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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

Socialismo e socialisti in Italia

Storia completa del movimento socialista italiano

1850 al 1919 compilata dal Prof. ALFREDO

ANGIOLINI e dal pubblicista EUGENIO CIACCHI

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“Il socialismo è il sole dell'avvenire”

GARIBALDI

CASA EDITRICE NERBINI

FIRENZE

1919

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

CARLO PISACANE

Chi merita più di ogni altro il nome di socialista, chi primo in nome del socialismo sa darci una ricostruzione sociale, con rinnovati concetti di economia, di morale e di politica, è Carlo Pisacane.

Egli nacque a Napoli il 22 aprile 1818 da Gennaro, duca di San Giovanni, e da Nicoletta Basile de Luna. Quando toccava appena i sei anni rimase privo del padre; ma dalla madre ricevé quell’educazione e quell’istruzione che al suo grado si convenivano; e poiché il giovanetto aveva specialmente inclinazione alle cose di guerra, fu posto nel 1831 al collegio della Nunziatella di Napoli, ove i giovani nobilissimi e i figli de’ militari si educavano alla professione delle armi. Carlo primeggiò sempre fra i suoi condiscepoli e specialmente nelle matematiche fu lodatissimo. A quel tempo fu pure per quattro anni paggio nella casa reale, conservando però sempre animo incorrotto e non lasciandosi sedurre, benché giovane, dai costumi cortigianeschi.

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Carlo Pisacane

Uscendo dal collegio nel 1839 desiderava ardentemente militare nella cavalleria, ma non potè essere appagato e allora fece per si mesi le prime prove a Nocera come soldato gregario; dopo fu ammesso col grado di sotto tenente nel corpo del genio. In breve la fama che correva di lui quale abilissimo ingegnere indusse il capitano Fonseca a chiederlo come aiuto a condurre la strada ferrata da Napoli a Caserta. E quell’ufficio egli adempié con soddisfazione de’ suoi superiori. finché stanco de’ modi aspri e superbi di Fonseca, domandò d’esserne dispensato e l’ottenne. Ma, quasi per punizione, lo assegnarono negli Abruzzi, dove rimase quindici mesi; restituitosi poi a Napoli fu promosso al grado di primo tenente. Poco dopo fu richiesto dal capitano Gonzales per dirigere una strada all’Antignano e là si recava. Nel tempo che fu a Napoli gli occorse un caso atroce e degno di essere ricordato. Una sera, mentre a tarda ora rincasava, ecco d'improvviso uu ladro scagliarglisi addosso e minacciarlo della vita, se non gli desse tutto il denaro che possedeva. Non era Pisacane uomo da sostenere ingiuria o violenza, e sebbene inerme di fronte ad un aggressore armato, non esitò: si gettò risoluto sul malandrino per abbatterlo. Forte ed agile come egli era. vi sarebbe riuscito, senonché il malandrino, vistosi a mal partito, lo colpì due volte col trincetto nel ventre e nel fletto. Pisacane cadde a terra, ferito gravemente all’ala destra del fegato. Invano chiese soccorso ai passanti, nessuno si curò di lui, e solo, senza aiuti, dové condursi alla sua abitazione. immerso nel proprio sangue. I medici giudicarono la ferita mortale e dissero non esservi luogo a speranza. Ma, pel vigore straordinario del colpo e dell’animo, l’eroe risanò, di che uno de’ chirurghi, certo Cohizzo. non finì mai di far meraviglie e disse esser per fermo quell’uomo serbato a grandi imprese, poiché aveva superato un pericolo da nessun uomo ordinario superabile.

Pertanto, recatosi Pisacane col capitano Gonzales all’Antignano vi rimase, finché l'8 febbraio del 1847 non partiva da Napoli. E partiva per ragione d'amore, che è d'un certo interesse accennare.

Già più giovane, nel 1830, aveva conosciuto una fanciulla dell'età sua della quale perdutamente s’innamorò. Né quell’affetto fu da lui dimenticato coll'andar del tempo, anzi crebbe sempre e arse più violento, quando egli, uscito dal collegio, trovò quella fanciulla sposa d’un altro Lungo fu il contrasto fra la passione e il dovere, finalmente la passione vinceva e Pisacane l’8 febbraio 1847 partiva alla volta di Londra, dove si unì con quella donna, che gli fu poi per tutta la vita amica fedele ed affettuosa. Da Londra si recava a Parigi indi a Marsiglia e il 5 dicembre, partiva per l'Africa, dove aveva ottenuto il grado di sottotenente nel primo reggimento della legione straniera, che militava por la Francia contro gli arabi d’Algeria.

Intanto i moti d'Italia andavano crescendo e diffondendosi. Le dimostrazioni e le feste si mutavano in qualche cosa di più importante, già sì correva alle armi: alle parole ed ai canti succedevano stragi e battaglie. Messina e Palermo cacciavano le soldatesche borboniche, Milano fugava ottanta mila austriaci capitanati da Radetzki. tutta Italia, ormai levata in armi, insorgeva contro gli stranieri e da ogni parte gli esuli tornavano per ingrossare le falangi de’ combattenti.

Pisacane, che era stato sempre alieno dalla politica, accorse pronto e volenteroso e da quel giorno consacrò la sua grand'anima e il suo grand'ingegno alla causa italiana. Lasciò quindi l'Africa, venne a Marsiglia. dove ritrovò la sua compagna e corse a Milano.

Zucchi, a cui Cattaneo lo presentava, voleva affidargli la cura di levare e ordinane un reggimento a Milano, dandone a lui come a colonnello il comando; ma Pisacane rifiutò. «Zucchi allora lo mandò come capitano nella legione Borra, che era accampata ai confini del Tirolo sul monte Nota. Pisacane si mostrò valoroso cd audace e prima che quella campagna finisse così disgraziatamente, il 25 giugno, ebbe da una palla ferito il braccio destro e con tale gravità, che se non era il dottor Leone che lo volle risparmiato, a giudizio comune de' medici, doveva tagliarsi.

Dopo trenta giorni che giaceva infermo a Salò assistito dalla sua compagna, per l’avvicinarsi de' nemici fu trasportato a Milano.

Rifugiatosi in Isvizzera per la prima volta conobbe Mazzini, dal quale, come vedremo, dissentì i vari punti per le dottrine sociali, ma ili cui fu sempre amico ed ammiratore.

Sentendo che in Piemonte si levavano soldatesche per la riscossa veniva ed otteneva il grado di capitano nel 22° reggimento. Gli dispiacquero le esitanze e le incertezze del re, previde forse le prossime vergogne, e avendo saputo che la repubblica romana era stata proclamata il 25 febbraio 1849, andò a Roma, sicuro che là si combatteva sul serio. Quando vi giunse, il piccolo esercito della repubblica era disordinato e disperso; egli espertissimo in cose militari, espose a Mazzini i suoi pensieri per raccoglierlo e per disciplinarlo. Piacque al genovesi' quel disegno, e nella tornata del 15 marzo propose all'assemblea che si creasse una commissione di guerra per riformare l'esercito. Della commissione fece parte per voti unanimi Pisacane, e l'opera, il consiglio suo valsero molto a difendere la città. Egli sostenne il concentramento a Terni ed a Bologna delle truppe disseminate, ebbe parte precipua nel condurre ad unità quell’esercito e nell’abolirvi ogni privilegio.

PRECURSORI DEL SOCIALISMO (Vedi a pag. 20)

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Caduta Roma per opera de’ francesi, Carlo Pisacane, non si sa per quali ragioni venne imprigionato e trattenuto in Castello per otto giorni. Ne potè uscire per le molte istanze fatte dalla sua amica, ma dovette subito partire ed egli, esule una nuova volta, tornò una nuova volta in Svizzera; e collaborò all’Italia del Popolo, effemeride che sotto la direzione di Mazzini si stampava dagli esuli italiani in Losanna.

Indi si recava a Londra, dove per vivere si diede dii’ insegnamento e dove scrisse la Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49. In quest’opera non citò mai il proprio nome, quantunque egli di quella guerra fosse massima parte. La pubblicava poi a Genova, ove stanco dell’esilio si recò nel giugno del 1850; ma poiché il governo sardo gli proibiva di rimanervi, vi stette lungo tempo celato, tinche non ottenne il permesso. Allora si ridusse ad abitar fuori di città sull'ameno colle di Albaro. Ivi meditò e con molte buone letture preparò i suoi Saggi storico-politici-militari sull'Italia, che rimasero incompiuti e disordinati, ma che danno indizio dell’ingegno mirabile e della dottrina veramente scientifica e moderna dell'autore.

Nel 1856 Pisacane era a Genova e poco dopo ottenne l'incarico di fare gli studi di una strada ferrata da Mondovi a Ceva; poi, sempre a Genova, si diede all’insegnamento delle matematiche, che non gli procacciò nemmeno il necessario per vivere.

Accenniamo ora alla sua ultima impresa, che è la più grande e la più straordinaria.

Fin da quando dimorava in Albano aveva stretto relazioni di congiure e di arditi disegni con Napoli, ed aveva in animo di tentare una spedizione per abbattere i Borboni ed impedire al tempo stesso al partito murattista, che voleva fare del Napoletano un reame separato, di affermarsi. Noi non sappiamo i particolari esatti del modo con cui fu ordinata la mirabile impresa, certo ai è che mentre Mazzini trovavasi a Genova nascosto, Pisacane gli proponeva la spedizione di Sapri. I denari si raccolsero in Inghilterra, e tutto era fissato perchè Pisacane il 10 giugno 1857 s’imbarcasse sul Cagliari, postale di Rubattino, insieme con i compagni come marinari che si recassero a Tunisi; una barca con 250 fucili e munizioni doveva raggiungerlo in mare partendo da Portofino. Tutti i mezzi si riducevano a circa mille uomini pronti a insorgere, mille fucili e cinquantamila lire. Il proposito era di sollevare il Cilento, mostratosi sempre contro l’assolutismo; si riteneva che Napoli avrebbe risposto con l'insurrezione: segno evidente che Pisacane e Mazzini si illudevano e non avevano conoscenza dell'ambiente meridionale. Il giorno fissato tutti eran pronti sul Cagliari, ma la notizia che La barca di Rosolino Pilo colta dalla burrasca, aveva dovuto gettare le armi radunate per l'insurrezione, costrinse i congiurati ad attendere. Intanto Pisacane correva a Napoli e si accordava con Fanelli per avere aiuti di là. Tornavano ad imbarcarsi il 25 giugno e prima di salpare, Pisacane e ventisei amici suoi firmavano questa nobilissima dichiarazione:

«Noi sottoscritti dichiariamo altamente che avendo tutti congiurato sprezzando le calunnie del volgo, forti della giustizia della causa e della gagliardia del nostro animo, ci sentiamo gl’iniziatori della rivoluzione italiana. Se il paese non corrisponderà al nostro appello sapremo morire da forti, seguendo la nobile falange dei martiri italiani».

E Pisacane, lasciando la diletta compagna della sua vita e l’adorata figlia Silvia, il giorno innanzi, il 24 giugno 1857, dettava a Genova il celebre testamento politico, che merita di essere riportato per intero, come documento splendido del suo entusiasmo patriottico e delle sue dottrine sociali.

