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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

LA SPEDIZIONE DI CARLO PISACANE A SAPRI

CON DOCUMENTI INEDITI PER GIACOMO RACIOPPI

.... lo porto sulla bandiera quanti affetti e quante speranze ha con sé la rivoluzione Italiana: combattono a mio favore tutti i dolori e tutte le miserie della nazione Italiana… E se mai nessuna bene frutterà ali Italia il nostro sagrifizio, sarà sempre una gloria trovar gente che volenterosa a immola al suo avvenire.
C. PISACANE

NAPOLI

PRESSO GIUSEPPE MARGHIERI EDITORE

Strada Monteoliveto n. 37, p. p.

1863

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

A CHI LEGGERÀ

La rapidità del racconto, la ideale economia del lavoro, e la dignità della Musa della storia non avrebbero consentito a chi scrisse queste carte la forma, per la quale i documenti s’interpongono alla narrazione, e ne frangono il corso, e cambiano la lira di Ghio nel suggesto di Temi.

Ma chi scrisse attese segnatamente a questo, che delle oscure ed ignorate cagioni, onde fu volta a mina la impresa di Pisacane, abbia chi legge un giudizio securo, quanto al vero conforme. Per colui che segga al pretorio, giudice o giurato che sia, non è uffizio incivile, se gli è forse un noioso mestiere, l'udire e il riudire e il raffrontare testimoni, parlanti o muti che fossero, finché la verità non esca intera dal pozzo, ove si tiene celata, al cospetto degli uomini.

L’autunno del 1863.

LA SPEDIZIONE DI CARLO PISACANE A SAPRI

I

L’anno 1857 è, nella storia napoletana, memorabile per l'audace fatto e il miserabile successo di Carlo Pisacane. La cui infelice impresa, a giudizio de' più temeraria, a giudizio di molti dissennata, audace quanto generosa a giudizio di tutti, ardua sì ma possibile di alcuno ancorché minimo successo dopo il riscontro dell'epico avvenimento di Marsala, è ancora avvolta per tutti di tali ombre di misteri e di sospetti, che la lode e il biasimo, il plauso e la condanna della storia cade ancora cieca e irragionevole, come sasso da fromba al declino della parabola, sopra uomini, popoli e provincie; cui per vero non spetta. Ma novelli documenti, rischiarando di nuova luce le ombre del fatto, assegneranno secondo giustizia la parte di responsabilità a cui tocca. E la nuova luce non schiarirà misteri di tradimento, onde lo spirito di parte suole, a propria discolpa, ammantar le sconfitte; ma mostrerà il successo come logica conseguenza di presupposti indiscussi e non veri; siccome effetto di idealismo esuberante (pur necessario elemento alle grandi imprese), cui tutto apparisce possibile, da che dimentica le reali condizioni delle cose, e fa padrone del mondo chi è apparecchiato a morire.

«Se l'impresa riesce (egli disse), avrò il plauso universale; se fallisce, il biasimo di tutti». Fallita nondimanco la impresa, e dato a lui quel tanto di responsabilità che gli viene in parte, la figura di lui resterà ancora grande quanto basti a diventare ideale acconcio alla civil poesia dei popoli virili. Se la luce della storia non è favorevole alla grandezza dell’epopea, la nuova luce non diminuirà la grandezza del martire di Sanza. Quegli rimarrà sempre grande, e superiore ai nostri criterii borghesi, ai nostri calcoli di un’algebra di tornaconto, chi disse: questo è il dovere, ed io lo adempio; è dovere, e non discuto. Altri discuta, deliberi, il rinneghi; tal sia di loro: è dovere, e do la vita.

Se il fato degli antichi regnasse ancora tiranno nella coscienza de' moderni, diremmo di questa impresa che il fato trae i volenti, sospinge quei che resistono al compimento d’ignoto destino. Ma il fato, chi ben guardi, era agli antichi eroi ciò che è veramente all'uomo moderno, (se però intero e non dimezzato uomo sia) è il dovere morale che diventa principio superiore di sua attività; vive e s’informa in lui così, ch'ei non discute, non ragiona, non delibera; ma siegue l’impulso quasi cieco strumento; opera come tutto di un pezzo; e cade, se vinto, senza lamenti; perché lui sospinge

interna una forza, che dentro gli grida; vittoria, o sagrifizio, è il dover tuo. Così si mosse, operò, e cadde Carlo Pisacane.

II

La rivoluzione napoletana del 1848, divampata dapprima per bisogno di libertà politica, invigorita dipoi dal sentimento d’indipendenza nazionale, fu vinta nella città di

Napoli dalla giornata del 15 maggio, nelle provincie da che fu doma la insurrezione di Calabria e la rivoluzione di Sicilia;e, nonché vinta,fu morta dalla fatai giornata di Novara, e dalla più fatale restaurazione dell'assolutismo teocratico nella Roma moderna. Vinte e rimosse le cause del moto, il flusso della controrivoluzione ricorse a grandi onde la storia d’Italia: e le tirannidi italiche ed europee si ricostituirono. Primo in Europa a giovarsene, come ad iniziarla, fu il Re di Napoli: e del primato i rossi della legittimità del dispotismo gli decretarono brevetto d’immortalità, patente di Grande Uomo; e al coro di plausi precoci ed acerbi aggiunsero forse anche questa lode, che fu il primo, il più segnalato, il più delirante ad abusar della vittoria. Non fece limite di sorta alla ricorsa a ritroso, che potea essere sconcia, ma pure scusabile, in re già assoluto, ingordigia di assoluta potestà;ma non fece limiti di modo o di tempo alla bieca foia di vendetta e di pressure, che era ben stolido consiglio dell’arte di governo. Dopo avere egli sciolto lo insolubile problema del come sommettere tutto quanto un popolo a processo di Stato; dopo aver fieramente percosso di carcere, di galera e di esilio imberbi giovanetti, vecchi cadenti ed ogni fiore di valentuomini a migliaia; dopo avere diminuto, colla nota dei sospetti, il capo di cento altri mille, volle sommettere di classe in classe tutto il popolo restante al suo ideale di instaurata civil monarchia. E mise a bando de' dritti civili, come dell’Università, la gioventù tutta quanta, perché non bevesse che alle acque alloppiate dai Loiolesi: dei dritti civili, come della mensa chiesastica, il minor clero, alle alte autorità turbolento, cui ridotto a mendicità vietò di accattare (1). E poi volle fiorisse il commercio isolato per le impervie provincie, le spiaggia importuose, i comuni inaccessibili, di un regno isolato; e gli sapesse grado la sociale giustizia, quando, a uso socialismo, tassava sue derrate al proprietario della terra, e apriva o chiudeva le vie dei cambii a ritroso degl'interessi di lui;e gli sapesse grado la cattolica civiltà, quando mise a bando della legge, senza più, la intelligenza.

E non bastando di vincere soltanto, ma fondar la vittoria, volle, Machiavelli cattolico e Filippo II del nostro secolo, dopo sanato di ferro e di fuoco la cancrena del liberalismo, sanarne i mali umori del corpo sociale nelle sorgenti; ausilio il prete, auspice il birro. Serve la religione ai despoti di salvaguardia, non di limite alla autorità; e per essi addiventa strumento di regno anche Cristo in sagramento. Ed egli, a strumento di regno, sguinzagliò per lo Stato una caccia di Gesuiti a manipolare le generazioni novelle alle putride dottrine della romana curia; la Chiesa francò dai limiti civili, che la sapienza degli avi aveva messi a difesa della sovranità dello Stato; pose la polizia a custodia dei precetti della Chiesa, come l’alta Chiesa si diè volenterosa ai servigi di polizia; santificò colla carcere le feste, colla religione lo spergiuro; creò nuova serie di sociali delitti; e l'impenitenza, l’irreligione, lo scandalo punì col prete e col birro; fondò, a beneficio dell'anima de' popoli suoi, chiese, oratorii, case monastiche; e a prò di esse fu arrestata la legge del tempo e la forza del dritto (2); ed a coronamento del sapiente edilizio, innalzò al confine dello Stato la muraglia della Cina; perché aria libera civile non ventasse a destar la fiamma degli spiriti, che, a gloria di Dio, il Gesuita spegneva. Questa la medicina dell'animo. Per la mondana parte della creatura, cui guastò lo arbitrio il peccato di origine, auspice, norma, guida di regno l’arbitrio indefinito e infinito della polizia. Alla quale tutt'i poteri e gli ordini e i nervi dello Stato furono ordinati e sommessi; sommessi la giustizia, il diritto, la morale, la carità. E mai più fu tempo o luogo di si bieca e miserabile tirannide come questa; in cui l’esercizio dei civili dritti, de' civici istituti, la garentia della comunale giustizia, il muoversi, il sollazzarci, il vincere in giudizio, divenne privilegio, che la polizia rilasciò o mercato a danaro, o in grazioso premio di fedeltà ai benemerenti dell’altare e del trono. Così, senza limiti e modo, continuò per dodici anni il sistema del Restauratole Cattolico, laico riscontro di Leone XII: finché di tanto cieca ignoranza delle leggi del mondo civile Dio non fu stanco: e ravvivò, a percuoterlo, lo spirito di libertà da sue ceneri risorta.

Sotto le quali ceneri, assiduamente vegliate, cotesto spirito di libertà e la intelligenza, di lor natura quanto 3 mondo immortali, mai non restavano di protestare a volta a volta di loro vitalità in segreti conventicoli, che si rannodavano in sètte. Le quali, rigerminate lentamente dall'anno 1850 in poi, erano poca cosa; povera opera di giovani di grande animo, di poco credito. La polizia aveane subito il bandolo; e punendo fieramente, annichilava l’opera, spezzava la rete, prostrava gli spiriti. La parte moderata si tacea; o sfogava ira e paura in animose corrispondenze alle gazzette straniere.

Lo spirito organatore di libertà non si ravvivò veramente nel Napoletano prima del 1854; quando l’Europa civile venne a cozzo in Crimea coll’autocratismo della barbarie nordica. Da quell’anno, se non prima di poco, aliava per le città un’idea di Murattismo; che nell’ingrato terreno, benché favorevoli le condizioni del tempo, mai non mise barbe profonde. Di colai spiriti di libertà, di cotale latente e povero organismo le prime manifestazioni apparvero sul cadere del 56 con Agesilao Milano; a mezzo il 57 con Carlo Pisacane.


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III

Nell’anno 1856 pervenne in Napoli uno scritto mazziniano; il quale, inteso a trar prò dal moto degli spiriti d’italianità ridesti alle speranze del Congresso di Parigi, ed a costituire pertanto una parte politica nazionale da opporre cosi ai tentativi della mencia parte Murattina nel Napoletano, come ai sospetti, che la protezione Napoleonica già venia destando, portava per epigrafe « Partito Nazionale » e per titolo « Appello alla Nazione ». Era codesto per via di definizioni un’aforistica teorica di dritto pubblico, che avea a principio la sovranità nazionale; a fonte di potestà «unica legittima ed esclusiva» il suffragio universale; ed a condizion necessaria di primo attuamento, a rimuovere gli ostacoli delle tirannidi locali, la insurrezione.

Ed intrecciando di passo in passo la dottrinal parte alla pratica, a preparare la levata d'armi del popolo sovrano, dividea l'Italia, non secondo lo storico possesso dei suoi Stati, ma in quattro Compartimenti naturali, che dicea del Sud insulare, del Sud peninsulare, del Centro, e del Nord. Un Commissario promotore centrale era a capo del compartimento; un Commissario promotore di provincia a capo di ciascuna provincia; la quale veniva suddividendosi in sezioni numerose; e queste rette da commissarii, che «sceglievano ed autorizzavano gli ar rolatori de' drappelli» de' militi, pronti ad insorgere. E tutti tra le mistiche formole consuete, (onde le moderne sètte sono oggi tanto. ridevoli quanto più si studiano con siffatte maschere di parer venerande) davano un giuramento «per l’onore di loro stessi e per dovere verso la patria... di conservare intatto e difeso il principio della nazionalità italiana; non lasciando confondere la causa della Patria con quella dello straniero qualunque si sia» La quale architettonica compagine somigliante, non mutato che il nome, a tutte le altre indiritte a simili intenti, avea questo di speciale nota degno; che prima indicava a manifesto e special scopo degli aggregati l' azione ; e l'azione volgersi ad efficacia comune a tutta Italia, non restringersi agli ordini e alle tirannidi locali; come prima ebbero fatto, o si proposero, le vivaci e ripullulanti sètte del Napoletano. Il che non sia inutile notare a schiarimento di quelle cause, onde emerse il grande moto del 1860.

Questo disegno di organamento e gl'impulsi a fare pervennero per via di Malta, ove dimorava esule, a capo di esuli, di repubblicana fede, Niccolò Fabrizii, a de' giovani di Napoli, pei quali la vita era aspirazione ed azione perpetua alla libertà della patria. Codesti non ricchi per vero che di buona volontà e di operosità singolare, non forti che delle illusioni della gioventù, (che sono anche esse alla esecuzione delle imprese una forza; come è forza il senno che le modera, la scienza che le apparecchia si costituirono in «Centro promotore» del Compartimento del Sud, e strinsero relazioni col Fabrizii; le avviarono con altri esuli in Genova; e man mano con talune delle provincie meridionali, il Salernitano, la Basilicata, quel di Bari e di Lecce, e forse, ma meno, quel di Avellino e di Cosenza. Anelli di congiungimento alla misteriosa catena tra questo centro e le provincie erano altri giovani; a cui la vigilanza della polizia era non ostacolo, ma aculeo a far con audacia, a provveder con astuzia; già avanzi delle carceri di Stato, o impigliali in novella rete di processi di Stato, e traentisi con mille accorgimenti alla caccia che li ormava incessante. Giovani lutti, e scarsi del nerbo sì della guerra, sì delle congiure e di tutto, la pecunia, poco poteano. Pure la condizione loro stessa ne facea la forza; il mistero, onde studiatamente si avvolgevano agli stessi consorti, ne crescea la grandezza; e il riflesso degli esuli più illustri e famosi li vestiva della luce e del credito di quelli. Segregati agli usuali commerci della vita, e facendo del loro concetto una missione di coscienza, dalla coscienza del dovere attingevano energia, ozii dal ritiro, e dagli ozii bisogno di riempirne la vacuità; onde, con scarsissimi mezzi, e multiplicando le forze, poteano innondar di lettere circolari, d’istruzioni, di proclami e di novelle le provincie. Le quali tenute dal rigido sistema del governo-modello al buio di ogni politico evento, ond'è ricca ogni giorno la viva storia de' popoli; muta così, nella sguaiataggine sua, la gazzetta del governo da parere nonché morta l’Europa, aver messo a segno il cervello, e fatta savia fanciulla; invocavano, in tanto grave notte, come raggi di luce e fonte di dissetamento le misteriose e periodiche comunicazioni del Comitato.

