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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

CARLO PISACANE

SAGGI STORICI POLITICI MILITARI SULL’ITALIA

QUARTO SAGGIO - ORDINAMENTO DELL'ESERCITO ITALIANO
MILANO

TIPOGRAFIA DI PIETRO AGNELLI

1860

CAPITOLO PRIMO - I. Riassunto delle vicende dell'arte bellica
CAPITOLO SECONDO - V. Il comando dell'esercito deve essere uno ed assolato CAPITOLO TERZO - XI. Armi e divisa dei fanti CAPITOLO QUARTO - XV. Cavalleria; suoi ordini
CAPITOLO QUINTO - XVIII. — Dell’artiglieria, e dei calibri che bisogna adottare CAPITOLO SESTO - XXI. Forza dell’intero esercito, sua ripartizione in legioni CAPITOLO SETTIMO - XXVII. Come determinare la volontà dell’esercito CAPITOLO OTTAVO - XXXII. Giustizia militare
TESTAMENTO POLITICO

CAPITOLO PRIMO

I. Riassunto delle vicende dell'arte bellica. — II. I suoi periodi. — III. L’antico e il moderno generale. — IV. Le antiche e le moderne milizie.

I. Quali sono le verità, quali le conseguenze che in argomento possiamo dalla storia ricavare?

1.° É fatto costantemente confermato che: fra un popolo libero l’arte della guerra progredisce rapidamente, sotto la monarchia procede incerta e lenta o decade, trasformandosi i generali in cortigiani, e l’arte riducendosi a gretto meccanismo. In Roma libera l’arte bellica progredì sempre sino a Scipione; quindi comincia a decadere con la libertà, e perdesi nella barbarie. Nel medio evo, si sviluppa in Italia fra libere genti, resta interdetta oltremonte fra gente schiava. Questi stranieri imparano l’arte surta fra i liberi Italiani, ma per tre secoli avanza lentamente, qualche volta indietreggia, finché il popolo francese divenuto libero la sospinge rapidamente al suo apogeo. Da questa legge immutabile risulta che le monarchie non fondano nazioni, ma imperi; le loro opere sono brevi quanto la vita di grandi guerrieri che assai raramente sortono dalle aule della reggia; Cesare e Napoleone sono figli della rivoluzione, e guerreggiano con Parte surta fra liberi popoli; Alessandro nacque re, ma si giovò di quella tattica, surta con Epaminonda fra i liberi Greci. Per contro le conquiste, le opere di un popolo sono eterne, perché traggono origine dall’ingegno universale e costante di un’intera nazione e non già d’un uomo.

2.°Se Farle la vediamo sviluppala o interdetta instine alla libertà, questa riceve vita o morte dalla costituzione militare. Quando la corruttela ed il lusso disawezzano i cittadini dalle armi, e della guerra si fa un mestiere, la libertà è distrutta; ed in ragion diretta del distacco fra cittadino e guerriero la tirannide diventa più dura. La Roma del popolo, libera e gloriosa, in un giorno raccoglieva i militi, inalberava le insegne ed usciva a guerra; divenne schiava quando' i pretoriani successero all’esercito cittadino.

I liberi italiani dell’undecimo e duodecimo secolo erano tutti guerrieri, e quando affidarono le armi ai mercenarii, i capi delle fazioni si fecero tiranni.

Fintantoché dalle adunanze giacobine correvasi alle bandiere, la Francia fu libera; Dumourier dovette cercar salvezza tra le file nemiche; l’esercito non secondò i suoi voleri; l’amore alla patria prevaleva; ma quando i volontari divennero veterani affezionati ad un capo, un drappello di granatieri cacciò di seggio i rappresentanti della nazione. Conchiudiamo: con guerrieri assoldati e perpetui è impossibile la libertà, e senza la libertà l’arte bellica resta interdetta. Apologisti degli eserciti permanenti, negale, se potete, trentadue secoli di storia.

II. I Romani, il medio evo, i moderni sono le tre grandi epoche in cui può dividersi la storia dell’arte della guerra; ognuna di queste epoche ha un carattere suo proprio, che noi porremo in evidenza. Le armi, la tattica, la strategia, sono i tre principali rami dell’arte; noi ricercheremo, riassumendo il detto, la parte che ebbero gli italiani al loro progresso.

Le armi dei moderni sono di molto superiori alle antiche, e più popolari. L’uso di quelle richiedeva maggior prodezza, virtù individuale, mentre l’uso delle armi moderne richiede ordine, virtù collettiva. L’epoca del medio evo fu epoca di transizione tra quelle e queste, e vi troviamo perciò le antiche degenerate in quelle pesanti armature che toglievano in gran parte la facoltà d’offendere, e le moderne imperfettissime e poco comuni.

Gl’Italiani non ebbero picciola parte nell’introdurre l'uso delle armi da scoppio e perfezionarle: eglino i primi usarono la polvere in guerra; è invenzione italiana la piastra a pietra focaia sostituita alla serpe con la miccia; èinvenzione italiana la pistola, arma utile alla cavalleria; il perfezionamento del tiro delle artiglierie è dovuto al Tartaglia; finalmente pare che al Delanne. da Napoli debbisi il perfezionamento,non ancora universalmente conosciuto, del moschetto da guerra; egli, conservando solidità e semplicità nell’ordigno, ha ottenuto, con l’innescamento continuo, la massima sollecitudine nel caricare; vantaggio, secondo me, di tale importanza, che darà a quest’arma, ben presto, una superiorità su quelle che li oltramontani chiamano di precisione.

Gli ordini sono una conseguenza immediata delle armi; quelli dei Romani ed i moderni possono entrambi dirsi perfettissimi; il manipolo fu per la spada e lo scudo l’ordine più adatto, come il battaglione lo è pel moschetto; nel medio evo gli ordini furono transitorii ed oscillanti come le armi. Gl'Italiani non hanno avuto parte veruna al perfezionamento degli ordini moderni, i quali successivamente vennero migliorati da oltramontani. Federico li li perfezionò, Guilbert ragionò diffusamente e ridusse a teorica quello che fu da Federico praticato.

Fin qui delle armi: passiamo alla tattica. Le colonne che prontamente spiegano sulla testa o schierano sui fianchi; la ripartizione dell’esercito in varie schiere, disposto in modo che Luna protegga la ritirata dell'altra, o ad essa si sostituisca o prontamente la rinfianchi; la continuità nella linea di battaglia; il correre con le migliori schiere sul punto debole del nemico, o spuntarne le ali, o minacciarlo di costa, od alle spalle; l’operare sul punto attaccato uno sforzo continuato e crescente, sono evoluzioni, son mosse di guerra, sono precetti, i quali stabiliscono i principii, e costituiscono la teorica di tutta la tattica moderna; e queste evoluzioni, queste mosse, questi precetti vennero adottati successivamente dai moderni ad imitazione dei Romani, distaccandosene solamente nei particolari; negli elementi, che naturalmente dipendevano dall’ordinamento diverso delle schiere; e quindi altro non hanno fatto, che usare le loro armi, adattare le loro ordinanze in quell’ordito tracciato dagli Italiani.

L’alternare poi con somma prontezza l’ordine continuo e l’ordine ad intervalli, il sottile ed il profondo, è una delle superiorità che la tattica moderna ha su quella degli antichi, ed un tale progresso, un tal miglioramento è dovuto ai Francesi.

Fin qui delle armi e della tattica. La strategia fu da' Romani adoperata su vaste regioni attesa la natura delle guerre da essi guerreggiate; inoltre in quell’epoca v’erano poche strade, e però pochi i punti strategici; gli eserciti non molto numerosi e trasportando seco loro le vettovaglie, i loro trincerati alloggiamenti, che servivano ovunque di base o sede momentanea della guerra, diedero ai loro concetti strategici un carattere grandioso, ma semplice. Durante il medio evo osservammo in Italia pari maestria nel valersi di quest'arte, ma in ristrette regioni, imperocché piccolissimi gli Stati in cui il feudalismo avea spezzata l’Italia. Presso i moderni moltissime strade, città, piazze forti che attraversano, difendono, popolano il teatro della guerra, quindi resa complicatissima l’arte ed accresciute le difficoltà di valersene. Inoltre la vastità del paese necessario al sostentamento de' numerosi eserciti, ha reso necessarie quelle marce, su di un’estesa fronte d’operazione, e quindi diè origine ad evoluzioni strategiche sconosciute agli antichi. Tutta l’arte strategica praticata in questi tre periodi, può teoricamente i ridursi a due principi! fondamentali, il primo è italiano: condurre il grosso delle schiere in quei punii, che signoreggiano il teatro delta guerra L’altro è d’origine francese: correre su codesto punto, con tali evoluzioni, che nascondano il proprio disegno, e chiudano al nemico la ritirata.

Finalmente l’adattamento della tattica al terreno, la gettata delle armi, il numero dei combattenti, hanno reso l’arte del vincere le battaglie più difficile, più sublime, più vasta; scemata l'Importanza del valore individuale, accresciuta quella del numero delle schiere e richiesto nel generale un ingegno più vasto, un vedere più pronto. Su tale soggetto ci faremo a ragionare nei due seguenti paragrafi.

A discernere la differenza che passa fra un generale moderno, e quello degli antichi, bisogna paragonare le loro incumbenze prima della battaglia, durante la battaglia, e dopo la battaglia.

Il Console romano destinato a condurre l’esercito, sino ad un certo punto, non doveva seguire che regole prestabilite; i militi si ripartivano ne' loro ordini in un modo costante; ideato il disegno strategico, l’esercito, tutto raccolto, muoveva verso il suo obbietto. Stabiliva il Console il sito, tracciavano i tribuni l’invariabile accampamento, ove l'esercito eziandio a fronte del nemico riposava sicuro. Per converso, un generale moderno, adottato il disegno strategico, secondo questo deve stabilire i magazzini e le vie per condurre le vettovaglie, quindi dividere l’esercito in varii corpi, la cui forza, e le proporzioni che in ciascuno di essi serbar debbono le diverse armi non sono da nessuna regola stabilite, ma dipendono dalla natura del disegno di guerra, e del terreno sul quale deve effettuarsi. La marcia è una continua evoluzione, e quindi per ogni colonna bisogna stabilire un itinerario, regolalo secondo l’asprezza, la lunghezza della strada che deve percorrere onde compiere la sua speciale incombenza. Se accampa, il generale deve essere sempre apparecchiato a ricevere battaglia, e pronto, nel caso d'impreveduto attacco, a rintuzzare il primo impeto nemico, per poi indovinare il disegno e regolare le proprie mosse.

Il giorno della battaglia senza correre rischio veruno, il generale, presso gli antichi, esaminava il campo nemico, numerava le sue schiere, e quindi adattava al terreno ed alle circostanze l’invariabile schieramento del proprio esercito. Presso i moderni, invece, egli deve approssimarsi alla gittata del moschetto, e quasi combattendo, esaminare la postura; sovente l’occhio non abbraccia l’estensione del campo; i boschi, i poggi, i burroni, i villaggi nascondono le schiere» ed i suoi disegni non possono che indovinarsi. Esaminato il preparamento dell’avversario e la chiave delle sue difese, se il disegno è di assalire, bisogna apparecchiarsi in modo, da dirigere su quel punto i maggiori sforzi, distogliere e richiamare altrove l’attenzione del nemico, e non trascurare la tutela del proprio campo. Se vogliasi invece rimaner sulle difese, fa d’uopo prevedere gli attacchi, essere pronto a rintuzzarli, attestandoli di fronte, minacciandoli di fianco, o pigliar la volta ed assalire. In ogni caso, dovrà essere mira precipua del generale quella di minacciare la linea delle operazioni del nemico, garantire la propria e proporzionare i sacrifizii a farsi coi vantaggi che si sperano; tutto ciò non è che il primo ordito del progetto di una battaglia. Stabilite queste norme, bisogna discendere ai particolari: disporre l’attacco, o i varii attacchi, indirizzarli al medesimo scopo, legarli insieme, determinare in ognuno la natura delle armi e la proporzione fra esse, l’ordine da serbarsi nel combattimento, come governarsi se vincitori, come se vinti. Per risolvere cotesti diversi, problemi, la dottrina ed i lunghi studj non bastano, ma vuoisi eziandio quell’attitudine naturale, quel pronto e perspicace vedere, che in un attimo compendia il sapere, l’adatta alle circostanze, e manda fuori il concetto senza percorrere una serie di ragionamenti, nella guisa stessa che si pronuncia una parola senza il bisogno di sillabare.

Presso gli antichi il capo dell’esercito avea sotto i suoi occhi l’intera linea di battaglia, e con facilità giudicava dello stato del combattimento, ed ordinava le mosse; ma oggi la cosa è ben diversa: sovente il generale, dal fumo, da, lampo delle armi, dal fragore deve giudicare dei buoni o cattivi risultamenti. Durante la battaglia di Wagram un ufficiale spedito dal generale Massena a Napoleone, che dal centro del vastissimo campo dirigeva le mosse, dicevagli: Sire alta nostra sinistra il nemico vince. Ma Napoleone senza rispondere fissava lo sguardo sulla carta. Esso fra poco, continuava l’ufficiale, sarà padrone dei nostri ponti. — Napoleone continuava a tacere. — Quel cannone che tuona alle spalle di V. J. è austriaco. — Napoleone tace sempre, rivolgendo il suo cannocchiale ora a sinistra ove formavasi la famosa colonna e tuonava la formidabile batteria, ora a destra verso le alture di Neusiedel; quivi il fumo, il lucicar delle armi indicano i vantaggi dei francesi; allora, rivolgendosi all’ufficiale che attonito pendeva dalle sue labbra, rispose: Dite a Massella che la battaglia è vinta ed attacchi a sua volta; quegli di galoppo partiva, e Napoleone ordinava alla famosa colonna di muovere; — dopo poche ore il nemico era in ritirata.

Gli antichi, se vittoriosi, inseguivano il nemico macellandolo; se vinti, quelli campati dal ferro si ponevano in salvo negli alloggiamenti; animare i suoi alla strage o raccogliere dentro i ripari i fuggenti, erano le cure del generale, mentre tra i moderni il generale vincitore o vinto, dopo la battaglia, continua le sue operazioni. Le notizie sullo stato del nemico in ritirala sono incerte, incerte le vie da esso scelte, quindi l’energia nell'inseguire, onde profittare della vittoria, non deve scompagnarsi da somma cautela, e non bisogna mai, fra tanti dubbii, perder di mira il principio, di fare l'impelo maggiore, ove maggiori sono i vantaggi strategici. Se vinto, deve con parte delle sue forze arrestare la foga del vittorioso nemico, o almeno squadronando ritardare la sua marcia, e così proteggendo i fuggiaschi, raccoglierli alle bandiere, e ricomporre gli ordini. II cammino prescelto per ritirarsi non solo dovrà essere il più adattato a ritardare la marcia del nemico, ma quello eziandio che meglio contrasta al disegno strategico dell’avversario. Giunto al sito prescelto arrestasi, raccoglie le soldatesche, né trova sicurezza, che negli ordini ricomposti e nella dispositura che darà alle schiere; gli ostacoli naturali, de' quali potrà giovarsi, non assicurano mai i moderni come il chiuso vallo gli antichi. Nondimeno questa grandissima differenza, che scorgcsi tra le difficoltà che deve superare, ed i problemi che deve risolvere un generale dei moderni, e le incombenze di un generale degli antichi durante i vari periodi di una campagna, non sono argomento per conchiudere che il genio di questi fosse stato inferiore al genio di quelli, che Napoleone superasse Cesare e Scipione per vastità dell’ingegno; avveguacché per quei pochissimi privilegiali in cui la natura volle manifestare tutta la potenza della sua forza creatrice, le difficoltà maggiori non sono ostacoli, ma mezzi, onde viemmaggiormente estollersi sul volgo; potrà dubitarsi perciò, che Napoleone in quell’epoca avesse pareggiata la fama di Scipione e di Cesare, ma non mai, che questi ai [tempi nostri non sarebbero stati famosi come Io furono.

Dal paragone fra le armi, gli ordini ed il combattere degli antichi e de' moderni, passiamo a quello della natura ed istituzione delle milizie. Il marciar diritto, il volgersi su di un fianco o dietro, l’avanzare l’una o l’altra spalla, il prender nonna da destra o da sinistra nella marcia, in una parola Io stare negli ordini, sono cose che debbono apprendersi dai moderni, come dagli antichi.

Le moderne evoluzioni sono più complicate e difficili pe’ generali, non già pei militi, e però sino qui abbiamo parità. Il maneggio delle antiche armi, richiedeva una lunga e continuata esercitazione, un grande sviluppo di forze muscolari; mentre in tre o quattro giorni ogni cittadino può apprendere a maneggiare il moschetto, e trarne la medesima utilità che un veterano; di qui un’importantissima verità: E’ assai più facile ai moderni di trasformare i cittadini in guerrieri.

Ventimila spade romane non temevano sei cotanti orientali, o barbari stretti negli ordini; il loro valore individuale, la loro tattica, le loro armi rintuzzavano gli inutili sforzi di quelli, alzavano monti di cadaveri, volgevano a sbaraglio quelle turbe di guerrieri. Ma come potrebbe un picciolo esercito moderno sostenere una massa preponderante di fuochi che lo circondano e l’opprimono? Facendo studio fra le vittorie riportate da piccioli eserciti moderni su di eserciti maggiori, potrà scorgersi di leggieri che esse furono l’efTetto di mosse di guerra che raccolsero delle forze superiori a quelle del nemico, contro la chiave delle sue difese. Oggi, scrive Napoleone, vale più un esercito di cervi comandati da un leone, che un esercito di leoni comandati da un cervo: anticamente era il contrario. Presso gli antichi la prima cosa che richiedevasi in un esercito era il valore de' guerrieri, poi l’ingegno del generale, in ultimo il numero; oggi la cosa più interessante è L’ingegno del generale, quindi il numero delle schiere, poi l’ardore nei soldati. L’arte della guerra sublimandosi con accrescersi il numero de' combattenti ed allargarsi il campo, richiede, è vero, più vaste cognizioni nei capi, ma la prevalenza del disegno e del numero sul valore l’ha resa popolare per eccellenza. Essendo cosa molto difficile trovare fra i moderni un gran generale, è naturale che sarà più facile ritrovarlo cercandolo fra l’universalità de' cittadini e la libera concorrenza di tutti gli ingegni, che nel ristretto cerchio di una aristocrazia o di una corte; gli uomini avvezzi all’adulazione ed all'ubbidienza, e costumati a sottomettere, la propria ragione all’altrui autorità, non potranno reggere al paragone d’un ingegno libero efl indipendente, non impacciato dà stupidi riguardi e dalle goffe formalità del cortigiano. Una nazione libera ed armata a propria difesa fornirà ardenti e numerosi guerrieri, ai quali non terranno testa i mercenarii assoldati da una dinastia. Il bastone e la pedantesca disciplina non formano gli eroi; le evoluzioni da scena, quella esagerata precisione, svaniscono al tuonar del cannone; è l’ardore dei soldati, il desiderio, il bisogno di vincere, che costituisce la solidità d’un esercito; quindi possiamo conchiudere che: l’esercito della democrazia dovrà, certamente, vincere quello delle dinastie e delle caste.

Conchiudiamo: la polvere da sparo ha diroccato gl'inespugnabili castelli feudali; ha sfondata la corazza dei feudatarii; ha uguagliato il forte al debole, il povero al ricco; ha reso meno micidiali le battaglie, perché un esercito spesso è vinto ma non già distrutto. La polvere, dando la prevalenza al numero sul valore, ha deciso la causa dei popoli, e li sospinge a costituirsi in grande nazione.

L’arte della guerra da quarant'anni, ha raggiunto il sommo della perfezione. Ma la costituzione militare non ha progredito; essa attende, per adattarsi ai nuovi ordini civili, il risorgimento dei popoli; allora, scorgendo con quanta facilità possano addestrarsi i guerrieri e comporsi gli eserciti, si conosceranno i pregi della moderna arte del guerreggiare.


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CAPITOLO SECONDO

V. Il comando dell'esercito deve essere uno ed assolato. — VI. Origine degli eserciti permanenti. — VII. Le loro esercitazioni. — VIII. La disciplina. — IX. Il valore. — X. Conclusione.

Una moltitudine di armati raccolti per combattere un comune nemico costituisce un esercito. Ognuno sa che per conseguire la. vittoria, è. indispensabile che essi, in tutte le loro operazioni ed I loro sforzi ricevano norma da un disegno prestabilito: onde è indispensabile che tutte le volontà si uniformino ciecamente a quel disegno, altrimenti la discordia fra le opinioni, come forze contrarie, disgregherebbero l’esercito. Innanzi tutto fa d’uopo che i guerrieri vengano ripartiti fra gli ordini, per ogni nazione, già stabiliti, e però una tale operazione non offre alcuna difficoltà. Restaci ora ad esaminare, se da molti o da un solo debba idearsi il disegno della campagna, se a molti o pure ad uno solo convenga affidarne l’esecuzione..

Le più estese e le più profonde cognizioni dell’arte della guerra, non bastano per concepire un buon disegno; per la ragione medesima che colui il quale conosce perfettamente tutti i teoremi della geometria, non è sicuro, perciò, di risolvere qualunque problema gli venga presentato; e Napoleone disse: non si impara dalla grammatica a comporre una famosa tragedia. La natura nell’arte della guerra, come in tutte le specialità, ha la più gran parte; l’uomo trovandosi in uno stato affatto eccezionale, e non essendovi in tale problema nulla d’assolato, le ispirazioni, i concetti, le determinazioni variano secondo la temperie, prontezza e vastità d'ingegno d'ognuno: alcuni dottissimi, dopo profonde meditazioni, progettano un madornale sproposito; altri non tenendo conto dell’operosità e vigilanza del nemico, fidano tutto nella sorpresa; mentre i più volgari dediti solo a difendersi, attribuendo al nemico potere e vigilanza maggiore di quella che effettivamente non ha, rappiccioliscono la loro sfera d’azione, e, per tutto guardare, si presentano vulnerabili in ogni punto. Egli è dunque cosa impossibile che molli si accordino riguardo ad un medesimo disegno; e se, in un’adunanza in cui varii discutono riguardo a tale materia, l’opinione d’un solo non prevale, le risoluzioni collettive non saranno che ritrovati, o rimedii mezzani, in guerra rovinosissimi; e sarebbe vano pretendere da simili adunanze que’ grandi ed arditi concetti tanto ammirati nella storia, che, prima del buon successo, sarebbero stati certamente riprovati da uomini volgari; una scoperta scientifica, un capolavoro, non sarà mai il frulla di una discussione di un'adunanza, ma sforzo di un solitario ingegno; la responsabilità e la gloria, accumulata tutta su di un solo, possono creare quo forti moventi, suscitare quelle passioni, che eccitando la libra sublimano le idee; moventi fiacchi e di veruna efficacia per un’adunanza in cui nessuno è direttamente responsabile e nessuno ne raccoglie allori; qui nasce invece, per l’inevitabile varietà delle sentenze, il desiderio di alcun danno, per poi menar vanto del proprio ingegno e biasimare i contraddittori. Gli antichi, la cui natura era meno che b nostra depravata dal costume, non usarono chiedere l'avviso di molti pei loro disegni da guerra, ma il concetto e l’esecuzione di esso erano pienamente affidati al generale; fra i moderni si riscontrano due esempii, il Comitato di salute pubblica, ed il Consiglio aulico; nel primo era militare il solo Carnot, e suoi furono i progetti, sovente riprovevoli; le prove, poi, fatte dal secondo bastano a screditare un tal metodo, e danno a conchiudere che uno solo debba assumere la responsabilità d’ideare un disegno di guerra.

L’attuazione di un concetto costituisce l’azione, tanto più utile è sicura, quanto più rapida. La guerra può definirsi l’azione nell’azione, e quindi richiede la massima energia e la massima rapidità, e questa e quella nort possono conseguirsi che dall’autorità d’un solo. Incertezza e perdila di tempo sono conseguenze inevitabili della discussione; mentre si discute, nessun parere è adottato, e di tutti li stati, questo è il peggiore. Egli sarebbe cosa veramente strana, mentre il nemico assale, in un punto si vince, in altro dura la zuffa, che un consiglio si riunisse per deliberare su quello che abbiasi a fare. In simili casi concepire una mossa e mandarla ad effetto dovrà essere un momento solo; bisogna ri, muovere tulio ciò che indugia; tutto deve cedere e prontamente al comando d’un solo, né potrà esservi autorità che pareggi quella del generale: le ordinanze del nemico, confuse, che un urto di cavalli sbaraglia, si ricompongono durante l’indugio; le proprie schiere anelanti, che un pronto soccorso o altro provvedimento rincora, fuggono se ritardasi; un difficile passo in cui le colonne nemiche sarebbero arrestate da ben diretta artiglieria, viene superato se sfugge il momento opportuno. Coteste verità sono della massima evidenza, sicché sembra inutile discuterle, ed il pensare diversamente mostra difetto nel senso pratico; ma esempi recentissimi hanno mostralo, che la mente umana, da' mire personali traviata, può facilmente incorrere in tali errori; mi hanno indotto a discorrere di ciò l’esempio della Costituente romana, che in un momento difficilissimo, accordava uguale autorità ai generali Garibaldi e Roselli, l’altro esempio di Kossuth, che destinava a capitanare l’esercito Mareneros e Dembinski; — e finalmente, quanti disastri, all’epoca che scrivo, non hanno sofferto i collegati in Crimea, perché mancava accordo ed unità nel comando?

Presso i Romani, sovente l’esercito era comandato da due Consoli con uguale autorità, ma l’errore non era così grave; come Io sarebbe presso i moderni. I Romani, chiusi nel loro campo, potevano senza correre rischio veruno, ragionare sull’opportunità di una battaglia, e questo noi possono i moderni; se il nemico avanza è d'uopo, senza por tempo in mezzo, retrocedere o combattei. Il modo di schierarsi a battaglia di unesercito romano era quasi invariabile, mentre oggi «su due leghe quadrate di terreno, dice Federico II, si possono prendere qualche volta diciotto posture. Un buon generale al primo sguardo saprà sughere la più vantaggiosa. Quale campo, non sarebbe questo, d’interminabile discussione? E poi, quanta differenza non passa fra le svariate vicende d'una moderna battaglia, e l’uniforme cozzare delle antiche schiere? E pure i Romani conoscendo il maleche risultava da un tale provvedimento, raramente riunivano in un solo gli eserciti dei due Consoli, e quando ciò avveniva, essi si succedevano alternativamente nel comando; nei momenti difficili poi creavano il Dittatore. Nondimeno, per questo errore della loro costituzione, patirono memorabili disastri: i consoli Sergio e Virginio erano a campo incontro a Veio; il primo, assalito, soffrì la sconfitta piuttosto che chiedere soccorso al collega, e questi lo vide impassibilmente in rotta, non volendo muovere a sua difesa senza prima esserne richiesto. Alla Trebbia ed a Canne non valse la saggia opinione di uno de' consoli, l’altro volle fare a suo modo, e ne seguì la disfatta.

«I tre tribuni militari con podestà consolare, che avevano con«dotto l’esercito contro i Fidenati ed i Veienti, provarono, scrive Livio, quanto fosse dannoso in guerra il comando di molli; attenendosi ciascuno al proprio avviso, mentre diversamente opinavano, presentavano al nemico l’occasione d’un buon successo. — È meglio, dice il Machiavelli, mandare in una spedizione un uomo solo di comunale prudenza, che due valentissimi uomini insieme con la medesima autorità.»

Parmi ora non esservi più luogo a dubitare, se uno solo o più dovranno comandare un esercito, e possiamo conchiudere, dopo ragioni illuminate da fatti e rincalzate con l’autorità di famosi scrittori, che un uomo solo deve concepire il disegno della guerra, un uomo solo menarlo ad effetto, rimanendo ora a decidere soltanto, se queste due alte incumbenze dovrà assumerle la stessa persona,

La vastità del teatro della guerra presso i moderni, i loro eserciti numerosissimi, l’importanza che hanno le linee di provvigioni, la necessità di adattare la tattica al terreno, sono circostanze per le quali il primo concetto di un disegno di guerra altro non può essere che un semplice schizzo; sovente erra il nemico, e mostrandosi vulnerabile in qualche punto porge un’occasione propizia, che, per ghermirla, bisognerà allontanarsi da ciò che trovavasi prescritto nel disegno; le splendide operazioni di Bonaparte contro Wurmser e Kaunilz, fra il Mincio, e l’Adige, furono le ispirazioni del momento, che presero norma dagli errori del nemico. L’esecutore di un disegno di guerra, oltre le rare qualità che si richieggono per comandare un esercito campeggiarne, ha uopo d'ingegno vasto e fecondo quanto colui che avrà concepito il disegno, 6 d’animo così saldo per assumerai la responsabilità di un’operazione concepita ed eseguita nel momento stesso, né prescritta népreveduta nel disegno prestabilito; dunque se l’indole, la perspicacia, l’oculatezza di colui che esegue dovranno essere di molto superiori a quelle di colui che progetta fra le pacifiche pareli di una stanza, perché la volontà e l’ingegno dall’uno dovranno sottoporsi ed imbrigliarsi le idee dell’altro? e se colui che progetta è fornito di tali qualità, perché non affidargli il comando dell’esercito? non sarà egli stesso il migliore ed il più energico esecutore de' proprii concetti? Separare queste due incombenze che si confondono in pratica, è quasi impossibile se il comandante dell'esercito chiede ordini e norme, è cattivo presagio per le sorti del paese; egli non potrà essere che un uomo di niun valore: ma se la scelta cade su di un uomo degno di tale incombenza, egli o non accetterà il comando, o non ubbidirà.

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Bonaparte non diede mai esecuzione in Italia ai disegni che gl’inviavano di Francia; l’arciduca Carlo, durante la campagna del 1796, non volle mai conformarsi alle prescrizioni del Consiglio aulico. Moreau e Jourdan nel 1796, generali eccellenti con due fiorenti eserciti, commisero l'errore di uniformarsi al disegno inviato da Parigi, furono debellati dall'Arciduca. Moreau, nella sua famosa campagna del 1800, ricusò di eseguire il disegno del primo console.

Conchiudiamo: sul medesimo teatro di guerra non debbc esservi che un solo comandante, con illimitate potestà per tutto quello che riguarda alle mosse di guerra dell'esercito; egli deve ideare il disegno, egli eseguirlo, egli solo rispondere del risultato, ed egli deve averne tutto il biasimo o la gloria.

I Romani, credendo necessario che la mente del loro generale fosse sgombera da qualunque preoccupazione, non punivano i suoi errori, credendo pena sufficiente la disfatta: tutto l'ordine senatorio mosse ad incontrare Vairone, per incapacità e presunzione hattuto a Canne, e, non potendo ringraziarlo per l'esito della zuffa, lo ringraziarono perché la sua venuta dimostrava che non disperasse delle sorti della patria. «Questo modo di procedere, scrive su tal proposito il Machiavelli, era ben considerato; perché giudicavano che fosse di tanta importanza a quelli che governavano l'esercito loro lo avere l'animo libero e spedito e senza altri estrinsechi rispetti nel pigliare i partiti, che non volevano aggiungere ad una cosa, per sé stessa difficile e pericolosa, nuove difficoltà e pericoli, pensando che, aggiungendovene, nessuno vi potesse essere, che operasse mai virtuosamente». Ma comecché giusto il procedere dei Romani, tra noi, nuovi alla libertà, ed anche alla guerra, fa d'uopo garantirsi dall'ignoranza, dall'impostura e dall'errore; non bisogna inceppare l'ingegno del generale, ma allontanare dalla concorrenza ed atterire con severo castigo i deboli e gl'incapaci. Tale minaccia che infiacchisce le fibre dell'uomo inabile, eccita vieppiù quelle del forte.

VI. Tutta la podestà del comando raccolta in uno solo, non avrebbe nessun'efficacia se mancasse nell'esercito l'unità morale, l'ubbidienza celere ed illimitata, che giovasi della forza collettiva (fi molti con l'energia e l'unità d'azione d'un solo uomo. I moderni, per ottenere questo risultamento, credono indispensabile di tenere perpetuamente raccolto alle bandiere un numero considerevole di armati. Verremo ragionando sull’origine di un tal ripiego e sulla sua utilità.

«Néla Grecia, scrive Filangieri, che urtò e vinse tutte le forze dell'Asia; né Roma finché fu libera, né Filippo, né Alessandro che portarono la vittoria dietro le loro falangi, né i Barbari che disfecero l’impero di Roma; né i Germani che vinsero e trionfarono di Varo, né Timur-Beg, né Gengis-Kan, che soggiogarono quasi tutta l’Asia; né Carlo Magno... sognarono di conservare. in tempo di pace quell’esercito col quale avevano guerreggiato».

Quando fra i Romani furono inegualmente ripartile le dovizie del soggiogato mondo, ed ogni virtù assorbita dal fasto; quando disperso nella vastità dell’impero l’amor patrio si estinse; quando il popolo fece mercato dei suoi favori e si comperò il consolato; quando i cittadini, senza un pronto lucro, più non vollero difendere la patria dai Barbari che la minacciavano, mentre facilmente per vantaggiare sé stessi si facevano i suoi carnefici, allora sorsero per la prima volta le milizie perpetue. Sortite dal grembo della corruttela, crebbero e svilupparono que’ caralteri inerenti all’indole loro: contrassero della vita civile i soli vizii, snervati dalla lussuria, immersi nell’ozio della pace, tremavano all’ostile approssimarsi dei Barbari, mentre erano il terrore dei cittadini in mezzo ai quali vivevano.

Quando i cittadini del medioevo, degradati ed infiacchiti dalle ricchezze sdegnarono affrontare i perigli della guerra per difendere là patria, allora sursero i guerrieri mercenarii, e tutti i liberi reggimenti de' comuni italiani immediatamente divennero tirannici. Così avvenne nelle repubbliche; e nei regni i baroni, infiacchiti ad arte dalle fastose corti, furono disarmati, ed alle armi feudali, volontarie e nazionali, vennero sostituiti gli eserciti mercenarii de' re, che tennero il campo quasi per tre secoli.

I caratteri de' mercenarii del XV, XVI, XVII secolo sono i medesimi delle legioni assoldate a difesa del cadente impero romano; indifferenti alla cagione della guerra, vendono il loro braccio al maggiore offerente, pronti ai tumulti, molesti agli amici, poco terribili ai nemici, e valorosi solamente allorché dalla vittoria speravano un ricco bottino.,

Quindi nelle diverse epoche, da chela storia comincia, vediamo Je milizie perpetue sorgere al tramonto della libertà; fra un popolo libero non ha mai esistito un esercito permanente, mai la libertà è durata ove è surto l'esercito; questi due elementi non hanno mai potuto accordarsi per lo passato, né mai si accorderanno per l’avvenire; ove l’esercito esiste, la libertà sarà sempre una derisione, sarà impossibile.

Divenute le guerre più rare, e però poco lucroso il mestiere di guerriero, il numero de' mercenarii scemò; durante la guerra dei sette anni, Federico II cominciò a sostituire ai mercenarii i soldati nazionali, e fu questa l’ultima mutazione subita dagli eserciti. I re, oltre il tributo in danaro, che, per sostenere il loro fasto, chiedevano alla nazione, vollero eziandio imporre un tributo di sangue; cosi parte de' cittadini fatti loro schiavi armati, son diventati lo stromento di cui si servono per opprimere i loro sudditi, e soddisfare ogni loro capriccio, ogni loro particolare vendetta; e queste milizie, dette nazionali, crebbero a dismisura appena la rivoluzione minacciò i troni In tutta l’Europa, eccettuata la sola Russia, all’epoca presente la rivoluzione morale è fatta, e gli eserciti permanenti sono la sola cagione, che essa non si traduca in alto. Credo non siavi nessuno il quale possa negare che, se gli eserciti sparissero, l’Europa ad onta del Cosacco, il giorno dopo sarebbe tutta repubblicana. Nondiméno, vi sono alcuni, che si dicono liberali, e propugnano la necessità delle milizie perpetue, tanto è prepotente la forza della tradizione se viene appoggiata dall’ignoranza, o almeno non rischiarata da un profondo studio della storia.

Le moderne popolazioni, dicono i propugnatori degli eserciti permanenti, sono dicose militari ignorantissimi. La politica europea, volta solo a conservare la pace, ha reso rarissime le guerre e depresso lo spirito di conquista; sempre o quasi sempre si guerreggia per impedire qualche mutamento, per conquistar la pace. I governi d'Europa, meno alcune lievi differenze per le moltitudini di niuna importanza, sono tutti fondali sui medesimi principii e si somigliano lutti; gl’interessi dei popoli sono intrecciatissimi, le comunicazioni rapide e numerose, e quindi ogni rivalità fra Je diverse nazioni è quasi spenta. Da tutte queste ragioni risulta che le invasioni sono poco temute; gli abitanti, se debbono ricevere soldatesche nelle loro città, fanno poca differenza fra gli amici ed i nemici; spesso per essi sono più molesti quelli che questi. Tutti poi, essendo sicurissimi che, terminata la guerra, le cose ritornano nel medesimo stato di prima, non si commovono, i danni maggiori si soffrono durante la guerra, danni che cessano al cessare di essa, qualunque ne sia il risultato; quindi i danni essendo maggiori per ottenere la pace, subirebbero volentieri la conquista. Se tale è il sentimento universale non è l'individuale più bellicoso: fanno pompa i moderni di pusillanimità e d’ignoranza ogni qual volta si discorre di guerra o di politica; ognuno mena vanto di curare le proprie faccende e non ingerirsi d’altro, cosa naturale quando l'utile privato non ha alcuno vincolo con l’utile pubblico. La parola Patria, è vuota di senso; suona tal volta fra ristrette brigate, ma con voce incerta e sommessa, quasi temendosi la derisione da coloro, i quali, comeché sentissero amore per essa, pure non sono capaci di vincere il costume, seconda natura, e non concedono a questa parola che il senso d’un voto, d’una speranza e non mai d’una realtà. Il commercio e l’industria prevalendo, sono in contradizione con l’umore guerresco: l’amore della pace, la sottigliezza, la frode, virtù da mercante, sono le qualità opposte alla semplicità, alla franchezza, all’irrequietezza del guerriero. Con tali popolazioni un nemico, senza impugnar la spada, conquisterebbe il paese; si rimedia a tale inconveniente educando alle armi parte del popolo, la quale servirà a difendere l'altra dedita solamente al guadagno. Tutte queste ragioni che adducono i propugnatori degli eserciti permanenti non sono che speciose; per distruggerle basta una semplice domanda: con quali modi pretendete di trasformare in valorose soldatesche de' cittadini timidi ed infingardi? Come inspirerete loro il coraggio che non hanno, l’amor di patria che non sentono? Strapperete dal seno delle loro famiglie i contadini, dalle arti gli operai, e questi distribuiti alle bandiere, perché vestiti della divisa li credete già divenuti guerrieri? Come sperate che si sviluppi in essi il valore, non già l’individuale, dono di natura, ma il collettivo? Un contadino il quale sarebbe capace di difendere ferocemente la porta del suo tugurio, la moglie, i figli, fugge innanzi al nemico in guerra, perché ivi non vede una cagione per cui debba arrischiare la propria vita. I mercenarii erano accostumati ai rischi ed alle fatiche della guerra; guerra era l’unico loro guadagno; ma oggi non vi è nessuna ragione, per la quale il soldato possa amare il mestiere delle armi; dopo aver vissuto vita oziosa nei presidi delle città è nuovo ai perigli quanto l'ultimo de' cittadini. A queste domande rispondono, che l’istruzione, l’amor di corpo, o spirito militare, e la disciplina, suppliscono a tutto; — noi esamineremo quanto sia vera cotesta asserzione.

VII. Le difficoltà nell’ammaestrare i fanti, non si riscontrano da' moderni nell'addestrarli al maneggio delle armi, o al muovere in ordinanza; sono cose coteste, che in qualche mese d’esercitazioni s’imparano; l'educazione de milite è con la tattica moderna facilissima, ma non cosi quella dei capi. Quando una profonda colonna, nelle grandi mosse di guerra, spiega incontro al nemico ad un dato segnale, il milite non deve fare più di quello che farebbe trattandosi di un sol battaglione; ma non è lo stesso pel comandante di una divisione, di una brigata, di un reggimento; egli deve condurre le sue schiere al punto indicato, ivi adattarne le ordinanze al terreno, prendendo norma dal resto della linea. Se muove all’attacco, bisogna che sappia scorgere il punto in cui dovrà fare l’impeto maggiore, e disponga le proprie soldatesche secondo la giacitura del terreno, te difese del nemico ed il fine che si propone. Nelle marcie sono i capi che debbono indicare i siti, che più accuratamente meritano di essere esplorati, quelli che debbono guardarsi, ed anche trincerarsi durante una ritirata; questi studii, che non possono scompagnarsi dalla pratica, sono forse facilitati dall'istituzione degli eserciti permanenti? No. In terreni perfettamente piani e sgomberi, in picciole frazioni muovono le schiere ad esercizio; e ripetono continuamente quelle evoluzioni che servono solamente ad addestrare i militi; spendesi così tempo e fatica in queste, trascurando la parte più interessante della tattica. Di qui idee falsissime sul modo dr combattere, credendosi dai soldati e dalla maggior parte degli ufficiali che l’esito di una battaglia dipenda assolutamente dal modo di tenere il moschetto, o dal muovere in perfetta ordinanza; ed appena gli ingombri,"il trambusto, le fibre scosse dagli imminenti pericoli, rendono impossibile tale precisione; capi e subalterni, imbevuti delle pedantesche discipline degli eserciti permanenti, cominciano a disperare del buon successo, e disperando accelerano la catastrofe, la quale, quasi sempre credesi cagionata dalla. mancanza di queste elementari esercitazioni, mentre, fra le molte cagioni che la producono, non è ultima forse la soverchia importanza che i capi attribuiscono a questi particolari, trascurando cose più rilevanti, che eglino non comprendono.

L’armeggiare, le ginnastiche sono tose tutte utilissime, non già, come alcuni credono, per acquistare abilità di uccidere un maggior numero di nemici, o prevalere nella corsa ed al fare alle braccia, ma perchè la destrezza nel trattare le armi, ed il tuono che tali esercitazioni danno alle fibre, generano confidenza nelle proprie forze, e rilevano il morale del milite. Ma questi studi, per produrre un tale utile effetto, dovrebbero far parte dell’educazione nazionale, e cominciare dall’infanzia; ed è vano il pretendere che, a forza di tormenti, un tanghero senta i vantaggi di tali esercitazioni; negli eserciti ne profittano solo que' pochissimi che sono dalla natura a ciò predisposti.

Se contraria all'obbietto che proponesi è l'istruzione dei fanti molto più viziosa èquella de' cavalli. Durante la pace non si veggono mai muovere ad esercizio colonne di venti o trenta squadroni; raramente si raccolgono otto o dieci squadroni e muovono in terreni a bella posta apparecchiati. L’istante in cui la cavalleria soffre l’ultima scarica de' fanti è il decisivo; o prende all’attacco e vince, o arrestasi ed allora è vinta; in questo momento negli attacchi simulati, si ordina ai cavalli di volger la briglia e fuggire, così uomini e cavalli si accostumano ad essere vinti. Se muovono cavalli contro cavalli, eccetto i casi di soldatesche veterane (di battaglie e non già di quartiere), le due linee quasi mai si urtano; le schiere meno salde, all’avvicinarsi del nemico trepidano, s'arrestano e fuggono prima dello scontro, precisamente quello che insegnasi nelle esercitazioni; giunte le due lince a breve distanza, immediatamente volgono indietro.

Non offre alcuna difficoltà il servizio di un pezzo d’artiglieria, o il passaggio dall’ordine di colonna a quello di batteria o di battaglia; il difficile per questo corpo speciale è quel veder pronto necessario non solo al comandante dell'artiglieria, ma eziandio a quello di una sola batteria, che dovrà scegliere il sito per collocare i suoi pezzi, non solo secondo la giacitura del terreno, ma eziandio secondo la dispositura delle forze nemiche, ed il fine, le mosse che si propone eseguire l’esercito; e tale pratica non si acquista nei lunghi servizii che si prestano negli eserciti stanziali. Inoltre, l’artiglieria frazionata nei presidii, i suoi ufficiati non sono accostumati ad evolvere in grandi masse, e le tetre soldatesche acquistano un'idea falsissima degli aiuti che possano sperare da tale corpo; ogni brigata, ogni battaglione pretende di avere i cannoni accanto a sé, né comprendono come essi di pochissimo effetto disuniti, raccolti invece in formidabili batterie decidano sovente la giornata.

Gl’ingegneri militari, espertissimi in ogni sorta di lavoro, non hanno nessuna pratica di quelli Che si richiedono negli assedii e nelle battaglie.

Quali sono le qualità che si richiedono in un ufficiale di stato maggiore? Profonda conoscenza della natura delle varie armi, o del modo Come adoperarle ed adattarle al terreno; capacità per discernere se un sito sia più favorevole all’attacco 0 alla difesa, ese in esso vi siano ostacoli che possono dichiararsi insuperabili; pratica delle grandi evoluzioni, onde prevedere, da una mossa del nemico, il suo disegno;sagacia d’ingegno per discernere, se non la chiave delle difese di tulio il campo nemico, almeno quella di un posto staccato, di un’ala, del centro, e saperne ideare l’attacco; non impeto, ma, cosa piùrara, calma imperturbabile fra le offese nemiche, le quali non debbono né commuoverlo, né distrarlo dall’oggetto su cui tutto deve, tendersi l’arco dell'intelletto; e finalmente, semplicità, esattezza chiarezza nell'esprimereleproprie idee. La calma, l’ingegno, il facile porgere son doni naturali; la conoscenza del terreno, delle varie armi; delle grandi evoluzioni possono acquistarsi, studiando ed applicando studii in quelle grandi evoluzioni che mai si praticano, o assai raramente ed imperfettamente dagli eserciti permanenti, in questi gli uffiziali di stato maggiore non sonoche topografi, o molti dottissimi fra loro mancano affatto della pratico delle loro incombenze, la maggior parte poi, sono oziosi, scelti per favore, lavorano meno che ogni altro ufficiale dell’esercito e più che ogni altro retribuiti, avvezzi a parteggiare coi generali non già te occupazioni, ma H lusso, o l’ozio, quindi in uggia a tutto l’esercito, e quindi l’idea falsa e dannosa, che essi siano inguerra inutili affatto.

Dalle cose di cui abbiamo ragionato risulta che le esercitazioni delle milizie perpetue, di etti menasi gran vanto, altro non sono che Inutili ripetizioni che rappiccioliscono l'animo del milite, suscitando idee false e facendogli contrarre nocive abitudini; molto piùdannose dei lievissimi vantaggi che si ottengono dalla precisione e dall’accordo dei movimenti. Gli antichi non tormentavano i loro guerrieri, ma lasciavano che si esercitassero con gli altri cittadini come meglio credevano, e pure ilmaneggio della spada edello scudo, il lanciare il pilo, il tendere l’arco, il rotare fa fromba, richiedevano essai maggiore destrezza che ilfacile maneggio del fucile; gli ondeggiamenti, leaperture, le sporgenze, nella linea di battaglia, che stava scudo contro scudo col nemico, producevano disastri molto maggiori di quelli che ora possono produrre alle grandi distanze in cui si combattono le moderne battaglie. Nondimeno i moderni quantunque le armi da essi adoperate abbiano grandemente semplificato e reso facile l’addestrare le milizie nella tattica elementare, hanno fissato sa di essa con impareggiabile pertinacia la loro attenzione, trascurando quasi daltutto la parte sublime e difficile dell’arte dello guerra, fa quale consiste nella strategia e nell'adattamento della tattica al terreno; errore gravissimo cagionato dalia natura degli eserciti permanenti. Le milizie distribuite in picciolo frazioni ne’ presidi debbono o rimanersene oziose, o ripetere continuamentela scuoia del soldato, del pelotone, del battaglione, e cosi pervertire le loro idee ed il loro raziocinio. La spesa per conservare sempre in essere queste milizie essendo rilevantissima, non pub accrescersi di quella che sarebbe necessaria per eseguire sovente i grandi simulacri di guerra, di cui parleremo a suo luogo, e che sono i soli utili ammaestramenti per l’esercito. Quindi, invece di fare eco ai tanti scrittori militari, che tutti dichiarandosi riformatori non fanno che ripetersi, possiamo asserire che gli eserciti permanenti non sono, né possono essere scuola di guerra ma sorgente di errori, che pregiudicano l’arte mentre servono a ribadire le nostre catene. Gli eserciti permanenti sono meglio istrutti che le milizie cittadine in quelli esercizii meccanici, nel servizio del quartiere, cose, in guerra, di veruna utilità. Le milizie cittadine non hanno un'idea della guerra, gli eserciti stanziali l’hanno, ma l’hanno falsa, il che è ancor peggio.