Nel momento d'imprendere un’arrischiata impresa, voglio manifestare al paese le mie opinioni, onde rimbeccare la critica del volgo, corrivo sempre ad applaudire i fortunati e maledire i vinti.

«I miei principi politici sono abbastanza noti; io credo che il solo socialismo, non già i sistemi francesi, informati tutti da quell’idea monarchica e dispotica che predomina nella nazione, ma il socialismo espresso nella formula libertà ed associazione sia il solo avvenire non lontano dell’Italia, e forse dell’Europa; questa mia idea l'ho espressa in due volumi frutto di circa sei anni di studio, non condotti a forbitura di stile per mancanza di tempo; ma se qualche mio amico credesse supplire a questo difetto e pubblicarli, gliene sarei gratissimo.

«Sono convinto che le ferrovie, i telegrafi, il miglioramento dell’industria, la facilità del commercio, le macchine, ecc. eco.,, per una legge economica e fatale, finché il riparto del prodotto è frutto della concorrenza, accrescono questo prodotto mai l’accumulano sempre in ristrettissime, man ed immiseriscono la moltitudine; e perciò questo vantato progresso non è che regresso, e se vuole considerarsi come progresso, si deve nel senso che, accrescendo iemali della plebe la sospingerà ad una terribile rivoluzione, la quale cangiando d’un tratto tutti gli ordinamenti sociali, volgerà a profitto di tutti quello che ora è a profitto di pochi.

«Sono convinto elio l'Italia sarà libera e grande oppure schiava, sono convinto che i rimedi come il reggimento costituzionale, la Lombardia, il Piemonte, ecc. ben lungi dall’avvicinarla al suo risorgimento, ne l’allontanano; per me non farei il minimo sacrificio per cangiare un ministro, per ottenere una costituzione, nemmeno per cacciare gli austriaci dalla Lombardia ed accrescere il regno sardo; per me dominio di casa Savoja o dominio di casa d’Austria è precisamente lo stesso. Credo oziando che il reggimento costituzionale del Piemonte sia più dannoso all’Italia che la tirannide di Francesco II. Credo francamente che se il Piemonte fosse stato retto nella guisa medesima degli altri Stati italiani, la rivoluzione sarebbe fatta. Questo mio convincimento emerge dall’altro che la propaganda dell’idea è una chimera, che l’educazione del popolo è un assurdo. Le idee risultano dai fatti, non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero quando sarà educato, ma sarà educato quando sarà libero. La sola opera che può fare un cittadino per giovare al paese è quella di cooperare alla rivoluzione materiale, e però cospirazioni, congiure, tentativi, ecc., sono quella serie di fatti attraverso cui l'Italia procede verso la sua meta. Il lampo della baionetta di Agesilao Milano fu ima propaganda più efficace di mille volumi scritti dai dottrinari, che sono la vera peste del nostro, come d’ogni altro paese.

«Alcuni dicono che la rivoluzione deve farla il paese: ciò è incontestabile. Ma il paese è composto di individui, e poniamo il caso che tutti aspettassero questo giorno senza congiurare, la rivoluzione non scoppierebbe mai; invece se tutti dicessero: la rivoluzione deve “farla il paese, di cui io sono ima particella infinitesimale, e però ho anche la mia parte infinitesimale da compiere, e la compio, la rivoluzione sarebbe immediatamente gigante. Si potrà dissentire dal modo, dal luogo, dal tempo di una congiura, ma dissentire dal principio è assurdo, è ipocrisia, è nascondere un basso egoismo. Stimo colui che approva il congiurare e non congiura egli stesso, ma non sento che disprezzo per coloro i quali non solo non vogliono far nulla, ma si compiacciono nel biasimare e maledire coloro che fanno.

«Con tali principi avrei creduto mancare ad un sacro dovere, se, vedendo la possibilità di tentare un colpo in un punto, in un luogo, in un tempo opportunissimo, non avessi impiegata tutta l’opera mia per mandarlo ad effetto. Io non ispero, come alcuni oziosi mi dicono per schermirsi, di essere il salvatore della patria. No, io sono convinto che nel sud la rivoluzione morale esiste, sono convinto che un impulso gagliardo può sospingerlo al moto, e però il mio scopo, i miei sforzi sono rivolti a mandare a compimento una congiura, la quale dia un tale impulso; giunto al luogo dello sbarco,, cha sarà Sapri nel principato citeriore, per me è la vittoria, dovessi anche perire sul patibolo. Io, individuo con la cooperazione di tanti generosi, non posso che far questo; il resto dipende dal paese, non da me. Non ho che i miei affetti e la mia vita da sacrificare a tale scopo e non dubito di farlo.

«Sono persuaso che se l'impresa riesce avrò i plauso universale, se fallisce il biasimo di tutti: mi diranno stolto, ambizioso, turbolento, e molti, che mai nulla fecero e passano la vita censurando gli altri, esamineranno minutamente la cosa, porranno a nudo i miei errori, mi daranno la colpa di non essere riuscito per difetto di mente, di cuore, di energia....; ma costoro sappiano che io li credo non solo incapaci di far quello che io ho tentato, ma incapaci di pensarlo. A coloro poi che diranno l'impresa impossibile, perchè non è riuscita, rispondo che simili imprese, se avessero l’approvazione universale, non sarebbero che volgari.

«Fu detto folle colui che fece in America il primo battello a vapore; si dimostrava più tardi l’impossibilità di traversar l’Atlantico con esso. Era folle il nostro Colombo prima di scoprire l’America, ed il volgo avrebbe detto stolti ed incapaci Annibale e Napoleone se fossero periti nel viaggio e se l’uno fosse stato battuto alla Trebbia e l’altro a Marengo.

«Non voglio paragonare la mia impresa a quelle, ma essa ha un testo comune con esse: la disapprovazione universale prima di riuscire e dopo il disastro e l’ammirazione dopo un felice risultamento. Se Napoleone, prima di partire dall’Elba per sbarcare a Fréjus con 50 granatieri, avesse chiesto consiglio altrui, tutti avrebbero disapprovato una tale idea. Napoleone aveva il prestigio del suo nome; io porto sulla bandiera quanti affetti e quante speranze ha con se la rivoluzione italiana: combattono a mio favore tutti i dolori e tutte le miserie della nazione italiana.

«Riassumo: se non riesco, dispregio profondamente l’ignobile volgo che mi condanna, ed apprezzo poco il suo plauso in caso di riuscita. Tutta la mia ambizione, tutto il mio premio lo trovo nel fondo della coscienza, e nel cuore di quei generosi amici che hanno cooperato e diviso i miei palpiti, le mie speranze; e se mai nessun bene frutterà all’Italia il nostro sacrificio, sarà sempre una gloria trovare gente che valorosamente s’immola al suo avvenire

Con tale intendimento e con tale energia era preparata la spedizione di Sapri. Quando la prima, volta la barca dell’armi non era arrivata. Pisacane aveva detto che sarebbe partito anche senza armi; ora a bordo del Cagliari in alto mare si getta con i suoi compagni sul capitano e sulla ciurma e li costringe a. cedere il comando; scoperti poi centocinquanta fucili se ne impadronisce. Il 27 giugno i congiurati sbarcano a Ponza, dove stavano a confine parecchi infelici condannati dai tribunali borbonici. S'impadroniscono dell’isola, liberano i prigionieri, conducono seco 323 detenuti o così il 28 sbarcano a Sapri al grido: viva l'Italia viva la repubblica.

Non trovarono però nessuno pronto a seguirli, anzi la popolazione fuggiva davanti a loro, quando non li perseguitava e non aiutava la guardia urbana a combatterli. Inseguiti da un battaglione di cacciatori vennero a combattimento sulla collina di S. Canione ed ebbero 56 morti, 56 feriti, 203 prigionieri e 35 fucilati. Pisacane e Nicotera con soli 50 uomini volsero verso il Cilento, su per i colli di Buonabitacolo. Il 2 luglio arrivarono a Sanza sugli Appennini; al suono delle campane la guardia urbana e una turba di uomini, donne, vecchi, fanciulli con coltelli, sassi, fucili si scagliarono contro di loro e Pisacane fu ucciso, anzi massacrato nel passare un torrente. sebbene alcuni abbiano detto clic si uccidesse da sé.

Il tal modo finì miseramente, ma gloriosamente, questo grande rivoluzionario.

Dai capelli biondi, dagli occhi azzurri, sfolgoreggianti, dalla fronte alta che ne scopriva l'ingegno, Pisacane rappresentava l'energia temperata di dolcezza e d'affetto. Era dotato di quella potenza d'iniziativa che trovava la vittoria dov’è il nemico; allorché si parlava di libertà ardeva d’agire, quando si trattava di fare accettava sempre. JDi lui dopo la sua morte, Giuseppe Mazzini, che nelle dottrine sociali gli fu costante avversario, così scrisse:

«Perdemmo l’uomo che per quanto io conobbi identificava più in sè il pensiero e Fazione e le doti generalmente disgiunte: scienza e spontaneità di istruzione guerresca, energia, e riflessione pacata, calcolo ed entusiasmo. Guardava dall’alto le cose e non di meno ne afferrava i menomi particolari. Amava d'amore intensamente devoto l'amica e la fanciulla che gli era figlia, ma non sacrificava a quei santi affetti un solo dei suoi doveri. Moveva ad un’impresa che doveva costargli la vita e dava lo stesso giorno l’ultima lezione di matematica ad un allievo.»

Sembrerà strano che in tempi ne' quali la vita e l’attività di chi aveva anima e cuore, erano tutte spese per la cause dell’Italia, vi fosse chi scorgesse nettamente al disopra dell'Italia l'Umanità, chi pensasse ad una questione sociale ed economica più importante e più grave di una questione patriottica; più strano ancora sembrerà che guardi all’Umanità, che tratti la questiono sociale, Pisacane, un soldato valoroso ed erudito, che diede alla patria tutta la dottrina e tutto l'ingegno che tante volte cimentò la vita e morì eroicamente.

Noi la abbiamo vista la vita di Pisacane trascorrere fra le battaglie e le congiure; ma fino ad ora abbiamo ammirato specialmente l’eroe, il martire; ora dobbiamo considerare l’altra parte della sua vita e della attività: l'opera del filosofo e del socialista.

Il Testamento politico, scritto alla vigilia d’una spedizione che prevedeva potesse fruttagli il patibolo, dimostra da se solo fi importanza che Pisacane dava alla questioni sociale: egli non può dimenticarla nemmeno quando l’amor della patria gli ha suggerito un impresa chimerica e, subito, cominciando si dichiara socialista, afferma che solo nel socialismo può esser l'avvenire dell’Italia e dell'Europa intera

Quest'idea è base e conclusione degli scritti filosofici di Pisacane; non si ritrova soltanto nel Testamento politico, ma in tutti i suoi saggi e perfino nei libri di argomento militare.