Tale era il nome, che avea assunto, o si era dato al Centro promotore del Sud peninsulare. - Breve nucleo il costituiva; e ne era a capo Giuseppe Fanelli, operosissimo giovane e animoso così, che lasciando dei suoi studii le seste dell'ingegnere, trattò le armi con maggiore amore a Roma ed a Venezia; segretario Luigi Dragone; e di essi cooperatrice animosa la costui giovane moglie. La quale egregia donna, educata nei liberi spiriti agli esempii domestici era sorella ad Antonio Morici; e questi implicato che era gravemente in causa di Stato scampò a Malta; ove fu il tratto di unione tra' conventicoli di Napoli e il Fabrizii.

Di codesto centro operosissimi raggi nelle provincie furono pel Barese un Tateo di Palagiano, che poscia esule morì in Savoia; pel Salernitano i fratelli Magnone, famiglia del Cilento cooperatrice instancabile in tutti gli ultimi moti del Napolitano, e Vincenzo Padula, prete ardentissimo, che perdè poscia una gamba e la vita alla giornata di Milazzo; per la Basilicata Giacinto Albini, alla cui pertinace ed efficace operosità per undici anni, mista a spirito di concordia e di temperanza negli uomini di alacri opere rarissimo, fu dovuta nel 1860 la insurrezione notabilissima di quella Provincia. Nè questi i soli: ma coloro che hanno maggiori attinenze al soggetto di queste carte (3).

IV

Da quel tempo fino all'aprile del 1857, le provincie menzionate di sopra, si organizzarono, come era detto, misteriosamente. Operosissimi commissarii organizzatori di sezione, ardentissimi arrolalori di drappelli, mascherando lor viaggi frequenti a gite di diporto o d’interessi domestici, distendevano le fila, propaginando di paese in paese dai ceppi secondarii altri tralci; che moltiplicarono sì vigorosamente nel terreno, tanto più acconcio quanto più sommosso dalle bieche vessazioni poliziesche, da avvolgere in un fitto reticolato pressoché tutti i comuni di una provincia. Era tempo di espettazioni e speranze; provocate ed invigorite dalle ondulazioni che produssero in Italia il Congresso di Parigi e quella che poi fu detta quistione di Napoli; e le speranze da per tutto rinfocolate conferivano alla celere propagazione del lavoro. Il quale se rispose in poco d'ora maravigliosamente diffuso, fu, convien dirlo, men lavoro d’impianto, che ravviamento di precedenti apparecchi.

Fin dall'ottobre del 56 il «Centro promotore del com«partimento peninsulare del Sud» dando avviso alle provincie che «i tempi sono maturi quanto basta; gli eventi corrono propizii; trai concetto e la esecuzione deve ormai intercedere il minor tempo possibile» chiedeva di conoscere i risultamene dell'organizzazione avviata, il tempo bisognevole a mettere in atto i preparati elementi;e se,non potendo per manco di organismo compiuto intraprendere una sollecita impresa, coadiuvare potessero almeno a un moto mercé di bande armate. Allora forse si maturavano in misteriosi convegni le sicule congiure del Bentivegna,e il fatto grandioso e romano di Agesilao; che «solo in piena luce, a viso aperto si levò «contro l’empio accampalo e potente» (4). Ai quali fatti dovea rispondere la insurrezione interna, coi né il solenne ardimento del soldato italogreco (ci perdoni il senso morale della coscienza, se in noi non sveglia che sensi di maraviglia un fatto ch'ebbe le forme dell'antico eroismo) avesse compiuto I’ arduo disegno. Ma nessun’eco ebbe il fatto nelle provincie, fosse la non riuscita di esso; o fosse che, impresa solitaria quanto grandiosa, non ebbe attenenza di sorta colle congiure del comitato.

Pertanto il lavoro procedeva sempre più alacre; l’ordito sempre più si annodava e stringeva; era uno scambio misterioso e continuo di cifrate corrispondenze; e per mille trovati singolarissimo il mezzo di trasmetterle. In cosiffatto ordito la Basilicata (5) parve meglio aver risposto alle aspettazioni del Comitato; poscia il Cilento, e il distretto di Sala: le altre seguivano dopo,ma da lungi. Tutti però delle provincie, affermando sé pronti all’impresa, chiedevano unanimi, insistenti, e come necessaria condizione d’iniziativa, l'ausilio di capi militari di nota e sperimentata fama, che ne guidassero i moti, e causassero gli errori delle insurrezioni del 48; le quali miseramente sconciarono guidate che furono da giovani più baldi che esperti; da uomini di lettere, e da avvocati né sperti né baldi.

Stringendo intanto gli avvenimenti, come innanzi sarà detto, il Comitato chiese ai Commissari di provincia nel febbraio del 57, «uno statino esatto degli arrolati e pronti di ciascun paese, armati o no; e quanti di essi si presterebbero alla guerra insurrezionale fino a vittoria compiuta; e quali e quante armi e munizioni si avessero». E chiedeva cosiffatte statistiche «avvalorate da tutte le legalità necessarie per servire a noi di documento di appoggio presso il Comitato dice rettore all'estero». La quale, più che prudenza, cautela da causidici era senza dubbio consigliata da quella lotta, coperta sì ma incessante, trai comitato di Napoli e i centri di Londra e di Genova: nella quale quello di Napoli subiva, men volenteroso che vinto, l'impulso di lontani ordinatori: e di questi sopraffatto e trascinato seguiva gli accenni, men fidando nello evento de consigli, che nella fortuna. La quale lotta (che è posta in chiaro da quanto più innanzi verremo esponendo) se, rischiarando la situazione, spiega alcuna delle cause de' seguiti successi miserandi, è nondimanco logica conseguenza di quei segreti concatenamenti, ond'è vincolata nelle sètte la volontà di quei di giù alla gerarchia di quei di sù: e per natura stessa delle cose non gerarchia ma imperio; non volontà ma arbitrio; indiscusso, indiscutibile, imperativo.

Il Comitato volea cifre statistiche; non gli vennero che lettere: e di statistiche qualche parte,ma incompiute.

Una lettera del 23 marzo dicea: «O' strappato finalmente da mano di i rapporti di Bari e di Lecce.

Sono veramente polemiche, non statini. Si desume pertanto una cifra complessiva di duemila pronti ad insorgere; e seimila di propaganda» — «Chiedete gli stati? (dettava un’altra lettera di Basilicata del 20 febbraio); a che varrebbero? A mostrare il numero reale. Ma comunque non si siano distesi per certe precauzioni, posso assicurarvi che i seimila, che si vorrebbero da noi, si hanno. I capi militari si facciano venire; con essi farò trattare i nostri; ed in un giorno si unirà a loro quanta gente si vorrà».

Ed al 6 di marzo colla foga e la parola incisiva dell’uomo di ardite opere: — «Non guardate lo statino. Siate certi che all'apparire degli uffiziali insorgeranno pure le gatte... Che si odano quattro tamburi, due trombe; si vegga una bandiera; e poi e poi vedrete se non vi cadranno lagrime di gioia. Ci è d'uopo di spinta: da sé nessuno sa fare. La provincia è nello stato d’insorgere tutta; purché senta alla testa uomini esimii; e si assecuri che lo straniero non l'attraversi; e se le diano i mezzi atti a ciò.... » Le quali parole resterebbero come facili vanti, e solite allucinazioni dello spirito rivoluzionario, che tutto, uomini e cose, intravede a traverso di un prisma; se non avessero riscontro di prova e di veracità nella insurrezione del 18 agosto 1860. Ma d'altra parte il Fabrizii colla esperienza del vecchio adusato alle politiche lotte scaltriva i giovani di Napoli, ai ritenessero dal fare reciso assegnamento sugli abachi de' congiurati: larghe promesse in momenti di eccitamento ad eventi lontani, coll’attender corto nei momenti di stretta; quando la potestà minacciata colpisce a difesa e a terrore; ed al terrore le promesse dileguano.

Allorché il Comitato premeva siffattamente sopra i suoi consorti di provincia, era a sua volta premuto dai suoi padroni di Londra e di Genova. Dopo i fatti di Bentivegna e di Agesilao un novello disegno veniva colorandosi tra loro; alla esecuzione del quale disegno il Mazzini da Londra avrebbe impartita l'autorità del suo placito e la pecunia; gli esuli napolitani in Genova dato i capi e le braccia precipue; le provincie meridionali il campo e le coorti. Cotal disegno fu poi manifesto nella spedizione di Carlo Pisacane.

V

Nelle ore solitarie e sconfinate del prigioniero, quando stanco è il corpo agli ozii protratti, ma vaga la mente agile e franca, pria compagna poscia ancella alla fantasia, non pensa che a disegni di fuga, che il sottragga non al rimorso ma alla pena, l'incarcerato per ree colpe comuni: non agita che fantasmi di moti fortunati alla liberazione della patria la mente del prigioniero di Stato. Nel fantasticare di cotesti ozii senza confine, all'ardente spirito di Giovanni Matina (di Diano in quel di Salerno) passato allora dalle segrete carceri di Stato alla breve e confinata libertà dell'isola di Ponza, parve facile quanto utile partito l'accozzare i relegati dell’isola, trarneli di un colpo di mano, e lanciarli su qualche proda, nucleo e leva di già apparecchiate insurrezioni. Restavano in essa a dimora coatta un settecento uomini all'incirca; poca parte dei quali erano di quei generosi giovani,che trassero volontarii alle guerre dell’italica indipendenza, e del fatto generoso eran puniti, senza ragion di giudizii, a modo borbonico; parte già soldati del napoletano esercito e di qua espulsi per geste che il tacere è bello; i più legalmente puniti per disonesti reati comuni; tutti, come è natura de' prigionieri, frementi de' ceppi, aspiranti a mutazioni, di tumulti e congiure facili elementi.

Il disegno fu, nelle particolarità sue, fatto aperto dal Matinà ai suoi amici del Comitato di Napoli; i quali ne scrissero al Fabrizii in Malta. E questi ne parlò a Carlo Pisacane la prima volta nel gennaio del 57 (6), come di un punto sodo e concreto nel mare de' disegni, che I' anima ardente di lui veniva agitando nelle solitudini dell'esilio. .

Del quale disegno sarà non inutile opera seguir passo a passo I' ordito e la trama, distinguendo, a chiarezza del racconto,in tre stadii o periodi lo svolgimento di esso.


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VI

PRIMO PERIODO — CONCERTI PRELIMINARI
(da Febbraio a Marzo 857)

Carlo Pisacane, uscito nel 1847 dallo esercito e dal reame di Napoli, militò breve tempo nella legione straniera dell'Africa francese, fino a che gli avvenimenti di Italia noi chiamarono a combattere sui campi di Lombardia e sotto le mura di Roma. La quale romanamente difesa e gloriosamente caduta, Carlo ricalcò le vie dell'esilio, a traverso le terre inglesi e la Svizzera: poi nel 1850 venne a Genova, ove visse agli studii e alle speranze nelle romite campagne di Albaro. Non immemore della patria, non del tutto remoto ai concerti e agli apparecchi di ardenti e operosi spiriti, (cui aculeo è l’esilio; la patria è sogno, religione e vita) entrò da Genova, ai principi dell'anno 1857, in relazioni più strette coi rappresentanti del Comitato di Napoli, ebbe da essi notizia de' lavori ravviati e prosperamente progrediti nelle provincie, massime nel Salernitano e nella Basilicata, e l'assicuranza che gli animi di tutti erano pronti a un fatto che spingesse i popoli a libertà; e come la Basilicata fosse anzi «inconizionatamente» già presta a gagliarda iniziativa (7).

Intorno a quel tempo, se non fosse anche prima, era egli in più intime relazioni col Mazzini da Londra; il quale meditava per quell'anno una delle sue ardite, quanto sfortunate intraprese in Italia, mosse se non a vincere, a mantener viva la fiamma del suo nome. Per la esecuzione di essa non è dubbio facesse egli grande assegnamento sul valore e l'ardimento di Carlo Pisacane: imperocché questi a 3 febbraio scrivea cosi ai suoi amici di Napoli: «In punto ricevo lettere di Mazzini; e mi annunzia che in questo mese corrente, o al più tardi nell'entrante, giocherà l'ultima carta». E di questo ardito gioco, in cui era messo a rischio sangue di uomini e destino di popoli, giudicava egli, non guari di poi, assennatamente in queste parole: (8).