VIII. — Fin qui per l’istruzione; ora ragioneremo della disciplina. Non è la severità e la durezza della pena, che rende salda la disciplina, ma ragioni pili lontane, le quali dalla costituzione della società direttamente dipendono. Quando alle compagnie di ventura ed alle milizie feudali successero gli eserciti, mercenarii, le pene erano gravissime ed arbitrarie, mentre la disciplina quasi non esisteva. I capi, scrive il Ricolti, punivano a loro arbitrio, e, senza forma legale facevano collare, impiccare, mozzar nasi ed orecchie. Era loro costume che le laude spezzate dirupassero o ammazzassero le guardie te le trovavano addormentate. Se durante la guardia un soldato ingiuriava con le armi un altro, il tergente l’ammazzava. Sovente un capitano entrava in una schiera e ne ammazzava quattro o sei forse innocenti—. Egli è impossibile concepire maggiore severità, anzi maggiore barbarie, e pure in tale epoca i soldati spesso non volevano combattere; tumultuavano se ritardavasi la paga del loro salario; e sovente ai loro ufficiali facevano il medesimo gioco di diruparli o ammazzarli. La disciplina presso i moderni è maggiore, mentre le pene son meno severe e più legali; ma pure questa legalità, questa mitezza di pene è ben lungi da quella che costumavasi presso i Romani. Questi, nei casi rarissimi in cui la mancanza comprometteva la sicurezza dell’esercito, o pure la disciplina di esso, punivano con la morte, ed il reo era sempre convinto al cospetto di tutti i militi. Comunemente il Tribuno, delegato a ciò, convinceva il reo alla presenza dei militi, quindi toccavalo con una bacchetta, ed allora tutti si davano a tempestare su di lui e lo ponevano in brani; se qualcunomeritevole della pena di morte per caso la stampava, era messo al bando da tolti, e così la disciplina militare era presso i Romani garantita non solo dall’esercito ma dall’intera nazione. Invece presso i moderni, il condannato spesso trova favore presso i commilitoni e protezione, certa fra i cittadini.

Le altre pene dei Romani erano quasi tutte pecuniarie, ed assai più miti di quelle usate dai moderni. Ma quello che maggiormente rileva è il paragonare la disciplina osservata dagli antichi eserciti cittadini, con quella osservata dai moderni eserciti permanenti, e così apprezzare quanto valore abbia quest’ultima da tutti universalmente lodata.

Manlio, Console, capitanava l’esercito romano e muoveva a guerra contro i Latini. Parlavano i due popoli la stessa lingua ed erano somiglianti i costumi, la foggia delle armi, gli ordini di guerra; ed il console per evitare gli errori che da dò potevano derivare vietò qualunque parziale combattimento che egli non avesse ordinato. Tito Manlio, figlio del Console, reduce con una partita di cavalli da un’esplorazione, fecesi innanzi al padre, e presentate ad esso le spoglie di Gemino Mezio cavaliere tosco così disse:

«Acciocché tutti mi conoscessero nato veramente dal sangue tuo, queste io presento spoglie del nemico trucidato.» — Turhossi Manlio ai suoi detti e chiamati i militi alla concione cosi parlò: «Poiché, o Tito Manlio, non curando, néil diritto consolare, né la paterna maestà, contro il nostro editto, combattesti fuor degli ordini col nemico, e per quanto fu in te sciogliesti la militar disciplina, su cui ferma stettesi fin ora la potenza romana, me traesti in tale necessità, che mi conviene obbliare o la repubblica, o me medesima ed i miei; sarem puniti noi dal nostro delitto, più tosto che b repubblica sconti. con tanto suo danno le colpe nostre. Saremo esempio lacrimevole, ma salutare, in avvenire alla gioventù. Per certo assai commove, l’amore ingenito pei figliuoli, e questo tuo saggio di valore, a cui sedusse falsa immagine di gloria. Ma bisognando, o mantenere inviolabili i comandi dei consoli con la tua morte o abrogarli in perpetuo con l’impunità, tu pure credo, se v'è in te goccia del nostra sangue, non ricuserai di restituire con la pena la militar disciplina caduta per colpa tua. Va. o littore, legalo al palo».

Dopo pochi istanti la testa del giovane cavaliere cadde recisa al suolo. Erano scorsi quindici anni dal fatta narrato, era l’anno diRoma 430, quando Lucio Papirio Console Dittatore, conduceval’esercito contro i Sanniti; era maestro dei cavalieri, Quinto Fabio Massimo Rulliano. Papirio partito da Roma conincerti auspici, ritornò per rinnovargli, e lasciò l’esercito accampato innanzi al nemico, e vietò al maestro de' cavalieri, che succedevagli nel comando, di combattere. Giovane Fabio e vago di gloria, assalìil nemico, vinse e si mostrò valoroso guerriero ed avveduto capitano: inviò a Roma la nuova della vittoria e le spoglie conquistate; l’esercito era giubilante, giubilante la città, ma il Dittatore sdegnato ritornò al campo. Ivi giunto convoca la concione de militi, ed il banditore chiama a comparire innanzi al Tribunale Quinto Fabio maestro dei cavalieri: presentatosi questi, il Dittatore parlò della sua podestà, dell'ubbidienza ch’eragli dovuta, espose le ragioni per cui era tornato a Roma, ragioni che avrebbero dovuto bastare per evitar la pugna; in ultimo disse: «Rispondimi, non ti ho io vietato d’intraprendere nulla, durante la mia assenza? non ti ho io vietato di cimentarti col nemico? e tu sprezzando questo mio comando osasti combattere? Rispondi a queste interrogazioni, e fuori di queste guardati dal metter voce; accostati o littore». Turbasi Fabio né trova mododi scolparsi. Il Dittatore ordina che sia spogliato e si apparecchino le verghe e la scure. Fugge il colpevole presso i Triari; pregano implorano il Dittatore i militi più vicini, tumultuano e minacciano i lontani, e più che gli altri i Triarii.Ma l’inesorabile ed impavido Lucio è pronto a sacrificarsi alla dignità della sua carica, persiste, impone silenzio, ma invano, la notte pone fine al tumulto. Fabio fogge in Roma; giovandosi del credilo del padre è introdotto in Senato, ma a pena comincia a scolparsi, odesi lo strepito dei littori che aprono il passo ad cruccioso Dittatore che ordina immediatamente l’arresto di Fabio. Il padre di Fabio si appella al popolo, Papirio sostiene le sua ragioni innanzi a questo supremo ed inappellabile tribunale, e già comincia a piegarlo in suo favore. Allora il padre di Fabio, ed i tribuni della plebe ritornano alla preghiera, e dichiarano abbastanza punito ilmaestro de' cavalieri; cosi placossiil Dittatore e rispose: «Son pago o Quiriti, la disciplina militare ha vinto, ha vinto la maestà del comando, non si esime dalla colpa Quinto Fabio... ma condannato lo si dona al popolo Romano. »

«Sono ormai cinquantanni, (siamo tra i moderni, e trascrivo «un racconto di un tal Bretischneider che leggesi inBismarch) da che avvenne la battaglia di Collin: voglio far noto al mondo la cagione che di essa decise. Io era allora tenente nei eavalleggieri sassoni. Noi stavamo, in questo giorno caldissimo, dall'albasino al mezzodì su di un’altura disposti in ordine di battaglia: eravamo d'altronde un pococoperti dalla prolungazione della sommità del monte, dietro del quale non potevamo essere veduti né vedere le operazioni del nemico. AIl’ala dritta tuonava il cannone incessantemente, che appena ci lasciava sentire il fuoco de' moschetti. A poca distanza da noi, fu messo il fuoco ad un villaggio che i Croati avevano occupato; noi però ce ne stavamo tranquillamente senza far nulla. Innanzi a me, che stavo in linea, v’era ungrande albero sotto del quale il colonnello Benkensdorf, del reggimento principe Carlo aveva collocata la sua tavola. Questa circostanza si è profondamente impressa nella mia mente, poiché in quel momento il prosciutto che il colonnello mangiava e le sue bottiglie mi sembravano piùd’ogni altra cosa interessanti. Appena l’ebbe vuotate eccoli un aiutante del Maresciallo Daun, che viene a spron battuto, portando a tutti i brigadieri e comandanti di reggimento l’ordine di ritirarsi, coll’indicazione del luogo che noi dovevamo occupare. Immediatamente il colonnello Benkensdorf monta a cavallo e sale salta sommità del monte, ritorna indietro con volto infiammato, e grida: — il nemico s’avanza, si ritiri chi vuole, poco mi importa, chi però è Uomo d’onore mi segua,—; e noi immediatamente lo seguimmo perché tutti eravamo uomini d’onore. Il nostro reggimento sassone s’incontra con l’infanteria nemica e la mette in pezzi. Un reggimento austriaco ch’era da noi poco discosto imita il nostro esempio, e così di mano in mano tutta la cavalleria del generale Nadasdy. La battaglia fu da noi guadagnata: se avessimo eseguito gli ordini, sarebbesi certamente perduta. Resta a risolvere il grande problema se il colonnello avrebbe tentata l’audace impresa se non avesse pria vuotato le sue bottiglie? Io dico di no». — Daun era un buon generale, il suo esercito era considerato come esercito disciplinato, eppure noi leggiamo Delia storia ch’egli fece cantare il Tedeum, ma non troviamo che il colonnello Benkensdorf fosse stato moschettato; probabilmente fu premiato; Quant’ammirazione non si desta in noi nel leggere quei due fatti accaduti fra milizie cittadine; l'altro avvenuto fra gli eserciti permanenti non suscita che un sentimento di sprezzo. Il maresciallo Daun dovette la vittoriaalla trasgressione degli ordini da lui dati; ed a lui potrebbesi dire, conte il Filemone di Menandro: 0 uom gentile, con tua pace or dimmi: non ti vergogni della tua vittoria?

Hanno i moderai cosi poca fiducia nelle loro istituzioni, che il buon successo non lo sperano da esse, ma dal caso. Severi e pedanti durante ìa pace, rallentano polla disciplina in guerra; pronti nell’avversità di fortuna a dimandar consigli ai minori, avviene, come dice il Colletta, che attenuasi la persuasione e l’ubbidienza, quando si vorrebbero e maggiori e più cieche. Una disubbidienza che produca, non dico la vincita d’una battaglia, ma un dubbio vantaggio nella più meschina delle scaramuccie, viene commendata universalmente e ne corre fama come di un gran fatto, tanto la disciplina è poco pregiata.

La vantata disciplina degli eserciti permanenti volge tutta sull’osservanza d’alcune norme, che riguardano la vita conventuale a cui si condannano i militi, ed eziandio a certi atti esterni, a goffe contorsioni che il militare è obbligato a praticare innanzi al superiore in tutti gli istanti di sua vita. Egli è perennemente schiavo, nella piazza, nei pubblici ritrovi; finanche fra le pareti domestiche è costretto a quella cieca ubbidienza indispensabile solamente sotto le armi. E pure quale frutto si ottiene da questa perenne schiavitù, da questo sepolcro in cui chiudesi l’umana ragione e l’umana dignità? Mi si conceda rammentare ciò che ho scritto altrove: «Una divisione Napoletana giunge a Bologna, il Borbone intriga, corrompe e mette in moto tutte le suste di quella macchina da gran tempo preparata; la disciplina èrotta in un baleno; gli ufficiali non sono più ubbiditi; i soldati ritornano in Napoli convinti, che fosse più onorevole per essi trucidare i Napoletani e Siciliani che combattere gli Austriaci. La camarilla torinese teme la fusione, usa il metodo stesso usato dal Borbone; immediatamente l’ardore di cui fu invaso l’esercito all’esordire della campagna è spento, si scovrono le tracce dell’antico sistema, l’esercito diventa propugnatore della pace — a Novara guarda con indifferenza il suo re che si sacrifica e dopò la disfatta, inveisce contro i proprii concittadini».

A Parigi vediamo de' generali arrestati da soldati, Squali ciecamente ubbidivano al comando di altri generali nemici di quelli, violando, le leggi dello Stato. La disciplina degli antichi era il rispetto alle leggi del paese, la disciplina dei moderni è la cieca ubbidienza agli individui. Gli antichi sentivano la necessità di ubbidire alle loro leggi, e manifestavano in tutti i loro atti un tal sentimento; i moderni invece sonosi tutti dati a prescrivere restarne manifestazioni, sperando cosi suscitare il sentimento.

Néquesto avviene perchésiasi cangiata l’umana natura, ma perché l’utile privato non accordasi con l’utile pubblico. La disciplina, ovvero quel sentimento per cui serbasi un religioso rispetto per le leggi egli Ordini che regolano l’esercito, e dall’esatta osservanza di esse sperasi la vittoria, non può esistere in un esercito se non esiste nell’intera nazione;non può durare senza la più severa giustizia ed imparzialità; non può scompagnarsi dal convincimento universale, che le cariche vengano distribuite secondo il merito di ciascuno. I Romani non impararono solo in campo ad apprezzare la militare disciplina, ma fra le pareti domestiche, net foro, fra l'universalità de' cittadini veniva loro inspirato il rispetto alle leggi. Ma come sperare che ciò avvenga fra i moderni?

Ove esiste una corte o una potestà suprema che cerca partigiani, e distribuisce le cariche; o caste predominanti, ed havvi nel popolo indifferenza per le cose del pubblico, ivi igradi non verranno concessi al merito ma ai favoriti; ivi è impassibile imparzialità e giustizia, perché le leggi sociali sono parziali ed ingiuste: ivi è impossibile la disciplina. Se poi il popolo moderno, con una felice rivoluzione diventasse legislatore, distributore de' maestrati… giudici sovrano di fatto e non di nome; se non esistesse diversi là di classi, ma di funzioni; se i poteri non fossero governativi ma dirigenti; se l’utile privalo fosse d’accordo con l’utile pubblico; allora presso i moderni esisterebbe, difatto, la disciplina che esisteva presso gli antichi, ed in tal caso l’esercito permanente sarebbe cosa impossibile. Conchiudiamo: come la vera istruzione utile in guerra è impraticabile con le milizie perpetue, nella guisa stessa la vera disciplina non potrà mai accordarsi con la loro costituzione.

IX. Finalmente i scrittori militari dichiarano asseveratamente che l’utilità degli eserciti permanenti consiste nello sviluppare fra i soldati lo spirito di corpo, che più italianamente e più esattamente deve dirsi, come opina il D.(r)Agala, amor proprio di reggimento, o di corpo, che produce quell’unità morale, dicono essi, che ne costituisce la bravura. Marmont nobilmente definisce questo sentimento: «La comunione dei perigli, dice egli, della gloria, degli interessi genera i legami i più vivi e sinceritàsiccome tutto si tocca e lega nei grandi misteri della società, avviene precisamente nello stato di guerra ed in mezzo ai pericoli, ovvero là, ove la società n’esperimenta maggiore, il bisogno, che si manifesta comunemente l’amicizia, e quell’abito compagnevole, o amor proprio di corpo, a cui l’opinione dà tanta forza. Lo stesso, ma con servile linguaggio, scrive Jacquinot: L’esercito, dice, è una famiglia di cui il re è il capo». Si accetti il primo o il secondo modo di esprimersi la conseguenza è la medesima: l’amor proprio di corpo è quel sentimento che lega strettamente gli interessi del soldato con quelli del corpo, elle suscita una volontà, un modo di pensare comune a lutto il corpo. Lo stesso Jacquinot vorrebbe, che tutti gli uffiziali fossero null’abbienti, onde dal grado derivasse la loro esistenza, ed in esso si restringessero le speranze pel loro avvenire; altrimenti, dice l’autore nominato, non può ottenersi la cieca ubbidienza che richiedesi, gli uffiziali lasceranno il servizio al minimo dissapore; vuole, — in altri termini, che siano anima e corpo venduti al governo.

Che cosa è adunque questo amor proprio di corpo, questo sentimento, in virtù del quale ogni militare, sortendo dall’ampia sfera del vivere di un cittadino, si restringe in un picciol giro? Altro non è che spirito di parte; esso fa dell'esercito una setta più che ogni altra perniciosa, perché armata e strettamente unita. Infatti, o il milite nutre per la patria e pe’ cittadini l’amore medesimo che sente pel corpo e pei suoi commilitoni, ed allora l’amor proprio di corpo non esisterà; o sentirà per questi un affetto maggiore, e si terrà legato ad essi da vincoli più forti, ed in tal caso l'esercito sarà una setta.

Una setta non può avere il medesimo interesse collettivo, i medesimi concetti dell’intera nazione, altrimenti cesserebbe di esser tale. Una setta per sua natura tende a prevalere sull'universalità dei cittadini: quindi l’esercito cerca sempre conservare un predominio. E questa setta diquali costumi e con quali leggi si costituisce? Con le più dispotiche, una cieca ubbidienza al capo; quindi l’amor proprio di corpo è il più saldo sostegno della tirannide. Questo sentimento fece abilità a Mario e Silla, a Cesare e Pompeo di lacerare lo stato da civili guerre; in virtù di questo sentimento poche legioni imponevano il padrone al vasto mondo Romano; esso soffocò la libertà nel medio evo; fece strada al trono a Napoleone; porse il destro a Luigi Bonaparte di crearsi imperatore; sostiene, finalmente, lo spergiuro de' principi. E mentre l’amor proprio di corpo è la fonte onde scaturiscono tutti i mali delle moderne nazioni, esso non genera, come ora dimostreremo, il tanto desiderato effetto, il valore.

Le guardie nazionali, scrive Marmont, supponendole composte di quanto vi ha di più valoroso in terra, non varranno mai niente in principio, perocché il valore e la capacità di ciascuno non può valutarsi dagli altri che dopo averne fatto esperimento. Va la comunanza di perigli che genera le amicizie e la confidenza nelle proprie forse non ha luogo negli eserciti permanenti. In quali perigli esperimentano essi le loro forze durante le lunghissime paci? Allorché gli eserciti muovono in guerra, sono nuovi a quei rischi come lo sarebbero le milizie cittadine. tQuesta confidenza nello proprie forze, non potrebbe che svilupparsi dopo una campagna, almeno, il che avverrebbe eziandio per le milizie cittadine. Odio fra militi e cittadini; rivalità fra i diversi corpi, poca confidenza nelle proprie forze, che la gretta e codarda politica dei (governi, e particolarmente dei piccioli Stati, loro inspira; il gioco, la crapula, l’ignavia figlia dell’odio in cui si giace ne’ presidii, ecco in che consiste l’amor proprio di corpo degli eserciti permanenti.

Se questa comunanza di perigli che vanta Marmont non esiste pei moderni eserciti, esaminiamo le altre cagioni che possono in essi sviluppare il valore che sarebbe difettivo fra le milizie cittadine. I premii, le pene, l’emulazione forse? «L’uomo per sua natura, dice lo stesso autore, cerca ed ama le emozioni; l’idea del pericolo gli piace, quantunque nel momento più minaccevole vi siano pochi uomini i quali non ne restino scossi. Ma sentesi il bisogno di, paragonarsi agli altri, l’emulazione ci è naturale». Or quanti sono capaci d’un tal sentimento fra i soldati di una compagnia? Salve alcune rarissime eccezioni, tutti, i pensieri dei soldati sono alla famiglia, al paese nativo; essi anelano al termine dell’ingaggio e non altro. Non è che il timore della pena che li sospinge contro il periglio: e la paura non fu mai madre di eroi. Poniamo pure che premii, pene, emulazione inspirassero ai soldati il valore, non perciò le milizie stanziali dovrebbero dichiararsi più valorose delle milizie cittadine. Le cause stesse produrrebbero in queste il medesimo effetto. Ma il valore collettivo delle milizie risulta da cause più lontane, da sentimenti più nobili.

Allorché mancano i vincoli che legano il soldato alla causa che difende, e l’ardore è difettivo, il valore collettivo non è sperabile; esso può ottenersi, o dopo una lunga guerra la quale accostuma il soldato al periglio, o dalla disperazione. I Greci ed i Romani, i cui guerrieri, prima di uscire in campo, avevano eglino medesimi decisa la guerra e però non desideravano il termine di essa senza la vittoria, guerreggiarono guerre corte e grosse. I mercenarii del medio evo, guerrieri per professione, accostumati ai perigli, erano valorosi, ma pugnavano non già per la vittoria, ma per salario; eglino non desideravano vittorie decisive, che avrebbero messo fine alla guerra, e però in quell'epoca tutte le guerre furono feroci e lunghissime. Nei moderni eserciti stanziali manca l’interesse alla causa che difendono, sono nuovi ai perigli; il salario meschino ed invariabile, quindi solo dal saccheggio, quasi in disuso, può essere allettata l’avarizia del soldato; e se le moderne istituzioni sociali rendono i cittadini infingardi e vigliacchi, gli eserciti permanenti non sono un rimedio a questi mali. L'amore per la patria, l’utile della vittoria son le cagioni, che fra milizie nuove alla guerra suscitano il valore, né questi sentimenti possono destarsi, se il soldato credesi affatto estraneo alla causa che difende. Tutti i scrittori militari di qualche levatura hanno sentito queste verità, ma non hanno voluto accettarne le ultime conseguenze.

Jomini, autore certamente non sospetto ai troni, scrive cosi: «Le cause generali che hanno tanta influenza sui destini delle nazioni, esercitano Io stesso impero sul loro stato militare. Le vittorie derivano in parte da queste cause, e sviluppano l’ingegno dei generali come il coraggio de' soldati». — L’anonimo e pregevolissimo autore del libro, che ha per titolo: Tableaux des guerres de la révolution française, sente in tutta la sua forza una tale verità. «Il disastro di Baylen (dice scrivendo della guerra di Spagna), racchiudeva un grande insegnamento di cui Napoleoneera profondamente preoccupato. Le soldatesche di Dupont recentemente coscritte, eransi prontamente agguerrite, ma esse non recarono al campo che le loro attitudini militari. Il giorno in cui l'abilità de, capo erasi mostrata difettiva, l’energia, l’ardore erano sparite. La sorgente delle forze che la rivoluzione aveva creato nelle moltitudini cominciava ad esaurirsi ed in

fatti si esaurì, e vinti furono il più formidabile esercito ed il più famoso capitano dei moderni, quando il bollore delle passionnche aveale generale si ammorzò sotto lo scettro imperiale.

Nel 1795 Condé, Maganza, Valenciana cadevano nelle mani dei nemico; tre grandi provincie parteggiavano per la gironda, i sollevati della Vallea riportavano una grande vittoria; diecimila realisti si raccoglievano nella Lozera; i formidabili eserciti collegati vittoriosi muovevano sopra Parigi; mancava il capitale,il lavoro, ma le passioni erano ardenti, la rivoluzione esisteva, la Francia supera tutti gli ostacoli, vince, e dopo tante lotte è più forte di prima. Paragoniamo queste condizioni della Francia a quelle in cui trovavasi nel 1814; uomini, tesoro, soldatesche agguerrite, famosi generali, materiale immenso, tradizioni militari, vastità di territorio, unità di comando, oltre le piazze forti di Francia, erano sue quelle di quasi tutto la Germania, sua l’Italia… ma non eravi rivoluzione, bensì dispotismo combatteva l’esercito non già la Francia, e l'esercito fu vinto, la Francia conquisa. Quante risorse militari, quanti soldati non aveva l’Austria!; nondimeno dopo ogni disastro era costretta ad implorare la pace al Tagliamento, ad Austerlitz, a Wagram. La Prussia con un esercito tanto famoso, non perdette che una sola battaglia, a Jena; e l’esercito sparì e la nazione fu conquistata. La Spagna, per contro, ove la guerra fu sostenuta da cittadini volontari, tante volte disfatta, non subì mai Finterà conquista.

Dal 1792 al 1800 gli eserciti francesi sono eserciti cittadini, ed i loro nemici milizie regie: la vittoria non abbandona mai i Francesi. Dal 1800 al 1813 le legioni di Francia sonosi trasformate in milizie stanziali: ma i generali, gli ordini, le tradizioni, quell’unità, quella precisione nelle grandi mosse di guerra, il genio stesso di Napoleone, tutto traeva origine dal bollore della rivoluzione; l’arte della guerra che servì alle conquiste di Napoleone, era quella della scuola repubblicana, come quella di Epaminonda, d'Atene, di Sparla servì all’ambizione d’Alessandro. Gli eserciti che doveva combattere Napoleone erano eserciti di scuola regia e furono vinti. Finalmente la Francia china il capo sotto il giogo di un despota, i suoi eserciti non combattono più per l’onore della Francia, ma per sostenere l’ambizione del tiranno; la Francia sente il peso della guerra, senza raccogliere nessun frutto dalla vittoria; allora i re oppressi mandano il grido di libertà e nazionalità, l’ardore invade gli animi, e rapidamente trasforma i loro eserciti mercenarii in eserciti cittadini, tutti VOGLIONOvincere....; cosi, mutate le condizioni mutano le sorti, la Francia è conquisa.

Se da' moderni rimontiamo agli antichi, vedremo Roma, difesa dai suoi cittadini, rifarsi dopo i memorabili disastri della Trebbia, del Trasimeno, di Canne, e più potente ritornare in campo. Cartagine, invece, che guerreggiava con eserciti mercenarii, cade appena a Zama vengono sconfitti i veterani condotti da Annibale. Di tutte le imprese guerriere che registra la storia, non sono forse quelle delle milizie cittadine le più famose. La falange macedone, l’ordine manipolare e tutti principiisucui si basa il dotto guerreggiare dei moderni, non sono forse risultati dalle imprese delle milizie cittadine? Facciamoci a riscontrare la storia, dal principio del mondo, ed esaminiamo accuratamente il sentimento nazionale, i vincoli sodali, l’utile, l’indole di quei popoli, i quali vantano una serie non interrotta di trionfi, e troveremo, oltre l’abilità del capitano, ed il valore delle schiere, un convincimento, un sentimento «universale che E sospinge alla guerra, causa latente di cui tutto ciò che apparisce è l’effetto. Con milizie stanziali, sospinte dalla sola disciplina, si potrà conseguire la vittoria in qualche campagna, si potranno vincere delle battaglie; ma al termine di una lunga lotta il. trionfo delle milizie cittadine è immancabile. Gli eserciti permanenti sono una forza, che la stessa vittoria logora e distrugge; mentre la disfatta, minacciando le milizie cittadine dell'immediata perdila di quei beni che esse difendono, accresce in esse l’ardore e con l’ardore la forza.

X. Conchiudiamo: gli eserciti permanenti, che assorbono la più gran parte delle ricchezze sociali, che tolgono al lavoro un numero rilevante di braccia, non sono che scuole di pregiudizii e d’errori, consorterie in cui rinnegasi la ragione, la dignità di cittadino, di uomo, rinnegasi la patria; sostegno della tirannide, ostacolo ad ogni grandezza. Bugiardamente si dicono nazionali, mentre ad ogni militare vien severamente proibito di mischiarsi nelle discussioni politiche che si agitano nel paese, per imporgli poi quell’opinione che meglio conviene a chi governa. Ma come, potrà essere animato da spirito nazionale colui che si fa straniero a tutto quello che pensa, che scrive, che discute la nazione, colui che vive una vita diversa da quella dei cittadini?

Gli eserciti permanenti non sentono altra nazionalità che quella della spada e della sciarpa, e per essi la verità e la giustizia è la volontà del loro capo. I miglioramenti dell’apparecchio, e degli ordini di questi eserciti, non sono sottoposti alvasto concetto collettivo di lutto il popolo, al lavoro continuo di milioni d’ingegni, ma all’angusto discernimento di qualche satrapo: guai a colui, eziandio militare, che tentasse di proporre riforme o innovazioni! verrebbe considerato come un ribelle che crede saperne più dei suoi superiori. In tal guisa l’ubbidienza, indispensabile solo in campo, vien trasformata in ubbidienza perpetua, per cui muore ogni slancio, ed il paese é privato della cooperazione dei suoi più sublimi ingegni.

Giunto il momento di muovere a guerra, le sorti della patria non si affidano a colui ch'è più atto a capitanare l’esercito, ed al quale natura disse il segreto dell'arte bellica; ma ad un generale invecchiato nelle anticamere delle corti, o nelle caserme, per la sola ragione che questi è il più anziano, o pure è il favorito del principe.

Ogni cittadino, gravato da enormi tasse per mantenere in essere l’esercito, e vedendo un continuo correred’armati per la città, è indotto a credere che ir paese sia pronto ad ogni evento e capace di respingere ogni ascendente straniero; vana speranza, nessuno degli Stati europei del mediò evo, nessuno dei piccioli Stati italiani di quell’epoca, si è mai mostrato così codardo in politica, cosi poco apparecchiato alla guerra come. le moderne nazioni. Quelli non avevano eserciti, o almeno la maggior parte delle loro milizie si assoldavano durante la guerra, questi sono largamente muniti di anni e di armati. In oggi, decisa la guerra, dopo interminabili apparecchi e spese come se milizie non esistessero, l’esercito muove pur sempre mancante di qualche cosa. Giunti i due eserciti l’uno incontro dell’altro, si fronteggiano, incerti, per mesi interi, finché il caso produce qualche combattimento, sovente indeciso, sempre senza risultamenti, e spesso i due avversarti si attribuiscono entrambi il vantaggio. Simulano i capi una grande ammirazione per l’inesperimentato valore nemico, larghi di lode gli uni verso gli altri, di modo che la guerra riducesi ad uno scambio di cortesie. Ogni uno dichiara di avere un Annibale per nemico, onde farsi ad imitare Fabio, e cosi mascherare con la prudenza l’incapacità. Intanto, i disagi del campo, l’inerzia snervano i soldati, dissolvono l’esercito, conchiudesi la pace, ed al più timido, senza che sia vinto, viene imposta forte taglia di guerra, che pagano i cittadini, dopo aver pagato e dover pagare in seguito somme considecevolissime [pel mantenimento di quell’esercito che non ha saputo proteggerli. Cotesti eserciti, cosi dannosi in pace, così inutili in guerra, verranno dispersi al primo urto delle legioni cittadine surte da una rivoluzione (1).

Una spada in libera mano

È saetta di Giove tuonante,

Ma nel pugno di servo tremante

Come canna vacilla l’acciar.

G. ROSSETTI.

Pongo termine al ragionare di tale materia manifestando un mio convincimento. Se da mille bocche autorevoli si ripetessero le ragioni da me esposte, ed altri argomenti più chiari e potenti si aggiungessero, non perciò gli eserciti stanziali verrebbero disciolti; lascio questa lusinga alla pacifica ed inoffensiva schiera dei dottrinanti. Scrivo contro gli eserciti, per dimostrare a' miei connazionali la loro inutilità, i danni che essi cagionano alla patria, ed evitare che sorgendo a libertà rompano contro questo scoglio.

Egli è vero, che ragionando si distruggono i pregiudizii, ma non mai nel volgo; solo fra un ristretto numero di pensatori, capaci di scrollare, ma non già di cangiare gli ordini sociali. Sono i dolori, i mali, la cagione dei rivolgimenti, i quali cangiando gli interessi materiali sbarbicano gli errori.

Dite al soldato: tu prima di vestir la divisa fosti cittadino, tu desideri fortemente di ritornare in seno alla tua famiglia; perché dunque ti fai strumento d’oppressione contro una classe di persone a cui appartieni, in mezzo a cui ritornerai, e fra le quali sono tuoi parenti ed amici? Sciagurato! non ti accorgi che ribadisci le tue catene? Quella disciplina perpetua che sorveglia i tuoi passi, le tue azioni, che ti attribuisce a delitto il ragionare di patria coi tuoi concittadini, che ti abbandona in balìa dei capricci di un' tuo capo, sei tu stesso che la sostieni. Perché non la infrangi e ti franchi da te medesimo? — Il soldato non comprenderà niente di tutto ciò; egli con la stessa brutalità che assassina i suoi concittadini, combatterebbe unito a' suoi conterranei contro l'esercito, se non fosse soldato.

Dite agli uffiziali: voi potete rivendicarci vostri diritti di scegliervi i capi, di decretare premii, pene, onori; perché abbandonaste questi diritti nelle mani di pochi usurpatori? Quasi tutti comprenderanno questa verità; ma il volgo preferisce, ad uno splendido avvenire da conquistarsi, il misero presente che gli assicura l’inerzia.

Quindi non altro frutto possiamo sperare dal fin qui detto, che suscitare intorno al sistema degli eserciti permanenti qualche dubbio, qualche desiderio, da commoveregli animi degli, uffiziali, la cui incertezza comunicandosi alle schiere, facile sarà, all'ora della battaglia, la vittoria del popolo. — Vittoria che sarà più profittevole all’esercito vinto, che ai cittadini vittoriosi, particolarmente in Italia.


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CAPITOLO TERZO

XI. Armi e divisa dei fanti. — XII. Loro ordini. — XIII. Di quanti combattenti dovrà comporsi il battaglione, la brigata, la divisione. — XIV. Esploratori.

XI. La tattica esclude la prodezza, o meglio esclude ogni impresa menata a fine da sforzo individuale; la tattica maneggia schiere, ed ogni operazione staccata dal disegno l'esclude, e però l’esercito deve comporre un invariabile sistema, di cui tutte le parti concorrono, secondo la loro natura, al conseguimento del fine proposto. Nella composizione dell’esercito Ificrate vedeva il corpo umano, di cui i fanti leggieri e spediti erano le mani, la cavalleria le gambe, le fanterie di battaglia il. busto, il capitano la testa, «cui abbiamo ora di aggiungere, dice il D’Agala le artiglierie, che ne sarebbero gli occhi»; ed io porrei sempre l’amor della patria che avrebbe a formarne il cuore. A noi pare che più esattamente potrebbe dirsi che: l’apparecchio militare, (quale Io difinisce il Montecuccoli) è l’ossatura che l’incastella, che gli dà forma; le provvisioni o regolamenti militari i quattrocento e più muscoli che gli danno il movimento; il capitanò la mente che concepisce; il sentimento nazionale, l’amor della patria il cuore, d’onde le passioni che gli danno l’impeto.

L’apparecchio militare dipende assolutamente dalle armi, e dai principii della guerra grossa; a quelle si adattano gli ordini e le evoluzioni, a questi la forza dell’esercito, la sua ripartizione, la base delle operazioni coi suoi magazzini, le sue linee, i punti principali ove si raccolgono le schiere. — Fin qui è l’arte della guerra.

La coscrizione o deletto, la disciplina, l’amministrazione accordano i principii dell’arte con le istituzioni nazionali.

Noi dalle armi moderne, dal modo di combattere determineremo gli ordini: dalla giacitura del nostro suolo, delle nostre frontiere la forza dell esercito e la proporzione fra le diverso armi; — adatteremo il tutto alle istituzioni sociali.

Nel primo saggio abbiamo esposto le vicende varie corse dalla fanteria, ora spedita, ora grave, siccome le armi e le circostanze richiedevano. Gli ordini si andarono sempre assottigliando. Federico II schierò i fanti su tre righe: l'imitarono gli altri Stati di Europa, e tale sistema fu conservato durante la guerra della rivoluzione francese; noi seguirono gl’inglesi che si schierarono su due. E la ragione, e l’esperienza parlano in favore di questi, ma non perciò le altre nazioni si decisero ad imitarli. Noi svolgeremo tali quistioni, rammenteremo il modo di combattere delle fanterie; determineremo, fra i diversi moschetti, quale sia il migliore, e quindi ragioneremo degli ordini che meglio ad esso si convengono.

Il terreno ineguale, interciso da catene di monti, solcato da fiumi, sovente non permette che un esercito si schieri a battaglia in continuata fronte: le battaglie si combattono in ordine separato, e si riducono perciò a combattimenti parziali, in un sol disegno, cospiranti ad un medesimo fine. Tanto nelle battaglie in ordine continuo, come in queste, i fanti combattono sempre allo stesso modo. I bersaglieri appiccano la zuffa, rari in principio, poi più fitti, avanzano, retrocedono, assalgono, si difendono, secondo te vicende del combattimento e le mire de' capi. Sovente, se piano è il suolo, si lanciano contro ad essi alla spicciolata, squadroni di cavalli leggieri; si aggruppano altera i fanti, a quattro, a otto, a sedici, si giovano delle inclinazioni del terreno, si fiancheggiano come meglio possono, ed i cavalli, mancando loro il vantaggio dell’impeto collettivo, e combattendo contro gruppi dispersi, od uomini isolati, vengono arrestati dal fuoco e dalla baionetta, finché la tromba annunzia la cavalleria contraria, che protetta dal fuoco dei fanti li investe, e li caccia. Mentre cosi sostiensi, nella prima fronte, la zuffa, il generale dispone le schiere alla battaglia,ora a difesa, ora ad offesa, spiegando o conservando le colonne, secondo lo scopo che si prefigge,e la natura del sito: artiglierie, ostacoli, trincee, soldatesche pronte a rintuzzare gli assalti nemici, guarentiscono la chiave delle proprie difese, mentre incontro a quella del nemico Si raccoglie forte nerbo di schiere, apparecchiate ad assalire; in ultima fronte, la riscossa si tiene pronta ad accorrere oveil bisogno lo richieda. Scorto il momento opportuno, stabilito, per ogni corpo le mosse e I'obbietto, colui che assale dona il segnale e suona a battaglia.

La natura del terreno determina il modo d’assalire: o procedesi come bersaglieri, sparsi, seguili da colonne, o in battaglia, o in ordine misto, partiti, in ogni caso, a rintuzzare l’impeto de' cavalli. La seconda fronte, è pronta a rincalzare, a raccogliere, a succedere alla prima; a prendere la riscossa, a decidere la battaglia. Questa non è che l'orditura generale, il fondo del quadro, a cui danno risalto, attacchi di villaggi, di boschi, di allure, dai quali dipende il procedere di tutto il disegno.

Da questo cenno risulta, che non vi è nulla di assoluto in quanto al modo di combattere nei fanti; la natura, od altre circostanze determinano la loro disposizione, in colonna, in battaglia, alla spicciolata. «In una grande giornata, scrive Napoleone, una linea è costretta a spiegarsi due volte, tutta intera, da bersaglieri.»Quindi è grossolano errore credere, che pei fanti, il combattere a modo di bersaglieri fosse una cosa accessoria e non già principale, e distinguere perciò i fanti leggieri da quelli di battaglia; se nella divisa, nelle armi, negli ordini, o nel modo di esercitarli, questi ultimi, vi è qualche cosa che li rende meno spediti degli altri èin fatto gravissimo; la massima speditezza deve considerarsi come la qualità principale delle moderne fanterie, che debbono esser tutte composte di bersaglieri, i quali, secondo le circostanze, combattano in colonna, o in battaglia. Sogliono i moderni armare i casi detti bersaglieri di un’arma più precisa del moschetto di guerra; ma, se tale arma è vantaggiosa, fa d'uopo armarne tutta la fanteria, in caso contrario proscriverla generalmente, e perché i fonti, come dicemmo, combattono tutti nella stessa guisa, e perché bisogna evitare in guerra, per quanto si può, la diversità dei calibri.

Stabilito che tutta la fanteria dovrà armarsi nel modo stesso, ed un medesimo moschetto deve adottarsi per tutti, ci faremo a determinare quale, di quelli in uso in Europa, sia il migliore, giovandoci delle esperienze registrate da Deforme.

Lunghezza, peso e calibro sono le qualità del fucile, che vengono determinate dall’uso a cui si destina, e rimane, perciò, determinato l’effetto. Un’arma più lunga ha il vantaggio di una gittata maggiore; ma dovendo caricarsi con facilità da un uomo di mezzana statura, la lunghezza inedia de' varii fucili adottati in Europa, che pochissimo l'uno dall’altro differiscono, è di met. 1. 46 — La forza espansiva del gaz, è tale che la canna verrebbe traforata, se il peso del fucile pareggiasse quello della palla. Or siccome aumenta la forza della rinculata al crescere delle velocità iniziali, per ottenere queste molto grandi dovrebbero adoperarsi armi pesantissime e non maneggiabili da un uomo di media forza, e per tal cagione il peso medio dei varii fucili in Europa è di 5 chilogrammi. In parità di circo‘ stanze il maggior calibro produce tiro più lungo e più giusto, ed inoltre, vi è il vantaggio di volersi dei proietti tolti al nemico, se il calibro usato da quello è inferiore, senza tema che possa avvenire il contrario; ma il calibro dovendo proporzionarsi alla lunghezza ed al peso dell’arma, e quella e questo essendo a determinarsi secondo la statura e la forza media degli uomini, ne risulta determinato eziandio il calibro, e quindi determinati gli effetti, che, pei varii fucili adottati in Europa, quasi si pareggiano. Finalmente la semplicità per rendere l’arma soggetta il meno che sia possibile a deteriorazioni e suscettibile di pronte riparazioni, non che la massima facilità nel caricarla sono le altre interessanti condizioni, che si richieggono nel fucile di guerra.

Determinato così il fucile, passiamo a rammentare le esperienze per conoscerne l'effetto. Degli uomini isolati ovvero bersaglieri, che non siano scelti tiratori, mirando ad un bersaglio che presenti l’ampiezza della fronte di una compagnia, ed a varie distanze, la massima 500 metri, colpiranno 60 colpi dei 100. Or dunque 50 bersaglieri tirano 500 colpi in due minuti, dei quali, al detto bersaglio colpiranno 180, e però nei due minuti necessari! a percorrere 500 metri al passa ginnastico, una compagnia di ducento uomini sarebbe quasi distrutta. ’

Nel fuoco simultaneo d’un battaglione schierato, contro di un altro egualmente disposto, o in colonna, cominciando gli sparì a 250 metri, 67 colpi dei 400 arriveranno al segno, e però in meno di un minuto l’avversario verrebbe distrutto.

Due catene di cento bersaglieri ogni una, tirando l'una contro dell’altra, alla distanza di 250 metri, e mirando non già agli uomini ma alla catena tutta insieme in pochi minuti si distruggerebbero a vicenda.

Da queste esperienze risulta, che il moschetto di guerra, ovvero il moderno fucile, non lascia nulla a desiderare rispetto all’efficacia dei suoi tiri; distrutto il nemico, non può desiderarsi più in là, e se i risultamenti che si ottengono in guerra sono assai lontani da quelli che registra l’esperienza, tale differenza non dipende dalla poca esattezza dell’arma, ma da ben altre cagioni: è la stravaganza del terreno, è la mente del soldato che si offusca, il braccioche vacilla, la calma quasi impossibile a conservarsi, che rendono incerto il tiro. Si deve dunque riconoscere cotesti fatti, ed è un pregiudizio, è. una specie di fanatismo l'ostinarsi, per ottenere maggior efficacia, a sostituire al fucile armi più precise (le carabine), che richiedono, per adoperarle, mente più serena, braccio più saldo e calma maggiore; si accrescono cosi le difficoltà in luogo di rimuoverle… inconcepibile errore! Néciò è tutto.

Comunque semplificata, la carabina non potrà mai raggiungere la semplicità del fucile; la rigatura della canna facile a lordarsi; o lo straccio col quale per impedire le lordure bisogna avvolgere la palla, rendono sempre la carica della carabina meno spedita di quella del fucile, e sono indispensabili delle cartucce fatte a bella posta per essa. E questi inconvenienti da quali vantaggi vengono contrappesati? Dall'esattezza maggiore del tiro a grandi distanze ed a picciolo bersaglio, precisamente il caso il meno utile, ed il più raro che si verifichi in guerra. Per converso a cento metri, nel momento decisivo, se di cento colpi di carabina nessuno fallisce, di cento colpi di fucile 98 vanno giusto; ma nel tempo che si sparano 100 colpi di carabine, se ne sparano col fucile 123, quindi il vantaggio è per quest’ultimo. Di due linee schierate a battaglia, l’una contro l’altra, o in catena da bersaglieri, di eguale forza, ma l’una con la carabina, l’altra col fucile ordinario, egli è certo, che la seconda avrà il vantaggio, e questo sarà tanto più significante quanto più si avvicinano i due avversarii. Se poi questo fucile ordinario lo supporremo ad innescamento continuo, col semplicissimo meccanismo del Dellanoce, o altro migliore e più semplice, il vantaggio del fucile sulla carabina sarà grandissimo.

Conchiudiamo: tutta la fanteria sarà armata del fucile da guerra, adottando tutte quelle modificazioni, non già che lo rendono più preciso, ma che accelerano la carica, e sacrificando, alquanto, la leggerezza al maggior calibro. La carabina non è utile che negli assedii, o in qualche altro caso, rarissimo in guerra, come quello di un pugno di militi, che appiattati in luogo inaccessibile e lontano dal nemico togliessero di mira gli artiglieri; ma per questi casi none necessario formare de’ battaglioni speciali, e basterà, richiedendolo il. bisogno, scegliere i migliori tiratori, formarne dei drappelli temporanei ed armarli con carabine, le quali, dovendo servire solo a tale uso, potranno essere di una precisione maggiore che leordinarie.

Esaminati i pregi del fucile come arma da tiro, facciamoci a. considerarlo come arma da mano. Esso non potrebbe venire adoperato che a modo di mazza ferrata, afferrandolo per la canna e percuotendo col calcio, ma sarebbe così di pochissimo effetto, ed impossibile a maneggiarlo fra gli Ordini.

Per investire, per combattere corpo a corpo, una spada breve, larga, solida, la spada romana insomma, sarebbe l’arma per eccellenza pei fanti; ogni milite, senza esserne imbarazzato, potrebbe armarsene, e nel momento dell’assalto, buttando il fucile ad armacollo la brandirebbe; cosi usavano i Giannizzeri, così gli austriaci durante la guerra dei sette anni, ed i Russi nella guerra del 99. Ma l'esperienza fece abbandonare un tal modo di assalire; il sostituire, durante il combattimento, la spada al fucile, o questo a quella, richiede, è vero, brevissimo tempo, ma bastante a scemare l’impeto; il fucile ad armacollo ritarda la corsa, spesso si perde e il soldato rimane così privo della sua arma principale; inoltre, cotesto modo di assalire, quando muovesi serrati negli ordini, sia in colonna, sia in battaglia, per mancanza di spazio, riesce impacciato.

Intanto, dovendo rintuzzare l’impeto dei cavalli, sentivano i fanti il bisogno di un’arma astata, da sostituirsi alla picca, quindi l'invenzione della bajonetta. Una testa di colonna, una linea di battaglia che arresta la bajonetta, all’atteggiamento, al rumore mostrasi terribile. Il fucile più breve dell’asta, pesante al calcio più che alla punta, è arma maneggevole, ed 11 modo di usarla riducesi ad una facile scherma, che addicesi benissimo alla speditezza del moderno fantaccino. Ma insieme a questi vantaggi della bajonetta si presenta qualche inconveniente.

