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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

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ANNO VIII Giovedì, 1° Aprile 1858 N. 37

LA BILANCIA

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Napoli e Piemonte


La questione del piroscafo sardo, il Cagliari, è divenuta, dice l'Opinione, questione europea.

Ci sembra proprio di assistere alla questione della Secchia rapita, e ci pare impossibile che nel secolo XIX un giornale del ministero Sardo vo glia chiamar l'Europa a definir la questione del Cagliari, divenuta mondiale.

Nella presa del piroscafo che portò nel Regno di Napoli le bande armate di Pisacane, per iniziarvi una rivoluzione politica, e qualche cosa di peggio, se poniam mente a' suoi ausiliarii tolti dalle galere, furono arrestati due meccanici inglesi Watt e Park, e sottoposti a processo per sospetto di complicità in quell'attentato.

Il macchinista Watt, iniziato il processo, diede segni di alienazione mentale. Il detenuto inglese fu allora trasferito in un ospitale e curato, ma non dando speranze di guarigione, S. M. il Re di Napoli, con suo reale rescritto pochi di sono pubblicato dal Times, ha rimandato in patria l'infermo. Quel rescritto è del tenore seguente:

S. M. essendo stata informata, che il meccanico inglese, sig. Watt, è sempre all'ospitale in Napoli, e che i medici sinora non hanno potuto avere una opinione determinata intorno alla possibilità della sua guarigione, quantunque ei sia in buono stato di salute in generale, avendo inteso S. M. che la gran Corte speciale di Salerno stima, che il processo, in cui Watt è stato implicato, debba essere proseguito rispetto agli altri accusati, e aver esso ammessa l'accusa indipendentemente dal detto meccanico, che per ora è stato escluso dal processo pendente, decisione che fu ed è tuttavia in atto d'esecuzione, S. M. volendo dare una prova di sua deferenza verso un suddito di S. M. Britannica, ha degnato per mettere che il sig. Watt possa tornare in Inghilterra o nel suo paese, dove potrà ricevere le cure e i soccorsi che le sue condizioni potranno esigere.

Ora quest'atto di deferenza di S. M. il Re di Napoli verso un suddito inglese, ma che ha perduto il lume della ragione, e che per sentenza de' medici non dà speranza di poterlo riacquistare, mette la stizza nell'animo dell'Opinione, la quale pretende, che il Re di Napoli, avendo liberato un Inglese, avrebbe dovuto usare gli stessi riguardi verso gl'Italiani catturati sul Cagliari e sudditi del Re di Sardegna.

E l'Opinione non bada se per gli altri, venuti nel Regno a sollevare i popoli del Re, si verifichino gli estremi che parlano in favore di Watt.

Essa considera la pietà del Re per un infelice che ha perduta la ragione, come un atto di giustizia dovuto ai prevenuti che sono sani di mente, e gravemente sospetti di reità rivoluzionaria. Essa sostiene che quell'atto del Re è segno più che di prudenza, di pusillanimità e di paura. Ora questo aver paura dell'Inghilterra e non del Pie monte, questo aver deferenza per un Inglese e non averla pei Sardi, è, secondo l'Opinione, una gravissima colpa del Re di Napoli! Ma come può confondere l'Opinione un atto d'umanità con un alto di paura? Se il Re avesse l'animo capace di paura, non avrebbe egli ceduto alle prime intimazioni e minaccie dell'Inghilterra e della Francia collegate fra loro? Avrebb'Egli avuto il coraggio di lasciar troncare le relazioni diplomatiche tra il suo Governo e quelli di Parigi e di Londra? E sarebbesi esposto cosi di leggieri al pugnale degli assassini, ed alle invasioni de' corpi franchi che doveano muovere da Genova sperando di rovesciarne il trono? Ma che hanno da fare i sudditi Sardi che si processano come filibustieri, colla questione mondiale del Cagliari? L'Opinione non ce lo dice, e pare che ad essa prema assai più la restituzione del piroscafo alla società Rubattino, che non quella dei colpevoli invasori del pacifico Regno di Napoli alle loro famiglie.