Trattata, discussa, dimostrata noi la vediamo specialmente nel saggio sulla Rivoluzione. È questo il primo libro italiano, dove i principi del socialismo moderno hanno svolgimento dottrinale e dimostrazione scientifica. Pisacane (certo senza accorgersene e quantunque anzi egli lo neghi) prendo qualche cosa da Proudhon e dai socialisti francesi; ma dei francesi non accetta il razionalismo metafisico, Egli anzi, logico, acuto, positivo, in molte cose e in molti punti più che precursore del socialismo può dirsi precursore di Marx, che due anni dopo la morte di Pisacane scrisse la Critica dell'economia politica e cominciò a farsi conoscere. Quando il nostro rivoluzionario dettava i suoi saggi, si aveva di Marx solo il famoso Manifesto, scritto in collaborazione con Engels. Uno de’ principi fondamentali pel socialista tedesco è quello della concezione materialistica della storia, per cui tutti i fenomeni sociali si spiegano, s'interpretano ricercando il fattore, economico, che è il fattore predominante e sta a base di ogni altro. I fenomeni sociali sono sueprstrutture del fenomeno economico; si producono cioè sopra di questo, con questo si modificano e si evolvono.

Tale principio socialista, che nella sua sostanza e nelle sue linee generali ha resistito alla critica degli economisti, de’ filosofi e degli storici, si trova più che accennato, svolto e dimostrato nel Saggio di Pisacane.

Ecco com’egli si esprime: La questione politica è nulla in faccia all’importanza della questione economica» o ricercando negli avvenimenti storici, nelle guerre più celebri, che magistralmente conosceva ed aveva studiato, aggiunge quasi subito, riferendosi alla storia di Roma «la guerra sociale. la servile, la spartacida, la mariana, la sertoriana, la catalanizia. furono i conati di un popolo infelice contro l’usurpazione dei ricchi».

Ed altrove Pisacane è anche più esplicito e più assoluto. «Tolti i rivolgimenti», egli dice, «che hanno avuto luogo da due secoli e che avranno luogo in avvenire, tutti, comecché in apparenza vestiti di altri caratteri. sono l'effetto del medesimo movente; i bisogni materiali del popolo. Questi vari rivolgimenti sono stati vinti e sviati: imperocché l'istinto, appigliandosi alle apparenze, ha trascurato la realtà, sollecito dilla riforma politica non ha rinato la sociale; ma il movente principale, sino ad ora occulto, sconosciuto, non compreso dalla moltitudine, già comincia ad emergere dal fondo della coscienza sociale. Chi oggi è così semplice da supporre che un popolo corra alle armi per surrogare qualche scaltro ad un re, per inalberare uno straccio dipinto in un modo piuttosto che in un altro, per ottenere con le stesse misure un pomposo nome? Chi negherà che il popolo armasi perché spera, in cuor suo, senza dirsi il come, di migliorare le sue maturali condizioni? Chi negherà che libertà, patria, diritti, siano vani nomi, amare derisioni por costoro, dannati in perpetuo dalle leggi sociali alla miseria ed alla ignoranza, inerenti al diritto di proprietà come l'ombra ai corpi? Pei che amerà la libertà della persona, del pensiero, della stampa colui che non ha mezzi onde esistere, che per ignoranza non pensa e non legge? Sorrideva Metternich quando i sovrani si spaventavano della questione politica, il suo arguto ingegno scorgeva che la vittoria era certa per il dispotismo, finché la questione non diventasse sociale».

Pisacane insiste ad ogni momento nel dimostrare, nel ripetere che le leggi economiche esercitano la maggiore influenza sui destini sociali di un popolo, che esse regolano ed indirizzano tutte le istituzioni politiche.

Qual’è il motivo ]>el quale la società non ha tutta intera il benessere, il motivo pel quale pochi godono e molti soffrono, pel quale il progresso con le sue invenzioni, con le sue macchine, con le sue scoperte, reca nocumento agli interessi del popolo, e le ricchezze si ristringono sempre più in un piccolo numero di persone?

«La cagione evidente è il diritto di proprietà, che dà facoltà a pochi di arricchirsi a discapito di molti, che è l’asse intorno a cui tutte le nazioni, tutte le società hanno compiuto il loro ciclo.

«Sofisti, apologisti dulia proprietà, vorreste negare quaranta secoli di storia? Sareste voi capaci di dimostrare che non fu l’opulenza di pochi e la miseria della plebe la sorgente di tutti i vizi e di tutti i mali sociali?

Più volte i socialisti hanno dichiarato che tutti i mezzi suggeriti per migliorare le condizioni degli operai e de’ contadini approderanno a poco od a niente, finché il suolo sarà proprietà di privati, finché gli strumenti di lavoro non saranno in comune.

Ebbene, Pisacane — con una frase che dovrà dare il principio ad un celebre libro di Loria — così scrive: «È innegabile che la Società dall'ingiusto riparto delle ricchezze viene divisa in due parti, da una parte capitalisti e proprietari, dall’altra operai e fittaioli e procedendo egli si spiega, se è possibile, con maggior lucidità: «La Società dall’ingiusto riparto delle ricchezze vien divisa in due parti: i pochi ed i molti da quelli dipendenti.... Si rimedierà, dicono alcuni, a questi mali, con istabilire più eque relazioni fra il proprietario e il fittaiolo, fra il capitalista e l'operaio; sparirà la miseria, dicono altri, con lo sviluppo dell’industria, con l’aumento del prodotto sociale.... È cosa chiara che la sostituzione di un nuovo protezionismo all’antico riuscirebbe inutile tirannide, inutile inceppamento all’industria.... e che la miseria cresce col crescere de’ prodotti sociali.

Il precursore ci dice pure nel suo Saggio la ragione ultima e vera dell’odierno disquilibrio sociale e ce la dice con una frase veramente marxista: «finché i pochi sono proprietari de’ mezzi onde soddisfare agli incalzanti bisogni dei molti, questi saranno sen i di quelli, qualunque siano le leggi; basta che esse riconoscano e proteggano il diritto di proprietà».

Vi sono altri mezzi all’infuori dell’abolizione della proprietà privata, per giovare efficacemente alla sorte della maggioranza? Pisacane dimostra come non è possibile trovare le ingenti somme che occorrerebbero per assicurare a tutti un’agiata esistenza, perchè «bisognerebbe spogliare parte della Società per togliere all’altra ogni stimolo al lavoro; ch’è ridicolo pensare a quell’espediente, cui pur oggi alcuni credono vogliano ricorrere i socialisti, cioè l’uguale riparto delle ricchezze: la Francia ad es.: «altro non diverrebbe che una nazione di mendichi». «Una tale ripartizione poi — aggiunge il nostro rivoluzionario — sarebbe un’operazione complicatissima, né mai potrebbesi evitare la frode; la Società dovrebbe sottostare ad una continua forza tirannica».

Nemmeno si possono, nonché distruggere, alleviare i mali del proletariato con l’educazione. «Strana utopia questa di corta buona gente, condannata dalla natura a vivere di astrazioni! Come vi procaccerete le grandi somme necessarie all’educazione dei proletari ed alla loro esistenza durante l'educazione ed al compenso che bisogna pagare alla famiglia, privata del guadagno che le avrebbe fruttato il lavoro del giovane, che voi le rapite per educare? Con le gravezze forse? Ma non sapete, che rispettando il diritto di proprietà, esse ricadono precisa mente sul proletariato, nel modo stesso che la base sopporta tutto il peso e la pressione del soprastante edificio? Voi l'affamerete per educarlo».

Finalmente, anche l'ultimo mezzo che s’invoca dai più positivi, l'associazione, è un palliativo. «Più che l’associazione è potente il capitale.... l'associazione del lavoro deve soccombere incontro alla potenza del capitale; i piccoli capitali sono inesorabilmente condannati ad essere inghiottiti dai grandi.... l'associazione del capitale e del lavoro non conviene al capitalista, specialmente se fa uso delle macchine».

Sicché la conclusione fatale e inevitabile, cui bisogna giungere, da qualunque lato si esamini la questione, è che non v’ha alcun mezzo nella moderna Società, qual' è costituita, per offrire a tutti un vivere agiato.

Pisacane non si stanca di ripetere: «la Società è divisa in due parti, possessori e nullatenenti, che il diritto di proprietà determina. L’economia pubblica pigliando le mosse da questo diritto sviluppa le sue leggi, che si bastano su di esso. Tali leggi regolano inesorabilmente il rapporto fra queste due classi e conducono a conseguenze inevitabili e funeste. Cotesti rapporti che risultano di fatto non possono modificarsi, sotto pena di un deperimento universale; unica legge possibile è la libertà, conseguenza di essa miseria sempre crescente. Se togliete al ricco parte del suo avere onde soccorrere il povero, quegli mentre con una mano sborsa il denaro che gli vien chiesto, con l’altra lo rapisce di nuovo; ben presto rincara il vivere e la miseria si accresce. Dunque: la causa che volge tutte le riforme in danno del povero, la causa che, accrescendo continuamente la miseria, mena alla decadenza, alla dissoluzione sociale e contrasta allo scopo principale che si propone la Società — il benessere di tutti o almeno dei più —è il mostruoso diritto di proprietà. La logica quindi impone di rimuovere l’ostacolo poco curandosi delle conseguenze; la Società riprenderà da sé l’equilibrio, dal caos naturalmente verrà il cosmos». .

La proprietà privata determina e produce nella Società un’altra causa, un’altra origine di mali e di disordini ingiusti: il governo. «Lo due cagioni da cui la miseria, la schiavitù, la corruzione irraggiano sono proprietà e governo».

Pisacane ricorda come la nascita del governo fu il dominio eroico de’ forti sopra i deboli, come le prime leggi, che poi si trasformarono in consuetudine, furono l’arbitrio di que’ forti.

Il governo, quale oggi esiste, non è utile a nulla, anzi nuoce agli interessi del popolo e del paese. Esso non può trasformare il pubblico costume perchè questo «scaturisce immediatamente dai rapporti e dagli ordini sociali», nemmeno può proporsi uno scopo educativo, giacché «l’educazione altro non deve essere che una legge generale, con la quale pongansi a disposizione' di ogni cittadino tutti i mezzi di cui dispone la Società» e per di più una Società ben costituita dovrebbe porgere a ciascuno «i mezzi onde soddisfare le inclinazioni ed utilizzare le attitudini proprie».

Il patto sociale trae la sua origine dalla violenza e dall’usurpazione, sicché il governo può definirsi «l’ostacolo allo sviluppo delle leggi naturali, il sostegno de’ privilegi».

Questi concetti del precursore del socialismo sopra lo Stato, hanno grand'importanza, perchè spesso dai critici e dagli oppositori della nuova dottrina, si va ripetendo che il socialismo rappresenterebbe il dominio dello Stato, che l'ingranaggio governativo, in regime collettivista, diverrebbe assai più complicato di quello che non sia oggi e assorbirebbe ogni individualità. Invece i socialisti, e Pisacane ha avuto il merito di dirlo fra i primi, tendono con l’attuazione del loro programma, ad abolire lo Stato.

Le leggi, le istituzioni, che emanano dallo Stato rappresentano per il nostro filosofo, la protezione del ricco contro il povero, del proprietario contro il nullatenente: le gravezze, le imposte colpiscono la plebe, né sono risentite dalle classi dominanti.

«Il governo vive delle gravezze pagate dai cittadini e queste, meno pochissime su taluni oggetti di lusso, tutte gravitano sui poverelli, sul minuto popolo che paga nella più gran parte e più delle altre classi sociali ne risente il peso, mentre i ricchi e coloro che assorbono i maggiori stipendi sono in proporzione i meno gravati. Questi governi dovrebbero almeno proteggere i miseri. Ma no, è il ricco che ottiene protezione, è il povero che popola le prigioni, che vive sotto la sferza e la prepotenza dei birri».