Il tubo della bajonetta, ne’ fucili privi di alzo, fa sì che la linea di mira diventa parallela alla linea di tiro, ed il fucile perde la la sua esattezza, perché non ha più punto in Bianca, e perché aggravato alla punta, facilmente vacilla il braccio che lo sorregge. Al primo inconveniente l’alzo mobile rimedia, il secondo è impossibile evitarlo. Ma se l’uomo non fosse troppo tenacemente attaccato ad usi viziosi, in parte potrebbesi rimediare su tutt’Europa, ad imitazione dei lanzi che ne diedero primi l’esempio: il fuoco eseguesi da una linea schierata a battaglia con la bajonetta in asta, mentre, non mancherà mai il tempo di armare la bajonetta, se la linea verrà investita; per contro, se i fonti devono combattere da bersaglieri, si usa sovente, di far loro togliere la bajonetta, mentre, in quel caso, i gruppi o gli uomini isolati sono esposti ad impreveduti assalti di cavalli-leggieri o di altri fanti, e potendo aggiustare il colpo con più pacatezza che nei fuochi a comando, il pesodella bajonetta, non reca loro grande fastidio. Per queste ragioni, dovrebbesi armare la bajonetta solo nel momento di caricare o di essere caricati, e nel combattere da bersaglieri, ed in tutti gli altri casi, far fuoco sempre senza bajonetta.

Un’altra quistione esamineremo, cioè, se la bajonetta a forma di daga sia da preferirsi a quella ordinaria. Trascrivo l’opinione del generale Duchesme, giudice molto competente, e questo brano servirà a conferma di quello che dicemmo riguardo alla carabina: — «Immaginai, scrive il detto generale, armare questa carabina di una lama dritta, a dilettagli, la cui impugnatura adattavasi con una molla, accanto alla canna, come la bajonetta. L’apparenza di quest’arma era minacciosa, ma l’esperienza la dimostro di niun valore. Qualche carabiniere, combattendo all’arma bianca, ebbe questa lunga lama rotta dal fucile avverso. Il primo loro colpo era buono, perché la carabina era stata caricata col maglietto, ma nei seguenti colpi perdevano il vantaggio perché bisognava caricare celeremente con le cartucce… fu provato che così caricata la carabina aveva una gettata inferiore al fucile. Eravi un altro inconveniente, che il carabiniere stanco dopo un lungo combattimento, era obbligato di passare la notte a fondere le palle della sua arma, non trovandosene nei cassoni di cartucce, giacché l’artiglieria non aveva potuto discendere a queste piccole precauzioni; dopo qualche mese i carabinieri, domandarono il fucile di munizione con la bajonetta, e se ne giovarono assai meglio nel combattimento.»— Nondimeno il maresciallo Neyscrive: «Bisogna che la spada del fantaccino sia fatta in maniera che possa adattarsi alla canna del fucile. Durante la guerra, le palle di cannono portano via o rompono molle bajonette: gli uomini cadendo le piegano sovente e sovente le spezzano: cercando raddrizzarle, i fucili stessi si rompono, ed allora il soldato rimane disarmato; se egli fosse provveduto di una daga bajonetta, (durante la notte p. e.) allora egli metterebbe il fucile ad armacollo, come i dragoni, e servirebbesi della daga-bajonetta per combattere in un luogo chiuso ove l’uso il fucile diviene imbarazzante.»Ma queste sagge osservazioni non distruggono quelle di Duchesme: Neydichiara cosa indispensabile fornire il soldato di un’altra arma da mano, oltre il fucile, e propone una daga, di peso doppio della bajonetta, che possa a questa surrogarsi, se essa si disperde o si rompe; Duchesme vorrebbe eziandio che si armasse il soldato di una daga, ma non vuole scemare le dimensioni e la solidità di questa per ottenere il vantaggio di usarlaalla punta del facile. Questa opinione sembraci preferibile, non già per la solidità della lama, cosa di poco rilievo presso i moderni i quali non usano armi difensive, ma per la necessità che sia costruita in modo da garantire meglio il pugno. La daga dei moderni è assurda; essa potrebbe adoperarsi con lo scudo, ad offesa, ma senza lo. scudo come difendersi? I colpi non possono pararsi che opponendo il pugno, e ciò è impossibile a praticarsi senza elsa e senza una piccola coccia: quindi vorremmo che il milite oltre della bajonetta ordinaria, fosse armato di una buona daga con guardia»

Finalmente, il becco posteriore del calcio del fucile in alcune carabine è armato di una punta, la quale conficcasi in terra e si pretende cosi garantire il milite dall’urto di un cavallo. I propugnatori di un tale ripiego, non solo mancano d’esperienza, difetto comune ai militari dopo tanti anni di pace, ma essi mancano eziandio di quel senso pratico, che genera idee chiare e retto giudizio. dell’uso delle armi in guerra. Supponiamo, cosa quasi impossibile, che in un quadrata o gruppo di bersaglieri, i militi della prima riga avessero il sangue freddo di attendere il nemico in ginocchio, e lasciare che i suoi cavalli cadano sulle loro bajonette (è questo il solo caso in cui la punta sarebbe utile), ebbene, ad onta di ciò, eglino verrebbero uccisi da questi primi cavalieri, ed il gruppo o il quadrato snodato e rotto dai seguenti. Se poi vogliamo considerare un uomo isolato, allora la punta è inutile, giacché egli non deve mai aspettare furto, ma causarlo» e tutto il suo vantaggio trovandolo nello schermire, quella punta potrebbe anzi riuscirgli d’impaccio che no. In fine dovendo armarsi tutta la fanteria nel modo stesso, il giustificare l’esistenza dei bersaglieri, dichiarandola non già soldatesca di genere diverso, ma soldatesca scelta, è un’assurdità non meno evidente che le altre. I triarii moderni, come quelli degli antichi, non possono esistere dopo una lunga pace; essi debbono cercarsi, credendoli necessari!, fra soldati provali in guerra, ed accostumati più che gli altri al periglio ed alla fatica: ma è cosa ridicola, dichiarare triarii alcuni battaglioni, sdlo perché più esercitati, ed uomini più belli e meglio vestiti. Per fermo questo pregiudizio è perdonabile ai Russi, ai Tedeschi, poco perdonabile ai Francesi, imperdonabilissimo agli Italiani.

I popoli del settentrione, tardi e lenti nei movimenti, si addavano più facilmente a girare, come uomini di legno, intorno al proprio asse ed a quella passività che richiede nelle evoluzioni, in ordine continuo, anzicché allo spedito combattere del bersagliere; per cui, oltre l’agilità del corpo, vuolsi eziandio svegliatezza di mente. Per queste ragioni, quei governi, fra i popoli a loro soggetti, scelgono, per comporre dei battaglioni speciali, quelli la cui indole accordasi meglio con tal maniera di combattere: e questi battaglioni son considerati come scelta soldatesca, non già pel vestito, per l’arma, per la destrezza, ma per l’indole degli uomini che gli compongono. Per contro, l’Italiano, il Greco, lo Spagnuolo sono naturalmente bersaglieri, adattatissimi a queste esercitazioni, e sarebbe perciò meno assurdo, benché sempre inutile sia, se noi della gente più tarda formassimo dei battaglioni di granatieri destinati a combattere solamente in linea continua. E non solo ere diamo che la moderna fanteria non debba essere che di una sola specie, ma crediamo dannosa finanche la diversità di colore delle mostreggiaturenella divisa dei varii corpi; avvegnaché visibili al nemico queste distinzioni, gli siano norme onde giudicare del nu mero delle schiere, oppure delle mosse di guerra. Un numero progressivo, il meno visibile che sia possibile, è la sola distinzione che debbe esservi fra i varii battaglioni de' fanti: e l’uniformità distrugge eziandio, qualunque idea di privilegio e di rivalità. Conchiudiamo da quanto sinora abbiamo dimostrato che: l’occuparsi della precisione dell’arma e di alcune aggiunte oziose, il formare corpi di fanteria speciali o scelti, non sono che l’effetto degli ozii di qualche satrapo militare, mancante d’esperienza e di senso pratico, o pure ritrovali per vantaggiare pochi favoriti.

Possiamo ora dedurre da quanto dicemmo, che l’arma dei fanti Italiani dovrebbe essere il fucile di guerra con alzo mobile, e con quelle modificazioni che lo rendono non già più esatto nel tiro, ma che abilitano a sollecitamente caricarlo, anche sacrificando alquanto la leggerezza al calibro. Oltre il fucile armato della bajonetta ordinaria, ogni milite dovrebbe avere una buona daga con guardia.

«Nulla di più militare, scrive Duchesme, che i corami inorociantisi sul petto.» Ma, potrebbe aggiungere chiunque li abbia indossati, nulla di più incomodo: il soldato nel correre, per non cadere, o per evitare, almeno, il fastidio di una continua battitura sulla polpa delle gambe, è obbligato a sorreggere con la mano le daga e cartucciera. Per contro, il cinturone, con la cartucciera scorrevole, solleva l’uomo sulle anche, lascia libera la persona, e fa l’effetto di un cinto ginnastico. Nondimeno sarebbe buon consiglio aggiungere i corami in croce a difesa del petto, mentre le spalle sono difese dallo zaino; e questi corami sarebbero utilieziandio a. sorreggere il cinturone. Corame e zaino neri, perché meno visibili e più Incili a pulirsi.

L’arma dell'uffiziale debb’essere una sciabola semi-diritta, molto solida, non lunga, la cui guardia protegga bene il pugno, onde difendersi dalla bajonetta guadagnando la misura. Quella che portano i Francesi è troppo lunga; quella dei Napoletani troppo lunga e troppo curva; la nuova dei Piemontesi, lunga essa pure; tutte difettive nella guardia. La migliore, ma non perfetta, è quella degli uffiziali dei bersaglieri piemontesi; la quale dovrebbe essere diritta o almeno quasi diritta, imperocché i fanti negli ordini o nella mischia devono combattere stoccheggiando. Fornire gli uffiziali di una carabina sarebbe pessimo consiglio, sarebbe un impacciarlo inutilmente, e distoglierlo alle sue incombenze; uffiziale non deve combattere, ma sorvegliare e dirigere i combattenti; nondimeno una pistola alla cintura, in molte circostanze, potrebbe essergli di somma utilità.

Dalle armi passiamo alle vestimenta.

Scarpe con le uose di cuoio è il miglior modo di prepararsi ad una marcia. Calzoni larghi al disopra, alquanto stretti al collo del piede onde chiuderli facilmente nelle uose, e cosi preservarli nelle strade fangose e rendere i militi più spediti nell’arrampicarsi.

Una comoda giubba, come quella dei moderni, delta tunica, ma a doppia bottoniera, perche meglio garantisce il petto, e le due bottoniere parallele, o un pochino più distanti nella parte superiore, onde facilmente abbottonarsi da chi l'indossa. Il bavero di essa dovrebbe esser fatto in modo da potersi alzare e da covrire il collo del soldato, in caso di pioggia, fin sotto le orecchie. Non già il cravattino, che inceppa i movimenti della lesta, ma un fazzoletto nero dovrebbe garantirne il collo. Pei colori bisogna prescegliere i meno visibili in campagna; quindi è cosa affatto assurda vestire i soldati di rosso. Il miglior colore sarebbe il grigioferro: dovrebbesi almeno usar questo pei calzoni e per adornamento una stretta fascia di colore amaranto; e la giubba turchina essa puro con mostreggiature amaranto, questo colore, oltre l’essere poco visibile, è bello ed ha moltissima durata.

Il capo è la parte più esposta ai colpi di sciabola di un cavaliere, e quindi la copertura di esso deve servire ad un doppio oggetto, difenderlo dai colpi e dalla pioggia; e perciò il casco venne costruito da principio più largo nella parte superiore, che alla testa, ma riusci pesante e facile a squilibrarsi; il soldato era perciò costretto ad irrigidire il collo, sporgere innanzi il mento e prendere un atteggiamento più golfo che militare. I moderni sono caduti nell’eccesso opposto: la forma di tronco conico inclinato ha reso il capo leggiero e di bella apparenza, ma non garantisce né da' colpi, né dalla piova. Il cappello dei bersaglieri piemontesi è ottimo: ma superiore ad esso, e da preferirsi, sarebbe un elmo di cuoio con doppia visiera; il cappello poggia in un solo giro sulla testa, e la larghezza delle falde, nei giorni ventosi e quando bisogna aprirsi il passo fra cespugli, lo rendono incomodo; mentre il peso dell’elmo viene egualmente distribuito su tutto il cranio, né offre appicco al vento, né dà impaccio, qualunque sia la natura del sito a traversare; ed il soldato, covrendosene il capo, assume un aspetto elegante insieme e marziale.

Finalmente, fa d’uopo ridurre il carico del milite al minor peso possibile senza omettere nulla del necessario; anzi è indispensabile che ogni compagnia, pei lavori che possono occorrere in campagna, sia fornita di dieci pale, dieci zappe, d’una certa quantità di cordino e d’jun certo numero di piuoli pei tracciamenti. Cotesti arnesi dovrebbero essere a vicenda portali dai militi della compagnia.

Le spalline, distintivo del grado, difendono eziandio dai colpi le spalle dell'uffiziale, che non porta zaino; ma esse sono incomode nelle righe, ed un uffiziale superiore, o un cavaliere che porta sproni non ha per dormire altro modo di coricarsi che il distendersi boccone. Inoltre la spallina è un distintivo del quale l’ufficiale facilmente si sbarazza, e per questo soggetta a disperdersi, inconveniente gravissimo. Le trine sul braccio, di diversa materia e variamente disposte, sono il mezzo più comodo per distinguere i gradi, e le spalle dell’ufficiale potrebbero difendersi dai fendenti con alcune catenelle di ottone. .

XII. — Col precedente ragionamento abbiamo stabilito le armi e le vestimenta de' fanti; ora ci faremo a determinare gli ordini che a quelle armi meglio convengono, e però rammenteremo alcuni esperimenti praticati alla scuola di Vincennes. — Un battaglione schierato in due righe, che spara contro una colonna d'unegualnumero di soldatesca, se avrà la sola avvertenza di mirare più Lasso secondo che il nemico avanza, in ogni scarica, mentre gli assalitori percorrono lo spazio di 150 metri, di 100 colpi 67 daranno al bersaglio; e ponendo il caso che l’attaccato come l’attaccante contino trecento file, quello in un minuto scaricando due volte le proprie armi scaglierà 1200 proietti, di cui 804 daranno giusto; e però l’avversario, movendo al passo ginnastico, ai due terzi del cammino saràquasi distrutto; ed il risultamento saràlo stesso se l’assalto è mosso in battaglia. Tarda efficacia della difesa è rarissima, ma non già impossibile. Alla battaglia di Lowicz, scrive lo stesso Federico I, un reggimento di austriaci brandì le sciabole e secondo il loro costume assalirono; i Prussiani li attesero impavidi, giunto il nemico a breve distanza, fecero fuoco al comando con la precisione medesima con cui l’eseguivano sul campo d'esercitazioni, ed il reggimento austriaco rimase quasi per intero distrutto.

Contro i cavalli, che presentano più ampio bersaglio, l’efficacia del fuoco cresce; per ogni scarica colpiranno 80 proietti, dei cento; e quantunque la cavalleria, nel tempo che impiega a percorrere 150 metri non subirà che una sola scarica, pure essa sarà colpita da 480 palle delle 600 che ne scaglia un battaglione, il che basta per distruggere, due squadroni di 80 file ciascuno.

E. se i fatti in guerra non corrispondono alte esperienze della pace, non di meno è innegabile, che sia impresa ardua ed avventata, tanto pei cavalli come pei fanti, di assalire di lancio le fanterie nemiche che stanno apparecchiate a ricevere l’assalto; un attacco violento, eccetto casi rarissimi, dovrà esser sempre preceduto e secondato da un fuoco efficace, che spiana la via e scrolla le ordinanze nemiche; quindi tanto nell’attacco cerne nella difesa essendo riposta nel fuoco la potenza dei fanti, gli ordini debbono esser volti a renderlo il più efficace che sia possibile.

La lunghezza del fucile impedisce alla terza riga di sparare, senza nuocere agli uomini di prima riga, e quindi l’ordine naturale dei primi dovrà essere su due righe. Per rendere possibile alla terza riga di far fuoco, si fanno inginocchiare, nei soli fuochi al comando, gli uomini della prima; ma se questo movimento si richiede all’istante «di ricevere il nemico, sarà cosa impossibile costringere gli uomini di prima riga a piegare il ginocchio; se praticasi da lungi, a tale esempio, non solo la prima ma s’inginocchieranno la seconda e la terza, e credendosi in tal positura sicuri dai colpi nemici riuscirà impossibile di avanzare, e non si rizzeranno che per fuggire. Si è ricorso ad altro ripiego, incaricando la terza riga solo di caricare le armi, ed accrescere così l’efficacia delfuoco delle due prime, ma in guerra, non è praticabile; dopo i primi colpi cessano di tramutarsi le armi, e gli uomini di terza riga fanno fuoco da sé; con fastidio grandissimo degli uomini di prima; poi pian piano s’incastrano nelle oltre due, e dopo poche ore di fuoco, la fan ter trovasi schierata su due righe, tanto cotest’ordine gli è naturale.

Perché dunque si è conservata la terza riga durante la guerra della rivoluzione francese, e conservasi ancora, forse per accrescere l’efficacia dell’attacco alla bajonetta, o meglio resistere all'impeto dei cavalli faremo studio su di ciò.

Applicando le leggi meccaniche all’urlo di due schiere, la più profonda in pari velocità avrebbe la vittoria. Ma, le varie Volontà dei militi che compongono una colonna, o una linea di fanti, sono forze repellenti, che rendono impossibile un moto così uniforme da urtare come un corpo solido, o come un sistema di forma invariabile. Inoltre, «una linea di fanteria, scrive il maresciallo Ney, non può senza pericolo muovere all’attacco con le bajonette dei tre ranghi abbassate. Il terreno ineguale e le oscillazioni sono ostacoli pericolosi all’insieme di un tale attacco; le bajonette della terza riga possono facilmente ferire gli uomini della prima, e perché esse non giungono che all’altezza della spalla di questi, e perché gli uomini della terza non possono discernere, come quelli di prima e di seconda, il terreno a percorrere. Per evitare ipericoli che ci presenta un tal modo di attacco, non si faranno caricare con la bajonetta abbassata che la prima e seconda riga, seguendo la terza colle armi al braccio.»Dunque nei fuochi, come nell’attacco alla baionetta, la terza riga è inutile, ed in quest’ultimo caso essa non darà che il vantaggio di rimpiazzare i feriti ed i morti delle due righe che la precedono.

Ma il muovere, schierati a battaglia, all’attacco di baionetta, è un caso assai raro sonovi potenti ragioni per governarsi altrimenti: la natura del terreno a percorrersi e gli ostacoli che l’intercedono rompono l'insieme della linea, e producono dei moli, se la fronte è soverchiamente estesa, di cui il nemico può giovarsi, per assalire a sua volta. Per muovere speditamente ed uniti, l’estensione della fronte non deve oltrepassare cinquanta o sessanta file, ma in tal guisa i fianchi rimarrebbero esposti, del pari che quelli delle varie porzioni di un’estesa linea dal marciare sconnessi, ed inoltre, ducento combattenti, che, eziandio in tre righe, potrebbero raccogliersi in sì ristretta fronte, sarebbe un numero troppo scarso per affrontare e forzare il nemico: di qui la necessità di adoperare le colonne in massa o a mezza distanza. Un tale ordine, raccoglie su picciola fronte molta soldatesca, rincalza, fa fianco e spalla a quelli che precedono, accresce la fiducia, unifica le volontà, e nella fischia presta un efficacissimo soccorso materiale, non simultaneo ma successivo, e questi vantaggi si ottengono tanto ordinando le milizie su due righe, come su tre, anzi nel primo caso la colonna riesce più spedita. Dunque, nel combattimento di fanti contro fanti, la terza riga è sempre inutile; essa giova solo per rimpiazzare iferiti, nel caso rarissimo di un assalto alla bajonetta, in battaglia.

All'urto meccanico diun cavallo che investe correndo, non è possibile che resista una fanteria, ordinata Su tre, su quattro ed anche su sei righe; la prima riga sarebbe schiacciala, i militi delle altre, feriti ed uccisi dai cavalieri, massimamente se armati di lancia, contro di cui la baionetta è inefficace in linea. La Greca falange, gli Svizzeri, i Lanzi resistevano per la lunghezza delle picche e per le armi difensive di cui si covrivano; ma tale fanteria, tali ordini pei moderni sarebbero dannosi più che utili; l’artiglieria, i bersaglieri distruggerebbero in breve queste masse inerti, e la cavalleria contro di esse non adopererebbe l’arma bianca, ma il fuoco, che sarebbe questo un caso di valersene; la cavalleria moderna li vincerebbe con maggior facilità che i Parti non vinsero i Romani, perché con armida getto più perfette delle loro; e questi pesanti battaglioni non riuscirebbero di vantaggio veruno. Da ciò conchiudiamo, che la fanteria, eziandio contro i cavalli, deve riporre tutta la sua fiducia nel fuoco, e non già nella resistenza della sua massa, e la terza riga riesce per ciò egualmente inutile; i quadrati Inglesi a Waterloo, disposti su due righe, respinsero gli assalti della formidabile cavalleria imperiale.

Ma se per poco, guidati dal buonsenso, dalla teorica, dalle esperienze fatte durante la pace, ci eleveremo alla pratica della guerra, scorgeremo sempre più chiaramente l’inutilità della terza riga.

Immaginiamo una linea schierata in battaglia, assalita da un’altra di eguale forza, piegata in colonna. I bersaglieri. della prima che scaramucciano innanzi la fronte, all’avanzarsi del nemico, sgombrano onde lasciare libero il campo alle difese della linea e cercare nel tempo stesso di offendere di fianco la colonna assalitrice. La linea assalita eseguisce le sue scariche al comando, ma l’efficacia del suo fuoco è beh diversa da quella che risulta dalle esperienze falle in pace; in guerra, dei tre mila colpi tre soli danno giusto. Gli assalitori pel poco danno ricevuto imbaldanziscono, si serrano, procedono; la feritaè scossa da' lororapidi e misurati passi, giungono a 50 metri dal nemico. Questi già comincia a sbigottirsi, vacillano le braccia, s’intorbidano le menti, l’efficacia del suo fuoco scema, la linea ondeggia e mormora sordamente. L’altro procede ardito, è vicinissimo, minaccia col grido, già è pronto ad arrestare la baionetta a lanciarsi alla corsa, ma la linea nemica scompare, gli ordini si confondono, ogni uno scaricando alla ventura il facile fugge. A che serve, dunque, là terza riga? Poniamo il caso, che gli attaccati siano la più solida soldatesca, che impavidi attendono il nemico; a 150 metri una ben diretta scarica ne dirada le file, certamente non colpiranno 47 palle per ogni cento, ma più di una ogni mille. L’assalitore tentenna, nondimeno animato dalla voce dei capi ricompone gli ordini ed avanza, ma gli ostacoli che s'incontrano nel terreno, i bersaglieri nemici che lo molestano ai fianchi ritardano la sua marcia; sono a 70 metri, i soldati incerti si urtano, si confondono, è il momento decisivo, ciascuno non sa se debba fuggire o procedere, quando, la voce dei capi del nemico che comandano il fuoco, il bagliore deiformi che si apparecchiano, decide la loro fuga, la colonna si trasforma in una moltitudine di fuggenti. A che serve, dunque, la terza riga?

Nè diversamente accade nei combattimenti de' cavalli contro fanti. La cavalleria superba e maestosa avanza all’attacco, prima di passo, poi di trotto, quindi di galoppo. Una scarica della fanteria, già commossa al suo aspetto, produce pochi danni. La tromba suona la carica, i cavalli vengono spinti di carriera, si brandiscono le sciabole, ed il fragore, il grido, il luccicar delle armi, atterrisce i fanti, che senza attendere ìo scontro fuggono; i quadrali spariscono e così sbaragliali, vengono dai cavalli raggiunti, e manomessi.

Se, per contro, trovasi al cimento una valorosa fanteria, essa con calma e precisione esegue le prime scariche, il cui effetto comincia ad ammorzare l’impeto dell'assalitore, quindi ricarica le armi e le apparecchia pel nuovo fuoco; il suo atteggiamento, l’immobilità turbano il nemico, e comincia la sua esitazione. La trombetta in questo mentre suona la carica, ma l’esitazione degli uomini si comunica ai cavalli; in luogo di dar di sprone e stringersi in sella, involontariamente gettansi il corpo indietro, i cavalli rallentano la corsa, si fermano, gli ordini cominciano a confondersi, nel tempo stesso i fucili dei fanti si abbassano, la linea lampeggia; allo scoppio, i cavalieri son già volli a fuga.

Conchiudiamo: la bajonetta è utilissima per inspirare al soldato confidenza nelle proprie forze ed accrescerne il coraggio; la bajonetta è utilissima, anzi decisiva negli attacchi e nella difesa dei trinceramenti o dei luoghi chiusi; è utilissima ad un fante isolato assalito da un cavaliere: il poco bersaglio che offre il pedone, il suo facile girare infoi no al proprio asse lo vantaggia, e se adoperasi bene con lo schermire, ne riporla facile vittoria. Ma le mischie alla bajonetta, di colonne, assai raramente succedono, ed ancora più raramente la mischia fra due linee schierale in battaglia, unico e solo caso in cui, come abbiamo dimostrato, sarebbe utile la terza riga: quindi essa si conserva ancora per un pregiudizio militare, perché siamo sempre riluttanti a smettere gli usi antichi; e quantunque, in. perle, si riconoscessero le verità da noi esposte, nondimeno si cercano, e si adducono altre ragioni, che ora verremo esaminando.

Il Maresciallo Neyvorrebbe conservare la torta riga, e destinar come esploratori durante la marcia, come bersaglieri in battaglia; ma crediamo assai miglior consiglio destinare a tali ufficii delle intere compagnie, che si succederanno con perenne vicenda; e così rispetterebbesi un principio che tutti gli uomini delibarle si accordano nel riconoscere, cioè: gli uomini i quali debbono spiccarsi per qualunque servizio, prenderli per file e non mai per righe, onde lasciare che i militi siano sempre sotto il comanda del medesimo capo. La terza riga di ogni compagnia, scrive Ney, avrà con sé un luogotenente, — ma chi comanderà le terze righe riunite? — un Capitano; quindi una compagnia ne rimarrà priva. Sono questi inconvenienti di poco rilievo, ma è cosa inutile subir]i, per ostinarsi a conservare la terza riga riconosciuta inutilissima? —

«Se qualche cavaliere, continua il Maresciallo, mostrasi alle spalle di un battaglione, in tal caso la linea si ferma, la terza riga con un mezzo giro a destra farebbe delle spalle fronte, e fatto fuoco, ricaricate le armi, abbasserebbe la bajonetta; le due prime righe dopo aver fatto frodo e ricaricate le armi arresterebbero pure la bajonetta. Se ad onta, di questi fuochi continuano gli attacchi, il colonnello farà imbracciare le armi alla seconda riga, onde far fuoco a volontà nella fronte o dietro; o pure gli uomini pari sulla fronte, gli impari dietro. La prima e la terza riga rimarranno cotta bajonette impugnata finché il pericolo sia svanito».

Ma quantunque debba aversi in grandissimo conto l'opinione d'un guerreggiatore come Nev, pure portiamo opinione, che sia in guerra più praticabile e miglior consiglio, nel caso che un corpo venga molestato alle spalle da qualche cavalleggiero, di spiccare contro questo una mano di bersaglieri dispersi o in quadrato se mai l’attacco è significante.

Dopo l’esposto ragionamento possiamo compendiare i vantaggi che si ottengono dalla terza riga, i quali si riducono: ad inspirare al soldato confidenza maggiore; rimpiazzare i morti ed i feriti dette due prime righe; infine minorare il numero dei graduati e scemare la spesa necessaria almantenimento di un esercita Per 90 mila uomini ordinati su tre righe, spendasi, scrive Dufour, quanto per 90 mila ordinati su due. L’aldino vantaggio economico e non militare noi non dobbiamo averlo in conto veruno, e perché nell’ordinamento delle milizie bisogna che la ragion di guerra prevalga a qualunque altra, e perché le istituzioni che proponiamo ci dispensano da tali considerazioni; il primo dipende dal costume di vedersi ordinali su tre righe, da un pregiudizio, quindi un uso contrario, il convincimento, il fatto lo distruggeranno; non resta, come vantaggio reale, se non quello di rimpiazzare i feriti, vantaggio che viene superato le mille volte da quelli che si ottengono adottando l'ordinamento su due: ilfuoco si esegue su due righe con maggiore ordine e facilità; i movimenti di una linea sono più spediti; minori i danni cagionati dalle nemiche artiglierie; finalmente, fra due eserciti di eguali forze, schierali l’uno incontro dell'altro, in un campo la cui estensione è limitata da ostacoli naturali, quello ordinato su due righe potrà riserbare alla riscossa un nerbo maggiore di soldatesche; ed in un campo illimitato più facilmente protendere le proprie ali per garantirsi con degli ostacoli naturali, e spuntare le ali nemiche. Questi ultimi vantaggi sono cosi decisivi, che non lasciano luogo più al dubbio, e possiamo affermare che l'ordinamento dei fanti debba essere su due righe.

Il generale Dufour propone un ripiego per adoprare l’ordinamento su due righe; compone il suo battaglione di sei compagnie, destinando le due delle ali a combattere da bersaglieri. «Tutte le volte, dice l’autore, che queste compagnie non sono in azione, si tengono dietro le ali del battaglione, per appoggiarlo in una marcia in linea, garantirlo da un attacco alle spalle, formarsi a martello… secondo le circostanze. Se il battaglione deve sostenere un assalto violento ed improvviso, le due compagnie si spiegheranno in una sola riga, per formare la terza su tutta la fronte di battaglia; la loro forza è precisamente l'occorrente a tale scopo. Nel quadrato semplice esse formeranno la terza riga delle quattro divisioni che formano i quattro lati, ed in ultimo, si avrà facoltà, nella marcia in colonna, di formare due altre piccole colonne per sezioni o per pelotoni ai fianchi della colonna principale, le quali tenendosi all'altezza dell’ultima divisione o anche un poco indietro, saranno al caso di operare per dilatare la breccia fatta dalla colonna principale.»

In questo ordinamento noi scorgiamo un inconveniente, senza vedere la necessità di subirlo. Le duecompagnie estreme, destinate per istituzione, in tutti i casi che si presentano in guerra, ad un servizio speciale, saranno considerate e si considereranno esse medesime come scelta soldatesca, quindi le rivalità, la riluttanza di sottoporsi al comando degli ufficiali delle altre compagnie allorché formeranno la terza riga. Questo ripiego non è conforme ad un principio, che nella moderna democrazia deve considerarsi come base dell’organamento d on esercito: non ammettere fra le soldatesche altra distinzione, eccetto quelle che risultano dalla diversità delle armi, né mai destinare alcuni uomini specialmente al servizio che possono tutti egualmente soddisfare; con questo principio si ottiene. nell’amministrazione, nella disciplina, nei movimenti la massima semplicità e speditezza.

Conchiudiamo, per la fanteria Italiana sarà adottato l'ordinamento in due righe; il battaglione verrà compostola sei compagnie, ma senza che nessuna di esse abbia una speciale incombenza. Le compagnie estreme, se il bisogno lo richiede, si piegheranno in colonna dietro, le ali, ma in caso contrario saranno con le altre in battaglia; esplorare, fiancheggiare, combattere da bersaglieri sono servizi! che si renderanno, in continua vicenda, tutte le compagnie. Se nell’assalto in colonna si crederà utile di avere una o due piccole colonne laterali, si destineranno a quest’ufficio una o due compagnie, qualunque esse siano, del battaglione; dovendo sostenere un assalto schiera fi in battaglia, «credendosi necessario d’inspirare ai soldati maggior confidenza, le due compagnie delle ali collocheranno dietro il centro di ognuna delle altre un loro pelotone, rinfianco più efficace della terza riga; se jl battaglione è in colonna e vogliasi formare il quadrato, le compagnie pari, se credesi necessario, serrando sulle impari, presenteranno quattro righe al nemico, e supponendo il battaglione di trecento file si avrà un vuoto di venti metri,per otto metri, spazio sufficiente a contenere il suono, i guastatori ed il comandante.

XIII. Il battaglione è l’unità di combattimento della fanteria,ed il numero figlia soldatesca che deve comporlo rimane dolermi nato dallo sforzo che per esso richiedesi. Appo i moderni, l’esigenze della guerra fanno variare la forza del battaglione fra 400 ed 800 uomini; ameno di 400 non potrebbesi eseguire con esso alcune evoluzioni importantissime, come p. es. disporsi in quadrato, né spiccarsi per alcune incombenze le quali richiedono una forte mano di soldatesche; ed inoltre sminuzzerebbesi in parti troppo picciole una linea di battaglia; più di 800 formerebbe una massa troppo tarda nel muovere, né un sol capo potrebbe immediatamente sorvegliarlo collo sguardo, e comandarlo con la voce. .

Supponiamo due battaglioni, ogni uno di 400 uomini, avvero 200 file schierate contro un battaglione di 800 uomini, ovvero 400 file. Questo formerà una linea' continua, quelli avranno nel mezzo un intervallo di dieci o quindici passi; un tale intervallo mentre non iscema la efficacia del fuoco, né offre al nemico appicco veruno all’offesa, agevola l’evolvere dei bersaglieri, de' cavalleggieri, offre il passaggio all’artiglieria, che collocandosi innanzi a tale intervallo può battere il centra della linea nemica; ed inoltre l’estensione della fronte dei due battaglioni di 400 uomini ciascuno, è maggiore di quella di un solo di 800 uomini, vantaggi i quali crescono se cresce it numero dei battaglioni schierali. Se poi muovono in battaglia gli uni contro degli altri, i due battaglioni di 400 uomini ogni uno muoveranno più speditamente e conserveranno meglio i loro ordini, del battaglione di 800, alla cui marcia dà forma una sola bandiera collocata nel centro e troppo distante dagli estremi; finalmente se assalgono in colonna, le due colonne dei due piccoli battaglioni, con somma speditezza potranno assalire l’una di fronte, l’altra di costa la colonna nemica, la quale per rintuzzarne gli attacchi sarà costretta essa pure a dividersi in due colonne e confermare cosi la superiorità della dispositura dell’avversario. Se ci facciamo a considerare le proporzioni di una colonna di 400 uomini, le troveremo soddisfacenti allo scopo a cui è' destinata; essa presenterà una fronte di circa 50 file, bastante a produrre una larga breccia, ed una profondità, di 8 uomini, piùche sufficiente al presente modo di combattere; il manipolo Romano non avea più di dieci nomini di profondità ed in quell’epoca la mischia decideva la vittoria, ed i militi si succedevano nel combattere; un’eccedente profondità, senza vantaggiare la colonna, accresce i danni cagionati dalle nemiche artiglierie. Per ultimo, in alcuni casi in coi debbono formarsi delle profonde colonna di molti battaglioni, quella composta di piccioli battaglioni muoverà sempre più spedita ed ordinata di quella composta da grossi battaglioni.

Ma se i piccioli battaglioni presentano molti vantaggi, nella pratica della guerra non vanno scevri da inconvenienti; i morti, i feriti, gli ammalati, gli uomini che si spiccano per alcuni speciali servizii, quelli che si lanciano a combattere da bersaglieri ridurrebbero il battaglione, se composto di soli 400 uomini a proporzioni troppo esigue; la proporzione fra i vuoti ed i pieni di una fronte di battaglia verrebbe alterata con discapito dell’efficacia del fuoco e della sua solidità; un cosi piccolo battaglione che a pena potrebbe comporsi di quattro compagnie, se volesse, in caso di assalto o dovendo disporsi in quadrato, accrescere la profondità delle sue righe noi potrebbe; se formasse il quadrato raddoppiando le sue file, o disponendosi su tre, spesso non rimarrebbe nel mezzo vuoto sufficiente. Per queste ragioni è necessario di aggiungere ad un tal battaglione due altre compagnie e comporlo di sei; ogni compagnia di cento militi, aggiunti a questi i graduati ed il suono si avrebbero circa 720 uomini per ogni battaglione; e se la fronte ove tutti siano presenti, cosa ben rara, risulta soverchiamente estesa, si potranno piegare in colonna una o due compagnie.

Determinato il numero dei militi che debbono comporre un battaglione, ci faremo a discorrere delle altre suddivisioni in cui devono ripartirsi i fanti di un esercito; ed in questa ricerca non terremo conto che della ragion di guerra, la sola da cui bisogna prender norma per l’organamento della milizia. Il battaglione e le compagnie in cui vien diviso soddisfanno a molti servizii della pio cola guerra: esplorazioni, pattuglie, scorte, posti avanzati; ma per le operazioni della guerra. grossa, bisogna raccogliere sotto il medesimo comando un polso più forte di soldatesca; per indugiare la marcia del nemico, difendere un’ala o il centro di un campo di battaglia, eseguire una diversione, vi bisogna il concorso di tutte le armi, ogni parte dell’esercito così diviso deve bastare a sé medesimo, e fra i moderni prende il nome drCbrvao d'esercito. Ma so no vi eziandio altre fazioni, per cui un' corpo d'esercito è troppo, un battaglione è poco. Una brigata composta di quattro battaglioni, oltreché agevola le evoluzioni di una linea, soddisfa precisamente a queste condizioni, e prestasi aHe varie dispositure che tali fazioni richieggono. Una tale brigata pub formare l’antiguardo d’un corpo d'esercito di 40 a 48 mila uomini; x applicata all'assalto d’una posizione, potrà spandere da bersaglieri uno dei suoi battaglioni, muovere eon due altri in colonna, riserbarsi il quarto alla riscossa; schierata a battaglia, può spiccare tre dei suoi battaglioni in prima fronte ed avrà cosi due ali ed un centro, conservando il quarto come riscossa; quattro battaglioni si prestano benissimo alta dispositura a scacchiera; e finalmente se un'intera linea di battaglia si schiera, avanza, o si ritrae disponendosi a scaglioni, potrà eseguire un takmovimenlo per brigate, ed in tal guisa ogni scaglione si comporrà di un nerbo tale di soldatesca che sia capace alla propria difesa, ed atto alle dispoeiture fiancheggianti nel caso di assalto delta cavalleria.

TCa la brigata ed il cor|x) d’esercito qualunque suddivisione intermedia sarebbe soverchia; se quattro battaglioni, secondati da

qualche pezzo di artiglieria e qualche squadrone di cavalleria non bastano a compiere una data operazione, per questa stessa operazione 40 mila uomini di tutte le armi, in debita proporzione, non saranno troppi: ed in Italia queste forze, come diremo, comporranno il limite minimo della forza d’un corpo d’esercito, essendo 50 mila il limite massimo.

Nondimeno, la forza di un corpo d’esercito, come altrove ragioneremo, composta dai 40 ai 50 mila uomini, comprenderà da otto a trentadue battaglioni, quindi vi sarà il caso in cui la linea sarà troppo estesa per evolvere al comando di un solo capo, che non può propagarsi oltre la fronte di dodici battaglioni; per questa ragione i fanti vanno raccolti in Divisionidi otto a dodici battaglioni ognuna, ma queste Divisioninon saranno, come sono presso i moderni, una mano di soldatesca di tutte le armi che viene assunta ad una speciale incombenza, ma semplice ripartizione dei fanti nei corpi d'esercito onde agevolarne i movimenti.

Riassumendo quanto abbiamo esposto su tale argomento avremo: i fanti saranno riparlili in battaglioni ogni uno di 720 uomini, divisi in sei compagnie, ordinati su due righe; quattro battaglioni comporranno una brigata; un corpo d’esercito, e con voce più italiana una legione comprenderà da due ad otto brigate di fanti, ripartite in divisioni, di due o tre brigate, cioè otto o dodici battaglioni...

— Non vi è dubbio, che i fanti armati, vestiti, ordinati nella guisa che abbiamo esposto basterebbero a loro stessi nelle varie esigenze della guerra. Ma vi sono alcuni servizii, pei quali richiedesi molla velocità, ed un pedone non può dissimpegnarii con buon successo. Se una brigata viene destinata ad una speciale incombenza, sarà per essa utilissimo il conservare, col corpo d’esercito di cui fa parte, rapide e frequenti relazioni; aver lingua sullo stato del nemico; speculare il paese a grandi distanze, senza che gli uomini «ciò destinali corrano rischio di esser presi, se troppo si dilungano; e però sarà meglio, anzi indispensabile che siano destinali i cavalli leggieri a tali incombenze. Or siccome l’importanza e la frequenza di tali servizii crescono al crescere della forza del corpo operante, in un esercito assorbono essi un raggvardevole numero d’uomini, e diradano cosi le file della cavalleria. Ad ovviare tali inconvenienti, e nel tempo stesso trarre utile dai cavalli di piccola statura, propone Napoleone un corpo di esploratori a cavallo, i quali facciano parte della fanteria, e li vuole armati di lancia: mg non crediamo che la lancia sia l’arma che convenga a chi dovrà fare ufficio di corriere, o esplorando traversare cespugli e terreni intricati, né a soldatesca la quale dovrà, dandosi il caso, come fo stesso Napoleone dice, correre rapidamente in un luogo, occuparlo, difenderlo sino all’arrivo dei fanti, Laonde, noi, per ogni brigata di fanti, proponiamo uno squadrone di cento uomini di questi esploratori; essi non saranno che soldati di fanteria forniti di cavallo, quindi lo stesso vestimento, e lo stesso fucile, solo in luogo della daga avranno la sciabola medesima degli {ufficiali dei fanti; essi raramente devono combattere a cavallo con arma bianca, ed è minor male, in caso così raro, trovarsi con un’arma un poco corta, che nel combattere pedestre essere imbarazzati dalla sua soverchia lunghezza; il loro fucile non avrà baionetta, ma essi avranno una pistola nel fondo sinistro, e nel destro porteranno un’accetta. Tolgo dalle memorie di Neyquest’arma, la quale adattandosi all’estremo del fucile lo trasforma in arma astata, quasi in un’alabarda, e di più un tale arnese sarà utilissimo al soldato, pei suoi bisogni, e ne’ lavori ai quali è chiamata la fanteria; e se all’estremo del manico, come scrive Ney, siavi un anello, fissando l’accetta ad un estremo, fanello sarà utile per legarci il cavallo.

Gli ufficiali di questi esploratori faranno il servizio di capitani e subalterni dello stato-maggiore, i quali, come diffusamente diremo in seguito, vanno aboliti.


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CAPITOLO QUARTO

XV. Cavalleria; suoi ordini, e sue specie. — XVI, Armi e divisa di essa — XVII. Forza dello squadrone, della brigata, della divisione.

XV. Ci faremo a ragionare in questo capitolo della cavalleria, col metodo stesso che abbiamo seguito pei fanti, cioè: adatteremo al suo modo di battagliare gli ordini, le diverse specie di essa, le armi, la divisa ed il numero dei cavalieri, che debbono, secondo la ragion di guerra, comporre le parti in cui essa verrà divisa.

La cavalleria non deve né può riporre fiducia alcuna nel fuoco; l’inopportuno muoversi dei cavalli, l’incomoda positura del cavaliere lo rendono raro ed incerto. Una schiera di fanti, collocata incontro ad unaschiera di cavalli, in pari estensione di fronte, conterrà tre cotanti di combattenti, e però avrà eziandio superiorità di numero, oltre la sollecitudine e l’aggiustatezza del fuoco che la vantaggia; quindi la cavalleria, in simile caso, per isfuggire a certa ruina, dovrà precipitarsi sul ne mico ed investirlo: mutano allora le sorti, la forza meccanica di un cavallo alla carriera rovescia ogni ostacolo che per poco vacilli: né ad essa ponno resistere dieci uomini serrati l’uno dietro dell’altro: quindi se la cavalleria urtasse, e irrompesse risolutamente, senza più i fanti sarebbero sfondati: la ragione per cui ciò non ha luogo nella pratica, l’abbiamo esposta nel precedente capitolo.

Se contro i fanti i cavalli si vantaggiano assalendo, avviene lo stesso contro altri cavalli; una schiera di cavalieri che fidando nelle sueincerte e disgregate difese aspettasse immobile il nemico che le corra Addosso, verrebbe fugata dall'aspetto, dal fragore, dal lampo di esso. Si narrano casi in cui una solida e veterana cavalleria, senza muoversi, ed opponendo solo le punte delle spade arrestò un debole nemico, ma queste non Sono che eccezioni. Laonde possiamo conchiudere, come asserisce Jacquinot, che la cavalleria non ha che un solo mezzo di offesa e difesa: lanciarsi sul nemico e prevenirlo sempre nei suoi movimento ostili cioè a dire: tutta la sua forza riscontrasi nella rapidità ed audacia con la quale investe.

Se i fanti, nell’urtare. il nemico, non traggono vantaggio alcuno dalla profondità degli ordini, tanto meno se ne giovano i cavalli, imperciocché se non può considerarsi come un corpo solido una colonna di fanti composta da soli uomini, tanto meno potrà considerarsi tale una colonna composta di uomini e cavalli, la quale inoltre non potrà, senza rallentare la sua velocità, procedere soverchiamente serrata.

Si piegano i fanti incolonna per muovere più agevolmente, per ottenere uno sforzo successivo nel combattere da presso, e più che tutto onde far fianco e spalla all’attacco. La prima di queste ragioni è pei' la. cavalleria di pochissima importanza, perocché essa assalendo, non percorre che spazii brevi e piani; né le altre due sono di maggiore conto che la prima, giacché tanto per operare delle cariche successive sul punto che vuol forzarsi, quanto per far fianco e spalla all’attacco, i cavalli avendo bisogno di spazio al loro corso per acquistare velocità, non possono efficacemente adoperarsi, se serrati in colonna seguano immediatamente la schiera che bisogna rincalzare o difendere; quindi non già in colonna, ma disponendosi in varie linee, i cavalli troveranno il modo più conveniente di combattere.

Nondimeno, bisogna osservare che se nel correre addosso ai fanti, fra l’una e l’altra linea deve esservi una distanza da impedire che la prima volgendosi a foga non disordini la seguente, è eziandio di sommo rilievo il far succedere gli assalti con tanta rapidità e tanto poco intervallo l’uno dall’altro da non concedere ai fanti il tempo di ricomporsi e ricaricare le armi. La colonna per isquadroni a doppia distanza soddisfa a questa condizione; così fanteria e cavalleria, quando l una contro dell’altra combattono, entrambe si dispongono in colonna, ma per la loro diversa natura, per vantaggiarsi, la prima dimezza le distanze, mentre la seconda le raddoppia.

Dalle ragioni sino ad ora esposte risulterebbe che la seconda riga non può nel combattimento succedere efficacemente alla pri’ ma, perché troppo immediatamente la segue, mentre schierando i cavalli su di una sola riga si raddoppierebbe l’estensione della fronte e potoebbesi quasi accerchiare il nemico: così combattevano i cavalieri del medio evo. Ma in quell’epoca, la solidità dell’armatura dei cavalieri, la poca efficacia delle armi da trarre, facevano sì che una linea di cavalli armati rimaneva illesa sino ai momento d’incrociare il ferro, mentre oggi il moschetto ed H cannone menano strage fra essi, e si ridurrebbero a ben pochi gli assalitori se fossero disposti in una sola riga; oltreché, non solo la seconda riga rimpiazza gli uccisi, ma è utile pure onde impedire che la prima rallenti la sua velocità. Stabilito che la cavalleria debba disporsi in due righe, ora passeremo a ragionare delle diverse specie di essa.

Dicemmo che la cavalleria atterrisce i fanti con l’aspetto, li macella sbaragliati e fuggenti, e quasi mai non giunge al punto di snodarli col ferro. Se poi combatte contro i cavalli le cose non procedono molto diversamente.

