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«Il Governo ci regala il vento dell’Africa» dalla illusione garibaldina a Lu Setti-e-menzu (Zenone di Elea - Dic. 2021)

IL SOLLEVAMENTO 

DELLA PLEBE DI PALERMOE DEL CIRCONDARIO

nel settembre 1866

per

VINCENZO MAGGIORANI

DI ROMA

Con qualche cenno sulle sue cause e sui rimedi che varrebbero:

a combattere i disordini sociali che lo produssero

Palermo

STAMPERIA MILITARE

1866

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PARTE PRIMA

Falso liberatis vocabulum obtendi 

ab iis qui privatum degeneris 

in publicum exiti osi nihil soci nisi 

per discordias habcant.

Tacito— lib. II.

INTRODUZIONE E CAUSE

Con l’animo affranto dal dolore ed umiliato nel mio più caldo sentimento, che è l’onore d'Italia, mi accingo a narrare i fatti sanguinosi e vituperevoli avvenuti nella nefanda settimana di Palermo.

Un malinteso amor patrio consiglierebbe a tacere le nostre vergogne, come se il mondo avesse bisogno di noi per conoscerle. Io non concorro in questa opinione e l’amor patrio mi spinge invece a scoprire le piaghe del paese, per curarle, ed impedirne la cancrena, che nel caso nostro produrrebbe la dissoluzione sociale..

Intendo di parlare senza ambagi, né temo d’incontrar l’odio di questa provincia che amo e vorrei veder felice come amo ogni zolla di terra Italiana.

Se volessi evitare la reazione delle suscettività che urterò, forse, di questi miei connazionali, farei opera di traditore poiché è tempo che cessi il sistema di adulazione usato contro questa provincia e bisogna svelare la verità per provocare efficaci rimedi ai tanti mali che affliggono la sventurata Sicilia.

Protesto intanto fin dal principio che sarò franco nei giudizi e leale nell’estimazione dei fatti, e che se parlerò con sicurezza, potrò farlo, dappoiché sono circa tre anni che dimoro a Palermo dové non ho avuto altra occupazione che quella istintiva di studiare il paese.

Gli onesti e liberali badino a non generalizzare troppo le mie parole poiché Tesser palermitani non impone loro l’obbligo di rendersi solidali della turpitudine dei molti loro cattivi concittadini. — Abbiamo una nazionalità di cui possiamo andar orgogliosi per non averci a turbare troppo dei torti di campanile, quando specialmente risalgono a cause da noi indipendenti.

Dirò dunque ciò che penso per obbedire all'impulso del mio cuore, che non si compiace dei mali, ma desidera rimedi radicali ed efficaci, perché mai più si rinnovino; e userò una severità eguale all'affezione che porto a questa terra, stando nella quale intendo di essere in casa mia.

Son certo d’altronde che una numerosa schiera di eletti cittadini farà eco alle mie parole non solo, ma mi sarà grata dell'opera odiosa che intraprendo per il bene del loro paese natio.

L’unione dei buoni e il sagrificio completo delle suscettività municipali, che sono tanta. profonde negl’isolani, varranno ad estirpare la mala pianta che alligna in questa bella provincia Italiana, purché riconosciuto il male, e confessato con patriottico intendimento si proceda da tutti ad applicare i rimedi, che si riassumono in una parola. — Istruzione del Popolo.

li dritto e il dovere poi di parlare dei casi di Palermo me lo dà anche l’essere romano; e questione romana v'è dovunque si agita il clero e reagisce contro il principio di Unità per il quale Roma deve essere degli Italiani.

Chi ben studierà il movimento di Palermo, del 16 settembre dovrà persuadersi che il carattere della sommossa non è politico, ma eminentemente sociale, ed è pure una sommossa in senso inverso della rivoluzione francese dell'89 in un paese dové non penetrò neppure una scintilla di quella grande rivoluzione delle idee.

Io la chiamerò crisi quantunque non sia che un conato di crisi; ma fu tale che dovranno gli uomini politici d’Italia persuadersi che esiste una quistione siciliana irresoluta e molto scabrosa, da meritare tutto lo studio e l’attenzione della camera per risolverla.

Il movente politico non può negarsi che vi sia stato, ma sparisce e si confonde nel turbine della catastrofe senza dar più segni di vita propria, assorbito nella crisi senza che abbia potuto dominarla anzi neppure potuto tentare di dominarla. — I partiti furono spaventati. — I cattivi di ogni partito profittarono dell'anarchia e l’unico principio che invase tutti quelli che presero parte attiva fu il rubare; l'unica passione, la vendetta; v'era poi chi ne godeva e ajutava nell'idea che potrebbe la ribellione esser uno scalino verso la sognata autonomia.

Cessato il parossismo rimane però sempre la malattia sociale e la causa morbosa, che é il movente politico, cioè la reazione, che non solo qui ma in tutta Italia tenta di suscitare la guerra civile.

La subdola corte di Roma si è sempre valsa di quest’arma a' danni di Italia e da sei anni lavora indefessamente sulle masse per preparare la crisi che prematuramente si é sviluppata a Palermo e tenterà di accenderla quanto prima non solo nella penisola ma dovunque sono cattolici.

Il partito liberale dorme intanto sui suoi allori e non si accorge dell’abbisso che si apre sotto i suoi piedi e che egli stesso dà mano per scavarlo con le sue discordie fomentate dai nemici del paese. — Si transige col clero e con Roma, si ride del brigantaggio, si confida troppo nella vitalità del nuovo regno e intanto si scherza sulle misure eccezionali inaugurate a Palermo che ha data l’iniziativa d’un movimento reazionario con sei giorni di guerra civile!

É tempo per Dio di svegliarsi e proseguire la rivoluzione abusando meno della parola e operando più coi fatti!