E altrove Pisacane estende questo concetto: «tutte le leggi, tutte le riforme, eziandio quelle popolari, favoriscono solamente la classe ricca e colta; le istituzioni sociali, per loro natura, volgono tutte in suo vantaggio..

Il resultato necessario di questo squilibrio è la miseria. La miseria poi a sua volta è «la principale cagione, la sorgente inesauribile di tutti i mali della Società; voragine spalancata che ne inghiottisce ogni virtù. La miseria aguzza il pugnale dell’assassino, prostituisce la donna, corrompe il cittadino, trova satelliti al dispotismo. Conseguenza immediata della miseria è l'ignoranza, che rende il popolo incapace di governare i suoi particolari negozi, nonché quelli del pubblico, e corrivo nel credere tutte quelle imposture per le quali si diventa fanatici, impostori, intolleranti. La miseria e l'ignoranza sono gli angeli tutelari della moderna Società, sono i sostegni sui quali la sua costituzione s’innalza, ristringendo in picciol giro l'ampio cerchio dell’universale cittadinanza. Il delitto e la prostituzione, conseguenze inevitabili, sgorgano dal seno di questa Società. Bagni e patiboli sono le sue opere, volte a punire con raffinata ipocrisia i frutti medesimi delle sue viscere.... La miseria e l'ignoranza non si scompagnano mai dal misfatto. Finché i mezzi necessari all’educazione e all’indipendenza assoluta del vivere non saranno guarentigia d’ognuno, la libertà è promessa ingannevole».

Pisacane esagera quando attribuisce alla miseria, come ad unica causa, il delitto e la prostituzione, sostenendo ima tesi che del resto è propugnata anche da scrittori non socialisti. Con le cause sociali si confondono e s’intrecciano cause fisiche, cause antropologiche, poiché non tutte le donne si prostituiranno per sfamarsi, né tutti i poveri rubano per mantenete la famiglia; ma per certo il rivoluzionario meridionale -ha intuito moderno e vedute scientifiche, quando del delitto, riguardato sempre dai giuristi e dai legislatori come un ente a sé, vede e considera le cause sociali.

Questo poco che abbiamo detto, attingendo alle opere di Pisacane, dimostra come egli aveva un esatto concetto della dottrina materialistica della storia, che sta a base del socialismo moderno; delle necessità del collettivismo onde porre rimedio alle disuguaglianze sociali, allo squilibrio economico; della lotta di classe, per cui si dimostra che le varie classi sociali hanno interessi diversi e lottano ciascuna per fai trionfare i propri.

I socialisti insistono oggi nello spiegare il continuo divenire del collettivismo e la necessità del suo trionfo; vedono nel militarismo una piaga che ammorba la Società presente e elle è causa di continuo deperimento: ebbene tutto epiteto aveva compreso ed aveva detto con mirabile efficacia Carlo Pisacane prima del 1856.

«Invenzione, scoperte, ordini nuovi, liberi legamenti altro non fanno che costringere la Società in quell'abisso, verso cui le leggi economiche inesorabilmente la traggono. La miseria è maggiore e l'oligarchia de' ricchi è più sensibile in quelli Stati, dove le moderne libertà e 1' industria maggiormente fioriscono. Gli europei dalla burrasca economica che li travaglia sono cacciati a torme verso il nuovo mondo, e dall’Inghilterra emigrano in maggior numero perchè, secondo i moderni, è la più civile».

E a proposito del militarismo, ecco, fra le tante, (1) un’invettiva del nostro autore: «Il dispotismo militare fra noi, a cagione degli eserciti permanenti, più pronto già si estolle in tutti gli ordini, viola giuramenti, calpesta leggi, vuota borse.... Banchieri, monopolisti, cercate gioire ilei presente, giacche l’avvenire non appartiene: il popolo non può ottenere il trionfo che scuotendo e scrollando tutto l’edifizio sociale. ed in tal caso voi perirete sotto le rovine; se poi il popolo è vinto, il dispotismo militare vi aspetta, la vostra morte sarà più lenta. Vedrete a poco a poco vuotare le vostre borse e morrete consunti; altra al tematica non v’è; questo decreto del fato e incancellabile».

Pisacane, senza svolgerla. che egli non ne avrebbe avuto la dottrina sufficiente. accenna pure alla teoria del plus valore sostenuta da Marx, quando scrive: «il capitalista che paga otto di salario ad ogni operaio che produce dieci, non solo ruba due ad ognuno di essi, ma ruba eziandio la loro potenza collettiva».

Egli riteneva inoltre che fosse arrivato d momento in cui è d'uopo cangiale radicalmente gli ordinamenti sociali, trasformando i proletari, che sono gli schiavi moderni, in veri uomini liberi.

Ma quale è il nuovo sistema di organizzazione sociale? gli domandano gli economisti. Le dottrine di Campanella, di Blanc, di Fourier, essi dicono, altro non fanno se non ristabilire il dispotismo, poiché debbono prescrivere il tempo, il modo d'ogni funzione, di ogni operazione, di qualsiasi lavoro e tolgono la libertà all'individuo.

Pisacane non disconosce che la critica degli economisti è giusta, ma tosto prosegue: «parlate di libertà e di dignità dell'operaio, ma quale libertà gli concedete se non quella sola di morire di fame? Quale sferza è più umiliante e più potente della fame, solo ed unico legame che aggioga il profetano al carro sociale?» Che cosa dunque deve farsi o tentarsi? insistono gli economisti. Forse è d'uopo distruggere l’organizzazione attuale? E Pisacane senza incertezza risponde: «Sì, la rivoluzione preveduta è la spogliazione e la strage, ma le sue vittime saranno in numero assai minore di quelle che voi spegnete col continuo tormento della miseria. E fossero anche più, noi ripeteremo le vostre frasi: non si giunge senza perdite sulla breccia; non possiamo tener conto di coloro che il carro del progresso schiaccia nel suo cammino. Concludiamo: la rivoluzione è inevitabile: essa si avvicina con caratteri chiari e distinti e procede indipendentemente dalla discussione de’ dotti».

Quando mai avverrà questa rivoluzione? Può farsi essa in tutti i tempi, qualunque siano le condizioni sociali del paese? Non sembra che Pisacane fosse convinto che la rivoluzione potesse ad ogni momento tentarsi, ma è certo che egli la riteneva opportuna e necessaria nell’epoca in cui scrisse e congiurò, e che nulla più della rivoluzione gli parve ai suoi tempi adatto ed; efficace pel trionfo del socialismo.

Così egli si esprime nel suo Saggio: «Sono quasi quattro secoli di schiavitù e durante quest’epoca quanto sangue inutile sparso! I popoli a noi vicini, dopo grandissimi sforzi, non sono riusciti a migliorare la loro condizione. E dunque inutile l’insorgere? No. È questo un fatale cammino che il popolo è costretto a percorrere, onde dalle sanguinose esperienze venga condotto alla scoverta degli errori.... Sia questa rivoluzione principio d'era novella e non già nuca a esperienza utile ai posteri, a noi dannosa. Che cosa ha fruttato la moderazione? Patiboli, esilio, carceri. I nostri nemici sono inesorabili, ingordi; ad ottenere dei gradi di libertà (se la libertà si ottenesse per gradi) e ad ottenerla intera ci è forza sostenere la lotta medesima. Perchè dunque arrestarci ai primi passi? La moderazione ci ha fruttato forse la protezione di qualche altra potenza? Miriamo alla completa distruzione del nemico senza arrestarci alla Bonaccia... Nei passati rivolgimenti si sono cangiati gli uomini o le forzo del governo, ma il principio su cui esso poggia, l’autorità insomma, cangiando nome, rimase. Come dunque potevano sparire i mali? Volete cogliere il frutto di tanto fatiche? Diroccate l’antico edificio sino alle fondamenta, sgombrate il suolo dalle ruine o su nuove basi riedificate».

È evidente dunque che Pisacane aveva due concetti fissi e chiari nella mente: primo, che la rivoluzione fosse necessaria por produrre quell'organizzazione sociale cui si dà nome di collettivismo; secondo, che i suoi tempi fossero maturi per quella rivoluzione. Sopra il primo punto nemmeno il socialismo moderno può contrastare alle dottrine di Pisacane; la rivoluzione è l’ultima fase dell’evoluzione e se pur l’evoluzione rappresentasse un mezzo che potrebbe dai socialisti venir preferito alla rivoluzione, costoro vi saranno costretti dagli aristocratici, dalla classe borghese, ohe non vorranno rassegnarsi a perderò i loro vantaggi e i loro privilegi.

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ANDREA COSTA

Ma quanto al momento, all’opportunità di una rivoluzione sociale, Pisacane errava quando credeva adatta l’epoca sua, come cadeva in errore stimando possibile una rivoluzione politica, supponendo che la spedizione di Sapri avrebbe trovato l’appoggio degli abitanti, o avuta un’eco in tutto il Napoletano. Bisogna dire a questo punto che Pisacane non poteva rendersi esatto conto delle condizioni sociali d’Italia, dimenticava l'ineluttabilità della legge di evoluzione, non comprendeva assolutamente l’importanza della conquista dei pubblici poteri.

Il suffragio universale è anzi oggetto della più aspra derisione per parte del grande rivoluzionario.

«L’operaio, il contadino, che non votano pel capitalista, pel proprietario, vengono da questi minacciati della fame. I capitalisti fanno monopolio del voto come d’una derrata; il popolo nel governo rappresentativo è abbandonato affatto in balìa del ricco, i suoi mali giungono al colmo. Il capitale dispoticamente governa; da ciò la codardia politica, co’ deboli superba e coi forti umile, e la noncuranza per l’avvenire; guadagni pronti e grossi è la massima dei presenti uomini di Stato; nelle loro mani il telegrafo elettrico ed il vapore, grandi trovati dell’umano ingegno, volti a perpetuare la usurpazione e la miseria». Ed in altro punto l’autore ripete:

«Il suffragio universale è un inganno. Come il vostro voto può esser libero, se la vostra esistenza dipende dal salario del padrone, dalle concessioni del proprietario? Voi, indubitamente, voterete, costretti dal bisogno come quelli vorranno».

Ora, su questo punto Pisacane esagerava. È vero che il popolo non potrà essere educato altro che quando sarà libero: ma è pur vero che le battaglie elettorali contribuiscono a dargli libertà ed educazione civile; è vero che il proprietario ed il capitalista possono pure imporre all’operaio, al contadino di votare come essi vogliono; ma è anche vero che le masse de’ lavoratori coscienti possono ribellarsi alla volontà, alle prescrizioni di chi paga loro il salario p che è molto difficile parecchie volte vendicarsi sopra una estesa collettività per le sconfitte dell’urna.

Noi oggi infatti assistiamo a questo fenomeno innegabile: centri, dove operai e agricoltori sono raccolti in gran numero, mandano al parlamento come rappresentanti i deputati socialisti. I proprietari tentano di comprare il voto come una derrata, ma il popolo ha cominciato, dopo la propaganda socialista, a comprendere i propri interessi e si ribella.

