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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

ATTI DELLA ACCADEMIA PONTANIANA - VOLUME XXIV

NAPOLI - TIPOGRAFIA DELLA REGIA UNIVERSITÀ

Nel già Collegio del Salvatore

1894

NUOVA LUCE SULLO SBARCO DI SAPRI

MEMORIA LETTA NELLA TORNATA

DEL 19 NOVEMBRE 1893

DAL SOCIO

MICHELE LACAVA

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Per alzarli in questa terra
Quanti martiri perirò....

(Nicola Sole — Inno alla bandiera Italiana).

Le aspirazioni di libertà, il desiderio di avere istituzioni, ordinamenti informati a principii di civiltà e di progresso, sono antiche in Italia; massime il desiderio di vedere repristinati nel diritto pubblico e privato, i completi diritti che sono di spettanza del cittadino.

Datano queste lotte, or pacifiche ora cruenti, fin dal secolo scorso, ed antesignane, di queste riforme, furon due regioni in Italia, la Toscana, per opera del gran Duca Leopoldo, ed il reame di Napoli, sotto il fausta Governo di Carlo III, che fu il vero distruttore presso di noi del feudalismo. E poi la rivoluzione Francese, trovava in Italia più che in ogn’altra contrada d'Europa, la sua accettazione, e forse più della stessa Francia. Rivoluzione arditissima eternamente benemerita dell'umanità, e che in questa nostra città fu suggellata col sangue di tanti sommi uomini.

Sia per la repubblica Napoletana, e poi Regno di Giuseppe Napoleone, e di Gioacchino Murai; sia per la repubblica cisalpina, e poi Regno Italico, rimasero nei nostri codici, nelle istituzioni amministrative, attestati ben grandi di libertà e di progresso che la reazione del 1815 non potè distruggere, e dové giocoforza accettare.

La libertà quindi fece grande cammino, restando vivo desiderio di avere guarentigie costituzionali; e da questo i moti del 1820 e 21.

Col tempo, al desiderio di libertà politiche si uni il principio della indipendenza dei diversi stati in cui era divisa e lacerata l'Italia. Da ciò congiure e rivoluzioni soffocate nel sangue. Venne il 1848, e vi fu non solo ardente bramosia di istituzioni rappresentative, ma si voleva la completa indipendenza della patria dallo straniero. Ed a questo si aggiunse l'idea della federazione Italiana,

Mancava un altissimo concetto, ed era quello della unità della Patria, senza della quale non ora possibile la sua libertà e la sua indipendenza. Questo concetto altissimo si impernia nella vita d'un uomo, in quella di Giuseppe Mazzini, che visse unicamente per dire agl'Italiani: che avevano una patria, una grande patria da unificare. Nel suo lungo apostolato, non indietreggiò innanzi ad ostacoli ed a pericoli: egli voleva che l’Italia fosse unita, dalle Alpi al Lilibeo, ed ebbe vita da vedere coronate le sue aspirazioni, però non per mezzo della Repubblica, ma per mezzo della monarchia Sabauda.

Mazzini dal 1831 al 1833, aveva fondato la setta della giovane Italia, e nel 1834 la giovane Europa. Caduta la Repubblica romana, Mazzini si ritirò in Londra, e fondò un Comitato Centrale per la democrazia Europea; ed un altro per la nazionalità Italiana, che si irradiò per tutta la penisola, portando il nome di setta dell'Unità Italiana: e questo valse molto a tener vivo il sentimento della patria, negli animi Italiani, nei tempi più infausti del nostro risorgimento.

Nel 1849 la Sicilia era prostrata; il moto di rivoluzione delta Calabria, un anno prima, era stato represso; il Piemonte, dopo il disastro di Novara abbattuto; caduta Roma, caduta Venezia, l’intera Italia era ritornata sotto i feroci governi degli antichi Signori.

Per quel che riguarda le cose nostre, il Borbone perseguitava, o aveva imprigionati tutti quelli che avevano manifestate delle aspirazioni per la libertà. Solo vegliavano ai destini d’Italia due uomini, il Mazzini ed il Conte di Cavour. Del Conte di Cavour non è qui il caso di parlarne, venendo, dopo un elasso di tempo, manifesta la grande sua opera diplomatica, colla quale spinse la Francia ad aiutarci poderosamente colle sue forze, e spinse l'Europa diffidente, ad accettare la indipendenza e la libertà d’Italia.

Mazzini adunque è alla sua opera, e la sua setta si diffonde in Napoli e nelle Provincie del mezzogiorno.

Vi furono delle provincie, ove l’associazione mazziniana largamente si diffuse, ed altre ove incontrò pochissimo. Cosi negli Abruzzi, Campobasso, Avellino, Terra di Lavoro, il mazzinianismo non fece molti proseliti: nelle Calabrie, predominava il quietismo, o pure le aspirazioni dei liberali erano rivolte al murattismo; le provincie ove l’associazione mazziniana trovò più aderenti, furono in prima la Basilicata, e poi, Lecce, Bari, Foggia, Salerno.

La Provincia di Basilicata aveva affiliati 2000 giovani armati di tutto punto, pronti ad insorgere.

L’organizzazione della Provincia di Basilicata, si deve più di tutto all’opera efficace di un solo uomo; e questi fu Giacinto Albini: Il glorioso Prodittatore del 1860, quando fece insorgere in armi la Provincia d Basilicata, cinque giorni prima che il Generale Garibaldi fosse sbarcato sul continente.

In Napoli esisteva un Comitato che dirigeva la somma delle cose.

Questo Comitato si iniziò nel 1854, da Luigi Dragone e Giuseppe Fanelli, e poi ad essi successivamente si aggiunsero Nicola Mignogna, Giovanni Matina e Giacinto Albini; e poi i fratelli Fittipaldi, Rizzo Antonio, Chiarini, Langellotti, Basile Tommaso, ed altri.

La parte direttiva di questo Comitato fu affidata al Fanelli ed al Dragone. Il periodo della massima operosità di questo Comitato, è precisamente quello di cui ci occupiamo in questo capo; vale a dire dalla fine del 1856, e prima metà del 1857. Il Comitato siedeva nella casa del Dragone (1) che avea per moglie Rosa Morice, figlia ad un patriota Calabrese. Questa donna avvedutissima, intelligente, e di altissimi sentimenti patriottici, fu la vera anima del Comitato. Noi reputiamo a nostra singolare fortuna, di averla conosciuta nella sua età avanzata; ed a noi ha fornito, non solo i documenti che pubblicheremo in altra opera, ma rilevanti notizie, sia pel Comitato, sia per la spedizione di Sapri. Rendiamo a questa egregia e veneranda Signora i maggiori ringraziamenti che per noi si possono.

Questo Comitato corrispondeva con quello di Malta, costituito da Fabrizio e da Antonio Morice; corrispondeva con quello di Genova, e di Palermo; e più di tutto con quello di Londra.

