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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

LA QUISTIONE DEL CAGLIARI

E LA STAMPA PIEMONTESE

1858?

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LA QUISTIONE DEL CAGLIARI

Fin dal primo annunzio che il Cagliari, piroscafo mercantile sardo, fosse stato catturato da due fregate a vapore, e condotto nel porto di Napoli, la stampa piemontese levò alta la voce per lanciare gl’innocui suoi fulmini contro il Governo del Re del regno delle due Sicilie. Quel piroscafo avea approdato a Ponza, e da esso eran discesi i filibustieri, che, sorpresa la picciola guarnigione di quell’isola, aprirono le porte dei luoghi di pena ai malfattori, i quali vennero ad ingrossar le lor file; avea approdato più tardi a Sapri per gettare su quelle spiagge i fuorusciti, che nel fedele contegno delle pacifiche popolazioni e nella forza delle milizie trovarono un ostacolo all’attuazione dei loro colpevoli disegni: e tutto questo parea assai lieve cosa ad uomini, i quali nulla più desiderano ardentemente, quanto di veder le fiamme della guerra civile accendersi nelle tranquille contrade del reame delle due Sicilie. Se qualsiasi punto del Regno-Unito della Gran-Bretagna (diceva un membro del parlamento inglese) fosse stato il teatro di avvenimenti consimili a quelli prodottisi a Sapri, qualsiasi comandante di un naviglio della marineria da guerra britannica avrebbe mancato ai suoi doveri, e sarebbe incorso in grave colpa, se non si fosse condotto al modo stesso con cui si condussero i comandanti delle due reali fregate napolitane, che catturarono il Cagliari, strumento di tristi fatti e cagion prima di sanguinose lotte. Ma per quanto evidenti fossero le ragioni, che legittimavano la cattura di quel piroscafo, non era certo a meravigliare se desse non imponesser silenzio alla loquacità della stampa piemontese, la quale battagliava, comunque con armi disoneste, per un interesse proprio, e prendeva parte in prò di un legno appartenente alla marineria ligure. Però quel che non puossi perdonarle, si è di avere fin dal principio spostata la quistione dal suo natural terreno, per condurla nel fango della calunnia, insultando ad un Governo, che sosteneva apertamente e pubblicamente il suo diritto. Si parlò quindi di ferocie perpetrale nel silenzio e nel mistero d’insalubre prigioni; si parlò di atti illegali e di martiri sanguinosi, che ricordavano tempi duri e sgovernati di ogni freno, quando ancora la luce di una umana legislazione non era comparsa per illuminare la civiltà dei nuovi tempi; e ben comprese fin d'allora la stampa del Piemonte, che i due macchinisti inglesi, i quali trovavansi sul Cagliari, erano per essa potenti ausiliari, delle cui sofferenze avrebbe potuto trarre util partito, per lo che si lamentarono i loro immaginati patimenti, e si compianse la lor triste sorte, che li avea posti nelle mani di uomini crudeli e feroci.

Il Governo fatto segno a tali calunnie le smentiva, non con vane parole, ma colla pubblicazione di alti uffiziali. e lungi di opporre alle bugiarde assertive denegazioni infondato, vi opponeva l’autorevole testimonianza di qu uomo, la cui imparzialità non poteva menomamente revocarsi in dubbio, il signor Lyons. I Documenti ufficiali della corrispondenza del Governo di S. M. Siciliana con quello di S. M. Britannica riguardante i due macchinisti del Cagliari Watt e Park (1) venivano pubblicati nella loro interezza dal Governo del Regno delle due Sicilie, e la opinion pubblica era da essi compiutamente illuminata intorno alla verità dei fatti, di cui quei documenti contenevano irrecusabili pruove. Inoltre nello stesso parlamento inglese d primo ministro, ch'era allora lord Palmerston, esprimevasi in tali termini, da non lasciare veruna ambiguità sulla condotta umana del Governo di S. M. Siciliana verso i prigionieri, ed il conte Clarendon aggiungeva, che la spiacevole circostanza delle interrotte relazioni diplomatiche non avea menomamente pregiudicata la condizione dei due macchinisti inglesi.

Al ministero. Palmerston succedeva il ministero Derby, e le prime corrispondenze, scambiate fra il novello ministro del Foreign Office e l’incaricato del portafoglio degli Affari Esteri nel Gabinetto di Napoli, attestavano esse pure, che, nonostante la interruzione delle relazioni diplomatiche, la fiducia più intera scambievolmente durava in condizioni tanto eccezionali. Il Governo di S. M. Siciliana, forte del suo diritto, non cedeva più di quanto le leggi il consentissero; il Governo di S. M. Britannica, pur desideroso di passar oltre, arrestavasi là, dove le leggi stesse ponevangli innanti una inviolabile barriera. Tal è in complesso il carattere generale della corrispondenza scambiata fino al giorno in cui alla più stretta legalità sottentrava l’atto clemente e magnanimo del Monarca, che poneva in libertà i due macchinisti.

Eppure i fatti palesi, che risultavano da tali documenti inoppugnabili; le dichiarazioni del visconte Palmerston e del conte Derby; le parole consegnate dal conte Malmesbury nella sua nota del 15 aprile, nella quale esprimeva i ringraziamenti del Governo Britannico pel modo col quale era staio ricevuto il sig. Lyons, e per le agevolezze procurategli nella esecuzione della commission confidatagli, quella cioè di rendersi conto esatto dello stato dei prigionieri, tutto questo non bastava ad infrenar là stampa piemontese, cui spesso tenevan bordone i più violenti giornali di Londra. Si snaturavano i fatti, o meglio alla luce dei fatti si sostituivano le tenebri della calunnia, per travolgere, per ingannare, per far violenza alla opinion pubblica; e questo invariabile sistema di denigrazione; inaugurato fin dal primo prodursi della vertenza, fu continuato per tutto il corso di essa con una perseveranza, che attestò fino a qual punto fosse malvagia la umana natura nel voler perdurare su di una via, che non è certo quella seguila dagli onesti, i quali del giornalismo fanno una fiaccola illuminatrice, e non un arma codarda, che ferisce alle spalle e si nasconde sotto il mistero dell'anonimo.