Queste convinzioni e non altro mi hanno indotto a scrivere sui fatti di Palermo e senza riguardi, intendendo cosi di far opera di buon cittadino e di vero patriotta.

In Sicilia é pervertito il senso della parola rivoluzione, fino al punto che molti non esitano a dare questo titolo agli ultimi fatti di rovine, saccheggi, ed assassini che non hanno riscontro nella storia moderna, e fatti per solo scopo di saccheggiare e assassinare in odio alla proprietà e per brutale fanatismo religioso.

Quest’isola uscirà dallo stato medioevale in cui si trova solo quando sarà sorta una generazione, nella quale abbondi tanto il ceto progressista da esser capace di comprendere ed operare gradatamente una vera rivoluzione sociale in quest'ultima acropoli del clero e della reazione, mascherala sotto le più ingannevoli forme.

II governo ha prodigate molte cure a questa isola più che alle altre provincie Italiane ((1)); ma furono cure intelligenti?

Io credo di no quantunque ammetta che il governar la Sicilia sia cosa assai difficile e specialmente con leggi costituzionali. Che ciò sia vero la voce pubblica stessa ne dà una prova dacché ogni qualvolta accade un fatto deplorevole si riaffaccia alla mente di tutti la memoria di Maniscalco e si ripete— Maniscalco era riuscito a darci la sicurezza pubblica. — Tutti sanno con quali leggi operasse quel piccolo Muravieff, eppure tutti vedono come si gridi unanimemente ad ogni più piccolo arbitrio delle autorità in Sicilia per fatti riguardanti la sicurezza pubblica!

Lo aver troncato a metà il cammino della ultima rivoluzione italiana prima che avesse distrutto fin le memorie del passato; anzi l’essere stata una rivoluzione di nome più che di fatto, senza neppur l’ombra di crisi sociale, e l’aver tenuta una politica di conciliazione coi Papato e quindi col clero e la reazione, sono la causa per la quale questa estrema provincia d’Italia ha profittato meno delle altre del movimento unitario e rinnovatore al quale non era preparata.

Da molto tempo tutti i partiti, anche i più avversi, tendono all’unità ma sempre son vagheggiale delle restrizioni a questo principio che risentono di autonomismo; e non è compiuta che in minima parte per le masse di questa provincia occidentale dell'Isola, la fusione col resto d’Italia.

Abbiamo veduto un popolo di oltre 20000 armati che faceva segno alle sue barbare persecuzioni gl'Italiani cioè a dire gl'Italiani del continente, ed ora reo di delitto punito con l’uccisione chi osasse in quei giorni nominar Italia senon fosse per bestemmiarla. — All’Ospedale militare son giunti a dividere i soldati siciliani dai continentali con l’idea fissa di massacrare questi ultimi, e se. non eseguirono questo barbaro proggetto non fu certo per loro buona volontà. Cosi ogni volta che hanno preso prigionieri hanno distinto risolano dal continentale e qualche volta uccisi questi ultimi.

Entrate il sabato le truppe che con il loro coraggio ed esemplare moderazione avevano salvato la vita e le sostanze di migliaia di cittadini e percorrendo il concerto la via Toledo, non vidi intorno a me che mascalzoni i quali lasciato il fucile correvano ad applaudire le truppe con evviva al Re ed all’Esercito. Così in tutte le strade la sola infima plebe che poco prima delirava fra le gioje dell’anarchia repubblicana festeggiava l’ingresso delle truppe. — Non tutte le case del Toledo furono imbandierato, poche nel rimanente della città e il solo casino de' nobili fu illuminato la sera di domenica e due o tre case. Non sembrava Palermo liberala, ma Palermo conquistata; e la guarnigione è sempre ritenuta come un corpo di occupazione.

Meno gli applausi della rea plebe e le bandiere tricolori poco dissimile fu l’accoglienza fatta in Roma quando nel 1849 entrò per la breccia lo straniero ed oppressore esercito Francese!

Tanto grande era stata la forza spiegata dall'immenso numero di ladri assassini e reazionari! insorgenti, e tali gli orrori commessi, che la parte onesta di Palermo rimase atterrita non solo, ma un naturale e intimo sentimento la consigliò a non compromettersi, pensando al caso che fra un anno o due potesse trionfar di nuovo l’anarchia.

E qui sia detto fra parentesi che nessuno ha né può avere molta fiducia in un governo il quale a tutti i suoi atti imprime un carattere di debolezza e incertezza, con la rara arte di scontentare tutti i partiti. Il parlamento inglese ha sospeso l'habeas corpus all'Irlanda per ribellione j politica; il governo Italiano per timore dell'opposizione parlamentare concede quasi l’habeas corpus ad un partito di assassini e ladri insorti, conciliando stranamente questa guarentigia con lo stato d’assedio e i Tribunali militari. Cosi s’inimica tutti, non ispira fiducia ai buoni, non otterrà lo scopo di stabilire la tranquillità, e darà un’arma ai nemici del paese che non sdegnano di far causa comune con la bordaglia del 16 settembre.

Le condizioni morali della provincia di Palermo sono sotto tutti gli aspetti eccezionali. Il carattere d’Isolano è marcatissimo e nella plebe non solo ma anche nelle altre classi. I siciliani non educati a seri s'udii, o che non abbiano viaggiato, non sanno nascondere l’alta idea che si sono formati della loro isola fino a compatire chi ebbe la disgrazia di nascere al di là del mare che li circonda. Per essi la Sicilia è un Edeu, e al di là del Faro la Siberia. — Traggono ragione di inorgoglire per le più volgari cose e per essi chi si lagna di Palermo parla per invidia poiché trova qui una civiltà, una coltura d’intelligenza, uno spirito di progresso, una perfezione nella vita materiale e civile che li fa arrossire dei loro paesi.