Mentre Pisacane precedo Marx quando spiega che il capitale si forma o almeno si accumula mediante l’appropriazione, da parte del capitalista, di lavoro non pagato, e che il risparmio come prodotto del lavoro collettivo non può essere che una proprietà collettiva, mentre prima di George nota la sproporzione che va ognor crescendo fra la ricchezza sociale sempre in aumento e il numero di coloro che la posseggono sempre minore; così deve dirsi davvero precursore di Bakunin e della scuola anarchica, quando pel miglioramento sociale non indica altra via se non quella della distruzione completa di tutti gli ordinamenti presenti e deride chi pensa che di essi possa giovarsi il popolo per Futile proprio.

Pisacane, dopo avere dichiarato che tutti gli uomini sono eguali perchè hanno gli stessi organi, gli stessi bisogni, le stesse sensazioni; tutti liberi o indipendenti, perchè capaci di provvedere alla propria esistenza; che l'associazione fra i vari uomini tende ad aumentare la libertà e l'indipendenza e che quindi i patti in cui una delle parti vien costretta dalla fame e dalla violenza sono nulli — passa ad enunciare i principi che emergono da queste leggi eterne ed immutabili e che riassumono l'intera rivoluzione economica.

Eccoli, con le precise parole dell’autore:

«1° Ogni individuo ha il diritto di godere di tutti i mezzi materiali di cui dispone la Società, onde dar pieno sviluppo alle sue facoltà fisiche e morali.

«2° Oggetto principale del patto sociale si è quello di guarentire ad ognuno la libertà assoluta.

«3° Indipendenza assoluta della vita, ovvero completa proprietà del proprio essere e però:

«a) l’usufrutto dell’uomo abolito;

«b) abolizione di ogni contratto, ove non siavi pieno consenso delle parti contraenti;

«c) godimento de’ mezzi materiali, indispensabili al lavoro, con cui deve provvedersi alla propria esistenza;

«d) il frutto del proprio lavoro sacro cd inviolabile».

Dopo avere determinata con tre principi fondamentali la rivoluzione economica, Pisacane passa alla politica:

«I bisogni sono i limiti della libertà ed indipendenza.

«La sovranità risiede nella nazione intera.... La sovranità è quel giudizio che viene comunemente sentito da tutto un popolo, ed il delegarla è un assurdo, come sarebbe quello di delegare la propria sensibilità.... Le leggi di natura, sotto pena di gravissimi mali, proibiscono il comandare del pari che l’obbedire....

«Da queste verità emergono i seguenti principi:

«4° La gerarchia, l’autorità, violazioni manifeste delle leggi della natura, vanno abolite. La piramide — dio, il re, i migliori, la plebe — adeguata alla base.

«5° Come ogni italiano non può essere che libero ed indipendente, del pari dovrà esserlo ogni comune. Ogni comune non può essere che una libera associazione di individui, e la nazione una libera associazione di comuni».

Pisacane prosegue dicendo che uno solo deve essere dichiarato legislatore. Un congresso di delegati dal popolo avrebbe l’incombenza di verificare se ì principi dichiarati base del patto sociale vengono in qualche parte lesi da queste leggi. Le leggi così saranno pubblicai, la nazione le adotterà se vorrà e quando vorrà, pei che né uno né pochi hanno il diritto d’impone ad essa delle leggi. Di più la volontà del mandante costituisco la legge del mandatario e quindi ogni deputato potrà esser sempre revocabile dagli elettori. Da ciò derivano altri i principi che Pisacane formula così:

«6° Le leggi non possono imporsi, ma e proporsi alla nazione.

«7° I mandatari sono sempre revocabili dai mandanti».

E il nostro autore segue, sempre logico e moderno, dimostrando che le sole attitudini devono essere quelle che nelle varie operazioni della vita costituiscono la diver « 'sità delle incombenze, che non v’ hanno incombenze più o meno nobili, funzioni più o* meno faticose, che in tutti i lavori sono indispensabili l’ordine ed una distinzione, che quando un lavoro riguarda l'intera Società, questo lavoro e gli ordini per compierlo debbono resultare dalla volontà col Attiva.

E così abbiamo altri due principi:

«8° Ogni funzionano non potrà che essere eletto dal popolo e sarà sempre da! popolo revocabile.

«9° Qualunque nucleo di cittadini, i quali siano dalla Società destinati, a compiere una speciale missione, hanno il diritte di distribuirsi eglino medesimi le varie fun zioni ed eleggersi i propri capi».

Finalmente Pisacane spiega che, facendo l’uomo parte della Società e proponendosi essa fra gli altri scopi quello di ampliare la libertà e l'indipendenza universale, ogni offesa all’individuo è un’offesa pubblica. E poiché, secondo il nostro autore, ogni delitto trova la sua origine negli ordina( menti sociali o nell’indole dell’individuo; bisogna rimuovere le cause del delitto ed attendere all’educazione dei colpevoli.

Le leggi scritte possono essere troppo । rigide, quindi è utile dar facoltà al giudice di raddolcirle, adattarle ai tempi. Ma ciò può condurre all’arbitrio, e per evitare i due mali lo scrittore propone che il reo sia rimandato ai suoi giudici naturali ed al popolo e che le decisioni del popolo siano superiori alle leggi scritte. «Così non potrà più accadere che vengano inflitte punizioni contradditorie alla pubblica opinione ed ai. tempi: così avverrà che le leggi seguite. ranno lo svolgersi ed il mutare dei costumi, né mai questi verranno in lotta accanita e sanguinosa con esse». Adunque:

«10° la sentenza del popolo è superiore ad ogni legge, ad ogni magistrato. Chiunque credesi mal giudicato può appellarsi al popolo».

Questi sono i dieci principi che formano per Pisacane la felicità dell’intera nazione e che, come egli dice, derivano da queste due semplicissime ed incontestabili verità:

«1° L’uomo è creato indipendente e libero. e solo i bisogni sono assegnati come limiti; a questi attributi. 2° Per allontanare da sé questi limiti e render sempre più ampia la sfera di sua attività, l’uomo si associa e però la Società non può, senza mancare al proprio scopo, ledere in minima parte gli attributi dell’uomo».

Né il filosofo napoletano si limita ad? offrirci i principi su cui deve fondarsi la rivoluzione econòmica; egli espone in altra parte tutti quei provvedimenti che inizieranno la rivoluzione sul retto sentiero e che sono necessari per la nuova organizzazione sociale, la quale deve assicura re il benessere di tutti.

Le proposte di Pisaèane, i principi da lui propugnati sono così lucidi e così scientifici, che crediamo opportuno riferirli tutti con le parole dell’autore:

«1° Tutte le leggi, i decreti, le cariche, le incombenze, insomma tutte le esistenti istituzioni sociali, rimangono da quest’istante annullate.

«a) Ogni contratto il quale non sussiste per libera volontà delle due parti contraenti, è sciolto;

«b) Le tasse ed ogni specie di gravezze, imposte dal passato governo, sono annullate. Non vi sarà che un’ imposta unica sulla ricchezza, da un congresso italiano ripartita sui Comuni, dai Consigli comunali ripartita sui cittadini. Questa prima provvisione, spezzando le ritorte da cui eravamo avvinti, ci ridona la piena libertà delle membra, indispensabili a sostenere la gran lotta in cui dovremo impegnarci. Né la vittoria sarà mai possibile, se combatteremo impastoiati fra leggi ed istituzioni volte a sgagliardirci e toglierci qualunque libertà d’operare. Né qui finiscono gli effetti di tale provvedimento: l’abolizione delle tasse, ecc. produrrà, cosa indubitata, un ribasso nel prezzo degli oggetti di prima necessità, ed il minuto popolo sentirà, nel nuovo ordine di cose, immediatamente sgravarsi dalle tante imposizioni da cui era oppresso, e quindi troverà cosa importantissima il difenderlo ed assicurarlo in avvenire. In tal guisa con un semplice decreto avremo ridonato al popolo tutta la sua forza, e creato il movente, che unificandone eziandio la volontà, lo sospinge alla difesa della patria.

«Inoltre, se il concedere altrui il governo assoluto della cosa pubblica ci ricaccia nella miseria e ci abbandona al dispotismo, il disordine conduce parimente alle conseguenze stesse, e però alla rivoluzione bisogna. assegnare un fine così ampio ed incontrastabile, da esser certi che nessuno possa durar fatica a riconoscerlo o rinnegarlo. Quindi bisogna stabilire come punti di riscontro, come limite e guarentigia della libertà, le leggi inviolabili della natura, le quali daranno norma, e determineranno tutte le provvisioni volte ad organare a dirigere, le forze della nazione al conseguimento del fine prefisso....

«Ridonata al popolo la sua piena libertà, creato il movente delle sue imprese, determinato il fine da conseguirsi, stabiliti i limiti dell’autorità, le guarentigie ed i diritti del popolo; la rivoluzione, senza tema d’essere fuorviata, potrà procedere nel suo corso, e poche e semplicissime provvidenze basteranno ad assicurare il suo progresso energico ed ordinato.

«2° Tutti i cittadini, qualunque ne sia il sesso, l’età, pongono sè medesimi e le loro sostanze a disposizione della patria, finché non siasi ottenuta la prima vittoria sui nemici di essa.

«3° Ogni Comune verrà amministrato da un Consiglio comunale formato da un numero di consiglieri stabilito dai cittadini medesimi. I consiglieri verranno eletti a suffragio universale, e saranno revocabili dagli elettori e soggetti al loro sindacato. Il Consiglio, affinché i comandamenti del popolo siano mandati ad effetto con la massima energia possibile, trasmetterà il proprio mandato ad un individuo che eleggerà nel suo seno, riserbandosi in ogni tempo il diritto di revoca e di sindacato:

«a) La podestà politica e la giudiziaria risiederanno nel popolo del Comune. L’ultima potrà riferirsi a un certo numero di cittadini eletti dal popolo, che non cesserà di essere il supremo tribunale, al quale i giudicati potranno appellarsi;

«b) La speciale incombenza del Consiglio comunale è quella di raccogliere ed apparecchiare nel Comune tutte le risorse materiali richieste dal nazionale Congresso;

«4° 11 congresso nazionale verrà eletto coi principi medesimi; cioè suffragio universale e diritto di revoca e di sindacato agli elettori. Come i Consigli comunali, questo Congresso potrà trasmettere il proprio mandato ad uno solo eletto nel proprio seno, riserbandosi sugli eletti i medesimi diritti accennati pei consiglieri comunali:

«a) Le incombenze di questo Congresso saranno di rappresentare l'Italia verso le potenze straniere: potrà conchiudere trattati ma essi non avranno effetto senza previa approvazione del popolo;

«b) In forza dei principi stabiliti come base del patto sociale, questo Congresso non. avrà sui Comuni altra autorità, fuorché quella di determinare ed esigere da essi la porzione contingente in uomini e denari, con cui dovranno concorrere alla guerra, inviare queste risorse ove l’esercito indicherà; accusare al cospetto della nazione quel Comune o quell’individuo che violasse il patto espresso dalle leggi di natura.

«5° L’esercito eleggerà i propri capi e sarà l’esecutore supremo dei voleri della nazione.