Dopo aver assistito a questo indegno spettacolo, che di sé dava la stampa piemontese; dopo aver seguito le varie fasi di una polemica, che come più procedea binanti, più diveniva scompigliata, pazza e menzognera) credevamo che all’ultimo periodo della vertenza il pudore avesse dovuto imporre ai giornali, che avean tutto sacrificato alla lor passione ed aì loro interesse; Grandemente sorpresi di una imprevedibile ed imprevidente recrudescenza, abbiam creduto fosse utile ed opportuno svelare le improntitudini di coloro, che avrebbero dovuto tacersi nel giorno della umiliazione; e convinti di poter rendere un grande servigio alla verità ci siamo accinti a contrapporre alla stampa scapigliata quella onesta; ai giudizi passionali quelli imparziali, non senza attingere da quegli stessi periodici, i quali sostengono un sistema politico di cui l’Italia intera è abborrente. Senz’ira, ma non senza indignazione, terrena dunque dietro ai giornali del Piemonte, e li seguiremo passo a passo nei loro erramenti, nelle loro invettive, nelle calunnie in cui si avvolgono con predilezione, quasi stessero nel loro naturale elemento; è se di alcuna cosa dobbiamo esser dolenti nello intraprendere tale disamina, si è di dovere scendere a recriminazioni, che consideriam sempre come odiose e nocive. Sospinti su di un terreno difficile dall’altrui malafede, cercherem non per tanto di far violenza a quei sentimenti, ché la calunnia, divenuta arma e strumento di politiche passioni, desta sempre in animi onesti, i quali abboniscono da cosi basse e vituperevoli arti, e le ripudiano anco quando potessero assicurare un trionfo, che non è possibile, od almeno che non è duraturo. E questo pur troppo è avvenuto rispetto al Governo del Re del Regno delle due Sicilie, dappoiché gli stessi suoi sistematici oppositori, trasportati dai loro impeti inconsiderati, non si accorsero, che più nuocevano alla causa, cui vole-van giovare, e più giovavano al Governo, che volevan colpire. Nell’Opinione di Torino leggevamo di fatti: Il Governo di Napoli ha mandate circolari, ha scritte note alle potenze amiche e nemiche. ; il che mostra che quel Governo non disprezzo il diritto e la pubblica opinione, come poco dopo asserisce il giornale stesso. Tanta copia di note responsive a note provocatrici, di memorandi, di schiarimenti, non erano diretti, che ad illuminare la opinion pubblica, a sostenere la causa del buon diritto, che il Governo di S. M. Siciliana avea l'intima convinzione stesse dal suo lato; né per sostenere il suo diritto esso dovea assumere, come l’Opinione asserisce, un aspetto minaccioso, perché a sostenerlo intero contro la Sardegna colla forza delle armi, non era mestieri aumentar le fortificazioni di Gaeta e prender disposizioni, che parevano indicare esser deliberato al cimento delle armi, bastandogli la possanza di una numerosa flotta per imporre ad un debole Stato.

E qui giova il notare, che lo stesso giornale non s’illudeva fino al punto di credere, che la Sardegna avesse potuto ottenere l'inatteso scioglimento della quistione, perciocché scrivea. che alla presentazione di un ultimatum, che accordava dieci giorni a deliberare, terminati i quali la flotta britannica di Malta si sarebbe recata nel golfo di Napoli, il Governo di S. M. Siciliana non ha aspettato i dieci giorni, ed ha consegnato il Cagliari e l’equipaggio. Le quali parole dell’organo officioso del gabinetto di Torino non fan che ripetere quanto oramai da tutti si conosce, cioè che al Governo delle due Sicilie fu fatta aperta violenza, a fronte della quale egli dovea sostare, perché giammai poteva immaginare di avere i mezzi di opporsi alle forze, di cui potrebbe disporre il Governo di S. M. Britannica (1). E la minaccia di adoperar la forza non era possibile che venisse dalla debol Sardegna, bensì dalla possente Inghilterra, dalla flotta britannica, che da Malta si sarebbe recata nel golfo di Napoli, come esprimesi l’Opinione; e questa minaccia non si avvolgeva in frasi ambigue od incerte nel dispaccio del 25 maggio del conte di Malmesbury, il quale chiedeva imperiosamente che il Cagliari fosse restituito, e liberato l’equipaggio sotto cauzione. Il ministro degli esteri inglese diceva in quella nota, che l'affare del Cagliari a niuno potea essere di più grande importanza, che alla Gran-Bretagna (to none can this be of greater importance than to Great Britain), e poiché il Governo di S. M. Siciliana aveadato un categorico rifiuto alle domande del Governo Sardo, il ministro inglese si faceva a sollecitare l’adempimento delle domande della Sardegna (2). La minaccia di adoperar la violenza era dunque esplicita, e la proposta mediazione di una potenza secondaria per derimere le due quistioni diveniva una derisione, per lo che il Gabinetto di Napoli verun altro partito più ragionevole e più decoroso poteva adottare, fuori di quello che adottò, ponendo a disposizione del Governo inglese la chiesta indennità di tre mila sterline pei due macchinisti, consegnando al sig. Lyons il naviglio e l’equipaggio, rimettendo tutto all’assoluta volontà del Governo Britannico (3).

L’assoluta volontà del Governo Britannico! Ecco il nuovo principio che regger deve le relazioni internazionali; e bene diceva il Pays, che paragonando «la condotta altera dell’Inghilterra rispetto alla Corte di Napoli con quella modestissima assunta a fronte delle minacce del Governo dell’Unione Americana, non potea non notare che il gabinetto di San Giacomo subiva la pena del taglione, ed era duramente punito del sii pro ratione voluntas, sotto il cui peso avea fatto piegare il Governo di Napoli.»

L’assoluta volontà del Governo Britannico! Ecco il nuovo diritto delle genti inaugurato dall’Inghilterra; e ben dolevasi la Patrie, che lo scioglimento della quistione relativa al Cagliari dovesse attribuirsi alla forza, la quale se fosse stata dalla parte del Gabinetto di Napoli, gli avrebbe assicurato il trionfo del suo diritto.

Ma il Governo del Re del Regno delle due Sicilie respingendo ogni mediazione, per rimetter tutto all'assoluta volontà del Governo Britannico, non mostrava di essere stato debole, perché volle far sembiante di essere troppo forte a disprezzare il diritto e la pubblica opinione, come asserisce il giornale torinese; al Contrario quel Governo (traduciamo dalla Patrie) «avea dovuto credersi di buonissima fede ed in istato di legittima difesa ponendo le mani su di un naviglio, che avea gettato sul territorio di quel Regno una banda di cospiratori. Se avesse avuto per( )lui la forza, è più probabile che avrebbe mantenuto il suo diritto; ma la forza stava dalla parte dell'Inghilterra, e questa l’ha fatta pesare superbamente… Il Re di Napoli ha perfettamente compreso, che ogni discussione sarebbe inutile e priva di dignità, e conseguentemente non ha voluto discutere; ma non ha voluto umiliarsi, ed ha ordinato puramente e semplicemente di soddisfare a tutte le esigenze dell’Inghiltcrra. In questo linguaggio riciso e dignitoso si manifesta un Sovrano, che subisce la legge del più forte, ma che mantiene intatto il suo di ritto ed il suo onore».

E questo Sovrano, che altra volta ebbe a dire AVER PIE’ FEDE NELLA FORZA DEL DRITTO, CHE NEL DRITTO DELLA FORZA; questo Monarca ha dovuto ricordarsi di cosi memorande parole, che la storia ha accolte, e ch’egli avea pronunziate in una consimil congiuntura; ha dovuto revocare alla mente questa sua antica convinzione, che i fatti recenti non han potuta distruggere, quantunque avessero recata mortale offesa a quel principio salutare, proclamalo dal congresso di Parigi, calpestato poco dopo con si palesi infrazioni. A quel principio, tutelatore dei diritti dei men forti, ne fu ora è vero sostituito un altro, e l’Inghilterra, che l’avea con tanta pompa di parole riconosciuto e sancito, quasi salda base ed incrollabile di un novello diritto delle genti, l’Inghilterra invece lo traduceva nella prepotente frase, che rende arbitro solo in tutte le querele il volere del più forte: Stat pro ratione voluntas! Ciò pur troppo è avvenuto, e nonpertanto noi abbiam sempre più fede nella forza del diritto che nel diritto della forza, perché il primo è eterno, il secondo passaggiero.