Queste idee ritardano il progresso e lo sviluppo materiale e morale perché tendono a mantenere lo stato quo.

Né manca chi dopo il 22 settembre parli sullo stesso tuono e specialmente le donne. — Molti pur deplorando l’accaduto li ho intesi dire con orgoglio: «Oh almeno il governo si persuaderà che con i siciliani non c’è da scherzare.» Forse volevano dire con, la plebe selvaggia di Sicilia! Da qualche distinta e colta persona mi sono inteso dire che causa, unica dei luttuosi avvenimenti sono i funzionari! pubblici venuti da terra ferma, come se il continente Italiano e le altre isole non fossero governate dagli stessi uomini! — Qui il siciliano puro sussume;— ma questo è un paese eccezionale... e non si accorgono che appunto in questa eccezionalità sta il male e bisogna rimuoverla governandolo con fermezza di propositi, senza mai transigere col vizio e sotto l’impero inesorabile della legge! — Un padre che blandisce i vizi e le cattive tendenze di un figlio lo educa per la forca. — Tale fu la educazione paterna dei Borboni e si vorrebbe continuata dal governo nazionale?

Altri ho intesi parlare con orgoglio del coraggio dimostrato dalle squadre republicane nelle quali se primeggia, oltre la ferocia, altra qualità spiccante è la vigliaccheria più schifosa e questa si rileverà facilmente dai fatti che verrò narrando in seguito.

Credono forse taluni di poter così nascondere al mondo la natura e il valore intrinseco delle rivoluzioni in Sicilia?

La gloria che spetta alla classe civile ed onesta, d’aver profittato dello spirito anarchico del popolo per abbattere la tirannide, perché dividerla con la ribaldaglia che insorse nel 20, nel 48, nel 60 e nel 66? — Può il fine ottenuto e l'intenzione della classe liberale render plausibile la condotta tenuta dalla plebe, quantunque non sia sua la colpa se non fu dirozzata e incivilita? — Ridicola vanità è lo sconfessare i mali propri quando specialmente non si fa nulla o almeno assai poco perché non si rinnovino, ma invece si sbarra la via alla civiltà e al progresso che si fermano innanzi alla porta di chi dice di non averne bisogno.

Mille e mille ragioni di scusa ha la Sicilia senza ricorrere al falso sistema di esaltare a virtù quanto v'è di più riprovevole. Io chiamo eroismo la virtù a Palermo ma è offuscata dalla boria municipale per la quale anche molti tra i buoni non esitano a farsi responsabili della malvagia che affligge il loro paese.

Nel 1860 Garibaldi aiutato dai buoni cittadini fermò il moto anarchico là dové già cominciavano il saccheggio e le vendette, dando cosi campo allo sviluppo di una rivoluzione politica nella quale predominò allora tutto l'elemento buono del paese; tanto che ho inteso generalmente ripetere dal popolo che il 1860 fu uno schifìo di rivoluzione, essendo per questo la rivoluzione sinonimo di saccheggio e di anarchia completa.

Alcuni della squadra Giaccio mi dicevano, e poi l'ho inteso ripetere da molti del popolo, che le squadre del 66 erano le stesse del 60 e molti anche del 48 ne facevano parte, ma che. non avevano idea del coraggio e resistenza spiegata dalle poche truppe Italiane mentre nelle altre rivoluzioni avevano in un baleno sbaragliali venti o trentamila borbonici e veduto cedere le grandi prigioni dopo poche ore di fuoco.

Essendo pur vero, né potendo essere altrimenti, che le squadre fossero le istesse del 60, deve però aggiungersi che la gioventù colta, onesta e liberale non ha presa parte attiva nella sommossa, quantunque si sia astenuta dall'opporre resistenza.

La plebe di Palermo non ha intesi i vantaggi della libertà né poteva sentirli. Nata sotto il governo borbonico non ebbe altra educazione che quella datagli da un clero ignorante e perfido che la nutrì di superstizioni e immoralità; e da un governo che incoraggiava il vizio, transigeva col delitto e lo premiava anzi, dando la sicurezza publica in appalto ai più manigoldi e temuti malandrini.

Ignorante e bruta, quale vantaggio poteva ricavare dalla libertà della stampa, dalla libertà di associazione, dalla libertà del commercio ec. ec. Bisognava che il ceto pensante se ne occupasse, se ne facesse patrono, le mostrasse la via che mena alle scuole e gliene facesse gustare i vantaggi; ma questo non si è fatto o è stato in tanta minima proporzione da equivalere a niente.

Non cosi però il clero che ha lavorato senza posa e si è fatto sempre più padrone delle masse. Né questo lavorio del clero era totalmente, come ora, nascosto che anzi si faceva apertamente. Si vedevano i preti e i frati andare di bottega in bottega, di catodo in catodo, dové circondati da popolani con santa pazienza insinuavano le loro massime anti evangeliche. — Usciva l’editto municipale che per esempio non si dovesse ingombrare la via con utensili, o cucinare sulla strada o stender panni!... e il prete era già li pronto a dire che in altri tempi non si angariava cosi il popolo, che tutto ricade sui poveri che infine il popolo finirà con la rivoluzione ec. ec. Questa è la vera unica causa del malcontento per la numerosissima classe che pensa con la testa del prete e pende da' suoi labbri!

E siccome spesso sugli editti del Municipio si basa la critica del clero, essendo le sole cose che comprende questa plebe, perché la ferisce dirottamente, cosi è accaduto che l’insurrezione del 46 settembre sul primo impeto si è quasi interamente rivolta contro il Municipio e i suoi agenti.

Pure questo in sei anni ha fatto cambiar faccia a Palermo, migliorandola sotto tutti i rapporti; e forse nessun Municipio d’Italia ha operato tanto in si breve spazio di tempo e lottando con tante difficoltà quanto questo.