Siamo nel 1857, e la rivoluzione era preparata e pronta in Basilicata per diffondersi nelle altre provincie, e solo dietro accordi presi col Comitato di Napoli, si attendevano i capi militari, e lo sbarco di una schiera li patrioti sulle coste del Mar Tirreno.

L’idea di dare incentivo alla rivoluzione, con approdo di armati nella rada di Sapri, era da lungo tempo nella mente di Mazzini; e capo di questa spedizione, dovea essere, come difatti fu, Carlo Pisacane.

Due parole su Carlo Pisacane

Carlo Pisacane nacque in Napoli il 22 agosto 1818, da Gennaro Duca di S. Giovanni, e da Nicoletta Basile De Luna. Di 6anni restò orfano di padre; ma la superstite genitrice non risparmiò cure perché fosse diligentemente educato. Di 13 anni entrò nel collegio dell'Annunziatella; si distinse in tutte le discipline, che in quel collegio si insegnavano, e specialmente nelle matematiche. Ed è rimasta memoria di due alunni che sugli altri primeggiavano, nelle scienze matematiche, Pisacane e Cosenz. Fu ammesso nella milizia col grado di Sottotenente nel corpo del Genio. La bella fama che correva di lui, come abilissimo nelle materie dell'ingegneria, fece si che il Capitano Fonseca, lo avesse richiesto come suo aiuto nella costruzione della ferrovia da Napoli a Caserta; e quest'uffizio con lode somma adempì. Fu promosso al grado di 1.° Tenente. Di poi fu richiesto dal Capitano Gonzales, per dirigere una strada ad Antigua no.

Fu validissimo di costituzione; e pruova ne siano due ferite gravissime che riportò in colluttazione con un ladro.

Una sera, mentre, ad ora tarda rincasava, all'improvviso un ladro gli si scagliava addosso, minacciandolo nella vita se non gli avesse dato quanto denaro avea. Il Pisacane non era uomo da riceversi in pace una violenza, e sebbene inerme, si gittò sul ladro per disarmarlo. Ma il ladro, che era destro nel rubare, e più destro nel menar di coltello, tirò due veementi colpi di trincetto nel ventre e nel petto di Pisacane; ambo penetranti in cavità; ma quello nell'addome più grave, perché perforato il peritoneo, si era la lama immersa nell'ala destra del fegato. I più distinti medici e chirurgi della città, chiamati a consulto, emisero prognostico di morte, senza luogo a speranza alcuna. E questo prognostico, era secondo i dettami della scienza. Anche ora ferite simili sono gravissime: ancorché al presente la scienza si è arricchita della medela antisettica: la Listeviana. Ma pel vigore singolare che aveva di animo e di corpo, vinse la forza del male e guarì: il che fédire al celebre chirurgo Coluzzi, di essere il Pisacane destinato a grandi cose, se anche la natura avea fatto per lui una eccezione, facendolo riavere da una letale ferita.

La natura aveva del Pisacane fatto un essere privilegiato: grande ingegno, di forte volontà, carattere ferreo, di corpo validissimo, ed anche bello di aspetto. Se è lecito addurre degli aneddoti, per dimostrare la veridicità di alcuni fatti, noi ci prendiamo la licenza di raccontare a proposito dell’avvenenza del Pisacane, che in una festa da ballo tenutasi in Nocera, quando il Pisacane ventenne appena, era uscito dal collegio, gli mosse giovanile ghiribizzo di vestirsi da donna, e sembrava attraente donzella; tanto da invaghirsi di luiun Generale. Amore impossibile che ebbe la illusione di poche ore; e che ebbe dopo del ballo un finale comico: rara soluzione dell’amore, che come dice una popolare canzone, nasce tra la gioia ed il riso; e finisce nel pianto e nel dolore.

Da un’altra parte poi ebbe l’animo sensibile ad ogni generoso affetto e fu fortemente colpito da una passione amorosa, con donna, che forse non era degna di lui, ma che decise di molti eventi della sua vita. Aveva Carlo già nel 1830 conosciuto una fanciulla dell'età sua, della quale fin d’allora si prese. Néfu dimenticato quel puerile affetto per crescere d’età, per lunghe assenze e per studii; che anzi vieppiù sempre crebbe, si fece amore e più violento riarse quando Carlo, uscito dal collegio, trovava la sua diletta sposa d'altr’uomo.

Fu lungo il contrasto fra la passione e il dovere; pur vinse l’amore, e dopo molti casi, che qui non accade narrare, finalmente il Pisacane, nel giorno 8 di Febbraio del 1847, partivasi da Napoli alla volta di Londra. Rimasto ivi alcun tempo si recava a Parigi, e cercato invano colà di procacciarsi la vita, veniva a Marsiglia e indi il cinque decembre partiva per l'Africa, dove aveva ottenuto il grado di sottotenente nel primo reggimento della Legione straniera, che militava per la Francia contro gli Arabi dell’Algeria.

Intanto viene il 1848 e l’animo suo, bollente di patrio amore, lo spinge a lasciar il grado che aveva in Africa, approda a Marsiglia e corre a Milano, ed è mandato col grado di Capitano nella legione Borra che allora campeggiava ai confini del Tirolo.

Prese parte a diversi combattimenti, e il giorno 29 Giugno ebbe da una palla ferito il braccio destro, ed in modo tale, che se non era il Dottor Leone che lo volle risparmiato, a giudizio comune dei medici, era mestieri tagliarlo. Scioltosi il corpo a cui apparteneva, si ricoveròin Isvizzera, e di la si portòin Roma, che ancora si manteneva indipendente, sembrando a lui vergogna di starsene inoperoso, quando in un angolo d’Italia ancor si combatteva per la libertà. In Roma conobbe il Mazzini, e caduta Roma con lui stette qualche tempo in Isvizzera.

Nei tempi duri dell’esilio si ritirò in Genova, ove si diè ad insegnare matematiche, ed ebbe anche l’incarico di fare gli studii di una strada ferrata, da Mondovi a Ceva.

Fu anche uomo colto, e scrisse i Saggi storici-politici-militari sull’Italia in 3 volumi; scrisse ancora un libro sulla guerra combattuta in Italia nel 1848-49.

Da Genova manteneva strette relazioni di congiura con Napoli. Mazzini di lui sperava farne il suo braccio destro. Ecco in quale stato trovavasi Pisacane, quando la congiura mazziniana della Italia meridionale, fece capo al disastro di Sapri.

Torniamo al racconto della spedizione:

Verso la fine del 1856, Mazzini si recò a Genova e convenne con Pisacane che la spedizione si sarebbe fatta nell’anno seguente.

E nel 1857 più volte si stabili il giorno in cui la spedizione di Sapri avrebbe dovuto effettuarsi: primieramente fu fissata dai 20 ai 22 Aprile; e poi dai 25 ai 27 dello stesso mese; ai 25 di Maggio; ed ai 10 Giugno per approdare a Sapri il 13. Mazzini teneva molto a che questa spedizione si fosse presto eseguita, sia per distruggere le mene murattiane che facevano capo a Marsiglia, e sia per coordinare questa spedizione ai moti, che dovevano succedere in Genova (2), in Livorno, nell’Ungheria, in Francia, in Ispagna.