Tutto questo non seppero, o non voller vedere i pubblicisti della stampa piemontese, ed insuperbirono di un trionfo, che equivaleva invece aduna vergognosa sconfitta. Essi che aveano lamentato l’abbandono della perfida Albione, quando il Gabinetto Inglese disdisse la parola di uno dei suoi agenti presso La Corte di Torino, ora invece baldanzosi si sbrigliavano alle più strane vanterie. Dal famoso errore materiale di Erskine, alle note del conte di Malmesbury del 20 maggio, non corse molto spazio di tempo, né sopravvennero di tali fatti, che avessero potuto giustificare il mutamento avvenuto nelle idee del Gabinetto, di cui sta alla testa il conte Derby. La quistione trovavasi sempre sullo stesso terreno, ed il 16 maggio alle iniziative dell’Inviato di Austria in Napoli, il commendator Carafa rispondea, che S. M. il Re del Regno delle due Sicilie «intenta sempre a procurare la pace e la tranquillità dei suoi sudditi, nonché a mantenere la giusta dignità del suo Real Governo, non era aliena, anzi si affrettava, malgrado la sicurezza del suo buon dritto, a secondare i desideri che le venivano espressi, ed era disposta ad accettare, non già una mediazione, ma un arbitramento, che dovesse esclusivamente assumersi da una potenza di prim’ordine; stando particolarmente a cuore della M. S.,che la condotta tenuta dal suo Real Governo nel riscontro fosse giudicala con imparzialità e negli stretti termini di giustizia, secondo le norme del dritto pubblico internazionale.» (1) Era un solenne giudizio quello che il Monarca invocava, e respingendo la mediazione, respingendo cioè ogni temperamento arbitrario, mostrava quanto fosse fermala convinzione, che area fermissima nella giustizia del suo diritto.

Non direm noi quanto siano intime le relazioni, che, giudicando dalle apparenze, si vogliono intimissime fra' Gabinetti di Londra e di Vienna, perché uscendo dai fatti palesi entreremmo nel segreto della diplomazia; questo diciam solamente, che il Governo imperiale austriaco abbondava nell’opinione di un arbitramento (2), quantunque l’Inviato di Austria avesse espresso il suo particolare avviso intorno alla difficoltà di trovare una potenza, che fosso nel caso di accettare l'arbitramento. A Vienna conica Napoli si aveano dunque le stesse idee, le quali nel Re del Regno delle due Sicilie eran partorite dalla ferma convinzione che la causa del buon dritto avrebbe trionfato se una potenza di prim’ordine, e quindi libera ed indipendente, avesse pronunzialo un supremo giudizio ed inappellabile.

In tali termini erano le trattative, quando il 7 giugno il sig. Lyons, segretario di legazione di S. M. Britannica in missione speciale a Napoli, presentava i due dispacci del 25 maggio, ai quali immediatamente rispondea il commendator Carafa colla sua lettera dell'8 giugno. Il Governo di S. M. Siciliana avrebbe potuto aspettare dieci giorni per rispondere, ma questo indugio non avrebbe servito che ad attenuar la sinistra impressione, che il violento procedere del Governo Inglese dovea produrre in Europa, e che effettivamente produsse. La violenza era manifesta, e perché tutta Europa la conoscesse, il Governo di S. M. Siciliana era sollecito a pubblicare i due dispacci del conte di Malmesbury e la risposta del commendalor Carafa, aggiungendovi un memorandum che avesse giustificata la sua condotta e fatto palese il nesso delle trattative. Però è ora fuor di dubbio, che in questa ultima fase la Sardegna si tenne modestamente dietro la scena, al posto che le conveniva. Le rivelazioni falle alla Camera dei Comuni confermano pienamente quanto asseriamo, dappoiché il signor Fitzgerald annunziava a nome del Governo, aver l'Inghilterra presentata una nota a Napoli, dimandando risposte categoriche cosi sulla quistione dell’indennità, come perla restituzione del naviglio e per la liberazione dell’equipaggio, non senza avvertire elio una dimanda della stessa indole sarebbe avanzata dalla Sardegna. «Tuttavia (aggiungea il sig. Fitzgerald) questa dimanda non è giunta, che vari giorni dopo della nostra, ed in conseguenza il Cagliari è stato restituito, ed il suo equipaggio posto in libertà sulla nostra richiesta, e senza che veruna nota categorica sia stata presentata dal Governo Sardo. L’affare essendo cosi ultimato, il conte Cavour ha spedito un dispaccio al suo rappresentante in Napoli, ed in esso era detto, che avendo appreso che il Re di Napoli avea ordinata la restituzione del Cagliari, il rappresentante della Sardegna non dovesse più presentar la sua nota.»

Son queste le testuali spiegazioni del Governo Inglese ai Comuni, ed esse dicono abbastanza qual parte spetti alla Sardegna nello scioglimento di una quistione, cosi a lungo agitata. L’atto stesso della consegna, fatto al console inglese Barbar, il quale saliva sul naviglio seguito da' marinai del Centauro, piroscafo da guerra britannico, partendo poi per Salerno, dove gli fu consegnato l’equipaggio del Cagliari, l’atto stesso della consegna diciamo, attestava che la Sardegna era stata messa da parte. Che l'Inghilterra siasi di troppo affrettata a presentar la sua nota per trovarsi sola, e non avere alle spalle un incomodo allealo, lo sospettò un giornale torinese, che si sforza alcuna volta di giustificare il suo titolo, perché nell'INDIPENDENTE leggevamo: «Non possiam dissimulare che questo inconveniente può parere non del tutto innocente e dovuto al caso, sebbene non vogliamo associarci al sospetto che l’Inghilterra abbia con questo mezzo termine cercato di far piacere all’Austria, offrendo cosi un mezzo al Governo di Napoli di far credere, ch’egli ha ceduto all’Inghilterra sola. È certo però che l’arrivo della nota sarda il giorno dopo rende in fatto alla quistione il suo vero aspetto, cioè di una compiuta soddisfazione data al Piemonte!»

La conchiusione che ne trae l’Indipendente è abbastanza strana, per non impegnarci a combatterla, dappoiché la nota piemontese scomparve affatto, e di essa non puossi parlare che come di un progetto, la cui attuazione fu resa impossibile dall'Inghilterra. Cercando di mitigare l'affronto recato alla Sardegna, il giornale torinese adoperava parole, che si contrastano a vicenda, mentre che il Nord, più libero e senza passione, scrivea francamente, che colla sua condotta l'Inghilterra lasciava «scontenta la stessa Sardegna, nel momento appunto in cui otteneva per lei la restituzione del suo naviglio. L’affare di fatti è finito, come avea comincialo. La Sardegna trascinala in queste complicazioni da incoraggiamenti e da promesse di appoggio, poscia rinnegati, è stata nell'ultimo momento preceduta di un «giorno nella spedizione dell'ultimatum combinalo fra lei e l’Inghilterra,» ond’è che ha trovato l’affare esaurito, e Napoli in condizione di potersi gloriare di non aver ceduto che alla Gran-Brettagna».