Se dal numero dei Leviti e dei templi si dovesse giudicare della religione di un popolo, quello di Palermo sarebbe il più religioso del mondo. Invece non esito a dire che non vi sia popolo di sentimenti meno religioso di questo.

Chi volesse vedere in prattica ciò che ha letto sulla storia del culto di Venere in Sicilia venga ora a vedere il culto della Bedda Matri ((1)) e non tarderà a riconoscerlo. Non v'è delitto in quest'isola che si commetta senza aver prima invocato l'aiuto dalla Madonna e di Santa Rosalia o di altra santa protettrice, secondo che si tratti di vendetta, di latrocinio o di truffa. — Abituati al culto di Venere e di Proserpina questi isolani le hanno sostituite con sante più che con santi, tanto che è raro vedere un popolano veramente devoto di Cristo. La Bedda Matri è la deità, gli altri non sono che accoliti di questa; S. Rosalia poi è una Dea indigena, e forse l’ultima apoteosi di creazione popolare avvenuta nel mondo cristiano.

Non parlo poi di certe processioni che si fanno ancora nell’Isola (a Palermo sono ora quasi tutte proibite) nelle quali è conservata la tradizione pagana fin nella forma del rito; del culto de' santi che è portato al grado di vera idolatria e di atti esterni o funzioni allegoriche che fanno ribrezzo, tanto v'è prostituita la dignità umana!

Una religione effimera e superficiale che non educa il cuore ha conservato nella plebe i vizi dell’antica società e propri della sua razza originaria. Infatti la mala fede, l’ipocrisia, la vendetta, il delitto sono nelle abitudini del popolo che da tempi immemorabili ha avuto ed ha per complici e istigatori i sacerdoti del tempio.

La corte di Roma ha influito certamente a render perverso il clero, specialmente nei tempi di mezzo, ma non tanto ai giorni nostri quanto si potrebbe credere. Piuttosto la corte di Roma ha profittato molto dei cattivi elementi di cui qui poteva far tesoro per la reazione — Il clero di Sicilia è autonomo di fatto e soggetto a Roma solo ufficialmente. — Indipendente, recalcitrante ad ogni disciplina, formato di elementi interamente indigeni, pieno di privilegi, ignorante e ricchissimo si è creato una chiesa tutta propria, tradizionale, dedita al solo culto esterno come la pagana, e senza il vero spirito cristiano, perché degenerata — I precetti del vangelo qui si leggono e recitano in latino e poi si prattica e bandisce la legge della mafia elevandola a religione. — Infine il clero di Palermo è maestro di iniquità e di immoralità fino al punto di essere il vero figlio primogenito ed emancipato dalla chiesa romana, la quale come grande potenza ne conserva solo il protettorato.

La confessione qui non è che una percettoria di dazi e multe; l'aver trasgredito alle leggi della morale è peccato solo quando vi sia stato scandalo, cioè poca ipocrisia, e non vi sia stata di mezzo una persona sacra.

L’aver tradita la giustizia è tutt’altro che colpa. — Il rubare si riduce quasi sempre ad un'industria sulla quale la chiesa riscuote una tassa, come ricchezza mobile, da non confondersi con la fondiaria che fino a poco tempo fa erano le decime: (ved. bolla che segno).

Un delitto di sangue è sempre scusabile — Chi ha ucciso un delatore per salvarsi dalla galera è scusabilissimo — Ma guai a chi avesse mancato di portar la candela alla santa o per i morti, a chi avesse mangiato carne nei giorni proibiti o trasgredito al digiuno e ad un voto fatto di portar abiti di un dato colore o a chi avesse mancato alla messa ec. Insomma come ai tempi che descrisse Alfieri:

L’Italia in questo sol una ed intera,

Tien l’omicidio in rissa un peccatuccio,

Tanto a chi infrange il venerdì severa!

Il veder gente miserabile che in tanto numero toglie il pane alle famiglie per comprare grosse candele da regalare a questa iniqua setta di parassiti è cosa che strazia l’animo di ogni uomo civile!

A persuadere il lettore di queste verità mi basta di riprodurre qui appresso la bolla di composizione, stampata in lingua Italiana, che ogni anno si pubblica dall’Arcivescovo di Palermo e che pure ogni anno viene ratificata per formalità dalla rea corte di Roma.

Io l’ho staccata con le mie mani a Porta Felice sulle mura di S. Spirito in una notte del gennajo 1866, e prego il lettore a ben ponderarla poiché è il cardine e la spiegazione dei mali che affliggono quest'isola.

Sommario della Bolla di Composizione per coloro che dovranno restituire 
i beni di padroni incerti, concessa dalla Santità del N. S. Pio IX sommo pontefice

Per l’anno mille ottocento sessantasei

Qui le immagini di San Pietro e S. Paolo

Qui lo stemma dell’ Arcivescovo

Chi avrà furato un bue od una pecora, sia che l’abbia uccisa o venduta restituirà cinque buoi e quattro pecore in pena del suo delitto

«Exod. 22, V, I. — Per questo diceva Zaccheo al Redentore: Darò metà de' miei beni a' poverelli, e se altri avrò frodato ne lo rivarrò in quadruplo.»

Ma possono tutti coloro che indebitamente son possessori dello altrui venire a tanta generosità? Per lo meno restituire ad eguaglianza?

Eppure non può avere speranza e salute chi vorrà ad ogni costo ritenere quel che non gli appartiene di diritto. (Fin qui é coerente ai principi cristiani). Epperò «se per quanto sia certo di possedere l’altrui e si abbia la buona volontà di restituirglielo» pure non se ne conosce il creditore, ed esaurite tutte le vie per venirne a capo, non si riuscirà a rinvenirlo, allora per la presente bolla il Padre comune de' fedeli vi appresta un mezzo. (In questo mezzo troverà il lettore la più nera scuola di immoralità) anche più facile onde adempirvi, consigliando cosi! alla vostra eterna salute, col temperare il rigore di una giusta soddisfazione.