11 disegno di Pisacane consisteva nello sbarcare a Sapri, rivolgersi al Vallo di Teggiano, ed ivi accogliere gl'insorti del circonda rio di Lagonegro, del Vallo di Teggiano, e di quella parte della provincia di Basilicata, contigua a questi luoghi, procedere verso Auletta, ove sarebbe stato raggiunto dal rimanente degli insorti della Basilicata; ed inoltrarsi fino ad Eboli, nel quale luogo si sarebbe unito coi Cilentani e cogli Avellinesi. Costituito un forte nerbo d’insorti, muovere alla volta di Napoli,

Il Comitato di Napoli se stimava pronte alla rivoluzione le provincie, e tra queste primissima la Basilicata, non riteneva però pronta la rivoluzione in Napoli, per mancanza di mezzi e di armi.

Ma Mazzini e Pisacane, odiando gl'indugi, imposero il loro volere.

Tutto fudisposto per lo sbarco in Sapri nel giorno 13 Giugno, ed un gruppo di patrioti doveva imbarcarsi sul Cagliari, piroscafo della compagnia Rubattino, per riunirsi a Portofino con una banda armata che già li avea preceduti di tre giorni; ma questa spedizione andòa monte, quando si seppe che gl’imbarcati di Portofino, per violenta tempesta sopraggiunta la notte, erano stati costretti a gettare in mare anni e munizioni, e tornare indietro.

Il Comitato di Napoli erasi reso diligente di far tenere a Michele Magnone, che trovavasi carcerato in Salerno, una lettera nella quale gli si ingiungeva di far trovare una persona in Sapri, da servir di guida ai disbarcati; come erasi col Pisacane convenuto. Il Magnone adempì fedelmente all'opera sua.

Dalle prigioni avea avvertito suo nipote Ferdinando Vairo perché desse tutte le disposizioni per lo sbarco, uniformemente alle istruzioni ricevute. Il Vairo attese con diligenza a questo incarico; e spedi Paladino Antonio sopra Vibonati, paese posto a cavaliere della marina di Sapri, colla consegna che veduto lo sbarco si fosse subito portato a Montemurro ad avvisarne Giacinto Albini. Sul luogo dello sbarco poi erano stati mandati,. colle necessarie istruzioni, Matteo Giordano e due altri patrioti. Tutto ciò fu opera perduta non avendo, sventuratamente, avuto luogo la spedizione fissata pel giorno 10.

Carlo Pisacane, anima ardente, appena seppe di questo disastro, pensò che l’indugio avrebbe potuto fare a Napoli cattiva impressione, s’imbarca a Genova a giunge in Napoli il giorno 13.

Il Comitato di Napoli insistette per avere armi e munizioni che dovevano venire da Malta, ed essere provveduto inoltre di mezzi pecuniarii. La spedizione fudifferita indeterminatamente, dovendosi dal Comitato aver prima le armi ed il denaro. Pisacane parti da Napoli il 18 Giugno, ed arriva fra il 20 e 21 a Genova, e quivi trovando che la rivoluzione non poteva più differirsi, o fugiocoforza precipitare le cose, in modo che il Comitato di Napoli, ebbe solo pochi mezzi; ma non le armi, e né tempo sufficiente da avvertire le provincie, e da inviare in Basilicata, Rosiello e Pateras, che erano i capi destinati in quella Provincia per la rivoluzione.

La spedizione ebbe luogo dal porto di Genova il giorno 25 di Giugno nelle ore 4 pom. sul vapore il Cagliari, comandato dal Capitano Sitzia. Gli ardimentosi patrioti che componevano la spedizione, erano in tutto 25, compreso il Capo Pisacane.

Erasi fissato che Rosolino Pilo con alcune barche cariche di armi ed armati, si fosse trovato nelle acque, ove dovea trascorrere il Cagliari, ma vuole fatalità, che una folta nebbia impedisse a Rosolino Pilo la vista del Cagliari.

Pisacane non si arresta, e con i suoi audaci compagni si rende padrone della nave; per altro il Capitano e l’equipaggio, senza resistenza alcuna, anzi di buona volontà, si associano a Pisacane.

Si abbandona la rotta per la Sardegna, e si rivolgono a Ponza; ove giungevano la sera del giorno 27, alle ore 4. Sbarcarono, ed accolti con festa dai relegati, s’impadronirono del corpo di guardia, uccidendo nel conflitto il tenente Cesare Balzamo che voleva difenderlo, ed uniti ad ossi molti relegati si fecero consegnare dai veterani le armi e le munizioni di guerra, incendiarono la caserma dei gendarmi, e il posto di guardia della polizia, ed affondano una nave scorridoia che trovavasi nel porto.

Compiuto brillantemente questo audacissimo colpo di mano, si imbarcarono sul Cagliari in numero di 457; cosi divisi;

Relegati evasi da Ponza 400; equipaggio del Cagliari 32, patrioti congiurati 25. Furono divisi in tre compagnie, sotto il comando dei Capitani Nicola Giordano, Nicola Valletta, e Federico Priorelli; Maggiore Giov. Battista Falcone; Colonnello Giovanni Nicotera, e Comandante in Capo Carlo Pisacane.

Giungono a Sapri alle ore 8 della sera del 28 Giugno, sbarcano la notte, e la mattina seguente alle ore 8 a. m. abbandonano Sapri e si rivolgono verso Torraca, ove giungono alle ore 10 a. m. con bandiera spiegata e tamburo battente, al grido «Viva la Repubblica», serbando militare disciplina, e buon ordine di marcia.

Dopo un’ora di fermata ripresero la marcia, che continuarono per altri 12 miglia, traversando sentieri alpestri in mezzo a dirupi, e giunsero alle 5 p. m. al Fortino, ove presero scarso ristoro di cibo, e vi passano la notte. Dal Fortino, la mattina dei 30 si recarono a Casalnuovo. Presero la via di Padula, ed a marcia forzata vi giunsero alle ore 8 p. in. dello stesso giorno 30. Quivi Pisacane sperava trovare gli aiuti promessi, e che invano aveva trovato nel cammino fatto nei giorni 29 e 30; ed invece incontra gente indifferente o nemica; salvo pochi patrioti. Ecco come si esprime il Venosta:

«Ivi pure non amici, non segni di rivoluzione, ma un paese atterrito. E come la voce della vendetta gridava all’armi, gli uomini fuggivano spaventati e si nascondevano.... A Padula Pisacane trovava i fratelli Santelmo, Romano ed altri, tutti cospiratori, parlava loro; facea conoscere l’urgenza di armarsi. Io ho mantenuto la mia parola, dicea; son

qui; e voi che faceste? Promisero pel dimani gente; ma non si «presentò nessuno».