«lo so che Mazzini ba i mezzi; so che vuole adoperarli per un vapore, ed eseguire un disbarco a Livorno. Ivi si dicono prontissimi e certi di vittoria. Eglino lo dicono in buona fede: ma io, in quel punto, veggo questa buona volontà, ma non veggo negli animi e in tutte le altre cose la rivoluzione: quindi sono certissimo che non faranno nulla. Questo primo fatto per Mazzini è un pre testo per operare il monopolio (9) qui, ove io sono (10); per poi correre con una parte dei mezzi al Sud. Il piano perché troppo vasto non riuscirà; il primo fatto sarà un fiasco che trascinerà la ruina del secondo. Ed ancorché tutto riuscisse, allora per le precauzioni che si prenderanno, non saremo più in misura di operare al Sud: la cosa rimane localizzata per poi morire; e cosi sciupare le ultime nostre forze e speranze.... »

In questi suoi giudizii e nella certezza dell'animo che appresterebbero un più acconcio terreno alla iniziativa le provincie meridionali, straziate dal mal governo locale, egli non restava dallo insistere appo il Mazzini, perché avesse accentrato di preferenza suoi operativi disegni nel mezzogiorno della penisola, ove sono elementi pronti allo incendio; non mancare altro che una mano ad accostarvi l’esca da ciò; e proporre egli sé stesso per uno sbarco da Malta nelle Calabrie, presso a Catanzaro (11). Alle istanze ripetute il Mazzini resta in fra due, e un giorno gli risponde dubbioso cosi:

«Vi prometto di sottoporre la quistione a Kilbourn, appellandomi alla sua coscienza. S'ei mi dirà: credo che quella forza (spinta nel Sud) possa produrre il risultato voluto sul resto (d’Italia), la dirigerò là (12). »

In questa il Comitato di Napoli, men per proprio impulso che per altrui ispirazione, si rivolse al Mazzini (13): ed esposto le condizioni generali delle cose nel Napoletano, la somma del segreto lavoro che — «sembrava (dicevano) bastevole elemento per una iniziativa imponente e decisiva quale è richiesta» —, e come ei si mancasse di armi e danaro, nonché — d' interna direzione proporzionale all’opera da iniziarsi» — conchiudeva, aversi intanto in vista un disegno, che parrebbe poter essere impulso sufficiente ad un moto gagliardo; e il disegno era l’impresa di Ponza, già nota a chi legge. Or potete voi giovarci di aiuti? dimandava, stringendo, il Comitato.

E il Mazzini, accettando il partito, al 6 di marzo scrivea come segue:

«Fratello, voi per la prima volta mi proponete un’operazione definita, concreta, pratica: come è debito, e impulso di core l'accetto; me ne occupo subito, e sarà fatta. Sia nota a pochi o nessuno, se possibile; ogni cosa dipende dal segreto. Non avete bisogno per preparare, che di annunziare qualche cosa che darà l’impulso. Date all'amico,, il quale trasmette la vostra per me, ogni ragguaglio su Ponza. É essenziale.

Ciocché noi faremo è nulla, trattandosi di vostra arena. È una scintilla: il farne incendio dipende dal vostro agire sul punto ove siete. Non lo dimenticate.

Non ho bisogno di dirvi, che l’azione sul vostro punto riuscendo sulle prime è il sorgere di una Nazione: della risposta sopra altri punti mi reco io mallevadore; se la bandiera sarà di Nazione. Alla forma penserà il paese; ma quella condizione è essenziale.

Ricordatevi che il vostro punto raccoglie la eredità trasmessa «in nome di Dio e del Popolo» e non di altri padroni da Roma a Venezia. Addio.

Poscia fa noto a Pisacane, che, accettando egli la impresa nel mezzogiorno d’Italia, dava gli ausili! e l’opera; che l’attuazione pertanto dipende da lui oramai; e tronchi ogni indugio. È Carlo impaziente, che non aspettava di più liete novelle, scrive a quei di Napoli: (14) il contratto è conchiuso; e «perché l’attuazione dipende da me oramai, non mi resta altro a fare, che attendere la vostra adesione. Veggo la cosa come utile e di facile risultaci mento. Non ho che un dubbio solo, che il solo fatto potrà scacciare, (imperocché se si volesse togliere, la cosa sarebbe ruinata): temo che i relegati ricusassero la loro cooperazione. Se questo non manca, il resto è sicuro». E facea conto, che il disbarco sarebbe seguito intorno a' 20 di aprile,se ostacoli non fossero surti ad indugio.

Ma quando le cose parevano ferme, cominciano gl’incagli. E questo è il secondo periodo de' non brevi negoziati, distinto da' titubamenti di quei che all’interno or, divano la trama, dalle pressure di quei che da fuori sospingevano innanzi.


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VII

SECONDO PERIODO — TITUBAMENTI E PRESSURE
(Aprile e Maggio)

A tanto prossimo inizio del moto il Comitato titubò; e rispose tantosto a Pisacane (15), che gli appare appena; perché danaro, armi, efficace direzione interna, di che si era. ripetutamente scritto, mancavano affatto. E i ripetuti disinganni, e i conseguenti flagelli governativi aveano ormai radicato in lutti il concetto non doverti tentare che qualcosa di solido, o niente: ché «senza solidi preparativi locali (così diceano) le varie frazioni politiche dello stato punto non avrebbero cooperato alla impresa». E conchiudevà queste parole ricise colui che scrivea: «Guardando ciocché tengono fermo nell'animo i patrioti sul luogo, credo che il fatto di Ponza isolato non produrrà lo effetto de' nostri desiderii: mentre, se preparato il terreno all'azione, credo l’affare potrà riuscire come si spera». E perché, venuto da autorevole persona,riuscisse più efficace lo scongiuro, pregavano istantemente il Fabrizii; affinché consigliasse al Mazzini a non precipitare la impresa; a non premere sì, che si abbia a ripetere lo infelice successo del Bentivegna.

E il carteggiare del Comitato continuò, giova notarlo, per aprile e maggio, con Genova e Londra, sullo stesso tenore d’idee; rimesso sì, come da scolare a maestro, ma insistente a rattiepidire la precipite foga inventiva; a sommettere gl'ideali disegni concepiti di lontano alle condizioni reali, di cui testimoni e giudici non poteano levarsi che quei dell’interno; al bisogno di avviare accordi, di stringer pratiche, di rannodar le parti; di procurare armi alla città e alle provincie; al difetto, sempre ripetuto, di autorevole direzione interna e di danaro; a ricordare le condizioni di tempo e di spazio; ché ei non bastava che a Londra balenasse, perché a Napoli il fulmine tenesse dietro securo; ma ponessero mente agli ostacoli e ai guasti, che all’interno ordito vernano mettendo di tratto in tratto le polizie; onde spezzata in qualche parte la rete, pria che si rannodasse, tutto il lavoro interno restava come tocco da paralisi. Era adunque, chi ben guardi, la lotta della realità coll’ideale; del quale si dilettano assai, come a condizione dell’essere loro, i dottrinarii delle rivoluzioni; ignorata varietà, ma rigogliosa e vivace della famiglia dei politicanti.

VIII

Ma Carlo Pisacane pressato meno da sua focosa indole che dal Mazzini; e questi impigliato nei suoi disegni d’insurrezione a Genova ed a Livorno, (cui la storia non può non colpire di severo giudizio, fino a che non sappia almeno di qual prò conferissero alla libertà ed alla nazionalità italiana); poiché di quei disegni il moto di Napoli dovea essere o impulso o ausilio, trovarono meno angusti, che timidi i consigli. E non sarà inutile cosa l’indugiare attorno a questa lotta di prudenza e di audacia, che altri disse di timidità e di ardimento; perocché facendosi in essa manifesta la storia intima dei pensieri di Carlo, avremo di lui più perfetta conoscenza, che non sarebbe, se da' soli suoi atti fosse dato di giudicarlo. Né sarà superfluo alla storia nostra lo aver notizia di alcuni suoi concetti; quando in essi è a trovare la chiave di certe più che audaci risoluzioni di lui.

Addì 5 di aprile egli scrivea:

«Con questa riceverete tremila lire. Con l’altro corriere spero mandarvi il complemento di ottomila. Cercate di avvaletene senza riserva: né vi ritengano scrupoli di responsabilità. Quando avete adoperato tutti i mezzi in poter vostro, e fatto quello che potevate (del che deve assicurarvene la vostra coscienza) siete al disopra di qualunque sindacato

Noi non pretendiamo da voi l’assicurazione che tutti insorgano: tutt'altro. Io vi ho scritto mille volte, e Mazzini nell’ultima sua, che voi non avete responsabilità di sorta alcuna. Noi desideriamo che isola (Ponza) accetti; e quando ci dite: isola accetta, tutto è fatto. »

Ai 7 di aprile:

«Non sono io quello che direttamente affretto; ma neppure quello che ritarda. E ciò dipende dal convincimento che un lavoro lungo menerebbe a completa ruina. Ed ho fede che un colpo inaspettato, se gli animi sono volenterosi, produrrà effetto maggiore di qualunque lavoro. »

È l'idea che torna spesso. E al 12 maggio dicea:

«Noi non abbiamo mai preteso, che lotti iniziassero al nostro appello; noi invece siamo convinti, che se si lavora ad on apparecchio per dieci anni, con tutti i possibili e immaginabili mezzi, non verrà mai il giorno che tutti saranno di accordo per iniziare. Le difficoltà che enumerate, come quelle che rendono lungo e penoso il lavoro, sono ragioni che militano a favore della nostra, non già della vostra opinione. Quando sono così difficili le condizioni della fabbrica allora non v’è altra risorsa, che una stretta, subitanea, energica congiura. Ogni altro lavoro è un pascolo al governo per sfogar la sua rabbia...»

Ma con ancora più larghi ragionamenti si sforzava egli di vincere le titubanze de' suoi giovani amici, e combattere gli argomenti riferiti, e che abbiamo accennati, nella loro lettera del 2 di aprile:

«Rispondo alle vostre difficoltà. Noi non abbiamo dato alle vostre lettere interpetrazione più larga di quella che conveniva»!. Oli elementi, che ci dite esistere, ci sembrano piucché sufficienti al fatto. Nella vostra del 0 febbraio, in cui numerate tutte le merci disposte al contratto, dite: Basilicata prometteva rivoluzione; ed armati un duemila Se lo promette senza impulso, tanto più con un impulso. Questo solo basta; e se non basta, sarà segno evidente che le presenti condizioni non si vogliono, o non si possono mutare; finiremo la carriera dopo aver fatto il nostro dovere. Dite: un mese dippiù ci assicura la riuscita; e che noi (Mazzini ed io) che da tanti anni aspettiamo, non dovremmo spaventarci… Voi contate un mese; ma da che epoca? Se dal momento che vi ho inviala l'accettazione di Mastini, in tal caso è quasi decorso: se intendete dal momento che siete a posto con tutte le cose che chiedete; assicuratevi, pasceranno anni e non mesi. Siamo inoltre convinti, per lunga esperienza, che da qui ad uà mese saremo in non migliori condizioni, anzi peggiori. Ora le merci de magazzini Cìlabria e Cilento sono avariate; da qui ad uo mese lo saranno anche quelle di Basilicata. Bastano due o tre arresti; e ciò può avvenire da un momento all'altro per ruinare il tutto.

Noi dunque respingiamo ogn'indugio, non già per fretta intempestiva; ma per fermo convincimento che se indugieremo non faremo nulla. .

Dite, che tutti vogliono un negozio importante. Ma chi è che rende il negozio importante? Scendessero tutti nel mercato, ed il mercato diverrà importantissimo; ma se ciascheduno aspetta a venire che prima ci sia il concorso, non ci sarà mai nessuno. Se dieci generosi rimangono soli, quando l'opera e il luogo del contratto è benescelto, di chi la colpa? di quei dieci, o di quei tanti che rimangono spettatori indifferenti? A che valgono gli accordi? Basi non cangiano le disposizioni del cuore. Se tutti convengono di muovere, e nessuno vuol essere primo, tutti rimarranno fermi.

Se tutto quello che ha fatto e che fa il governo non basti per rendere ad ognuno insopportabile il presente, e per renderli pronti a seguire un generoso impulso, siate certi che tutti i concerti ed i mezzi del mondo non produrranno un tale effetto. Si dirà sempre che il fatto non è abbastanza grave; ma la vera cagione dell’inerzia è nel cuore. Auguriamoci che non sia cosi per I onore del nostro caro paese; e facciamo il nostro dovere.

Voi chiedete direzione, danaro, armi. Direzione come voi la intendete è impossibile. Mazzini non potrebbe indicarci nessuno nell’interno… Danaro, l’avrete e subito.... Armi, dite che son poche quelle che abbiamo. Ma se pieni ne fossero i magazzini, rimarrebbero sempre inutili. Finora il mezzo d'introdurle non si è trovato: verranno col vapore con più segretezza introdotte di fatto.

Ma il dilungarsi in ragionamenti è cosa affatto oziosa. Mazzini, voi, ed io facciamo senza indugii quello che possiamo. Mai no negozio è stato intrapreso con tanti mezzi, con tanta opportunità, con tanto cuore; e siate certo che per riuscire è d'uopo sagrificar tutto alla rapidità dell’azione. L'ottimo è nemico del buono: né si deve perdere un probabile presente per un securo avvenire che non verrà mai...

Profittiamo della opportunità. Non è la nostra una puerile impazienza, ma ci è forza sottostare alle circostanze che non posso numerarvi, e che c’impongono di troncare ogni indugio...»


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IX

E il Mazzini di maggiore autorità, e alla virtù di sua parola corrusca di lampi e di tenebre, rinterzava come segue, mai non smentendo la tenacità di sue dottrine; che dando impulso incessante a mille Sonati infelici» vogliono agitati i popoli a protesta, se non a vittoria; perché sangue di martiri e furori di despoti mantengan vìvo il fuoco sacro di libertà; finché colpo di fortuna o forza di eventi non sorga a ravvivarlo dalle ceneri, sì che abbruci i nemici e divampi vincitore. Il che sia detto non a giudizio incivile, ma a ricordo di fatti: imperocché il sagrifizio generoso se noi, tiepidi o fiacchi, non trovi disposti ad imitarlo, c’impone nondimanco il dovere di ammirare e onorarlo.

«Noi individui (egli scrive!) (16), qualunque sii la rosi ri attività, non possiamo creare la insurrezione ai un popolo: noi non possiamo che crearne l'occasione. O il popolo fa, e sia bene; o non fa, e noi non siamo mallevadori che davanti a Dio ed alla nostra coscienza. Unico debito che ci corre è quello di studiare coscienziosamente l'opportunità del momento: coglierlo ed offrire con uoa mossa audace l'iniziativa alla nazione, è il genio rivoluzionario.