Dato in Palermo li 46 ottobre 1865.

Noi (Gio. Battista de' conti Naselli, Arcivescovo di Palermo) Commissario Generale Apostolico della SS. Crociata per l’autorità concessaci dalla

Santità Sua per tassare (!) moderare arbitrare e comporre (!) i debiti dei quali il proprio e legittimo padrone, fatta la dovuta diligenza, non costa, e per applicare quello che nelle composizioni, le quali colla nostra autorità si facessero e procedessero, attenta l’intenzione della S. Sede Apostolica indirizzata al rimedio e alla salute delle coscenze, dichiariamo che qual si voglia persona, la quale pigliando questa Santa Bolla, desse tari due, grana d 2 e piccoli tre (che sono lira 1,13) che saranno erogati in usi pii (!), sia che riguardino la religione, sia il culto divino, sia la cristiana pietà (che incipit ab ego) rimane libera e perdonata, in foro coscentiae tantum, di tutto il restante che dovesse ai padroni incerti (che sarebbero i derubali o assassinati) sino alla somma di tari sessantasette e grana quattro che sono scudi sei, tari cinque e grana quattro (pari a L. 32,80) per ogni bolla che prenderà e non sia necessario fare altra restituzione, anzi lo tenga e lo possegga in buona fede (pare incredibile!) facendolo come cosa sua propria e giustamente guadagnata ed acquistata (M); e se la somma e quantità da comporsi ascendesse a maggior quantità dei suddetti tari settantasette e grana quattro che sono scudi sei tari cinque e grana quattro, in vista della stessa autorità a noi per questo fine concessa (non certo da Cristo) dichiariamo, che quante volte pigliasse questa santa Bolla e desse la elemosina dei suddetti tari due, grana dodici e piccoli tre, tante volte sia composto a ragione di tari settantasette e grana quattro sino alla somma e quantità di tari tremila ottocento sessanta che sono scudi trecento ventuno e tari otto (essendo gli scudi di tari dodici) e non più; perché eccedendo cosiffatta somma, deve venire o mandare (é preveduto cosi anche il caso che sia un ladro cercato dalla pulizia e quindi non possa venire in città) avanti di noi, ad effetto che conforme alla relazione che ci verrà fatta, provvedessimo in particolare con una consegna e conveniente composizione; con la condizione però, che questi debitori non siensi usurpati beni altrui (questa clausola deve esser messa perché la bolla non sia incriminata dal Procuratore del Re) sotto la speranza e fiducia della facilità di potersi comporre; poiché in questo caso non gioverà ad essi loro questa composizione (ho lasciata la sintassi tale e quale per esser fedele nella riproduzione del documento, poiché tanto leggendola due o tre volte si capisce ciò che il santo vescovo vuol dire. In fondo é una camorra e purché si paghi quel tanto per cento al prete tutti sono autorizzati a rubare, salvo ad intendersela poi col ministro di pulizia, che anch’esso, come vedremo in seguito, é autorizzato a tradir la giustizia purché paghi qualche cosa al prete, cioè compri la Bolla che costa tari due ec. moltiplicabili per la somma del danno fatto tenendo per unità di misura i 77 tari e grana 4).

E perché voi (qui v'è nella Bolla un tratto in bianco ove dovrebbe essere il nome dell’industriante) deste tari due, grana dodici e piccoli tre, che è la somma da noi tassata, arbitrata e moderata in virtù della suddetta autorità e facoltà apostolica a questo fine concessaci, siete libero ed assoluto delle restituzioni incerte che dovreste fare fino alla quantità dei suddetti tari settantasette e grana quattro; i quali tari due, grana dodici e piccoli tre procedenti dall’accennata elemosina applichiamo conforme alla Bolla di S. Santità all'anzidette spese e precisamente comandiamo che riceviate questa Bolla e scriviate in essa il vostro nome, altrimenti non godrete della composizione che in virtù della medesima si concede: Qual Bolla comandiamo che si dia stampata e firmata col nostro. nome e sigillata col nostro suggello. (Immagini ora il lettore cosa dovrebbe vendere di bolle l’Arcivescovo dopo tutto quello che si é rubato a Palermo dal 16 al 22 settembre! Ma ora il popolo si é emancipalo da questa formalità ritenendo però per sacro il principio che emana dalla Bolla, invece di comprarla si compone direttamente con la Bedda Matri o per mezzo del confessore portando all’altare una o due o più candele di cera secondo che il delitto é più o meno grave).

I casi, nei quali ha luogo la composizione ed in cui in virtù di questa Bolla si possono comprendere quelli che la piglieranno e daranno la suddetta elemosina sono i seguenti:

(Eccoci sul terreno pratico!)

Primieramente si può comporre per il mal guadagnato avuto, preso ed acquistato per guadagno illecito od usure, od in qualsivoglia altra maniera (I!) non costando dei padroni ai quali fare si dovrebbe la legittima restituzione, con procedere la dovuta diligenza.

2° Di più si può comporre sopra i frutti dei benefici e rendite Ecclesiastiche mal percette ed avute per difetto di non aver recitato le ore canoniche, eccettuati i benefici con cura di anime e quelli che hanno l’obbligo della personale residenza, con che oltre li tari 2,42,3 che devono darsi di elemosina per la composizione dei suddetti lari 77, i abbia ancora a dare colui che cosi si componesse altri tari due, grana dodici e piccoli tre dei frutti del suo beneficio per la fabbrica di quella chiesa dové un tal beneficio fosse eretto (volendo demoralizzare il popolo si è cominciato dal demoralizzare il clero, ma é degna la maggior severità che si usa con questo raddoppiando la tassa).