Il Governo di Napoli ha ricevuto due Note dal sig. Cavour per la restituzione del Cagliari, e non ha stimato bene di cedere. Ecco la colpa del Governo Napoletano. Ma perchè doveva egli lasciare la sua preda, dichiarata legale perfino, in tre consulti successivi, dai più valenti giureconsulti della Corona Britannica? Anche in Francia è prevalsa l'identica opinione, e se il sig. di Cavour si ostina a dichiarar illegale la presa del Cagliari, stimata legalissima a Napoli, a Parigi ed a Londra, che colpa ne può avere il Governo delle Due Sicilie? Comunque la cosa sia, l'Opinione ci assicura, che il Governo piemontese non desisterà dal suo diritto, e raccoglierà il guante di sfida che per avventura gli fosse gittato innanzi.

Ed ecco che l'Opinione, giornale italiano, vuol mettere in guerra civile l'Italia, se il Re di Na poli non restituisce il carcame del Cagliari alla società Rubattino. Queste sono proprio prove cavalleresche di un patriottismo di nuovo genere, che va davvero la pena di rinnovare l'edificante spettacolo della guerra della Secchia rapita! Ma se l'Opinione tira Napoli e Torino alla guerra, il Siècle ne dichiara il carattere, l'esito e le conseguenze, e si sa bene che il Siècle in fallo di guerra è un'autorità come l'Opinione lo è in fatto di sentenze politiche! A dir vero non sappiamo, se le parole del Siècle, benché profferite con tutta la possibile serietà, debbano essere prese sul serio, o se non coprano piuttosto una celia all'indirizzo del Pie monte. Ne giudichino i lettori.

Non dobbiamo temere, dice il Siècle, di errare dicendo, che il governo Piemontese è uno dei più popolari dell'Europa, Esso è inevitabilmente appoggiato dalla pubblica opinione, ed ha il prestigio della gloria recentemente acquistata.

A queste equivoche lodi ha risposto da lungo tempo la stampa sarda, che non è, come l'Opinione, agli stipendj del ministero. E quanto all'inevitabile appoggio della opinione pubblica, ed al prestigio della gloria acquistata recentemente, non crediamo che basteranno al Piemonte, non diremo già per vin cere una battaglia terrestre o navale, ma neppure per farsi concedere dal pauroso Re di Napoli il carcame del Cagliari. Del resto abbiam veduto quanti allori abbia colti per il Piemonte l'opinion pubblica a Custoza ed a Novara nel 1848 e nel 1849! Ma il Siècle, benché giornale poetico più che politico, non pretenderà certo, che i due versi ch' ei dice aver Ovidio composti espressamente per il Piemonte, bastino a fargli vincere la guerra vagheggiata per la rivoluzione d'Italia; oh no certo! Il Siècle fa assegnamento in favor del Piemonte sull'Europa liberale e sulla sua forza materiale.

Coll'Europa liberale in pugno, colla sua flotta e col suo esercito il Piemonte non esiterà a ri correre alle armi contro Napoli, se Napoli non gli darà soddisfazione, e il Siècle non dubita punto né poco, che, se il conflitto sarà ridotto ai due Stati contendenti, senza intervento d'altri, il trionfo del Piemonte è sicuro.

Il Siècle fa la rassegna delle forze terrestri, marittime e finanziarie dei due Stati, e trova che il Piemonte è al confronto assai più debole di Napoli, ma ei si consola pensando, che l'esercito sardo è modello di disciplina e di bravura, che i suoi soldati sono i soldati di Traktir! che i suoi generali hanno combattuto e sono esercitati, e finalmente che lo Stato Sardo che ha tenuto in iscacco l'Austria non dee temer Napoli!! E il Siècle non ha paura dell'Austria, perchè lo affida l'alleanza anglo-francese e la protezione solenne promessa al Piemonte!! Con queste ciance il democratico Siècle (vorrebbe avventare in una guerra fraterna due Stati monarchici dell'Italia, per cavarne profitto... per chi? Pel Piemonte? No certo.

E l'Opinione di Torino chiama assennate le riflessioni del Siècle, ed è persuasa ch'esse coincidono coi propositi del Piemonte! Adunque bi sogna credere, che sia ne' disegni del ministero Sardo di far guerra a Napoli. Se l'Opinione ce lo assicura, noi lo crederemo....