Per me, per voi il momento è giunto. Non posso or darcene le ragioni per ciò che concerne la condizione estera; ma accettate la mia fede come riassunto di alte considerazioni. Quarto all'interno, il malcontento esiste; tra voi e per tutta l'Italia. Le vertenze, nulle in se, tra I' Austria e il Piemonte accrescono il fremito. Da quel fremito i moderati non trarranno cosa alcuna da per se; ma se altri opera, credete a me. seguiranno. D’altra parte il vostro lavoro, di che parlale, non è possibile; sarebbe scoperto. — Oggi Tonica cospirazione è l'azione.

Siamo adunque primi ad agire. La responsabilità è nostra; e sapremo, occorrendo, assumerla tutta....

La parte che io vi richiedo è questa: Fate quanto è in voi, e rapidamente, perché la provincia, sulla quale siamo intesi, possa fare eco abbastanza polente. Stringete nel punto ove siete le fila de generosi che sono con voi nell'aspettativa di un incidente propizio, di un fatto, senza dir quale. Stringeteli tanto da tenerli pronti a profittare del fermento, ché il fallo stesso fari nascerà negli spiriti per cacciarsi in azione. Maturate un punto obiettivo a quell'azione. Fatto ciò voi siete libero di ogni responsabilità In faccia al partito.

L'assumerò, vi ripeto, io tutta.

Quanto al dopo, alla direzione, non temete. Sarà provveduto. La mossa stessa della provincia darà i caratteri fondamentali; e del resto avrete istruzioni da me prima del momento sapremo... Addio; osate..... »

Ed al 13 di aprile li conforta di nuovi argomenti, che ei non sarebbe un fatto isolato il fatto del Napoletano:

«La vostra azione sarebbe, strettamente parlando, una iniziativa. È appunto un'iniziativa che noi cerchiamo per dar modo e ragione a fatti nel centro e nel nord; pei quali io mi porto mallevadore. Il problema che dovete porci non é dunque: abbiamo forse sufficienti anticipatamente organizzate a far fronte a' diversi nemici, e trionfar soli senza aiuto morale e materiale di altrui? Ma è: abbiamo elementi, che bastano, a giovarci per agire del fermento che l'azione proposta susciterebbe negli animi? può l'operazione compila determinare un moto serio nella provincia, che voi stesso indicaste? Può la bandiera nazionale mantenersi in alto per una settimana, tanto che le nuove giungano favorevoli altrove? Se si, debito vostro e nostro è fare; perché gli aiuti morali e materiali anche delle altre parti d’Italia non vi mancheranno: la nuova dei moti che seguirebbero il vostro ne accerterebbe lo sviluppo e il successo; e le nostre mosse si ordinerebbero possibilmente a convergere al sud, e rafforzarsi.

É l’operazione proposta, e che io accettai, possibile o no? Se mai noi fosse, affrettatevi di dichiararlo a Genova, e a me. Se lo è, come credo, affrettatevi a compiere le intelligenze necessarie,perché possa riuscire. Lasciate il resto a noi, alle conseguenze morali del fatto, ed alla vostra e nostra energia.

Fidate in me: le condizioni d’Italia e di Europa sono propizie alla iniziativa. Bisogna credere; e darla. Le lunghe e vaste organizzazioni non sono ora possibili; conducono inevitabilmente a scoverte. La missione di una minorità organizzata è quella di studiare il terreno, di calcolare se un fatto energico di audacia e di successo può suscitare a vita la maggioranza, e di crearlo. Le minorità non fanno le rivoluzioni; le provocano. La minorità che provocò le giornate di Milano, se avesse esatto prima della scintilla produttrice cifra di forze uguali alla impresa, non avrebbe tentato mai. Milano e la Lombardia dormivano in apparenza; sognavano tutto al più dimostrazioni legali, o semilegali, non lotta aperta e vittoria. Il nucleo di arditi che intimò la battaglia credette aver toccato il polso al paese; e calcolato una somma di vita che I iniziativa avrebbe chiamato in azione; tentò e vinse. Voi dovete fare lo stesso studio. Per quanto posso, io l’ho fatto. Credo il paese maturo; e debito dei patrioti, che hanno core ed affetto vero di patria, tentare.

Non vi è dunque che la impossibilità della operazione prima, se voi coscienziosamente la dichiaraste ora in opposizione alla proposta anteriore, che potrebbe mutare il mio disegno, e farmi pensare ad altro. Se l’operazione è possibile, affrettatevi di prendere gli ultimi concerti con Carlo; annunziatelo, perché io possa spedirvi un po' di danaro; giovate come meglio potete a preparare la nota provincia perché ingrossi la iniziativa; preparate gli animi con voci vaghe diffuse; e qualche scritto clandestino all'aspettazione di un fatto,senza tradire la direzione sulla quale deve compirsi; ordinatevi a un fatto, ove siete, quando gli animi siano in fermento; cercate assicurarvi parlo degli influenti dagli arresti, che il governo sulle prime nuove tenterà; e lasciateci fare.»

Infine sullo scorcio di aprile, mand andò a Carlo per ottomila franchi, promette istruzioni d’indirizzo pel momento supremo; e ripete: (17)

«Questo momento è fissato non lontano, e dovete preparatici. Il vostro moto non è isolalo. Si connette con altre combina rioni, che fallirebbero se s’indugiasse soverchiamente. D’altra parte il malcontento deve essere tale fra voi da far plausibilmente supporre, che un primo successo ponga gli animi in fermento di astone.

«Bisogna adunque tentare. Le insurrezioni non h fanno coll’oriuolo alla mano; né il loro successo dipende da un preparativo di più o di meno. È necessario studiare, se il terreno ha materia combustibile sufficiente; preparar gli animi; ed afferrar l’occasione, o suscitarla. Vi è un calcolo morale, che vale molti calcoli materia li. Questo calcolo mi fa debito di appiccar la scintilla; secondateci quanto potete; e Dio e I Italia ci aiuterà. »

Queste cose scrivea il Mazzini agli amici di Napoli; ma a Pisacane ricisamente facea noto che «bisognava fare in maggio» Ed io «conosco, dicea Carlo (18), le ragioni per cui assegna tale limite, e le approvo. Rimaneva a me la scelta del giorno; e questo deve sottostare ai periodici movimenti de' vapori; e non potrebbe essere che il dieci, o il 25: ho scelto quest’ultimo» Ed avvisando del termine predesignato quei di Napoli per le pratiche supreme, promette di accettare tutte le modificazioni, che al disegno e’ proporrebbero: ma

«In una sola cosa non accetteremo I vostri suggerimenti, (ei soggiunge), nell'indugio; giacché non è possibile più indugiare».

X

Ma cotesto indugio non rifinivano di richiederlo i corrispondenti di Napoli; ai quali l'ordito, come la tela di Penelope, veniva ogni giorno guasto e rifatto. Mulina, architettore del disegno di Ponza, ora è sostenuto in segreta; e manca chi ravviasse le pratiche in quell’isola; le fila nel Cilento e in quel di Sala spezzate per lo arresto dei fratelli Magnone e del prete Padula; altri arresti in Basilicata; benché «il restante lavoro è quivi in migliore ordine che altrove» (19). E parrebbe cosa, diceano, non solo da maraviglia, ma da beffa questa ostinata precipitanza d’intraprendere cotanto gravi cimenti senza accordi compiuti ai punti del duplice sbarco, senza un disegno generale, che assegnasse a ciascun ramo la sua parte di azione, senza un disegno particolare per la città di Napoli (20).

Ma il Mazzini, che era già venuto in Genova a sopravvegliare alla imminente messa in iscena del suo disegno, che incominciava dalla conquista del forte Diamante, come ebbe notizia di cotesto ancora irresoluto barcheggiamento, scrisse più coll’autorità di chi comanda, che colla dolcezza di chi consiglia, come pure è stile di lui, sensi di rampogna e di scongiuro insieme in queste parole:

19 maggio.

«Vi scrivo dall'Italia dove sono. L’urgenza delle circostanze mi vi ha chiamalo. Aspetto con animo ansio lettere vostre... Se chiederanno protrazione di poco, voi già sapete dall'amico comune che non può essere che di quindici giorni. Se per mala ventura la chiedeste prolungata o indefinita, sentite:

L’Italia intera ha doveri tremendi; ma più specialmente il Sud. Il Sud ha sul collo una li quelle tirannidi che degradano chi le sopporta. Il Sud, dagli assoldati in fuori che sono una cifra non considerevole e determinata, non ha truppe straniere; né vicinanza di nemico straniero. Il Sud è, strategicamente parlando, il punto donde I iniziativa italiana dovrebbe muovere. Il Sud è centro per la importanza di ogni suo moto; desso è seguito da tutta quanta l’Italia. Il Sud ha empito l’Europa de' suoi lamenti e delle sue minacce

Io v'invito ad osare per l’onore e per l’avvenire del paese. Vi invito ad osare per voi: le condizioni non consentono lunghe cospirazioni; voi ci perderete, indugiando sterilmente.

V’invito ad osare per noi: abbiamo preparali elementi a seguirvi; elementi voglienti ed impazienti. Gl’indugii li perderanno; oppure saremo costretti a far noi con danno forse della causa; da che mentre seguendo immediatamente la vostra chiamata deciderebbesi la quistione, iniziandola verrebbero sospetti di localismo...

Io vi chiedo assenso all'operazione che primo voi proponeste; azione nel vostro ponto, quando vi giunga nuove del nostro successo. E vi prometto in ricambio azione immediata dopo le nuove del primo fatto su punti vitali, diretta da me; e tale da assicurar vi incremento d’entusiasmo generale, e indipendenza assoluta di moli.

In nome d’Italia accettale. 0 adesso, o più mai per forse dieci anni. Per molti anni io non ho iniziato con voi. Se oggi lo fo è fratto di Convinzione profonda, che I ora è giunta, e che noi non cogliendola ci disonoriamo» .

A tanto fascio di pressare il Comitato, come barca a balìa della corrente, piegava; e nel modo che avea più celere spediva inviti e scongiuri ai suoi amici delle provincie, perché si tenessero pronti; ché l’ora si avvicinava, e i capi militari verrebbero: larga fiducia, che pure non sentiva, mostrando, come sempre, nell'esito; e come sempre d’indeterminate e vaghe confidenze i loro animi pascendo.

Ma in queste trepidazioni di pressanti apparecchi giugne sullo scorcio di maggio breve lettera di Pisacane, ohe dettava: Parto al 10 giugno: ritirate le armi.

Così la spedizione ordinata dapprima pel 25 di aprile, differita a un mese dipoi per impedimenti all’acquisto di una nave, è novellamente ritardata al 10 di giugno; allora quando avea qualche ragione di successo, e non avvenne; per accadere poscia definitivamente e infelicemente alla fine del mese stesso per colpa, che, ad essere giusto, non può ricadere sii coloro che all’interno apparecchiavano il terreno, come l’ulteriore svilupparsi de' fatti verrà mostrando.


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XI

TERZO PERIODO — ULTIMA FASE DELLA SPEDIZIONE E CATASTROFE

Intanto ecco il disegno. Gli sbarcati di Sapri avrebbero «risalito il vallo di Diano per raccogliere tutti «gl’insorti (21)» e i pronti ad insorgere, e quivi si riannoderebbero quei del Distretto di Lagonegro «dopo aver disarmate e disfatte le autorità politiche del luogo» Auletta, posta tra un nodo di monti a confine del Vallo di Diano, della Basilicata e della gran valle del Sele, era punto di convegno di cotestoro cogl’insorgenti del circondario di Potenza. I quali tutti procedendo innanzi avrebbero trovati raccolti i sollevati del Cilento e di Avellino ad Eboli; città, che aperta a forze di cavalleria e di artiglieria, come sarebbe acconcia a punto di riannodamento e di appoggio io non veggo. Da Auletta, o da Eboli «o attaccando o girando il nemico, direttamente a Napoli» ove popolani ed affigliati del Comitato erano pronti a un cimento. Punto sostanziale e precipuo del disegno era l’insorgimento della Basilicata; e quivi dovea recarsi a tempo opportuno Teodoro Pateras con Giuseppe Bosiello; accompagnandoli o seguendoli, un nome segnalato, Enrico Cosenz; pei quali in fin di maggio si erano di là ottenute carte di passo e guide sicure.

Il disegno, a tacer d’altro, complicatissimo, facea assegnamento a data certa, ed a vista, come lettera di cambio, su di una serie di fatti multiplici e gravissimi; quali i moti di circondarii e di provincie, eseguibili ed eseguiti colla sicurezza di una macchina, colla precisione di un orologio. Dimenticava, naturali ostacoli al moto come di macchine così degli uomini, lo attrito delle forze, l’inerzia della materia, l’indecisione di un primo passo, di tutti il gravissimo; alla determinazione del quale predefinire un termine certo è più che illusione, stoltizia.

Quei di Basilicata, cui si era detto seccamente e sbrigatamente «come avrete cenno di uno sbarco a qualche spiaggia avvenuto, insorgete, e concentratevi ad Auletta (22)» bene aveano viste le pratiche difficoltà del disegno; e rispondevano: (23).