3°. Di più, si può comporre sopra i legati fatti prima d'ora o che si facessero in tempo della predicazione della presente bolla, i di cui legatari non si trovassero dopo la dovuta diligenza (ecco l’origine delle ricchezze di luoghi pii e del clero che é padrone di metà dell’Isola).

4°. Di più, se alcun giudice ordinario, o delegato, o assessore avesse ricevuto alcun denaro o altra cosa, per pronunciare una iniqua sentenza (III!) o per dilatare la causa in detrimento della parte, o per fare alcun aggravio o altra cosa che non dovessero; (tutto é preveduto) in tal caso si possono e devono comporre, di quello che in tal modo avessero ricevuto, restando però ferma la obbligazione di indennizzare la parte a cui si deve l’aggravio, (come é ingenua questa ultima clausola!)

5°. Di più, se alcun avvocato avesse ricevuto qualche somma per difendere una causa ingiusta, ciò sapendo il suo cliente, si può comporre per il ricevuto guadagno, restandogli sempre il carico di soddisfare la parte danneggiata.

6°. Di più, se alcun testimonio per deporre il falso (!) o alcun fiscale o accusatore per accusare altrui falsamente, o tralasciando di accusarlo quando era obbligato (pura mafia!) ricevesse qualche danaro di questo si potrà comporre ma con soddisfare la parte pregiudicata.

7°. Di più, gli uffiziali, scrivani, segretari, che per fare qualche cosa ingiustamente nell’ufficio loro,(!Il) ricevessero denaro, sopra questo potranno comporsi; però devono soddisfare le persone alle quali hanno fatto il pregiudizio.

8°. Di più, possono comporsi tutti i giudici secolari ed ecclesiastici in cause. temporali i quali per amministrare alle parti la giustizia che dovevano conforme alle loro obbligazioni, non ostante ciò han ricevuto denaro o altro.

9°. Di più, si possono comporre gli scrivani, notari (!) segretari e gli ufficiali di giustizia, che avessero ricevuto diritti esorbitanti contro le leggi ed ordinanze loro prescritte,, non sapendo le persone alle quali si debbano restituire.

10°. Di più, se alcuno ingiustamente o indebitamente operando affinché non si amministrasse la giustizia, o perché si desse la libertà ad un arrestato per delitti (!!) (tutto è preveduto) avesse ricevuto denaro od altro, si può comporre di quella somma che prese, ma da risarcire il denaro alla parte se glien’è risultato (!).

11°. Di più, si possono comporre di tutto quello che per giuochi fossero obbligati restituire ai poveri; se però vi fossero intervenuti inganni o frodi, o avessero guadagnato a persone che non potrebbero alienare vinello che perdettero, non si possono comporre; e sapendo a chi lo guadagnarono (non dice rubarono) sono obbligati a restituirglielo; ma non sapendolo possono comporsi come sopra (si può essere più perfidi?)

12°. Di più, se qualcheduno fingesi più di quello che non è o fa altra simile cosa (se ne possono pensare di più?) si può come sopra comporre di quello che per tal cagione avesse ricevuto; e colui il quale chiede l’elemosina fingendo d'esser povero senz’esserlo (che bella lezione!) si può comporre di quello che perciò avesse ricevuto non sapendo né in questo né nel sudetto caso a chi si debba restituire.

13°. Di più, sopra tutte le cose ritrovate, fatta prima la dovuta diligenza non ritrovandosi il padrone, si può comporre.

14. Di più, colui che ha una o molte cose in suo potere di persone, che non sa dové siano per restituirgliele, essendosi per ciò fatte le dovute diligenze, si può comporre sovra la somma dell'importo delle cose suddette (stimate dal prete!)

15°. Di più, si può comporre dei danni fatti nell'andare a caccia o coll'armento o in altra maniera, cosi nei pascoli e nelle vigne (povera agricoltura!) o in qualsivogliano altri beni, non sapendo a chi sia stato fatto il danno (come si fa a non saperlo?)

16°. (Questa é la più classica di tutti!) Di più, tutte le femmine che non sono publicamente disoneste, si possono comporre di qualsivoglia prezzo di danaro o di gemme che per ragione turpe avessero ricevuto, e gli uomini (e questo chi il crederebbe!) che similmente per la suddetta cagione avessero ricevuto danaro o altro da femmine libere si possono comporre della stessa maniera. (Temo che il lettore a questo punto vacilli e creda che tali cose nel secolo decimonono non possano essere state scritte e molto meno pubblicate, ma pur troppo non é possibile dubitare di questi fatti, e tali cose si leggono ogni anno sulle publiche vie e sulle mura delle chiese stampate e munite di regolari bolli; di più questo è il codice penale dei confessori ed è l’unica legge che è scrupolosamente rispettata dai medesimi).

17°. Di più, se qualcheduno avesse venduto vino temperato per puro, o misurato con misura falsa, o vendute le cose con minor peso, o venduta una cosa per un’altra, o mescolata, o mal pesata, non sapendo a chi restituire si può comporre, (poveri consumatori!)

18°. Di più, generalmente si può comporre sopra qualsivoglia genere di azienda illecita, o malamente avuta, mal guadagnata ed acquistata, cosi per usura e ingiusto premio, come in qualsivoglia altra maniera o traffico o uffizio, non sapendo il padrone a cui legittimamente. possa restituirsi, ma con la condizione che non abbia fatto questi guadagni colla fiducia di quietare il rimorso della sua coscienza con questa bolla di com‘ posizione (che impostori!) Perché in tal caso (sentite il castigo) deve restituire tutto alla S. Crociata (che é rappresentata dall’Arcivescovo) onde erogarsi per le suddette opere pie.