Chi informò il governo borbonico dello sbarco di Sapri?

In prima vi fu un rinnegato liberale di Sala, che giorni prima dello sbarco di Sapri rivelò ad Aiossa, Intendente allora della Provincia di Salerno, che uno sbarco di mazziniani doveva avvenire nelle coste della Provincia. Le dichiarazioni di questo delatore furono, è vero, vaghe ed indecise; ma sufficienti però ad un uomo scaltro come l’Aiossa, di metterlo in guardia per questo sbarco; e già egli avverte tutti i capurbani fedeli borbonici, di stare sull’attenti, e pronti a mobilizzarsi nei luoghi che il governo avrebbe indicati; avverte i sottointendenti dei tre circondarii ed i giudici regi. Ed in effetti senza queste preventive istruzioni, riesce inesplicabile la unione di 1000 guardie urbane, in Padula, nel mattino del 1° Luglio.

Il governo borbonico, o per meglio dire, la Corte borbonica, che allora trovavasi in Gaeta, fu avvertita dello sbarco di Ponza dal Parroco Vitiello di Ponza.

Il Vitiello ciò fece non tanto per spirito di delazione; quanto per sua personale salvezza. Questo parroco per ragioni del suo uffizio aveva ammonito un cammorista di Ponza, che menava vita disordinata. Il cammorista, profittando del tumulto avvenuto nell’isola, per lo sbarco di Pisacane, cercò di vendicarsi, e minacciava di uccidere il Vitiello; il quale per sua salvezza stette la notte nascosto in una grotta. Nella notte medesima trovò un barcaiuolo che si prestò a portare sue lettere alla Corte di Re Ferdinando; e già la mattina del giorno seguente era a Gaeta noto lo sbarco di Pisacane, e della rotta che faceva; e conseguentemente col telegrafo avvertito l’Aiossa. Alcuni questo fatto l’attribuiscono non al parroco Vitiello; ma al Dottore Vincenzo Di Leo. Il Di Leo di Montalbano

Jonico, trovavasi in Ponza per espiare la pena di 19 anni di relegazione, cui fu condannato dalla Corte criminale di Potenza, per la famosa causa politica del memorandum.

Il Di Leo era il solo imputato politico che trovavasi in Ponza. Conferì con Pisacane; e fu lui che fece imbarcare il maggior numero di relegati sul Cagliari; e fece inoltre imbarcare armi, munizioni e viveri. Chi conosce l’integrità del carattere del Di Leo; il suo severo patriottismo, la condotta splendida tenuta nella rivoluzione del 1860, e chi legge attentamente la sua autobiografia, riconosce l’impossibilità di tale fatto.

Noi, non dubitiamo menomamente della lealtà del Di Leo; e respingiamo l’accusa di delazione e tradimento, come han fatto, Giacomo Racioppi e Decio Albini. Solo noi possiamo al Di Leo fare un’accusa di leggerezza; ed è quella di avere con imprudenza manifestato al parroco Vitiello il luogo dello sbarco, confidatogli da Pisacane, che se non disse proprio al Di Leo la rada di Sapri, ebbe ad indicargli per lo meno le coste della Provincia di Salerno.

Precisi ragguagli ebbe l’Aiossa dello sbarco di Sapri per dispacci telegrafici, trasmessi a Salerno per mezzo dello Scalandro, uffizio marittimo telegrafico di Sapri, prima che Pisacane avesse interrotta la linea di comunicazione.

In ultimo Gaetano Fischietti, allora Giudice del Circondario di Sapri, spediva in tutta fretta corrieri ai Sottointendenti di Sala e di Lagonegro, per avvertir loro dello sbarco di Pisacane, e della via di terraferma, che esso batteva.

Cosi il governo borbonico è informato, dirò, ora per ora, minuto per minuto, dei movimenti che Pisacane faceva. Ed in tal modo si preparano contro del Pisacane le maggiori forze di repressione di cui il governo disponeva.

In effetti, quattro compagnie dell’11° battaglione cacciatori, sotto gli ordini del Maggiore Marnili, s’imbarcarono sulle fregate a vapore, il Tancredi e l’Ettore Fieramosca, comandate dal retroammiraglio Roberti.

Le fregate partirono da Mola di Gaeta alle ore 8 a. m. del 29 Giugno, toccando l'isola di Ventotene, S. Stefano, e presso l’isola di Capri, catturando il Cagliari, che rimorchiarono a Sapri. Le fregate giunsero a Sapri all’alba del giorno 30. Altre due compagnie dello stesso 11° battaglione cacciatori, imbarcate col piroscafo il Veloce, e partite del pari da Mola di Gaeta, giungevano a Sapri lo stesso giorno, verso le 5. pom.

Da Salerno, verso le ore 10 del giorno 29, il Generale Quandel, comandante le armi della Provincia, di accordo coll’intendente Aiossa, spediva contro Pisacane sei compagnie di soldati, sotto il comando del Tenente Colonnello Ghio. Prima del Ghio era giunto in Sala la mattina dei 30 il Maggiore De Liguori con 50 gendarmi a cavallo, ed in fretta ed in furia col Sottointendente Calvosa, si era dato a raccogliere in Sala le guardie urbane dei paesi contermini.

Verso le ore 8 a. m. del giorno 1(o)Luglio, numerosi drappelli misti di gendarmi e guardie urbane, nel numero di oltre 1000, da Sala mossero alla volta di Padula. Quivi giunti ritrovarono i patrioti, nel numero di circa 400, nella contrada denominata Murge del Piesco, da prima posti in forte posizione sulla collina 5. Cantone, e poi accampati sulla facciata cosi detta della Croce, in un luogo più vicino a Padula. La forza borbonica occupò le posizioni abbandonate dai liberali. Durante qualche ora fuvvi scambio di fucilate fuori tiro; mentre i mazziniani erano intenti solo a difendersi, e i borbonici non osavano attaccarli. Non vi furono morti e feriti, sino all'apparire del 7° battaglione cacciatori, che giunse alle ore 12 meridiane. Allora parte dei rivoltosi, vedendosi circondati da forze imponenti, si diedero a precipitosa fuga verso l’abitato di Padula, nel numero di circa 150, e gittate le armi si resero prigionieri, implorando per grazia la vita; ma non trovarono misericordia, sia nei primi furori, sia dopo essere stati assicurati nelle mani dei cacciatori. Raccolti quest’infelici nel posto della guardia urbana, venivano man mano trasportati altrove, ed uno appresso l’altro fucilati.

Pisacane, Nicotera e Falcone, con circa 140 persone fuggirono di mezzo alle forze borboniche, e si diressero verso i monti di Sanza, in cerca di migliore rifugio; e l’indomani, 2 di Luglio, i Sanzesi, nel vederli suonarono le campane a stormo, e corsero tutti, uomini e donne a mano armata di pali, falce, forche, pietre, e scatenaronsi sugl'infelici profughi, che tutti si arresero, vista impossibile ogni resistenza.