Ecco la parte riserbata alla Sardegna; e come non rider poi dell’Unione di Torino la quale esclamava: «È strano che il Re di Napoli abbia potuto finora insultare impunemente due potenze di prim'ordine, e che il primo castigo gli venisse da una potenza di second’ordine?» Il Governo di S. M. Siciliana consegnando all’Inghilterra il Cagliari mostrava in qual conto tenesse la potenza di second’ordine, che raccogliea modesta e silenziosa il retaggio della violenza britannica; ma al tempo stesso con tal dignitoso atto quel Governo fece noto all’Europa, che il suo diritto rimaneva invulnerato, poiché la brutalità della forza può recare offesa, ma non vulnerare la santità del diritto. «La storia giudicherà (dice l’Ordine di Malta) se la causa del diritto fu sacrificata alla ragion della forza; ma pria che la storia perpetui la memoria di questo nuovo atto di una politica, che un giornale chiamò giudaica, i contemporanei già proferiscono tal sentenza, della quale a giusto titolo deve essere orgoglioso il Governo del Regno delle due Sicilie, ed umilialo il Governo Sardo, che sobbarcossi a rappresentare una parte indecorosa, e fu costretto a nascondersi, perché l’Inghilterra noi volle compagno. Né il Gabinetto di Torino disconfessò l’attitudine umile, che avea dovuta assumere, perciocché nella tornata del 16 giugno alla camera dei deputati il conte Cavour diceva che sarebbe stato poco conveniente, dopo di aver ricevuto un servizio dell’Inghilterra, il pubblicare i documenti senza, interpellarla. Quel che ogni governo parlamentare è in debito di fare, il Governo Sardo negavasi di farlo, fino a tanto che non ne avesse ottenuta la venia dell’Inghilterra! Vedi decoro e dignità di una potenza di second’ordine, la quale avea inflitto al Governo di Napoli il primo castigo!

Era dunque, per confessione ministeriale, all’Inghilterra debitrice la Sardegna della restituzione del Cagliari, e non sappiam per vero se sia più penoso il vedere, come asserisce l’Opinione, che uno stato italiano abbia a piegare innanti al cenno dello straniero prepotente, o che uno stato italiano abbia ad accettare l’elemosina dallo straniero, che con un giuoco diplomatico lo condanna alla passività ed al silenzio.

In quella stessa tornata della camera elettiva sarda, il conte Cavour diceva: «Non so quali sieno le intenzioni della Corte di Napoli. Il dispaccio del commendator Carafa lascia le cose incerte. Ma a chi lesse quel dispaccio, le intenzioni della Corte di Napoli si rivelavano, in tutta la loro plenitudine, né veruna incertezza era nelle parole del commendator Carafa, il quale scrivea l’8 giugno al conte di Malmesbury, che il Governo di S. M. Siciliana non avea bisogno di 'accettare mediazione di sorta, rimettendo tutto all'assoluta volontà del Governo Britannico. Quel Governo, il quale avea pubblicali i documenti uffiziali della corrispondenza scambiata colla Gran-Bretagna e colla Sardegna, pubblicava il primo le due ultime note inglesi e la sua risposta, perché volea che la opinion pubblica si pronunziasse fra la violenza ed il diritto; e l’opinion pubblica si pronunziava in modo da mostrare, che ben diversamente del conte Cavour essa comprendeva nella loro interezza le intenzioni della Corte di Napoli, e che per lei le parole del commendator Carafa non avean nulla d'incerto: «L’Inghilterra (cosi il NORD) ottenne la larga riparazione che chiedeva pei suoi macchinisti, ma ella lascia a tutto il mondo l'opinione di non aver ottenuta tal soddisfazione che per mezzo dell'abuso della forza su di un governo, il quale non poteva, com’egli stesso lo ha detto, dissimularsi la propria debolezza relativa, e che conseguentemente poteva cedere senz’onta.»

E come giudicasse la Patrie il modo di procedere dell'Inghilterra si ha potuto desumere dalle parole, colle quali riprovava l’offesa recata alla politica del dritto delle genti dall'attitudine assunta dal Gabinetto inglese, aggiungendo in ultimo: «Noi temiamo che questo precedente sia funesto, ed adempiamo ad un dovere opponendo a questo abuso del diritto del più forte gli eterni principi che proteggono i deboli, e che sono la garentigia dell'indipendenza politica di tutti gli Stati. Questa indipendenza politica non sappialo chi meglio abbia saputo tutelarla del Re del Regno delle due Sicilie; perciocché la tutelava quando alle pretese dell'Inghilterra, nello affare degli zolfi, opponeva quel risoluto e vigoroso contegno, che ispirava l'eloquente parola del più grande storico, che abbia la Francia, mentre che la camera intera faceva plauso alle lodi pronunziale da Thiers; la tutelava quando a fronte di due fra le più grandi potenze dell'Occidente, impegnate in ardua guerra, manteneva inviolata la sua neutralità, siche le flotte di Francia e d’Inghilterra trovarono un porlo amico in Messina, ma non trovarono ivi un alleato docile, cui imponevasi inutile sacrificio di denaro e di sangue; la tutelava in questi ultimi tempi, quando dignitosamente respingeva ogni ingerenza straniera nel governo interno del suo regno, o quando rispondeva come fece all’Inghilterra ed alla Sardegna. Questa decisa altitudine del Monarca additò ai suoi sudditi qual fosse la via che dovean seguire, perché principe e popoli si mostrassero uniti in un sentimento di dignità; ed i diritti del Sovrano furon sostenuti a Mezzojuso ed a Cefalù, come a Sapri, perché i popoli delle due parli del regno protestarono contro le calunniose insinuazioni, ed al tempo stesso le smentirono, rendendo alloro Re splendido omaggio di fede, quale si dovea a lui, che sosteneva sempre alto il glorioso vessillo, alla cui ombra prospera l intero reame.

I fatti ai quali accenniamo ci dispensano da ogni contento; ma poiché durano ancora le conseguenze dispiacevoli, prodotte dall'ultima vertenza fra l'Inghilterra, la Francia e Napoli, appunto per questo, come si esprime la Patrie, dovea la Gran Bretagna mostrare più moderazione, e più equità. Se ciò abbia compreso la Francia, e se la riserbatezza che pose nella sua condotta sia stata la conseguenza di tale onesta convinzione, noi saprem dire, non volendo seguir lo esempio della stampa piemontese; che a suo modo giudica le cose, per trarne sempre delle deduzioni, che tornino favorevoli al suo assunto. Quindi non meraviglieremo se i giornali torinesi considerino il silenzio della Francia come una minaccia contro Napoli, ed a cosi strano e bislacco giudizio contrapporremo le parole della Patrie, la quale nota che la particolar posizione della Francia non le permetteva di agire contro i suoi alleati (ed erano Inghilterra e Sardegna), ma credeva però che i principii della politica francese non le avrebbero permesso di approvarli compiutamente. Eppure il signor Dìsraeli il 12 giugno annunziava dalla tribuna dei Comuni, che in tutto questo affare il Gabinetto inglese fu secondato dalla Francia, mentre che al contrario il Governo imperiale francese per mezzo dei suoi organi officiosi protestava contro l’abuso della forza. Né meno esplicito di quello della Patrie fu il linguaggio adoperato dal Pays, il quale giudicò sotto il suo vero aspetto la restituzione del Cagliari, e vi riconobbe una concessione falla all’Inghilterra da Napoli per desiderio di mantenere la pace europea, e non al Piemonte per amor di giustizia. Delle quali deduzioni ebbe a meravigliare l’Indipendente, il quale eretica che il giornale, che rappresenta le idee dell'impero, avesse dovuto tenere «in maggior conto l’adesiou data dal Governo francese alle decisioni dell Inghilterra in codesta con» traversia; adesion che venne pure officialmente accennata da D’Israeli ai Comuni; adesion troppo dubbia a parer nostro, stando alle apparenze.