19°. Di più, noi suddetto Commissario Generale dichiariamo, ordiniamo ed espressamente comandiamo, sotto pena di scomunica maggiore, latae sententiae, che niun commissario, Predicatore ed ufficiale della Santa Crociata s’intrometta a fare, né faccia alcuna composizione di qualsivoglia forma che sia; giacché qualunque persona che avesse necessità di esser composta sopra qualche quantità maggiore della contenuta in questa Bolla, debba venire innanzi a Noi, e la composizione che in altra maniera si farebbe sarà nulla e di niun effetto nei casi che più particolarmente sono espressi (insomma é genere di privativa). E poiché la facoltà e commissione data e concessa a noi dalla S. Sede é generale e comprende molte altre cose (e questo é il colmo dell'iniquità!) sopra le quali può cadere la suddetta composizione, rimettiamo all'arbitrio dei confessori, perché eglino come medici spirituali dicano e dichiarino ai loro penitenti, oltre i casi qui registrati (vi é dunque di peggio che il pudore ha consigliato di tacere) tutto ciò che in virtù di questa bolla ed apostolica facoltà si ritiene per discarico e per quiete delle loro anime e coscienze.

Non credo che vi possa essere alcuno il quale dopo Ietto questo documento non si senta rabbrividito e non disperi di poter cambiare in questo popolo il senso morale, formato da un clero che professa cotesti principi e ne ha fatto l’essenza della religione. Cosa è la mafia con le Sue leggi se non il pratico esercizio di questa bolla? Come spiegare altrimenti i sei mila reali all'anno che si commettono in Sicilia,, mentre conta solo due milioni e trecentomila abitanti?

Come spiegare il niun orrore al delitto e verso il delinquente, la compassione che destano invece le carcerazioni di gente da forca, e la inerzia di gran parte del paese innanzi agli orrori di settembre? — Si ha un bel dire spiegando tutto col malcontento, ma no per Dio... il male è radicale, è sociale e non è che secondaria e incidentale la causa politica!

Un popolo educato a questa scuola non può governarsi bene e in modo da contentare la parte civile liberale e onesta, né da un siciliano né da un continentale né da un estero! Ci vuol prima la riforma, bisogna che prima regnino le leggi, bisogna che prima si elimini il clero e s’istruisca la plebe poi governerà bene chiunque!

Intanto chi è preposto al governo di questa provincia deve tener sempre sotto gli occhi questa bolla a fine di persuadersi che la Sicilia è purtroppo un paese eccezionale e bisogna governarlo con maggior cura degli altri. Qui ci vogliono uomini di provato patriottismo e pieni d'amore per l’Italia per dedicarsi alla riforma di questa provincia; ci vogliono leggi eccezionali per tagliar netto dové sta il fradicio, ci vogliono miglioni e non economie; ci vuole infine governo vero perché la Sicilia sente il bisogno di essere ben governata!

Le autorità in Sicilia hanno sempre voluto far la politica e qui invece si tratta di disturbi sociali ai quali bisogna energicamente provvedere curando gl’interessi materiali del paese; perché questo popolo più che convinzioni politiche ha grandi bisogni materiali i quali sono il vero motore dei partiti.

Leggiamo ora la lettera che il Generale Cadorna ha diretto all’Arcivescovo di Palermo e il lettore giudichi di quei giornali che l’hanno criticata come troppo forte nelle espressioni che usa, dovendosi secondo essi maggior rispetto a chi pubblica e pratica la bolla di composizione, che è la causa prima delle atrocità e nefandezze commesse dalla plebe nei famosi sei giorni. Oltre di che la cospirazione che promosse. l’insurrezione fu quasi tutta opera del clero, il quale prese anche parte attiva, fino al punto da impugnar le armi, non solo spirituali ma anche temporali, poiché molti furon capisquadra o combatterono alle barricate o fabbricarono il cotone fulminante e fecero di peggio.

Ecco la lettera:

Palermo, 28 settembre 1866

«Permetterà la Em. V. che io chieda francamente delle spiegazioni sulla condotta da Lei tenuta nelle ultime dolorose vicissitudini che hanno contristato Palermo e dintorni.

Io debbo credere che Ella abbia troppo la coscienza dei propri doveri per potersi menomamente dubitare che vi abbia potuto contravvenire per incertezza sul modo, come regolarsi.

«Ella non potea ignorare che il clero regolare, e in non poca parte anche il secolare, avevano da tempo dato opera a sconvolgere l’ordine pubblico, e ad inspirare alla plebaglia massime immorali e sovvertitrici.

«Non potè del pari disconoscere, che frati e preti, e monache perfino, non si guardarono, con una impudenza senza esempio, o dal mettersi alla testa delle orde dei rivoltosi, o dall'incitarle alla rapina ed al saccheggio. .

«Ebbene, cosa fece la Eminenza Vostra a prevenire che questi indegni ministri del Santuario, che queste vestali fanatiche di bugiardo fervore e di superstizione, si fossero fatti complici dei più atroci reati?

«Mentre le primarie autorità sono rimaste ferme ai loro posti, la ove il loro debito di coscienza e di onore richiedeva che stessero, perch'Ella, che avrebbe dovuto esser d’esempio, agli altri, si é tenuta completamente in disparte?

«Com’è ch'Ella non si sia interposta, arca di pace e di alleanza, fra una gente briaca di ladroneggi e di stragi?

«Ma non è questo che vien prescritto dal Vangelo. Ma non è cosi che si adempie ai dettami di Cristo. Ma non si giunge in tal modo a render gli animi inchinevoli al rispetto ed alla devozione verso coloro che dovrebbero essere estranei, e pur troppo noi sono, ad ogni passione politica.

«In nome dell’autorità di cui sono rivestito, io chiedo alla Eminenza Vostra che mi renda stretto conto del suo operato, perché il Governo ed il paese possano giudicare se, e sino a qual punto sia Ella responsabile degli eccidi perpetrati e del versato sangue cittadino.