«Il vostro piano è falso. Come? si move una provincia ex abrupto? Vecchi avvisi, e indeterminati alle altre provincie! Ignoto il punto iniziatore, il come, il quando: non assegnato da voi, o da noi il dì cerio, fatale, inalterabile; non concertato il primo nucleo, il primo avvenimento!.... Come mai andare ad Auletta? alle strade rotabili? uscire dai nostri centri, dai nostri monti, fortezze naturali? Il tempo dove sarebbe per correre colla chiesta celerità? I capi; i capi: un solo generale, un solo!... non più gli astratti segnali, e i molti isolati, e i misteri… »

Ma i misteri erano imposti a quei di Napoli. Pisacane che della discesa su Ponza facea la parte più rilevante e decisiva di tutta la impresa, reputava giustamente il segreto come condizione essenziale del successo di Ponza. «Tra due mali (egli scriveva (24)) arrivare inaspettato, o che la cosa si sappia, io, senza paragone, preferisco il primo male. Non dubito dirvi non fate nulla, «se mai temete il secondo male; se il segreto venisse a soffrirne» E ripetea al Fabrizii (25): «Io stimo con dizione principalissima il segreto, e la sorpresa. Solamente con questa condizione son pronto: se questo manca, e vi siano tutte le altre possibili e immaginabili, rifiuto» E questa idea lo perdè: non confidando negli accordi, ma nella sorpresa, come se fossero i popoli mucchio di polvere, e bastare una scintilla a sprigionarne lo scoppio, egli stimò non altro mancasse allo incendio che la favilla; e averla in sua mano. Bastava audacia per vincere; e ne avea per mille.


Or non badando che alla conquista degli uomini sull’isola, ed al disbarco al Cilento, tutto e minutamente ebbe ordinalo a questa prima parte che era della spedirion sua. La qual parte riuscì a capello, come egli ebbe disposto: ma non attese alla seconda parte; e questa mancò; e gli mancò di sotto ai piedi il terreno.

XII

Se del prospero successo sull'isola era indispensabile che nulla ne trapelasse il governo di Napoli; era il segreto non meno necessario a Genova; perocché alla impresa non si reputava favorevole, e non era, il governo Sardo. A procacciare una nave, che trasportasse da Genova i congiurati, tentato che ebbero colla cooperazione del Mazzini spedienti parecchi, un giorno finalmente venne a loro balìa una goletta: ma questa non guari dipoi fu forza di vendere; e la spedizione sfumò. Dopo altri vani tentativi, sia per difetto di pecunia, sia a non desiare sospetti pel noleggio della nave, si fermarono al partito più arrischiato, ma più economico, d’impadronirsene di forza. Caricare apertamente di armi e di armati il piroscafo era un dar la sveglia al governo Sardo e ai consoli stranieri; e vi provvidero mirabilmente. Una lettera di carico per armi, come usa in commercio, fu mostra di un negoziante di Napoli a coloro che le vendevano in Torino; il contratto fu conchiuso; e parve interesse del tutto commerciale; né destò sospetti. Quanto agli uomini, un mercatante di Tunisi, pregatone dal Fabrizii, commise a un capitano marittimo di Genova di raccogliere certo numero di marinai e venirne a Tunisi a governare una nave a non so che scalo di commercio (26). — E le cautele fruttarono.

XIII

Tutto adunque era apparecchiato a Genova; e il Mazzini, secondo promessa, mandò a quei di Napoli le supreme istruzioni (27), ovvero norme generalissime del civile indirizzo, che seguirebbe il moto di Napoli, coordinato ad un più generale movimento italiano. Nessun colore locale, nessuna «manifestazione esclusiva» dovea rimpicciolirlo o sviarlo.

«… Crociate contro lo straniero (egli dicea): il paese eserciterà dopo la sua sovranità. Questo ci basta. Nondimeno anche questo ha conseguente logiche, sulle quali sarà necessario d insistere. Il programma appunto perché non è intollerante, dev'essere gelosamente serbato. Il grido Murattista negala Nazione e la sovranità del paese: dev’essere punito il di dopo, come grido fazioso. E badate: — fazione senza radice, composta di timidi e di venali, ammutisce d’avanti a un esempio di rigore risolutamente dato.

L’idea di una rapida convocazione di Parlamento, che taluni di certo pongono innanti, sarebbe fatale alla Unità Nazionale, ed all’andamento della rivoluzione. Richiamare l'antico, che fu eletto per un moto locale, sarebbe un rinnegare sulle prime il carattere nazionale della insurrezione; e vi porrebbe in assoluta discordia coi moti, che noi capitaneremo al Nord ed al Centro. Convocare un nuovo è un negare la sovranità del paese, che deve intervenire colla elezione: il molo si localizzerebbe, e sarebbe perdute. La proposta di Parlamento darebbe inoltre campo a quante provincie d'Italia ebbero nel 48 e 49 assemblee a ripristinarle.

Diffondete adunque dappertutto le idee elementari di ogni molo nazionale. Due stadii: — stadio d'insurrezione, e stadio di rivoluzione. La rivoluzione non incomincia, se non quando la insurrezione ba trionfato sicuramente. Il primo stadio è eccezione; il secondo, normale. Il primo dev’essere amministralo da poteri eccezionali temporanei; l’altro da un' assemblea nazionale regolarmente eletta. Chi confonde i due stadii perde la rivoluzione.

Voi avete bisogno dell'Italia, conte l’Italia ba bisogno di voi. Localizzando, avreste tutte le forze nemiche convergenti presto o lardi contro di voi, senza gli aiuti altrui. La salute sta nello ingrandire la sfera del moto.

Aggiungete che dove il carattere nazionale del muto non fosse esplicito, mancherebbero non solamente gli aiuti interni, ma gli esterni. Il moto nazionale Italiano avrà seguaci rapidamente. L’Ungheria,dove abbiamo lavori potenti, e XX. non attendono che un primo fatto per scendere sul nostro terreno a procurarvi la diserzione de' ventimila Ungheresi che abbiamo in Italia. E sarà quello il segnale al muto di Ungheria. Le insurrezioni Italiana ed Ungarica ricominceranno, non ne dubitate, il 1848 in Europa. Tutto questo sfumerebbe ove il molo tradisse colore Napoletano. Nè ho bisogno neppure di accennare alle tristi conseguenze, che un colore locale produrrebbe sulla Sicilia.

Discorro su questo, insistendovi, perché lo credo il pericolo più grave, che minacci un moto vittorioso nella vostra città. Ed è probabilmente la via, che i moderati, affratellandosi al molo con intenzione di dominarlo, sceglierebbero. Fate adunque che la idea contraria circoli trai giovani combattenti alle barricate.

Un potere locale, che mantenga la regolarità dell'amministrazione; poi una giunta d'insurrezione composta di uomini imbevuti della idea nazionale.

Appena le insurrezioni nostre seguiranno (e si tratta di giorni), un governo d'insurrezione nazionale, composto al più di cinque uomini mandati dalle giunte a formarlo, dovrà prendere le redini e dirigere la bisogna. Quando la battaglia sarà verso le Alpi, cominceremo a parlare di assemblee.

Formate la Giunta d’insurrezione, senza grandi riguardi a vecchi nomi e vecchie riputazioni, di uomini che si saranno distinti nel moto stesso. Del resto seguite quanto più potete lo impulso e la direzione che vi verranno da Carlo. Migliore uomo non potreste avere ad ispiratore; principio radicatissimo; assenza da ambizione di potere, pericoloso nell'avvenire; concetto strategico della guerra d'insurrezione; energia nell’esecuzione. Troverete tutto in lui; non posso abbastanza raccomandarlo a voi ed ai vostri.

Non vi preoccupate soverchiamente di responsabilità morale o di difficoltà, che sorgeranno il dì dopo. Aiuteremo a scioglierle. Io ed altri saremo in azione visibile ore dopo avere avuto avviso di un vostro successo. Le norme del fare dovranno essere possibilmente comuni. E trarrete ispirazione dagli atti che noi faremo; come noi trarremo dai vostri. L'importante ora è di pensare al l'insurrezione… »


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XIV

Intanto gli animi dell’universale nel Reame agitava vago presentimento di aspri eventi. Sparsa da breve tempo in prima siccome notizia ridevole di gazzette o allucinazioni dell'umano spirito, poscia usufruttata dalle parti che congiuravano, diffusa e ingrandita ad arte, era nel minuto popolo del Napoletano universale espettazione, che, al giorno 13 di Giugno del 57, una cometa avrebbe urtato in questo povero globo: e gli animi di paure e di sospetti premeva l’ignoto. La polizia, sospettosa del gergo, appressando il giorno sibillino, facea arresti numerosi; e i sorvegliati cacciava dalla Città nelle provincie: tutti erano in attesa di eventi, che pochi sapeano quali si fossero.

E in attesa degli eventi il Comitato di Napoli facea ogni sua possa agli ultimi apparecchi. Avea per mezzo de' Magnone postato un uomo a Sapri (28); ospite primo e guida di quei che vi approdassero; ed altri altrove; affinché per essi venisse subita notizia del disbarco a Basilicata, a Salerno, ai Valli di Diano e di Policastro. Ad accentrare e dare impulso ai lavori era ito allora in Basilicata lo Albini; e questi avea subitamente inviato in Napoli messi, guide, e carte di passo pei capi militari, che verrebbero in quella a dirigervi il moto. Una lettera del dì 9 da Genova avvisava, che da tre giorni era in mare la barca di Rosolino Pilo con armi ed armati; che al 10 partirebbero gli uffiziali; che col prossimo piroscafo postale giungerebbe il Cosenz in Napoli; e al 13 la merce sbarcherebbe a Sapri.

XV

Ma al 13 di Giugno invece sbarca in Napoli di persona Carlo Pisacane (29). La spedizione è nuovamente ita in fumo!

Un colpo di vento, un mare fortunoso volle si alleggerisse di suo carico la barca peschereccia di Rosolino Pilo; e questi tornò a terra. Giova udire pertanto come lo stesso Pisacane ne scrivesse a Niccolò Fabbrizii; e quello che vide e comprese in Napoli; e i nuovi accordi avviati, e sue speranze. Come il dramma vien toccando alla catastrofe, ne stringe sempre più il nodo la fatalità.

Napoli 14 giugno 1837.

Mi recai qui temendo che la disgrazia sopravvenuta avesse prodotto una catastrofe; della quale io non dovea, né volea essere immune. Ma fortunatamente la disgrazia non ha prodotto altri danni, se non quelli della cosa stessa mancata.

Ho visto tutto; ho parlato colle cime, con coloro dai quali dipende l'azione; ho trovato una grande quantità di ottimi elementi; e più di quello che assicurava il coscienziosissimo Kilbourn. Manca, come egli dice, un centro interno; a cui questi elementi potcssero indissolubilmente annodarsi; ma non vi è mezzo per crearlo. Ed a questo male, che dipende da esuberanza di individualità, non è che un solo rimedio; che il nostro operosissimo amico si tenga strettamente unito con costoro; e si accrediti presso di loro coi mezzi, di cui noi dobbiamo fare ogni sforzo per fornirlo......

Ci abbiamo segnato una linea di condotta; abbiamo calcolato più o meno quello che potrà bisognare; il tempo necessario, il modo d’iniziare: ed ora è d’uopo che io e lui, prefiggendoci come scopo lo stabilito, pieghiamo, come si dovrà, alle circostanze.

Io sperava senza veruno impulso ottenere una immediata iniziativa: ma è stato impossibile.

Dalle quali ultime parole parrebbe egli sperasse, dalla subita venuta in mezzo ai congiurati di Napoli, di accenderli ad un subito moto secondo i prestabiliti disegni, senza altrimenti attendere alla impresa di Ponza. Ma parlò coi capi; lesse loro corrispondenze, seguite fila di loro lavori; poi vide subitamente radunati intorno a sé, la sera, molti capi di popolani in credito, Gambardella, Rizzo, Fittipaldi; e tutto e tutti invocavano necessità di ulteriori accordi, segnatamente con la parte moderata della Città; e, piucché altro, bisogno di armi, di pecunia, di direzione interna. Egli parve convinto che qualcosa restasse di fare ancora; e, supremo ostacolo, il difetto delle armi. Laonde disse al Fanelli: — che egli avrebbe, a Genova, tentato ogni sforzo per lasciare lui arbitro del tempo alla iniziativa; però se le condizioni del lavoro del Mazzini non permettessero questo, gli avrebbero dato almeno un mese un mese e mezzo di tempo, come indispensabile intervallo a provvedere alle supreme necessità, e agli accordi supremi. —

Intorno ai quali supremi provvedimenti egli, Carlo, scrisse allora di proprio pugno, e porse al Fanelli, nella casa Dragone, ove erano a convegno, le seguenti istruzioni; che mette bene di riferire.

14 giugno.

Procedimento energico del lavoro in Napoli, mediante gli aiuti pecuniarii che potranno ottenersi; recezione o compra di armi, scegliendo il mezzo più pronto.

Lavoro in Basilicata; sospingendola alla iniziativa al più presto con ispedirvi i capi se li dimandano. Continuare le pratiche coll'isola, nel modo il più sollecito possibile.

Coi inodorali evitare ogni discussione, procedendo sempre ad assimilarsi gli elementi di azione, ed evitando ogni discussione di principi!; opponendosi con ogni mezzo alle dimostrazioni. Cedere alle loro pretese di ammettere il grido di Costituzione (perché l’avvenire è nostro) nel solo caso, che da questo dipendesse il fare o il non fare immediato.

Contare sempre non come condizione indispensabile, ma come spinta, se necessaria, il progetto dell'isola, ovvero uno sbarco di una cinquantina di armati.

Un proclama pei cittadini e per la truppa; una specie di dichiarazione di principii da affiggersi sulle mura nel momento dell'azione.

Spedire nna barca nelle acque di Pantelleria con segnali convenuti; avvertirne Fabrizii; comunicargli i segnali, acciocché spedisse in quelle acque le armi.


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XVI

Il giorno 15 Giugno Carlo riparte da Napoli; e Fanelli e suoi amici studiano modo a spedir di Castellammare una barca nelle acque di Pantelleria, onde ritrarne celatamente quelle armi, che Fabrizii avrebbe fatto giungervi da Malta. Ma non era agevole e pronta cosa trovar la barca da ciò; né subitamente possibile l'avviare gli accordi necessari col Fabrizii: laonde al cadere del mese le armi, nonché sbarcate, non erano ancora per via. E in questa, mentre gli animi de' congiurati tranquillavano, procrastinala come era, pei recenti concerti, a miglior tempo la impresa, sopravviene cogli effetti del fulmine nella notte del 26 Giugno una lettera di Carlo Pisacane, che scritta da Genova il 23, dettava riciso in questa sentenza:

Trovai, come avevo previsto, o immediato monopolio (30) qui; e rifare il mancato. Il materiale (della barca avariata) era stato rimpiazzato; non gli cosi abbondante come il perduto; ma più di quello che io sperava. Gl’indugii impossibili, per ragioni troppo lunghe ed inutili a dirsi.