E qui sarebbe da investigare fino a qual punto questa adesione della Francia fosse consentita all’Inghilterra; fino a qual punto potesse il signor D'Israeli giustificare la sua asserzione, contradetta dalle parole della stampa francese, che vuoisi ispirala dal Gabinetto delle Tuglicric; ma nostro assunto non è quello di vagare per gli spazi immaginari, bensì quello di seguire il giornalismo sardo nei suoi giudizi relativi all’inatteso scioglimento della complicala vertenza; e tali giudizi ben ci danno il diritto di asserire che questa adesione non sia stata intera.

Ma usciamo dal campo, sul quale involontariamente abbiam dato un passo, ed un passo forse mal sicuro, per ritornare agl'inni trionfali di quei periodici, clic, ostili sempre al Governo del Re del Regno delle due Sicilie, non seppero più tenersi a freno alla prima notizia che il Cagliari fosse stato restituito, e corsero a briglia sciolta sognando vittorie là, dove la stampa imparziale non riconobbe che sconfitte.

L’Inghilterra a mezzo di un artifizio paralizzava la cooperazione diplomatica della Sardegna, perché convinta che a fronte di Napoli questa mal poteva adoperare il minaccioso linguaggio che quella avea adoperato; ed intanto il Patriota, giornale piemontese, vedeva il governo di Napoli cedente alla minaccia dello invio di una flotta anglo-sarda! e la Staffetta, incerta pure se il Gabinetto Napolitano avesse ceduto dopo la sola intimazione inglese o dopo che fosse anche giuntala nota piemontese (e ben sapea il vero quel giornale, organo e tromba del Governo Sardo!), aggiungea baldanzosa di aver certamente ceduto prima di vedere, ed anzi per non voler vedere le flotte dei suoi avversari! Ma di queste spudorate vanterie ne potremmo raccogliere senza numero nei giornali, che si pubblicano in Piemonte; vanterie ripetute fino alla nausea, e delle quali oggi si ride, perché lo. stento di gonfiare un pallone, cui manca la capacità per aggrandirsi, traspare non pure dalle parole dei gridatori della stampa, ma benanco da certi atti, che un onesto ritegno ci vieta di ricordare. Piccolo Stato, qual è il Piemonte, la cui importanza non può misurarsi né dalla sua estensione, né dalle limitate risorse di cui dispone, bensì dalla posizionesua geografica; piccolo Stato, con un piccolo esercito, al quale niuno certo verrà negare la gloria di aver mostrato quanto valgano le armi italiane, il Piemonte, a giudicarlo dal linguaggio dei suoi giornali, ha credulo assumere una parte, che non sappiam qual altro Stato potrebbe disputare al Regno delle due Sicilie in Italia. La politica delle pompose frasi ha ottenuto quel successo, che suole ottenere chiunque ha l’improntitudine di parlar sempre, come i saltimbanchi stilla piazza; ma l’architettata commedia delle larghe aspirazioni, e delle universali manifestazioni di simpatia, non valse a coprire l’impotenza di coloro, che credevano bastassero le sole parole a rimpastar la carta dell’Europa. Però all’altro estremo dell’Italia uno Stato,la cui bandiera sventola sul più poderoso naviglio, che navighi pel Tirreno, dopo quello di Francia e d’Inghilterra, all’altro estremo dell’Italia diciamo, uno Stato, che ha cento mila gagliardi e prodi combattenti sotto le armi, che può averne dimani duecentomila, sol che il voglia, segue sua via silenziosamente, apre novelle strade, dischiude novelli porli, cresce le sue difese, fa sorgere come per incanto novelli legni nei suoi cantieri, provvede largamente i suoi arsenali e le sue armerie, getta con romano ardimento le fondamenta di ampi bacini romanamente compiuti, e mentre trova in se stesso tutte le risorse necessarie a tanta operosità di gigantesche intraprese, al tempo stesso allevia i popoli dalle contribuzioni, infime anzi meschine al paragone di quelle che gravano sul Piemonte, e vede il suo credito aggrandirsi tuttodì e sollevarsi a tale attitudine, dove nessun altro Stato, e fra' più possenti di Europa, potrà mai pervenire. Non a mezzo di un sempre crescente debito pubblico, non aggravando le provincie d’insopportabili contributi, non sperperando le finanze in imprese impossibili, oggi inaugurate con tanto fasto, dimani lasciate in abbandono con un’umiliazione impassibile, questo Stato avanza, ed avanza sempre, svincolandosi da ogni soggezione dello straniero, e ponendosi sempre più in quell’assetto gagliardo, che la sua importanza, la sua posizione le imporranno di assumere al bisogno; ma tutto questo compie tranquillamente, attivamente, senza superbia, senza provocazioni. E questo Stato è il Reame delle due Sicilie. Si è dello, che l’epoca che traversiamo non è di fatti,. né tampoco di timori prossimi e scrii, ma soltanto di lenti e circospetti apparecchi; e noi siam lieti di trovarci di accordo in tali previsioni con un giornale, fra quanti se ve pubblicano negli Stati Sardi, il più sistematicamente ostile al Governo del Regno delle due Sicilie, pronto sempre ad accogliere le più pazze calunnie e ad edificarvi sopra, senza por mente che il suo edificio non ha basi, e crolla di un tratto. In questi tempi adunque di lenti e circospetti apparecchi, non vcdiam chi possa disputare al Reame delle due Sicilie il vanto di comprendere, (inali siano i bisogni dell’oggi, apparecchiandosi agli eventi del dimani. Lungi di scendere ad odiosi confronti, rifuggiamo da essi quantunque ad essi ci conduca la forza logica del nostro ragionamento; ma la stessa misura, che poniamo nelle nostre parole, non può distrarci dallo investigare le cagioni per le quali la stampa piemontese trascorre ad ingiurie codarde e calunniose, che spesso pur risuonano dall’alto della tribuna parlamentare. Il picciol Piemonte, con tutte le sue vie ferrate, conseguenza immediata della posizion sua, non potrà giammai porsi accanto al Reame delle due Sicilie, troppo vasto comparativamente, troppo forte, troppo deciso a sostenere i suoi diritti, non a fronte dei deboli, ma a fronte dei potenti. Tutto questo non potrà giammai perdonare la stampa sarda al Sovrano, che con tanto accorgimento regge i destini dei suoi popoli, e queste è spina acutissima per chi crede di rappresentare gl’interessi dell’Italia, e di farsi l’interprete dei di lei bisogni. Se a ciò bastassero le parole e le vantane, il Piemonte l’avrebbe già compiuta quest’alta missione; l’avrebbe compiuta col vento delle declamazioni parlamentari, e coi clamori assordanti di una stampa, che segue sempre la perversa massima: Calunniate, calunniate, qualche cosa ne resterà. Ma tutto questo non basta a compierla! Le parole turbinate nel gran vortice del giornalismo non han forza che basti a commuovere il mondo, a costringere i gabinetti, a mutare o modificare la configurazione degli Stati; le parole son vento, che fischia e passa, ne lascian traccia di lor passaggio, che sulle dimenticate pagine dei giornali, mentre che l’opinion pubblica al fin dei conti fa giustizia dei calunniati e dei calunniatori, e riconosce la prudenza dei primi,la imprevedcnza dei secondi, e ride degli uomini che si avvolgono nel paludamento di Farinata per rappresentare la lor parte sulle tavole malferme di un palcoscenico diplomatico.