Il comandante della cavalleria in Un volger d’occhi osserva il campo, e presceglie un luogo d’onde possa, senza rimanere esposto ai tiri del nemico, prontamente irrompere su quel punto ove prevede breccia ai suoi assalti, opportunità del terreno per eseguirli. Egli dispone le sue schiere in colonna per muovere facilmente e nascondere i suoi disegni, quindi, protetto da pochi squadroni, i quali combattendo alla spicciolala molestano il nemico, avvicinasi ad esso per meglio spiarne le mosse ed il contegno, ed a pena scorge ondeggiamenti nei suoi ordini, cagionati da timore o da intempestivi movimenti, senza por tempo in mezzo, schierasi ed assale. Muove spiegata in battaglia la prima fronte, mentre l’artiglieria volante, coi suoi tiri, seconda l’assalto e scrolla le mosse del nemico; una seconda schiera segue la prima, disposta incolonne serrate per squadroni, a distanza di piegamento, onde così dar campo ai fuggenti, se la prima fronte è respinta, di ritirarsi dietro i suoi ordini, ricomporsi e rannodarsi. Intanto il nemico che vede approssimare la tempesta, cerca eziandio indugiare l’assalitore con l’artiglieria, e spiccargli contro le proprie schiere. Giunti i due avversarti a poca distanza suonano la carica, lampeggiano le spade, si tentano i freni, cresce il fragore, ma entrambi mentre spaventano il nemico, atterriti essi. stessi, si arrestano perplessi ed indecisi, l’ardore s’ammorza ed in questo fugacissimo istante la vittoria dipende da un soffio: un valoroso che ferisce, rompe l'incanto, e le due linee non si urtano come comunemente si crede, ma, il dice Jacquinot, s’incastrano, ed incrociano il ferro; ogni cavaliere combatte l’avversario che ha incontro: se in questi momenti decisivi, ad un segnale del più oculato dei due comandanti, alcuni squadroni serbati in colonna dietro le ali, si spiegano e minacciano ai fianchi ed alle spalle il nemico, non sarà compiuto il movimento; che l’avranno volto in fuga. La fuga dell’uno rincora l’altro, che dà di sproni ed insegue, finché non venga respinto dalla seconda schiera del nemico: indi rincalzalo a sua volta dalla sua seconda linea, ed in ultimo le schiere serbate alla riscossa decidono la pugna.

Vincere al mostrarsi, al muovere, fugando il nemico con l'aspetto e con la voce, inseguire e macellare i fuggenti; raramente incrociare il ferro e combattere corpo a corpo, sono le condizioni a cui le armi e la divisa della cavalleria debbono soddisfare. Una sola specie di cavalleria che fosse egualmente utile per queste diverse vicende del combattimento sarebbe cosa quasi impossibile ad ottenersi, imperocché le armi di aspetto terribile non sono le più efficaci,per combattere da vicino, né le più comode per inseguire. Inoltre, sonovi molli servizii in. guerra, pei quali una cavalleria troppo grave non sarebbe adattata, e verrebbe presto logorata dalla fatica; e se a questi servizii non potrebbe impiegarsi la cavalleria grave, i cavalleggieri soli non bastano: essi combattono destreggiando, ma hanno bisogno d'una cavalleria più solida che li protegga, quindi cavallarmati, cavallileggieri, e cavalleria media sono le tre specie che soddisfanno ai bisogni della guerra: ripartizione che trovasi eziandio d’accordo con la statura degli uomini e dei cavalli che ha pur essa tre diverse gradazioni, alta, picciola e media.

XVI. —Ad ogni specie di cavalleria verremo ora adattando e l’armi e la divisa. La sciabola dritta, la sciabola curva e la lancia sono le armi di cui la cavalleria si vale ad offesa.

La lama dritta ferisce di stocco, quindi ha [maggiore effetto e più serrato gioco; il cavaliere può meglio. nell’offendere garantirsi: egli facilmente para mentre vibra dei colpi difficili a pararsi, ma essa ferisce malamente di filo, dovendosi per fare ciò, strisciare sulla ferita, movimento, che, con tale lama, espone soverchiamente il petto.,

La lama curva taglia benissimo, dice Jacquinot, ma èdi minore effetto, le sue ferite sono. quasi sempre superficiali; sovente colpisce di piatto, o perché il soldato stringe soverchiamente il pugno, o per cattiva costruzione dell’arma; il suo gioco è un po' largo, quindi facilmente se ne parano i colpi, e rimanesi esposti a quelli dell'avversario, essa è arma adottatissima a menarla a tondo e moltiplicare i colpi sui fianchi ed innanzi, quindi sembra vantaggiosa per difendersi da due avversarli nel tempo stesso.

Or dunque, dalla natura di queste due armi risulta che, nella carica, sicuri d’incontrare il nemico innanzi a sé, la lama dritta è preferibile, tanto maggiormente che fra gli ordini è più facile giuncar di punta che di taglio. Invece, dice Jacquinot, nei combattimenti corpo a corpo il cavaliere armalo di lama curva, gira intorno, oppone il pugno, si getta di lato, s’inchina sul collo del cavallo; in tal caso con la lama dritta bisogna esser destro, ed aver nerbo nel braccio, altrimenti stoccheggiando, si vacilla e si falla. Per ferire i fanti giù sbaragliati, la lama curva è migliore: curvandosi sul cavallo, spingendolo alla carriera, si feriscono facilmente eziandio coloro, che per schivare i colpi si gettano bocconi. Ma noi osserveremo che, se nel gioco di punta richiedesi destrezza, questa non dovrà esser minore per quello di taglio: il cavaliere armato di lama dritta, se conserverà la sua calma, potrà facilmente parare i colpi e risponderà di stocco; l’altro se non è sommamente destro, e non abbia snodato il pugno, nel rotare la sciabola facilmente espone sé, e corre il rischio di ferire il proprio cavallo; nécrediamo più difficile vibrare sul Iato sinistro un colpo di punta che uno di taglio. Se poi il cavaliere armato di lama dritta ha il busto ed il capo coverto da armi difensive, o solamente il capo, allora il suo vantaggio sarà incontrastabile. — Di più, nell'inseguire i cavalli nemici sbaragliati, è il colpo di punta il più micidiale, il più facile a vibrarsi, il più sicuro di colpire. Or dunque la lama dritta essendo vantaggiosa nel caricare, nell'incrociare il ferro, nell'inseguire i cavalieri, bisogna preferirla alla curva, la quale non ha altro vantaggio su quella, che di ferire i fanti già volli a sbaraglio, e considerando che le armi difensive dei moderni non debbono involvere il cavaliere in una crosta di ferro come quelle del medio evo, e privarlo cosi di una gran parte della sua facoltà di nuocere, ma solamente vantaggiarlo nello schernirsi; quindi a combattere cavalieri così difesi non sono necessarii quelli enormi spadoni che difficilmente possono maneggiarsi; ed inoltre, il colpo di punta, non perdendo la sua efficacia se la sciabola è leggermente incurvata, mentre l’arma acquista la facoltà di ferire anche di taglio, crediamo che una. sciabola solida, di una discreta lunghezza e semidritta, sia la migliore arma per tutte le tre specie di cavalleria.

La lancia, chiamata dal Montecuccoli la regina delle armi, ha i suoi

partigiani ed i suoi avversarli. « Quest’arma spaventevole, dice La RocherAvraon nel suo Trattato delle truppe leggiere, può essere efficacissima se maneggiata da un cavaliere destro, robusto, e montato su di un poderoso cavallo, ma non è che mediocre quando la mancanza delle suddette qualità si manifesti anche per poco nell’uomo e nel cavallo, ed essa allora perde tutti i vantaggi che potrebbe offrire. Se quasi tutti gli uomini, con più o meno esercizio, sono capaci di diventar destri lancieri, tutti i cavalli non sono dotati delle qualità indispensabili a far si che con essi riesca a bene l’uso della lancia.... Le località topografiche e le varietà del clima influiscono beo più sulle qualità dei cavalli che sul morale s degli uomini. Non vi sono che i cavalli polacchi, cosacchi, turchi, arabi e persiani che abbiano quella data forza di garretti, quella vigoria di schiena,e quell’elasticità di muscoli indispensabili al cavallo perché il cavaliere possa girarlo rapidamente in tutti i sensi, sia per parare, aia per colpire di lancia l'avversario. Con ogni altra razza di cavalli la difesa e l’attacco del lanciere non avrà alcun vantaggio, tranne il colpo di punta avanti, che in conflitto di corpo a corpo può essere facilmente parato. D’altronde i cavalli leggieri, che sovente dirigonsi alle ricognizioni, conviene siano muniti d’un’arma chenon li impedisca nell’accesso dei boschi, delle foreste, dei terreni coperti; in una parola nella maggior parte delle località proprie agli agguati...

«Si dirà: in un inseguimento la lancia offre vantaggio… Ma in un inseguimento non può usarsi che il colpo di lancia avanti; or questo colpo, che deve esser dato con attenzione per non uscir di sella, sarà cosi ripetuto ed efficace quanto quello della sciabola del cacciatore o dell’ussaro, che, in una sconfitta del nemico, abbassati sul collo dei loro cavalli, possono menar le mani con ugual facilità e sugli uomini in piedi, e su quelli che trovansi a terra? Le ferite di sciabola hanno più terribile conseguenza chele punture di lancia; dico punture perché la lanciata non può essere spinta. con tutta la forza del braccio, essendo composta«di due tempi, un movimento avanti, l’altro indietro quasi simultaneo affine di non impegnare la lancia di uomini poi bocconi al suole saranno meno in pericolo per l’azione della lancia, che quando dei cacciatori o ussari li colpiranno col taglio delle loro sciabole nel passar che faranno di galoppo accanto ad essi… La lancia non sarà, quindi, veramente dannosa, se non quando i lancieri riuniti in linea. caricheranno a muraglia… La forza de' loro cavalli è l’unica azione alla quale si vedranno ridotti; quella cioè di puntale direttamente avanti……………………………………………………………..…………………………………………………………………………………………………;

il peso delle lancie ordinarie è calcolato in ragione della velocità e moltiplicità dei movimenti offensivi e difensivi che debbono eseguirsi, e la lunghezza è stata raccorciata in veduta delle diverse località, in cui deve stare in azione una truppa di cavalleria leggiera, siffattamente armata».

Questo vantaggio che La Roche-Aymon concede alla lancia nella carica a muraglia, vien anche revocato in dubbio da Jacquinot.

«Ove sia vero come è nostra ferma opinione (egli dice), che non per le punte delle sciabole, ma per l'impulso solo dei suoi cavalli la cavalleria rompe una qualunque linea, a che mai servono le dimensioni delle sue armi offensive? La lancia, già per sestessa imbarazzante a portarsi, stancherà ancora di più il cavaliere; caricato della sua corazza, senza vantaggiarlo notevolmente, ed ove questo sia poco vigilato potrà disfarsene all’evenienza, come fece del moschetto, che aveva ricevuto, nella guerra di Russia».

Ma noi osserveremo che, se non sono le punte delle sciabole che rompono il nemico, neanche all’urto dei cavalli devesi la vittoria, come lo stesso Jacquinot ha asserito in altro luogo, ma è l’aspetto minaccioso e formidabile di chi assale, che fuga l’avversario, e siccome tutti gli ufficiali di lancieri affermano che la lancia spaventa i soldati nemici non che i cavalli che minaccia, possiamo affermare che nelle mani del corazziere è utilissima; e il corazziere già terribile, perché lo si crede invulnerabile, piglierà maggior vantaggio armato di una lunga e solida lancia.

Conchiudiamo: nella carica la lancia è migliore della sciabola; ma nell’incontrarsi le due linee, nell’inseguire, nei combattimenti corpo a corpo, la sciabola piglia il vantaggio: dunque noi armeremo di sciabola semidritta, come dicemmo, tutta la cavalleria, ed aggiungeremo la lancia per la sola cavalleria grave. Questa, terribile e minacciosa assale e fuga il nemico col suo aspetto, o ne squarcia le schiere; segue immediatamente, a rinfrancarla, la cavalleria media, o la leggiera; dilarga la breccia, volge il nemico a sbaraglio, e col rotare della sciabola conferma la vittoria.

Dal modo come combatte la cavalleria ne risulterebbe che le armi da fuoco sono per essa inutili ed imbarazzanti, se si eccettuino i cavalleggieri, i quali. sovente, combattendo alla spicciolata, scorazzando la campagna, o facendo l'uffizio di vedetta, hanno bisogno di un’arma, tanto per' colpire da lontano, come per dare avvisi alle proprie schiere. Nondimeno, a un cavaliere che trovisi insiti angusti, contro un avversario che, prevalendo di destrezza, volteggi intorno ad esso; o che sia assalito da varii. nel tempo medesimo, la pistola potrà essergli utilissima; perciò sarà ottimo consiglio fornire di due pistole la grave e la media cavalleria, ma non accrescere mai troppo le dimensioni di quest’arma per rendere il suo tiro più sicuro: poiché l'effetto suo sarà sempre incertissimo e la miglior condizione è quella che sia maneggevole, ed il solo modo di assicurarne l'effetto è di usarla a bruciapelo. I cavalleggieri, per le ragioni dette di sopra, bisogna armarli di un facile più leggiero di quello dei fanti, quindi basterà ad essi una sola pistola, e potranno cosi portare nel fondo destro un’accetta come quella degli esploratori. Il calibro di queste armi do fuoco dovrà essere il medesimo del fucile dei fanti, per giovarsi delle loro cartucce (minorando la carica con gettare parte della polvere), nel caso venissero a mancare le cartucce adattate alla leggerezza di tali armi.

Fin qui abbiamo discorso delle armi di cui dovrà servirsi la cavalleria ad offesa; ora discorreremo di quelle che servono a difenderla. Quanto esponemmo circa la necessità c. il modo di riparare dai colpi la testa del fante, vale anche qui nei riguardi del cavaliere; quindi esso dovrà portare l’elmo, ed elmo luccicante, perché non deve nascondersi, ma mostrarsi, altero e maestoso; all’elmo bisogna aggiungere cimiero e barbe, quello a pompa, queste a difesa del collo e dei reni. Ma, se l’elmo è indicatissimo per la grave e la media cavalleria, non lo è egualmente per la leggiera, che sovente deve imboscarsi, e deve vedere non vista; a questa per il capo, più che ogni altra covertura si conviene il casco di pelle; a cui gli oltramontani danno il nome di Colbano.

La corazza è utilissima: abbandonata al termine della guerra dei sette anni, fu rimessa in uso, e con molto vantaggio, durante la guerra della rivoluzione. La battaglia d’Eckmoul combattuta nel 1809, dimostrò i vantaggi della corazza dei Francesi, che difende l’intero busto, su quella dei tedeschi ché difende solo il petto; i corazzieri dei due eserciti caricarono gli uni contro degli altri ed incrociarono il ferro: prevalsero i Francesi, ed il suolo,fu coverto dai cadaveri dei corazzieri tedeschi feriti tutti nella schiena. Ma la corazza grava soverchiamente il cavaliere e richiede uomini e cavalli di aita statura, quindi se ne armerà la sola cavalleria grave, la inedia non avrà a difesa che l’elmo, come dicemmo e delle catenelle di ferro per garantire le spalle; I cavalleggieri poi, oltra del Colbano e delle catenelle, avranno la pelliccia, che nei combattimenti singolari garantisce sufficientemente il lato sinistro.

Fin qui delle armi. Ora diremo del vestito. I colori sono di poca importanza per la cavalleria grave e per la media, quindi potrebbero adottarsi nella loro divisa i tre colori italiani; ma io sarei di parere, di vestirli di rosso, come i Romani e gli Spartani; quindi potrebbe adottarsi la giubba rossa con mostreggiature verdi, e per la cavalleria leggiera, che non deve essere appariscente, il turchino, tanto per la giubba come per la pelliccia, con le mostreggiature amaranto come i fanti, il calzone larghissimo, di color grigioferro (sembra il migliore), con fasce rosse, per tutta la cavalleria; e per tutti egualmente la gualdrappa turchina.

La cavalleria grave potrà indicarsi più particolarmente colnome di corazzieri, o pure, come li chiama il Montecuccoli, cavallarmati. Per la leggierail nome di cavalleggieri è adottatissimo, quantunque vestano a modo di ussari; questo nome tartaro non trae la sua origine dal vestito, e perciò sarà meglio adottare U primo. Finalmente, riflettendo che il nome di dragoni, di origine affatto italiana, quantunque fosse dato a degli uomini che combattevano a piedi e. d a cavallo, non esprimeva invero questo doppio ufficio, ma bensì il (errore che inspiravano al nemico, potrà questo nome conservarsi per la cavalleria media. Così le tre specie di cavalleria italiana saranno:

XVII. Abbiamo stabilito il numero delle righe in cui deve ordinarsi la cavalleria, abbiamo ragionalo delle sue armi e della sua divisa, ora stabiliremo la forza di uno squadrone e del modo come ripartirla. Nel caricare, schierati a battaglia, se gli squadroni si collocano l'uno accanto dell’altro, la carica si dice a muraglia e possono disporsi in due maniere, o lasciando fra uno squadrone e l’altro un intervallo di circa dieci metri, o facendo la linea perfettamente continua. Durante le ultime guerre i francesi hanno sempre conservato questi intervalli; i prussiani non mai, gli austriaci vollero attenersi ad una via di mezzo, e lasciarono gli intervalli, ma non già fra gli squadroni, bensì fra le divisioni, ogni una composta di due squadroni.

L'Esperienza ha dimostrato utilissimi questi intervalli, imperocché i cavalli nel caricare, o spaventati dalfuoco nemico, o tormentati dall'esitazione del cavaliero si stringono gli uni addosso gli altri, e, senza gli intervalli, il disordine sarebbe maggiore. Stabilito ciò, le condizioni che determinano la forza dello squadronesono: l'estensione della loro fronte deve essere tale che la battagliaformata con questi intervalli fra gli squadroni, riesca solida e,non siano i vuoti troppo significanti relativamente al primo; poter ripartire lo squadrone in quattro, in sei, in otto pelotoni, e fare in modo che la fronte di un pelotone non superi la larghezza delle comini calpestate (?). Finalmente che lo squadrone sia una mano di soldatesca facilmente maneggevole al comando di un sola. Con queste norme l'esperienzaha dimostrato cheuno squadrone di 80 file, non comprese le cariche, soddisfa alle suddette condizioni; esso può ripartirsi in otto pelotoni ogni uno di dieci file; due pelotoni comporranno una sezione per mezzi squadroni. Per fare che in linea vi siano 80 file, la forza dello squadrone, comprese le cariche e gli uomini smontati, dovrà essere iti 190 cavalli e 230 uomini. Un tal numero df uomini è di cavalli sarebbe sufficiente, eziandio pei cavalleggieri, comeché si soglia ferii più numerosi: ma noi possiamo astenerci dal fare questa differenza, imperocché l’istituzione degli esploratori minora, moltissimo le incombenze dei cavalleggieri.

Pei cavalli, il reggimento non è, come pei fanti, solamente unità amministrativa, ma siccome le colonne di battaglioni vantaggiano pochissimo la mobilità della linea, si usa evolvere in colonne di reggimenti: ora avendo sempre in mira nel nostro ordinamento In massima semplicità, sopprimeremo il reggimento ed il battaglione; 4o squadrone sarà l’unità di combattimento, quattro squadroni comporranno una brigata, e la colonna di sbrigata rimpiazzerà quella di reggimento. Ogni brigata, di Corazzieri odi Dragoni avrà due squadroni di esploratori di 100 cavalli ogni uno.

Nel comporre una divisione di cavalli, bisogna considerarla sotto due diversi aspetti; se essa dee far parte di un corpo d’esercito è d’uopo che. la sua forza sia proporzionata al numero dei fanti ed allo scopo che si propone un tal corpo, e peri una divisione di cavalleria sarà di due o quattro brigate. Se poi la divisione ò una. delle ripartizioni di un corpo di cavalli destinati alla riscossa, allora essa deve comporre una colonna d’evoluzione, quattro o cinque brigate, sedici o venti squadroni Una divisione così composta può presentare a battaglia una prima fronte di otto squadroni di Corazzieri, seguiti e sostenuti da una. seconda fronte di Dragoni, mentre i cavalleggieri e gli esploratori squadronerebbero sulle ali, per minacciare a' fianchi ed afte spalle il nemico.


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CAPITOLO QUINTO

XVIII. — Dell’artiglieria, e dei calibri che bisogna adottare. — XIX. Come comporre la batteria, la brigata, la divisione. — XX Poca utilità dell'artiglieria di montagna.

XVIII. Seguiremo in questo capitolo Io stesso metodo che abbiamo sino ad ora tenuto, cioè, dal modo di combattere dell'artiglieria determineremo i suoi calibri, il suo ordinamento.

L’artiglieria, sola, non può assalire il nemico che siasi con vantaggio collocato in una posizione, né può difendere sé stessa dall’attacco delle varie armi, riunite; il suo ufficio è quello di secondare, di protèggere le evoluzioni e gli assalti dei cavalli, e dei fanti; laonde i suoi effetti non debbono limitarsi ad uccidere qualche uomo, essa deve scrollare intere linee di battaglia, scomporre le profonde colonne.

Le esperienze registrate dal Grewentr dimostrano che una batteria di sei cannoni, collocala a mille metri da una colonna di fanti e di cavalli, col fuoco di un quarto d'ora, non ucciderà che soli trentotto uomini; diciotto cannoni ne ucciderebbero non più di 115, dunque fin qui non abbiamo che effetti di. pochissima importanza, e non già tali da scacciare il nemico da un luogo, o da impedire la sua marcia. Ma se il numero dei pezzi d’artiglieria si accresce sino a trentasei, allora avremo 535 uomini fuori di combattimento, quindi l’effetto ha una certa importanza. Da queste esperienze possiamo conchiudere: 1.° che l’artiglieria, per essere utile, va adoperata in grandi masse, bisogna riunire molli cannoni in una sola batteria; 2.°che i pezzi reggimentali, aboliti, erano una viziosa istituzione; 3.° che i militari dalle evoluzioniche si eseguiscono in tempo di pace, ad esercizio, concepiscono un’idea falsissima del modo onde bisogna adoperare l’artiglieria inguerra.

Gustavo Adolfo e Wallenstein furono i primi a giovarsi, con buon criterio, dell’artiglieria. Alla battaglia di Lutzen il primo avevo collocato ad ognuna delle sue ali una batteria di venti. cannoni, ed il secondo ne avea raccolti quattordici alla sua dritta. Al principio del 16 secolo si va molto più innanzi: alla battaglia di Malplaquet ì collegati avevano una batteria di 26 cannoni alla loro sinistra, ed una di 40 al centro, mentre i Francesi, dalla loro destra li fulminavano con 50 pezzi d'artiglieria, riuniti in una sola batteria. A Friedland Napoleone portò a quattrocento passi innanzi al centro trenta cannoni, che incrociavano i loro tiri con una batteria di altri 40 collocati alla sua dritta. A Wagram, una batteria di 100 cannoni agevolò e protesse la formazione e le mosse della formidabile colonna comandata da Macdonald, che decise la giornata. Finalmente alla battaglia di Lùtzen Napoleone riunì in una sola batteria 64 pezzi d’artiglieria della guardia, che incrociavano le loro offese con una batteria di 38 cannoni, che il terzo corpo d’esercito disponeva contro il nemico.

Stabilito, come principio del nostro ragionamento, che l’artiglieria bisogna adoperarla in grandi masse, passeremo a discorrere dei calibri. Un generale che abbia schierato il suo esercito a battaglia ed attenda il nemico, comincierà a scorgerne, a circa due mila metri, il luccicar delle armi, le colonne, le linee; allora senza por tempo in mezzo, collocherà, se non' l’ha già fatto, nei sili i più opportuni la sua artiglieria, cercherà che essa signoreggi la campagna, é miri di fronte la linea su cui Foste nemica accenna dr schierarsi, lanciando nel piano verticale di essa il maggior numero possibile di proiettili. Intanto l’artiglieria del nemico non rimarrà inoperosa: essa cercherà di rintuzzare l’altra, proteggerà la marciale lo spiegamento delle schiere, celerà al nemico le loro mosse. —Questo è il primo periodo di una battaglia, e siccome comincia il trarre di cannone a grandissima distanza, da 1600 a 1000 metri, per ottenere qualche effetto, è necessario adoperare le artiglierie di maggior calibro, ovvero i cannoni da 12.

Effettuato Io spiegamento, l’assalitore muove, le distanze si accorciano, i capi hanno già riconosciuta la chiave delle nemiche difese, ed i loro disegni cominciano h colorirsi, cominciano a trasparire dalle loro evoluzioni. In questi momenti quasi tutta l’artiglieria entra in azione: formidabili batterie incrociano i loro tiri su quei punti che si vogliono assalire; altre fiancheggiano quelli che si Vogliono difendere ed imboccano le venute del campo, e le une e le altre si tengono apparecchiate a muovere con somma celerità onde avanzare» retrocedere trasportarsi da un punto all’altro per secondare gli assalti o respingere quelli del nemico. In questo periodo i due eserciti sono ad una distanza di cinque a sei cento metri, e per tal ragione la leggerezza ed il numero dei pezzi d'artiglieria avranno vantaggio sul calibro; e però gli artiglieri si accordano nel dichiarare troppo gravi per untal servizio i cannoni da 12, e le loro opinioni si dividono fra quelli da 8 e quelli da 6.

Questi due calibri, traendo a grandi distanze o contro dei trinceramenti, sono entrambi inefficaci. Il vantaggio è a quello da 8, se tirasi a scaglia contro un avversario che avanza, o a palla contro l’artiglieria nemica, ma questi sono casi particolari nei quali il calibro da 6 può supplire riunendo insieme pu più gran numero di cannoni. Ma se prendiamo a considerare il caso più ordinario e decisivo di uno battaglia, quello cioè in cui si debbono scagliare il maggior numero possibile di proiettili contro le linee e le colonne nemiche, e muovere celeremente in ogni senso, il calibro da 6 è senza alcun dubbio migliore, e perché più leggiero e perché fornito di un numero maggiore di spari; quindi possiamo stabilire che l’artiglieria da campo dell’esercito italiano si comporrà di 'cannoni da 12 e da 6, nella proporzione di 4:5, come l’esperienza ha stabilito.

Inoltre, vi sono alcuni casi, come quello d’incendiare un villaggio, offendere il nemico nascosto dietro qualche arginatura o movimento del terreno, indugiarlo se insegue traversando un terreno ineguale in cui il cannone riesca insufficiente: in tali casi si supplisce ai suoi difetti con l’obice, pezzo d’artiglieria indicato in simili occorrenze. Federico II fu il primo ad usarne; tutti dopo di lui seguirono un tale esempio. Si suole in pratica unirli coi cannoni in una medesima batteria; ma se riflettiamo che esso dovrà adoperarsi quando il cannone rieste difettivo, e che bisogna riunirne un gran numero per ottenere un significante risultato, crediamo che sarà miglior consiglio comporne delle batterie separate.

I due calibri più comuni degli obici sono quello da 46 centimetri e quello da 45 centimetri: si unisce il primo coi cannoni da 12, l’altro con quelli da 6. Ma formando delle batterie di soli obizzi, ed i due calibri quasi pareggiandosi nell’effetto, sarà meglio adottare il maggiorò, è perché più efficace a grandi distanze, e perché è tale da sfondare le multo di un fabbricalo, cacciarvi dentro, la granala e disloggiare il nemico: quindi oltre i cannoni da 12 e da 6, l’artiglieria italiana avrà gli obizzi di 46 centimetri nella proporzione coi cannoni di 1:4, come generalmente suolai adoperare dai moderni.

Dall’esposto può desumersi come sarebbe pessimo consiglio il sostituire a questi varii calibri, dei quali ogni uno ha uno scopo particolare, l'obice cannone da 12 proposto da Luigi Napoleone.

Il pezzo d’artiglieria più utile, nei momento che ferve più accanita la battaglia, è quello da 6, attesa la sua mobilità, e quindi sarebbe svantaggioso supplirvi con l’obice-cannone da 12 il quale pesa 95 kil. più che quello da 8.

A grandi distanze una batteria di questi cannoni, tirando a granata non avrà mai l’efficacia di una batteria di obici di 16 centimetri; in tale caso avrebbe un vantaggio sul cannone da 12 perché più leggiero: vantaggio che non contrappesa la sua minore efficacia tirando contro muri, o centra trinceramenti.

XIX. L’unità tattica dell'artiglieria è la batteria; in essa vanno considerati tre elementi, il materiale, gli uomini, i cavalli; i due ultimi debbono adattarsi al primo. Le opinioni degli artiglieri non sono concordi nel determinare il numero dei cannoni che debbano comporre una batteria: alcuni, vorrebbero che fossero sei, altri otto. Una fronte soverchiamente estesa, una colonna troppo profonda se muovesi per sezioni; sovente la. necessità di suddividere la batteria per l’angustia degli alloggiamenti, sono i soli inconvenienti che si riscontrano nella batteria di otto pezzi; ma queste inconvenienze non sono reali; ad esse danno corpo le assurde evoluzioni che si eseguono in pace, e la falsa idea concetta del modo come usare l'artiglieria in campagna; mentre attenendosi ai giusti principii della guerra grossa, i quali c’insegnano che l’artiglieria bisogna sempre adoperarla in grandi masse, e, quindi dovendo unire molte batterie insieme, avremo sempre estesissime fronti, e profonde colonne,sia di sei o di otto cannoni la batteria. Per contro, le ragioni addotte da Napoleone dimostrano chiaramente i vantaggi che si hanno componendo la batteria di otto cannoni: essa può ripartirsi in due mezze batterie di un numero pari di cannoni, ed in quattro sezioni; per essa sono sufficienti 2 casse (affusti) di rispetto; fornisce un lavoro al quale bastano due fucine; né la sua fronte è tanto estesa da sfuggire alla sorveglianza di chi la comanda.

Stabilito il numero di cannoni che debbono comporre uno batteria, ora ci faremo a determinare le altre macchine o carri che debbono far parte di essa. L’artiglieria non solo deve esser fornita delle munizioni da guerra che ad. essa bisognano, ma deve apparecchiare e trasportare quelle di tutto l'esercito; e quantunque vi fosse un carriaggio specialmente destinata alla condotta delle munizioni e l’esercito col nome di Parco generale, ed oltre a questo, ogni capo d'esercito ne avesse uno particolarmente per le proprie munizioni che chiamasi volgarmente parco del corpo d’esercito, pure le batterie debbono esser fornite di tanti spari da supplire al consumo di due grandi giornate, ovvero 300 spari per ogni cannone; 100 cartucce per ogni fante, di cui 60 le porta egli medesimo; e 30 per ogni cavaliero di cui 20 nei cassoni e 10 sono portate dal cavaliere stesso. Nondimeno, potremo diminuire un poco il numero delle macchine componenti la batteria, adottando carretto e cassoni a due ruote per la condotta dei cartocci dei fanti: e questi traini, nell’entrare in campo, verrebbero consegnati alla custodia dei fanti medesimi, e cosi essi. sarebbero più prontamente provvisti, e la batteria diverrebbe più spedita. In tal guisa, calcolando per ogni batteria, due casse di rispetto, due fucine, due carri di batteria, determinasi, come segue, il numero delle macchine che debbono comporla. Una batteria di cannoni da 12 sarà composta da 38 macchine; una di cannoni da 6 avrà 26 macchine; e 30 macchine comporranno la batteria di obici.

Stabilito il numero dei cannoni e delle macchine che debbono comporre la batteria, sarà cosa facile determinare il numero dei cavalli e degli uomini che ad essa bisognino. Il tiro per ciascuna macchina è a sei, per gli affusti di rispetto è a quattro; gli ufficiali, il capo-pezzo, il capo-cassone debbono esser forniti di cavalli, ed a questi bisogna. aggiungercene di rispetto 16 del totale, e cosi rimpiazzare le perdite che si soffrono in campagna; e quindi avremo per la batteria di cannoni da 12 n.° 268 cavalli, 184 per quelli da 6; e 212 per quella d’obici.

Ordinariamente ogni pezzo 4 servito da otto artiglieri, un capo-pezzo ed un capo-cassone: questi due sono a cavallo e possono perciò facilmente Seguire i rapidi movimenti delle macchine: gli altri seggono sulle cassette dell’avantraino, e su quelle dei cassoni. Il ripiego di ridurre a sette il numero dei servienti, compreso il capo pezzo, onde degli artiglieri farne montare tre sulle cassette dell’avantreno e tre sui cavalli fuori mani, èriprovevole;, si aggrava di soverchio peso le macchine, si deteriorano i cavalli, e si ottiene pochissimo vantaggio per,là mobilità; si peggiora cosi l’artiglieria a piedi, senza ottenere i vantaggi di quella a cavallo. Oltre poi i sette artiglieri,per ogni pezzo d’artiglieria ed il capo-cassone, bisogna calcolare unconduttore ogni due cavalli, ed un numero di uomini destinati a rimpiazzare le perdite di 1/5 o ¼ del totale: quindi una batteria di cannoni da 12 conterebbe 286 uomini, 206 le batterie da 6, e 226 le batterie di obici, compresi sempre gli uffiziali.

Quantunque con tale organamento si ottenga grandissima celerità, pure non è tale ancora quale richiedevi per seguire i rapidi movimenti della cavalleria, e però si,è introdotta l’artiglieria volante, i cui uomini son tutti a cavallo, e che prestasi egregiamente a tale scopo. Or siccome la celerità con cuimuove l’artiglieria pedestre, è quanto basta per l'uso a cui servono i cannoni da 12 e gli obizzi, cosi per l’artiglieria volante bisogna adottare il minor calibro il cannone da 6. Il numero d’uomini necessario a queste batterie non è necessario restringerlo come per quelle a piedi; anzi bisogna accrescerlo di due uomini destinati alla custodia dei cavalli dorante il fuoco: quindi per ogni cannone vi saranno 10 artiglieri, e la batteria sarà composta di 26 macchine, 264 cavalli e 231 uomini.

Le armi, la divisa, il modo come addestrare gli artiglieri saranno comuni a tutti, si a piedi come a cavallo, conduttori e servienti. Noi non troviamo la necessità di vestire un corpo diversamente da un altro, senza che ve ne sia una ragione sufficiente; l’artiglieria avrà la medesima divisa dei fenili ma, dovendo gli artiglieri essere forniti di un’arma vantaggiosa a combattere corpo a corpo, perciò tutti saranno armati con la sciabola simile a quella degli ufficiali dei fanti, ovvero saranno vestiti ed armati come gll'esploratori, senza il fucile, portando sull’elmo un segno che indichi il corpo di cui fanno parte, ed una pistola alla cintura, per propria difesa: gli artiglieri a piedi e quelli a cavallo, una pistola e l’accetta di cui abbiamo discorso.

Il numero degli uomini, de' cavalli, delle macchine che compongono una batteria, formano un tutto di tale importanza da dichiararsi una amministrazione indipendente. E però la batteria sarà unità amministrativa ed unitàtattica. Né si ammetteràdistinzione alcuna fra artiglieri e conduttori, omogeneità riconosciute utilissima da tutti gli artiglieri. Perla riunione poi di varie batterie sotto il medesimo comando non devesi considerare che la sola ragion di guerra.

L’artiglieria proporzionata a 30mite uomini, la massima forza che dovrà avere un corpo d’esercito in Italia, come già abbiamo accennato e come più diffusamente diremo, si compone, secondo te proporzioni dall'esperienza stabilite, di una batterie di obici, Una batteria di cannoni da 12; una batteria volante; e cinque bai tene di cantoni da 6, ovvero 64 pezzi. Tutta quest'artiglieria sarà sotto il comando di un solo officiale, che farà porle dello stato-maggiore di esso corpo, ed in ogni altro corpo d’esercito, di forza inferiore. a questo, vi sarà sempre un comandante di artiglieria, e quindi, in tale occorrenza ogni altra ripartizione riesce inutile. Ma bisogna ripartire diversamente quell’artiglieria raccolta in grandi masse, di cdi si vale il comandante supremo dell’esercito per operazioni decisive, e per incarnare il suo disegno. Negli eserciti stanziali, l’artiglieria vien ripartita in brigate, e queste ripartizioni vengono stabilite secondo la ragione amministrativa, secondo il capriccio di qualche satrapo, secondo le evoluzioni che si eseguono a ricreazione dei principi, e non mai per, veramente addestrare le schiere: quindi la ragion di guerra è trascurala affatto: noi invece terremo conto di essa sola, e però la brigata sarà composta di cinque batterie, ovvero 40 pezzi d’artiglieria, onde produrre un effetto significante. A. facilitare la trasmissione degli ordini, per compiere delle operazioni complicate per le quali si richiedono varii calibri, si compongono le divisioni, che potranno contenere due o più brigate di calibro diverso.

XX. Molti autori riconoscono l’utilità dell’artiglieria di montagna formata di cannoni, o meglio di obizzi di piccolo calibro, i quali non eccedono il peso di 100 chilogrammi, e cosi facilmente ponno adattarsi ai bisogni; le casse, le fucine, le munizioni si trasportano nello stesso modo, e secondo il calcolo che leggesi nell'Aide mémoire per l’artiglieria compilato nel 1844 in Francia, per trasportare sei di questi piccioli pezzi d’artiglieria, bisognano 100 animali da basto. Ma riflettendo ai picciolo numero che se ne ponno riunire su qualche montagna, al loro calibro così piccolo, si converrà facilmente che essi saranno di pochissimo vantaggio, tanto più che sempre dovranno trarre in terreni ineguali. Noi troviamo questa specie d’artiglieria una delle tante istituzioni surte dagli ozii della pace, e non già risultato delle esigenze della guerra; però la crediamo, inutile affatto. In oggi le granai strade rotabili percorrono le catene dei monti, ed abbiamo visto trasportare, prima che queste strade esistessero, attraverso le Alpi ed i Pirenei, l’artiglieria di calibro ordinario; quindi parrebbe più utile che gli artiglieri si dessero a perfezionare quelle slitte usate da Bona parte nel passare il S. Bernardo, e cercassero costruire un nuovo materiale, da condursi coi carriaggi dell’esercito o dei corpi d’esercito, e tale da potervi adattare i cannoni in quelle circostanze in cui non ponno trasportarsi con le casse ordinarie.


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CAPITOLO SESTO

XXI. Forza dell’intero esercito, sua ripartizione in legioni, e proporzione fra le diverse armi. — XXII. Gradi diversi che debbono stabilirsi. — XXIII. Corpo degli ingegneri e pontonieri. — XXIV. Carriaggio delle vettovaglie. — XXV. Corpo sanitario. — XXVI. Stato-Maggiore.

XXI. Nongià laragione diguerra, ma le entrate dello stato, il numero delle soldatesche necessario a presidiare le città, rumore più o meno guerresco del principe, sono le ragioni, sono le norme da cui si parte per determinare ih numero delle milizie ed il rapporto che debbono serbare con la popolazione; quindi nel medesimo stato ed in epoche vicinissime, vediamo l'esercito ora fiorente ora caduto in dispregio; e quando le milizie sono destinate, non già a difesa della nazione, ma a sostegno del trono ed a solazzo dei Re, diventa penosissimo ai cittadini R militare servizio.

Non l'è idea più assurda di quella dei moderni dottrinanti, i quali negli eserciti stanziali scorgono un felice ritrovato della civiltà, che, senza distogliere i cittadini dalle arti della pace, ne destina una parte, addestrandoli alle armi, alla difesa dello stato. Una nazione libera a cui la guerra nell'interesse pubblico minaccia ogni interesse privato, non deve nò può soccombere, senza adoperare in propria difesa tutte le forze di cui può disporre; impiegare per difendersi solamente una parte dei cittadini, ove esiste realmente eguaglianza e libertà, èun’idea contro natura: sarebbe un caso simile a quello di un uomo, che si lasciasse uccidere per aver fatto proponimento di combattere con un braccio solo e di abbandonare a questo membro la cura di difendere tutto ilcorpo.

Intanto la necessità di conservare negli eserciti l'unità morale, che va perdendosi se troppo numerosi; la necessità di conservare l'unità del comando, che, dovendo proporzionarsi alle facoltà di un. uomo, perde d'efficacia se estendesi a troppo numerose schiere; ed infine, le catene, dei monti, il corso dei fiumi che limitano e stabiliscono i campi di battaglia, sono cagioni, che determinano il numero delle soldatesche, che nel tempo stesso, sotto un sol comando e so di un medesimo campo, possano battagliare. L'esperienza di tante guerre ha dimostrato, che 300 mila uomini formano un esercita che già sul medesimo campo di battaglia, comincia ad esser poco maneggevole, e risentesi di quel principio, dì quella legge meccanica, per cui perdesi in tempo ciò che guadagnasi in forza. Limitato a 200 mila uomini, il numero delle schiere che possono combattere una battaglia, ne risulta che eziandio un picciolo stato sia pure di due milioni di abitanti, può difendersi da un prepotente nemico; 200 mila guerrieri comandati da un. buon generale, rimanendo sulle difese, ne sfidano tee cotanti; e come le armi moderne stabiliscono il trionfo della democrazia, cosi i principii della guerra grossa, son guarentigia all'indipendenza dei piccoli Stati che si governano con libero reggimento.

Da quanto abbiamo detto risulta, che una grande nazione, non % dovrebbe prestabilire la forza delsuo esercito, ma, in caso di guerra, proporzionarla all’impresa che si. vuoi compiere; nondimeno le armi speciali, i carriaggi, gli attrezzi che bisogna apparecchiare durante la pace, è d’uopo determinarle, e però la necessità di prestabilire la forza dell'intero esercito ed a questa far corrispondere ilmateriale ed. i corpi speciali, non che i cavalli, che non possono, come i fanti, in pochi giorni addestrarsi. Se si proporzionasse l'esercito alla popolazione, e si rispettasse, come sarebbe naturale, il principio che una' nazione non debba mai considerarsi vinta,?e prima non abbia consumate in propria difesa tutte le sue forze, un numeroso popolo dovrebbe porre in essere un esercito sterminato, e però noi crediamo più giusto, e riteniamo come una norma più esalta quella di stabilire k forza dell'esercito secondo le frontiere che bisogna difendere.

In ogni frontiera vanno considerate; 1.°Me linee principali delle operazioni del nemico che dalla sua base menano nel cuore del paese; ogni una di queste linee, può comprendere, contenere varie linee di marcia e di evoluzione; 2.° le linee secondarie, le quali conducono con giro più lungo alle spalle di quei punti strategici che si trovano sulle linee principali. Volendo difendere il paese, attenendosi alle pratiche più volgari dell'arte bellica fidando più nel numero delle soldatesche che nel disegno di guerra e nel moto, ogni linea principale, la quale comprende una fronte d'evoluzione, bisogna difenderla con un esercito, che, attenendosi al maggior numero, dovrà essere di 200 mila uomini; ed inoltre, ogni linea secondaria bisogna guardarla con. un corpo d’esercito, capace non già di vincere, ma di indugiare solamente il nemico, e cosi dar tempo ad uno degli eserciti principali di correre a combatterlo. Nei paesi ove queste linee secondarie muovono attraverso d’alti monti, varcano profondi burroni, traversano gole, dieci migliaia d’armati ben arringati ne’ difficili passi, possono fermare un esercito; ma per sicurezza maggiore raddoppieremo questo numerose stabiliremo 20 mila uomini per la difesa delle linee secondarie. Premessi questi principii, scendiamo all’applicazione.

Un nemico, per internarsi nella penisola italiana, bisogna che, innanzi tutto, si renda padrone della valle del Po. Carlo VIII, comeché non combattuto ma applaudito dai degeneri italiani videsi giunto a mal partito, appena essi rinvennero dallo stupore e furono per un istante tocchi dal sentimento nazionale; Il disastro dei Francesi alla Trebbia, in tempi a noi. vicinissimi, nel 99, ha confermato questa verità. Pirro invase l'Italia da meriggio, ma confidò nell’appoggio promesso ed ottenuto dai popoli della Magna-Grecia. Annibale girando intorno a Roma, si mise, per mare, in diretta comunicazione con la sua patria, e da austro osteggiò i Romani, ma Annibale, come Pirro, sperava trarre profitto dall’odio che i popoli dell’Italia meridionale nutrivano contro idominatori. Senza il concorso dei popoli, un esercito sbarcato su di una costa non può mai spingersi alla conquista di una nazione; esso deve limitare le sue operazioni in ristretto spazio, ed una sola. disfatta basta per annientarlo: dunque possiamo conchiudere, che le sorti dell’Italia dipendono dal possesso della valle del Po,. ed è perciò l’Italia settentrionale il terreno che bisogna disputare ad un invasore.

Nel precedente Saggio, facendo paragone fra l’Italia e la Francia, discorremmo come gl'italiani possano giovarsi della forma delle loro frontiere, ef dicemmo brevemente come mila uomini, facendo massa sotto un solo comando nella valle del Po, possono difenderla dall'Europa intera: ma ora trattandosi di determinare la forza dell'intero esercito, non ci atterremo al possibile, ma al certo, e verremo applicando i principii testé stabiliti.

Due sono le principali linee d’invasione, ama orientale, l’altra occidentale: questa, compresa fra le fonti della Stura e della Dora Baltea, e quella fra l’Adriatico e la cresta che separa le acque che versano in questo mare, da. quelle che versano nei Danubio; quindi due eserciti, l'uno orientale e l’altro occidentale, di 200 mila uomini ogni uno, difenderebbero con vantaggio queste due linee; inoltre, il Tiralo, il Sempione, il Gottardo, la valle della Bormida, sono le linee secondarie da guardarsi ogni una da 20 mila uomini, ed aggiungendo a queste forze un esercito di riscossa di 50 a 60 mila uomini, pronto eziandio a reprimere qualunque tentativo che potrebbe farsi sulle coste italiane, ne risulta che la forza dell’esercito capace a difendere l’Italia dal mondo intero e tra i 500mila ai 600 mito uomini.

Determinata la mossa generale delle forze,‘facciamoci ora a ripartirla onde abilitarla al movimento.

Il battaglione troppo esteso di fronte per muovere tutto in un pezzo, diviso in pelotoni evolve facilmente al comando d’un capo, la massa spiegasi, e fa sua fronte delle spalle e dei fianchi. Come il pelotone facilita i movimenti di un battaglione, così il battaglione fa abilità ad una brigata o divisione di serrarsi in colonna, schierarsi per masse, muovere in tutti i sensi, cangiar fronte, combattere. Prima delle guerre della rivoluzione francese gli eserciti muovevano interi: durante queste guerre cominciarono ad evolvere strategicamente, e quell'ufficio che fa il pelotone nel battaglione., il battaglione nella brigata, lo fecero le divisioni nell'intero esercito, e queste divisioni costituite più regolarmente e fatte più numerose divennero corpi d’esercito, a cui noi italianamente daremo il nome di LEGIONI.

La forza di queste legioni deve essere assolutamente variabile, e non già costante come quella del pelotone nel battaglione, del battaglione nella brigata; imperocché, le evoluzioni di battaglione e di brigata si eseguono sul medesimo terreno, né havvi a temere che un pelotone o un battaglione, per condursi sulla nuova linea di colonna a di battaglia, debba combattere solo a solo il nemico, che potrebbe attraversargli il sentiero; ma nelle evoluzioni strategiche avviene altrimenti. Per schierare strategicamente un esercito, su di una linea, o fa conversione, o cangiar fronte, avviene che una legione traverserà un terreno piano, un’altra ineguale, un’altra dovrà traversare una valle, o superare dei manti...; quella innoverà con la sicurezza di non incontrare il nemico, questa con la certezza di essere obbligata a combattere per aprirsi il passo; quindi la natura del teatro della guerra il disegno del generale, le mosse del nemico sono le circostanze da cui bisogna prender norma onde stabilire la forza delle legioni e là proporzione che debbono serbare in esse i diversi corpi, e però non potremo fare altro, che assegnare dei limiti al numero delle soldatesche che debbono comporle.