Io ho accettato; e perché accetto sempre quando trattasi di fare; e perché son convinto che questo è l'ultimo gioco che per ora si farà; e se mai non cercheremo trarne tutto il partito possibile, faremo tale un errore, che verri scontato con lunghissimo sonno.

E proseguirà; la partenza da Genova essere oramai ferma pel giovedì 25 di Giugno; lo sbarco a Sapri il 28; ma a maggior sicuranza de' congiurati di Napoli, il 26 sarebbe trasmesso per telegrafo a un negoziante di Napoli (31) avviso, che in parole a uso commercio avrebbe confermata la partenza, se prosperamente avvenuta. E premurava andasse incontanente il Pateras in Basilicata a dare impulso al movimento; ed a Sapri le solite guide.

Il dado era tratto: la fatalità sospinge volenti e ricusanti. Il Comitato fa quel che può: scrive e manda, il 27 e i due giorni dipoi, a' suoi consorti di Principato, di Basilicata e di Puglia, che il gran fatto è imminente; i capi militari partono; assecondano essi al fatto; e più specialmente al Magnone in Salerno, che rinviasse subitamente le guide, come già il 13, a Sapri. Ma il Magnone, che era a Salerno nelle carceri di Stato, non ebbe agio di scrivere che al 29; e al 29 era già tardi!

L’avviso confermativo dell'auspicata spedizione non fu dato da Genova che il 26; non giunse a Napoli che il 28! Il dì innanzi era partito Pateras per la Basilicata; e il dimani va Giuseppe Bosiello per raggiungerlo a quella volta: ma si abbatte in lui di ritorno per via; che era respinto di Salerno da' sospettosi provvedimenti di polizia, e dalla voce di moti, non si tosto iniziati, compressi.

Ecco intanto quel che era accaduto.

XVII

Mazzini avea detto: Ho fermo di tentare: vittoria o protesta (( (32)) ) . Non volle e non potè procrastinare altrimenti il suo disegno; che si ramificava a Genova, a Livorno e nel Napoletano. Pisacane, che avea il coraggio di tutte le iniziative, l’attrattiva di tutte le imprese romanzesche; egli che reputava non mancare allo incendio che una favilla, e potere sulle mobili fantasie meridionali un colpo di sorpresa più che on disegno a giorno prefisso, perché il disegno generale del Mazzini non fallisse per manco di aspettata cooperazione, cedé alle costui parole.

«Io son convinto (pensava egli allora; e scrivea il dì vegnente nel suo Testamento politico) che nel Sud la rivoluzione morale esiste; son convinto che un impulso gagliardo può sospingerli al moto; epperò il mio scopo, i miei sforzi sonosi rivolti a mandare a compimento una congiura, la quale dia un tale impulso. Giunto al luogo dello sbarco, che sarà Sapri, per me è la vittoria; — dovessi anche perire sul patibolo, lo individuo colla cooperazione di tanti generosi non posso che fare questo, e lo faccio; il resto dipende dal paese e non da me. Non ho che i miei affetti e la vita da sagrificare a tale scopo; e non dubito di farlo. »

Queste ed altre generose parole affidava egli alla carta la sera del 24 Giugno, come a suo politico testamento: nel quale ha bisogno, sarei per dire, di scagionarsi innanzi alla posterità dell’audacia di un tentativo, che una precipite foga rendeva ormai temerario. Parole, come i suoi fatti, alte e generose; che gli hanno a far perdonare i comunali sofismi di un socialismo, che della verità non ha fuor che il barbaglio; e quei concetti di un republicanistno stizzoso; i quali pur troppo! stringono il cuore a cui sia nome e coscienza d’italiano, a qualsivoglia fede appartenga (33).

Sul vespro nel 25 Giugno Carlo Pisacane, Giovanni Nicotera, e Battistino Falcone, napoletani, posero piede sul Cagliari, piroscafo della società Rubattino, che da Genova correva suoi periodici viaggi alle coste di Barberia. Lor tennero dietro alla spicciolata altri ventuno giovani; i quali tutti infingendosi quivi raccolti dal caso i propri e diversi interessi, si tennero sul cassero come l’uno all’altro sconosciuti.

Il di innanzi Rosolino Pilo con altri venti compagni e un carico di armi avea preso il mare sopra barca peschereccia. La quale, disposero, attenderebbe il Cagliari nelle acque di Portofino; e quivi trasbordati uomini ed armi, verrebbe a Genova a sicurare del primo lieto successo il Mazzini; perché egli avesse allora dato cenno di telegrafo a Napoli: è fatto qui da noi; fate voi costaggiù secondo i concerti —.

Sferrato il Cagliari da Genova e dopo due ore di cammino, Pisacane covre il capo di un rosso berretto tunisino: era il segnale; e i congiurati al grido d’Italia sorprendono la gente di bordo; li sostengono sottocoperta; e il comando della nave affidano a Giuseppe Daneri; che parve viaggiasse come commesso de’ traffichi di una casa Genovese; ma era nei concerti. Toccava intanto il piroscafo all’altezza di Portofino e non si scorge la barca di Pilo; ai segnali convenuti nessun riscontro; e dopo tre inutili ore di aspettazione e di tentativi smettono la speranza d’incontrarla. E per vero anche essa barca sconfortata tornava per Genova; poiché la fitta nebbia diè a tutti certezza che riuscissero vani i segnali; e nel ritorno messa a caccia dal battello sardo l’ lchnusa, abbandonò il carico alle acque; perché fosse data abilità di scampo all’equipaggio.

Allora in sul Cagliari fa tenuto consiglio, se procedere innanzi senza armi; o dar volta indietro. E nei dubbi consigli esaminando uno di essi it giornale di bordo, trovò che la nave avea imbarcate sette casse di schioppi da caccia, due di tromboni. — Il nodo era sciolto; i fatti sospingevono. La tolda diventa arsenale: mettono in sesto le armi; incartocciano la polvere; fondono il piombo in proiettili (34).

In quei consigli Carlo dettava quasi cartello di sfida al destino queste ricordevoli parole:

Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente, che avendo fotti congiurato, sprezzando le calunnie del volgo, forti della giustizia della causa e della gagliardia del nostro animo, ci dichiariamo «li inalatori della rivoluzione Italiana. Se il paese non risponderà al nostro appello, noi, senza maledirlo, sapremo morire da forti, seguendo la nobile falange de' martiri Italiani. Trovi altra nazione del mondo uomini, che come noi s’immolano alla sua libertà; ed allora solo potrà paragonarsi all'Italia, benché sino ad oggi anco raschiava. Sul vapore II Cagliari, alle ore nove e mezzo di sera del 28 giugno 1837 —.

E tutti, caldi di fede e di speranza, vi scrissero di solito il loro nome. E lutti, non guari dipoi,di quei che sopravvissero, caldi di fede e di coraggio al cospetto di giudici inquisitori, fecero a gara per riconoscere (( (35)) ), su quelle carte,i loro caratteri, testimoni di morte. I quali nomi non potrebbe dimenticarli la storia senza dichiararsi ingiusta dispensiera di gloria ai generosi; e sono quest'essi (36):

Carlo Pisacane, Giovanni Nicotera, Giovanbattista Falcone. Barbieri Luigi di Lerici, Gaetano Poggi di Lerici. Achille Ferrucci, Cesare Faridone, Poggi Felice di Lerici, Gagliani Giovanni di Lerici, Rolla Domenico, Cesare Cori di Ancona, Fuschini Federico, Lodo vico Negroni di Orvieto. Meluscè Francesco di Lerici marinaio,Sala Giovanni, Lorenzo Giunoni, Filippo Faiello, Giovanni Camillucci, Domenico Mazzoni di Ancona, Rusconi Pietro.


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XVIII

Alle quattro di sera del giorno 27 venne la nave nelle acque di Ponza. I consueti segnali chiamarono al bordo il pilota che accorse; e poco dipoi lo seguivano in barchetto, per dar pratica al legno, gli officiali di sanità. Ma una mano di congiurati era già in mare, per venirne all'isola quali passeggieri curiosi del luogo: e quelli prima invitarono, poscia di forza costrinsero pilota e ufficiali sopravvenuti a salire sul bordo; nascoste intanto a quei dell’isola, dai fianchi della nave, loro insidiose manovre. Allora Pisacane col grosso dei congiurati si precipita nelle preparale lance; e innanzi che il drappello de' finti passeggieri giungesse allo scalo consueto, egli è già in terra a un punto remoto della spiaggia presso un sentiero che traeva alla piazzetta del porto. Quivi spiegò bandiera d’Italia, affidolla a un mozzo del piroscafo, e s’indiressero al prossimo posto della Gran Guardia. Ove tratti e ricevuti alcuni colpi di fuoco, e mortovi nella breve mischia l’uffiziale del posto, disarmarono subitamente i soldati; e vennero prestamente a un secondo posto di guardia; ove i due cannoni della piazza inchiodarono.

Agli auspici de' prosperi eventi i relegati dell’isola trassero tumultuando a rannodarsi ai disbarcati. Ai quali restava di fare oramai la miglior parte dell’impresa; quella cioè di torre le armi al presidio; che numeroso, non forte, di 300 uomini, si era bravamente chiuso in un fortilizio; e facea mostra di offese. Mancava il tempo, non l’audacia, a tentarne l’assalto: laonde menato prigioniero sul legno il comandante dell'isola e sua famiglia, fu quivi condotto a firmare la resa della piazza. Sottoscrisse; ed ordinava all’uffiziale del presidio che cedesse. Ma questi tenne fermo: finché il vecchio comandante, tratto quivi sul dinanzi del forte, a virtù di sue calde preghiere, ed alla mostra di pericoli di sua vita minacciata, ottenne che parte delle armi raccolte nel forte fossero cedute. Alle dieci le armi e l’isola erano in potere de' congiurati.

Trecento ventitré de' relegati salirono a bordo; di altro numero non era capace la nave; e fu forza abbandonarli, dando voce che si tornerebbe a prenderli. Il Cantaro lasciò l’isola la notte del 27. E a bordo di esso Pisacane ordinò gli nomini in tre compagnie, nominò gli offiziali; diè le istruzioni e le armi; prese gli ultimi concerti.

XIX

Sul vespro del 28 il piroscafo fu nel golfo di Policastro alla vista di Sapri; oggi povera borgata surta dove già Scidro, o Sipro, città che fu della Magna Grecia, e che tornerà nel non lontano avvenire a Ila grandezza di città, quando un porto sarà scavato nelle quete sue piagge ai commerci di quelle, oggi affatto inapprodabili, coste del Tirreno. La rada, nappo di acque, se non ampio, tranquillo, s’ingolfa con purissima linea entro due colli; e di mezzo alla rada un seno ancora entro terra s’incurva, natural porto nell'avvenire, oggi come in tutta quanta la spiaggia disagevole approdo. Gli ultimi poggi dell'Appennino chiudono da presso I orizzonte di quella rada; dai quali dirompe un torrente, povero di acque, ricco di ghiaie, che di suoi lenti e secolari depositi ha creato il ripiano, ove tra lietissimi ulivi siede Sapri novella; e tra essi serpeggia. Accosto al torrente, prossima al mare, dal lato orientale sorge isolata una bianca casina. Quivi era il punto dello sbarco visto e scelto da mare dal capo della spedizione.

Quella casina apparteneva a tale un uomo, che ha legato alla nostra storia un nome infamato, e che riempie oggi il racconto,dimani forse la leggenda,de' popoli a Sapri circostanti. Il prete Peluso, vecchio calderaro, partigiano anzi sicario di casa Borbone, spirito bizzarro quanto feroce, cinico e manesco quanto inculto e grossiero, che del sacerdote altro non si ebbe che il crisma indelebile, e del brigante ebbe tutto, meno il capestro, vivea parte dell’anno in quelle mura tra cinici gusti e bizzarri; irrequieto ed inquieto per mala coscienza. Quivi, agli assassina assueto, macchinò nel 1848 l’assassinio di Costabile Carducci; e l’esegui poscia, di fredda mano, nella prossima Acquafredda. Quivi infermo, qualche anno dipoi, fu complito di visita da Re Ferdinando Borbone; che il raccomandando santamente a Nostra Donna di Novi, gli strinse la mano insanguinata; grazie di regio carnefice ad assassino da macchia. Quivi morì; legando l’ombra del nome al loco e alle mura; cui poscia il cieco flusso della rivoluzione volle punite, quasi di ossa e di polpe, in. memoria di chi le ebbe costrutte.

E quivi presso, sbarcando i nuovi argonauti al bui» di tarda sera è fama ricercassero anzitutto gli abitatori di quelle mura; perché la fiera nemesi della rivoluzione punisse il delitto, che la bieca giustizia sociale avea già coronato di premio. Fu fortuna, che i sospettosi abitatori ai primi tumulti sgombrassero; e fu tolta alla nemesi del popolo l’occasione di un delitto; che, non ché instaurare il diritto, aggravava l’antico; lavando sangue innocente con sangue innocente.

Su quella spiaggia, presso al casino bianco, invano levarono il grido Italia degli Italiani ; non fu chi rispose: e gl'Italiani per essa; come l’aspettata guida avrebbe dovuto a segnale, di riconoscimento. Con poco favorevoli auspici toccavano terra: non però scorati, occuparono il povero villaggio; e invano tentarono di svolgere nei suoi rari abitatori istinti generosi di patria o libertà. L'ombra del prete brigante agghiadava tutti i cuori: non uno si unì ad essi.

