Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024) |
PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO |
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ITALIA E POPOLOGIORNALE POLITICO Libertà Unità |
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Anno VI | Genova Venerdì 21 Novembre 1856 | Num. 323 |
Inseriamo di buon grado la seguente dichiarazione:
Il giornale che si pubblica a Nuova ' York sotto il titolo |di Eco d’Italia,>ma che in realtà sembra avere la missione di falsare all'estero le cose d* Italia e denigrare gl'italiani, nel N.® 42 di questo anno, cerca con un articolo virulento di spargere la diffidenza contro la sottoscrizione patriottica dei 10 mila fucili e la calunnia e il discredito contro coloro, che la promuovono.Per conto nostro sappiamo in quale t considerazione meriti di esser tenuto quel foglio, e non discenderemmo certo a rispondergli, se, pubblicato in terra straniera, dove le cose nostre sono meno i note non potesse trarre in inganno qualcheduno circa il carattere, l'andamento e lo scopo della sottoscrizione.
L'Eco d'Italia>scrive: 1° Che i promotori della sottoscrizione gettarono il dileggio sull’altra sottoscrizione pei 100 cannoni di Alessandria e>idearono quella dei fucili per seminare la discordia e la divisione;
2° Che la sottoscrizione ai fucili può dirsi un fallimento compiuto, e ciò risulta dai giornali italiani;
3° Che la dichiarazione 'dei signori Cantara e Piazza, è un rifiuto di associarsi alla sottoscrizione;
4° Che Garibaldi e gli altri uomini più sinceri e devoti alla causa della libertà non sottoscrissero;
5° Che la sottoscrizione potrebbe essere utilissima, ma finora non ha basi certe né scopo fisso, e che i 10 mila fucili potrebbero servire per gli arsenali austriaci.
È menzogna che i promotori della sottoscrizione pei fucili abbiano sparso il dileggio su quella dei 100 cannoni, come è menzogna che si sieno proposti di seminare la divisione — Il programma che iniziava la sottoscrizione patriottica non accennava in nessun modo ad altre sottoscrizioni — I membri della Commissione, che ne furono poi i promotori, così si esprimevano nella circolare del settembre p. p., il primo atto con cui annunziarono l'esistenza della Commissione medesima:
«Due Sottoscrizioni Nazionali sono iniziate fra noi, la prima di cento cannoni destinali a respingere da Alessandria probabili assalti dell’Austria.
«La seconda per l’acquisto di 10 mila fucili da darsi alla prima provincia italiana che insorgerà contro il comune nemico.
«Questi cannoni e questi fucili dunque hanno di mira un solo scopo come l'esercito nazionale e i militi dell’insurrezione combatteranno uniti nella guerra italiana.
«Le due sottoscrizioni unite rivelano tutto il pensiero Italiano, danno una giusta idea di ciò che più ampiamente si potrebbe fare, di quello che i patriotti degli Stati sardi desiderano.»
Lo stesso linguaggio tennero nei successivi atti e dichiarazioni.
È menzogna che la Sottoscrizione si a un fallimento — Appena proposta ebbe accoglimento favorevolissimo da parte dell'opinione pubblica e della stampa liberale di tutte le gradazioni, tanto di Torino che delle provincie, della stampa italiana come della straniera — LaGazzetta del Popolo>iniziatrice della sottoscrizione dei 100 cannoni, l’Unione, il Diritto,>il Vessillo della Libertà, >la Bollente,>l’Osservatore Tortonese, l'Avvisatore Alessandrino,il Lemmi la Gazzetta delle Alpi,>il Movimenti >ecc. le fecero plauso — Parecchi giornali del Belgio, della Svizzera e dell'Inghilterra eccitarono i loro compatriotti a concorrere alla sottoscrizione italiana — Le liste si empierono con grande rapidità, finché il governo vedendo le proporzioni che assumeva e cedendo forse a rimostranze straniere la sottopose all’azione del fisco e sospese sui soscrittori la minaccia di un processo — Con tutto ciò non si arrestò lo slancio patriottico, le liste continuarono a raccogliere numerosissimi e rispettabili nomi, che oggi ascendono ad una ingente cifra, e sarebbero dieci volte di più, se la sottoscrizione potesse circolare liberamente, se l’opposizione governativa non si attraversasse; io cento modi, se non si tenesse appositamente sospesoci! processo per evitare l’alternativa o di una odiosa ostilità, o di una assolutoria incoraggiante — É falso altresì che risolti, dai giornali italiani il fallimento della.sottoscrizione, come asserisce l’Eco d’Italia. —Il Diritto,>l’Unione,>il Vessillo, l’Avvisatore,>l’Osservatore, soli giornali italiani, che ne parlino, affermano che va progredendo.