Una delle condizioni, alle quali una legione debba soddisfare, è quella che tutte le sue mosse siano sotto la divetta sorveglianza di un capo, il quale, senza?attendere il comando del generale supremo, che, per l’estensione del campo potrebbe giungere tardi od inopportuno, operi a suo talento in quei limiti che gli saranno stati prescritti; or dunque, se la legione fosse troppo numerosa, l’ascendente del capo non sarebbe così diretto, e non si otterrebbe, ripartendo l’esercito in corpi troppo grossi, il vantaggio desiderato; 50 mila uominiè un numero di soldatesche, che non dovrebbe mai oltrepassarsi nel comporre una legione; schierati su due linee oltre la riscossa, occuperanno una fronte dr meglio che 2000 metri, già troppo per la diretta sorveglianza di un sol generale. Un’altra condizione alla quale bisogna che soddisfaccia una legione è quella di bastare a sé medesima, di esser capace non già di vincere, ma di indugiare difendersi da qualunque nemico, e però se il limite massimo non varia al variar del terreno, il minimo dipende adatto dalla natura del teatro della guerra; e riflettendo;che l’Italia ha un suolo montuoso, in cui il nemico spesso deve combattere con le sole teste delle sue colonne, ne risulta che potranno esservi circostanze in cui una legione potrà comporsi di soli 40 mila uomini. Laonde l’esercito italiano sarà dai 500 ai 000 mila uomini, e per abilitarlo a muovere verrà. ripartito in sedici legioni di varia forza, da 40 mila a 30 mila uomini, e due corpi di riscossa, l’uno di cavalli, l’altro di artiglieria.

Determinata l’unità tattica ed amministrativa di ciascun corpo, la forza totale dall’esercito, il numero delle legioni in cui dovrà suddividersi, dobbiamo ora stabilire la proporzione fra le diverse armi, la quale risulta dall’esperienza, e varia secondo il terreno in cui bisogna campeggiare ma nel caso nostro trattandosi di un esercito cittadino che può accrescersi a dismisura di fonti, e di una formidabile e ricca potenza quale sarà l’Italia, chiamata forse a combattere la causa della rigenerazione europea sul Danubio, crediamo giusto nello stabilire il numero dei cavalli ed il materiale dell’esercito, di allargarci alquanto e non già restringerci a quello che rigorosamente richiedesi pel suolo italiano.

Con tali norme, e rispettando eziandio le unità tatticheche abbiamo stabilito pei diversi corpi, l’esercito, italiano potrà comporsi come segue:


Fanti

Uomini Cavalli Macchine

500

Battaglioni, ripartiti in 125 brigate

360,000

125

Squadroni di esploratori, uno per brigata, di 100 uomini ogni uno, più cinque uffiziali, come diremo

15,125


Cavalleria




104

Squadroni di cavalleggieri ripartiti in 26 brigate

23,920 19,760

88

Squadroni di Dragoni, 22 brigate

20,240 16,720

48

Squadroni di Corazzieri, 12 brigate

11,040 9,120


Totale della Cavalleria




240

Squadroni, ripartiti in 60 brigate

55,200 45,600

34

Squadroni di esploratori per le 34 brigate di Corazzieri e Dragoni.

55,670 3,740


Artiglieria




70

Batterie di cannoni da 6 che formano 14 brigate, e 560 pezzi di artiglieria

14,420 12,880 1820

30

Batterie di cannoni da 12 che formano 6 brigate e 240 pezzi d’artiglieria

7,680 8,640 ' 1140

30

Batterie d’obizzi ripartite in 6 brigate 240 pezzi d’artiglieria

6,780 6,360 900

20

Batterie a cavallo, che formano 4 brigate e 160 pezzi d’artiglieria

4,620 520 520


Totale dell’Artiglieria '




150

Batterie ripartite in 30 brigate.

33,500 32,560 4580


Carriaggio di attrezzi

e munizione da Guerra

Uomini Cavalli Macchine


Seguendo le norme stabilite dalle più moderne opere bisogna calcolare: tre cassoni da munizione per ogni cannone da 12, e per ogni obizzo; e due per ogni cannone da 6. Le casse di ricambio ¼ del numero dei pezzi. Un carro di batteria per ogni cento animali.

Il numero delle fucine deve essere tale da potersene assegnare 4 per Ogni Legione, ed 8 col carriaggio dell’esercito. I carri d’artiglieria, di attrezzi, debbono esservi 8 por ogni legione, e 16 col carriaggio dell’esercito. Si avrà un totale di 5966 macchine.

La fanteria bisogna provvederla di 200 spari ad uomo, di cui 140 vanno sulle carrette o cassoni. Ogni cavaliere va provvisto di 80 spari, dei quali 20 li porta con sé. Ogni carretta a cassoni trasporta 12 mila cartucce, quindi per liniero esercito bisognano 4832 di tali carri.

I cassoni, di munizione, e le casse di ricambio richiedono il tiro a set: per tutte le altre macchine basta il tiro a quattro; le carrette a cassoni per la fanteria sono tirate da due soli animali, quindi pel carriaggio delle monizioni da. guerra di tutto l’esercito bisogna un traino di 30 mila cavalli o muli, che ripartiti in squadroni:




150

Squadroni di 200 bestie ogni uno, e 150 uomini, comprese le cariche, gli smontati, i trombettieri, i maniscalchi

19,300 30,000 8798

XXII. Dimostrata la necessità di un comando unico ed assoluto, ne risulta come conseguenza immediata, un ordine di gradi, per comunicare alle varie parti dell’esercito la volontà del capo, onde farle muovere ai suoi cenni.

In questa gerarchia richiedesi, come condizione principale, semplicità: ed in essa ogni grado deve essere assolutamente necessario, e rappresentare una diversità di fruizioni; i gradi inutili ritardano la trasmissione degli ordini, e scemano la velocità nell’operare.

Nondimeno risoluzione dello milizie perpetue con la loro complicata a in amministrazione, le ambizioncelle della turba dei favoriti a cui i despoti debbono trovar pascolo, ba sopraccaricato l’esercito,cona sommo danno e dispendio, di gradi inutili Noi rileveremo i diversi gradi necessariiin unesercito, dal modo come si trasmettono ed eseguiscono gli ordini del capo nelle mosse di guerra.

Il capitano concepisce il disegno ed indica ad ogni legione la via a percorrere, l’obbietto su cui dirigesi, il posto che deve occupare sulla linea di battaglia. Segue il comandante la legione, chg la conduce per quella via, la dirige su quell’obbietto, la schiera in quella postura che dal capitano gli è stato indicata.

La legione per eseguire questo comando bisogna che faccia evolvere le sue schiere secondo i bisogni, secondo il terreno. Stabilita la sua forza dai 10mila ai 50 mila uomini, ovvero da 8 sino a 52 battaglioni di fanti, bisogna suddividere questa massa in varie parti onde agevolare il movimento. Otto, o al più dodici battaglioni muovono facilmente al comando di un uomo: al di là di questo numero si hanno movimenti lenti ed incerti; del pari non posson muovere alla voce di un sol capo più di. diciotto squadroni di cavalli; dunque i fanti ed i cavalli dell'esercito, oltre all’essere distribuiti secondo i bisogni ira le varie legioni, è uopo, per facilmente squadronare, assegnare un comandante ad ogni otto o dodici battaglioni di fanti e ad ogni otto o diciotto squadroni di cavalli: un tal grado, che sarebbe quelle del comandante la divisione, viene terzo nell’ordine gerarchico. Questo grado in artiglieria è quello che riunisce sotto 11 suo comando varie brigate d’artiglieria di calibro diverso; ina siccome queste non debbono evolvere come i fanti ed i cavalli, così il numero di brigate e di batterie che formeranno la divisione sarà determinato dallo scopo che si prefigge il comandante in capo dell’esercito. Gli altri gradi sono conseguenza dell'ordinammo stabilito, e quindi verrà: 4.° Comandante la brigata. 5.° Comandante un battaglione, uno squadrone, una batteria. 6 Comandante una compagnia unmezzo squadrone, una mezza batteria. 7.° Comandante un pelotoue, una sezione d’artiglieria. 8.° Le guide. Questi sono i soli otto gradi indispensabili all’evolvere delle schiere.

Determinato il numero dei gradi, stabiliremo i loro nomi, e sceglieremo quelli più adattati a noi italiani, comeché non moderni, non curando né usi né pregiudizii. Il nome di GENERALE non conviene che al solo comandante supremo di un esercito: limitare il significato di esse, con le aggiunte di Generale di brigato, di divisione, d'artiglieria e simili è un certo controsenso, è una contraddizione manifesta. Segue il grado stabilito al comando di una legione, che, presso i Romani, alternativamente esercitavano i Tribuni: nome per gli italiani ricco di gloriose e libere rimembranze, nome adattato all’ufficio a cui saranno destinati, come in seguito diremo, i comandanti delle legioni, per cui crediamo dovrebbe adottarsi dagl’italiani, e preferirsi alle denominazioni d’Oltremonte, che traggono la. loro origine dal fasto e dal dispotismo delle monarchie. Segue il comandante una divisione di fanti, di cavalli, di macchine da guerra: queste ordina e dirige i movimenti particolari, deve essere maestro nell'arte di muovere le schiere, quindi eoa nome italianissimo lo chiameremo, maestro di campo. Alle divisioni seguono le brigate, il cui comandante naturalmente va detto Brigadiere. Poscia, unitàtattiche, non che amministrative, dei varii corpi: battaglione, squadrone, batteria, i di cui comandanti debbono evidentemente pareggiarsi in grado; e siccome il battaglione, lo squadrone, la batteria, sono le parti, o le colonne in cui le schiere si dividono per evolvere, cosi a coloro che comandano a queste colonne, unità di evoluzioni, ò adottatissimo il nome di colonnello. Alcuni sotto l’influenza dei pregiudizii troveranno troppo elevato questo grado, ma domanderemo loro, elevato relativamente a che sono le attribuzioni, l’estensione del comando, che accresce al grado l’importanza, e non già il nome. Quindi l’ordine pei gradi nell’esercito sarà il seguente:

1.° GENERALE— Comanda un esercito.

2.°TRIBUNO MILITARE—Comanda una legione.

3.° MAESTRO DI CAMPO — Comanda una divisione di fanti, o di cavalli, o di artiglieria.

4.° BRIGADIERE—Comanda una brigata.

5.° COLONNELLO — Comanda un battaglione, uno squadrone, una batteria.

6.° CAPITANO — Comanda una compagnia, un mezzo-squadrone, una mezza-batteria.

7.° TENENTE — Comanda un pelotone, una sezione d’artiglieria.

8.° SERGENTE — Comanda una squadra, fa l’ufficio di guida.

Non annoveriamo i caporali come graduati, ma crediamo miglior consiglio riguardarli come i migliori fra i soldati, ai quali si accorda una distinzione, e può accordarsi in casi speciali il comando di piccini posto, o destinarli ad altre missioni che richiedono una dose d’intelligenza. Il numero di questi soldati distinti potrebbe rimanere indeterminato.

Nei fanti, ogni compagnia avrebbe un capitano, tre tenenti, quattro sergenti.

Uno squadrone di cavalli sarebbe comandato da un colonnello, ed avrebbe due capitani, e sei tenenti.

Una batteria: un colonnello, due capitani e quattro tenenti.

In ogni battaglione, squadrone, batteria, vi sarebbe un sergente, un tenente, un Capitano, incaricato delle funzioni di aiutante ed aiutante maggiore, come eziandio sergenti, tenenti, capitani, sempre oltre il numero di quelli che si richieggono per ogni compagnia, verrebbero incaricati della parte amministrativa: incombenze tutte per le quali non essendovi diversità di comando, non dovranno esservi, come ora si pratica, nuovi gradi creati a posta, come quelle di forieri, tenenti colonnelli ecc.

XXIII. Fanti, cavalli; artiglieria, sono, lo vedemmo, i corpi principali che compongono un esercito. Passeremo ora ai corpi accessorii. Sovente l’esercito ha bisogno di accrescere con l’arte le naturali difese del terreno. L’impeto dei cavatili l’assalto dei fanti, i colpi dell’artiglieria riescono talora impotenti contro una piazza, mentre una sua opera vi oppone di fronte un ostacolo materiale, o le opere vostre co’ suoi tiri vi distrugge. Per iscrollare i suoi solidi rivestimenti è forza avvicinarvisi serpeggiando e facendosi della terra smossa parapetto: e soventi si è costretti a profondarsi in essa, onde crollare dalle fondamenta quelle muraglie che (artiglieria non giunge a diroccare; per questi lavori è indispensabile il corpo degli ingegneri militari.

È un grossolanissimo errore it supporre che un ingegnere civile possa dirigere simili lavori. Per eseguirli richiedesi non solo una esatta conoscenza degli effetti dell’artiglieria, ma eziandio bisogna conoscere pienamente il modo con cui assalgono i fanti ed i cavalli, e come sogliono evolvere a fronte del nemico, onde costruire in loro difesa delle opere, le quali, mentre li garantiscono, non iscemano la loro facoltà d’offendere. Nel rilevare la pianta del terreno, quantunque l’ingegnere militare ed il civile si governino nel modo stesso, pure quest’ultimo potrà trascurare cose, per la guerra, di grande importanza, e disegnare accuratamente altre, che saranno di verun conto. Inoltre gli ingegneri civili, non sapendo guari delle invenzioni e delle esperienze fatte dai militari e conoscendo pochissimo le cose che riguardano l’arte bellica,si lasciano trasportare dalla foga del loro ingegno, e vengono fuori con progetti ed invenzioni o inammissibili o almeno inutili secondo l’esperienza.

Il numero degli ingegneri che debbono accompagnare un esercita varia secondo le imprese che esso dovrà Compiere. L'unità tattica di questo corpo è la compagnia composta di 180 a 200 operai, essendo questo uh numero sufficiente per eseguire, con l'aiuto dei fanti, i lavori di terra che occorrono per una legione; quindi pel nostro esercito bisognano 16 compagnie di Zappatori, di 200 uomini ogni una, perché sedici sono le legioni in cui è diviso l’esercito: ed oltre a queste, per gli assedii, seguiranno il carriaggio generale di tutte l’esercito 30 compagnie di zappatori, e quattro di minatoci. Con ogni legione vi sarà un carro e due bestie da soma, per trasportare i varii arnesi necessarii ai lavori; ed un carriaggio generale per tutto l’esercito, che trasporterà arnesi ed attrezzi bastanti a tre assedii.

Oltre questo numera di soldatesche e degli ufficiali corrispondenti,al comando generale dell’esercito ed al comando di ogni legione è uopo vi siano addetti alcuni ufficiali degli ingegneri per dirigere tutti i lavori che possono occorrere; il loro grado è bene che sia elevato, affinché ottengano rispetto ed ubbidienza. Al comando generalo dell'esercito, vi sarà il comandante tutto il corpo degli ingegneri ed il suo capo di Stato Maggiore: il primo colgrado di Tribuno, il secondo con quello di Maestro di Campo; tre brigadieri ai loro ordini, ai quali verrà affidata la direzione dei lavori delle due ali e del centro dell’esercito. Oltre queste, vi sarà la sezione dei topografi, per rilevare la pianta degli accampamenti e delle battaglie, composta da un brigadiere, due capitani edotto tenenti. Ogni legione avrà con sé un brigadiere degli ingegneri e tre capitani' Conviene poi, aggiungetene altri nel caso di dovere assediar piazze.

Gli ingegneri essendo più idonei che gli artiglieri per gettare un ponte, noi uniremo al corpo degli ingegneri i pontonieri, e col traino degl’ingegnerivi sarà quello dei ponti. Attese le condizioni topografiche dell'Italia, non potranno In sua difesa adoperarsi più di due eserciti; quindi vi saranno quattro traini di ponti, ogni uno di 74 carri, e trenta barche, oltre a sedici traini di 20 carri ogni uno per le sedici legioni in cui ('esercito potrebbe dividersi. Per gettare un ponte di 20 a 30 barche, è indispensabile una compagnia della forza di circa 150 uomini. Stabilite queste norme il corpo degl’ingegneri e pontonieri dell’esercito italiano sarà composto come segne:

4 Tribuni, — 4 Maestri di campo. — 26 Brigadieri: — 60 Capitani. 30 Tenenti. — Totale 118.


Soldatesca coi corrispondenti Uffiziali


56

Compagnia di zappatori di 200 uomini ogni una

7200

4

Compagnie Minatori

800

20

Compagnie di Pontonieri a 150 uomini

2600

15

Compagnie di Conduttori a 150 uomini

2250

Totale


12968


890 Carri, e 3850 Cavalli o Muli.


vai su

La divisa di questo corpo sarà simile a quella dei fanti; le loro armi saranno: una daga alta a servire come sega, ed il fucile, come quello dei cavalleggieri, onde portarlo con facilità ad armacollo; inoltre ogni soldato porterà uno strmnento da lavoro come zappa, accetta o piccone a corto manico.

XXIV. Ci faremo ora a discorrere della cosa la meno apprezzala, comeché sia la più interessante per l’esercito, cioè l’apparecchio, la distribuzione e la condotta della vettovaglia. Con somma accuratezza vi provvedevano di solito i Consoli romani in ogni impresa guerresca; è noto che per aver trascurata questa regola furono disfatti alla Trebbia. È opinione d’alcuni Generali, scrive Federico II, che a voler bene costituire un esercito bisogna cominciare dal ventre; ed asserisce pure che dalla facile ed esatta distribuzione delle vettovaglie dipende la riuscita delle intraprese.

Nell’ultima guerra combattuta in Italia, varii disastri furono cagionati dal modo irregolare con cui tale servizio facevasi. Durante questa guerra alcuni inesperti i quali suppongono che l’esaltazione supplisca a tutto, stimavano come cosa vergognosa curare i corpi prima di combattere; aberrazione da storditi, da uomini a cui la natura non concesse quella calma necessaria a compiere grandi cose. Un buon Generale lascerà le mille volte distruggere dal nemico qualche migliaio d’uomini, più tosto che appiccar battaglia per difenderli a corpo digiuno. Cosi pensano i guerrieri moderni, cosi pensarono gli antichi, e cosi i guerrieri dei tempi eroici, del che fanno fede questi versi di Omero:

Che digiuno soldato, un giorno intero

Fino al tramonto non sostien lapugna:

Sete, fame, fatica a poco a poco

Doman anche i più forti,e dispossato

Casca il ginocchio. Ma guerrier, cui fresche

Tornòle fonte il cibo, il giorno tutto

Intrepido combatte, e sua stanchezza

Sol col finirsi del conflitto ei sente.

Napoleone prescrive che un'annata porti seco le vettovaglie per un mese, cosi distribuite: per dieci giorni caricate parte sulle bestie da soma e parte al soldato, e 90 sulle carrette. Ma questo numero di carri non sembra sufficiente; noi calcoleremo il traino coi seguenti dati: ih peso della porzione che spetta ad un uomo, compresoli beveraggio, può calcolarsi di 1 Chilogrammo: il carico di un cavallo, 0 di un mulo può ascendere a 400 Chilogrammi ed a 600 quello di un carro. Duo cavalli o muli potranno trasportare cinque giorni di vettovaglia per 400 uomini; tre carri porteranno venti giorni di vettovaglia per cento uomini, la. porzione di avena per ogni cavallo pesa chilogrammi 5.80, e però bisognerà una bestia da soma pel trasporto dell'avena necessaria a sei cavalli per cinque giorni, ed una carretta ogni 49 cavalli per venti giorni Con tali dati il carriaggio delle vettovaglie per l'esercito italiano, il cui totale trovasi riassunto nello specchietto che segue, sarà in numeri rotondi il seguente:

400 Squadroni di cavalli o muli, di 900 animali ogni uno e 130 uomini, quindi:

52mila uomini — 80 mila cavalli — 30 mila carri.

I mulini a braccia, come consiglia Federico II, e come poi più diffusamente ne discorre Marmont, sono un ritrovato di somma utilità, imperocché in campagna avviene spessissimo che il grano abbonda ed il pane manca; ma non crediamo necessario sopraccaricare il soldato di questo lavoro; e con miglior consiglio, il personale del traino delle vettovaglie potrebbe incaricarsi di macinare il granosa fare il pane o il biscotto, e cuocerlo; in tal guisa codesta operazione verrebbe letta in sito appartato dal combattimento, ed i guerrieri non dovrebbero, dopo la pugna, dorare una ingrata fatica per apparecchiarsi il cibo.

Nel supposto che lutto l'esercito italiano staccandosi dalla sua base, corresse a campeggiare in lontane regioni senza poter contare sui proventi ile) paese, il numeroso traino che abbiamo proposto è al disotto del necessario: ma questo caso è raro, anzi quasi impossibile a verificarsi. In Europa gli eserciti facilmente si provvedono: il più delle volte le vettovaglie non mancano a tutto l’esercito, ma ad una parte di esso, mentre altre parti ne sovrabhondano; e spesso mancano perché cadono nelle mani del nemico: ma a questi inconvenienti non è possibili rimediare col numeroso traino, e col rigore verso gl’impiegati dell'annona: le cagioni di tali disordini si trovano più in alto, esse si riscontrano nel disegno della guerra, nel carattere del generale. Un uomo volgare, un uomo di piccola levatura sarà capacissimo da scegliere i luoghi principali ove far deposito di vettovaglia ed apparecchiare i veicoli, ma è da questo punto che le difficoltà incominciano; come dal cuore e dal fegato parte il sangue, e con innumerevoli fiumicelli, rivoli, canaletti, trasudamenti riempie tutto il corpo, così dalla base bisogna dirigere le vettovaglie sui varii punti della fronte d’operazione, e poi distribuirle alle legioni, ai corpi, alle compagnie, agli uomini. Ma per far ciò, è necessario che il disegno di guerra, non solo fissi precedentemente la sua fronte d’operazione, ma ripartisca ed assortisca su di essa le schiere, onde proporzionare al loro numero le vettovaglie che si spediscono nei diversi punti: quindi ènecessario che il Generale preveda tutto il seguito della campagna. Ecco la necessità di un disegno di guerra reciso, le cui operazioni, che solo al vincere sembrano dirette, nel loro insieme nascondono, eziandio, efficacissima difesa; e se la guerra è guerra di difesa, non debbono perciò le operazioni essere incerte e sempre assoggettate e dipendenti dalle operazioni del nemico, ma fa d’uopo legarle in un solo concetto, il quale tronca all’avversario ogni possibilità di nuocere; fra la guerra di difesa e quella di offesa altra differenza non v'è che questa muove ardita ed indipendente e sceglie a suo piacere il momento, mentre l’altra attende che il nemico gli presenti opportunità; ma una volta mosse le schiere,governasi come se si assalisse. Con tali disegni, ove tutto è provveduto, il disordine nel distribuire le vettovaglie non avviene, ma se il generale ad ogni mossa del nemico cangia consiglio, e vuol difendersi opponendo ad ogni partita nemica una sua partila, non vi sarà nel suo disegno di guerra niente di prefisso e di certo; ove credeva inviare 10 mila uomini, ne invierà 30 mila, e di qui la contraddizione negli ordini, l’eccessiva fatica nelle soldatesche per le inutili marcie e contromarcie, e quindi il disordine inevitabile nella condotta e distribuzione delle vettovaglie.

Dichiarata la guerra, o quando b guerra è probabile, il governo deve far riposta di vettovaglia in tutti i ponti strategici di primo ordine: prescegliere quelli ove il mare, i fiumi, o le grandi strade facilitano il trasporto di esse: deve eziandio fortificarli, non già per difendere il paese, ma solo per garentirli da una sorpresa del nemico.

Il Generale ché assume il comando dell’esercito deve trovare questa prima operazione già fatta: allora egli stabilisce la base delle sue operazioni: e sui vari punti di essa fa trasportare e ripartire le vettovaglie apparecchiate. Fin qui una tale operazione non offre nessuna difficoltà: i convogli si dirigono sovra punti fissi, e sono fuori la sfera d’azione del nemico. Ma appena l'esercito lascia la base, e cominciano le sue mosse di guerra, le difficoltà crescono d’assai.

Il generale decidesi per un’impresa, immagina il disegno, dà le poste alle schiere, calcola il tempo necessario a raggiungere il nemico, a combattere, a vincere, a ritornare; tiene conto dei ritardi che possono avvenire, "degli aiuti che può traile dal paese ove combatte; stabilisce i punti ove radunarsi se rotto, la nuova base d’onde procedere se vittorioso, e però dall’esattezza di questi. calcoli, dalla prontezza con cui sono eseguite tali mosse, dipende la giusta ed esatta "distribuzione delle vettovaglie. Ecco perché, appena il Generale ondeggia fra i partiti a cui può appigliarsi, il disordine è inevitabile.

Conchiudiamo che il numeroso ed ordinalo traino, le abbondanti provviste di tutto ciò che può bisognare all’esercito, non bastano a garantirlo dalla penuria di vettovaglie, la cui giusta distribuzione dipende dalla capacità del generale, e dall’esattezza con cui vengono eseguili i suoi ordirti.

XXV. L’ordinamento del corpo sanitario è cosa semplicissima per un esercitò cittadino. Il milite appena giunto all’ospedale è affidato al municipio, ai cittadini, e cessa la sua dipendenza dalle podestà militari; ta salute di coloro che hanno versato il sangue a difesa della patria deve essere l’oggetto delle cure e della sollecitudine di tutti i cittadini quindi la podestà civile installerà gli ospedali in quei punti, che verranno indicati dal comando dell’esercito. Se la guerra si guerreggia in paese straniero, allora il corpo sanitario, dovrà essere proporzionato alle schiere, alla distanza dal proprio paese, al clima, insomma al numero degli ospedali che bisogna istallare, e però non potendo nuda precisarsi a tale riguardo. Noi discorreremo di quella parte di esso indispensabile all'esercito sul campo di battaglia, che raccoglici feriti, presta Moro le prime cure, li fa trasportare sulle barelle alle ambulanze temporanee, e quindi su comodi veicoli agli ospedali. Per supplire,a questi bisogniogni battaglione, ogni squadrone, ogni batteria saranno seguiti da due chirurghi, un medico ed un farmacista. Al comando di ogni legione ed al comando generale dell'esercito vi saranno due chirurghi, un medico e due farmacisti, un carro d’ambulanza, dieci carri espressamente costruiti pel trasporto dei feriti, e due compagnie d’infermieri, di 100uomini ogni una, destinate a raccogliere i feriti dal campo. Quindi il personale del corpo sanitario sarà:

4mila uomini — 5 mila cavalli o muli — 550 carri.

XXVI. Composta la vasta e complicata macchina che deve muovere al comando d’un solo uomo, il Generale, ci faremo ad accennare di quali aiuti questo capo dovrà giovarsi, per raccogliere tutte le notizie indispensabili, e trasmettere i suoi ordini per condurre ad effetto il suo disegno.

Egli, mente dell’esercito, immagina il disegno di guerra; i Tribuni dirigono le legioni verso gli obbietti dal generale indicati; i Maestri di campo comandano, ad ogni frazione dell’esercito, le evoluzioni che bisogna eseguire per menare ad effetto gli ordini dei Tribuni; i brigadieri, i colonnelli, i capitani, i tenenti trasmettono sino al milite il comando del maestro di campo; i militi, infine, arringati fra le guide, eseguono.

Ma al generale, perché possa colorire ed effettuare il suo disegno, fa mestieri:

1.° Sapere di quali forze, di quali mezzi egli dispone, le mutazioni che giornalmente avvengono in esse, i movimenti che queste forze eseguono e l’indicazione esatta dei sili ove si trovano; quindi alcuni ufficiali debbono tener conto e raccogliere tutte queste notizie e presentarle ad ogni richiesta del generale.

2.° Avere esalta conoscenza della topografia del terreno, delle strade,' delle difese naturali che offre il paese, dei sussidii che possono trarsi da esso; dei movimenti del nemico, delle sue forze, e di quelle altre notizie che possono far presumere i suoi progetti; notizie che tutte si ricavano dalle esplorazioni di ogni genere che si eseguono dall’esercito. Quindi alcuni ufficiali debbono essere incaricati di raccogliere queste notizie, compendiarle, rettificarle, e presentarle al generale.

3.° Conoscere, al bisogno, quali riposte di vettovaglie si trovino nei magazzini; quindi degli ufficiali che tengano registrato il con' sunto, le nuove provviste che si eseguono e s’incarichino di dirigere i munimenti sui punti dal generale indicati.

4.° Altri ufficiali incaricati specialmente della giustizia militare,

5.° Il ripartimento dei topografi.

In ultimo, alcuni ufficiali di grado elevato ed alcune soldatesche a' suoi comandi,

Cosi dalle funzioni che bisogna disimpegnare, dalle varie incombenze, risultano i ripartimenti del QuartierGenerale, e piùitalianamente del COMANDO DELL’ESERCITO;ed oltre a questi ripartimenti bisogna comprendervi i comandi dell'artiglieria e degli ingegneri, con un ufficiale incaricato di trasmettere gli ordini fra i componenti il comando; ed un capo, dai moderni detto Capo dello Stato Maggiore generale, che raccolga tutte le notizie, le presenti al generale, e solo depositario dei suoi concetti, s’incarichi di comunicare ad ogni ripartimento gli ordini che ad esso riguardano per l'esecuzionedel disegno 4 guerra.

Se il generale ba bisogno di esser seguito da tutti questi ufficiali che compongono il comando dell’esercito, del pari ogni Tribuno, comandante una legione, bisogna che abbia lingua sul nemico onde prender norma per gli ordini chedeve eseguire; ed inoltre, tutte le notizie da lui raccolte, bisogna che le trasmetta alcomando dell’esercito: quindi anche, il Tribuno deve avere il suo seguito o Stato-Maggiore. Finalmente, i maestri di campo, i tribuni, il generale, spesso, sul campo di battaglia, han bisogno di spiccare un ufficiale il quale trasmetta a bocca un ordine ai suoi dipendenti; ecco la necessità degli aiutanti di campo, il cui numero bisogna calcolarlo secondo il comando che si esercita, e l'esperienza ha dimostrato, che sono sufficienti tre aiutanti di campo al generale; ed jl comandante delle legioni, ovvero ogni tribuno, qualunque sia il suo officio, avrà tre aiutanti di campo, e due ogni maestro di campo.

Per soddisfare a tutti,questi importantissimi e diversi servizii, i moderni hanno creato un corpo di ufficiali speciale, detto Corpo dello Stato Maggiore, e noi nei precedenti capitoli abbiamo brevemente rammentato le qualità che essi, debbono avere. Si suole eziandio conceder loro gradi elevati, imperocché il generale spesso, incarica uno di questi ufficiali della difesa di un sito, o di condurre una colonna; e quindi è necessario che siano rispettati ed ubbiditi dalle soldatesche. Ma noi crediamo miglior avviso, che un certo numero di tribuni e di maestri di campo, sia addetto al comando dell’esercito, rimanendo a disposizione del generale, che potrà ad essi, quando lo creda, affidare tali incombente: per tutti gli altri servizi! che debbono disimpegnare gli ufficiali di. Stato-Maggiore, bastano i gradi di capitano e di tenente.

Nondimeno il vero inconveniente, che bisogna rimuovere, è la rivalità l'invidia, la poca fiducia, che gli ufficiali degli altri corpi hanno con quelli dello Stato-Maggiore. Una squadra di cavalli, p. e., comandati dal proprio poetale, scorre la campagna per una ricognizione, seguendo i comandi di un ufficiale di Stato-Maggiore che deve eseguirla. Si mostra il nemico: l’ufficiale di cavalleria vuol combattere, quello di Stato-Maggiore non lo trova opportuno; sogghigna l’uno, piccasi l’altro, si termina per combattere, con danno significante dell’incombenza a disimpegnarsi, Questo danno è completamente rimosso, incaricando di questo servizio gli esploratori, i cui ufficiali sarebbero incaricati di tutti i servizii che ora disimpegnano gli ufficiali di Stato-Maggiore, e perciò verrebbero addottrinati in tutte quelle discipline e cognizioni necessarie a tale servizio. Ogni squadrone di esploratori avrà due capitani e tre tenenti, ed in tal guisa il corpo dello Stato-Maggiore jsi ridurrà ai soli tribuni e maestri di campo, i quali corrispondono ai moderni ufficiali generali.

Un tribuno, in caso di guerra, verrà eletto generale, e comanderà l’esercito.

Un tribuno sarà capo dello Stato-Maggiore generale; che noi chiameremo con voce più breve, più italiana, più adattata, Maestro generale del campo'

Le. funzioni di capo di Stato-Maggiore di ogni legione saranno disimpegnale da un maestro di campo.

Verremo ora in varii specchietti enumerando gli ufficiali necessarii al comando dell’esercito e delle sue ripartizioni:

COMANDO DELL’ESERCITO


Uomini Cavalli

Generale e suoi aiutanti

4 10

Maestro generale del campo e suoi aiutanti

4 10
Comando dell’Artiglieria

Tribuno e suoi aiutanti

4 8

Maestro di campo e suoi aiutanti

5 6

Due capitani di Esploratori

2 4
Comando degl’Ingegneri

Tribuno e suoi aiutanti

4 8

Maestro di campo e suoi aiutanti

5 6

Tre Brigadieri degl’Ingegneri

5 6

Totale

27 58
1° RIPARTIMENTO
Movimenti e forza dell'esercito

Un Maestro di campo e suoi aiutanti

5 6

Due capitani di Esploratori

2 ,4
2° RIPARTIMENTO
Esplorazioni di ogni genere

Un Maestro di campo e suoi aiutanti

5 6

Quattro capitani degli Esploratori

4 8
3° RIPARTIMENTO
Amministrazione, vettovaglie, ospedali

(2) Questore e suoi aiutanti

3 6

Due capitani di Esploratori

2 4
4° RIPARTIMENTO
Giustizia militare e ordinamento del servizio del comando dell'esercito

Un maestro di campo e suoi aiutanti

3 6
5° RIPARTIMENTO
Topografi

Un Brigadiere degli Ingegneri

1 2

Due capitani idem

2 4

Otto tenenti idem

8 8
Disponibili ai cenni del Generale

Un tribuno e due maestri di campo coi loro aiutanti

10

20

Totale

68

132

Soldatesche

Due squadroni di Esploratori

210 220

Totale

278 552

Saranno inoltre a disposizione del Generale, quel numero di battaglioni, di squadroni, di pezzi d'artiglieria , che egli, secondo le occorrenze, crederà necessario.

COMANDO DI UNA LEGIONE


Uomini Cavalli

Tribuno comandante la legione e suoi aiutanti

4 10

Maestro di campo e suoi aiutanti

3 7

Maestro di campo comandante la cavalleria ed aiutanti

3 7

Maestro di campo comandante l’artiglieria ed aiutanti

3 6

((3)) Un Commissario capo amministrativo

1 2

Un Brigadiere degli Ingegneri

1 2

Tre Capitani idem

5 3
Disponibili ai cenni del Comandante

Un maestro di campo e suoi aiutanti

3 6

Tre capitani di Esploratori

3 0
Soldatesche

Mezzo squadrone di Esploratori

53 56

Totale

77 105

Stabilito il modo come comporre il comando dell’esercito, ed il comando di ogni Legione, possiamo determinare il numero dei tribuni e dei maestri di campo che si richieggono per l’esercito intero, e formano, con voce moderna, il suo Stato-Maggiore.


Uomini Cavalli

Un Tribuno al comando di,ogni Legione, quindi

16

Un Tribuno pel comando dell'esercito

1

Un Tribuno come Maestro Generale del campo

1

Pel corpo d’artiglieria

4

Pel corpo degl’ingegneri

4

Pel comando delle colonne d’evoluzioni di cavalli

2

Disponibili

2

Totale

30
Maestri di campo


Uomini Cavalli

Quelli addetti al comando dell’ esercito, meno quelli degli ingegneri

6

4 addetti al comando di ogni Legione

64

Pel corpo degli ingegneri

4

Pei fanti calcoleremo due Maestri di campo per ogni legione, e ne avremo sempre disponibili

32

Per le colonne d’evoluzioni di cavalleria, e le divisioni d’artiglieria riserbate alla riscossa ne aggiungeremo

14

Totale

120

Quindi lo Stato-Maggiore dell’esercito sarà composto da 50 Tribuni, e 120 Maestri di campò, in tutto (con voce moderna), 150 ufficiali generali, mentre la Francia per soli 100 mila uomini numera 412 generali, ed il Piemonte molto più in proporzione del suo piccolo esercito.

Specchio di tutto l’esercito

D’onde possiamo ricavare, che supponendo i Fanti dell’esercito — 1— avremo presto a poco: Cavalleria = 1/7 =Artigl. = 1/7 = Stato Maggiore (compresi gli Esploratori) = 1/20 — Ingegneri e Pontonieri = 1/28 = Corpo Sanitario = 1/90 = Carriaggio delle vettovaglie = 1/7=

Legione di 20 mila nomini

Stato-Maggiore

Uomini Cavalli Macchine

150

330

Esploratori

17,735 18,580

Fanteria

360,000 2,000

Cavalleria

55,260 45,780

Artiglieria

33,500 32,560 4,380

Traino delle munizioni ed attrezzi da guerra

19,000 30,000 8,798

Ingegneri e pontonieri

12,968 3,850 890

Corpo sanitario

4,000 5,000 350

Traino delle vettovaglie

32,000 80,000 30,000

Totale

555,103 218,100 44,418


CORPI

Brigate Battaglioni Squadroni Batterie Pezzi di artigl. Uomini Cavalli Macchine

Comando

24 49

Esploratori

6 ½ 083 716

Fanti

5 20 14,400 80

Cavalleggieri

2 8 1,840 1,520

Dragoni

1 4 920 760

Cannoni da 12

1 8 236 268 38

Cannoni da 6

2 10 412 368 32

Obici

1 8 226 212 30

Artiglieria a cavallo

1 8 231 264 26

Ingegneri pontonieri e loro carriaggio

1 374 96 22

Traino di munizioni ed attrezzi da guerra

320 460 109

Corpo Sanitario

220 30 11

Traino delle vettovaglie per 10 giorni

390 1,162

Totale

20,304 3,985 288
Colonna d'evoluzione di Cavalleria



Brigate Squadroni Domini Cavalli

Comando della colonna

Tribuno e suoi aiutanti

4 10

Tre Maestri di Campo

9 21

Due capitani d’Esploratori

2 4

Esploratori

6 630 680

1° Divisione su due linee

Corazzieri

2 8 1840 1520

Dragoni

2

8 1840 1520

Cavalleggieri

1

4 920 760

2° Divis. riscossa

Corazzieri

12 8 1840 1520

Cavalleggieri

2

8 1840 1520

Due

batterie d’artiglieria a cavallo

462 528


Totale

9 42 9377  8045

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CAPITOLO SETTIMO

XXVII. Come determinare la volontà dell’esercito ed eccitarne le passioni — XXVIII. Come scegliere i graduati, ed eseguire gli avanzamenti. — XXIX. Amministrazione. — XXX. Educazione militare delle schiere. — XXXI. Deletto.

XXVII. Abbiamo nei precedenti capitoli scelto le armi, armati e vestili i militi, stabilito gli ordini, i varii corpi, la proporzione che serbar debbono fra loro, la forza dell’intero esercito, il modo come ripartirlo, e le cariche; abbiamo discorso del modo e dei mezzi come provvederlo in campo, ma fin qui non facemmo altroche costruire una macchina senza vita, un automa che manca di volontà e di passioni: ora ci occuperemo del modo come determinare quella ed eccitare queste.

L’educazione, le leggi con cui si reggono le milizie fra i moderni son volte a distruggere in esse ogni germe di volontà. L’ubbidienza cieca in tutte le circostanze, l’indifferenza alle quistioni politiche che si agitano nel paese, sono i mezzi, le regole volte a spegnere la ragione e fare del soldato l’essere il più stupido ed il più vile che possa immaginarsi. La volontà dell'esercito deve essere quella del Re, ecco il dogma di tutta la lord morale. Allorché spendesi la vita in un’impresa di cui non comprendesi né la necessità né l’utile, e credesi gloriosa, solo perché tale la dichiara un capo, la dignità dell’uomo è rinnegata affatto, egli si rende simile al mastino che, aizzato dal padrone, rabuffa il dorso ed azzanna la preda: e pure il mastino deve ai padrone il suo giornaliero alimento, mentre il soldato, scagliandosi contro i propri concittadini, compra col suo sangue una vittoria al principe, che rende più salde le proprie catene, più misera la propria esistenza,più squallido il proprio avvenire.

«I buoni soldati, indipendentemente dalla causa per cui combattono, si ottengono con buone istituzioni militari, con buoni quadri, con una disciplina conveniente.»I Greci che seguirono Ciro, i Galli che servirono i Cartaginesi contro i Romani, gli Svizzeri, i Lanzi, le soldatesche di Federico II, sono gli esempii che t militari adducono a conferma di una tale massima affermata da Napoleone, ripetuta da Jacquinot, ed accettata ciecamente dal volgo degli scrittori militari; questa massima noi ci faremo a confutarla.

Primieramente osserveremo, che gli esempii citati a conferma d’un tale asserto dimostrano il contrario. Nei tempi in cui le guerre non solo erano frequentissime ma continue, fare il guerriero era un lucroso mestiere, a cui moltissimi si dedicavano; spesso era questa l’industria d’un’intera nazione. I Greci di Ciro erano di questi mercenarii; egualmente i Galli assoldali da Annibale; i Campani correvano nella civile Sicilia ad esercitare un tal mestiere; di simili venturieri si composero tutti gli eserciti del medio evo, quando al potere feudale ed al popolesco prevalse il regio potere. Questi mercenarii erano indifferenti alla causa per la quale combattevano, ma il movente che determinava la loro volontà esisteva, ed era do stesso per tutti, il salario le ricompense, e più che tutto il bottino dopo la vittoria; erano valorosi. perché dall'uso accostumati ai perìgli ed ai disagi della guerra. Oltrecché, i Greci di Ciro, i Galli, d'Annibale, gli Svizzeri ed i Lanzi del medio evo appartenevano a nazioni, a comuni bellicosissime, che consideravano la guerra come sorgente dei loro guadagni, ed in cui la pubblica educazione, era affatto guerriera, e le virtù guerresche le più stimate. Diremo quindi che dal sentimento nazionale, dalla loro educazione, dall’abito, dall'amor del guadagno risultava il loro valore, e non già dalla disciplina e dai quadri dell’esercito in cui militavano; eglino conservavano sempre, sotto qualunque bandiera militassero, i loro ordini nazionali, i loro ufficiali, la loro militare costituzione: e quantunque pregievoli come guerrieri, pure l’indifferenza per la causa che propugnavano cagionò talora gravi inconvenienti, perché i generali non potevano riporre in loro fiducia alcuna. Cartagine dovette implorare il soccorso della stessa Roma per difendersi dai mercenarii di cui erasi servita; i Lanzi, gli Svizzeri sovente ricusarono ubbidire ai loro generali, e questo avvenne ai più famosi capitani dell’epoca, a Turenna, a Condè; sovente il generale temeva più le proprie schiere, che quelle dell’avversario; que’ mercenari, se speravano maggior guadagno, non dubitavano di vendere al nemico il proprio capo, e vittima di simile tradimento fu Lodovico il Moro duca di Milano. Gli Spagnuoli stessi, militando per la Spagna, perché solamente guerrieri e non già cittadini, spesso si ribellavano se mancava loro il salario, se la guerra andava in lungo, se avevano poca speranza di bottino; il meno male che poteva succedere era lo sbandarsi dell'esercito. I Fiorentini non avevano soldatesche, ma erano ricchi, e quando Ladislao re di Napoli, che veniva ad osteggiarli con un esercito, dimandava loro quali schiere gli avrebbero opposte, risposero: «le tue», perché sicuri di guadagnarle con maggiori offerte. Federico li raccolse nelle file del suo esercito i migliori fra questi raunaticci, ma non ammise arrotamenti o capitolazione di corpi interi, ma solo individui che venivano ad ingrossare l’esercito nazionale. In tale epoca, divenute le guerre meno frequenti, il, vagabondare di questi mercenarii andava cessando, essi cercavano stabilirsi al servizio di qualche principe, e i principi cercavano ritenerli in perpetuo sotto le loro bandiere; cosi ('esercito di Federico era composto di gente, che considerava come causa propria quella del Principe; e pure le lagnanze e le precauzioni di Federico contro il tradimento dei disertori sono moltissime.

Solo dopo lunga guerra, indipendentemente dalla causa per la quale combattesi, possono formarsi valoroso milizie; i. continui perigli, la vita del campo, l'inebbriante piacere della vittoria ponno trasformare pacifici ed indifferenti cittadini in guerrieri di professione; ma pretendere che si sviluppi il coraggio ritenendo le milizie in seno di profonda pace, raccolte alle bandiere, tormentandole con una degradante disciplina, accostumandole a vivere da frati più che da guerrieri, e facendone il trastullo di qualche capo, è stupida ed assurda pretesa, è un disconoscere la storia e l’arte militare.

Con la teorica di Napoleone e di Jacquinot e di tutti i moderni scrittori militari, tutti i moventi, tutte le passioni del soldato debbono ridursi al guadagno ed alla paura. Se mossi dal guadagno, avverrà, come dice Macchiavelli, che «Colui che ti difende mercanteggiando la sua vita e la sualibertà per dieci danari, ti tradirà per quindici». Se poi sono sospinti dal solo sentimento del timor della pena, e scendono di mal animo alla guerra, egli è certo, che se vedranno la possibilità di sottrarsi alperiglio, lo faranno; e però vediamo, sovente, le stesse milizie mostrarsi valorose in lontane regioni, e codarde alle proprie frontiere; nel primo caso la disperazione, l'impossibilità di sottrarsi ai perigli, la speranza che vincendo si ponga termine alla guerra, sono altrettante cause che inspirano ad esse il valore. Il timor della pena, se può, durante la pace, infrenare nel milite la volontà, non è bastante a produrre in guerra il medesimo effetto, ché sotto gli eccitamenti del pericolo la volontà si manifesta. Questa verità non è confessata, ma istintivamente sentita da quei capi medesimi che l’impugnano; non v'è generale il quale, prima di muovere le armi, prima di comandare un assaltò, non s’adoperi, eziandio. discendere al sofisma: a dimostrare ai soldati la giustizia e necessità, rutile dell’impresa: egli in quel momento pretende che il soldato giudichi e ragioni, mentre il dogma ch'egli medesimo ha loro insegnato, proibisce il ramponare... strana contraddizione!

Finalmente, rimandiamo il lettore alCapitolo secondo di questo Saggio, in cui diffusamente trattammo di un tale argomento, e speriamo che tutti coloro ai quali i pregiudizi non adombrano la ragione, rimarranno convinti che quei tratti di eroismo nei guerrieri, que' disegni arditi, que’ voli d'ingegno ne’ capi, gesta di cui si onora la storia delle milizie cittadine, non possono risultare che dalle grandi passioni, né queste possono scompagnarsi da una determinata volontà;e la volontà si determina, le passioni si suscitano, non già con la disciplina, né con vane declamazioni, ma esse sono l’effetto delle relazioni, dell’utile che legano il guerriero alla sua patria, ed alla causa che difende; sono, l'effetto, insomma, di tutto l’ordine sociale, come in ciascun uomosono la conseguenza del proprio organismo.

Il milite, convinto che la causa per cui combatto è giusta ed utile per tutti, e per sé particolarmente, e che egli medesimo ha riconosciuto la necessità d’intraprendere la guerre, convinto che gli ordini e le istituzioni militari sono state discusse ed adottate da tutta la nazione e che tutti gl’ingegni prestarono l’opera loro in tale bisogno; che i copi sono quelli, che l’esercito stesso ha giudicato i migliori; che nelle loro decisioni prevale rutile pubblico e non già il favore; che la sua disubbidienza verrebbe universalmente disapprovate; questo rotate, noi riteniamo, sarà forte, ubbidiente e valoroso. Allora l’esercito sarà considerato come la parte più cara e più nobile della nazione ed onorato del pubblico rispetto; ma come pretender ciò quando, predatore de' cittadini, si lascia vincere e diventa preda dei nemici esterni?