Gittate le armi domandavano la vita, ma non trovarono pietà né sentimento alcuno umanitario, perché venivano derubati, spogliati ed uccisi, sia per avidità di bottino, e sia per naturale istinto di ferocia insito nell’animo dei Sanzesi. Cosi Pisacane, Falcone ed altri 70 incirca, vi lasciarono miseramente la vita; altri si salvarono, come prodigio, tra i quali Nicotera gravemente ferito al capo da un colpo di scure, e da un colpo di pistola ferito alla mano destra, ove rimasero i proiettili.

Scendendo a maggiore dettaglio, il capurbano Sabino Laviglia, all’avvicinarsi a Sanza degli avvanzi della spedizione di Pisacane, li fece credere alle guardie urbane, ed a tutti del paese, che fossero una banda di briganti, ed invitava tutti a prendere le armi; ed egli, come l’assassino quando medita la grassazione, appiattato dietro un giardino murato, com'ebbe a tiro il Pisacane. ed altri animosi, che innanzi procedevano, ordina il fuoco: caddero morti il Pisacane, il Falcone ed altri.

Nell'atto non diremo di questa zuffa, ma di questa carneficina, il parroco ed i preti di Sanza portano in processione l’ostia sacrata, le statue di S. Antonio e di S. Sabino, per animare i Sanzesi all'eccidio dei liberali.

Ora non è il caso di dire che questi indegni sacerdoti:

Alzavano colle mani di sangue.

Un Dio di pace?

E quale insulto non è alla memoria dell'umile fraticello di Padova, la cui vita trascorse nella pietà, e che ebbe il coraggio di solo presentarsi ad Ezelino da Romano, e rinfacciargli la sua tirannia?! Ma è troppo a pretendere che un pretonzolo di Sanza avesse saputo la istoria di S. Antonio; e solo ricordava la indegna farsa dei Sanfedisti di Napoli che elevarono S. Antonio da Padova a protettore delle loro nefandezze.

Non si è potuto mai determinare il numero dei morti in Padula e in Sanza: vi è chi lo limita a 150, e vi è chi lo porta a 200 (3). Certamente buona parte degl'infelici seguaci di Pisacane restarono uccisi, ed altri si sbandarono, ed altri caddero nelle mani del potere giudiziario; e questi furon i più fortunati, perché sfuggirono alla inesorabile carneficina di Padula e Sanza.

Furono i cadaveri bruciati, non per onorare gli estinti, come solevano praticare i Romani, che sedata la pugna cremavano i morti per tributare loro le maggiori onoranze possibili; ma furono bruciati, giusto il volgare pregiudizio, per rendere ignominiosa la loro morte.

Frattando il maggiore Marulli sbarcato a Sapri, avea fatto riposo a Torraca la mattina dei 30 Giugno, e nella notte susseguente, ad ora inoltrata si era messo in marcia col suo battaglione verso Casalnuovo.

Non prese parte nel combattimento di Padula del 1° Luglio, e né alle ferocie dei Sanzesi; e dispose di recarsi in Sanza una parte della sua truppa a prendervi i prigionieri caduti nelle loro mani; non vi si recò personalmente, ma vi si spedi il capitano Musitano, colla sua compagnia, che li condusse alla di lui presenza. Ed il Marulli, indegno di portare una divisa militare, che anche in un governo tirannico, dev'essere simbolo di pietà e di onore; invece di commuoversi alla vista di quegl'infelici, digiuni, denudati, feriti, e palpitanti sui loro destini, li caricòdi minaccie e di contumelie, credendo in tal modo di accrescere i suoi meriti politici, presso il Governo borbonico.

Il Barone Nicotera se ne dolse a nome dei suoi compagni, implorando quelle leggi di pietà e di onore, che fanno sacro il prigioniero, anche presso i popoli incivili. Gliene venne male; inquantocché quella mano del Marulli, che avrebbe dovuta arrecare soccorso alla sventura, si caricò di obbrobrio, dando uno schiaffo sulla guancia del Nicotera. Il Nicotera altamente offeso disse: «Signor Maggiore, scioglietemi dai legami che mi tengono avvinti, e fra noi due vedremo se vi faròcommettere ulteriori soprusi». Nicotera fu un eroe, ed il Marulli fu più vile di Maramaldo.

I prigionieri (4) trasportati a Salerno, furono sottoposti a processo colla condanna del Nicotera ed altri alla pena di morte, tramutata poi in ergastolo, e colla condanna degli altri a pene diverse. Diamo maggiori dettagli. Il 18 novembre 1857 il procuratore Generale Pacifico, emetteva contro gl’imprigionati per lo sbarco di Sapri accusa di morte, dalla Camera di Consiglio ad umanità approvata; e la Corte nel 19 Luglio dello stesso anno sotto la presidenza di Domenico Dalia, e composta da giudici Pietro Cicero, Riccardo De Conciliis, Francesco Corona, e Francesco Politi, dopo lunga discussione coraggiosamente tenuta dagl'imputati e dai difensori, massime da Diego Tafani, condannava a morte col terzo grado di pubblico esempio Giovanni Nicotera, Giovanni Galliani, Giuseppe Santandrea, Nicola Giordano, Nicola Vailetta, Luigi Lasala, Francesco Martino, e altri all'ergastolo. A tutti venne commutata la pena in trent'anni di galera.

Cosi fini miseramente la spedizione di Sapri e l'eroico Pisacane, che avrebbe reso alla patria grandi servigi nelle guerre del 59 e del 60, vi lasciava la vita.

Or noi ci domandiamo quali furono le cause di tanto disastro?

Le cause furono diverse, e tutti vi hanno la loro parte di colpa.

Incominciamo dall’imprecare alla fatalità degli elementi. Nella spedizione preparata pel giorno 10 Giugno, i marosi obbligano i congiurati, a gettare il carico della nave di armi e munizioni nel mare; e per quella dei 25 una densa nebbia impedì a Rosolino Pilo di vedere il Cagliari. La colpa di Mazzini fuquella di avere precipitata la spedizione, senza dare il tempo ed i mezzi necessari al Comitato di Napoli, di fornirsi di armi e di munizioni e di mezzi pecuniarii. Una lettera colla quale Pisacane partecipava al Comitato di Napoli la sua partenza, giunge nel tempo ¡stesso in cui egli sbarcava a Ponza; e più di tutto fu grave infortunio il ritardo di 3 giorni di un telegramma. Erasi disposto da Mazzini di avvertire il Comitato di Napoli della spedizione con un telegramma tra loro combinato, diretto al negoziante di cappelli De Mata.

Questo telegramma sarebbe stato spedito da Genova, al ritorno che avrebbero fatto in quel porto i marinai delle barche di Rosolino Pilo; barche che non tornarono per tempo; attesocché Rosolino Pilo non avendo incontrato il Cagliari, ritardò il suo ritorno in Genova.

Fu grave colpa quella della Provincia di Salerno, di non essere organizzata; e colpa del Comitato quella di crederla pronta all’insurrezione.