È menzogna che la protesta Piazza e Cantara sia un rifiuto di associarsi alla sottoscrizione, è solamente il rifiuto di amministrare, come commissione di Torino il denaro colà raccolto, rifiuto fondato sull'inadempimento d’una formalità, come rilevasi dalla protesta medesima riferita dall’Eco. I >signori Cantara e Piazza d’altronde non potevano, neppure volendo, rifiutare di associarsi alla sottoscrizione per la semplice ragione che avevano già sottoscritto; il signor Cantera sulla seconda lista di Torino pubblicata nel numero 237 dell'Italia e Popolo,>e il signor Piazza nella lista terza inserita nel i detto giornale num. 239. L'originale delle loro firme trovasi a mani della Commissione. È menzogna che il gen. Garibaldi e altri uomini sinceri e devoti alla causa della libertà non abbiano firmato pei 10m. fucili. Il nome di Garibaldi figura nella lista num. 10 e con Garibaldi figurano fra i patrioti italiani il gen. Aliemandi, Ribotti, Felice Foresti, De Boni, Interdonato, De Sanctis, Stocco, Pisacane, Boldoni, Cosenz, Virgilio, Carrano, Bertani, Saffi, Orsini, Mercantiti, Campanella ecc. fra i deputati al parlamento piemontese Brofferio, Sineo e Asproni; fra gli stranieri Thurr, Hertzen, Quinet, Dufraisse, Flocon ecc.
È menzogna che la sottoscrizione non abbia basi certe e scopo fisso. Le basi e lo scopo sono determinati con tutta precisione nel programma e più ampiamente chiariti dalle circolari della Commissione. È poi contraddizione che una sottoscrizione dichiarata antinazionale possa riuscire utilissima. Ma l’Eco d'Italia>non ha avvertito di porsi in contraddizione, purché qualche cosa rimanesse dalle sue stolte calunnie e potesse riuscire ad allontanare qualche; credulo dalla sottoscrizione.
I 10m. fucili, dice l’Eco d'Italia >possono servire agli arsenali austriaci; e i 100 cannoni non possono cadere orse sotto la sorveglianza delle sentinelle croate, come nel 1849? Non sarà né l'uno né l'altro: ma perchè la stupida insinuazione?
Infamia
e tradimento. Non sappiamo che cosa significhino queste parole nel
vocabolario dell'Eco d'Italia. Per noi e per tutti gli onesti è
tradimento ed infamia mentire a danno della patria colla coscienza di
mentire; calunniare uomini e cose,
parole e intenzioni; gettare una pietra sulla via per poter dire:
ecco un ostacolo, non vi arrestate?
La Commissione
GIACOMO MEDICI ANTONIO MOSTO
ANGELO MANGINI AGOSTINO
GNECCO ANTONIO CASARETO
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ITALIA E POPOLOGIORNALE POLITICO Libertà Unità |
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Anno VI | Genova — Sabato 27 Dicembre 1856 | Num. 358 |
Lessi in questo momento un articolo del signor M a cchi nel Movimento>del 23 dicembre, e rispondo senza dilazione.
Il signor Macchi ritorna sulla interpellanza che io gli rivolsi il 7 decembre intorno all'insurrezione di Sicilia, e dichiara candidamente: « Non dico di aver risposto bene» — La confessione è sincera, verace e d a prova di modestia di cui mi rallegro con esso. Però soggiunge «che ha data quell'unica risposta che da onesto patriota fosse lecito onestamente di attendersi » . Al quale uopo si arrabatta, si contorce, si strugge per dimostrarlo, cita giornali per far vedere che il moto siculo sin dalle prime notizie andava male e via discorrendo: dice perfino « che io non aveva che a gettare u n ’occhiata n el foglio sul quale ho scritto la mia risposta, in capo al quale leggevasi LE NOTIZIE DI SICILIA SONO PIU’ CHE MAI COMPLICATE E DUBBIE » .
Primieramente io, come è naturale, ho consegnato l’ articolo di risposta al direttore dell’Italia e Popolo,> il giorno innanzi che fosse stampato, perciò non poteva aver letto il numero dell’Italia e Popolo>il quale doveva essere pubblicato all'indomani; in secondo luogo, qui non si tratta della risposta, sibb e ne del l’ interpellanza; e quando io la pubblicai, le notizie sulla insurrezione di Sicilia in nome d’Italia con la bandiera tricolore senza stemmi di sorta erano presso che concordi. Del resto non importa niente di tutto cotesto, la questione era tutt'altra, e semplicissima, « Se è vero che la Sicilia sia insorta in nome d’ It alia, accettate il movimento, sì, o no?» Il s i gnor Macchi, avvisando la dimanda non abbastanza esplicita, doveva aggiungere nel rispondere quelle condizioni che avesse stim ate migliori, e dire peresem pio: « Se le Sicilia è insorta i n nome d’Italia, vale a dire con la bandiera della republica democratica e dell’U ni tà, l’accetto o no n l’ accetto » . Ma egli invece prima di pronunciarsi voleva conoscere quello che non si sa che a fatto compiuto o, almeno, di molto avanzato; vale a dire quali fossero gli uomini, di quanti mezzi disponessero, quale il disegno strategico e via via, voleva in una parola aspettare il dimani.,.. Ora io chieggo: è cosifatta «quell'unica risposta che da onesto patriota fosse lecito onestamente di a tt endersi? »
«Ma il signor Macchi inoltre osserva che «se diceva di si, era messo ad ar bitrio del fisco » . Se aveva questo timore dovea protestare di non rispondere per tale motivo e la bisogna era terminata.