L’ordinamento sociale da noi stabilito nel secondo saggio non lascia dubitare che possa esservi guerra, i cui danni, o i cui vantaggi riguardino solamente una parte, e non già l’universalità dei cittadini; quello istituzioni sono tali che se l’utile pubblico è danneggiato, lo è egualmente l’utile privato. Quindi la guerra non potrà farsi, che per tutelare gli interessi di ognuno, e però guerra non vi sarà senza ardore, senza passioni, senza determinala volontà. Esistendo le passioni, le istituzioni militari debbono reggerle, ed all’impeto cieco e disordinato sostituire le virtù guerriere.

L’ubbidienza, in guerra, pronta ed illimitata, l'a' more e l’energia solerti ad eseguire tutte le incombenze, di modo che l’importanza che una sentinella attribuisce alla propria vigilanza, non differisca da quella che il generale dà ai suoi disegni di guerra, ildesiderio di vincere, «ogni qual volta devesi combattere, senza considerare o discutere l’utile di quel combattimento; l’ordine, la precisione, la calma nel campo, come in tutte le operazioni della vita, costituiscono le virtù guerriere, le quali sono la conseguenza della fiducia nella capacità ed imparzialità dei capi, e dell educazione militare. Discorreremo del modo come nominare i graduati, onde generare questa fiducia; e del modo come addestrare l’esercito, abituarlo a fatica, e fare che le virtù guerriere divengano a tutti comuni ed apprezzate.

XXVIII. L’ubbidienza, in guerra, pronta, illimitata, spontanea, non può ottenersi senza il convincimento che il più sublime in grado sia eziandio il più meritevole; né l’educazione militare può far sorgere un tale convincimento, senza dei quale l’ubbidienza non sarà spontanea, la fiducia mancherà affatto; quindi uno dei problemi più essenziali è quello di distribuire i gradi secondo il merito.

Presso i governi della moderna Europa sono favoriti coloro che più umilmente servono; la virtù, il vero merito sono sempre odiati; farsi strada senza ipocrisia ed umiliazione è impossibile; nondimeno questi stessi governi, conoscendo che tale loro metodo potrebbe sommamente pregiudicare all'esercito, hanno limitato il proprio potere accordando la preferenza all'anzianità. Un tal ripiego ammorza le grandi passioni, distrugge' affatto l’emulazione: il tempo solo può soddisfare alle nobili ambizioni, ogni altro sforzo diventa inutile: due ufficiali, l’uno dotato delle più eminenti qualità, l’altro capace a pena di adémpiere i suoi doveri si trovano nelle medesime condizioni; il primo spererà invano di percorrere una carriera più splendida del secondo; i gradi maggiori, che richieggono un veder pronto ed acuto, si raggiungono in un’età in cui il lento scorrere del sangue rende deboli le passioni e tardi i concetti. In un esercito impegnato in continua guerra, i più anziani avrebbero il inerito di aver corsi maggiori perigli, acquistata pratica, durata fatica; ma durante la lunga pace, quale merito hanno gli anziani, se non quello di lunghissimo ozio e di abitudini affatto contrarie alla guerra? Gli esami, non già di concorso, ma solo in prova di essere idoneo, che dagli anziani si richieggono, non correggono l’errore, né favoriscono il merito: per riuscire in siffatti esami, basta uno sforzo momentaneo di memoria, onde acquistare una superficiale conoscenza delle cose, che sfuma dopo breve tempo.

Uno dei rimedi proposti per evitare tale inconveniente sono gli esami di concorso; ma in essi, comeché, primeggino i migliori ingegni, il premio non lo conseguirà il piùmeritevole, bensì un favorito; e supponiamo una perfetta imparzialità in colora che debbono giudicarne, supponiamo rimosso ogni intrigo, ancora non si otterrà l’intento imperocché questi esami non garantiscono quella dottrina, la sola veramente utile, che per continuato studio e riflessione si è incarnata nell’individuo, ma solamente una superficiale erudizione. Inoltre, la dottrina è parte, ma nonriassunto delle virtù militari; la conoscenza teorica delle discipline non garantisce la pratica di esse; ed il carattere, il coraggio, rettitudine al comando, cose importantissime non possono riconoscersi con l’esame.

Nelle monarchie temperate, dette costituzionali, in cui fa d’uopo comprare l’ubbidienza che l’assolutismo impone, si è introdotto la regola di conferire a scelta del governo il terzo degli impieghi, ed in tal guisa ilmerito e l’anzianità soccombono all'intrigo e i servili prevalgono. I Ministri collocano ai più importanti comandi gli uomini ad essi venduti, e se negli eserciti dei governi dispotici sono i capi ignoranti e decrepiti, nei governi temperati sono immorali e Corrotti; diciotto anni di un tal reggimento. hanno reso possibile in Francia il due Dicembre. E se poniamo il caso impossibile, che un ministro volesse davvero dare la preferenza al merito, come lo riconoscerà, particolarmente ito un vasto Stato? Gli sarà forza uniformarsi alle relazioni dei capi dei corpi, quindi prevalenza di simpatie ed antipatie personali; i favoriti de colonnelli e non già quelli dei ministri saranno i prescelti, ma i meritevoli mai.

Jacquinot ha creduto risolvere il problema nel modo, seguente:()«Chiunque conosce gli uomini (scrive quest’autore, certamente non sospetto d’idee democratiche) e sa i moventi che li fanno operare, le basse mene di cui sono capaci, non vedrò che un solo modo acconcio à dispensare con giustizia quella parte di avanzamento dovuta al merito in tempo di pace, cioè, i pubblici concorsi per tutti i gradi sino a quello d’ufficiale superiore. Ma l’energia del comando, senza di cui non si è militari, quella condotta morale senza della quale non si è degni di comandare, ed il valore possono valutarsi, per via di concorso? SI, sino ad un certo punto: gli uomini dotati di siffatte qualità non possono rimanere ignoti ai loro compagni d’armi; sarà sufficiente consultar questi per riconoscerli.» Valendoci di una tale opinione ed allargandone l’applicazione a tutte le promozioni dell’esercito, escludendo affatto i diritti concessi all’anzianità, parrebbe, che gli esami di concorso e poi l’elezione, bastino per assicurare il trionfo del merito; ma per tale metodo, seducente in apparenza, riesce quasi impossibile nella pratica.

Se in un reggimento debba promuoversi un tenente o capitano, subiranno l’esame parte dei tenenti, o tutti? Nel primo caso si ricade nell’errore che si cerea evitare; fra i non chiamati potranno trovarsi i più meritevoli; — nel secondo la cosa sarà imbarazzante. Si ripeteranno questi esami per ogni carica da rimpiazzarsi, o basterà un solo esperimento? Nel primo caso sarebbesi continuamente occupati di ciò; nel secondo l’ascendente che l’esperimento deve produrre sugli elettori svanirà. In guerra poi, questa regola sarebbe impraticabile, e ciò besta per riprovarla; in un esercito ben ordinato, la ragione di guerra deve prevalere a tutte le altre: i regolamenti non debbono variare al muovere delle armi; fra lo, stato di guerra e quello di pace non dovrà esservi alcuna differenza. Abbiamo eziandio osservato, ed è questa una cosa notissima, che gli esami non provano che una momentanea erudizione; or aggiungeremo che essi distolgono gli ottimi dai loro continui e veramente utili studi. La dottrina incarnata, profonda riluce nella pratica, si mostra nelle opinioni, negli atti, nelle familiari dispute, ne’ più indifferenti discorsi; i ragionamenti giornalieri, il modo coree si adempiono i propri doveri anno una prova continua che ogni uffiziale subisce innanzi ai suoi compagni d’armi; e. se questi sono i giudici competenti dell’energia, del coraggio, delta morale, lo sono eziandio del sapere; quindi la sola elezione, che non offre alcuna difficoltà ed è un modo praticabile in tutte le circostanza e sempre speditissimo, è quella che rende giustizia al vero merito.

Ma questa verità viene universalmente disconosciuta, perché contrasta al principio da cui i governi, qualsiasi il loro nome, prendono norma, il principio d’autorità, la regola che tutto debba procedere dall’alto al basso e non già dal basso all'alto, come è di diritto. Chiunque, che dal caso o dal voto universale è eletto al governo d’una nazione, credesi immediatamente rivestito di quel potere e di quella somma sapienza inspirala da Dio, che per superbia, o per ad onestare le loro usurpazioni in faccia al volgo, si attribuiscono i re, ed avviene che più accaniti nemici de' principi appena ad essi sostituiti, si adoperano a tutt’uomo ad imitarli, (a) Nessuno di quei governi popolari, che nel 48 sono surti in Europa, disse al popolo: t>u hai il diritto di sceglierti dal tuo seno i tuoi magistrati, i tuoi amministratori; niuno disse all’esercito: voi siete una schiera di cittadini, ai quali la patria affida il più nobile, il più importante carico, disperdere i suoi nemici, ed avete perciò il diritto inalienabile, di scegliervi i capi che dovranno. condurvi alla pugna, ed ai quali affidate le vostre vite. Tutti, per contro, conservarono gelosamente il potere di distribuire tutte le cariche dello Stato. Nuovi al paese, al governo, alle cure ad essi affidate, non seppero ove rivolgersi, ove porre le mani, e commisero errori più madornali degli stessi governi dispotici. Circondali da pochi amici, questi furono (né poteva altrimenti accadere,) i distributori delle cariche eminenti. Sovente prevaleva la simpatia personale, un bell'aspetto, un vestire pomposo; né l’impostura e l’intrigo ebbero poca parte.

All'obbiezione che il suffragio universale erra, il popolo spesso s’inganna, risponderemo: che l’errore potrà eziandio avvenire nella scelta de' reggitori supremi, ed il danno sarà gravissimo se questi avranno il diritto di distribuire a loro capriccio tutte le cariche dello Stato, mentre sarà meno grave, sarà in parte corretto, se verranno eletti dal popolo tutti gli altri magistrati. Ma noi restringeremo questa discussione al solo esercito.

In una nazione, nuova alla guerra e da lungo tempo oppressa, facilmente una scaramuccia di niun conto è considerata quale grandiosa battaglia, una disfatta cangiata in vittoria: onde alcune riputazioni non sono dovute al merito. di chi le usufruisce, ma all’ignoranza della nazione; e lasciando ai militi la facoltà di eleggersi icapì, sarebbe cosa certa, che uno di questi fortunati, senza merito reale e con danno positivo del paese, verrebbe eletto al comando supremo dell’esercito. Un tale inconveniente è grave, ma spesso inevitabile, e sarà miglior consiglio sottoporvisi che contrastarlo. Questi idoli popolari non sorgono mai in una nazione ordinata a guerra, ma sempre durante il bollore di un rivolgimento, in cui ciascuno non crede sicuro il trionfo, né acchetasi se non trova un uomo, nel quale il popolo personifica le sue speranze immaginandolo adorno di tutte le qualità, di tutti i meriti necessarii alle circostanze: e nel caso che l’universale volontà corra su questa falsa strada, né siasi riuscito a richiamare l'attenzione sui fatti per distoglierla dagli uomini, è forza secondarla; imperocché se le verrà imposto un capo, siano quali si vogliono i suoi meriti, esso incontrerà nella fama del desideralo competitore degli ostacoli insormontabili, e la sfiducia ammorzerà gran parte dell’ardore. La disfatta sarebbe probabilmente conseguenza del generale malcontento, e però si soffrirà il danno medesimo, al quale sarebbesi andato incontro, lasciando che il popolo si fosse fatto capitanare dal suo incapace favorito. Ma, in questo secondo caso, il disastro, i fatti atterrerebbero l’idolo pernicioso, il comando ridurrebbcsi nelle mani di chi lo merita, mentre nel primo il popolo confermerebbesi nella sua falsa opinione, il suo favorito otterrebbe, naturalmente, il comando, ed un secondo disastro sarebbe inevitabile.

Da quanto abbiamo osservato risulta, che imporre il generale ad un esercito giovane e popolesco è un ripiego che non ha guari di pericoli più che quello di lasciare libera affatto l'elezione: e se poi tale elezione viene regolata da una legge dal popolo approvata, ogni rischio svanisce.

È contumace il popolo quando vedesi contrariato senza una ragione per esso evidente, mentre approva e rispetta facilmente le leggi, che servono a garantirlo da errori ad esso fatali. Se il modo d’eleggere gli ufficiali dell’esercito ed il generale è stabilito, è noto, frenasi l’impazienza, e ciascuno, pieno di speranza, non va cercando un capo, ma l’aspetta dal risultamento delle elezioni; ecco il mezzo di richiamare l’attenzione del popolo sui fatti e sulle leggi, e di distoglierla dagli uomini; quando esso potrà occuparsi della legge che riguarda l’elezione del generale non si brigherà più di cercarlo. In tal guisa, verranno costretti al silenzio que’ gruppi di vilissima gente, che si aggruppano al piedestallo d’un idolo, e per elevarsi con esso si adoperano a sospingerlo in alto.

Il suffragio universale, allorché trattasi di eleggere un amministratore comunale, un rappresentante del popolo (supponendo la società riformata, sparitala miseria) è giusto; ma per eleggere un uomo destinato ad una carica per cui si richieggano speciali cognizioni, il suffragio universale è assurdo. I Romani, per nominare alle alte cariche dello Stato, costumavano i comizii col suffragio universale: ma alcuni uscieri, detti distributori, davano ad ogni cittadino la lista de' candidati, e cosi veniva ristretta la scelta fra un picciol numero di persone, che il senato stesso indicava, e però sempre ai patrizii erano conferite le principali cariche della repubblica. Il suffragio universale manca di quelle con dizioni, che, per le cariche speciali, indispensabilmente si richieggono per dirsi giusta la votazione: 1.° ilcandidato debbe essere noto ai votanti, imperocché se pochi lo conoscono, questi pochi saranno gli arbitri della votazione; 2.° è indispensabile che gli elettori siano giudici competenti del merito che richiedesi nell’eletto per adempiere i doveri che gli saranno imposti, altrimenti l’opinione di pochi arditi, o pochi intriganti prevarrà; 3.° non dovrà essere possibile la venalità del voto, quindi uguaglianza fra gli elettori e gli eleggibili; un uomoche aspettasse dai suoi dipendenti il voto per ascendere a più sublime grado, cercherebbe almeno guadagnarne le simpatie, rallentando la necessaria severità verso di loro, con manifesto danno del servizio. Or dunque in un esercito numeroso i militi non conoscono personalmente i candidati a Generale, non sono giudici competenti del merito che richiedesi nel capo supremo, e se non sarà Foro che compra il loro voto, non potranno sottrarsi all’ascendente che eserciteranno su di loro il credito de' candidati, le esagerazioni o le menzogne dei giornalisti e però le richieste condizioni nel suffragio universale si trovano tutte m difetto. Per contro, se gli ufficiali del grado medesimo nella compagnia, nel battaglione, o nella brigata scegliessero quelli che debbono occupare un grado ad essi immediatamente superiore, si avrebbero elettori giudici competentissimi del merito richiesto,direttamente interessali nella buona scelta; né corruzione di sorta alcuna potrebbe aver luogo, attesti l’uguaglianza degli elettori e degli eleggibili, e non solo tutte le condizioni sarebbero soddisfatte, ma con tal metodo otterrebbesi un altro vantaggio; più. elevata sarà la carica che dovrà occupare l’eletto, minore sarà il numero degli elettori, perché giudici di maggior merito. Nondimeno sé il restringersi il numero degli elettori all’elevarsi del grado dovrà considerarsi come vantaggio grandissimo, e ritenersi come principio su cui debba fondarsi il modo d’elezione, è cosa evidente che per riuscire l’elezione sempre più giuste, fa d’uopo che nel tempo medesimo il numero degli eleggibili divenga sempre più grande, e sia vasto il campo della scelta. Stabilite queste regole, per meglio spiegare il nostro metodo, ci faremo ad esporne i particolari.

Il suolo dello Stato verrà diviso in undici circondarti militari, ogni imo capace di reclutare, secondo le leggi stabilite, 50mila uomini. Ho fissalo un tal numero, perché simile forza può considerarsi come un esercito, e perché, se di minor popolo, si moltiplicherebbero troppo gli stabilimenti di cui terremo parola. Nell’eseguire la ripartizione si avrà euro che gli ostacoli naturali non siano mai d’impedimento al pronto raccogliersi delle soldatesche di un circondario, e che in esso siano facili le communicazioni.Un’isola, la Sicilia p. e., formerà da sé un circondario militare d’Italia. La proporzione fra i diversi corpi di cui dovranno comporsi le schiere di ogni circondario, sarà conseguenza dell’ordinamento generale dell’esercito italiano e dei prodotti e della natura del suolo di ogni circondario. Al capoluogo, ovvero al punto centrale di ogni circondario, che sarà dichiaralo tale, verranno ragunati icoscritti, e, come diremo, ripartiti fra i varii corpi, ed in ogni corpo, in compagnie, battaglioni, squadroni, batterie.... quindi comincierà l’elezione. Toglieremo ad esempio un battaglione di fanti.

I militi di ogni compagnia sceglieranno dal loro seno dieci individui, questi saranno elettori, eleggibili tutti gl’individui componenti il battaglione; questi dieci nomineranno i quattro sergenti e i tre tenenti di ogni compagnia.

Quindi tutti i tenenti del battaglione, scegliendo nell’intero battaglione, nomineranno i capitani.

I capitani del battaglione come elettori, ed essendo eleggibili tutti i 50 mila uomini del circondarlo nomineranno il colonnello capo del corpo. Con questo mezzo, di allargare sempre il campo della scelta, s’andranno sempre correggendo gli errori, e sarà ben 'difficile che un cittadino veramente degno di un grado elevato sfugga alla penetrazione, o sia in odio a tutti i colleghi elettorali che si succedono.

Radunata la brigata, i colonnelli sceglieranno fra i detti 50 mila il brigadiere.

Fatte così le nomine per ogni corpo, dovrà seguire l'elezione de' maestri di campo, la cui podestà estendendosi su tutti i corpi, tutti debbono partecipare alle elezioni di essi; e però in ogni circondario gli elettori saranno i colonnelli ed i brigadieri di essocircondario, eleggibili saranno tatti gli italiani, e cosìverranno nominati 12 maestri di Campo; perché, còme dicemmo, 120 sono quelli di tutto l’esercito.

Finalmente tutti i brigadieri, i maestri di campo di tutto l’esercito italiano, ragunati in una città d’Italia, secondo un turno perenne stabilito fra le principali città, essendo eleggibili tutti gliitaliani, nomineranno 30 tribuni dell'esercito.

Tutti i vuoti che le nomine successive avranno prodotto nei varii gradi dell'esercito, verranno rimpiazzati col metodo che bisogna osservare per gli avanzamenti, di cui terremo parola, e che non sarà molto differente da quello ora stabilito. La precedenza nella nomina costituirebbe l’anzianità, ovvero il diritto al comando, in caso di temporanea assenza del titolare.

Lo ragione di guerra, ne’ piccioli Stati, come Napoli ed il Piemonte, è poco pregiata, ed in essi costumasi eseguire gli avanzamenti per arma, ed avviene perciò, che in un reggimento decimato dalle offese nemiche, o dagli stenti della guerra, non godono delle promozioni coloro, che sono stati esposti ai. medesimi perigli; ma spesso ai morti vengono surrogati ufficiali ignoti al corpo, i quali usufruiscono di que’ vantaggi, o perché i più anziani, o perché favoriti di un ministro; epperò lentezza ed ingiustizia sono i due caratteri principali di un tal modo di promuovere. Le promozioni dovendo essere immediate, per surrogare alle cariche degli estinti coloro che hanno perigliato con essi, bisogna che secondo il grado da provvedersi, si proceda per compagnia, per battaglione, per brigata.

Stabilito un tale principio, il metodo sarà il seguente.

Per un sergente. Elettori ed eleggibili saranno i militi della compagnia.

Per un tenente. Elettori i sergenti della compagnia, eleggibili tutti gli individui del battaglione.

Per un capitano. Elettori i tenenti del battaglione; eleggibili, come pe’ tenenti.

Per un colonnello. Elettori i capitani del battaglione; eleggibili, in campo, tutti gl’individui della legione, in pace tutti quelli del circondario militare.

Per un brigadiere. Elettori i colonnelli di una brigata; eleggibili, come pei colonnelli.

Il numero dei maestri di campo e de' tribuni, essendo superiore a quelli che saranno assunti in una guerra, imperocché difficilmente vi sarà un’impresa per cui tutto l’esercito italiano debba muovere, verranno rimpiazzati i mancanti, quando si avrà l’agio di riunire il congresso degli elettori più sopra accennato.

XXIX. L’amministrazione militare provvede agli stipendii, alle armi, alle munizioni, alle vestimenta, ai cavalli, agli attrezzi da campo, ai carriaggi, al pane, ai viveri, allo strame. E però, la prima quistione che bisogna risolvere è quella di stabilire lo stipendio pei diversi gradi della milizia.

Il far corrispondere lo stipendio al grado ha incarnato la venalità fra gli eserciti stanziali, talché non e la podestà, non sono gli onori, le attribuzioni, che misurano l’importanza di una carica, ma il soldo. Tutti, o quasi tutti gli ufficiali de' moderni eserciti militano per bisogno, militano per vivere con lo stipendio che percepiscono; ogni altra passione non ha per essi eccitamento. Il dispotismo giovasi assai di questa loro condizione; Jacquinot la richiede come indispensabile alla cieca ubbidienza: e da ciò risulta, che un esercito così costituito dovrà riescire assolutamente contrario e pernicioso alla libertà.

L’esistenza di tutti coloro che la patria arma a propria difesa deve indissolubilmente legarsi con le sorti della patria stessa e non già con quelle dell’esercito; altrimenti ogni guerriero griderà viva l’esercito e muoia la patria. Terminata la guerra, non deve il milite rimpiangere il cessato lucro, ma rallegrarsi per aver compilo un dovere e terminato un travaglio; giulivo riprenderà il suo mestiere; la professione, godrà della gloriosa pace acquistala col proprio valore, e la sua vita sarà abbellita dalle rimembranze delle durate fatiche, ed onorata dalla stima di tutti i cittadini del suo circondario militare, di cui molti gli furono compagni in guerra.

Inoltre, secondo la costituzione sociale da noi stabilita, i null’abbienti non esistono nello Stato: quindi le gravezze imposte per pagare gli stipendi all’esercito colpirebbero, in parte, anche i guerrieri, e la cosa sarebbe, sotto questo aspetto, assurda. Nondimeno, se colui che difende il paese, e però i proprii interessi, non merita stipendio, non sarebbe giusto, che que’ cittadini i quali volontari! o per sorte espongono la vita a difesa degli altri, oltre dei perigli a cui Vanno incontrp', soffrissero eziandio, per l’interruzione del lavoro, un danno significante alla loro borsa. A questo è facile provvedere: ogni uno. deve, nell’ordine sociale, necessariamente far parte di un’associazione, od esercitare una professione singolare; quindi ad essi, al termine della guerra, verrà corrisposto quel tanto, che la propria professione avrebbe loro fruttato, sottraendone il costo di tutta la vettovaglia somministrata. Ogni Comune farebbe questo computo, e pagherebbe le dette somme ai proprii cittadini; la faccenda non offrirebbe alcuna difficoltà; ogni cittadino non vedrebbe mai il proprio utile staccato dall'utile universale, ed i comuni verrebbero ben poco gravati, riducendosi il problema a raddoppiare, durante la guerra, ogni cittadino la sua operosità, onde il prodotto generale non Scemasse per la mancanza di coloro che sieno destinati a combattere. Stabilita questa regola generale, facciamoci a conoscere se i varii gradi dell’esercito meritano tale distinzione fra loro da farci derogare a questa legge.

La diversità del grado non fa altro che proporzionare il carico alle facoltà ed alla forza dell’ingegno di ciascun individuo: e l’onore d’essere prescelto, la podestà che gli viene conferita, lo scemare, a misura che il grado è più elevato, dei travagli materiali, sono premii adeguati al merito, né havvi bisogno di aggiungervi uno stipendio maggiore.

Ora ci faremo a considerare lo stipendio, sotto l’aspetto di accrescere la dignità al grado e circondarlo d’un certo prestigio. Una tale idea è falsa: l’uguaglianza non iscema ma accresce, in campo, la dignità del grado; basta aver vissuto breve tempo in campagna per essere convinto di ciò: l’agiatezza degli ufficiali, fra gli stenti dei soldati, fomenta il malcontento é la disubbidienza: se l’ufficiale dura le medesime fatiche che il soldato, esso può con altera fronte rimproverarlo se muove lamento; inoltre, quando l’ufficiale soffre come il soldato, questi s’incoraggia e cresce la fiducia scambievole; quindi non solo la differenza degli stipendii è inutile, ma riesce nociva: ed è cosa giusta che, se havvi fra i cittadini differenza di condizione, essa svanisca affatto quando trovansi raccolti sotto il vessillo nazionale alla difesa della patria.

La natura degli obblighi, che ciascuno deve adempiere, è la sola cagione per cui questa perfetta uguaglianza sia soggetta ad eccezioni, e sembri qualche volta turbata. L’ufficiale non porta sulle spalle il peso del soldato, perché, nel combattimento gli è forza percorrere una fronte più o meno estesa, mentre il soldato non curasi che di sé stesso. Senna tal fronte sarà quella di un battaglione, neviene la necessità di percorrerla a cavallo, tanto per essere più spedito, come per dominarla col guardo, e meglio propagare il comando. Cessata la pugna, compita una marcia, il soldato pone in assetto le sue armi, e dorme placidamente: ma quante cure non ha il colonnello, e quanto maggiori non sono quelle di un tribuno, del generale, che scarso hanno il tempo a riposo, e quasi sempre interrotto da gravi preoccupazioni. Questi pensieri, queste cure, i lavori da tavolino, lo studio che bisogna fare sulle carte, non permettono, dal grado di colonnello in su, di parteggiare col soldato il fuoco del bivacco: questi ufficiali denno avere una tenda, non per garantire le loro persone,. ma per poter a compiere que’ lavori da cui dipende la salute dell'intero esercito.

Dallo stipendio passiamo al vestimento, ramo complicatissimo dell’amministrazione e sorgente di gravissimi abusi.

Il milite per essere vestilo subisce un balzello ed è malamente servito; quindi il miglior consiglio è che ogni milite si provveda da sé.

Nondimeno per quelli oggetti di cui non tutti sono egualmente gravati, e pei quali richiedesi uniformità, prontezza nel provvedervi e solidità, lo Stato bisogna che ne assuma la responsabilità, e ripartisca egualmente la spesa su tutti; quindi alle armi, agli elmi, alle corazze, alle calzature, ai cavalli, agli attrezzi da campo, ai carriaggi, al pane, ai viveri, allo strame provvedere lo Stato.

Fra i moderni l'utile privato, essendo in opposizione diretta con l’utile pubblico, per ogni operazione amministrativa richiedesi una stretta sorveglianza, e questa riesce di pochissimo o niuno effetto. Il commissariato di guerra, o le intendenze militari hanno il sindacato sull’amministrazione dell’esercito; ma esso, poco sollecito de' risultamenti, riducesi ad una semplice guardia delle forme, e queste, falle complicatissime, sono intralciamento in pace, ed impraticabili in guerra, e, salvo la verifica della presenza dei militi alle bandiere, a cui tale istituzione provvede, nel resto l’amministrazione fu impastoiata, senza rendere compenso. Ma in una società in cui la solidarietà non è predicata nei libri e nelle declamazioni, ma è un fatto che risulta dai legami stabiliti fra l'utile pubblico ed il privato, ogni amministrazione riesce semplice, e semplicissima quella dell'esercito.

In ogni circondario militare, i cittadini eleggerebbero col suffragio universale un consiglio d’amministrazione; questo consiglio nominerebbe in ogni compagnia, battaglione, squadrone, batteria... un suo delegalo, a cui verrebbe affidata l'amministrazione di quella frazione di soldatesca; questi delegati del consiglio avrebbero gli incarichi oggi affidali ai sergenti maggiori, quartiermastri, ufficiali di magazzino; nominerebbe eziandio tutti gl’impiegati necessarii ai varii stabilimenti militari e magazzini che dovrebbero sempre essere provvisti di armi, munizioni, attrezzi da campo e calzature per 50 mila uomini. L’intero corpo del carriaggio delle vettovaglie del circondario dipenderebbe da questo consiglio. Quello che oggi fanno per l'amministrazione militare il ministro della guerre e tutto lo sciame de' provveditori, sarebbe fatto da questo consiglio in ogni circondario; i suoi impiegati sarebbero sparsi fino nelle compagnie, e su di esso la popolazione delcircondario riserverebbcsi sempre il sindacato ed il diritto di revocarlo.

Inoltre in ogni battaglione, squadrone, o batteria, i militi col suffragio universale eleggeranno dal loro seno un consiglio di sorveglianza, la cui incombenza sarebbe quella di esaminare minutamente se i generi forniti dagli amministratori abbiano le qualità richieste, col diritto di rifiutarli.

Gli stabilimenti militarle tutto l’insieme dell’amministrazione, per ciò che riguarda la parte tecnica, sarà sotto l’immediata sorveglianza del Tribunato militare, come in seguilo diremo.

Al muovere delle armi, l’amministrazione si accentra: gli undici consigli dei circondarli nomineranno il QUESTORE,capo dell’amministrazione di tutto l'esercito, che marcerà col comando generale di esso, e dipenderà direttamente dal generale e dal maestro generale del campo; ogni consiglio del circondario nominerà un commissario, al quale conferisce i suoi poteri; e questi Commissarj, impiegati nelle varie legioni, dipenderanno dal questore e dal comandante la legione, e dal maestro di campo che sostiene le veci di capo di Stato-Maggiore.

Tutti gli impiegati amministrativi de' battaglioni, squadroni, batterie, avranno gli onori di un grado militare, da capitano in giù; i commissarii avranno gli onori del grado di brigadiere, il Questore di maestro di campo; essi non hanno comando, e dagli inferiori è loro dovuta considerazione e non già obbedienza; e per contro debbono, nella parte che loro riguarda, obbedire prontamente agli ordini degli ufficiali da cui dipendono, cioè: capi di corpi, comandanti le legioni, Generale.

Molti vorrebbero rendere l’amministrazione dell’esercito indipendente dal comando di esso; un tale errore troverebbe in guerra l’immediata punizione, imperocché le evoluzioni strategiche, da cui dipende I esito della campagna, dipendono a lor volta dalla pronta esecuzione, con cui viene provisto l’esercito, nei modi e nei luoghi dal generale prescritti. Durante la guerra americana, spesso Washington fu contrarialo nelle sue operazioni, perché non aveva podestà diretta sull'amministrazione delle schiere. In alcuni momenti il congresso riconobbe l’inconvenienza di un tale distacco e concesse al generale pieni poteri onde munisse e provvedesse a suo piacere le soldatesche. Ciò basta per dedurre in massima un tale precetto: e tanto maggiormente in quantoché il servizio non deve mai variare secondo le circostanze, ma procedere sempre con quelle norme che si richiederebbero nei più difficili momenti, onde diventi un abito, e s’incarni nel costume de' militari.

XXX. Per diventare eccellente in uno de' svariati rami dello scibile umano, richiedesi una naturale predisposizione che inclinazione s’appella, come per quelli esercizii pei quali sono indispensabili qualità fisiche. Nondimeno, per ciò che concerne l’educazione fisica, con pochissima predisposizione, si possono’ ottenere grandi risultamenti ove si cominci dall'infanzia, imperocché gli organi essendo tenerissimi, si prestano facilmente ad ogni genere d’esercitazioni.

L’educazione militare va distinta in due parti, morale e fisica: la prima serve per addottrinare i guerrieri in tutto ciò che riguarda l’arte della guerra ed accostumarli all’ubbidienza; la seconda addestra il corpo al maneggio delle armi, l’abitua a fatica, produce quella calma in tutte le operazioni della vita che è conseguenza della sviluppo della forza muscolare. La gravità e la calma dei Romani, mollo diversa dall’irrequietezza dei moderni italiani, dipendeva dalla loro forza fisica, sviluppata sino dall’infanzia in continue esercitazioni.

A diciotto anni i muscoli sono già soverchiamente duri, gli abiti cattivi già contratti, quindi difficilissima l’educazione fisica (non che la morale) del soldato, ed eccettuati i predisposti ad alcuni esercizii, per gli altri tali esercitazioni saranno una specie di tortura, che modificherà solamente la loro apparenza; quindi, tenendo conto di tale verità, l’educazione militare comincierà dai sette anni.

Nei ginnasii di ogni comune, ove comincia l’educazione de' cittadini dai sette anni, ciascuno verrà addestrato al maneggio delle varie armi, ed eziandio a servire le artiglierie; i muscoli resi flessibili, cotesto diverse esercitazioni si rendono facilissime, perché l’una facilita l’altra.

Tutte le settimane, gli allievi si ripartiranno in battaglioni e compagnie, si faranno eleggere gli ufficiali con le regole medesime stabilite per l’esercito, e verranno addestrati nella scuola di pelotone, di compagnia, di battaglione, di brigata. I migliori cavalieri squadroneranno a cavallo, ed altri si addestreranno al maneggio le artiglierie. Di tempo in tempo faranno delle lunghe passeggiale militari, ed assisteranno alle grandi evoluzioni che si eseguiranno nei circondari! militari, delle quali ora parleremo.

Nei ginnasii comunali, oltre le ginnastiche e la scherma delle varie armi a cui debbono per obbligo addestrarsi i giovani dai 7 ai 15 anni, vi sarà eziandio il tiro al bersaglio, e però viene in acconcio dirne qualche parola.

Coloro i quali si esercitano a trarre con quelle carabine dette di precisione con un domestico incaricato di caricare l’arma, valendosi d’una specie di diottra per facilitare e rendere esalta la mira; che sparano col braccio e l'arma sorretti da un appoggio, s’abitueranno a questi modi, ed in guerra saranno da meno di chi mai in sua vita avesse maneggiato moschetto. Si può far ciò per passatempo, ma non bisogna che si trascurino le più utili esercitazioni. È però uopo che ognuno si addestri a trarre col moschetto da guerra, caricando l'arma da se, e facendo succedere i colpi l’uno all’altro con la massima rapidità. Con tale esercizio, poco a poco si giungerà al punto che le braccia servendo l’occhio accostumato a cercare l’oggetto senza mai abbandonare la linea di mira, naturalmente porteranno l'arma nella debita postura; abbassare il moschetto, aggiustarlo al segno, e trarre, sarà quasi un sol tempo. Si premii colui che in cinquanta colpi ferisca al segno un maggior numero di volte. Si spari quindici volte in cinque minuti, e si premii chi tocca il segno un maggior numero di volte.

Nébisogna trascurare i fuochi al comando, di pelotone o compagnia,ponendo a varie distanze un bersaglio che presenti la medesima fronte, il quale potrebbe esser mobile, onde avvicinarlo ai tiratori con la velocità di un drappello di fanti, che muove alla carica, e cosi avvezzarsi a mirare, secondo la distanza, più alto, o più basso.

Questa prima educazione farà d’ogni italiano un milite provetto almeno nel maneggio delle armi e nella scuola da soldato; ed ogni uno con maggior profitto avrà imparato tutti quegli interessanti particolari che disgraziatamente annoiano gli uomini di qualche levatura. È cosa umiliante perun giovane di spirito bellicoso, che pieno d’ardore corre ad offrire i suoi servizi alla patria, vedersi costretto ad imparare i giri sull’asse ed i movimenti della testa; o le sue illusioni svaniscono e l’ardore del suo animo s’ammorza, o pure concepisce un disprezzo per coloro che insegnano tali cose.

Inoltre, in questi otto anni, ciascheduno addestralo al maneggio delle varie armi ed alle evoluzioni a piedi o a cavallo, avrà potuto sviluppare chiaramente la propria inclinazione, e le sue speciali attitudini. Ora passeremo a discorrere del modo come addestrare ed addottrinare l’esercito.

In ogni circondario militare vi sarà una scuoia per lo Stato-Maggiore, ovvero, col nostro ordinamento, per gli esploratori; unascuola per l’artiglieria; un’altra per la cavalleria, e due per gli ingegneri militari per tutta l’Italia.

Reclutato l’esercito coi modi di cui parleremo, i fanti rimarranno alle bandiere, per esercitarsi, otto giorni; quindici gli artiglieri; un mese'i zappatori e pontonieri, che andranno ad essere ammaestrati ne' varii lavori alla scuola:degl’ingegneri; e quelli che debbono servire a cavallo, compresi i conduttori dei varii traini, saranno rimandati a misura che verranno giudicali abbastanza destri nell’equitazione e nel maneggio delle loro armi.

Gli ufficiati degli esploratori, quelli dell’artiglieria e quelli degl’ingegneri verranno inviati alle rispettive scuole ove rimarranno ad istruirsi per due anni; gli ufficiali di cavalleria saranno obbligati di assistere alla loro scuola per soli tre mesi.

Sarebbe superfluo e non adatto al nostro proposito il venire particolareggiando il metodo d’insegnamento da tenersi in queste scuole; nondimeno, saranno utili alcune osservazioni per quella solamente dello Stato-Maggiore.

Siccome ad un ufficiale di Stato-Maggiore è necessaria la conoscenza del modo di muovere e combattere delle diverse armi, si pratica, per tal ragione, farli servire per qualche tempo nella fanteria 0 nella cavalleria: ma un tale ripiego non raggiunge il fine a cui mira; essi non fanno che acquistare la pratica del servizio che bisogna prestare nei quartieri, e delle varie esercitazioni della soldatesca, cose indispensabili per un ufficiale di fanti o di cavalli, inutili o almeno di niun conto per un ufficiale di Stato-Maggiore. Giudicare della forza del nemico per alcuni indizii, come la polvere che si solleva nelle marce, il fumo del bivacco e… dall’antiguardia, dall’estensione della sua fronte, riconoscere un campo da un’altura o percorrendo la linea de' bersaglieri, o dall’alto di un campanile; dall’ordine di marcia del nemico giudicare dell’importanza d’una posizione, rispetto alle schiere che dovranno difenderla, o attaccarla, sono cose le quali non si apprendono curando di esaminare se le armi e la calzatura de' soldati sieno in buono stato, o esercitando il comando di un pelotone. La pratica di simili cose non s’impara che in guerra o nei simulacri di cui parleremo, e però alla scuola da noi stabilita, gli ufficiali degli esploratori faranno un corso completo di strategia, di tattica e storia militare; impareranno come rilevare il terreno ed apprezzarlo militarmente, e militarmente occuparlo, e fare il progetto d’attacco o di difesa; quindi praticheranno tutti i varii servizi che si comprendono nella piccola guerra, pel quale oggetto saranno addetti a questa scuola alcuni squadroni di esploratori.

Ogni sei mesi, i fanti ed i cavalli riuniti per brigate, l’artiglieria per batterie, senza allontanarsi dal luogo ore dimorano, verranno acquartierali per dieci giorni, durante i quali si eserciteranno nella tattica elementare.

Ogni anno si raduneranno i 50mila uomini in ciascuno de' circondarli, e nei proprii confini campeggieranno ad esercizio, durante un mese. I fanti, raccolti in grosse schiere di otto a venti battaglioni, verrebbero esercitati a correre all’assalto in Colonna, in battaglia o in ordine misto, non già in terreni a bella posta spianati, ma in quelli intercisi e difficili; e per evitare di far loro contrarre il costume di retrocedere nel momento decisivo dell’assalto, incontro ad essi non bisognerebbe schierare altri fanti, ma solamente alcuni indicatori disegnerebbero la linea nemica; in tal guisa s’avvezzano gli assalitori ad irrompere, e quindi disfacendo le righe simulerebbesi l’inseguimento, mentre a sostegno loro, ed in perfetta ordinanza seguirebbe la seconda linea.

Nella guisa medesima verrebbero esercitati i cavalli alle cariche, anzi potrebbero caricare contro dei fanti, avendo l’avvertenza di non farli retrocedere, ma oltrepassare la linea nemica attraverso gl’intervalli a bella posta lasciati fra le colonne, o fra gli uomini, se la carica si desse alla spicciolala. Cavalli contro cavalli potrebbero esercitarsi, senza spada, armati di flessibili bacchette che ne facessero le veci, ad investirsi, ad incastrare le linee, come in guerra, e non già accostumarsi ad evitare lo scontro; qualche lieve accidente, che potrebbe aver luogo, riuscirebbe utile per avvezzarli alquanto ai perigli della guerra.

Inoltre i 50,000 uomini di ogni circondario, tutti riuniti, verrebbero esercitati nelle marce d’evoluzione: disposti, ed esplorandosi come in guerra, eseguirebbero delle marciate di otto a dieci miglia, pronti sempre ad un convenuto segnale a schierarsi in battaglia, tanto per testa come pei fianchi e per le spalle. Durante la marcia verrebbero esercitati a cangiare dispositura, facendo testa dei fianchi o delle spalle.

Ogni tre anni tutti i militi verranno chiamali alle bandiere, se ne formeranno due eserciti, i quali per tre mesi, osteggiandosi campeggeranno, e questi grandi simulacri completeranno l'istruzione delle milizie. Solo in tal guisa l’esercito acquista quell’unità d'azione, certa guarentigia della vittoria; questa non è l’unità, l'insieme, che il volgo cerca nel maneggio delle armi nella misura del passo, ma quell’unità per cui le varie suddivisioni di un esercito, i varii corpi in esse, la disciplina, l'amministrazione.... tutto ingomma cospiri al medesimo fine, e proceda secondo gli ordini del generale; quell'unità che risulta dall’universale opinione che l’esecuzione precisa degli ordini ricevuti è il miglior modo di adoperarsi al comune vantaggio, e che, per soverchio zelo, far più del prescritto può nuocere quanto il farne meno.

In queste esercitazioni, dovendosi abituare i militi alle discipline della guerra, bisogna governarsi come se realmente si combattesse, e punire con la medesima severità le colpe; ed i capi non tralascieranno di richiamare l’attenzione dei giovani, mostrando loro le tristi conseguenze che avrebbero potuto risultarne; e come alcuni ordini in apparenza o troppo arrischiati, o troppo timidi, si riconoscano giustissimi, giudicandoli come parte del disegno del generale; e però ignorandosi in guerra i progetti de' capi, chiunque dovrà astenersi dal sindacare e da intempestive osservazioni, e prontamente ubbidirà: in tal guisa, questa cicca ubbidienza, dura pei novizii, diviene costume e sarà l’effetto non già del timore, o della servilità dell’animo, ma di un profondo convincimento.

Oltreché, questi grandi simulacri triennali, non solo saranno scuola pei generali, ma daranno campo di giudicare se posseggano le qualità indispensabili ad esercitare il comando.

Con un disegno strategico ben concepito e rapidamente eseguito, corresi inaspettati addosso al nemico, e si ottengono tali vantaggi da considerare quasi come vinta la battaglia che ne segue; quasi sempre la vittoria strategica é stata coronata dalla vittoria tattica. Ma per concepire ed effettuare un disegno strategico è indispensabile la più difficile di tutte le qualità, il carattere; altrimenti riesce impossibile, se questo è difettivo, padroneggiare nell'attacco, come nella difesa, gli eventi. Comunemente nessun generale è capace di seguire un disegno prestabilito; i due avversarli si fronteggiano prendendo norma l’uno dall’altro; quindi l’ondeggiare, e quelle mosse di guerra che senza scopo e utilità stancano le soldatesche; finalmente avviene che con possono più schivare in battaglia; allora quando sieno uomini di poca levatura, deliberando stretti da necessità di consiglio, commetteranno gravi errori nel disporre le schiere, che verranno ad urlarsi, ed il caso, o il valore delle soldatesche deciderà la conteso, che sarà momentanea; imperocché, dopo la battaglia, le cose, per mancanza di disegno, rimarranno nello stato medesimo di prima.

La strategia non può apprendersi in un trattato, ma studiando la storia militare di tutte le epoche; e ne scovrirà il segreto solamente colui a cui la natura il disse; a cui la natura concesse una tale predisposizione, la quale se trovasi isolata in un uomo, basterà a costituire lo storico militare, se poi sarà eziandio uomo di propositi, se avrà vastità di pensieri, ordine nelle idee, operosità, energia, valore… si avrà il generale. Pi tutte queste qualità, la maggior parte possono manifestarsi nelle esercitazioni triennali che proponiamo.

I due generali, raccolti gli eserciti in provincie l’una dall’altra lontana, innoveranno alle armi prefiggendosi uno scopo, nò l’uno saprà del disegno dell’altro; essi dovranno a loro talento stabilire la base delle loro operazioni, dirigere le vettovaglie secondo le mosse dell’esempio, e questo secondo il disegno. I due avversarli avvicinatisi al punto di venire a battaglia, colui il qual# conservando le proprie comunicazioni abbia tagliate le vettovaglie al nemico e trovisi incontro ad esso quivicon pari forze, avrà gran vantaggio, e sarà ilvincitore; però la parte strategica conserva quasi tutti i caratteri della realtà. 11 concetto, l’ordine nelle idee e nel dare i necessarii provvedimenti per l’esecuzione si manifesteranno in queste esercitazioni come in guerra. La forza dell’indole, in parte, sarà pure manifesta; imperocché quantunque non pesi su di loro la grande responsabilità che porta conscia guerra, pur nondimeno, se da tali evoluzioni dipenderà, durante la pace, la fama del generale, e se dovranno secondo la loro volontà muovere per lungo tratto di paese numerosa soldatesca, si conoscerà subito l’uomo di niun proposito, che muta pensiero secondo le circostanze e che dura la maggior fatica per decidersi, né mai si decide, e cosi dopo tali esperimenti, il solo valore, di tutte le qualità la più comune e la più facile a riscontrarsi negli uomini, potrebbe rimanere dubbia.

Fin qui non esponemmo che la sola parte strategica, ora ci faremo a discorrere della tattica. 11 momento della battaglia giunto, incominciasi a trarre; tutti gli assalti si arresteranno a dicci passi dl nemico, rimanendo le soldatesche in quel luogo, finché i due capi non abbiano manifestato i loro disegni, e tutte le schiere siano entrate in azione; allora, in grande scala, verrà rilevato il piano della battaglia, ed un congresso di tribuni, portandosi sul luogo, considerando le condizioni strategiche in cui si trovano i due eserciti, l’importanza dei punti su cui ciascuno capo dircssei suoi principali sforzi, la gagliardia delle forze che avrebbero dovuto urtarsi, ed il modo come sono state dirette, deciderà, supponendo parità di valore fra le schiere, chi sarebbe stato il vincitore.

Di quanto ammaestramento non sarebbero cotesti simulacri, in cui, meno il trar delle armi, nel|resto ogni uno condurrebbesi come in guerra!

Tutte le incombenze degli ufficiali degli esploratori, di spiare il nemico, indovinarne i. disegni, contarne il numero, e tutti i servizii che si comprendono sotto il nome di piccola guerra, meno il sangue, dovranno eseguirsi nel modo stesso che operando davvero.

I moderni usano pure coteste grandi esercitazioni, ma in qual modo eseguite?

La parte strategica, quella che maggiormente potrebbe in simili ludi praticarsi come se nemico davvero fosse il competitore, viene esclusa: non rimane che la tattica, in cui spesso il medesimo generale (stupida e ridicola pretesa!) si fu a comandare ambe le parti: quindi la cosa è assurda, come sarebbe una partita a scacchi giocala da un solo. Coteste esercitazioni non possono considerarsi come l’assalto che due schermitori, per addestrarsi, eseguono con armi cortesi; ma bensì come que’ duelli da scena, ove si stabiliscono i colpi, le parate, i passi e finanche il cadere del vinto; eppcrò quei ludi non sono scuola di guerra.