Per altro Opinione non si mostra gran fatto sicura della vittoria, e invoca la santità della causa sarda, la lealtà del carattere del Piemonte, la simpatia dell'Italia, e sopratutto l'appoggio delle Potenze alleate ed amiche. Ciò che in ultimo termine significa che il Piemonte non può far nulla da sé, e che per vincere ha bisogno degli stranieri! Ecco il patriotismo della Opinione, la guerra civile in Italia, e l'ajuto straniero.

ANNO VIII Giovedì, 15 Aprile 1858 N.  43

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RIVISTA POLITICA

La questione della cattura del Cagliari giudicata dal Constitutionnel e dal Nord. Contegno dell'Opinione. = Accuse di Mazzini, e contegno del ministro Ca Campo di Châlons. = Il Credito fondiario sostituito allo Stato pei prestiti relativi al drenaggio.:= Memorandum sardo concernente l'atto di navigazione del Danubio. = Armamenti navali a Cadice. == Viaggio probabile della regina Vittoria a Berlino. Nomine in Francia. Risposta del Governo di Napoli al Sardo. Osservazione.

Milano, 15 aprile

I giornali di Francia esaminano la questione del Cagliari, e in generale si accordano a credere ch'essa non avrà conseguenze gravi per la pace d'Italia. Il Constitutionnel, premessa la storia imparziale de' fatti, e spiegato l'incidente della nota di Hudson non conforme alle istruzioni del Governo inglese, conchiude il suo lungo articolo nel modo seguente: Qualunque sia l'importanza di questa difficoltà, noi speriamo ch'essa sarà sciolta pacifica mente. Anzi tutto l'essere stati posti fuori di causa due macchinisti inglesi Watt e Park, prova che il Governo napoletano desidera evitare complicazioni spiacevoli. È da credere ch'esso userà col Piemonte un contegno del pari conciliante, e che avrebbe probabilmente per infallibile effetto di agevolare un ravvicinamento utile ed onorevole ad ambe le parti. In siffatti casi un buon accomodamento è sempre da preferire alle eventualità d'un litigio.

Da parte sua il Piemonte, noi almeno lo speriamo, recherà nell'esame ulteriore della questione uno spirito di prudenza e di saggezza che lo faccia proclive del pari ad una soluzione pacifica. Il malinteso prodotto dalla Nota del signor Hudson influi sulle risoluzioni del Piemonte, e l'attitudine dell'Inghilterra debb'essere tale da toglierne le conseguenze. Le ragioni di diritto, su cui si fondano i richiami del Governo Sardo sono, bisogna dirlo, assai deboli ed incerte. Trattasi di sapere se la cattura del Cagliari è valida; ora i legisti della Corona Britannica l'hanno dichiarata tale, e questa opinione, chiaramente espressa, indisse la politica conciliante del go verno britannico, e sebbene certi giornali inglesi sostengano, ch'essa non sia obbligatoria pei nuovi consiglieri di S. M. la Regina, sembra per altro essere stata adottata anche dal ministero del conte Derby. Questi argomenti saranno certa mente apprezzati dal Governo Sardo.

D'altra parte, quando il Cagliari fu catturato, tutte le apparenze lo condannavano. Esso avea commesso un atto ostile, ed era evidente il di ritto nel Governo di Napoli di inseguirlo, e renderlo inetto a nuocere ulteriormente. Restavano per altro da esaminare oggetti assai gravi; cioè, se i passeggieri erano complici di Pisacane, o se erano viaggiatori forestieri, estranei ad ogni trama politica, trascinati loro malgrado fuori di via. La questione doveva, almeno ci sembra, es sere sciolta dai Tribunali, che si occupavano della cognizione dell'affare principale. Siffatti principii sono stati ammessi pienamente dai legisti che consigliano il governo britannico, ed è difficile oppor loro obbiezioni soddisfacenti...» Il Constitutionnel conchiude, che il Governo di Napoli e il Governo Sardo sono stati esposti entrambi alle aggressioni della demagogia, e che sarebbe stato lo stesso che servire alla medesima, l'avventurarsi nei pericoli d'un dissidio pericoloso.