Nella Provincia di Salerno, non solo non vi era organizzazione alcuna (e ciò a causa degli arresti di Giovanni Matina e di Vincenzo Padula); ma vi fu sventuratamente un fatto del tutto contrario, ossia che i militi della guardia urbana furono quelli che uniti ai Gendarmi e soldati borbonici, disfecero i poveri sbarcati di Sapri.

Fu errore del Comitato di non avere inviato a tempo i capi militari in Basilicata; e di avere nascosto a Giacinto Albini il luogo dello sbarco ed il piano dell'insurrezione.

Errore ben grande fu quello di prendere i relegati di Ponza, ritenendoli tutti condannati politici. Ecco le parole al proposito del Di Leo:

«Non vi era da fare assegnamento sul contingente offerto da Ponza, che grande fiducia non potea ispirare una marmaglia di relegati per delitti comuni; e di militi parte indisciplinati e parte cammorristi, salvo pochissime eccezioni; l’Isola non contenere condannati politici, tutti gli altri trovarsi a Ventotene, a S. Stefano e a Procida, nonché a Montesarchio».

Tutti gli Storici della spedizione di Sapri paragonano questa spedizione a quella di Marsala. Se si parla dell'eroismo di Pisacane e dei pochi suoi seguaci, siamo intieramente di accordo; ma se nell'insieme si paragonano i seguaci di Pisacane, a quelli di Garibaldi, il divario e immenso. Tra i mille di Marsala non vi era un condannato per delitti comuni; mentre tra quelli di Pisacane vi era il rifiuto delle galere, condannati per mostruosi delitti. Non può combattere per la patria chi ha l’anima di fango. Ed ecco come si spiegano le disserzioni prima di arrivare a Padula, e corno si spiega ancora che circa la metà dei seguaci di Pisacane si arresero senza combattere in Padula. Setutti fossero stati decisi a combattere e morire per un’idea, potevano nelle prime ore del mattino del 1° Luglio sbaragliare l'accozzaglia di mille persone, costituita da guardie urbane.

Anche vi è da dire sul conto di Pateras destinato a comandare gl'insorti in Basilicata. La condotta del Pateras fu, se non vigliacca, leggiera. Noi abbiamo udito dalla bocca dell'egregia e patriottica donna, Rosa Morice Dragone la narrazione esatta e precisa di ciò che il Comitato avea disposto, e che Pateras non esegui punto.

Il telegramma di Mazzini spedito al De Mata, giunse tardi, è vero, nel giorno 27 Giugno; ma si era ancora in tempo da salvare da un disastro Pisacane ed i suoi seguaci.

Giunto il telegramma, il Comitato immediatamente faceva partire il Pateras per Salerno, accompagnato da una guida che Giacinto Albini avea fatto pervenire in Napoli. Si giunge la sera dei 27 in Salerno, per partire dopo poche ore di riposo alla volta di Montemurro. La guida dell'Albini, fidatissima persona, voleva portare il Pateras a riposare preso una famiglia sua amica. Ma Pateras si impose e si ostinò di andare in una locanda, facendosi previamente consegnare 200 piastre, date dal Comitato, e che la guida teneva addosso.

Pateras la mattina dei 28, ritorna in Napoli, dicendo di essere stato da Salerno espulso dalla polizia. Diversi ritennero che ciò fosse stato un ritrovato del Pateras, sia per profittare delle 200 piastre, e sia per non esporsi ai pericoli di una guerra. Ma posto ancora che la polizia lo avesse espulso, grave fu la sua colpa, di essere andato in locanda, anziché in una casa amica, ove a suo bell'agio, avrebbe potuto riposare e partire nel corso della notte.

E se avesse avuto veramente l'entusiasmo che accompagna le nobili imprese, ed il fermo proposito di coadiuvare il Pisacane, sarebbe partito immediatamente, cercando di portarsi fino a Padula, con veicoli rotabili, e da Padula sarebbe andato a cavallo fino a Montemurro: bastavano solo 24 ore per andare in tal modo da Salerno a Montemurro.

Giacinto Albini avrebbe chiamato a raccolta i patrioti ardimentosi di Moliterno, Montemurro, Saponara, Viggiano, Tramutola, Corleto ed altri paesi viciniori, e sotto il comando di Pateras, avrebbero potuto raggiungere il Pisacane a Padula, ed accettare in favorevolissime condizioni il combattimento contro la masnada dei gendarmi e guardie urbane; od almeno avrebbero sconsigliato il Pisacane di prendere la fatale via di Sanza, ed invece portarsi nella valle dell'Agri e del Sauro, ossia nella Provincia di Basilicata, cosi ardente di patriottismo.

Mancò al Comitato la conoscenza della topografia di Basilicata; e più di tutto il calcolo della distanza che intercedeva tra la Basilicata a Napoli: distanza immensa, se si considerano i mezzi di comunicazione esistenti in quel tempo.

Da Napoli si andava fino a Sala ed a Padula in carrozza, e poteva questa via farsi in una giornata; da Sala o Padula a Montemurro ed a Corleto, occorreva andare od a piedi od a cavallo, ed impiegarci un’altra giornata. Ma i patrioti disposti ad insorgere, non stavano acquartierati in Montemurro, o Corleto,bensì dimoravano nei loro paesi. E chi considera la vastità immensa della Basilicata, l'asperità dei suoi monti e lo difficoltà dei suoi alpestri sentieri (ed allora senza telegrafo), deve trovar giusto che da Montemurro o Corleto a spedire i corrieri a tutte le Sezioni, in cui la Provincia era divisa, si impiegavano per lo meno altri due giorni. Un altro giorno bisogna accordarlo, affinché i Commissari di Sezione che sopraintendevano a molti paesi, avessero potuto raccogliere i loro militi; e già siamo a 5 giorni.

E per lo meno altri 3 giorni, bisogna accordare, perché gl'insorti si fossero recati a Sala, od in altri luoghi della Provincia di Salerno o del Lagonegrese. Ecco. l'errore del Comitato: la Basilicata avea bisogno d'un preavviso per lo meno di 8 giorni. Per la Provincia di Lecce un tempo ancora maggiore.

Errore ancora gravissimo fu quello di Pisacane, di ignorare la topografia dei luoghi, e la forte organizzazione della Basilicata. Perché dar di cozzo alle truppe regie, in condizioni di disparità di numero, di armi e di disciplina? Dal Fortino poteva rivolgersi verso Moliterno, scavalcando l'Appennino; ed una volta in Basilicata trovava la patriottica ospitalità Lucana; e più di tutto 2000 giovani entusiasti, ed una mente molto capace, quella di Giacinto Albini.