XXXI. Siam venuti determinando le armi, il vestito, gli ordini, la ripartizione, la forza dell’esercito; abbiamo ragionato del modo come suscitarne le passioni, conferire i gradi, ammaestrare i capi, addestrare le schiere; ora bisogna stabilire come scegliere fra i cittadini coloro che dovranno comporre l’esercito, ovvero come are il deletto.

I moderni, considerando come una necessità di conservare sempre in essere un forte nerbo di milizie, sogliono dividere i cittadini in varie classi destinate successivamente, e secondo gli eventi, a sottentrare alle armi. Questo metodo non è ammissibile in uno Stato liberamente costituito; in esso l’esercito dev’essere uno, e [proporzionalo, come dicemmo, alla natura del paese che bisogna difendere; il resto dei cittadini verrà a far parte di esso per reintegrarlo, ma secondo la legge stabilita dal deletto, e non già come classe o come corpi già impiantati.

Ogni cittadino, per obbligo e per proprio utile deve essere pronto a prendere le armi a difesa della patria finché dall’età non gli venga tolto il necessario vigore, il che, secondo le leggi fisiologiche avviene ai So anni; ma le temperie cosi robuste sono rare, ed ordinariamente a 50 anni un uomo comincia ad essere incapace a sopportare le fatiche della guerra: quindi il servizio militare sarà obbligatorio per 32 anni: dai 18 ai 50 anni si potrà, in caso di bisogno, essere chiamati, ma richiedendosi il massimo vigore, gli ascritti saranno i giovani dai 18 ai 25, fra cui bisognerà eseguire il deletto.

I Romani non costumavano ricorrere alla sorte; i tribuni sceglievano nel popolo i più addatti alle armi; quindi il peso della guerra lo sopportavano solamente i più robusti fra i cittadini. Ma le armi ed il modo di combattere dei moderni non richiedendo la forzare la destrezza ch’era indispensabile a quelli, con maggior giustizia e senza tema di verun danno può affidarsene alla sorte la scelta.

Inoltre devesi considerare che, sotto un governo assoluto, i vagabondi, i mendichi, coloro i quali cercano impunità ai loro delitti, sono i soli che volontariamente corrono ad arruolarsi negli eserciti stanziali, tenuti a vile dal resto dei cittadini, e quindi in tali eserciti i volontarii sono gente molesta in pace e codarda in guerra, ed a ragione poco pregiala; mentre invece in una nazione ove non possono trovarsi, in forza delle istituzioni, né vagabondi, né mendichi; in cui il milite non abbandona mai il carattere di cittadino, né fa parte di consorteria, quale è l’esercito permanente, né percepisce stipendio, i volontarii saranno quelli naturalmente inclinati alla milizia, e però i migliori guerrieri possibili. Perciò un esercito di volontari, in tali condizioni, senza più, sarebbe il. miglior degli eserciti; quindi nel fare il deletto, la preferenza l'avranno i volontarii: esauriti questi, il resto de militi necessario, completare il numero stabilito si chiederà alla sorte.

Dovendo comporsi l’esercito, in ogni circondario militare, al suffragio universale, verrà eletto un consiglio, che dovrà |regolare la tratta secondo le leggi e gli ordini già approvati dall’intera nazione; e sarà detto Consiglio del Deletto. Questo consiglio nominerà i chirurghi, i maestri di scherma e di ginnastica, destinati a giudicare di quelle fisiche imperfezioni che rendono l’uomo inabile alla guerra. Quindi si procederà «l sorteggio fra i giovani dei 18 ai 25 anni, dopo avere accettati come volontarii tutti coloro che si saranno presentali. Ciascuno, sia volontario o chiamato dalla sorte, avrà il diritto, finché vi sarà sapienza, di scegliere il, corpo in cui vorrà servire: solamente non potranno far parte né dei Corazzieri, né dell’artiglieria coloro che tengano una statura minore di cinque piedi; in questi due corpi tale condizione è indispensabile, negli altri l’inclinazione è la migliore di tutte le qualità. Il Consiglio distribuirà i militi in battaglioni, compagnie, squadroni, batterie, secondo le leggi e gli ordini stabiliti, e quindi farà loro eleggere coi metodi indicati, gli ufficiali. Compita l’elezione, consegnati i cavalli a coloro che dovranno averli, formata la matricola degli uomini e degli animali, di cui una copia sarà spedila all’archivio del Tribunale militare, verranno consegnate alle schiere, dal medesimo consiglio, le armi, gli attrezzi da guerra, le bandiere. I militi rimarranno negli ordini il tempo stabilito per la loro istruzione; gli ufficiali andranno alle rispettive scuole.

Ora verremo a discutere della durata che dovranno avere i gradi conferiti. L’irrevocabilità degli ufficiali è un’ingiustizia verso i giovani che successivamente entrano a far parte dell’esercito, i quali per condona, dottrina e valore sarebbero meritevoli di rapidi avanzamenti; essi non potranno occupare il posto che meritano per essere nati troppo tardi fra quelli già eletti: molti, senza colpa positiva, si renderanno indegni del grado che occupano, ma bisognerà subirli perché una volta furono eletti. Ad ogni piè sospinto, urtiamo contro i pregiudizii, che risultano dal sistema feudale e dal dispotismo, pregiudizii, i quali intralciano, falsano le istituzioni più liberali; per cagione loro le cariche una volta conferite sono a vita, sono eterne; gli errori una volta commessi sono irremcdiabili. Se i militi hanno il diritto di eleggersi gli ufficiali, perché non avranno quello di annullare ciò che essi medesimi hanno fatto? L’elettore ha sempre il diritto di ritirare il suo mandato, di annullare la sua elezione; questo principio è il solo che garantisce la sovranità del popolo; quindi i militi potranno, volendolo, sostituire altri agli ufficiali da essi creati. Ma quantunque in uno società costituita come noi supponiamo ogni ascendente particolare sia tolto, perché l’utile maggiore si riscontra nell’utile pubblico, e però l’annullamento delle elezioni non avverrebbe mai per mire o vendette particolari, nondimeno, noi regoleremo cotesto diritto, senza ledere la sovranità degli elettori. Imperocché la milizia non è la società, ma una condizione eccezionale, temporanea, alla quale per utile pubblico sisottomette una parte de' cittadini, e quindi non havvi ingiustizia, né inconvenienza se eglino medesimi stabiliscono, per maggior ordine, un limite alla sovranità.

Il tempo, che un ufficiale dovrà rimanere nel grado che gli è stato conferito, debb’esseretale da Compiere la sua educazione militare e mostrare la sua abilità, e però non potrà esser meno del tempo stabilito per addestrare ed ammaestrare l’esercito, ossia tre anni; come del pari non è possibile inmeno di tre anni che inuovi ammessi nell’esercito possano guadagnare la stima de' militi e mostrarsi meritevoli di qualche grado.

Stabilita cotesta regola, ogni triennio, al termine delle grandi evoluzioni, la metà dell’esercito verrà licenziata e rimpiazzata dai nuovi volontarii e dalla nuova tratta; i gradi annullati tutti, e le elezioni rifatte; ad ogni uno nella conferma della sua carica, nell'avanzamento, o nell’essere privalo di un tale onore, troverà il premio o la pena della sua condotta.

Incaso di guerra, quantunque trascorso il triennio, non si farà nuova leva, ma per contro le elezioni degli ufficiali saranno annullate e rifalle eziandio se non fosse trascorso il tempo stabilito per la durata delle loro cariche; imperocché rileva sommamente correggere gli errori commessi, ed entrare in guerra con ufficiali i quali godono l'intera fiducia dei militi.

Ogni militare durante il tempo che trovasi ascritto alle bandiere non avrà altro obbligo se non quello di presentarsi alle epoche delle esercitazioni: i contumaci verranno puniti da forte multa. Colui che in caso di guerra manchi alla chiamata, sarà bandito infame e codardo, privato dei diritti civili, è messo fuori della legge.

Ad ogni cavaliere verrà fornito il cavallo dallo Stato ed avrà i foraggi, in natura, pel mantenimento di esso. Dei cavalli necessarii all’artiglieria, un terzo saranno proprietà dello Stato e nutriti a sue spese, gli altri due terzi, come ancora quelli dei traini, delle munizioni, attrezzi, vettovaglie, saranno matricolati, ma di proprietà particolare, da consegnarsi solo in caso di guerra o di esercitazioni.

Ogni qualvolta un militare verrà accusato di adoperare per tiro il suo cavallo da sella, il Tribunato, di cui parleremo, lo priverà del cavallo e Io condannerà ad una multa, per la metà o terza parte del costo di esso.

Un tale esercito, non costerà allo Stato che la prima spesa di armi, attrezzi, macchine da guerra, carriaggi, e continuamente il nutrimento di 60mila cavalli.

Come risulta dall’esposto, la durata del servizio è di sei anni, scorsi i quali, ogni cittadino sino ai 50 anni potrà sempre essere richiamato alle bandiere; ma ciò non avverrà certamente in una nazione la quale può sempre sortire in guerra con un esercito di 550 mila uomini.

Nondimeno, il resto dei cittadini saranno tutti militi; in ogni comune verranno ripartitiin battaglioni, e saranno armali, vestiti, ordinati nel modo stesso che i fanti dell’esercito: i gradi eletti, ed ogni tre anni, rifatta la ripartizione e rieletti i gradi.

In queste milizie non vi saranno gradi superiori a quelli di colonnello, ovvero comandante di battaglione, i quali saranno indipendenti gli uni dagli altri, indipendenti dal comando dell’esercito, ma essi non avranno altra incombenza che l’ordine interno del proprio comune, e dipenderanno perciò dai magistrati del comune stesso;

Queste milizie non saranno né le classi dei moderni, né la guardia nazionale, ma le tribù in cui dividevasi l’antica Roma: e ripartiti In tali ordini si presenterebbero i cittadini in tutte le pubbliche adunanze.

Ogni uno che termina il suo servizio nell’esercito, sarà milite nel suo comune qualunque sia stato. il suo grado finché al tempo stabilito non gli venga da' suoi conterranei conferita la carica di cui lo credono meritevole; lo stesso avverrà di coloro, che da queste milizie passeranno a far parte dell’esercito.

In caso di guerra queste milizie forniranno i presidii alle piazze se tutto l’esercito dovesse campeggiare, e solo in tal caso, ed in tale condizione dipenderanno dal comando militare.

Ma di già siamo discesi in particolari che ci traggono dal nostro proposito, e perciò passeremo al capitolo seguente col quale finirà questo Saggio e l’opera tutta.


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CAPITOLO OTTAVO

XXXII. Giustizia militare. — XXXIII. Tribunato militare. — XXXIV Conclusione — XXXV. Come tale ordinamento adattasi ad un’insurrezione.

XXXII. 0e l’ordinamento dell’esercito e le leggi che Io reggono debbono strettamente legarsi conte istituzioni sociali, ne segue che la giustizia militare dovrà seguire le stesse norme. In una nazione in cui la libertà é un fatto, l’arbitrio è bandito, la vita dei cittadini, che combattono a difesa della patria, bisogna che venga gelosamente garantita dall’arbitrio de' capi militari. Nondimeno le pene non possono essere le medesime adottate nell’ordine civile.

Le ragioni addotte dall'immortale Beccaria contro la pena di morte perdono, allorché si applicano all’esercito, la loro importanza.

L’esercito rappresenta una parte di cittadini, che si sottopongono a certe leggi e ad uno speciale reggimento, onde difendere la società da una imminente ruina. Colui che trasgredisce queste leggi, questo statuto, da lui medesimo riconosciuto necessario, non solo offende la società, ma la minaccia di morte, e però la sua colpa, in campo, supera per le sue tristi conseguenze qualunque orribile misfatto civile, che non potrà mai, per quanto terribile fosse, cagionare la ruina dell’intera società.

Inoltre, se un reo di morte, per un misfatto militare, venisse consegnato alla podestà civile per subire la pena alla morte sostituita, egli toglierebbesi in lai guisa ai perigli della guerra, e siccome, per natura temesi sempre il pericolo imminente mollo più che il lontano, e tanto maggiormente quando l’uno minaccia di morte e l’altro assicura la ita, che comunque trista mai è scompagnala da speranza, le file dell’esercito sarebbero ben presto diradate; il misfatto diverrebbe mezzo pei codardi onde sfuggire alle offese nemiche.

La ragione più potente, addotta contro la pena di morte è l’utile maggiore che otterrebhesi del pubblico e continuato esempio della trista e misera vita del malfattore, in confronto al passeggierospettacolo della morte. Ma la riunione dell’esercito, essendo temporanea, il luogo della sua dimora é mutabile, questo vantaggio svanisce; quindi l'utilità, il bisogno di una pena che possa facilmente e prontamente infliggersi, che colpisca l'immaginazione degli spettatori, che mostri, come colui il quale compromette la salute dell’esercito e della nazione, per sottrarsi al ferro nemico, non fa che evitare una morte, probabile ma glorioso, ed incontrarne un’altra certa ed infame.

Finalmente, se le pene si propongono come fine di minorare gli effetti che risultano dall’urto degli opposti interessi privati, bisogna proporzionarle al sacrificio che ognuno per vivere in tale società è obbligalo di fare al bene pubblico: e siccome nell’esercito si rinunzia, non giù alla minima parte possibile di sua libertà, ma alla libertà tutta intera, cosi per impedire che tale società si dissolva prima di conseguire il fine bramalo, è forza che le pene siano molto più severe che quelle necessarie al vivere civile. Quindi la pena di morte ha, per l’esercito, tutte le qualità che si richieggono per far sì che una pena sia giusta, imperocché essa è pronta, necessaria, efficace per l’esempio, proporzionala ai delitti.

Posto ciò, annullando quella lunga ed imbarazzante distinzione di delitti, e di pene, li divideremo in due classi: quelli i quali compromettono la salute dell’esercito, o la riuscita di qualunque operazione di guerra, e quelli che non la compromettono: gli uni e gli altri vanno poi distinti come segue:

1.° Negligenza nell’adempimento de' proprii doveri, in un’incombenza ricevuta, che potrebbe compromettere la riuscita di una operazione.

2.° Disobbedienza, o mancanza di rispetto, che potrebbe compromettere la riuscita di un’operazione di guerra.

3.° Negligenza che non potrebbe aver conseguenze di tal sorte.

4.° Disubbidienza come sopra.

Ogni altro delitto va considerato come di ragion civile; il militare che ne sarebbe colpevole, a guerra finita, verrebbe giudicato secondo le leggi della nazione.

La prigionia in campo è una pena che imbarazza, ed è di pochissima efficacia, quindi pei delitti delle ultime due specie, le pene consisteranno in multe ad essi proporzionate. Per quelli delle due prime specie, la morte dovrà essere inesorabilmente applicata.

I delitti classificati, siccome offendono direttamente la sovranità dell’esercito, che scorge in altri negligenza, o non è prontamente ubbidito, deve immediatamente denunziare il reo. I giudici debbono fare il sillogismo semplicissimo indicato da Beccaria:la maggiore debbe essere la legge generale; la minore, l’azione conforme o pur no alla legge; la conseguenza, la libertà o la pena. Qualunque interpretazione dovrà essere bandita dalla giustizia militare.

Il giudice deve essere competente, imparziale e severo: le due prime condizioni si richieggono per securtà dell’accusato, l'ultima per vendicare la lesa maestà dell’esercito.

Le moltitudini son quelle che soddisfanno a queste condizioni: sono competenti perché in loro risiede la sovranità; la diversità ed il numero delle persone che le compongono ne garantiscono l’imparzialità; la loro stessa natura, ne assicura il rigore, ed in tal guisa la pena sarà essenzialmente pubblica.

Ne’ governi assoluti o temperati dei moderni, in cui tutto procede dall’alto al basso, non si può né vuoisi lasciare alcun diritto alle moltitudini di cui usurpa la sovranità, e però si è introdotto nei consigli di guerra il costume di fare che i giudici siano di grado uguale o superiore All’imputato, e ciò con danno della giustizia e speditezza nel procedere. Per qual ragione coloro i quali sono chiamati a decidere se un fatto è avvenuto o pur no, dovranno essere rivestili di un grado più tosto che d’un altro? È forse atto autorevole il pronunciare la sentenza? Mai no: essa trovasi distintamente scritto nel codice, ed esprime la volontà della nazione, e non già di chi la bandisce.

La procedura di guerra bisogna che sia speditissima e semplice; noi l’esporremo sommariamente avendo a norma le due seguenti condizioni. Chiunque vede una colpa, o soffre una disubbidienza, si porterà immediatamente dal comandante della compagnia, dei battaglione, della brigata, secondo la sfera del servizio a cui si riferisce la colpa, o al comandante di distaccamento, se mai fosse una frazione di soldatesca spiccata dal corpo, ed esporrà la colpa commessa, la disubbidienza; il comandante, allora, se la colpa é grave, dovrà immediatamente radunare i militi da esso dipendenti, se è lieve attenderà la prima riunione che dovrà aver luogo nelle ventiquattro ore. L'accusatore al cospetto dei militi espone il fatto, adduce le prove: l'incolpato, da sè, si difende come può; due terzi di voti lo dichiarano convinto; allora il comandante di quella frazione apre il codice e legge la pena. Seguirà immediatamente l’esecuzione della sentenza. Se il comandante è l’accusatore, la pena sarà letta da chi immediatamente lo segue in grado.

Se la colpa commessa si riferisce al servizio dell'intera legione, il ricorso sarà portalo al comandante di essa. L’imputato potrà scegliere il corpo, dal quale vorrà essere giudicalo, fra quelli accampati i più vicini, che non potrà essere quello a cui esso appartiene.

Questa procedura dovendo applicarsi eziandio alle più leggere negligenze, rimane tronca ogni via all’arbitrio, ed ogni pena sarà dettata dalla legge.

L’accusatore, nella monarchia, dalla società è dichiaralo infame denunziante, giudicando per istinto, perché l’utile del monarca è in opposizione con quello dei popoli; ma in un esercito cittadino 'colui che svela le colpe che si commettono, mostrasi sollecito del pubblico bene, e merita l’universale commendazione.

In ultimo se in guerra richiedesi somma severità nel punire, non è meno interessante lo stabilire il modo di premiare. Le azioni elm meritano premio sono le prove non comuni di astuzia guerresca o di valore personale, che acquistano maggiore importanza se hanno contribuito alla riuscita di una qualunque operazione militare, ed entrano poi in una sfera più elevata, se hanno facilitato le operazioni dell’esercito intero.

I compagni d’armi, testimoni di tali fatti, sono quelli che giudicano, che stabiliscono il premio, il quale sarà un’arma d’onore, o una medaglia su cui verrà scolpito l'avvenimento; e queste armi, queste medaglie verranno fatte a spese di quella parte medesima dell’esercito che ha giudicato il fatto degno di premio.

Ma il disegno del generale non essendo noto ai militi, questi non potranno giudicare se il fatto da essi dichiarato Segno di premio abbia o pur no contribuito al felice risultamento della campagna; una tale decisione verrà pronunciata dal Tribunato militare di cui or ora terremo parola. Questo congresso di generali stabilirà il premio che merita l’eroe, premio che gli verrà conferito dalla legione a cui appartiene o dal circondario militare di cui fa parte, se la sua azione avrà contribuito al felice risultamento d’operazione eseguito dalla legione; e gli verrà conferito dall’esercito intero o da tutto la nozione, se ha giovato alla riuscito delle operazioni dell’intero esercito. Quale differenza fra un premio, così ottenuto, cosi solennemente conferito, ed i ciondoli che si distribuiscono da ignoranti principi, o da qualche ministro lontano dagli avvenimenti e giudice incompetente del fatto!!

Da ultimo, la gendarmeria, in alcuni Stati dalla corpo dei carabinieri dediti a spiare la vita privata dei cittadini, vengono incaricati della polizia del campo. Questo corpo, per le sue funzioni, è in uggia ai cittadini in città ed ai militi in campo; esso non può esistere in una società ove la sovranità del popolo e la libertà siano un fatto; e però come i cittadini stessi provedono in città alla pubblica sicurezza, del pari in campo, i varii corpi, alternandosi con continua vicenda, veglieranno a tutela dell’ordine.

Siamo oramai al termine del lavoro; non restaci a ragionare che del Tribunato militare, varie volle nominato, e riassumerne l’azione e l'autorità.

XXXIII. Questa suprema podestà militare sarà un congresso z composto di tutti i tribuni ed i maestri di campo dell’esercito. Tutti gli anni ad un’epoca stabilita si radunerà e sceglierà dal proprio seno alcuni delegati, destinati a percorrere i varii circondarii militari per assicurarsi dell’esatto adempimento delle leggi che regolano l'ordinamento, l’istruzione, la disciplina dell’esercito; essi si assicureranno dello stato in cui trovasi il materiale di guerra in ogni circondario militare, del modo come procedono i lavori negli stabilimenti, quali sooql’ufficio topografico, le fabbriche d’armi, gli arsenali, le fonderie, i cui impiegati e direttori verranno tutti nominati dal tribunato, che dovrà sceglierli fra gli officiali dell’esercito. Passeranno a rassegna i cavalieri che si trovano in ciascun circondario ed esamineranno accuratamente il modo come tengono il loro cavallo, ma non potranno né farli allontanare dal luogo. di loro dimora, né distoglierli, più che una volta la settimana, dal loro lavoro. Dovranno eziandio sopraintendere alle varie scuole che vi sono per l’esercito, ed alle evoluzioni di battaglione, di squadrone ecc., che dovranno aver luogo all’epoca stabilito.

Quando dovranno radunarsi tutte le schiere di ogni circondario, il Tribunato sceglierà dal suo seno gli undici comandanti; i quali al termine dell’esercitazione presenteranno una particolareggiato relazione di quanto si è praticato da essi.

Giunto l'epoca delle esercitazioni triennali, il Tribunato nominerà i comandanti dei due eserciti, che dovranno simulare ima campagna, determinerà il teatro della guerra, e lo scopo a cui essa mira. I comandanti, a lor volta, destineranno gli altri membri del congresso ai comandi delle legioni e divisioni dell'esercito, meno cinque di essi, nominati dal Tribunato, che non prenderanno parte a tali esercitazioni, ma formeranno la commissione destinata a decidere, come abbiano dello, dell'esito delle battaglie.

Terminate le esercitazioni, il Tribunato si riunirà di nuovo, meno i due che hanno esercitato la carica di comandanti di eserciti, e giudicherà del merito di questi; decreterà una medaglia d’argento a colui che avrà dato prova di molta capacità militare, e dichiarerà incapace di capitanare eserciti quello che avrà commessi errori troppo gravi. Quindi pubblicando in un volume la relazione di quanto esso ha operato e le considerazioni da esso fatte, durante la sua gestione, dichiarerà annullati tutti i gradi dell’esercito, e si scioglierà.

Immediatamente in ogni circondario verranno detti i consigli del deletto, si raduneranno i militi; verranno licenziati la metà di essi, e si procederà alla ricomposizione dell’esercito.

Fin qui le funzioni che il Tribunato militare dovrà esercitare, durante la pace. Ora discorreremo delle sue attribuzioni incaso di guerra, la nazione intera ha il diritto di bandire la guerra. In tal caso il Tribunato militare radunasi, indica colui che crederebbe capace di capitanare l’esercito, nomina coloro che da esso consesso sono ritenuti come incapaci; dichiara annullati i gradi dell’esercito, di sé stesso e sciogliesi.

Nominati i consigli di deletto, essi in ogni circondario raduneranno tutte le milizie, e si procederà all’elezione dei graduali, e del nuovo Tribunato; le milizie sì terranno tutte apparecchiate a muovere.

Il Congresso, o la Convenzione nazionale, farà nolo al nuovo tribunale il nemico, ed il fine che si propone la guerra dichiarata. Il tribunato eleggerà dal suo seno il generale, e questi sceglierà fra i tribuni il maestro generale del campo, e determinerà le forze che egli crede necessarie per menare a compimento l’impresa. Il Tribunato stabilirà la porzione contingente che dovrà somministrare ogni circondario, e comunicherà alla Convenzione nazionale il nome del generale, l’esercito da lui richiesto, la quota che ogni circondario dovrà somministrare. Il Congresso bandisce il nome del generale, e gli conferisce pieni poteri per quanto concerne a raccogliere le forze ed i, sussidii necessarii alla guerra; da quel momento cessa da qualunque relazione col nemico, incontro al quale la nazione, è rappresentata dal capo del suo esercito, la cui incombenza non è di ragionare, ma operare. Fatto ciò il Tribunato militare si dichiara sciolto. I consigli di amministrazione militare eleggono il Questore ed i Commissario.

Il generale nomina i comandanti delle legioni e delle divisioni, scegliendoli dal tribunato.

Ripartisce l'esercito.

Stabilisce la base.

Entra in guerra.

Ora ci faremo a dire perché lasciammo al generale la scelta del maestro generale del campo; e quindi. parleremo dei tempo che dovrà durare il suo comando.

Il maestro generale del campo, dai moderni detto capo dello Stato Maggiore Generale, deve essere un uomo in cui il generale riponga piena fiducia; non deve esistere fra loro alcuna rivalità; gli ordini e le provvidenze con cni debbono regolarsi le mosse delle varie colonne, e che debbono emanarsi dal maestro generale del campo, variano secondo le operazioni che ognuna di esse deve compiere e secondo il fine a cui tende il disegno di guerra. E però il generale non può niente occultargli; bisogna che gli sveli i suoi disegni, le sue mire, le sue speranze; ed ogni circostanza che minorasse la fiducia fra questi due capi dell’esercito, che debbono formare una sola volontà, sarebbe sommamente nociva.

Le qualità che si richieggono per una tal carica sono le medesime che deve avere il generale, meno una; le più vaste cognizioni dell’arte bellica; perfetta conoscenza della natura, delle proprietà delle varie armi, del terreno, dell’adattamento alla giacitura di esso, degli ordini e delle evoluzioni; capacità di esprimere, in modo piano e distinto le più complicate mosse, che servono a conseguire uno scopo; quindi ordine perfetto nelle idee, forse in un grado più emittente che non richiedesi nel generale, stesso; abilità nel conoscere gli uomini di valersene; giustizia non che una certa scaltrezza; valore. Ma la qualità la più rara, l’indole, la fermezza dei suoi propositi non deve essere la stessa che richiedesi nel generale; ad esso non è necessaria quella calma, quel pronto discernimento per cui, fra i più gravi perigli, un generale vede tutto e senza esitanza risolve ed opera; il maestro generale del campo non fa eseguire gli ordini che riceve; egli non è neppure responsabile dei suoi progetti; la responsabilità del pari che la gloria appartengono al generale, il maestro generale del campo resta nell'ombra. Egli, adunque, dovrà pareggiare il generale nella dottrina, nell’ingegno, nel valore, ma non già nel,carattere, anzi fa d’uopo che esso pieghi all'ascendente del generale, e però questo è il solo capace di scegliere l’uomo più addotto per esso, e tanto maggiormente, che secondo le proprie qualità possono avere più o meno importanza le qualità dell’altro, ed il generale saprà cercare quelle che ad esso convengono.

Nella costituzione elvetica, il Congresso nomina il generale, ed il capo dello Stato-Maggiore, ed adducesi come ragione, per un tal procedere, che un buon capo di Stato-Maggiore può minorare i danni che risultano dalla cattiva scelta del generale. Vano argomento, vana speranza; è questo un costume tolto di netto ai governi assoluti, di cui è stile concedere delle cariche pubbliche il lustro e il benefizio ai favoriti, il peso ai meritevoli. Il generale bisogna che veda co' proprii occhi, ed operi per sua volontà, altrimenti non potrà comandare; se è uomo che piegasi ai consigli del suo capo di Stato-Maggiore, piegherà eziandio a quelli di tutti coloro che lo circondano; l’ascendente di quello sarà contrappesato dall’ascendente che eziandio gli altri esercitano su di esso. L’ultimo a parlare avrà ragione; ogni possibilità di menare a fine un proposito svanisce, e sempre ondeggiando fra risoluzioni contraddittorie, in luogo di padroneggiare gli eventi, il generale sarà sempre trascinato da essi!

Parmi aver cosi dimostrato abbastanza i vantaggi, anzi la necessità di lasciare al generale la scelta di un tale ufficiale.

Il comando deve durare per una sola campagna; al termine di essa il generale rassegnerà la sua podestà e darà conto al tribunato militare di quanto ha operato; e il tribunato militare, o lo confermerà nel comando, o ne eleggerà un altro insua vece; e questo sarebbe il miglior consiglio. Così determinato il tempo, si avranno due vantaggi, l’uno di creare varie celebrità militari, a cui la patria possa affidare le proprie sorti, l’altro di evitare il temporeggiare; un generale per acquistar gloria e fama, non rimanderà alla campagna seguente quelle operazioni che potrà menare ad effetto, perchè facilmente potrà succedergli un altro, che farà quello che egli non ba fatto.

Rassegnato il comando, il generale rimarrà, col suo semplice grado di Tribuno, e militerà sotto gli ordini dei nuovo eletto. Nédi ciò, come alcuni asseriscono, soffrirà la disciplina; costoro fanno argomento da un r?giudizio e ragionano senza mai svincolarsi dal potere che esercitano sull’animo loro i principii sui quali si fondano i governi assoluti, in cui tutto è immobile, tutto è quasi ereditario; mentre è natura dei governi a popolo di considerare come temporanee tutte le cariche, ed accordare rispetto al grado, e non già a colui elle ne è rivestito; e le incombenze, a cui la pubblica opinione destina ogni cittadino cangiar debbono secondo i bisogni e Je condizioni del paese.

È strano lo scorgere che tutti gli scrittori, senza ragionare, ma facendosi eco uno dell’altro, cercano sempre imitare le istituzioni delle codarde e corruttrici monarchie moderne, e non già quelle degli antichi popoli che furono liberi e guerrieri; e per tutta ragione essi ripetono continuamente: i nostri costumi sono da quelli troppo differenti.

Come la materia di cui si compongono gli oggetti ha la proprietà di ripercuotere quel tale raggio di luce che risveglia in noi la sensazione del calore, nella guisa medesima le istituzioni, la correlazione degli interessi sociali, dell'utile privato col pubblico, sono tanti raggi, tanti effetti, che modificano il nostro animo, e ripercossi suscitano i sentimenti che formano le virtù cittadine. Fintanto che ogni fortuna elevasi sulle ruine altrui, e il privato arricchisce e vantaggia nella pubblica calamità, la schiavitù o la libertà della patria non cangia la condizione materiale dei cittadini: l’amor di patria, la fratellanza, sono una chimera, una derisione, sono illusioni di pochi che, senza comprendere queste virtù, se ne fanno gli apostoli. Cangiate il nome al reggimento, riformate come credete le politiche istituzioni, le cose con poca differenza,andranno nel modo stesso. Riformate invece le istituzioni sociali, cangiate la direzione degli utili privati, sole forze motrici d’ogni sistema sociale, da contrarie come sono, fatele cospirare nella medesima direzione al medesimo scopo, la grandezza dello Stato, ed allora le nostre tendenze cangieranno, senza aver bisogno né di libri, né di ammaestramenti; l’amor di patria, il sacrificio per essa diverranno in un istante sentimenti cosi naturali, quanto quello della propria conservazione. Chi non ammette tale principio, che in quest’opera abbiamo dimostrato ad evidenza ed è la base di tutto il nostro sistema, non discenda alla critica de’ particolari; il libro intero deve essere, per esso, un assurdo, né abbiamo scritto per coloro i quali credono che le virtù cittadine, per le moltitudini siano un sentimento che possa esistere indipendente dalle istituzioni sociali e non già un effetto immediato di esse.

Oltre le dette incombenze il tribunato militare, al termine della guerra, ne avrà un’altra più solenne, giudicherà la condotta, le operazioni di coloro che avranno capitanato l’esercito, decreterà per la lode o pel biasimo. Qual tribunale sarà di questo più competente? I medesimi individui che elessero questi capi: i maestri dell’arte; i testimonii dei fatti; gli esecutori dei suoi concetti. Qual tribunale più solenne di questo a cui convengono le sommità dell’esercito, nomini apprezzati e stimati dai guerrieri quanto il generale stesso? La decisione di qualunque altro tribunale non potrà mai adeguare l’autorità ed il credito, che questo avrà presso i militi e presso il paese.

Le vittorie dovute al caso, o ottenute a prezzo di sacrifizii non proporzionati ai vantaggi da esse prodotti, non usurperanno più le lodi che si debbono al vero merito; né il premio sarà lo stesso per colui che vince in virtù dei proprii concetti, e per quello che deve la vittoria al valore delle schiere. Verranno distinte le vittorie del generale da quelle dell’esercito; le prime verranno onorate con la statua equestre eretta nella città ove il generale ebbe i natali, ed il suo ritratto adornerà le pareti delle scuole militari; le seconde da» una semplice medaglia d’oro, o da un’arma d’onore.

Colui il quale commetterà errori tali da' meritare una disfatta, ancorché vinca poi per caso o straordinario valore delle schiere, sarà considerato meritevole di biasimo quanto colui che sarà vinto per incapacità; un bando del tribunato lo dichiarerà indegno di occupare i gradi sublimi. della milizia; e nelle nuove elezioni non gli potrà essere conferito un grado superiore a quello di brigadiere.

Il generale che abbia sempre mostrato le sue alte qualità, tanto nei disegni, come nel modo di condurre le operazioni, e per imprevedibili avvenimenti, o per colpa delle soldatesche sarà vinto, e nel disastro abbia mostrato sempre la debita calma e fermezza di proposito, sarà premiato, come colui che pei proprii concetti avrà riportata la vittoria.

Finalmente quei genii, che non solamente vincono, ma in una noia campagna riducono il nemico agli estremi, distruggono il suo esercito è pongono fine alla guerra con imprese come quelle di Marengo, di Jena; d’Austerlitz, saranno premiati col trionfo, celebrato nella città ove essi ebbero i natali. Cerimonia solenne e popolare ad un tempo, come quella per cui confondesi, dopo poche ore fra i cittadini colui che ne ba riscosso la pubblica ammirazione.

In ogni circondario militare, dopo ogni guerra, sarà eretta una colonna, che ne rammenterà gli eventi, e su di essa saranno scolpiti ì nomi dì tutti colore che vi presero parte, e distinti fra tutti i premiati.

É inutile aggiungere che il tribunato militare potrà opporsi ad ogni intrapresa contro la libertà. Né ciò, come stoltamente asserisce il volgo, può infiacchire la disciplinn dell’esercito: l’ubbidienza dovuta al capo per debellare il nemico non ha che fare con quella prestata per passare il Rubicone al comando del generale.

XXXIV. Siamo alla conclusione, e possiamo affermare che il nostro principale scopo è conseguito,'cioè garantire la patrio dalia prepotenza militare senza disarmarla. Gli utopisti, i dottrinanti esauriscono tutte le forze del loro ingegno per risolvere questo problema, per difendere la suprema podestà dalla prepotenza della forza, e degli uomini d’azione: ma i loro sforzi sono riusciti e riusciranno sempre vani, Imperocché eglino non vogliono spogliarsi da ogni podestà, ma vogliono conservarla, senza aver né là forza, né la virtù per sostenerla.

In pace come in guerra, finché esisterà una potestà incaricata di reggere, se non trovasi nelle mani di una dinastia, sostenuta dal prestigio, dalle tradizioni, dagl’interessi di cui s’è fatta centro, cadrà inevitabilmente nelle mani de' più forti, nelle mani di coloro che disporranno della parte armata dello Nazione.

Un esercito sarà sempre setta, e tanto più perniciosa quanto più libero sarà il reggimento: imperocché nei governi assoluti, in cui non si discutono né si hanno opinioni, l’esercito è passivo come il resto della nazione; pi non pensa, ma se pensa è possibile che pensi giusto; invece nei governi detti costituzionali l’esercito ha un’opinione, e questa opinione dovrà essere la tiranna del paese, quella che dovrà assolutamente prevalere perché propugnala da gente armata e unita da vincoli saldissimi.

Un reggimento d'uomini non militari con estesi poteri è il peggiore dei reggimenti. Sempre codardo, non perché tema il nemico, ma perché teme lo fama che i guerrieri acquistano in campo. Se costretto alla guerra, vedrebbe vinta la contesa e debellato il proprio esercito; spesso tremasi più d’una vittoria che d’una disfatta. Si scelgono a capitanare le schiere uomini di poca levatura sperando padroneggiarli. In tal guisa chi governa disonora il paese anteponendo ad esso la sua personale sicurezza, sotto pretesto di garantire la libertà che si strozza col raggiro e con la corruzione.

Molti, privi di senso pratico, immaginano supreme podestà militari da essi create, da essi dipendenti, che dovrebbero dirigere la guerra, giudicare i generali, per costoro, i fatti non hanno valore: essi non giungono a comprendere che non havvi tribunale. che possa giudicare un generale vittorioso, se non quello composto da persone quanto il generale stesso care alle milizie; qualunque altro tribunale, lontano dai perigti della guerra, comeché di militari, ma militari senza comando, sarà dall'esercito sprezzato e manomesso. Coloro che governarono la Francia durante la rivoluzione, che inviarono alla morte molti generali, vennero per un certo tempo guarentiti dai numerosi eserciti che la ragion di guerra e le frontiere richiedevano; si sostennero perché le riputazioni dei varii generali si facevano reciproco contrappeso, pur nondimeno finirono per soggiacere alla forza, ed un governo sostenuto dal terrore nelle mani del più forte, per immancabile legge, si ridusse. La Francia moderna, ondeggiante fra le velleità repubblicane di pochi e gl'istinti monarchici della nazione, creò un presidente con regio potere e poderoso esercito; ed a guarentigia della libertà, altro non eravi che un’assemblea d’imbelli parlatori, una suprema corte di giustizia, un giuramento. Il presidente comprò l’esercito e fecesi assoluto imperatore, ma l'impero non è stato creato da Bonaparte, esso già esisteva nella costituzione del paese. Bonaparte non ha dovuto che cangiar nome ed imporre silenzio all'importuno garrito dei dottrinanti.

Noi abbiamo risoluto il problema seguendo una via diversa da quella frequentata dal volgo: non abbiamo concessa podestà e poi cercato d’imbrigliarla con mille ripieghi. e ritrovati strani; non abbiamo armato il nemico e poi cercato difenderci contro le armi da noi stessi affidategli; noi non abbiamo concesso ad alcuno la facoltà di nuocerci: librati gl’interessi sociali su giusta lance, la società, senza sottoporsi a supreme podestà, reggesi da sé medesima e risulta equilibrala di fatto. Abbiamo formato l’esercito, ma gli interessi particolari di ogni milite li tenemmo indissolubilmente legali al paese; il suo utile dipendente dalla sua condizione di cittadino, non già di soldato; quindi l’esercito ha cessato cosi di essere setta; all’amor proprio di corpo abbiamo sostituito il sentimento nazionale; e l’unità di comando e dazione è risultato non già di un’esistenza staccata da quella della nazione, ma del modo di ammaestrare le schiere, che trasforma l’ignobile dogma delta cieca ubbidienza in convinzione profonda.

Chi dubiterà che il migliore guerriero, con tale istituzione non capitani l’esercito? Egli assumerà il comando, né troverà al disopra di sé nessuna podestà che possa intralciare i suoi disegni: la nazione l’incarica di debellare i nemici, e lascia che egli medesimo determini il numero delle soldatesche, ed i sussidii necessarii all’impresa. Un tribunale terribile, i suoi compagni d’armi, esecutori dei suoi disegni, cari alle soldatesche quanto egli medesimo, dovrà giudicarlo e decretare la sua gloria o la sua infamia. Il tempo, per mostrare la forza del suo ingegno, la sua abilità, per guadagnarsi fama ed onore brevissimo, una campagna, condizioni che tutte concorrono od assicurare la gagliardia, la rapidità, lo grandezza dell’impresa; d’altra parte gradi, prendi, onori, pene.... tutto sorge dalle viscere medesime dell’esercito; il generale non pub nulla. Per secondate le sue mire ambiziose, i tribuni, da e, lettori e giudici, dovrebbero farsi volontariamente suoi sudditi; i militi sacrificare il loro utile, la loro libertà, e quella del paese; ma a chi? ad una misera schiavitù. È ciò possibile?

Coloro, poi, i quali, togliendo i pregiudizii militari quali principii dell’arte, pretendono dimostrare l’assurdità delle proposte istituzioni, noi medesimi li porremo in via, e senza perderci in vanisofismi, ci dichiareremo vinti, allorché avranno dimostrato quanto segue:

1° Bisogna che dimostrino come il maneggio delle armi moderne e la tattica elementare siano tanto più difficoltose di quella degli antichi, che i soldati per addestrarsi debbano vivere continuamente sotto le bandiere.

2° Che l’ozio e i vizii che si contraggono nei presidii ed il servizio nei quartieri ammaestri l’esercito e lo avvezzi a fatica, più che le esercitazioni da noi proposte. '

3°Che l'ubbidienza debba essere maggiore in un esercito in cui il favore o il caso concede gli avanzamenti, che in quello in cui i gradi sono conferiti da coloro stessi che debbono ubbidire.

4.° Che glieserciti stanziali composti da soldati tratti a forza alla guerra, e d’ufficiali che fanno mercato dei loro servizii, siano più valorosi di un esercito di cittadini, convinti dellanecessità di combattere per garantire i loro più cari interessi.

5.° Che l’energia sia maggiore in un esercito i cui capi siano quasi decrepiti, od in un altro ove il continuo rinnovarsi degli ufficiali dà opportunità di escludere gli inutili.

6.°Che un generale favorito di un principe, o creatura di un governo da cui dipende, debba risultare migliore epossa operare colla energia medesima del. nostro generale, eletto dagli interessati direttamente alla scelta, con poteri illimitati, e giudicato da un tribunale terribile al termine di una campagna. Ecco i varii aspetti sotto i quali deve trattarsi un tale argomento onde far la critica delle proposte istituzioni e propugnare la necessità degli eserciti permanenti.

Finalmente un’altra condizione è indispensabile per rendere valoroso un esercito, la fiducia in sé stesso; né questa può esistere senza gloria militari. Nel primo saggio abbiamo messo io evidenza le gesta più famose dei nostri progenitori, e la nostra storia ci dà sicurtà al primato nelle armi; ma un tal fatto, dopo secoli di decadenza, vuole essere confermato da imprese moderne, e però i nemici sono a noi necessarii, e bisogna desiderare che il giorno del nostro risorgimento, gli stranieri, qualunque lingua e$si parlano, addensino contro di noi le loro schiere, per darci campo a debellarli, e misurarci con lutti. La libertà non può esistere senza il convincimento di essere forti; la libertà non può esistere se crediamo possibile ch’altri possa rapircela; non può esistere senza una gloriosa storia delle fatiche durate per conquistarla; coloro che la Invocano dai principi, dagli stranieri, dalla scienza, dal pacifico pregresso non la comprendono.

XXXV. — Siamo venuti esponendo la ripartizione e l'ossatura di questa macchina vasta e complicata, che appellasi esercito, ed abbiamo cercato comunicargli vita e passioni. L’ordinamento proposto accordasi con la costituzione civile della nazione, e quello e questo sorgono spontanei dalle sue viscere, e s'adagiano sulle leggi immutabili e magistrali della natura. Ma oltre ciò, dimostreremo come un altro positivo vantaggio sia inerente a questa costituzione; gli ordini militari che risulteranno dal caot, in cui la ribellione deve indubitatamente precipitare la nazione, non dovranno che seguire il corso naturale degli avvenimenti, e dell’umano istinto, per adattarsi con pochissima fatica a' proposti; ed i primi passi fotti da' cittadini per serrarsi a guerra saranno i rudimenti di tali ordini.

Come un principio dovrà reggere e dar norma agli sforzi della nazione, del pari un chiaro concetto dovrà governare le masse delle tumultuanti schiere. A meglio svolgere coteste idea, è mestieri ragionare alquanto della guerra per bande, onde distruggere certi pregiudizii sparsi in Italia, per ignoranza accettati da alcuni, da altri per ambizione, e che hanno fatto credere il guerreggiare per bande un metodo di guerra da sostituirsi con vantaggio, con le milizie popolesche, alla guerra grossa.

Le bande assalgono gli sbrancati, e le code delle colonne; predano i convogli, e riescono, per gli eserciti, molestie sovente fatali. Le imprese più famose delle bande che la storia registra, sono quelle che i popoli del Regno di Napoli compirono alle spalle dell’invadente esercito capitanato da Championnet; gli attacchi alle spalle di Massena che inoltravasi nel Portogallo e quelli in Grecia, alle spalle dell’esercito Turco, che assediava Missolungi Masseria ed Omer-Bronènon potendo superare gli ostacoli che avevano incontro, furono obbligati dai ripetuti assalti delle bande a torsi dall’impresa, e con perdite considerevoli, ed abbandonando ì carriaggi aprirsi la ritirata; Championnet, invece, favoreggiato da un partito che per amor di patria e libertà disarmava il popolo, superò gli ostacoli e, poco curandosi delle bande, compì la conquista. L’esito felice ottenuto dalle bande nelle Spagne ed in Grecia, letto senza studio, e da persone ignoranti di milizia, ha sparso le assurde e perniciosissime idee che ci faremo a combattere.

Una condizione indispensabile, che richiedesi alla riuscita delle intraprese delle bande, è un esercito, una piazza forte, che arresti il nemico, che gl’impedisca diimpadronirsi dell’obbietto, a cui accennano I suoi sforzi; altrimenti se giunge ad impadronirsene, non ha nulla a temere delle bande; sosta, rivolge in esse tutti i suoi veliti, le allontana, raccoglie vettovaglie sul nuovo punto, e procede.

Ammesso l’ostacolo, che indugia o arresta il nemico, le bande, per operare con efficacia sulla linea delle sue operazioni, è d’uopo siano perfettamente informate del sito ove si trovano i magazzini. del nemico e tutte le sue riposte di vettovaglie, della marcia dei convogli e de' drappelli che debbono raggiungerlo; esse debbono eziandio sottrarsi rapidamente agli attacchi delle sue cavallerie che battono la campagna. Ma chi potrà operare questi miracoli se non se gli abitanti di quella regione, che la sua linea d’operazione del nemico traversa? L’esercito passa: i contadini curvi in sulla marra, i pastori accanto al loro gregge, guardano indifferenti lo sfilare delle schiere, rispondono alle interrogazioni, che loro vengono fatte; qualche volta, costretti dalla forza, sono loro di guida. L’esercito è passato: dopo qualche giorno si ha notizia che passerà un convoglio; un contadino portasi incontro ad esso, mischiasi fra la scorta facendo il suo traffico di vivandiere, lo numera a suo 'agio, ed interroga i soldati; ritorna fra i suoi, che già animali dalla parola di qualche ardito, adescati dall’evidente guadagno, s’apprestano alle armi, e comunica loro ciò che ha visto ed inteso; progettasi rimboscata, il sito ove trasportare il bottino e spartirselo, e senza por tempo in mezzo, come s’è pensato si fa; il convoglio assalito, la scorta manomessa, la preda spartita. Immediatamente, il nemico ancia una squadra contro i predatori, ma la banda improvvisata è già dispersa: il nemico, per averne lingua, forse interrogherà quegli stessi nemici di cui va in cerca; ora, ritornati al loro pacifico lavoro, come riconoscerli? Se farà fra loro lunga dimora, un’imboscata o un repentino assalto non mancherà.

Questa è la guerra per bande; decretarla o pretendere d’organarla e dirigerla vuol dire non comprenderla. Un centro dirigente, d’onde partono le numerose bande, che vanno a infestare il nemico, è il sogno prediletto d’alcuni, accettalo volontieri da quelli i quali ambiscono essere capi indipendenti, e non già parte di un solo esercito. Queste poche parole bastano, speriamo, a dimostrare la fallacia di questi sogni. Ma, meglio studiando il concetto di costoro, scorgesi che tale chimera non ha preso le sue forme dalla guerra per bande, bensì da quella de' partigiani.