Il Nord ha anch'esso un lungo articolo sul l'affare del Cagliari, e malgrado tutte le sue simpatie per gli Stati Sardi, dichiara, che, dopo un maturo ed imparziale esame dei fatti, è convinto coi giureconsulti della Corona britannica, che le pretensioni della Sardegna non sono fondate, o almeno che il Governo Sardo non ha bene iniziata la discussione. Questo giudizio non va a genio della Opinione, la quale, poverina, si con torce come la pergamena sugli ardenti carboni, e nega persino che i giureconsulti della Corona britannica si sieno ripetutamente pronunciati per la legalità della cattura. Le prove poi di quest'asserzione novissima non le adduce! L'Opinione abbandona finalmente la tesi, che il Cagliari non poteva essere preso dai legni del Governo di Napoli, perchè in alto mare, ma sostiene che non lo poteva essere perchè inalberava bandiera Sarda. Secondo l'Opinione sarebbe dunque lecito ad una nave assalire proditoriamente un paese amico, sbarcarvi uomini sovvertitori, per mutarvi lo Stato, e andarne poscia impune, purché potesse, dopo l'aggressione, allontanarsi dalla costa oltre una lega marina, e issare la bandiera di uno Stato qualunque. Non si può negare che questo diritto internazionale marittimo sarebbe totalmente nuovo. Se Napoli o un altro Stato qualunque volesse permettere simili atti di pirateria sulle coste Sarde, l'Opinione muterebbe linguaggio, e allora solo avrebbe ragione.

I nostri lettori rammentano le accuse fatte da Giuseppe Mazzini al ministero Sardo, accuse che l'Armonia ha divulgate. Ora nella Camera di Torino il deputato Crotti chiese al presidente del Consiglio de' ministri, gli assegnasse un giorno per interpellare il ministero intorno a quelle accuse. Il conte Cavour rispose che non risponderebbe a quelle interpellanze, volendo egli op porre alle parole di Mazzini uno sprezzante silenzio, alla quale dichiarazione la Camera fece plauso. L'Opinione poi, piena di disprezzo per la Destra della Camera, per l'Armonia e per l'interpellante, domanda con enfasi se le pappolate di un Cagliostro politico, possono aver tanto peso da meritare che un Governo ed un Parlamento se ne occupino? Pure le rivelazioni di Mazzini sono d'una opprimente gravità, e qualche cosa bisognerebbe rispondere o far rispondere. Se il signor di Cavour non vuol degnarsi di rispondere, faccia parlar l'Opinione. Essa lo difende a tutto potere contro Napoli, e contro le inavvertenze inglesi, potrà bene difenderlo anche dalle accuse del Cagliostro genovese, come quel giornale chiama Mazzini.

Alcuni giornali avevano annunziato che il Campo di Châlons non avrebbe avuto effetto, ma ora scrivono al Nord da Parigi che quel Campo avrà quest'anno un grande sviluppo, e che non vi si accoglieranno meno di 50,000 uomini. I lavori di organizzazione sono diretti dal capitano del genio Weynaud, che si occupa anche delle opere agrarie annesse a quell'immenso stabilimento militare.

Il governo francese proporrà al Corpo legislativo una disposizione che ha per iscopo di Sostituire il Credito fondiario di Francia allo Stato pei prestiti da fare in virtù della legge 17 luglio 1856 in materia di drenaggio.

Il Governo sardo ha mandato a tutte le Corti estere un Memorandum concernente le questioni promosse dall'atto di navigazione conchiuso nello scorso novembre a Vienna, tra l'Austria, la Turchia e gli Stati riverani del Danubio. Questo documento pretende che quell'atto sarà modificato dal Congresso di Parigi. Il sig. di Cavour opera come se fosse il primo ministro d'una Potenza di primo ordine. Un poco più di modestia starebbe pur bene al ministro dello Stato modello! Ma la modestia è una virtù negativa! A Cadice si sta compiendo l'armamento delle navi da guerra destinate a rinforzare la flotta spagnuola delle coste occidentali dell'Africa. La Spagna vuol fondare uno stabilimento militare nell'isola di Fernando Po che le appartiene, ed è situata nel golfo di Biafra presso la costa della Guinea.

Da Berlino si annunzia che la Regina d'Inghilterra si recherà in quella capitale pel prossimo settembre.

Il Monitore di Parigi reca le nomine di quattro prefetti e di 18 sotto prefetti.

I giornali di Francia pubblicano la risposta del Governo di Napoli alla nota diretta li 16 gennajo del conte Cavour. La daremo nel prossimo numero. Intanto diremo che a giudizio dell'Union di Parigi, il dispaccio di Cavour intorno alla questione del Cagliari non regge alla ragione ed al buon senso della nota napoletana che gli risponde.