«Il Congresso si occuperà a risolvere il problema sociale e cercherà stabilire l’avvenire della nazione. Il Congresso terrà ai fittavoli il seguente discorso: — Il provvedimento preso di sospendere il pagamento delle rendite vi ha sostituito ai proprietari, bene grandissimo per voi stessi e per la Società; voi produttori per eccellenza ritenete e godete giustamente il frutto delle vostre fatiche, e la Società si è sgravata da quella classe d’oziosi digeritoli che per sostenere il loro lusso producevano l'incarimento de’ viveri. Ogni cittadino soffriva per cagion loro, ad ogni poverello veniva tolto un pezzo del suo pane per impinguare i cani e i cavalli di questi proprietari: ed oltre questi vantaggi evidenti, questi oziosi, costretti ora a lavorare per vivere, hanno accresciuto eziandio il prodotto sociale. Ma fa d’uopo riflettere che quali voi oggi siete,, tali essi furono, e l’esperienza varie volte ripetuta ha dimostrato che eziandio ripartendo ugualmente la terra, dopo qualche tempo vi sarà fra voi chi per maggior forza, solerzia od ingegno ingrandirà all’altrui spese e così a poco a poco sorgerà di nuovo la classe dei proprietari che avete annientato. Inoltra il medesimo diritto che avete voi sulla terra, lo ha ognuno; la medesima ingiustizia che voi pativate, la patiscono i vostri giornalieri e voi usurpate ad essi quel frutto de’ loro lavori, che già i proprietari vi usurpavano. Finalmente, rimanendo la loro condizione tal quale ora è,, i principi da voi stessi banditi sarebbero violati, il patto sociale sarebbe ingiusto come era prima, ed i vostri figli si troverebbero in una Società non diversa da quella che ora vogliamo riformare.

«La cagione di questi mali futuri è evidente; la proprietà ha cangiato possessore ma è rimasta illesa. È dessa che bisogna abbattere; è il principio che bisogna mutare; e perciò è necessario occuparci della, situazione del problema. Impedire che i proprietari rinascano; quésto è il problema che, unito agli altri riguardanti l'industria ed il commercio, formerà l'oggetto dello nostro cure».

E a questo punto Fautore si fa ad adombrare, come egli dice, il nuovo patto sociale «per sgombrare il suolo e scavare le fondamenta».

I

«Le siepi e quanto serve dì limite o chiusura ai poderi si abbatteranno. Il suolo italiano verrà ripartito secondo le diverse । specie di coltura a cui mostrasi atto. Una porzione di terra proporzionata alla popolazione verrà assegnata ad ogni Comune, o coltivata da coloro che si dedicano all’agricoltura, i quali formeranno una società, che stabilirà essa medesima la sua costituzione, in caso non volesse accettare quella che la costituente le proporrà. Ma questa costituzione, dovendo esser conforme a quei! principi che formano la legge universale ed immutabile della nazione, non potrà i esser molto diversa dalla seguente. Un amministratore ed un direttore eletti e soggetti ad un sindacato amministrativo ad uno di tecnologia dirigente. Tutte le altre incombenze distribuito secondo le inclinazioni e le attitudini di ognuno. Il guadagno netto; diviso egualmente fra tutti. In tal guisa, coli grandissimo ed universale vantaggio, la proprietà fondiaria sarà distrutta.

Il compartimento del suolo determinato dal genere di coltura e non dal caso; stimolo al lavoro, non già la fame, ma un maggior guadagno; ima Società di uomini agiati tutti dediti, ognuno secondo le proprie attitudini, ad un medesimo lavoro dovrà indubitamente produrre un accrescimento grandissimo delle ricchezze sociali. Sosterrebbero gli economisti, che l’agiatezza degli agricoltori, la mancanza dei proprietari che consumano senza produrre, facciano languire o scemare la produzione? Sosterrebbero che le facoltà d'una società numerosa ed agiata sieno inferiori a quelle d’una miseri famiglia, capace appena di quel lavoro che serve a pagare il vistoso tributo al proprietario e comperare per se un affumicato pane? Tutto può sostenersi col sofisma, ma esso perde la sua forza quando il minuto popolo non può sopportare i suoi mali e rovescia la soma che soverchiamento lo grava. Queste proposte non vengono fatte a congreghe di digeritori, di persone dedite all’usura e al monopolio, ovvero di proprietari, di banchieri, di trafficanti, ma ad una Società in cui la forza ha già distrutto la preponderanza di queste classi. Con la spada bisogna adeguare alle moltitudini i più sublimi, quindi la legge stabilisce l’ordine e l’uguntrlianza».

II

«Il capitale, come già dicemmo, essendo proprietà collettiva, non può appartenere ad un uomo; l’appropriarsi il capitale è una usurpazione, non così manifesta, ma simile a quella della proprietà fondiaria; tutti i capitali verranno dichiarati proprietà della nazione, il denaro potrà in parte involarsi, ma le fabbriche, le macchine rimarranno. Tutti gli impiegati in ogni stabilimento di industria, comporranno ima società, alla quale la nazione affida il capitale tolto al capitalista, e questa Società potrà reggersi con una costituzione identica a quella stabilita per gli agricoltori.

«Così trasformata e ricostituita l’agricoltura e l’industria, i mercanti che vendono in grosso si rinverranno nei depositi delle stesse Società e saranno membri di esse; e cosi a ciò espressamente delegati saranno i merciaiuoli che vendono al minuto».

III

«I trafficanti, intermedi fra i produttori ed i consumatori, a cui la miseria dei primi permette di speculare a scapito del popolo, verranno eziandio trasformati in Società composte ognuna del già capitalista sino all’ultimo facchino, marinaio, carrettiere, che trasporta le merci».

IV

«Tutti gli edifici saranno dichiarati proprietà nazionale, e gli edili dal popolo eletti e soggetti al suo sindacato, destineranno ad ognuno, secondo il bisogno, l’abitazione. In tal guisa più non si vedranno spaziosi appartamenti deserti e destinati a semplice lusso, mentre a breve distanza dalle loro mura, in oscuri e malsani tuguri, giacciono ammucchiate le famiglie dell’infelice proletario, con danno manifesto della pubblica salute e del pudore».

V

«Il testamento, mostruoso diritto che oltre l’epoca dalla natura stessa prescritta prolunga la volontà dell’uomo, abolito. I risparmi accumulati da ognuno appartengono di diritto, dopo la sua morte, alla Società cui egli faceva parte, ed al Comune ove crasi domiciliato, se il defunto esercitava ima professione singolare, come architetto, medico od altro».

VI

«In ogni comune vi sarà un banco d i scambio, che porrà in relazione i vari Comuni dello Stato ed i vari stabilimenti di industria e dirigerà le derrate ove maggiore è il bisogno. Questi banchi assorbiranno e faranno sparire i trafficanti».

VII

«Ogni cittadino, il quale trovasi isolato o privo di lavoro, ha il diritto di essere ammesso come socio in quella Società d’agricoltura e d'industria che da lui medesimo verrà scelta. La forza dell’intera nazione garantisce ad ogni italiano un tale diritto, diritto che rende impossibile la miseria e forma il cardine principale del nuovo patto sociale».

VIII

«Stabilita la costituzione economica, la politica non offre alcuna difficoltà. Un consiglio in ogni Comune, un congresso per l'intera nazione, eletti col suffragio universale, amministreranno il paese. Questo e quello saranno sempre revocabili dagli elettori e soggetti al sindacato del popolo. Il congresso stabilirà le relazioni con le altre potenze, avrà cura degli affari stranieri, rappresenterà la nazione; dovrà sopra intendere ai lavori, agli stabilimenti militari e di pubblica educazione, alle milizie in quella parte che non riguarda direttamente ai Comuni. Determinerà le spese, e quindi le gravezze, le quali dovranno pagarsi dalla nazione per questi vari rami della pubblica amministrazione. Non avrà ingerenza alcuna nella politica interna e nelle polizia; questa e quella non avranno altra norma che i principi da noi stabiliti come base del patto sociale. Il congresso denunzierà alla nazione quel Comune, quel magistrato, quel cittadino, che violerà o tenterà di violare questi principi.

«Il consiglio ed il congresso potranno, pel pronto spaccio degli affari, delegare o distribuire i loro poteri a persone elette nel proprio seno, che saranno sempre da essi revocabili e soggetti a loro sindacato».

IX

«Tutti i pubblici magistrati saranno eletti dal popolo e soggetti al suo sindacato. Ninno percepirà stipendio; ma l’associazione di cui esso faceva parte sarà obbligata a considerarlo e retribuirlo come socio presente. Lo stesso dicasi dei consiglieri comunali e dei deputati al Congressi».

«L’unica gravezza sarà un’ imposta progressiva sulla rendita netta di ogni associazione.»

Con queste norme doveva organizzarsi e regolarsi, dopo la rivoluzione sociale, il nostro paese.

È naturale a questo punto domandarci come verrà nello Stato collettivista distribuito il lavoro; quale sarà allora l’educazione de’ fanciulli, la condizione delle donne, e Pisacane, di nulla dimentico, si pone innanzi anche questi problemi e li risolve.

«Gli uomini sono naturalmente inclinati al lavoro delle braccia. Si giovano delle facoltà mentali per agevolare il lavoro di quelle; la dottrina, lustrazione non è naturale all'uomo. Ma i governi di oggi per intervenire in ogni cosa creano un numero strabocchevole di salariati; dalla farraggine di leggi oscure e contraddittorie pullulano a sciame i curiali come dalla putredine gli insetti, e salariati e curiati impinguandosi a spese di coloro che lavorano, hanno diviso la società in scorticati e scorticatori ed avvilito il lavoro. Ognuno, se sa leggere, potendo farsi comprendere fra i primi, crede avvilirsi se adopera la marra o conduce l’aratro. Ma allorché sarà data al lavoro la considerazione che merita, nessuno l’abbandonerà per una semi-dottrina che non potrà fruttargli né considerazione né lucro. Lasciamo a tutti aperta la via che mena alla scienza ed essa sarà percorsa volontariamente solo da coloro che la natura ha destinato a sublimarsi in essa. Questo è il principio generale sul quale bisogna basare il sistema di educazione».

Quanto all'educazione de' fanciulli, questi sino ai sette anni debbono esser tenuti presso la madre, dopo verranno affidati allo Stato, che li educherà in ginnasi comunali, sviluppando le loro facoltà fisiche e morali e cercando di lasciare sempre integra l'individualità del giovanetto. Ai quindici anni ciascuno apprenderà un'arte a suo piacimento e nello stesso tempo dovrà seguire un corso di filosofia civile ed origine de’ culti per imparare i diritti del cittadino e guarentirsi dalla superstizione. A diciotto anni (dopo due d'istruzione governativa nella specialità prescelta dal giovane) la tutela della nazione viene a cessare, il cittadino deve da sè procurarsi da vivere.

Le donne devono essere pur esse indipendenti e libere e perciò educate alla pari degli uomini «con i riguardi e le modificazioni nel metodo che si debbono alla gentilezza del sesso».

I matrimoni saranno regolati dalla sola legge dell'amore, perchè «la meretrice che senza amore vende il suo corpo, la donna che senz’amore sottoscrive ad un contratto matrimoniale, si prostituisce ugualmente». L’unione dovrà durare fino a quando v’ è l'amore; allorché questo viene a mancare, l'unione sarà sciolta di fatto.