Ed in quelle contrade, donde viene tuttodì a noi tanta ricchezza di parole, quasi a coprire la povertà dei fatti, non è a meravigliare se la violenta soluzione della vertenza relativa al Cagliari suscitasse clamori novelli, e sonore frasi, ed inni di vittoria, e fino consigli, e fino compassionevoli sentimenti. «Il Governo Sardo (stampava l'Opinione) ha fatto quanto stava in lui per risparmiare-alla Corte di Napoli questo sfregio, ed evitare la necessità di cedere alla minaccia, consigliandolo a cedere al diritto. Ma il diritto non è menomamente dubbio per chi legge senza passione nelle corrispondenze diplomatiche pubblicate dal Governo di S. M. Siciliana; il dritto emerge anzi vittorioso dalla stessa minaccevol nota del conte di Malmesbury, perché, come esprimevasi il Nord: «i principii rimangono estranei alla soluzion diffinitiva della vertenza, nel corso della quale essi sono stati disconosciuti dall’Inghilterra, ma palesamento consacrati al tempo stesso dall'opinion pubblica dell'intera Europa. Quanto agli sforzi del Governo Sardo per risparmiare alla Corte di Napoli la umiliazione di cedere alla minaccia, lasciam volentieri che altri giudichi su quale dei due governi più pesi l'umiliazione, se su quello, che combatté apertamente pel suo diritto fino al giorno in cui alla forza del diritto sottentrò il brutale diritto della forza, o su quello che scomparve e fu condannalo a nascondersi nel di, in cui più dovea farsi innanti, sì ch’ebbe a dire l'Union: «La Sardegna non si è neppure mostrata; essa non è stata neppure nominata nel componimento di una querela, al primo prodursi della quale era principal parte.»

Eppure tanto basta ai giornali piemontesi! «Questa soluzione (esclama il Diritto) è onorevole, e noi ce ne rallegriamo sinceramente!... è il risultato di una politica dignitosa ed indipendente! Alle quali parole del giornale progressista torinese contrapponiamo quelle del suo fratello di Genova, il Movimento, che, nel giorno appunto dell’universale ebbrezza per la stampa periodica piemontese, pubblicava queste amare parole:

«La stampa ministeriale mena rumore del fatto, reclamandone la privativa per la ditta Cavour di Torino; perfino l’antico organo dalla sinistra vede nella soluzione della vertenza del Cagliari un aureola di gloria pel governo e spera che ne rialzerà il credito nelle altre provincie d’Italia. Noi, a costo di essere dichiarali più ciechi dei ciechi della Scrittura, che hanno occhi e non vedono, a pericolo di essere proclamati gli iloti della stampa quotidiana, dobbiamo confessare che la restituzione del Cagliari, cogli accompagnamenti della nota di Carata e delle altre circostanze di note non pervenute o ritardate, ci pare ben lungi dall'essere una onorevole soluzione pel Piemonte, una soluzione che varrà a rialzarne il credito.

«Del Piemonte si tace affatto nella composizione della vertenza; si fa di più: senza tenere conto delle sue richieste, si dispone degli oggetti da lui reclamati come se mai gli avessero appartenuto, e senza tener calcolo dei suoi diritti, dei suoi reclami, senza pur consultarlo, si dice al terzo reclamante: Prendetevi tutto voi; poiché riconosco di non aver io la forza di tenere, ed oppormi alla restituzione, fatene il piacer vostro…

«Nel dispaccio che il Gabinetto Inglese manda al proprio incaricato, sir Lyons, nel tempo stesso che gli si notificano le risoluzioni prese dal Ministero degli esteri in questa faccenda, si dice che l'Inghilterra ha promesso formalmente di apprestare i suoi uffici ed il suo appoggio morale alla Sardegna, che è deliberala di deferire l’affare del Cagliari alla mediazione del governo svedese, trascelto dalla corte britannica eziandio a proprio mediatore. Cotesta mediazione della Gran-Bretagna dev’essere cordiale, intima, simultanea, sebbene le due domande si facciano separatamente.

«Ma della dignitosa nota, che dovea rendere celebre il nostro ministro degli esteri, noi nulla abbiamo incontrato.

«Si disse che era energica, identica, uguale, simile a quella del ministro inglese; si accennò che questo documento era in ritardo; ma per noi è tuttora in via, né è ancora giunto, come forse non fu presentato al Governo Napolitano.»

E noi fu di fatti! Che se il sig. Fitzgerald non lo avesse detto apertamente ai Comuni inglesi, lo avrebber fatto sospettare le vaghe parole, con cui il signor D’Israeli rese conto al parlamento dell’esito finale della quistione; al qual proposito I’Union scrivea: «Dopo aver letti i documenti diplomatici si com prenderà certamente il tuono modesto, che i consiglieri della Regina Vittoria hanno assunto nell’annunziare al parlamento la conchiusione di questo dissidio. In una parola non vediam chi si possa dir soddisfatto di quanto è avvenuto, ove se ne eccettuino i due macchinisti inglesi, ai quali la lor triste campagna di Sapri fruttò un’indennità di settantacinque mila franchi.»

I due meccanici inglesi, ed il Governo Sardo, aggiungerem noi, facendo eco alle autorevoli parole del sig. Fitzgerald:

«Il rappresentante del Governo Sardo a questa Corte ha espresso la soddisfazione del suo Governo per l’accomodamento fatto!»