ANNO VIII Giovedì, 17 Aprile 1858 N.  44

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Un discorso del conte Solaro della Margherita

Nella Camera di Torino cominciò col giorno 13 aprile la discussione del progetto di legge sui reati di stampa e sui giurati, e il giorno 16 non era ancora finita la discussione generale. Primo a parlare contro la proposta fu il conte Solaro della Margarita, e noi stimiamo far cosa grata ai nostri lettori partecipando loro il suo eloquente discorso.

«Non si tratta quest'oggi della pretesa pressione clericale, né della vera pressione governativa quale fu esercitata nelle elezioni, ma di pressione estera, e, quel che è peggio, meritata.

Sia pure stata cortese nelle forme per parte del go verno francese, e dal nostro ricevuta con fermo contegno; non è men vero che quello l'esercita, e questo la subisce.

Ciò dicendo non è mio pensiero d'impugnare in modo assoluto una legge, la cui prima parte è certamente commendevole e conforme ai doveri di società bene ordinata impugno l'attitudine del ministero, e la fatal sua politica.

L'occasione è stupenda, l'opportunità evidente, eppur non senza fastidio mi vi accingo. Forza mi è pensare che al ben del paese il dovere di deputato mi lega, e quel dovere di tacere mi vieta quanto nell'interesse della patria di pronunciar conviene. Non consentiranno meco molti fra gli onorevoli miei colleghi, men duole: ma quelli, cui alcune mie parole torneranno men grate, pensino che colpa nostra non è, ma de' tempi, l'attual discrepanza d'opinioni e d'idee.

All'indulgenza della Camera sono avvezzo, ne userò quest'oggi per brevi istanti.

La teoria del regicidio tradotta in atti di cospirazione, la sua apologia, l'eccitamento al più grave dei misfatti, devono essere puniti con tutto il rigore delle leggi, e tanto più nei tempi, in cui, per umana nequizia, v'è chi ne celebra gli autori, chi ne esalta le sanguinarie imprese, quasi imprese di eroi degni di verace fama.

Vi fu pur troppo chi non credè contaminarsi portando alle stelle la memoria di Pianori, di Agesilao Milano, di Libeny; chi non segnò col marchio dell'infamia i nomi di Pieri, di Orsini, de’ loro complici esecrandi. Meglio ispirati i ministri, da gran tempo, a tutela del nostro onore, di nostra indipendenza, avrebbero proposta una legge severa riparatrice di tanto scandalo, e l'avremmo accolta come concetto spontaneo di mente informata alle idee di quei principii eterni, fra cui la giustizia siede regina.

Pur troppo è vero, che gli estremi si toccano, e men tre si va a precipizio nella via del progresso, tocchiamo quasi i confini della barbarie. In nessun Codice penale finora si sancirono pene contro chi cospirava a danni di estere nazioni, se non in quanto potessero esporre il proprio Stato, tal è il senso dell'articolo 179 del nostro, come ben avvertiva il relatore di questo schema di legge. Non si supponeva il delitto di cospirazione contro la vita di sovrani stranieri; al secolo nostro era riservata la dura necessità di provvedervi: al secolo nostro, che i delitti politici assolve. Non entro nell'ardua quistione, ma nessuno vorrà fra i reati, per cui ai colpevoli si guarda il compianto, annoverare l'assassinio. Vi si doveva dunque pensare, non esitare, per timore forse di disgustare qualche opinione estrema, non aspettare il precetto di un' estera Potenza, per conoscere che non è più tempo d'indugi.

Giusta è la pressione che esercita la Francia; dovere è in noi di soddisfare alle sue istanze. Giusta è, poiché se vi ha un diritto internazionale legittimo, quello è di un sovrano, che dice ad un governo amico: Non tollerate, che nei confini del vostro Stato si ordiscano contro me congiure, agli attentati s'applauda, agli assassini si tessano serti di lode; e se da sua parte vi è il diritto, vi è nell'alleato, che vuol serbar l'amicizia, il dovere di condiscendervi. Ma in questa circostanza i rappresentanti della nazione non possono compierlo senza amarezza e dolore, mentre è la conseguenza di un'attitudine deplorabile all'interno, e del linguaggio tenuto dal Presidente del Consiglio nel Congresso di Parigi.