I partigiani erano gente che, in origine, volontaria offriva i suoi servizii ad un generale d’esercito, chiedendogli non altroché protezione nel caso venissero da prepotenti forze incalzati; essi erano per un esercito, dice Duhesme, ciò che sono i corsari per una flotta. Taglieggiavano costoro il paese nemico ed il proprio, rapinavano tutto quello che appartenesse al nemico, ed il riparto del bottino era il solo salario de' soldati. Con un capo audace ed astuto, i grossi guadagni accrescevanoil numero della banda, e cosi ingrossati compivano imprese di molta importanza. Ma, divenuti numerosissimi gli eserciti, perfezionata la piccola guerra, quindi con somma accuratezza guardandosi se accampali, esplorando se, marciano; spigliate le moderne fanterie, e valorosissimi i cavalieri, le imprese de' parteggianti sono divenute troppo ardue; essi per guadagnare le spalle dell’esercito sono costretti a fare delle volte lunghissime, durante le quali sono esposti ad attacchi di forze maggiori, e difficilmente per si lungo tempo possono occultare la loro marcia al nemico e giungere inaspettati. Inoltre, la moderna civili riprovando questo scorazzare di bande feroci ed indisciplinate, i parteggiani più non esistono: i generali d’esercito vi suppliscono con le partite, polsi di soldatesche regolari, che distaccano con alcune speciali incombenze.

Mantenerela comunicazione fra due corpi d'esercito; interrompere quella fra due corpi d’esercito nemico fra loro; prender lingua d’un avversario di cui siasi perduta la traccia, o seguirlo in poca distanza, onde opprimere gli sbrancati, ed impedire che possa foraggiare e acquartierarsi liberamente: in tutte queste imprese, il parteggiano che distaccasi dall'esercito, riceve dal generale completa libertà d’azione; l’esercito ne rimarrà senza nuove, e quando meno sei crede lo vedrà di ritorno. Dunque, se la chimerica guerra per bande, per colorirla, volesse trasformarsi in guerra di parteggiani, l’idea del centro dirigente è sempre assurda, anche negli eserciti regolari, il partigiano si abbandona affatto alle sue ispirazioni.

Ma ciò non è tutto: le bande composte dagli abitanti del paese ove combattesi, ragunate per breve tempo, e poi disperdendosi senza lasciare traccia veruno, non hanno bisogno né d’ordine, né di disciplina: il parteggiante, per contro, sempre in essere, non può sfuggire alle ricerche del nemico, che per l'abilità concui governa le sue mosse; egli non deve mai tener posto fermo, e serbare fra le sue schiere severa disciplina; in breve, si richiedono assai maggiori qualità ed esperienza di guerra nel capo e ne’ militi che compongono una partita, che in quelli di una campale battaglia: quindi è assurdo il dire, che gioventù inesperta alle armi, possa con più fruito operare da parteggiante, che a grosse schiere in un esercito.

I popoli della Vandea combatterono e vinsero la battaglia di Fontenay, e tolsero agli agguerriti repubblicani 42 pezzi di cannoni: il fatto è così descritto: «Larochejaquelein, dopo il passaggio della Loira n’era stato bandito generalissimo. Staffet era considerato come maggior-generale, una dozzina d’individui, senz’autorità reale, figuravano come capi… Il difetto d'ordinamento obbligava l'armata a marciare in massa.»

Un popolo nuovo alla guerra, eziandio senz’armi, e senza ordini, potrà vincere delle battaglie, potrà guerreggiare la guerra grossa, ma non avrà parteggianti se prima non abbia addestrate e costumate a fatica le schiere.

Havvi un’altra chimerica idea sparsa in Italia. Sognano alcuni che fra un gruppo di montagne, anche un pugno di giovani arditi, potrebbero difendersi contro un prepotente nemico. Ma in primo luogo, la guerrarivoluzionaria essendo d’offesa e non già di difesa, così operando mancherebbesi al fine prefisso; inoltre, tal genere di guerra può combattersi solamente da coloro che abitano in questi monti; un esempio splendido lotroviamo nelle gesta de' Suliotti. Questi prodi, fra i dirupi de' loro monti, nelle caverne ad essi note, stabilirono le riposte di vettovaglie e di munizioni di guerra, in altre gli ospedali, che le loro donne sopraintendevano; alcuni segni convenzionali sulla scorza degli alberi e sulle rupi… vi conducevano gli sbrancali, i feriti, indicavano gli spedali. Stabilita così la loro vasta base partivano i drappelli pel loro destino; de' fuochi sui monti, delle torce che s’alzavano ed abbassavano in qualche villaggio davano norma a questi diversi drappelli, e ne dirigevano le mosse secondo un comune disegno, vinti si ritraevano, e, prestabilito un sito ove far sosta, ivi facevano massa, ed ingrossati, trincerali, s’apparecchiavano a nuova difesa; ed era tale il suo sistema, che se il nemico li avesse cacciati sino al culmine de' monti, ivi riscontrava le di. Tese più gagliarde, dietro cui, tutti facendo una sola massa spiegavano l’ultimo disperato sforzo. Ma può combattere in tal modo gente a cui siano nuovi i luoghi, e che non possegga neppure una capanna, neppure le vettovaglie necessarie per un giorno?

La guerra di montagne, o deve essere guerreggiata dagli stessi montanari, i quali come i Suliotti, per istinto guerriero, non tradirono mai i principii dell'arte, o pure è quella combattuta da regolari soldatesche ne’ paesi montani.

Conchiudiamo che un tal genere di guerre, quella de' parteggiani e quella per bande, o debbono spontaneamente combattersi dagli abitanti del luogo, népatiscono ordini, o organamento di sorta alcuna, o sono operazioni, non già di giovani soldatesche e d’inesperti ufficiali, ma sono i più ardui particolari della guerra grossa.

Di più è cosa assurda pretendere che la gioventù esordisca con le più difficili imprese; sarebbe poi strana sperare di vincere la guerra in tal modo, eziandio ammettendo che tutte queste imprese avessero esito felice. Nelle guerre di rivoluzione, non solo debbono strettamente, come in ogni guerra, osservarsi i principii dell'arte, ma sono le epoche in cui l’arte sviluppasi e progredisce. La guerra americana e la guerra combattuta, da' barbari Greci, sono ricche di splendide operazioni, e le vittorie di que’ popoli sono dovute agli arditi disegni de' loro generali.

Il generale Bourgogne, scese dal Canadà con dieci migliaia d’armati, traversò i laghi, batté il nemico in combattimenti navali e terrestri, s’impadronì della fortezza di Ticonderoga, e giunse alle sponde dell'Hudson. Ivi padrone del forte Eduardo, pensò farvi riposta di vettovaglia, e quindi procedere verso Nuova-York, e congiungersi con le schiere di Howe, ma l’asprezza del cammino, malgrado la diligenza usala dagli inglesi, permettevagli a pena di procacciarsi le vettovaglie per un giorno. Gates generale de’ repubblicani, alle sponde dell'Hudson, raccoglieva le milizie e lentamente avvicinavasi, rasentando il fiume, al nemico. Bourgogne vedendo che poco gli giovava l'indugiare, e fidando nella superiorità delle sue armi, pensò muovere contro l’avversario, sperando dopo averlo sconfitto, accamparsi in contrada più fertile, e foraggiare più liberamente; mosse in campo a Saratoga, a poca distanza accampava Gates. Il generale repubblicano, vide che il retrocedere, agevolando al nemico I occupazione d’Albania, avrebbe migliorata la sua condizione, ed io ultimo se Howe muoveva in su lungo il fiume, egli sarebbesi trovato stretto fra due nemici; e che per converso, obbligando il nemico che, avea incontro a non procedere oltre, peggioravano tanto le condizioni di questo, da costringerlo ad una disastrosa ritirata; Burgovone appicca la battaglia, Gates l’accetta, e con le sue giovani milizie rintuzzatutti gli attacchi, ed attacca a sua volta i regi; i due generali s'attribuirono la vittoria, ma Gates aveva conseguito il suo scopo; il nemico non avanzò neanche di un pollice. Dopo circa venti giorni, i regi, le cui condizioni diventavano sempre peggiori, ritentano la sorte delle armi; ma Gates ne circuisce con abile evoluzione l'ala destra, ed una sua schiera accampa la notte quasi negli alloggiamenti nemici. La dimane Burgovone cangia fronte, tiene fermo colla sinistra, che fa perno del movimento posto dietro la destra, e ponteggia il nemico, avendo alle spalle il fiume. Gates, oculatissimo, profitta della felice situazione, trincerasi, lo stringe per quanto può da vicino, e fa occupare tutti i passi del fiume, che il nemico ritirandosi avrebbe dovuto valicare. Burgovone decidesi alla ritirata, trova i passi occupali, le vettovaglie gli mancano; Gates lo segue scaramucciando continuamente, e lo costringe a rendersi: e così gli Americani, con giovani soldatesche, ma con abile generale, distrussero un esercito nemico, presero 42 pezzi di cannoni, 4600 fucili, e più che tutto, nacque la fiducia nelle loro forze. Questa fu la prima importante vittoria riportata dai repubblicani al cominciar della guerra: ma assai più brillante e quella con cui Washington assicurò l’indipendenza della sua patria.

I magazzini erano vuoti, o a dir meglio non esistevano, e qualche isolata riposta mancava di vettovaglie e di vestimenla: vuote le armerie; i soldati laceri e seminudi: gli antichi disertavano, i nuovi non volevano andare all'esercito; il congresso avea decretato che al primo gennaio bisognava vi fossero 37 mila armati, era ingaggio, e se ne contava appena l'ottava parte. Quindici centinaia di soldati s’ammutinarono, scacciarono gli ufficiali, fecero massa delle bagaglie loro appartenenti, e conducendo seco loro l'artiglieria, elettosi un capo mossero contro il congresso, che dovette pur scendere a patti con essi. — Tale era lo stato dell’esercito americano, e lo abbiamo accennato onde il volgo non creda che negli eserciti delle nazioni che hanno combattuto guerre lunghe e gloriose, non siano mai avvenuti que’ disordini, che noi riguardiamo coi né irreparabili. Il banco istituito da Roberto Morris, la pecunia ottenuta da Francia da Beniamino Franklin, fecero superare cotesta crisi terribile e ristabilire il credito. Cosi rifattosi Washington s’apparecchiò ad operare.

Nella Virginia accampato a Jorktown trovavasi con 7 mila armati Cornowaills: libero essendo il mare pel golfo di Chesapeack, padroneggiava tutta la provincia. Lafayettee Steuben, i quali gli campeggiavano intorno, altro non potevano fare che impedire ai suoi battaglioni di scorrazzare liberamente. A Nuova-York era Clinton con altro esercito inglese. A New-Windsor accampava Washington capitano supremo delle forze, che avea sotto gli ordini 7 ad 8 mila uomini, oltre quelli di Lafayette e Stenben nella Virginia, ed 8 mila francesi che attendevano con poderoso naviglio comandato da Grasse. Era convenuto, che i francesi dovessero militare sotto gli ordini del generale americano. Washington fece disegno di concentrare tutte queste forze, ed opprimere quello de' due avversari, Cornowaills o Clinton, Che men se lo aspettasse. Giunti i francesi e informato del disegno l’ammiraglio Grasse, Washington levava il campo e muoveva a Kingsbridge; Clinton s’apprestò alle difese, parendogli indubitato che gli sforzi de' repubblicani volgessero contro di lui. Ma tutto ad un tratto, appena Washington seppe dell’avvicinarsi dell’amica flotta, spediva ordine a Lafayette e Stenben si riunissero e marciassero a Williamsburg; ed egli passando il Crotone, il Nort, la Delaware, fiumi, comparve al capo Elk, nel golfo di Chesapeack nel tempo stesso che la flotta vi dava fondo, e bloccando i fiumi Jork e James, risaliva con alcuni legni quest'ultimo, facilitava la marcia di Lafavette e Steuben che arrivavano a Williamsburg. La flotta inglese sopra venne, ma dopo breve combattimento fu obbligarlo prendere il largo: rimanevano i Francesi padroni del golfo; Washington, senza por tempo in mezzo, imbarcava tutto il suo esercito, traversava il golfo e riunivasi a Lafayette, e con tali mosse, tutte le forze di terra e di mare convergendo allo scopo medesimo, Corvowaills trovossi bloccato da 30 vascelli d’alto bordo, ed assediato in Jork-Town da 20 mila uomini. Dopo lunga difesa s'arrendé; fu il secondo esercito inglese, annientato per abilità dei generali americani. Questo fatto mise fine alla guerra.

Per ultimo, da' capi militari della barbara Grecia si idearono e condussero a fine disegni, de' quali potrebbero gloriarsi i più famosi capitani di tutte le epoche. I militari stranieri, che correvano ad offrire i loro servizii, rimanevano scoraggiati in vedere di quale gente componevansi le soldatesche della libertà; sembravano loro briganti; né oro, né spallini, nò ciondoli vi erano da sperare: un pane affumicato, poche olive e la nuda terra per letto. Nondimeno, l’ordine alla voce imperiosa della necessità, e le gesta operate da quelle povere e disordinate masse, sarte dal grembo del Caos, si spererebbero invano da educati eserciti, che assorbono tanti tesori.

Al principio, divisi in bande, senza compiere nulla d’importante vagavano alla ventura: ma finalmente, elettosi un capo, cinsero di assedio Tripolizza.

La giacitura stessa del terreno ripartiva gl’insorti contro il nemico, come se fossero stati consultati i. principii dell’arte; i Suliotti, gli abitanti dell’Acamania, erano una formidabile barriera ad occidente, e s’opponevano all’avanzarsi delle forze che si trovavano nell'Epiro; nel Peloponneso, numerosi armati sotto i migliori capi militari, Calocolrono ed Ordissega, accorrevano ovunque presentavasi il nemico, che due volte battettero alle Termopili.

Uno dei fatti memorabili di quella rivoluzione fu la distruzione di 50 mila Turchi, ch’entrarono nel Peloponneso. Khonschid-Pacha raccoglieva un esercito a Larissa e disponevasi ad inviare contro la sede del governo nel Peloponneso 50 mila nomini. I capi militari della Grecia orientale si congregarono ed elessero a loro capo Ordissega, il quale così parlò:

«Ci opporremo di fronte al nemico e lo getteremo nella Tessaglia; è questo il caso più favorevole, ma egli rinfiancato da altre forze ritornerà all’attacco, prevarrà, e padrone delle gole conquisterà indubbiamente il Peloponneso; noi potremo rapirgli qualche convoglio, ma cosa diverremo? non altro che inutili compagnie d'Arcuatoli, con de' capi valorosi; saremo bande, né mai potremo intraprendere nulla d’importante. Per contro, se noi apriamo il passo a Drana-Alìco’ suoi 50 mila uomini, egli dovrà percorrere da Larissa a Tripolizza cento leghe, e su questa lunga linea d’operazione avrà sette barriere o gole a superare; egli all'estremo della linea incontrerà una resistenza capace di durare solamente quindici giorni, è perduto; sono trenta mila uomini che gli si offrono in sacrifizio; ciò potrà turbare,gli ozii de' nostri ministri di Corinto, ma indubbiamente la loro presenza ridonerà l’energia a' nostri fratelli del Peloponneso; spelta a loro raccomodarvisi. Se non vogliono prendersi la pena d’ammazzarli, che lascino cotesta bisogna alla febbre ed alla fame: in due mesi saranno annientati»e fece fine al memorabile discorso, che avrebbe accresciute le glorie di Napoleone, di Federico, di Cesare… Quanti de' nostri rivoluzionarii generali in erba avrebbero disapprovato il disegno, dicendo: il nemico vuol passare, bisogna impedirlo, ed attaccarlo ove trova. Panorias, vecchio pastore, abbracciando Ordissega, esclamò: io sarò l’avanguardia dei Turchi; e per tal modo serviva al disegno. Drama-Alì avanzossi, ed i Greci fecero come avevano divisato; Panorias con ferro e face precedeva il nemico, distruggendo quanto trovatasi in sul cammino, di cui i Turchi avessero potato giovarsi. Drama-Ali credettesi fortunato di traversaresenza veruna resistenza le formidabili gole, e baldanzoso si inoltrò verso il Peloponneso; egli scendeva vivo nella tomba; essendo le gole, dopo il suo passaggio, occupate fortemente da' Greci, gli rimanevano cosi impedite le vettovaglie e la ritirata. Drama-Ali non tardò ad, accorgersi della difficoltà della sua condizione} pure, senza scoraggiarsi, occupò fortemente l’istmo di Corinto, e mosse direttamente a Tripolizza. Intanto Calocotrono non mostrossi da meno d’Ordissega; si tolse, senza por tempo in mezzo, dall’inutile assedio di Patrasso, mosse contro il nemico, non già osteggiandolo di fronte, ma tenendosi a sinistra verso la marina; si collocò fra Drama-Alì ed i suoi 0 mila uomini rimasti a Corinto. Dopo lunga inutile resistenza, e dopo che di varie morti erano periti la maggior parte dei 50 mila Turchi, i pochi rimasti si resero.

È vano citare la Spagna per dimostrare l’efficacia delle bande; furono gli eserciti e l'impallidirsi della stella napoleonica che salvarono quella nazione dalla conquista straniera, e non già le bande. Nelle Spagne eravi un esercito inglese ed otto eserciti Portoghesi e Spagnuoli, eserciti i quali sostennero 22 battaglie, 40 combattimenti e 14 assedii. Gli abitanti quasi sempre pugnarono in massa; un corpo francese venne respinto dalla Catalogna da nuvoli di contadini accorsi allo stormeggiar delle campane. Madrid venne difesa contro Napoleone da 40 mila villici, ed 8 mila regolari. Il famoso Palafox, difensore di Saragozza, non era un capobanda, ma un generale, capo di 20 mila uomini. La-Romana, organatore delle guerriglie, comandava un esercito di 50mila uomini. In un tempo più vicino, D. Carlos ha combattuto,contro Cristina con le bande: il risultamento è abbastanza noto. Nella Vandea, finché combatterono in massa vinsero delle battaglie; appena degenerarono in bande vennero ben presto distrutte. Nel regno di Napoli, finché in bande combatterono contro i Francesi ed i Repubblicani, non potettero ad onta di sommo valore ottenere alcun risultamento; non appena il cardinale Rufo fece massa di tutti gli armati, consegui la vittoria; i repubblicani, invece, per non seguire il consiglio di Maura, che opinava di abbandonare la città alla contraria fazione, e, facendo massa di tutti i combattenti correre addosso al nemico, furono vinti. Bisogna battersi in massa, gridava Barrérealla Tribuna di Francia; bisogna dare l’assalto in massa, era il concetto d’ogni soldato, ed il grido che usciva dalle congreghe dei Giacobini. Un generale, comechè comandi gente disordinata e non accostumata a guerra, potrà, se numerosa, compiere importanti imprese; egli p. e. riconoscerà il campo nemico, la chiave delle sue difese, e potrà disporre in conseguenza le sue masse eziandio senz’ordine, e precipitarle sul punto da conquistarsi: se in quell’istante si giunge ad esaltarle, esse animate dal proprio fragore e dal numero, a guisa di marosi mugghienti, sbaraglieranno il nemico; potrà eziandio con abili marce, schivare la battaglia e portarsi sulla linea delle operazioni nemiche.

In una gran nazione che insorge i generali non mancano; ma cosa faranno essi, se capi di poche migliaia d’uomini, senza disciplina e senza ordini? Speriamo che gl’italiani ammaestrati dagli avvenimenti, illuminati dalla ragione, non abbiano che un sol grido di rannodamento: facciamo mussa; ogni città, ogni terra, ogni borgo, che scacci dalle sue mura il nemico, non frapponga indugio, non curi di apprestarsi a difesa e di innalzar barricate: tempo perduto, sangue inutilmente sprecato; ma la gioventù abbandoni le sue dimore, raccolga tutte le armi, tutte le vestimenta, le vettovaglie che può, e accordandosi co’ vicini, curran tutti a far massa.

Determinato il grido di rannodamento, che dia norma agl’insorti, discenderemo ora ai particolari d’un insurrezione.

In una città insorta, altro de' grandi svantaggi del nemico, che cerca formarsi un disegno, è la mancanza d’un determinato obbietto alte sue operazioni. Se nel 48 fosse esistito nel Broletto (palazzo municipale) il supposto Comitato dirigente, la sera del primo giorno Radetzkv avrebbe vinto. Conquiso un centro direttore, a cui in simili circostanze le immaginazioni esaltate danno un'importanza maggiore di quella che realmente noi! ba, e da cuitutti sperano ordini e salvezza, l’insurrezione spegnesi. Per contro, quando ogni uno fida in semedesimo, i vantaggi del nemico in un punto, non iscoraggiscono gli altri, che o noi sanno, o sapendolo nolcurano, perché solo in sé stessi confidano; e cotesta disgregazione è il più grande vantaggio che i cittadini bando sulla soldatesca. Trionfò in luglio l’esercito a Parigi, trionfò in maggio a Napoli, perché l'insurrezione concentrossi ad un punto solo e non si sparse in tutta la città. I comandi, i centri dirigenti, dopo i primi momenti sorgono da sé, ed hanno il pregio grandissimo d’aver tanta autorità quanta loro ne concedono le circostanze; i fatti stessi limitano le loro attribuzioni; sono vantaggi cotesti, a cui ponno benissimo sacrificarsi alcuni inevitabili disordini; è l’ordine soverchio, che nelle città perde il nemico. Le vallate, i monti, che intercidono il teatro della guerra, ed intorno a cui gli eserciti fanno le volte strategiche, sono, nelle città, le strade e i caseggiati; quindi brevissime le distanze, fugacissime le propizie occasioni; inmen che balena bisogna decidersi, eseguire; guai se ognuno attendesse ordini dall’alto; tutte le occasioni andrebbero perdute. Ogni cittadino il quale voglia prepararsi a tali avvenimenti, impari come difendesi una casa, una chiesa, un cimitero: come elevasi una barricata, giovandosi di quanto si trova in quei momenti sotto la mano; riconosca, tutti gli andirivieni ed il quartiere più difficile ed intricato della città, ed attenda. Cominciato lo sbaraglio, que’ giovani che veramente vogliono adoperarsi per la riuscita dell'avvenimento, bisogna che si spoglino da qualunque idea ambiziosa, da qualunque stupida pretesa di comando, né si perdano nel dimandare ordini, mandati.... che riescono d’impaccio al libero operare del popolo; stretti in eletto drappello, seguendo le proprie ispirazioni, il meglio che possono fare è fortificarsi nel quartiere più sicuro della città, ed ivi raccogliere i combattenti: e se la sollevazione, che ferve spontanea da per tutto, s’ammorza, con la loro ostinata resistenza rinnovare il grido della battaglia. Se la sollevazione procede, muovere e correre addosso al nemico nel punto ove più stretta è la pugna, o dove ponno sperarsi maggiori risultamenti. In tal guisail tumultuario combattere del popolo, senza spegnerne l'ardore, viene piegato mirabilmente all’orditura di un disegno, che eziandio noto al nemico, non può in verun modo essere contrariato, ma invece deve subirsi. Dire ad una città riconoscete il tal capo, prescrivere i limiti d’una sollevazione è tutto perdere; è prova di mancanza del senso pratico; ed egli è strano come coloro, i quali d’altro non parlano che di slancio ed esaltazione popolesca, pretendano poi che tutto pieghi alla loro suprema volontà; per essi sono popolo gli ubbidienti,e l’ardore popolare è un’arma di cui eglino soli conoscono la scherma… Stolti! Scacciato il nemico, libera la città, i cittadini, fastosi della vittoria, si addormentano sugli allori; ergono barricate mostruose, novellano le loro gesta, decantano gli eroi, del combattimento, ed elettosi un governo, lasciano a lui la cura di tutto provvedere, e, senza sospingere lo sguardo nel paese d’intorno, altro non curano che di apparecchiarsi a difesa. Ma le veci sono cangiate, ilnemico torna rifatto, oculato, attaccante, non già, com’era, sprovvista, sorpreso, attaccato; i cittadini non possono più opporgli il tumultuario combattere; essi sono organati in battaglioni distribuiti sulle mura, alle barricate, credono così essere più forti; fatale errore, prima erano invincibili, ora sono già vinti. Prima era una città che spontanea combatteva contro un esercito disperso in essa; ora. sono soldatesche che si battono al comando, dietro difese poco solide; contro nemico più numeroso, più destro, e meglio munito. Queste difese di città, comeché glorie cittadine, risolvonsi in sangue inutilmente versato, se esse non hanno lo scopo di secondare le operazioni d’un esercito campeggiante. Ed il governo, in questo mentre, s’adopera a cercare i generali, ad impiantare l’esercito, scegliendo i capi fra gli amici e consigliandosi seco loro; e così miseramente muoiono le rivoluzioni. Per ridonarle a vita, altro non è a farsi che mantenere il popolo in continuo moto, né abbandonare le sorti della patria nelle mani de' dittatori. Liberata la città dagli oppressori, immediatamente si elevi il grido facciamo massa, all’aperto; ognuno con le armi che ha, ognuno raccogliendo quelle vettovaglie che potrà, que’ vestimenti più opportuni al caso, corra in piazza; il potere surto dalle barricate li ripartisca in compagnie, in battaglioni, faccia loro eleggere li ufficiali; l’ordinamento, il metodo d’elezione sia quale si voglia: parendomi il mio migliore, propongo questo, altri ne proponga altro, se ne prescelga uno. Composti i battaglioni, si corra al punto ove deliberasi di far massa; sono le circostanze e gli uomini che si trovano sul fatto che determinano questo punto, che dovrà essere il più sicuro dagli attacchi nemici, ed ove maggior gente può raccogliersi di quella regione, che il caso ha dichiarato teatro della guerra. A misura che ingrossano, si formino in brigate, e quando saranno più brigate, tutti i comandanti di esse ed i comandanti di battaglione si eleggano un capo supremo, che li regga a suo modo; si conceda ad esso piena libertà d’azione e tutta la responsabilità. E per dire qualche cosa sul modo di armarsi, osserveremo che in queste prime tumultuanti schiere non può esservi distinzione d’armi; quelli che hanno cavallo formeranno la cavalleria, utile a queste masse non già per combattere ma per esplorare;. appena guadagneranno un cannone cercheranno gli artiglieri fra i più abili e volonterosi a maneggiarlo; tutto deve procedere facendosi legge suprema la necessità. 11 capo non dovrà pensare che alla necessità; non dovrà pensare a dar battaglia, bensì a schivarla, avendo in mira di farsi sempre più forte. Questo procedere, una volta messo in via, è quasi istintivo; inseguire il nemico, disporsi in drappelli, non è concetto popolesco, ma disegno di qualche giovinetto, che volendo crearsi colonnello o generale, volendo sentir ripetere il suo nome dai giornali, in epoche siffatte larghissimi di lode, quasi sperando che le immaginarie rotte da essi annunziate, divengano pel nemico disfatte reali, si fanno ad assalire gli sbrancati ed a fare prigionieri, per poi menarli in trionfo. Se queste ambizioncelle cedono a fronte del supremo vantaggio del paese, riescirà facilissimo dare qualche norma all'istintivo ragunarsi delle popolazioni, essendo istintivo il correre ove gli altri sono.

Quando una gran regione dell'Italia sarà sgombera dal nemico, e sia tale il numero degli armali da rappresentare una parte notevole del futuro esercito italiano, immediatamente bisogna procedere alla elezione del Tribunato militare, il quale confermi reiezione del capo, o ne elegga un altro; ripartisca le schiere in corpi di esercito, adotti un progetto d’organamento per l’esercito italiano: e non potendo i tribuni distogliersi dalla guerra, approvato il progetto, nomineranno una commissione che verrà incaricata di organizzare gradatamente quelle masse secondo l’ordinamento approvato dal tribunato, senza che cessino dal combattere; di guisa che prima che la patria sia completamente libera, durante la guerra, l’esercito si troverà costituito su quelle basi, che alla futura costituzionedella nazione si convengono. Egli è cosa ingiustissima riformare un esercito al termine della guerra; se gli ordini che verranno adottati saranno migliori, perché non valersene durante la pugna? se peggiori perché adottarli? Un esercito che ha vinto ha fiducia in sé stesso; riformandolo a guerra finita, questa fiducia tante interessante perdesi, o almeno scemasi grandemente. È costume questo delle monarchie, le quali, cessata. la guerra, riformano le loro schiere, perché in tempo di pace la ragione economica bisogna che prevalga; ma nella costituzione militare d’un popolo libero il cui esercito è difesa, non già gravezza per la nazione, la ragion di guerra non solodebbe a tutte le altre prevalere, ma sola predominare.

É errore comune fra gl’italiani, e particolarmente fra pochi fuorusciti (i quali tengono per certo che l’Italia, insorgendo, affiderà loro la somma delle cose) di farsi a chiedere progetti d’ordinamenti militari, da porsi Jn atto alla prima occasione; questi disconoscono, in tal guisa, i principii di vera libertà, e pensano arrogarsi un’autorità, che oggi contrastano a' nostri oppressori Due periodi bisogna distinguere nelle rivoluzioni; il tumultuoso combattere del popolo, e 4a trasformazione delle sue masse in esercito. Durante il primo, se un progetto d'ordinamento militare si diffonda soverchio ne' particolari, non solamente potrà riuscire d'impaccio in que' momenti, ma richiederebbesj, per porlo ad effetto, tempo, calma ed autorità; né mi parendo che tali condizioni in quelli istanti si verifichino, ho indicato qualche semplice norma per ordinare i combattenti, facendomi legge suprema le istintive aspirazioni de' sollevali, cioè non arrestarli mai, né mai trarli di passo; ed ho preso di mira, facendo studio sui passati avvenimenti, quattro obbietti principali.

1.° Non far cessare mai dalle armi il popolo, ma»sospingerlo. per mezzo della sua stessa esaltazione, dalle città alle campagne; impedendo così ch'esso rimanga neghittoso, dopo una vittoria, nelle città.

2.° Assorbire tujti gli individui nell'organamento generale, onde evitare quelle bande, quelle legioni, che fannosi un idolo del capo, e che senza estendere i loro desidera ed il loro sguardo all'intera nazione, mirano solo a qualche scaramuccia, da cui vincitori o vinti sperano sempre lode. ((4))

3.° Un popolo avvezzo a servire, che tende sempre a crearsi nuovi padroni, conviene costumarlo ben presto a scegliersi i capi senza aver bisogno d’idoleggiare individui.

4.° Ne' primi istanti che sorgesi a libertà gettare le basi della futura costituzione, che per dirsi libera bisogna che tutto vi proceda dal basso all'alto.

Il progetto poi che dovrà trasformare le masse in esercito deve soddisfare a tante altre condizioni. Tale trasformazione o sarà forza che avvenga combattendo, o durante qualche brevissimo intervallo di tregua; in ambi i casi cotesto progetto non dovrà avere nulla di provvisorio, ma invece somma stabilità, ed abbracciare l'intera Italia; altrimenti noi calcheremo la via de' moderni reggimenti i quali non seguendo nelle loro riforme ed istituzioni un disegno generale e prestabilito, a cui tutto venga gradatamente adattandosi, vanno sempre rattoppando, e ne risulta quel disaccordo, quei difetto d'insieme che distingue tutti i loro atti. Se una regione qualunque; d'Italia esordisce con ordinamenti militari circoscritti al solo suo territorio, commette errore gravissimo e pernicioso, poiché i suoi futuri destini sono inesorabilmente stabiliti; o verrà schiacciata, o l’Italia intera sarà libera, quindi l'esercito che sorgerà in essa non dovrà essere esercito Romano, Toscano, Napoletano… ma parte del futuro esercito italiano. Questo progetto di ordinamento militare dovrà offrire tanta prontezza (per servirci delle parole dette da Mazzini alla Costituente Romana) come se il nemico stesse alla porta, e tanta stabilità come se dovesse durare eterno. Or dunque, ammesse tali condizioni, chi mai ha il diritto di attuare un ordinamento che dovrà adottarsi dalla nazione intera, senza che la nazione stessa non manifesti la propria opinione?

Ecco la necessità che dagl’italiani in armi, raccolti a difesa della patria, eleggasi quest’assemblea di militari, che chiamo Tribunato, il quale esaminando i progetti stesi su tale argomento, che ad esso verranno presentati, ne adotti e compili uno, da porsi in alto da una commissione eletta dallo stesso Tribunato,

La schiavitù delle nazioni moderne, ricomparsa più terribile dopo sanguinose rivoluzioni, trae sua origine dalla costituzione militare poco armonizzante con la civile; quindi è un errore fatale trattar con troppa leggerezza l’ordinamento dell’esercito, e per piegarsi a qualche esigenza momentanea, gettare delle basi false, su cui, in seguito tutto l’edilizio viene ad informarsi; poiché la costituzione civile, lontanandosene, genera quel disaccordo, quell’attrito, da cui la tirannide immediatamente prende forza.

Conchiudo, enumerando gl'inconvenienti gravissimi, da cui l’Italia pub temere di esser contrariala ed impastoiata in un moto rivoluzionario: inconvenienti che spariscono affatto adottandosi il proposto ordinamento.

Una terra, un borgo che insorga, non ha bisogno d’attendere gli ordini e l’impulso della capitale; qualunque sarà il numero dei suoi armati, con un tal metodo potrà sempre comporre un battaglione,una compagnia, un pelotone, una squadra…, eleggere i capi corrispondenti ed inviarli ove appuntasi di far massa. E senza attendere la sentenza de' dittatori, o consultare il volere de' tanti che in simili circostanze vogliono governare, l’ordinamento militare, come il civile, sorgeranno dalle viscere stesse della nazione. L’unità risulterà precisamente dall’assoluta libertà proclamata come legge sovrana.

Gli ufficiali dovendo essere eletti, non vi saranno generali senza esercito, colonnelli senza reggimento, capitani senza compagnie; non avverrà, come nel 48 e 49, che il numero dei graduati creati da' governi provvisorii de' varii. Stati, mentre in tutta l’Italia non vi furono che un 60 o 70 mila soldati, corrispondesse ad un esercito di 800 mila uomini; non avverrà, che i favoriti degli uomini,che il caso spinge al potere, usurpino i gradi supremi dell’esercito; le pretese degli innumerevoli colonnelli e generali che sono in Italia vengono annullate di fatto: ciascuno come individuo dovrà offrirsi volontario al suo comune, o dove si trova, ed avventurarsi alle elezioni; infine, si avranno capi, i quali godranno la fiducia dei militi.

Se avviene, durante il corso della rivoluzione, che due dei tanti Stati d’Italia, ciascuno avendo le proprie milizie, s uniscano, ogni difficoltà nell’unire i due eserciti è rimossa; i loro ordinamenti, con tali principii risultano uniformi, i Tribuni militari si congregano ed eleggono a comandante supremo uno de' due, o un altro, come meglio essi giudicano. Per l’ordinamento civile, il dicemmo, essendo ogni comune italiano libero, l’atto d’unificazione compiesj con l’invio de' deputati alla Convenzione nazionale.

Poniamo il caso che uno degli eserciti stanziali d’Italia s’incorpori nella rivoluzione, che cosa avviene? I dittatori, uomini che quest’esercito avrà spregiati sino a quel momento, se ne faranno i supremi riformatori, ed eccovi di fatto nel governo personale; ad essi ed a' loro satelliti sono ignoti gl’individui, ignoti i loro meriti, quindi la scelta riducesi ad una quistione di simpatia o antipatia personale; a' favoriti de' ministri succedono i favoriti de' dittatori. Partigiani del sistema dittatoriale, rispondete, può egli accadere altrimenti? Non sono forse più logici e sinceri i monarchici, i quali si dichiarano inspirati da Dio, che non voi altri sedicenti repubblicani? Ma direte, consulteremo l’opinione pubblica. Allora, sarete ipocriti, perché emanate sentenze in vostro nome, e come se fossero vostri concetti, mentre le avete mendicate ne’ circoli, e nelle piazze; né per questo sarete imparziali, essendo ben difficile che la pubblica opinione giunga al vostro orecchio senza esser travisata; e poi se vi dichiarate esecutori della pubblica opinione, perché non consultarla solennemente ed ordinatamente? Il mezzo è semplicissimo. Ogni corpo col suffragio universale scaccierà dal suo seno tutti quelli ufficiali, che verranno dalla maggioranza dichiarati immeritevoli, o di dubbia fede pel nuovo ordine di cose: e quindi col metodo elettivo proposto per le promozioni verranno riempiti i vuoti. L’esercito così riformato, unito alle milizie popolari, eleggerà il Tribunato militare ed il generale che assumerà il comando delle schiere riunite.

Con quali mezzi, con quali promesse, la rivoluzione può oggigiorno acquistarsi le simpatie d’un esercito? Parteggiate per la rivoluzione, voi dite, e quando noi saremo 61 potere, noi a cui è ignoto il merito d’ogni Uno, vi riformeremo, vi daremo un capo di nostra scelta, e dopo che avrete disfatti i nemici, senza provvedere alla vostra esistenza vi congederemo. Ecco il linguaggio dei moderni rivoluzionarli, che tutti si atteggiano come futuri governanti.

Rovesciate la tirannide, bisogna dir loro, e non saranno più vostri capi i favoriti di un principe, ma uomini di vostra scelta; voi medesimi scaccierete dal vostro seno coloro ne’ quali non avete fiducia voi medesimi vi decreterete i premi e le pene. Terminata In guerra, coronati di gloria, e benedetti dalla nazione, l'obbligo della nazione verso di voi, che dovrà provvedere alla vostra agiata esistenza, è naturalmente sancito; queste promesse vengono a voi garantite da voi medesimi; voi siete armati, ordinati, compatti, valorosi con capi di vostra scelta: se jn premio il paese vi destina la miseria e l'oblìo, voi stessi vi farete giustizia; ogni cittadino ha dritto a vivere, e, più che tutti, colui che del proprio petto fa scudo agli altri contro il nemico.

Qui pongo line, dopo aver trattato tutte le principali quistioni del giorno, senza costringere la ragione a serpeggiare fra i pregiudizi! e le opinioni dominanti, ma seguendone il lume svio alle ultime conseguenze a cui mi parve condurre la più severa dialettica. Desterò forse poche simpatie, molte ire; ma ho seguilo un sentimento per me superiore alla pubblica opinione, e questo chiamasi coscienza, e ciò mi basta.

FINE DEL QUARTO SAGGIO.

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APPENDICE

Crediamo far cosa grata ai lettori riferendo l’ultime parole che il generoso italiano dettò poco prima di muovere alla sventurata impresa di Sapri.

TESTAMENTO POLITICO

DI CARLO PISACANE

Nel momento d’imprendere un’arrischiata impresa, voglio manifestare al paese le mie opinioni, onde rimbeccare la critica dal volgo, corrivo sempre ad applaudire i fortunati e maledire i vinti.

I miei principii politici sono abbastanza noti; io credo che il solo socialismo, ma non già i sistemi francesi informati tutti da quell’idea monarchica e dispotica che predomina nella nazione, ma il socialismo espresso dalla formola

LIBERTÀ ED ASSOCIAZIONE,

sia il solo avvenire non lontano dell’Italia, e forse dell’Europa: questa mia idea la ho espressa in due volumi, frutti di circa sei anni di studio; non condotti a forbitura di stile per mancanza di tempo, ma se qualche mio amico volesse supplire a questo difetto e pubblicarli, gliene sarei gratissimo. Sono convinto che le ferrovie, i telegrafi, il miglioramento dell’industria, la facilità del commercio, le macchine, ecc. ecc. per una legge economica e fatale, finché il riparto del prodotto è fatto dalla concorrenza, accrescono questo prodotto, ma l’accumulano sempre in ristrettissime mani, ed immiseriscono la moltitudine; epperciò questo vantato progresso none che regresso: e se vuole considerarsi come progresso, lo si deve nel senso che accrescendo i mali della plebe, la sospingerà ad una terribile rivoluzione, la quale, cangiando d’un tratto tutti gli ordinamenti sociali, volgerà a profitto di tutti quello che ora è volto a profitto di pochi. Sono convinto che l’Italia sarà libera e grande oppure schiava: sono convinto che i rimedii necessari come il reggimento costituzionale, la Lombardia, il Piemonte, ecc. ecc., ben lungi dall’avvicinarla al suo risorgimento, ne l’allontanano; per me, non farei il menomo sacrificio per cangiare un Ministro, per ottenere una costituzione, nemmeno per cacciare gli Austriaci dalla Lombardia ed accrescere il regno Sardo: per me dominio di Casa Savoia o dominio di Casa d’Austria è precisamente lo stesso. Credo eziandio che il reggimento costituzionale del Piemonte sia più dannoso all’Italia che la tirannide di Ferdinando li. Credo fermamente che se il Piemonte fosse stato retto nella guisa medesima degli altri stati italiani, la rivoluzione sarebbe fatta. Questo mio convincimento emerge dall'altro che la propaganda dell'idea è una chimera, che l’educazione del popolo è un assurdo. Le idee risultano dai fatti, non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero quando sarà educalo, ma sarà educato quando sarà libero. Che la sola opera che può fare un cittadino per giovare al paese è quella di cooperare alla rivoluzione materiale, epperò cospirazioni, congiure, tentativi, ecc. sono quella serie di fatti attraverso cui l’Italia procede verso la sua meta. Il lampo della baionetta di Milano fu una propaganda più efficace di mille volumi scritti dai dottrinari, che sono la vera peste del nostro, come di ogni paese.

Alcuni dicono che la rivoluzione deve farla il paese: ciò è incontestabile. Ma il paese è composto d’individui, e poniamo il caso che tutti aspettassero questo giorno senza congiurare, la rivoluzione non scoppierebbe mai; invece se tutti dicessero: la rivoluzione dee farla il paese, di cui io sono una particella infinitesimale, epperò ho anche la mia [parte infinitesimale da compiere, e la compio.

La rivoluzione sarebbe immediatamente gigante. Si potrà dissentire dal modo, dal luogo, dal tempo di una congiura, ma dissentire dal principio è assurdo, è ipocrisia, è nascondere un basso egoismo. Stimo colui che approva il congiurare e non congiura egli stesso: ma non sento che disprezzo per coloro i quali non solo non vogliono far nulla, ma si compiacciono nel biasimare e maledire coloro che fanno. Con tali principii avrei credulo mancare ad un sacro dovere, se vedendo la possibilità di tentare un colpo in un punto, in un luogo, in un tempo opportunissimo, non avessi impiegato tutta l’opera mia per mandarlo ad effetto. Io non ispero, come alcuni oziosi mi dicono per schermirsi, di essere il salvatore della patria. No: io sono convinto che nel Sud la rivoluzione morale esista: sono convinto che un impulso gagliardo può sospingerli al moto, epperò il mio scopo, i miei sforzi sonosi rivolti a mandare a compimento una congiura, la quale dia un tale impulso: giunto al luogo dello sbarco, che sarà Sapri nel principato citeriore, per me è la vittoria, dovessi anche perire sul patibolo. Io individuo, con la cooperazione di tanti generosi, non posso che far questo e lo faccio: il resto dipende dal paese e non da me. Non ho che i miei affetti e la mia vita da sagrificare a tale scopo e non dubito di farlo. Sono persuaso che se l’impresa riesce, avrò il plauso universale; se fallisce, il biasimo di tutti: mi diranno stolto, ambizioso, turbolento, e molti, che mai nulla fanno e passano la vita censurando gli altri, esamineranno minutamente la cosa, porranno a nudo i miei errori, mi daranno la colpa di non essere riuscito per difetto di mente, di cuore, di energia.... ma costoro sappiano che io li credo non solo incapaci di far quello che io ho tentato, ma incapaci di pensarlo. A coloro poi che diranno l’impresa impossibile, perché non è riuscita, rispondo, che simili imprese se avessero l’approvazione universale non sarebbero che volgari. Fu detto folle colui che fece in America il primo battello a vapore; si dimostrava più tardi l’impossibilità di traversare l’Atlantico con essi. Era folle il nostro Colombo prima di scoprire l’America, ed il volgo avrebbe detto stolti ed incapaci Annibale e Napoleone, se fossero periti nel viaggio, o l’uno fosse stato battuto alla Trebbio, e l’altro a Marengo.

Non voglio paragonare la mia impresa a quelle, ma essa ha un testo comune con esse; la disapprovazione universale prima di riuscire e dopo il disastro, e l'ammirazione dopo un felice risultamento. Se Napoleone, prima di partire dall'Elba per isbarcare a Fréjus con 50 granatieri, avesse chiesto consiglio altrui, tutti avrebbero disapprovato una tale idea. Napoleone aveva il prestigio del suo nome; io porto sulla bandiera quanti affetti e quante speranze ha con sé la rivoluzione italiana; combattono a mio favore tutti i dolori e tutte le miserie della nazione italiana.

Riassumo: se non riesci, dispregio profondamente l'ignobile volgo che mi condanna, ed Apprezzo poco il suo plauso in caso di riuscita. Tutta la mia ambizione, tutto il mio premio lo trovo nel fondo della mia coscienza e nel cuore di quei cari e generosi amici che hanno cooperato e diviso i miei palpiti e le mie speranze; e se mai nessun bene frutterà all'Italia il nostro sagrifìcio, sarà sempre una gloria trovar gente che volonterosa s'immola al suo avvenire.

Genova, 24 Giugno 1857.

Sottoscritto,

CARLO PISACANE.

NOTE

(1) La guerra d’Oriente. viene opportuna a confermare le esposte verità. Dopo un lungo ondeggiare, gli eserciti collegati senza un disegno ed un fine prestabilito sono inviati in Oriente. Ivi rimangono nell'inazione ed a Varna l'epidemia li decima ed annichilisce. Da Varna sono gettati colla medesima negligenza sulle coste della Tauride. Tentano di sorprendere una piazza dal lato ove essa è più forte, non riescono; girano intorno ad essa, scorgono un punto ove le fortificazioni sono meno solide, ed ivi si arrestano indecisi. Pongono l’assedio, e trascurano il solo punto che doveva decidere della presa della piazza e mentre si travagliano inutilmente altrove, lasciano che il nemico lo fortifichi a suo vantaggio, per poi, con perdite immense, prenderle conun assalto, quelle opere costrutte sotto ì loro occhi. E quali errori più grossolani e più dannosi avrebbero potuto commettere milizie del tutto ignare dell’arte della guerra? Prendere una piazza, dopo undici mesi d’assedio, avendo speso quattro miliardi, e perduto 150 mila uomini; davvero magnifico risultamento! I soldati hanno mostrato grandissimo valore è vero, ed appunto ciò conferma quello che noi abbiamo dimostralo. Non ora l’amor proprio di corpo che facevali valorosi, ma la loro trista condizione a cui non potevano sfuggire; in quelle soldatesche, era universale convincimento, che, vittoriosi, la loro condiziono sarebbe migliorata, la campagna finita; tutti lo attestarono, tutte le corrispondenze particolari anelavano il combattimento per finirla; Il desiderio di vincere avea suscitato la disperazione.

(2) Determineremo questa carica quando parleremo dell'amministrazione.

(3) Anche di questo diremo, parlando dell'amministrazione.

a Cotesto spirito d’imitazione ècosi radicato e conforme a' costami dell’epoca, che si imitano i re, nella loro vanità da nomini che non meriterebbero la accasa di vanitosi. La parola del re èsacra: quantunque sfugga inconsiderata dalle sue. labbra; dee diventare un fatto; il re non ad errare. In questa stolta vanità, un governo repubblicano sì credette In obbligo d’imitarli. «Iltale èMaggiore, lacerasi osservare ad uno de' membri di un certo governo, e non Colonnello — Davvero? mi dispiace, ma ieri scrivendogli ho osato questo titolo, ed èforza che divenga tale; e lo divenne; fortunatamente, lo meritava.

(4) Questo gretto spirito, non di corpo, ma di bande, era cosi radicato nel 49, e nella Legione Garibaldi più che altrove, che si promuovevano le diserzioni dagli altri carpii per ingrossare le file di quella.



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GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano







Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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