Ecco qual’è il risultamento ottenuto dalla Sardegna, e se esso sia glorioso od umiliante lo dicano i lettori; risultamento che riempiva di letizia il Corriere Mercantile, giornale di assai facil contentura, sempre che trattisi delle glorie del Governo Sardo,e che mentre si rallegrava della costanza e della fermezza spiegata dalla diplomazia piemontese, dichiarava che quel risultamento non gli recava sorpresa di sorta. «L’intrepidezza del Re di Napoli fu per noi (dice il Corriere) sempre una virtù relativa, cioè solo esistente a riguardo di chi ha paura, e di chi non lo minaccia. E si che il Re di Napoli retrocedé per paura della Inghilterra e della Francia, come se non durino ancora le condizioni eccezionali, che dalla intrepidezza con cui difese lo splendore della sua corona si derivarono! E sì che il Re di Napoli cedé il Cagliari alla possente Sardegna, la cui nota non giunse a Napoli, quando che il Corriere asserisce di esser pervenuta unitamente all’inglese, onde fu applicata la solidarietà dei due interessi nella quistione, e venne minacciata la coercizione tanto per l'interesse dei due macchinisti, quanto per quello del Cagliari e del suo equipaggio! Alla forza logica di queste deduzioni, smentite dalle premesse, non altro sappiamo opporre che il riso, perché quando la impudenza è spinta tanto oltre, la dignità di pubblicisti impone di arrestarsi a quel punto, dove la polemica assume un indole grave, e discute pacatamente, avendo a fronte un avversario, col quale sia decoroso il rimanere sul campo della lotta. Ed a far conoscere le forze di quest’avversario nulla più torna opportuno che riportar qui quanto scrivea il 12, quanto pubblicava il 17 giugno, vai quanto dire con soli cinque giorni d’intervallo. Il 12 egli vedea ogni cosa dipinta dei più radianti colori; il modo di azione, proposto dal conte Cavour, definitivamente adottato dal ministero inglese, sollecitato dall'opinion pubblica e dalla logica degli eventi; l’ultimato al Governo di Napoli sporto collettivamente, o quanto meno unitamente dall’Inghilterra e dal Piemonte; Napoli sollecito a cedere appena ricevuto il doppio ultimatum; il principio dell’indennità, ammesso pei due macchinisti inglesi, implicitamente riconosciuto pel Cagliari e per l’equipaggio. Che polea desiderar di più la Sardegna? Ma cinque giorni dopo tutto era mutato, e l’affare del Cagliari lasciava ancora rispetto al Piemonte un residuo di dubbi e di contrasti! Scomparso il modo di azione, proposto dal conte Cavour, poiché l’Inghilterra si era fatta innanti sola, lasciando indietro la sua alleata; scomparso l’ultimato, sporto almeno unitamente; scomparso l’effetto prodotto sul Governo di Napoli dalla doppia nota non più esistente; e l’indennità?... L’indennità non è abbandonata dal governo sardo, dice il Corriere! Non l’abbandoni, ma trovi prima le fortezze galleggianti, che minaccino il Governo di S. M. Siciliana; li trovi, e si ponga dietro di essi, ed accetti poscia l'elemosina sporta con carità cristiana, senza cioè che la mano, che la largisce, guardi alla mano, che la riceve. Né pare che da questa novella umiliazione rifuggisse la stampa piemontese, la quale concordemente e clamorosamente chiedea un' indennità, che pur confessava di non poter la Sardegna conseguire senza l’appoggio dell'Inghilterra. Questa per vero è modestia, è abnegazione, è umiltà, che supera ogni umana virtù, e della quale ci dà ammirevole esempio il Diritto, che dopo aver considerata la soluzione della vertenza del Cagliari come il risultamento di una politica dignitosa ed indipendente, confessa alla perfine che «il Gabinetto di Londra mise un impegno troppo affettalo nel porre fuori di controversia la Sardegna, per modo che la quistione dell'indennità è divenuta per il Piemonte una riparazione voluta dall’onore del paese; riparazione che il Diritto ha la coscienza di non poter ottenere che a mezzo della Gran-Bretagna, la quale ha il debito di assicurarla al Governo Sardo. Così a contraddizioni succedono contraddizioni, e dal lor cozzo la verità trionfa, e la politica dignitosa ed indipendente sempre più si abbassa, si umilia, scomparisce per ricollocarsi nuovamente all'ombra dello straniero.

Se dobbiamo prestar fede all’INDIPENDENTE di Torino, la costanza e la fermezza diplomatica del Governo Sardo si posero immediatamente alla ricerca di queste fortezze galleggianti, che dovrebbero assicurargli la chiesta indennità. Esso sarebbesi rivolto alla Francia ed all’Inghilterra, ma da queste due potenze avrebbe ricevuti consigli contrari alle sue pretese; il che è conforme a quanto asserisce l'Indépendance Belge: Si crede generalmente a Torino, che il Governo Sardo non consideri l’affare come terminato, e che intenda esigere dal Gabinetto di Napoli un’indennità pei proprietari del bastimento, come pel capitano e per l’equipaggio. Forse può darsi che tal sia l’intenzione del Gabinetto di Torino, poco soddisfatto, assicurasi, della forma data dal Governo delle due Sicilie alla restituzione del Cagliari; ma sarà esso sostenuto in questa pretenzione, come lo è stato nelle sue precedenti dimande? Ed il sospetto del giornale belga diviene certezza ove si ponga mente al linguaggio adoperato in un recente articolo del Corriere Mercantile di Genova, pel quale tutta Europa biasimò il Re di Napoli, quando che «il Piemonte trovava una combinazione di forze e d'interessi assai propizia, e l'appoggio attivo d'una grande nazione marittima. L’interesse, che il Gabinetto Derby pose nella sua esistenza, questa combinazione d’interessi per dirla alla maniera del giornale genovese, lo condusse ad operare come fece rispetto a Napoli; ma pare che quel Gabinetto siasi alfine arrestato sulla via, dove il primo passo dato sollevò l’indignazione dell’intera Europa, perché il Corriere aggiunge, che adesso fa mestieri scuotere un Ministero inerte e malfermo, vivente di mendicata tolleranza. Il giornale del mercato di Genova è però troppo astuto per non accorgersi, che alla vita di mendicala tolleranza del Ministero Inglese, va debitrice la Sardegna del riacquisto de,1 Cagliari, colpito ora dal giudizio emesso del Tribunale Supremo delle prede di Napoli. Ed è questa la cagione dei nuovi clamori della stampa piemontese, e dello insistere ch’essa fa, per sospingere il Governo Sardo ad un’azione energica richiesta dall'onore e dall’interesse del paese; questo il segreto dei nuovi furori di quella stampa, la quale disse altra volta che il Governo di S. M. Siciliana disprezzò il diritto e la pubblica opinione (cosi il giornale I’Opinione) e che ora dice aver quel Governo speso denari a profluvio, fatto versare fiumi d’inchiostro, consumato carichi di carta per giornali ed opuscoli onde persuadere il mondo che aveva ragione (sempre così l'Opinione).