Se nello stesso modo che i giornali avversari del ministero furono per lievi motivi o sequestrati, o fatti segno alle ire del fisco, si fosse proceduto, quando si vilipendevano sovrani stranieri, e loro si augurava ogni male, o si bestemmiava contro la Chiesa, e contro Dio, non si avrebbero a lamentare gli scandali, di cui ci si chiede ragione, e cui ci è imposto di arrecar rimedio.

Se, esercitando gli atti di un'ospitalità generosa verso gli esuli onesti, che per fatal concorso di circostanze, cui non fummo estranei, costrinse a riparar fra noi, non si fosser accolti in egual modo i cospiratori, o si fossero frenati gli ardimenti di coloro, che dell'asilo abusarono per arrecar guerra e rovina in esteri Stati, non si darebbe luogo all'Europa di pensare, che in questo paese si coltiva e feconda il mal germe delle rivoluzioni. Se in quest'Italia, che tanto si dice di amare, serbassimo un contegno alla sua quiete non ostile, non si direbbe di noi, che, mentre parliam di pace, vogliamo guerra; saremmo savii, e non ci si direbbe: «fate nuove leggi, e sien queste, non le parole, documento della saviezza vostra.»

Il conte di Cavour nel 1856 invocava gli uffici delle Potenze per modificare lo Stato Pontificio, per imporre al Papa mutazioni essenziali nell'amministrazione, e non dubitava, che la volontà irremovibile di quelle Potenze costringerebbe la Corte di Roma ad accondiscendere.

Egli applaudiva all'intervento diplomatico in Napoli, e ben mi ricordo, che, quando si discusse il trattato, fin d'allora io gli diceva, ch'egli aveva aderito implicita mente all'intervento in Torino.

Ora egli è alla prova della verità di mie parole: non ebbero le sue Note grand'efficacia, per quanto riguarda gli Stati d'Italia, ed or tocca a lui, tocca al paese nostro subir l'applicazione delle sue teorie.

Il conte di Cavour nella Nota indirizzata ai plenipotenziari della Francia e della Gran Bretagna accennava, che la Sardegna era il solo Stato d'Italia, che aveva po sto un insuperabile ostacolo allo spirito rivoluzionario.

Frattanto, da quell'epoca i fatti lo smentirono, tremende cospirazioni furono ordite, ma fra noi, anzi questo è il paese, in cui i rivoluzionari d'ogni parte fondano le colpevoli loro speranze, e mentre sopra nessun altro go verno d'Italia fu d'uopo per simili fatti esercitar pressione, questa sopra noi si esercita, e la legge attuale, anziché esser presentata al Parlamento in ossequio di santissimi principii, lo è come in obbedienza alla volontà del più forte. Or io domando, se dobbiamo accoglierla lietamente; sia pur incontrastabile il diritto della Francia, sia pur evidente il dover nostro di cedere, sarà pur sempre deplorabile cosa trovarci nella dura condizione di sentirci imporre ciò, cui era debito dei ministri avere da gran tempo provveduto.

Ma come era ciò probabile, mentre, or son pochi giorni, abbiam visto pubblicata nella Gazzetta ufficiale, e con parole di simpatia quasi proposta ad insegna mento alla gioventù italiana la lettera, con cui Orsini, dai gradini del patibolo, avea l'impudenza di raccomandare all'Imperatore l'Italia? L'Italia esterrefatta e sdegnosa respinge gli uffici e gli affetti di un malfattore, che, per quanto era in lui, l'ha disonorata; né crederò mai, che inclini verso di lei l'animo di un augusto Principe quella temeraria commendatizia.

Esortazione, invito, o consiglio uguale a quello che fu fallo a noi, fu pur diretto al Belgio, alla Svizzera ed all'Inghilterra, è vero, ma molte delle cose che qui pronuncio, pronuncierei in Berna ed in Brusselle. Quanto all'Inghilterra, è locata in così alla sfera d'importanza politica, che, quando compie ad un atto di giustizia, non le si può apporre a timore, nè a debolezza; ciò nono stante l'opinion pubblica si commosse, e forza fu a lord Palmerston di abbandonare il ministero.