I monti di Basilicata sono naturali cittadelle, e fatti appositivamente per le guerriglie. Dalla storia si sa la resistenza che per 12 anni fece Annibale, straniero, alla potenza di Roma, sempre trattenendosi nell'antica Lucania; dalla storia ancora si rileva che Spartaco si mantenne coi suoi schiavi nella Lucania, battendo le legioni di Roma o pure ad esse sfuggendo; nella guerra Gotica la Lucania fu lungamente campo di guerra per i Greci, e cosi i Normanni; e più di tutto i due brigantaggi, quello del decennio e l'ultimo del 61in poi, ove masnadieri, feroci si, ma non agguerriti, invisi al popolo, sostenitori d'una causa abborrita, seppero resistere, e per molti anni, a truppe valorose disciplinate. Ed era per la Basilicata la stagione più propizia: l'estate; inquantoché se nell'inverno, quei monti sono poco abitabili, e sforniti di bestiame, nell'estate vi èabbondanza di animali e loro custodi.

Sul finale risultato di questa rivoluzione, non possiamo né dobbiamo illuderci: dopo molta resistenza, gl'insorti, avrebbero dovuto battere ritirata, onoratissima per altra, perché avrebbero potuto o capitolare o pure trovar modo di emigrare, non dico tutti, ma almeno i capi. Non approdava a cosa alcuna, massime per l’indeterminatezza della rivoluzione, che dal semplice concetto di dire, Viva l’Italia, non si conosceva se si voleva Repubblica o Monarchia, e le rivoluzioni doveva avere uno scopo determinato e definito, come fu la rivoluzione del 1860. Nelle idee del Mazzini stava la Repubblica; ma questo nome, non dobbiamo farci illusione, suona male nei nostri luoghi. La sola rivoluzione possibile, sarebbe stata quella o di chiedere energicamente la costituzione, o pure innalzare la gloriosa bandiera Sabauda, e forse cosi anticipare di 3 anni l'unificazione, l’indipendenza e la libertà della patria.

Ognuno può immaginare quanto dolore, tale sciagura arrecò ai mazziniani della Provincia di Basilicata; ma gli animi non si fiaccarono, restarono indomiti e proclivi a pronta riscossa per vendicare più che altro il sangue dei prodi, versato dai satelliti di un governo stigmatizzato la negazione di Dio.

E di li a pochi giorni in Corleto, in casa Senise, si unirono i capi principali: Chiurazzi, Lavecchia, Costanza, Albini, Basilio Assetta, Giambattista Matera, pronti tutti ad una levata di armi. Ma prevalsero, e dopo viva lotta, miti consigli; e fu ciò buona fortuna per essi, per la provincia di Basilicata e per la causa italiana, inquantocché questi generosi, repressi i loro fieri conati, si serbarono a miglior tempo e nel 1860 uniti ad altri portarono a compimento la gloriosa insurrezione Lucana.

Tre anni dopo dello sbarco di Sapri

Siamo nel 1860 ai 4 Settembre. Il Generale Garibaldi glorioso dei fatti della Sicilia, da Scalea approda a Sapri, e portato sempre in trionfo dagli insorti Calabri e Lucani, batte la stessa via battuta dal Pisacane, da Sapri al Fortino, e dal Fortino a Sala, in mezzo ad una popolazione plaudente. Egli è ritenuto novello Redentore, il Salvatore delle genti.

Il Racioppi cosi si esprime:

«Da Reggio a Salerno si accalcavano le genti convenute da 30 Km. discoste per vedere l'uomo straordinario: era gente varia per ordini, per cultura, per età, e gentili donne e poveri contadini, e legioni preti, frati, ortieri, braccianti, tutti dall'aprirsi dell’alba aspettavano sui ciglioni dei campi il suo passaggio: altri si ghermiva alla cima degli alberi per vederlo da lungi, e prima degli altri additarlo. Su quelle vie passavano alla rinfusa drappelli di militi insorti, schiere di camice rosse, uffiziali di ogni lingua e nazione, branchi di regii soldati, i quali laceri, e scalzi e sfiniti pitoccavano il pane per vivere ai viandanti; e tutti, a ragione di entusiasmo o di pietà, gittavano agli echi de' colli o delle valli il nome di Lui; e il nome di lui riecheggiava, di momento in momento, di punto in punto, fede, augurio, speranza».

La più bella riparazione che mai potea farsi al Pisacane fu il viaggio del Dittatore, che scacciò da Napoli l'ultimo ed imbelle discendente dei borboni. Avvenne però un fatto non lodevole, e che noi deploriamo. Non per consiglio del Generale Garibaldi, che l'animo suo non s’ispiròmai a bassezza ed a vendetta: ma da parte degl'insorti della Provincia di Salerno, si usò di quella violenza che chiamasi rappresaglia. Sanza fu assalita, e trattata col ferro e col fuoco; e non solo furono uccisi i borbonici, ma pochi ebbero salva la vita. Non approviamo tale eccidio; ma sieno agli autori di esso concesse, come suol dirsi in linguaggio forenze, le circostanze attenuanti. I Sanzesi avevano tratta una cambiale sul sangue dei seguaci di Pisacane: e questa cambiale a 38 mesi di scadenza, fu da essi pagata. La storia in questo caso ha da ripetere le parole dei Loredano a Foscari: Il conto è saldato, e la partita è estinta.

Al Pisacane fu deliberato di erigersi un monumento su di un monte, sulla via di Padula a Sanza, e che da una parte guarda Padula, ove avvenne il combattimento; e da un’altra parte Sanza ove avvenne il fatale eccidio. Ma di ciò nulla si fece, e dopo qualche tempo fu elevato alla sua memoria, un modesto monumento nella via Marina della città li Salerno, monumento prospiciente il mare e quelle costeove egli sbarcò, e che dovevano essere il luogo del suo trionfo, e furono invece quello della sua morte.

Trenta sei anni dopo

Siamo nel presente anno di grazia 1893.

Sono decorsi 33 anni dal risorgimento d’Italia.

Disse un grande filosofo ed uomo di Stato, che col sangue suggellò i suoi ammaestramenti: Mario Pagano.

La libertà nasce nel sangue, cresce coi tributi e vive colla virtù.

Sangue e sangue glorioso di Martiri, immolali sull'ara della patria, l’Italia ne ha versato più di qualunque altra Nazione. Tributi ne paghiamo al di là delle nostre forze. Ma le virtù civili abbondano o difettano nel popolo Italiano? Io non lo so, ed è questa una dolorosa incognita. Io per patrio amore mi auguro, non sieno estinti nel petto degli Italiani i ricordi della gloriosa istoria di questa Italia, che colla Magna Grecia e con Roma, civilizzi» il mondo antico; e con le repubbliche del medio evo restituì all'Europa barbara l'antica civiltà.

Voglio ciò augurarmi, e lo spero. Se no, l’Italia non è la risurrezione di un gran popolo, destinato cogli altri popoli civili, a menare innanzi il progresso; ma invece sarà la galvanizzazione di un cadavere; ed allora a nulla sono valse le guerre del 1848, 49, quelle del 1859-60 e la breccia di Porta-Pia, ed il sangue sacro di tanti martiri ed eroi sarebbe stato versato invano.