Ciò posto, anche il lettore che abbia la vista d’una spanna dee aver compreso il senso schietto e semplice della mia interpellanza: nientedimeno la perspicacia e l'onestà del signor Macchi lo condussero a darle la amenissima interpretazione che riproduco: «quale era richiesta, la risposta non poteva esprimere che l ’uno, o l’altro di questi due ass u rdi concetti, cioè: S ì , io approvo l’insurrezione di Si cili a — quand’anche fosse ordita a danno della libertà. Ovvero: No, io non l’ a pprovo — quand’anche potesse rie scireproficua>alla causa della patria e della democrazia. — E nessuno ha diritto di aspettarsi da me né l’ una né l'altra di queste due risposte. »Io sarei imbarazzato nel giudicare se in questo m u cchio di parole primeggi il sofisma, lo sproposito o la mala fede. Se non che, per atto di cortesia dirò solo esservi sofisma.
«Or dica in buona fede il signor Moritara, continua il Macchi: sarebbe egli pronto a dare in oggi quel si perentorio che da me esigeva, a rischio di promettere dinanzi al pubblico adesione e soccorso ad una trama ordita in favore del re Borbone, o del suo primogenito; di Murai, o degli inglesi? »
Quale rapporto ha tutto cotesto con la mia interrogazione, io il chieggo in nome del buon senso, se non della lealtà? Se il signor Macchi avesse diretta a me la dimanda che io a lui rivolsi, gli avrei risposto: S ì accetto la rivoluzione siciliana, l’approvo, e l'aiuterò con tutte le mie forze.
« Si pre t ese dimostrare » egli scrive, « che colle mie dottrine intorno alla necessità d ell i studii, ed alla assidua propaganda delle idee, io non possa essere favorevole ed alcuna insurrezione ». — Io non solo ho preteso dimostrarlo, ma anzi l’ ho irrefu t abil m ente dimostrato; e sfido il signor Macchi a rovesciare con i sui scritti alla mano le conclusioni a cui io sono pervenuto appunto con i suoi scritti al l a mano. Ebbi già occasione di no t arglielo che vi è ne’ suoi libri qualche vaga frase nella quale ei conviene che venuto il momento propizio, accetterebbe l'insurrezione. Ma soggiunsi che tali frasi, o furono il frutto di una inevitabile condiscendenza all’opinione de’ più che credono ne ll’e fficacia dell’insurrezione, ovvero una contraddizione in termini con tutta la s us t anza dalle sue dottrine. Ove non basti quanto ho citato, trascrivo a modo d’appendice un nuovo documento che tolgo a caso fra i cento di simile conio che potrei addurre per rinfrancare l’asserzione mia, che cioè il Macchi non solo d i sapprova qualsiasi insurrezione, ma è persuaso, stante la beotiica ignoranza degli italiani, essere eglino incapaci di conservarsi liberi e indipendenti se per a v ventura col l’in surrezione fossero riusciti a divenirlo.
« Quali conclusioni possiamo ritrarre, egli dimanda, dalla insurrezione del 1848? »
Fatto il panegirico del regno di Luigi Filippo, il Macchi conchiude: « È, dunque, manifestissimo che l’ interesse dei popoli doveva consigliarli a tenersi inesorabilmente nel campo del diritto e delle idee, nel quale erano, ed apparivano, invincibili, mentr’era evidente l'interesse che avevano i nostri nemici, di escirne il più presto possibile, per trascinarci su quello della forza, in cui avevan essi la probabilità, se non la certezza, di riescir prevalenti. E noi che abbiamo fatto invece? Abbiamo rimeritato con frivolo compatimento e con superbo disprezzo, quei pochi uomini di giudizio i quali, contro la foga universale, venivano saviamente ammonendoci d’andare a rilento nel compromettere le sorti della nazione, dicendo; che la causa della libertà era cos ì bene avviala, da poter benissimo procedere con calma nella certezza del trionfo immancabile, a meno di volerla compromettere a bella posta con giovanili improntitudini, che conveniva sopratutto guadagnar tempo almeno per agio di procurarsi le armi e di addestrarsi nel maneggio di esse, prima di accettare la sfida, lanciataci da agguerrita soldatesca. Eppure, perchè il maggior numero di questi assennati ragionatori mostravano pei principi e pel papa molto maggior tenerezza che forse non faceva bisogno ecc. ecc. non abbiamo avuto bastevole criterio per discernere, o s u ffi cien te buona fede per riconoscere, la validità di loro ragioni in cospetto alle esigente della opportunità, o, per dirlo con parole m e n o soggette a falsa interpretazione, in cospetto all'inesorabile realtà dei latti.