Quella Potenza che può resistere, se cede, cede senza soffrir lesione d'indipendenza: ben diverso è il caso di quella che cede, perchè non potrebbe resistere. Uno Stato di second'ordine non può evitare la pressione, se i più potenti per abuso di forza alzano ingiuste pretese; vi soggiace come a dura necessità, e talvolta un fermo contegno basta a sottrarvelo: allora soltanto è imputabile ad un governo la pressione che soffre quando vi ha dato motivo, e ragion vuole, che se stesso emendi.

Ciò pone i deputati conservatori in ben dura condizione. I primi articoli della legge sono consentanei ai nostri principii; ci muove ad approvarli quel sentimento di rispetto, che nei nostri petti verso un Sovrano alleato alberga, sol ci trattiene l'idea, che l'amor proprio nazionale ne è ferito. Non lo sarebbe, se questa legge fosse stata proposta dopo i primi attentati contro la vita dell'imperatore Napoleone; dopo la partenza di Bentivegna, dopo la spedizione di Pisacane; non lo sarebbe, se almen fosse stata proposta prima delle Note, degli urgenti ufficii della Francia: ma fur questi necessari, perche il ministro di grazia e di giustizia ci chiedesse di dar al governo «il mezzo di adempiere ai doveri internazionali e di fedelmente esprimere l'orrore che sente ogni popolo libero e civile per l'assassinio politico».

Taccia però ogni giusto sentimento di nazionale fierezza a fronte di essenziali considerazioni di giustizia e di politica; taccia, ma quando si tratti di dare il voto ad una legge, che a conseguir valga lo scopo, per cui ci è proposta, ed escluda il rischio di subire pel medesimo oggetto nuova straniera pressione. Lo scopo non sarebbe raggiunto, qual rischio si correrebbe, se questa legge fosse sancita come venne proposta dal ministero, non men che come fu dalla minoranza della Commissione emendata. Il sig. ministro di grazia e giustizia voleva affidata la cognizione de' reati, che possono compromettere lo Stato all'estero, ai giurati; credendo ovviare ad ogni inconveniente con un nuovo modo di eleggerli.

L'occulto pensiero, che trapela, non mi sedusse. «Noi dobbiamo essere sempre tranquilli sui giudicii de' giurati, sui reati di offesa al Re, alla famiglia reale per l'affetto inalterabile della nazione, e di quanti la com pongono, verso l'augusta persona del leale nostro Principe e della reale famiglia, non che verso le Camere Legislative, sentimento che non è, né può essere eguale verso alcun sovrano straniero.» Queste parole son giuste, son vere: chi le pronunciava? Qual che deputato forse della destra? No, o Signori, le pronunciava in quest'aula nel 1852 il signor Deforesta?

La Camera aderiva all'assennata osservazione, i tribunali ordinari rimasero soli competenti per giudicar delle offese contro Sovrani o Capi dei governi stranieri; ma l'apologia dell'assassinio politico è la massima delle offese, e l'onorevole ministro vuol ciò nondimeno sottrarla ai magistrati, ed or ora lo sentiremo spiegar la sua eloquenza, non per difender la tesi che propugnava nel 1852, ma per impugnarla. Leggendo quel progetto, io dissi meco stesso: oh forse i ministri non son sazi d'influenza e di potere; forse nel santuario della giustizia vogliono che la loro autorità predomini, e si senta che, malgrado le libere istituzioni, ogni cosa da loro dipende, e perfin la scelta dei giurati. Loro non basta di avere nelle ultime elezioni una delle nostre libertà seriamente pregiudicata; sceglier vogliono per mezzo dei sindaci i giudici del fatto. Desio di smisurata autorità accieca, l'idea della risponsabilità si pone in non cale, né a quella pensano i ministri, che verrebbero ad assumere al cospetto delle Potenze straniere ogniqualvolta le sentenze non emanino da giudici da ogni influenza del governo indipendenti Si, questa risponsabilità fu posta in non cale. Da un lato si toglie ciò che dall'altro si accorda. Si dice ai governi stranieri, in questo momento alla Francia, l'apologia dell'assassinio non rimarrà impunita; si grave oltraggio al sentimento morale di tutto il mondo civile sarà severamente re presso, e frattanto si stabiliscono i giurati in modo che assolvano o condannino secondo le circostanze, secondo la mutabile politica del ministero. Tal idea respingo, dacché l'emendamento della Commissione, se da loro accettato, sarà prova che non ebbero, o rinunziarono all'idea d'un'indebita influenza; né voglio credere che l'accetterebbero sol per salvar dal naufragio la legge; ma con quell'emendamento resta pure sempre un infelicissimo concetto. Guardiamo una volta da più alta sfera le cose. Se siam forti, operiam con franchezza, senza mezze misure, senz'esitanza.