Tale è il piano stabilito dal rivoluzionario per abbatter l'edificio sociale presente, per costruire quello che deve assicurare ad ognuno l'avvenire e la felicità.

Se il riformatore moderno volesse descriverci lo Stato a regime colletti vista non dovrebbe e non potrebbe allontanarsi di troppo dal piano, che Pisacane tracciò nel suo Saggio.

Prima di finire su questo precursore, non sarà inutile esaminare, dopo le sue opinioni sociali, quelle politiche e religiose, quelle sui problemi che affaticavano l'epoca sua, per vedere se la modernità che egli porta nella trattazione delle questioni sociali dipenda dalla suggestione di qualche lettura, di qualche esempio e rimanga limi’ tata in un campo, o se non sia invece il prodotto naturale di un intelletto libero, gagliardo, e contrassegni in ogni questione, in ogni materia l’opera del grande rivoluzionario.

Dobbiamo subito dire che Pisacane, il quale pensa all’importanza della questione economica quando quelli che vivevano con lui non ne conoscevano affatto l’esistenza, non divide nemmeno in politica ed in religione le idee della maggioranza, e noi anche in questo campo lo troviamo dissidente e lasciantesi indietro gli spiriti più liberali, più ardenti, più ribelli del tempo suo. Pisacane non è uomo dell’epoca, egli volge in mente idee, teorie a cui non pensano che alcuni, parla un linguaggio che pochi riescono ad intendere, discute questioni che non appassionano nessuno: vissuto oggi, sarebbe stato il propagandista più abile, il socialista più convinto e più grande.

La monarchia costituzionale era allora il sogno di molti italiani, che la esaltavano, la portavano a cielo; Pisacane invece scriveva queste parole che si potrebbero ripetere per tutti i ministri presenti passati e futuri del regno d'Italia: «La monarchia costituzionale altro non è che un’ipocrita tirannide. Si attengono ministri alle forme, perchè da esse dipende il loro utile personale, la loro carica, ma se credono necessaria una misura arbitraria l’eseguiscono come i governi assoluti. Ne parla il pubblico, ne scrivono i giornali, qualche deputato ne chiede conto ai ministri e qui finiscono le opposizioni, a questo si riducono i diritti, le guarentigie del popolo. Inoltre la monarchia costituzionale è corruttrice per eccellenza. Ha bisogno del plauso e dell’approvazione de’ pochi per opprimere i molti, li compra e le approvazioni, le lodi si trasformano, sotto tal governo, in merci. Di qui l'ignobile e puerile schiera dei soddisfatti ad ogni costo che si atteggiano, parlano, scrivono sempre come se fossero liberi cittadini».

Il ribelle ha naturalmente un’antipatia invincibile con tutte le dinastie, egli è convinto che i monarchici non potranno mai conquistare e conservare all’Italia la vera libertà. '

«Quale interesse possono avere gli italiani di favorire una dinastia piuttosto che un’altra? Il medesimo d\m condannato a cui fosse concesso di scegliersi il carnefice. Se mai siamo destinati ad essere tiranneggiati ed oppressi, è meglio che i satelliti del despota, i sostegni del dispotismo siano stranieri. Ne verrà risparmiato il dolore di veder rivolti contro noi stessi i nostri concittadini ed essendo maggiore il distacco fra il governo e il popolo, più sentito sarà l’odio, più pronta e terribile la vendetta».

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Michele Bakounine

Egli vuole un’Italia libera e indipendente, vuole un’ Italia unita a nazione e non una federazione italiana; infine non ha fiducia veruna nella Casa di Savoia: «le speranze, egli dice, di vedere ingranditi i possedimenti di Casa Savoia con l’aiuto delle potenze occidentali non sono se non calcoli ed utili parziali; l'Italia non può essere ligia alla Francia, non può né deve sopportare il protettorato».

La religione, questo sentimento che anche molti positivisti credono necessario pel bene della Società e che anche qualche socialista non osa attaccare di fronte; la religione, per Carlo Pisacane, è frutto del terrore e dell’ignoranza, né può ammettersi che debba esistere sempre per la sola ragione che ha sempre esistito, perchè la dottrina del progresso indefinito stabilisce il contrario. A coloro che confondono la religione con quel bisogno, insito nella natura umana, di venire alla conoscenza dell’assoluto, Pisacane risponde con queste parole veramente inconfutabili: «la religione è un sentimento di debolezza che ci rende creatori e adoratori di potenze sovrumane. Quando la ragione ci mostra che queste forze non esistono o almeno non impongono doveri, non accordano premi, né infliggono castighi, né havvi mezzo come placarle e renderla a noi propizie, la religione più non esiste. Le idee di umanità, di ragione, di libertà non essendo né mistiche, né sovrumane non hanno in se alcun sentimento religioso».

Per coloro che vorrebbero confondere insieme od almeno avvicinare le aspirazioni del socialismo moderno con quelle del cristianesimo, il nostro autore parla un linguaggio altrettanto moderno e scientifico, un linguaggio che merita di essere anche oggi ricordato.

«L’irreligione sarà nuova — come è nuovo il socialismo. — Quelle aspirazioni alla fratellanza che abbiamo scorto in tutte le Società, cominciavano (quando sorse il cristianesimo) a dissolversi; la comunità dei beni predicata nel Vangelo ha lasciato credere quasi a tutti che quelle antiche idee fossero i rudimenti del moderno socialismo, ma quest’aspirazione ad un migliore avvenire che sentiva un popolo avvilito, un. popolo in cui era spenta ogni energia, derivava dalla corruzione di quella Società che doveva o progredire o decadere. Ma essa non fu che una semplice aspirazione; le massimo che prevalsero furono quelle dell’umiltà, dell'indifferenza alle cose terrene, effetto di loro degradazione e causa che ne accelerò la caduta; ma tale aspirazione fu il crepuscolo di un tramonto o piuttosto fu l'alba di un nuovo giorno.

«L'avvenire immaginato da’ cristiani in tale aspirazione sarebbe stato la trasformazione del mondo in un convento. Il fanatismo condusse que’ popoli al martirio, ma non potè elevarli alla battaglia. Per contro, fra le dottrine dei moderni socialisti, fra le massimo accolte, non havveno alcuna che dissolva o avvilisca; gli uomini oggi si associano non già per pregare e soffrire, ma per prestarsi vicendevole aiuto, lavorando per acquistare maggior prosperità e per combattere. L’aspirazione del socialismo non è quella di ascendere in cielo, ma di goder sulla terra. La differenza che passa fra esso ed il Vangelo è la stessa che si riscontra fra la rigogliosa vita di un corpo giovane ed il rantolo di un moribondo».

Per queste ideo, sulla religione specialmente, Pisacane si trova in contrasto con Mazzini. Non cessa per questo d’esserne amico e ammiratore e di amicizia e di stima fu ricambiato da lui, che come vedemmo gli diede delicati incarichi, quale commissario di guerra della repubblica romana nel 1849. Nel momento in cui tutti gli spiriti ribelli e generosi palpitavano per le dottrine di Mazzini, con Mazzini cospiravano nella Giovane Italia, con Mazzini giuravano nella formula «Dio e Popolo», Pisacane dissente e ci dà di Mazzini una analisi psicologica profonda ed indovinata quale nessuno seppe mai. Verrà più tardi Bakunin a sgretolare la statua dal piede di creta innalzata da Mazzini, la colpirà da tutte le parti e la ridurrà in nulla; ma prima di lui Pisacane l’aveva toccata nel piede di creta.

Il rivoluzionario napoletano dipinge l'indole nobilissima di Mazzini, mostra come l’unico suo piacere fosse farsi strumento del risorgimento italiano, come disprezzasse quegli agi della vita che pure per la cagionevole salute gli sarebbero stati necessari.

Ma Mazzini, scrive giustamente Pisacane, essendo privo di appoggio sulla terra ha sentito il bisogno di rivolgersi al cielo e perciò v’ è del misticismo ne’ suoi concetti politici. La religione lo ha fatto propendere un poco verso il principio di autorità; i suoi difetti, i suoi errori prendon tutti origine da’ suoi sentimenti religiosi. «Se Mazzini fosse irreligioso sarebbe l'ideale del cittadino».

E qui il napoletano si fa ad esporre le dottrine di Mazzini e le sottopone ad una critica minuziosa ed inesorabile. La legge è per Mazzini un’emanazione di dio che impone, di vivere nel vero, nel buono, nel giusto; codesto dovere non è verso noi, ma verso l’Umanità, la vita quindi una missione, un continuo sacrificio che necessariamente deve aspettai si un premio od una pena: altrimenti non avrebbe scopo.

«La legge, obietta Pisacane è emanazione di dio, ma chi mi prova che questo dio esiste?

«Ed anche se questo dio esistesse, chi mi dice che la legge fatta e sancita da uomini è emanazione di dio? Se poi, come Mazzini pretende, v’ è un sentimento di dovere, insito in ogni cuore, a che le rivoluzioni, a che le congiure, a che le guerre contro i nostri fratelli oppressori per farlo trionfare? Basterà la propaganda pacifica, perchè lo straniero abbandoni lieto e contento paesi su cui non ha nessun diritto, il capitalista divida spontaneamente le proprie ricchezze, il proprietario ceda al popolo lavoratore le sue terre. E se l’apostolato deve propagare fra il popolo —tu hai un’anima immortale, tu hai una missione da compiere — tutti coloro che come Beccaria, Romagnosi, Filangieri, non credono in questa missione, non ammettono diritti, doveri assoluti, ma sostengono esistere solo vincoli di libera associazione che il nostro vantaggio determina, dovranno combatterai, perseguitarsi, porsi al silenzio. Ecco risorgere la censura l’indice; tanti fratelli messi sotto le tutela dei migliori; ecco la Società di Mazzini».

Pisacane non è idealista come Mazzini; la Società non impone doveri, ma li crea promettendo solo guarantigie ai diritti di ognuno, il che limita difatti i diritti ab trai. Egli ha insomma della giustizia e della libertà il concetto positivista che verrà poi svolto ne’ poderosi scritti di Mill e Spencer. Il mondo è stato sempre in possesso dei più forti e de’ più astuti; l’uomo è nel fondo egoista. Non è quindi l’uomo, torna a ripetere Pisacane, che deve educarsi, sono i rapporti sociali che debbono cambiarsi affatto, e ciò basterà per trasformare un popolo di egoisti in un popolo di eroi. Allora l’utile privato sarà indissolubilmente legato all’utile pubblico ed ognuno adoprandosi pel proprio bene farà il bene dell’universale. «Consolantissima verità che sostituisce al lento, impossibile, assurdo sistema di educazione, quello potentissimo della rivoluzione e che invece di escludere, come irriducibile, un numero considerevole d’individui e ristringere gli eletti in pochissimi, abbraccia, senz’eccezione di sorta, l’università de’ cittadini».

Anche nel campo ristretto della filosofia, Pisacane è precorritore audace e indovino.