Ma cos’è questa decisione del Tribunale Supremo delle prede marittime, la quale commuove a tant’ira il giornalismo ligure? Null’altro che una «protesta contro il fatto compiuto, ed ove la si consideri rispetto alla legalità ed al diritto nulla havvi da appuntare in tal modo di procedere, poiché l’intervento della forza non deve arrestare l’azione della giustizia». Così vien giudicata dalla Presse la emanata decisione, che impone al Governo Sardo, giusta la Gazzetta di Genova, «non solo il dovere di proseguire attivamente le pratiche per la indennità… ma ancora quello di assicurarsi, per mezzo delle conseguenze dell’alleanza, e colla stipulazione d’intelligenze immediate, il concorso delle forze britanniche!» Confessioni son queste troppo umilianti, perché sempre più rivelano l’impotenza di uno Stato debole, il quale pretende assumere un’attitudine altera a fronte di un altro Stato, troppo forte per non prender sul serio e per non ridere delle minacce direttegli da chi crede, che un esercito di giornalisti basti alla vittoria! Del resto una speranza sorrideva ancora al giornalismo piemontese, altero sempre se minacci da forte o se implori da debole, e questa speranza stava riposta nella forzata mutabilità del Gabinetto Derby, che versa in tali condizioni, quali forse giammai governo ebbe a sperimentarle. Esso vuol vivere, e vivere ad ogni tosto; e per vivere gli é forza ceder sempre, rinunziare ai propri progetti, subire la volontà dei partiti, e piegarsi innanti ad essi così docile e mansueto, come all’esterno si piega innanti al sovrano volere dell’Unione Americana. Il signor Roebuck disse nella camera elettiva, che si avea molto più asperare dagli uomini deboli, i quali trovavansi al potere, che non dagli orgogliosi e potenti, che erano stati costretti ad abbandonarlo; ed i fatti han messa in chiaro tutta l’evidenza di tal verità. L’opposizione, che avea dovuto abbandonare la mozione Cardwel, dopo che il Gabinetto Derby assisté impassibile al sacrificio di uno dei suoi componenti, immolatosi per la salvezza degli altri; l’opposizione diciamo s’imbarcò sul Cagliari per combattere il ministero, che biasimato avea prima il suo agente a Torino, e che approvava poi le ultime note del conte di Malmesbury. All’opposizione dové bastare il trionfo ottenuto, e gli uomini deboli del Roebuck rimasero al potere, grazie alla concessioni novella ed ingiustificabile fatta ai loro oppositori. Fin dove anderanno questi uomini deboli, e dove troveranno le colonne di Ercole, che arrestino i lor passi? Il ringagliardire dei clamori della stampa ligure, che inneggiò prima al ministero Derby, appena seppe il Cagliari fosse stato restituito; che più tardi gridò al tradimento, quando apprese con quali piedi quella restituzione si fosse effettuata; che in ultimo lo chiamò inetto e malfermo, questo linguaggio diciamo induce a credere di esser già giunti a quel termine, dove al Piemonte non altro rimane, che farsi innanti per imporre al suo avversario il proprio volere, ed imporglielo esso solo, forte della forza che gli dà un esercito di giornali di ogni sesto e di ogni colore. L’Inghilterra ha compiuta l'opera sua; la pace è salvata, ed essa non si commuoverà se il giornalismo piemontese scioglie il canto della guerra. Il signor D’Israeli disse al parlamento, che il governo inglese operando a quel modo che fece, ebbe in mira di salvar la pace; e poiché la pace è salvata, la pace del ministero e quella dei due macchinisti, la missione del gabinetto di San Giacomo è esaurita. Rallegriamocene; ma in quanto alla pace europea «essa (cosi il Nord) non era compromessa questa volta che dalle pretenzioni dell’Inghilterra, ed è stata preservata per ora dalla moderazione con cui il Governo di Napoli cede a fronte delle minacce inglesi. ? Al Governo di un Monarca, che sempre ed in tutti i tempi ha mostrato grandezza di animo nel sostenere inviolati i suoi diritti sovrani e la sua indipendenza, deve bastar l’omaggio reso alla moderazione sua, che fu eguale alla dignità mantenuta con costanza e con fermezza. Esso ha potuto subire la violenza, quando che altri subiva la più vergognosa umiliazione; ma la violenza sofferta non offese il diritto, che emerse incontrastabile ed incontrastato dalla pubblica discussione. Il Governo del Regno delle due Sicilie fin dal primo prodursi della doppia vertenza comprese che la intera pubblicità dei documenti diplomatici poteva solamente illuminare la opinion pubblica, ed esso l’ha affrontala il primo questa pubblicità, quando altri peritante sperava di chiudere nel mistero la fiacchezza degli argomenti, coi quali cercò di puntellare uno sfasciato e cadente edificio. Quando tutto questo non valse, si rincrudelì nel calunniare, e la stampa piemontese gettossi colla sua usata inverecondia su questo campo, dove pur discese qualche giornale inglese. E come non era bastato il mistero, cosi de) paro furono impotenti le armi temprate dalla calunnia, onde non altro espediente rimase oltre quello di ricorrere alla violenza.

«Speriamo (esclama il Nord), che di quanto è avvenuto non rimanga verun precedente, che possa vulnerare i principii, dall'Inghilterra palesamente disconosciuti in questo affare, la cui soluzione auguriamoci che non perda il solo carattere, che le appartiene, quello di un atto della forza contro il diritto!»

A questo punto ci arrestiamo, ché sarebbe soverchio il porre alla svelata le altre molte incoerenze della stampa piemontese, le contraddizioni continue, il sistema costante di calunniare, il vuoto delle sue declamazioni. Ai clamori è seguito ora il silenzio «e la quistione dell'indennità dovuta ai proprietari del Cagliari ed agli uomini, che ne componevano l’equipaggio, dorme affatto» come dice il Cittadino di Asti, e dorme forse di sonno si profondo, che ben può dirsi quello della morte. Noi turbiamo adunque questo sonno, il quale ha posto un freno alla facile loquacità della stampa piemontese, e non ridestiamo una polemica, oramai sopita, perché le venne meno inaspettatamente lo sperato alimento. Convinti che ben altra sia la missione civilizzatrice della stampa, non crediamo, che come la fiaccola dell'Erinni essa debba suscitar odi sempre novelli, ed aggravare una condizion di cose, da per se stessa abbastanza grave. Quale che possa essere la causa che si sostiene, ben si può difenderla lealmente ed onestamente, senza discendere nel fango, il quale lorda solamente chi vi sta dentro. Ove non fossero state le improntitudini di coloro, contro cui abbiam dirette le nostre parole, non saremmo venuti a recriminazioni, dalle quali amiamo sempre tenerci lontani; e se abbiam giudicato severamente il Governo Sardo, lo abbiam giudicato dal linguaggio adoperato nei giornali, dalle intenzioni che questi gli prestano, e che potrebbero considerarsi come le sue, poiché molti di quei giornali son tenuti in conto di organi officiosi del Gabinetto di Torino.

Di questa dichiarazione eravamo in debito verso noi stessi, verso la dignità della stampa, e non ci crediamo umiliati nel farla apertamente.

NOTE

(1) Napoli 1858, Tipografia del Giornale Officiale.

(1) Il comm. Cara f a al caute di Malmesbury; 8 giugno 1858.

(2) Il conte di Malmesbury al comm. Cara fa; 25 maggio 1858.

(3) Il comm. Cara f a al caute di Malmesbury; 8 giugno 1858.

(1) Documenti uffiziali della corrispondenza del Governo di S. M. Siciliana con quello di S. M. Britannica risguardanti i due macchinisti inglesi ed il Cagliari —Memorandum alla pag. 16. — Napoli, tipografia del Giornale Officiale 1858.

(2) Vedi Memorandum s c.







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Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le déloppement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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