Diciamo alla Francia: Noi vogliam cambiare le nostre leggi, ma quando la dignità del governo consiglia anch'essa di mutarle, e la condizione del paese lo richiede, con ugual franchezza, senza mezze misure, senza esitanza, promulghiamo una legge, che al possente alleato soddisfaccia, e vera intenzione dimostri in noi di mantener illesi i vincoli internazionali.

Abbandonino l'idea i ministri di accennar ad un principio e di servirne un altro, nessun partito in tal modo si appaga, e n'è prova questo schema di legge. La maggioranza più liberale della Commissione lo ha respinto, e dagli stalli della destra, mentre alzo la voce per far omaggio al principio di cui ha sembiante d'esser informata, lo appello in chiari termini una delusione. E tale rimane pur sempre malgrado le modificazioni degli onorevoli Buffa e Miglietti. A questi ed ai ministri dirò: che si tenti d'illudere noi, lo comprendo; siamo avvezzi a sentirci annunziare le finanze quasi ristaurate, l'insegnamento in fiore, la libertà, di cui godiamo, amplissima, l'autorità ministeriale moderata, il popolo contento, ma non tentino d'illudere i governi stranieri. L'estrema bonarietà del nostro popolo non sempre in quelli si rin viene, ed è prudenza non porla alla prova. Questa, rammentar lo dobbiamo, non è la prima volta che per autorevole consiglio dovette il governo presentare al Parlamento modificazioni alla legge sulla stampa. Modificazioni imperfette furono quelle del 1852, per cui ora è forza aggiungerne altre, e se queste pur saranno imperfette, ci sentiremo dire fra qualche tempo ciò che faceste, non basta. Sarà necessità ineluttabile, anche allora, aderire all'invito più o meno imperioso, ma la nostra dignità, la nostra considerazione all'estero patiranno un nuovo detrimento, ed è ciò cui assolutamente non dobbiamo soggiacere.

Non mi s'opponga, non essere a temere che così s'interpreti l'opera nostra in Francia, ove sono stabiliti i giurati; che se a questi fu commesso di giudicar Orsini, ben possiam noi sottomettervi gli apologisti dell'assassinio politico. Rispondo, che il popolo francese in sessant'anni di rivoluzione può avere acquistata l'esperienza necessaria, e meritar fiducia nel compier l'ufficio dei giurati. Se possa il nostro meritarla ugualmente, io l'ignoro, ma emerge il contrario dalle parole più sopra citate del ministro di grazia e giustizia.

Nel seguire i consigli della prudenza sta la considerazione d'un governo, nell'esser indipendente lo splendor d'un popolo, e nella sollecitudine di mantener intatti i legami colle Potenze amiche, la forza d'una monarchia, che non fu mai per estension di confini possente, ma per saviezza di governo rispettabile sempre e rispettata.

Prudenza era salvaguardia di nostra indipendenza, e ufficio di buon alleato provvedere prima che dall'estero giungesse il salutar consiglio. Non si è fatto; pieghiamo il capo; ma almen poniamoci al riparo di nuova pressione.

Noi conosciamo la storia dell'augusta Casa di Savoja, sappiamo quanto è preziosa l'alleanza della Francia, quanto importi avvalorarne i legami, e le diamo maggior prova di adesione combattendo questa legge, perchè inefficace, che non il ministero proponendola: meglio esprimiamo il rispetto alla Maestà dei regnanti, e il nostro orrore pel nefando attentato del 14 di gennajo, per gli infami argomenti, con cui s'insegna l'assassinio po litico, e si applaude. La combattiamo senza opinione preconcetta, senza idea ostile ai ministri, e ne sarà prova il voto favorevole ai due primi articoli, il voto favore vole alla legge, ove il reato previsto dall'articolo 2.° sia, come ogni altra offesa ai Sovrani, commesso alla cognizione de' tribunali ordinarj. Cosi insegna la politica, e se non ne seguissi i dettami, parlerei contro la mia convinzione e contro l'interesse del paese.



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GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano






Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)















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