« Parò, che guadagnarono i popoli coll’essere spinti a dar di piglio alle armi?
«Tu tt i i racconti pubblicatisi finora sulla guerre scoppiate in seguito alla rivoluzione del 48 in Italia, in Germania, in Ungheria, cominciando da quello di Bava, che fu il primo, sino a quello di Gorgei, c he fu uno d egl i ultimi, formano una tremenda Iliade d’errori, di colpe, di tradimenti all’infinito, sicché, si dovrebbe credere assolutamente impossibile che un uomo, cui sia rimasto nel cuore un’ombra di coscienza, e ne l la testa u n dito di giudizio, possa ancora aver voglia di affidare a mani soldatesche la soluzione degli ardui e sublimi problemi, onde va ogni giorno più agitandosi l'umanità. A farci detestare la guerra, non basta il vedere eone per essa la libertà già spenta dovunque, ed i popoli siano dovunque ritornati alla schiavitù?
«Riferiti i giudizji di Pisacane e di R o selli intorno a Garibaldi e di Dembinskyintorno a Bem, esclama: « Ed i popoli dovranno aver voglia di mettere io gioco( ) altra volta i loro destini, affidandoli al valore, od alla fortuna, di gente siffatta? E quelli che si vantano più teneri amici dei popoli, saranno appunto i medesimi che più temerariamente li vorrebbero esporre a tanto pericolo?» (Studi pag. 8-13.)
«Qual è la causa vera della schiavitù italica? E inutile dissimularcelo per frivola van it à: noi sia m o schiavi, in grazia della nostra ignoranza, e dei pregiudizi i nostri. Gli stranieri ci stringono ai polsi le catene perchè gli errori nostri ci svigoriscono le braccia. Essi , con giogo materiale, ci opprimono il corpo, perché noi medesimi lasciamo depresso lo spirto, s ot to il g i ogo d e l l’ errore e del la superstizione. (pag. 23).
A pagina 69 dice che le masse anchedivenute libere ricadrebbero in ischiavitùperchè ignoranti. « Mentre una volta instrutte, ed una volta animate da sentimenti liberali, il despotismo non puòpiù reggere a lungo, e deve cadere dasé, anco senza congiura » , cioè senzainsurrezione e senza lotta .
È chiaro o non è chiaro che il Macchinon vuole l'insurrezione, (purché amil'accordo con s e stesso) anche se essariesce vittoriosa, avendo egli la certezzache il popolo asinino d'Italia,« che preferisce e preferirà sempre quel basto che gli riesce meno pesante ed incomodo,poco importa se sia di fabbrica indigena o forestiera » (pag. 205), si lascierebbemettere la cavezza il giorno dopo che glifosse venuto fatto di svincolarsi dal padrone con quattro cal c i? e tutto ciò acagione della sua asinità?
Ma il Macchi risponde nel Movimentodel 25 dicembre: «Nulla di più erroneo: e l'ho già provato tante volte che sarebbe fin ridicolo se ora mi accingessi a provarlo di nuovo! » Mi riserbo diconfutarlo negli articoli che sto scrivendosulle sue dottrine: ora basti riferire unasentenza di Quinet che il signor Macchicredette di abbattere con una esclamazione.
«Et tu quoque Quinet?»>Ecco la sentenza: « Fermamente credo che l'eroismosia il migliore compagno della filosofia,e che in certi pericoli giova più la spadain un giorno che tutta la sapienza umanain molti secoli. » Per ultimo nell'istessonumero del Movimento leggo: « l'Italia ePopolo valendosi di un suo amico col » nome nuovo di Elio Mortara ecc.» Cheintende il signor Macchi con quella frasenome nuovo?
Parmi che essa veli un'insinuazione,parmi tradisca il dito di reverendo padre!Qualora il signor Macchi desideri di conoscere Elio Mortara e di saggiarlo inarringo diverso da quello della polemicanon ha che da scrivergli un biglietto perla posta. Il Mortara si troverà senza falloal luogo indicatogli.
ELIO MORTARA
Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura! Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin) |
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