Procedettero, il mattino 29, da Sapri alla prossima Torraca. La stessa sorpresa, la stessa miserabile paura lira quei terrieri. Ma lessero un proclama sulla pubblica via (37); e il grido d’Italia trovò quivi un’eco fra quella gente, che prese almeno i colori d’Italia, fugace dimostrazione di povera gioia, che però nulla, neppure un compagno, fruttò agli arrivati.

Di là ascesero, stanchi di caldura e di sete, gli aridi appennini del Cilento per venirne nel Vallo di Diano ove speravano trovare eco gioconda e ripercossa; e numerosi amici già in armi a seguirli. La sera accamparono al Fortino', già ne’ tempi andati fortilizio tra le scabre mo n tagne di Basilicata e Principato; oggi, di sua origine non serbando che il nome, è osteria da carrettieri. Mossero di buon mattino per a Padula, sede di numerosi amici, come le segrete carte dettavano; e toccarono per via Casalnuovo, povero villaggio, che primo s’ incontra alla bocca orientale di quel fertile e popoloso bacino. Quivi un consiglio, che dissero di guerra,condannò e fece eseguire sentenza di sangue sopra uno dell'accolta di Ponza, reo di non so che furti o rapine; poscia la colonna mosse, lieta di rannate speranze non però di soccorsi, per la popolosa Padula.

XX

È Padula una grossa terra posta a ridosso dei colli, ultimi contrafforti dell’appennino; che dal Vallo di Agri in Basilicata separa quel vago bacino che è il Vallo di Diano. Il quale bacino fin dalla remota antichità guasto da pestiferi paduli e da acque stagnanti, (di che è memoria in lapide letterate, in cenni di antichi storici,e nei viventi nomi geografici (38) di quella regione) fu sanificato in parte dalle colmate del tempo; in parte da opere intraprese nel passato secolo e nel nostro; ed oggi è un fiorente e agiato paese. Padula, che dal nome ricorda le origini, è non ignota ai rari viaggiatori di queste contrade per lo immenso accumulo di edilìzi e di monumenti, che formano la Certosa di S. Lorenzo: la quale appiè del colle, ove siede il paese che le dà il nome, protende la simbolica graticola di sue fabriche infinite, già decadute e decadenti di loro grandezza; come decadde la feudale potestà e l’opulenza antica dello antico cenobio. La popolazione della terra, aitante della persona, vivace e robusta, ha in sé grande massa di lavorieri di scalpello e di cazzuola. Fra costoro massimamente correva il segreto vincolo della congiura; che già il prete Padula aveva intessuto; e che lo arresto di lai aveva scompigliato.

Quivi giunse la legione di Sapri sull’imbrunire del 30 Giugno. Ma «ivi pure non amici (dice il Venosta), non segni di rivoluzione, ma un paese atterrito. E come la voce della vendetta gridava all’armi, gli uomini o fuggivano spaventati o si nascondevano.... A Padula Pisacane trovava i fratelli Santelmo, Romano ed altri, tutti cospiratori: parlava loro; facea conoscere l'urgenza di armarsi. Io ho mantenuto la mia parola, dicea; son qui; e voi che faceste? Promisero pel dimani gente: ma non si presentò nessuno (39)».

E non era più il tempo. Le rivoluzioni s’iniziano in momenti di fede e di speranza vive; quando ancora il primo passo sulla via, che mena al trionfo o al patibolo, è sospinto e rischiarato da quella vaga aura e luce di entusiasmo, che tutto vede agevole, spianato, concorde. Gli animosi, caldi di entusiasmo e di fede, iniziano; e al primo momento non sono che un nucleo: e tale restano ancora al secondo; perocché i timidi e gl’inerti, maggioranza dei popoli, non escono da dubbiosi consigli, se non quando un primo successo paia coronar di vittoria quel pugno di bravi.

Ma già all’arrivo di Pisacane erano precorse pel Vallo di Diano e per le provincie di Principato e Basilicata le ordinanze del Governo; che a virtù del telegrafo e staffette chiamava gendarmi e milizie urbane a concentrarsi in Sala. E già i paesi di quel Vallo aveano inviato lor contingenti; e gli animi di tutti dubbiavano. La paura, ambiente deleterio, in cui erano sviluppati alla vita di cinquant'anni due generazioni di popoli; e le troppo vive e le troppo vere tradizioni di scempii e di iniquità governative a comprimere i moti a quando a quando iniziati nel prossimo Cilento, agghiadavano gli animi di tutti. La paura contenne i più, timidi e inerti; i pochi animosi restarono soli.

E al mattino del 1° luglio Pisacane postò i suoi uomini sulle colline a capo il caseggiato di Padula, nella direzione di Sala; aspettando di là gendarmeria e milizie urbane, che procedevano numerose. Le quali infatti occuparono un colle di contro,che dicono di S. Canione;e cominciò un fuoco di fucileria con poco, a vero dire, o punto di reciproco danno. Ma non era ardua cosa ai solvati, né lontano il momento di sbaragliare l'accozzaglia di militi non atti che a trar dietro a fuggitivi; quando un vivo suono di militari fanfare annunzia, che arriva alto rinforzo ai numerosi. E fu visto giù nel piano un battaglione di soldati (era il 7° cacciatori) manovrare per forma da coglierli in mezzo.

Arrivarono: e l'ineguale zuffa divenne macello. Cinquantatré degli sbarcati rimasero estinti in quella nuova fazione, dice un documento offiziale napoletano (40): ma degli estinti (attestano altri dell'avversa parte), trentacinque, già prigionieri, caddero fucilati per ordine del regio comandante. Colsero altri, ritraentisi a scampo per le vie di Padula, le palle de' terrazzani.

Un nucleo di circa novanta uomini, stretto intorno a Pisacane, si ritrae ricalcando le orme del di innanzi per gittarsi nel Cilento; sperando o trovare eco in quel paese, sempre tradizionalmente corrivo a moti popolari; o trovar modo di scampo. E scampo avrebbero senza dubbio trovato, almeno i capi; se di Padula per più breve e più sicuro tragitto fossero passati nella contigua Basilicata: dove se non era possibile ritentare la prova inauspicata, non sarebbero rimasti uccisi, a colpi di falci e di scuri, come lupi sviati dal bosco Stremati ad ogni passo di numero e di forze, digiuni dall’alba, e percossi da sì terribili accidenti, erravano sulla sera pei monti a ridosso di Buonabitacolo in cerca di guide e di pane. Un pastore si offerse ad essi: ma per macchie e burroni smarrirono il sentiero, che menava alla prossima Sanza; e tutta notte vagarono.


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XXI

Al mattino erano in vista di Sanza; povero paese, non noto un tempo che agli studiosi di archeologia osca e latina, oggi miseramente illustrato dai fatti del 2 luglio 1857. Procedevano alla volta del paese con a capo la bandiera tricolore e al grido d’Italia; quando odono un suono cupo e fondo di campane a stormo. Una turba esee di Sanza, una turba di sconcia plebe e famelica di ogni sesso ed età; che tratta in armi falci e ronche e altri arnesi da campi: guida e codazzo di altra plebe di urbane milizie; cui era a capo (e se ne fe’ poscia bello) uomo, che avea ancora di plebeo sentimenti, linguaggio, cupidigia, e tutto. Fiutando nell’aere il cadavere, accerchiarono torvi e minacciosi quel drappello di cinquanta giovani votati alla morte; i quali di serena fronte diceauo incontro a loro: siamo vostri fratelli, non vostri nemici; dateci il passo, se non aiuti e conforti. Ma alle parole di pace risposero urli di lupi, e colpi di fuoco; e fu forza difendersi e aprirsi il varco. Pochi ebbero la sorte di uscire incolumi e vivi dalla caccia furibonda: ventisette restarono morti su quell’arena da fiere, a dare trista fama alle genti della gente di Sanza; ventinove, prigionieri e di ferite sanguinosi. Tra questi Nicotera: tra quelli Falcone.

E Carlo Pisacane anche egli ingloriosamente e oscuramente cadeva sotto la ronca di miserabili terrieri, presso l’arido torrentello a piè dell’abitato di Sanza - Assassini, ei disse loro morendo (41), mi derubaste, or mi uccidete: menatemi alla giustizia, assassini!

Ed io non invocherò la postuma giustizia della storia; non leverò la voce contro questa degradata progenie di uomini, cui la secolare tirannide non rimase vivaci che gl’istinti del brigante! non dirò di quel capo, non di milizie ma di scherani, se non per condannare piuttosto quei generosi violenti, che tre anni dipoi a vendicar Pisacane furono ciecamente sospinti a fatti miserandi, che la storia non scusa, ma condanna. Terribile flusso e riflusso di civili rivolgimenti! Non ricorderò Prina massacrato a Milano, Brune a Grenoble da plebe non so se meno incivile della plebe di Sauza. Ma riderò piuttosto di quella, per vero, più generosa che ipocrita scuola di uomini politici; che insegna non altrimenti oramai governarsi a dovere se non sia per mezzo del popolo; e del popolo non guardando che l'abaco del numero, stima fondarsi eterno, su' calcoli di cotesta algebra, il regno della democrazia. A quella scalza e miserabile genìa di Sanza dissero che gli sbarcati di Sapri aveano le tasche pesanti di oro; e che, nemici del Re, ogni reo capo valeva, sul regio mercato, quant'oro pesasse. Prova e ricordo il teschio reciso di Costabile Carducci! Trassero a mercato di bottino e di premii: e chi si dava prigione trucidavano ciechi e rabbiosi; men per sete di sangue, che per fame di oro.

A questi facili eroi, a non so quanta altra masnada di mascalzoni lor pari piovvero poi, premii di tirannide tremante,ricompense di pensioni, di croci cavalleresche, e menzioni onorevoli; le quali se valessero a qualcosa, fuorché a corrompere, renderebbero immortale il regno dei despoti; come è loro infinita la facoltà di reclutare, a sì facile scotto, eserciti di fedeli e di benemerenti. E i ribelli di Sanza, passando dalle mani di plebaglia famelica a soldatesca sfrenata; da birri feroci a fiscali ringhiosi, e a giudici atterriti, furono trattati da tutti come cosa da rubello. Poscia Re Ferdinando fece grazia della vita ai sentenziati di morte: la storia, che è severa con lui, vuol tenergliene conto.

Anche il Cagliari fu catturato, e l'equipaggio tratto in carcere, dalle fregate napoletane, che a e accia di esso correvano le coste del Tirreno. Il gabinetto Napoletano dichiarò che la cattura fu fatta nelle acque territoriali del golfo di Policastro; però buona preda: e il governo Sardo si tacque. Ma come da pubblici documenti fu nota di poi la dichiarazione giudiziale de' capitani delle navi predatrici, che dando una mentita alla parola uffiziale del gabinetto, attestava operata la cattura del Cagliari in alto mare, dove la territoriale giurisdizione degli Stati finisce, il governo Sardo, levando quistioni internazionali reclamò, ed insistette; ed al Napoletano, mediatrice l’Inghilterra, fu forza di restituire la nave e le merci; e liberar l’equipaggio (42).

XXII

Il raffronto delle date e i fatti finora ignorati, che emergono dai documenti che si leggono in queste carte, mostrano le intrinseche ragioni, per le quali sconciò il moto, di cui a Ponza era il prologo, a Sapri il primissimo inizio. Fu voce di tradimenti, per preavvisi al governo di Napoli, per mancata fede di chi promise ausilii ed opere; e non mantenne. Consuete accuse, consueti sospetti elevati a dignità di fatti provati.

A noi non pare che il governo di Napoli ebbe avuta scienza della congiura (come per vero ebbe tenace, ma vago sospetto di prossimi moti); perché gli effetti della congiura non prevenne a Ponza, né a Sapri. Non si tosto fu noto il successo di Ponza, e fu l’indomani, il telegrafo di Gaeta mise in moto le forze governative, e i piroscafi a crociera ed a caccia: né a fare subitamente noto a Gaeta il successo di Ponza è d'uopo fantasticare di un relegato trafugatosi a darne l'avviso (43); quando, salpato il piroscafo dalle acque dell’isola la notte del 27, le autorità civili e militari erano li tanto più pronte a riferirne; quanto più molli a difendere. È naturale costume de’ partiti vinti chiamare in colpa tradimenti e traditori: come è vecchio costume dei vincitori calunniare i vinti.

Era nondimanco, senza dubbio, a notizia dell'autorità politica della Provincia, che i prigionieri di Stato nelle carceri di Salerno fossero in attesa di un qualche evento imminente; come forse uno sbarco di armati sulle coste Celentane. Un abiettisimo, già emissario di congiurati tra Montemurro e Padula e Salerno, vendé quel tanto che sapeva, quel dippiù che sospettava, all'Intendente Aiossa; dal quale dopo il fatto di Sapri fu visto eletto tra bassi uffizii di polizia a spiare più fortunato, e premere più feroce suoi antichi consorti della congiura. Dopo il 1860 egli è scomparso (44),

Se il moto di Pisacane avesse durato ancora alquanti giorni; se fosse egli venuto direttamente in Basilicata causando gli scontri per via; o se piuttosto al centro della congiura di Basilicata, che era a Montemurro, si fosse data notizia certa del luogo dello sbarco, del giorno e del disegno; e il disegno in qualche modo convenuto con essi che aveano a cooperarvi; la Basilicata senza dubbio rispondeva con suoi movimenti. Non avrebbe incontrato che infausto successo anche questo moto; è nostra opinione: ma alla impresa di lui sarebbe toccato, se non minore numero di vittime, meno miserabile fine. A quei di Basilicata le prime novelle dello sbarco giunsero per vie degli ufficiali governativi locali: cui concitati ordini imponevano concentramento di milizie urbane. Alle vaghe notizie lo Albini da Montemurro spedisce incontanente messi a cavallo pel Cilento e per Napoli; e pervengono i messi a Padula a tempo per essere tristi spettatori dei regii trionfi. E data volta, giunge a paro di essi altro messo da Napoli con lettera del Comitato del 27, che significava (come di sopra è fatto cenno) pronti i capi militari; il fatto imminente. Ma il fatto non era imminente; era, sventuratamente, avvenuto!

