nuovi Documenti sulla spedizione di Sapri

1919

ANGIOLINI-CIACCHI - Socialismo e socialisti in Italia - Carlo Pisacane

1923

MICHELE ROSI - L'Italia odierna (Capitolo 2)

1927

NELLO ROSSELLI Carlo Pisacane nel risorgimento italiano

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - CODIGNOLA Rubattino

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano





Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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