NOTE

(1)La casa ove abitavano i Signori Dragone, era una vera casa di cospiratore. Non ci aveva angolo di essa che non racchiudesse un mistero: le mura forate, staccate le imposte, il pavimento smosso, il soffitto mobile, tutto era divenuto asilo e ricettacolo all'opera della cospirazione. Ove meno tei pensavi erano celate coccarde e bandiere; le lettere e carte assicurate ad introvabili segreti; qua armi e munizioni sottratte ad ogni ricerca, in altro luogo sepolti gli strumenti ed oggetti da scrittoio, di cui si valevano quei cospiratori (L. De Monte—pag. 147.

(2)Mazzini trovavasi in Genova, e contemporaneamente allo sbarco di Sapri doveva impadronirsi di Genova; ma la rivoluzione neppure in Genova riuscì ed egli stesso fu fatto prigioniero, e solo per puro miracolo si salvò, andando in Inghilterra. e dar mano alla rivoluzione, in questa città preparata per opera del Comitato.

(3)In una circolare che l’Intendente Aiossa inviava ai Giudici Regi, asseriva che dei seguaci di Pisacane 200 e più erano già prigionieri: al di là di 150 erano rimasti sul terreno, e che pochi superstiti si stavano con ogni premura ricercando.

In altro uffizio l'Aiossa si esprime che la ricognizione dei cadaveri dei rivoltosi, caduti in Padula ed in Sanza, non fu possibile effettuarsi per essere stati immediatamente bruciati.

(4) I prigionieri fatti a Sala ascesero al numero di 103, percorsero a piedi la via fino alle carceri di Salerno; altri 73 prigionieri fatti a Sanza, furono imbarcati a Sapri sul vapore il Ruggiero, e sbarcati in Salerno; e fra questi il Nicotera.


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Pisacane e la spedizione di Sapri (1857) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito
1851 Carlo Pisacane Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49
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1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. I HTML ODT PDF
1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. II HTML ODT PDF
1860 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. III HTML ODT PDF
1860 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. IV HTML ODT PDF

1849

CARLO PISACANE Rapido cenno sugli ultimi avvenimenti di Roma

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La quistione napolitana Ferdinando di Borbone e Luciano Murat

1855

ITALIA E POPOLO giornale politico Pisacane murattisti

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Italia e Popolo - Giornale Politico N. 223 Murat e i Borboni

1856

L'Unita italiana e Luciano Murat re di Napoli

1856

ITALIA E POPOLO - I 10 mila fucili

1856

Situation politique de angleterre et sa conduite machiavelique

1857

La Ragione - foglio ebdomadario - diretto da Ausonio Franchi

1857

GIUSEPPE MAZZINI La situazione Carlo Pisacane

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ATTO DI ACCUSA proposta procuratore corte criminale 2023

1857

INTENDENZA GENERALE Real Marina contro compagnia RUBATTINI

1858

Documenti diplomatici relativi alla cattura del Cagliari - Camera dei Deputati - Sessione 1857-58

1858

Difesa del Cagliari presso la Commissione delle Prede e de' Naufragi

1858

Domenico Ventimiglia - La quistione del Cagliari e la stampa piemontese

1858

ANNUAIRE DES DEUX MONDES – Histoire générale des divers états

1858

GAZZETTA LETTERARIA - L’impresa di Sapri

1858

LA BILANCIA - Napoli e Piemonte

1858

Documenti ufficiali della corrispondenza di S. M. Siciliana con S. M. Britannica

1858

Esame ed esposizione de' pareri de' Consiglieri della corona inglese sullaquestione del Cagliari

1858

Ferdinando Starace - Esame critico della difesa del Cagliari

1858

Sulla legalità della cattura del Cagliari - Risposta dell'avvocato FerdinandoStarace al signor Roberto Phillimore

1858

The Jurist - May 1, 1858 - The case of the Cagliari

1858

Ricordi su Carlo Pisacane per Giuseppe Mazzini

1858

CARLO PISACANE - Saggi storici politici militari sull'Italia

1859

RIVISTA CONTEMPORANEA - Carlo Pisacane e le sue opere postume

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Raccolta dei trattati e delle convenzioni commerciali in vigore tra l'Italia egli stati stranieri

1863

Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

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Giacomo Racioppi - La spedizione di Carlo Pisacane a Sapri con documenti inediti

1864

NICOLA FABRIZJ - La spedizione di Sapri e il comitato di Napoli (relazione a Garibaldi)

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Giuseppe Castiglione - Martirio e Libert࠭ Racconti storici di un parroco dicampagna (XXXVIII-XL)

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Vincenzo De Leo - Un episodio sullo sbarco di Carlo Pisacane in Ponza

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Leopoldo Perez De Vera - La Repubblica - Venti dialoghi politico-popolari

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BELVIGLIERI - Storia d'Italia dal 1814 al 1866 - CAP. XXVII

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Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

1876

Gazzetta d'Italia n.307 - Autobiografia di Giovanni Nicotera

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F. Palleschi - Giovanni Nicotera e i fatti Sapri - Risposta alla Gazzettad'Italia

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L. D. Foschini - Processo Nicotera-Gazzetta d'Italia

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Gaetano Fischetti - Cenno storico della invasione dei liberali in Sapri del 1857

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Luigi de Monte - Cronaca del comitato segreto di Napoli su la spedizione di Sapri

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BERTOLINI MATANNA Storia risorgimento italiano PISACANE

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L'ILLUSTRAZIONE POPOLARE - Le memorie di Rosolino Pilo

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 MICHELE LACAVA nuova luce sullo sbarco di Sapri

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RIVISTA POPOLARE - Spedizione di Carlo Pisacane e i moti di Genova

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Carlo Tivaroni - Storia critica del risorgimento italiano (cap-VI)

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PAOLUCCI ROSOLINO PILO memorie e documenti archivio storico siciliano

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GIUSEPPE RENSI Introduzione PISACANE Ordinamento costituzione milizie italiane

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Rivista di Roma lettere inedite Pisacane Mazzini spedizione Sapri

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LUIGI FABBRI Carlo Pisacane vita opere azione rivoluzionaria

1908

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RISORGIMENTO ITALIANO - Lettera di Carlo Cattaneo a Carlo Pisacane

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RISORGIMENTO ITALIANO - I tentativi per far evadere Luigi Settembrini

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RISORGIMENTO ITALIANO - La spedizione di Sapri narrata dal capitano Daneri

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 MATTEO MAZZIOTTI reazione borbonica regno di Napoli

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RISORGIMENTO ITALIANO - Nuovi Documenti sulla spedizione di Sapri

1919

ANGIOLINI-CIACCHI - Socialismo e socialisti in Italia - Carlo Pisacane

1923

MICHELE ROSI - L'Italia odierna (Capitolo 2)

1927

NELLO ROSSELLI Carlo Pisacane nel risorgimento italiano

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - CODIGNOLA Rubattino

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano





Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)















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