E non ostante il terribile rovescio fa chi arditissimo tentò ripigliare la lotta. Da parecchi capi organizzatori provinciali fu tenuto convegno in Corleto sul Sauro; e agitatissima discussione. Ma la maggiorità non stimò ragionevole cosa lo accrescere, senza alcuna speranza di successo, i sagrifizii ed il sangue; e scartando i disperati propositi di una minoranza audacissima,convenne in più agevole partito; che gli stessi di parte liberale, a fare abilità di scampo ai dispersi e raminghi avanzi della banda di Sapri, studiassero, nonché ritrarsi, d’immettersi alle esplorazioni, che il governo ad opposto intento ordinava.

Cosi fu fatto; ma con nessun frutto; e nessuna dignità.

XXIII

La spiegazione del tristo evento è, ripetiamo, nelle date dei fatti e nei documenti. Le cause del tristo evento furono, a nostro giudizio, tre sole e precipue. L’essere questa spedizione di Pisacane attaccata, anzi subordinata, per necessità di pecunia, ai disegni del Mazzini nella media ed alta Italia. Lo avere, in grazia di siffatta dipendenza, nonché dimentico, respinto, con foga di sofismi ostinata, il troppo evidente e logico concetto, che la iniziativa di fuori debbe dipendere ed accordarsi agli apparecchi interni; e non il contrario. Per ultimo la necessità del segreto per la preliminare impresa di Ponza; troppo bene, troppo insolitamente mantenuto coi capi dei moti delle provincie; i quali, ora autòmati or Dii, doveano or subire, or divinare i disegni della congiura; e a vista di ordine eseguirli.

A questi fatti aggiungiamone un altro; ed è un concetto generoso, quanto falso, che infisso nella mente di Carlo torna spesso in multiplici forme nelle scritture di lui; ed era questo; che meglio de' concerti valesse la sorpresa ad impellere abbrivo a moti popolari. Anche al Fabrizii, peritante, scrivea: «Che accordi nell’isola siano indispensabili, sì: ma nell’interno sono disposti, o non sono ad insurrezione? Se sono; basta un solo che lo sappia, e che ne avvisi un nucleo pronto a secondarci. Se non lo sono, bisogna rinunziarci all’atto. Credete voi che i preparativi facciano cambiare l'opinione di quella gente? Se cedono essi ad una lettera, ad un invito; cederanno sicuramente all'eloquenza dell'atto».

Spesso un argomento, che zoppica in logica, può versar lagrime o sangue nella realità dei fatti!

XXIV

Del resto Marsala riabilita Sapri, come Pisacane precorse Garibaldi. I cui volontarii piansero, toccando vincitori la spiaggia di Sapri e la terra di Sanza, che Pisacane ebbe cosparsa di sangue. E alcuni di essi, traviati da troppo fresche memorie cruente, corsero a vendicarlo con fatti, che di popolo generoso non furono; sì vero di plebe tratta ad immatura libertà. Ma altri di essi seppero più degnamente vendicarlo, degnamente onorandolo. E questi vollero che un monumento a lui ed ai suoi prodi sarebbe rizzato su quella strada corrente pel Vallo di Diano a un punto, che guardasse Sanza ove cadde, Padula ove pugnò. Ebbe plausi, non effetto fino ad oggi il generoso pensiero; ché venuto a mano di partigiani, parve ai più men testimonio di onoranza ai morti per la patria, che arma di parte: e delle parti è legge e costume lo isolarsi e restar sole. Rimane obbligo intanto al municipio di Sanza di lavare l'onta di plebe ignorante mercé atti di popolo civile: e sentire cotesto obbligo è già prova di civiltà.

«Se mai (scrivea pei posteri Carlo Pisacane il dì innanzi di sua arrischiata spedizione) se mai nessun bete ne frutterà all'Italia il nostro sagrifizio, sarà sempre una gloria trovar gente che volenterosa s'immola al suo avvenire» E questa ferma, tenace, immutabile volontà di correre al sacrifizio, come a dovere delle grandi anime; questo prepotente bisogno di operare anche solo, anche contro ai più degli uomini, e ai fati, perché l’azione è un dovere, la inerzia una colpa; questo eroico proposito che a combattere i nemici ebbe a cominciare dal combattere gli amici; e mai non si affranse, non sostò mai nella ingrata lotta; questo attuoso concetto che l'amore di patria, come ogni virtù vera, è operativo sempre, dovunque, comunque, fino al martirio! se no, è ipocrisia di virtù; fanno di Carlo Pisacane una grande figura storica pei contemporanei; un eroe di poema pei posteri; un nome degno di simpatia, di ammirazione e di onoranza per tutti.

FINE.


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NOTE

1 Non paia esagerazione. La crociata dell'alto clero contro il basso, sommettendo questo delle Chiese ricettizie ai piani nume rati, fu promossa e approvata dal sistema governativo del tempo di cui parliamo. I diseredati correvano ai grandi centri di popolazione a campar la vita: la polizia li respingea in massa; e poi, stanca dell'inutile lotta, vietò recisamente che al prete si rilasciasse carta di passo.

2 Il Rescritto 19 dicembre 888, per chi noi sappia, dice così: «S. M. si è degnata ordinare, che fino a nuova sua sovrana determinazione i tribunali si astengano di pronunziare sulla eccezione di prescrizione che si opponga Mie dimando della Chiesa». Oh sovrana degnazione!

3 Altri nomi sono indicati dall’onorevole G. Lazzaro nelle importanti Memorie della Rivoluzione dell'Italia Meridionale del 1860, che vien egli pubblicando nel Progresso, Rassegna periodica di Napoli per cura di L. Aponte. Cap. IX. maggio 1865.

4 Parole scolpite nella medaglia coniata nel 1837 al Milano e al Bentivegna.

5 In una lettera del 29 decembre 4856, indiritta al Comitato di Napoli da un organizzatore di sezione di Basilicata, il signor 6. B. M. sono queste parole: «Intanto si può assicurare, che un duemila uomini di questa provincia sono prontissimi a insorgere. » Sicché se credete con questo numero dar principio con successo «all'azione al di qua del Faro, a tutto riscontro vi preghiamo inviarci gli Uffiziali per capitanare; siccome gli uomini pel governo civile...»

6 Lettera di C. Pisacane al Comitato di Napoli del 28 aprile 1857.

7 Da lettera di Pisacane al Comitato di Napoli del 38 aprile 1857.

8 Lederà al Comitato di Napoli del 16 febbraio.

9 Parola convenzionale, che significa insurrezione.

10 Genova.

11 Lettera del 10 febbraio.

12 In lettera di Pisacane al C. N. del 5 febbraio, Kilbourn il nome di guerra del giovine capo del Comitato di Napoli.

13 Con lettera del 9 febbraio 57.

14 Leti, di Pisacane al C. N. del 24 marzo.

15 Lettera del 2 aprile.

16 Lettera al Comit. Napoli del 7 aprile.

17 Lettera del VI aprile riferita in altra di Pisacane del t maggio al Comit. Napoli.

18 Lettera del 4 maggio.

19 Lettera del C. N. a Pisacane del 14 maggio.

20 Lettera del 14 maggio a Pisacane, e del 28 maggio a Fabrizii.

21 Da documento trovato tra le carte di Pisacane, cadavere, e pubblicato nell' Atto di accusa pei fatti di Fonia e di Sapri, a p. 37, della stampa di Salerno 1857.

22 Lettera del C. N. a G. Albini del 33 maggio.

23 Lettera del 39 maggio di Giacinto Albini al C. N.

24 Lettera 31 marzo al C. N.

25 Lettera 21 aprile.

26 Lettera di Pisacane a Fabrizii del 21 aprile.

27 Lettera del 21 maggio al C. N.

28 Lettera del Comitato a Michele Magnone del 7 giugno; e di Magnone al Comitato dell'8,da Salerno.

29 Come vede il lettore, noi seguiamo passo a passo documenti autentici, spiegatici e confermati da testimonianze di chi fu pure una parte degli avvenimenti, che raccontiamo. Seguire il libro del sig. Venosta Carlo Pisacane e Compagni, martiri a Sanza. Milano 1863 pieno com'è di asserzioni o inesatte o non vere, sarebbe ingiurioso e all'onore delle persone, e alla verità della storia.

30 Cio: insurrezione, parola convenzionale.

31 A un Demata, negoziante di cappelli.

32 In lettera di Pisacane al C. N. del 13 aprile.

33 Questo notabile documento, che è il suo Testamento politico, già pubblicato sul Débats del luglio 1857, è riferito per intero dal Venosta nel libro sopracitato.

34 Seguo in questa parte del racconto i mordi di ano della spedizione, che li scrisse pel libro del sig. Venosta. Dubito nondimeno non queste armi e munizioni fossero quelle stesse dei congiurati, di cui è cenno di sopra, oltre alle imbarcate da Pilo. Il governo napoletano ritenne nelle intelligenze della congiura anche il capitano del Cagliari, Antonio Sitkia.

35 Questo attesta il Procuratore Generale del Re appo la Gran Corte Criminale di Salerno nell’Alto di accusa a pag. 11.

36 Pel testo della dichiarazione e pei nomi seguo il documento autentico pubblicato nell'Ano di accusa sopracitato. Nel testo dato dal Venosta è qualche lievissima variante di parole: però, oltre ai venti, aggiunge altri cinque nomi, e sono: Amilcare Bononri di Milano, Carlo Rota di Monta, Domenico Porro di Genova, Luigi Conti di Faenza, Giuseppe Santandrea di Bologna.

37 È riferito nell' Alto di accusa... a pag. 87.

38 Padula, Montesano, paesi moderni; Buonoabitacolo, antico nome di paese che ancora esiste.

39 Venosta, Pisacane e compagni, martiri a Sanza. Milano 1863, pag. 114.

40 Nell’atto di accusa sopracitato.

41 Venosta ibid. p. 193.

42 Nel 1860 il General Garibaldi, Dittatore, ordinò si pagassero dalla Tesoreria Napoletana 150,000 franchi alla società Rubattino per indennità della «illegale cattura» del Cagliari. Il Decreto è del 5 ottobre da Caserta, ma non è contrasegnato da nessuno dei suoi ministri .

43 Cosi il Venosta; e scrive, benché erratamente, un nome, cui anche prima del libro di lui altri ha udito a ripetere; e forse vi prestò fede se non ebbe conosciuto di persona l’egregio giovane. Alle amarezze del quale non bastò la carcere e la galera settenne; e vi si aggiunsero, saette de' Parti, le calunnie degli amici!

44 Non merita che la storia ne ricordi il nome. Egli era di Sala.




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Pisacane e la spedizione di Sapri (1857) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito
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1858 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. II HTML ODT PDF
1860 Carlo Pisacane Saggi storici politici militari sull'Italia Vol. III HTML ODT PDF
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La Ragione - foglio ebdomadario - diretto da Ausonio Franchi

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Difesa del Cagliari presso la Commissione delle Prede e de' Naufragi

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Domenico Ventimiglia - La quistione del Cagliari e la stampa piemontese

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ANNUAIRE DES DEUX MONDES – Histoire générale des divers états

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1858

LA BILANCIA - Napoli e Piemonte

1858

Documenti ufficiali della corrispondenza di S. M. Siciliana con S. M. Britannica

1858

Esame ed esposizione de' pareri de' Consiglieri della corona inglese sullaquestione del Cagliari

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Ferdinando Starace - Esame critico della difesa del Cagliari

1858

Sulla legalità della cattura del Cagliari - Risposta dell'avvocato FerdinandoStarace al signor Roberto Phillimore

1858

The Jurist - May 1, 1858 - The case of the Cagliari

1858

Ricordi su Carlo Pisacane per Giuseppe Mazzini

1858

CARLO PISACANE - Saggi storici politici militari sull'Italia

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Raccolta dei trattati e delle convenzioni commerciali in vigore tra l'Italia egli stati stranieri

1863

Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

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Giacomo Racioppi - La spedizione di Carlo Pisacane a Sapri con documenti inediti

1864

NICOLA FABRIZJ - La spedizione di Sapri e il comitato di Napoli (relazione a Garibaldi)

1866

Giuseppe Castiglione - Martirio e Libert࠭ Racconti storici di un parroco dicampagna (XXXVIII-XL)

1868

Vincenzo De Leo - Un episodio sullo sbarco di Carlo Pisacane in Ponza

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Leopoldo Perez De Vera - La Repubblica - Venti dialoghi politico-popolari

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BELVIGLIERI - Storia d'Italia dal 1814 al 1866 - CAP. XXVII

1873

Atti del ParlamentoItaliano - Sessionedel 1871-72

1876

Felice Venosta - Carlo Pisacane e Giovanni Nicotera o la Spedizione Sapri

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Gazzetta d'Italia n.307 - Autobiografia di Giovanni Nicotera

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F. Palleschi - Giovanni Nicotera e i fatti Sapri - Risposta alla Gazzettad'Italia

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L. D. Foschini - Processo Nicotera-Gazzetta d'Italia

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Gaetano Fischetti - Cenno storico della invasione dei liberali in Sapri del 1857

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Luigi de Monte - Cronaca del comitato segreto di Napoli su la spedizione di Sapri

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PAOLUCCI ROSOLINO PILO memorie e documenti archivio storico siciliano

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Rivista di Roma lettere inedite Pisacane Mazzini spedizione Sapri

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RISORGIMENTO ITALIANO - Nuovi Documenti sulla spedizione di Sapri

1919

ANGIOLINI-CIACCHI - Socialismo e socialisti in Italia - Carlo Pisacane

1923

MICHELE ROSI - L'Italia odierna (Capitolo 2)

1927

NELLO ROSSELLI Carlo Pisacane nel risorgimento italiano

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - CODIGNOLA Rubattino

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano


























Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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