Mentre le scuole filosofiche di Gioberti, di Mamiani, di Rosmini erano in voga ed entusiasmavano tementi giovanili, Pisacane va contro corrente ed è più positivista di Ardigò e di Spencer. «L’incerta e pallida luce dell’ecclettismo riverberò in Italia quando venne interrotto il maestoso lavoro che seguitava continuo da Telesio a Romagnosi. Le dottrine di Gioberti, di Mamiani, di Rosmini vennero in luce. In esse non riscontrasi nulla del grande pensiero italiano, ma invece uno strano connubio de’ più contraddittori principi: ragione e fede, autorità e libertà, diritti di popoli e diritti di principi, né costoro che intrecciano la loro filosofia sull’orditura imposta dai birri e dai preti meritano il nome di filosofi italiani».

Certo più di costoro che avevano le menti impregnate della metafisica e delle utopie dominanti in quel tempo e che sotto ai marosi furenti della politica contemporanea non sapevano scorgere la larga, solenne corrente dell’evoluzione sociale, è filosofo Pisacane, scolaro di Pagano, di Filangieri, di Romagnosi; Pisacane che trattando la questione filosofica giunge logicamente fatalmente al socialismo, come ci giunge trattando quella economia e quella politica.

Il suo programma riassuntivo è «libertà ed associazione»; la libertà stabilisce il diritto in tutti gli italiani, l’associazione indica la sola legge cui tutti si sottopongono, il patto che li tiene uniti e che è necessario allo svolgersi dell’infinito progresso.

La sua conclusione finale si riassume in questa affermazione categorica: «Socialismo o schiavitù, altra alternativa non v’è per la nostra Società».

Abbiamo voluto riassumere per esteso le dottrine di Carlo Pisacane e riportarne spesso le parole, perchè il lettore constati quanta profondità vi è in questo pensatore rimasto per tanto tempo ignorato, in questo precursore, di cui si vantarono solo le imprese patriottiche e militari e si dimenticò il contributo scientifico portato alla causa della rivoluzione e del socialismo.

Come già dicemmo egli supera tutti gli altri che prima di lui scrissero di socialismo e si professarono socialisti. Soltanto uno può essergli in qualche modo avvicinato: Filippo Buonarroti.

Ed invero quanti punti di contatto fra il discendente del grande Michelangelo ed il rivoluzionario meridionale! Ambedue appartenenti a nobili famiglie nella prima loro gioventù furono paggi di un sovrano, e seppero uscire nobili e puri da quegli ambienti guasti e corruttori; ambedue furono in relazione con Mazzini, ramarono, lo rispettarono, ma ne dissentirono ne’ principi e nelle dottrine sociali; ambedue furono inspiratori di cospirazioni politiche per liberare la patria; ambedue portarono affetto ed idolatria alla donna che fu compagna della loro vita; ambedue trassero parte della esistenza fuori della patria, sempre in congiure ed in guerre; ambedue per guadagnare un tozzo di pane furon ridotti a dare lezioni di matematica; ambedue credettero per la rivoluzione sociale maturi i tempi in cui vissero e solo nella rivoluzione videro la salute e il benessere della Società.

Nella maggior parte delle idee e delle dottrine i due precursori si trovaron concordi: rinunziarono agli agi e alle ricchezze, che avrebbero conseguito stando con i potenti, palpitarono per gli stessi ideali, combatterono con la medesima fede; scrissero, congiurarono, soffersero e morirono per quel popolo che viventi, non li udì, non li comprese.

Anche tale fenomeno è da porsi in evidenza, perchè se è indubitabile che la redenzione delle plebi può essere opera soltanto delle stesse plebi organizzate — che la classe borghese ha interessi opposti, a quella operaia — questo pure è indubitabile; che dal seno della borghesia, dalla schiera degli oppressori e dei tiranni quasi sempre sorge colui che precorre i tempi nuovi e li annunzia, che deserta la bandiera de’ suoi, e sentendosi fratello del popolo gli grida la buona novella, gli offre le anni per insorgere e per vincere.

Mentre il popolo avvilito e conculcato crede quasi che il proprio destino sia quello di servire e soffrire, il precursore che esco dalla classe privilegiata armato di dottrina e d'ingegno gli addita il proprio destino: e anche quando il popolo non ode, le parole del precursore sono semi che produrranno frutti: le generazioni venture li raccoglieranno.

Grande e bella è perciò l’opera de’ pre cursori.

«Essi sono quelli — come scrive Enrico Ibsen — che adottano ogni verità nascente. Si trovano sempre agli estremi avamposti, così lontano che là maggioranza non riesce a raggiungerli e là lottano per delle verità ancora troppo grandi e troppo nuove nel mondo per esser comprese da tutti».

Ma quando la verità si disvela, quando i tempi più maturi la desiderano e la preparano, quando i popoli la sentono, il precursore, fino allora ignorato o dispregiato, assume la figura del profeta e del martire; la gratitudine de’ posteri gli erige un altare e la storia ne' scrive con onore il nome nel suo libro, perchè egli fu tormentato da una idea nobile e bella, perchè in ogni opera, in ogni atto, si dimostrò pensoso più d’altrui che di se stesso.





Pisacane e la spedizione di Sapri (1857) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito
1851 Carlo Pisacane Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49
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1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. I HTML ODT PDF
1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. II HTML ODT PDF
1860 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. III HTML ODT PDF
1860 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. IV HTML ODT PDF

1849

CARLO PISACANE Rapido cenno sugli ultimi avvenimenti di Roma

1855

La quistione napolitana Ferdinando di Borbone e Luciano Murat

1855

ITALIA E POPOLO giornale politico Pisacane murattisti

1856

Italia e Popolo - Giornale Politico N. 223 Murat e i Borboni

1856

L'Unita italiana e Luciano Murat re di Napoli

1856

ITALIA E POPOLO - I 10 mila fucili

1856

Situation politique de angleterre et sa conduite machiavelique

1857

La Ragione - foglio ebdomadario - diretto da Ausonio Franchi

1857

GIUSEPPE MAZZINI La situazione Carlo Pisacane

1857

ATTO DI ACCUSA proposta procuratore corte criminale 2023

1857

INTENDENZA GENERALE Real Marina contro compagnia RUBATTINI

1858

Documenti diplomatici relativi alla cattura del Cagliari - Camera dei Deputati - Sessione 1857-58

1858

Difesa del Cagliari presso la Commissione delle Prede e de' Naufragi

1858

Domenico Ventimiglia - La quistione del Cagliari e la stampa piemontese

1858

ANNUAIRE DES DEUX MONDES – Histoire générale des divers états

1858

GAZZETTA LETTERARIA - L’impresa di Sapri

1858

LA BILANCIA - Napoli e Piemonte

1858

Documenti ufficiali della corrispondenza di S. M. Siciliana con S. M. Britannica

1858

Esame ed esposizione de' pareri de' Consiglieri della corona inglese sullaquestione del Cagliari

1858

Ferdinando Starace - Esame critico della difesa del Cagliari

1858

Sulla legalità della cattura del Cagliari - Risposta dell'avvocato FerdinandoStarace al signor Roberto Phillimore

1858

The Jurist - May 1, 1858 - The case of the Cagliari

1858

Ricordi su Carlo Pisacane per Giuseppe Mazzini

1858

CARLO PISACANE - Saggi storici politici militari sull'Italia

1859

RIVISTA CONTEMPORANEA - Carlo Pisacane e le sue opere postume

1860

POLITECNICO PISACANE esercito lombardo

1861

LOMBROSO 03 Storia di dodici anni narrata al popolo (Vol. 3)

1862

Raccolta dei trattati e delle convenzioni commerciali in vigore tra l'Italia egli stati stranieri

1863

Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

1863

Giacomo Racioppi - La spedizione di Carlo Pisacane a Sapri con documenti inediti

1864

NICOLA FABRIZJ - La spedizione di Sapri e il comitato di Napoli (relazione a Garibaldi)

1866

Giuseppe Castiglione - Martirio e Libert࠭ Racconti storici di un parroco dicampagna (XXXVIII-XL)

1868

Vincenzo De Leo - Un episodio sullo sbarco di Carlo Pisacane in Ponza

1869

Leopoldo Perez De Vera - La Repubblica - Venti dialoghi politico-popolari

1872

BELVIGLIERI - Storia d'Italia dal 1814 al 1866 - CAP. XXVII

1873

Atti del ParlamentoItaliano - Sessionedel 1871-72

1876

Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

1876

Gazzetta d'Italia n.307 - Autobiografia di Giovanni Nicotera

1876

F. Palleschi - Giovanni Nicotera e i fatti Sapri - Risposta alla Gazzettad'Italia

1876

L. D. Foschini - Processo Nicotera-Gazzetta d'Italia

1877

Gaetano Fischetti - Cenno storico della invasione dei liberali in Sapri del 1857

1877

Luigi de Monte - Cronaca del comitato segreto di Napoli su la spedizione di Sapri

1877

AURELIO SAFFI Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini (Vol. 9)

1878

PISACANE vita discorsi parlamentari di Giovanni Nicotera

1880

Telesforo Sarti - Rappresentanti del Piemonte e d'Italia - Giovanni Nicotera

1883

Giovanni Faldella - Salita a Montecitorio - Dai fratelli Bandiera alladissidenza - Cronaca di Cinbro

1885

Antonio Pizzolorusso - I martiri per la libertࠩtaliana della provincia diSalerno dall'anno 1820 al 1857

1886

JESSIE WHITE MARIO Della vita di Giuseppe Mazzini

1886

MATTEO MAURO Biografia di Giovanni Nicotera

1888

LA REVUE SOCIALISTE - Charles Pisacane conjuré italien

1889

FRANCESCO BERTOLINI - Storia del Risorgimento – L’eccidio di Pisacane

1889

BERTOLINI MATANNA Storia risorgimento italiano PISACANE

1891

Decio Albini - La spedizione di Sapri e la provincia di Basilicata

1893

L'ILLUSTRAZIONE POPOLARE - Le memorie di Rosolino Pilo

1893

 MICHELE LACAVA nuova luce sullo sbarco di Sapri

1894

Napoleone Colajanni - Saggio sulla rivoluzione di Carlo Pisacane

1905

RIVISTA POPOLARE - Spedizione di Carlo Pisacane e i moti di Genova

1895

Carlo Tivaroni - Storia critica del risorgimento italiano (cap-VI)

1899

PAOLUCCI ROSOLINO PILO memorie e documenti archivio storico siciliano

1901

GIUSEPPE RENSI Introduzione PISACANE Ordinamento costituzione milizie italiane

1901

Rivista di Roma lettere inedite Pisacane Mazzini spedizione Sapri

1904

LUIGI FABBRI Carlo Pisacane vita opere azione rivoluzionaria

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - Giudizi d’un esule su figure e fatti del Risorgimento

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - Lettera di Carlo Cattaneo a Carlo Pisacane

1908

RISORGIMENTO ITALIANO - I tentativi per far evadere Luigi Settembrini

1911

RISORGIMENTO ITALIANO - La spedizione di Sapri narrata dal capitano Daneri

1912

 MATTEO MAZZIOTTI reazione borbonica regno di Napoli

1914

RISORGIMENTO ITALIANO - Nuovi Documenti sulla spedizione di Sapri

1919

ANGIOLINI-CIACCHI - Socialismo e socialisti in Italia - Carlo Pisacane

1923

MICHELE ROSI - L'Italia odierna (Capitolo 2)

1927

NELLO ROSSELLI Carlo Pisacane nel risorgimento italiano

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - CODIGNOLA Rubattino

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano




Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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