«Attendo sua particolareggiata risposta, e Le dichiaro sin da ora che reputerei il Suo silenzio come una esplicita confessione di colpa.»

Il Luogotenente Generale

Comandante delle truppe in Sicilia Com. R.

RAFFAELE CADORNA

A S. S. Ill. e Rev. (mo)

Mons. Arcivescovo di Palermo

Il pubblicista che più degli altri critica questa lettera e si scaglia furibondo contro il Governo, perché ha proclamalo in questa provincia lo stato d'assedio, meriterebbe in pena del suo errore di esser preposto al Governo di Palermo, senza lo stato d'assedio e le misure eccezionali!

Se la stampa d’opposizione comprendesse davvero il suo compito dovrebbe invece lodare il primo funzionario che ha avuto il coraggio civile di scrivere una lettera coerente. ai principi della nostra rivoluzione. — È o no il clero cospiratore contro lo stato! Perché si ha da tergiversare quando ci son le leggi al cui cospetto è eguale a tutte le altre classi di cittadini e si può chiamare a render conto del suo operato! Il male è piuttosto che già gli ordini di Firenze devono aver paralizzato le buone intenzioni che il Cadorna mostra di avere in quella lettera, poiché si son smessi i rigori verso il clero e si son restituite quasi tutte le poche chiese che erano state prese, come se fossero poche duecento ottanta al cullo; e rendendo così necessari migliaja di preti per officiarle! Di questo si lagni piuttosto la stampa e gridi pure ad alta voce che il clero pervertisce il senso morale delle popolazioni; che il governo tiene verso il clero una condotta troppo equivoca e contraria al dogma nazionale— liberà chiesa in libero stato. — Che lo blandisce invece di osteggiarlo come nemico e il più fiero nemico d’Italia! — Che quando deve punirlo pare che gli tremi la mano, mentre i preti vedendosi necessari perfino nelle feste nazionali e dovunque c’è una rappresentanza dello Stato, con mano ferma minano Io Stato e se fa d'uopo prendono anche il fucile come hanno fatto a Palermo!

Tornando agli effetti della Bolla debbo aggiungere che nel dialetto stesso si dà il titolo di Componendo, a qualunque estorsione o truffa, mentre i confessori per una candela di cera portata alla loro più prediletta Madonna o Santo, perdonano in nome di Cristo tutte le colpe indicate nella Bolla e che volgarmente si chiamano industrie. Il rubare comincia là dové ha luogo uso della forza, delle chiavi false o si va a metter le mani nelle tasche altrui per involare la borsa e l'orologio. Questo genere di profitti è condannato dalla moralità pubblica che disapprova chi ne è colpevole; eccettuato il caso però delle cosi dette rivoluzioni nelle quali tutto rientra nel campo dell’industria.

A giudicare poi del senso morale di gran parte della popolazione basterà dire che dopo la nefanda settimana ha potuto farsi strada un’opinione pubblica che reclama l’amnistia per i fatti avvenuti, equiparandoli a sollevazione politica, mentre il perdono non potrebbe cadere che su gente la quale ha provocato e organizzato, o operati gli orrori di settembre; consistenti in saccheggio massacri, senza ombra di governo provvisorio che accennasse ad una riforma d’istituzioni voluta dalla maggioranza, né un programma qualunque che si scostasse dalla libidine di malfare.

I veri onesti però, per i quali la patria è l’Italia tutta e non son fanatici per il loro paese natio fino al punto di scusare i repubblicani di settembre perché concittadini, vogliono i rigori fino a distruggere completamente la mafia e il malandrinismo con i loro capi naturali cioè i preti, i borbonici e gli autonomisti. Qualcuno è giunto a dirmi che se il governo s’indebolisce di nuovo, e cede alla pressione di quelli che amano brutalmente questa terra, non resterà altro scampo ai buoni che emigrare per sempre da Palermo.

Sulle condizioni morali di Sicilia vi sarebbe a dir molto ma non è questo il mio compito, e mi basta di aver dato un cenno per entrare ora a parlare delle condizioni politiche e sociali sulle quali anche mi contenterò di dire poche parole.

Descrivere i partiti politici o pseudo politici d’Italia è difficile, ma di Sicilia è impossibile! Bisognerebbe saper applicar bene il sistema di Linneo e con. quella norma fare le divisioni in classi, ordini, generi e specie, per poi concludere che non v'è un’opinione pubblica. Solo quel sentimento profondamente unitario e conservatore, che domina nel continente Italiano, si è fatto strada nell’isola, e predomina più nelle piccole che nelle grandi città e più nella parte orientale che nella occidentale, e in Palermo nella sola classe pensante e veracemente liberale.

Dovendo pur chiamare col nome di partiti le fazioni pseudopolitiche che straziano questo paese, debbo prima di enumerarli far notare che non manca un nucleo di eletti i quali appartengono al partito Unitario e si dividono in liberali moderati ed in liberali democratici, che vanno ogni giorno accrescendo le loro fila reclutando proseliti nella generazione che sorge e particolarmente fra la gioventù che esce dalle scuole e dalle università. .

Il rimanente, dei partiti, cioè la maggioranza, si divide in mille e mille fazioni che però hanno un istinto comune ed è lo spirito autonomista, che genera l’opposizione sistematica a qualunque siasi governo e il tradizionale malcontento.

Sopra queste fazioni domina il clericalismo che è il più forte perché dispone delle masse sulle quali si appoggia e perché sa mascherarsi sotto tutte le forme, senza che per questo cambi natura né obbiettivo.

Il partito d’azione è per se stesso assai meschino tanto che nulla ha potuto nelle elezioni, generali e nell’inviar volontari alla guerra dell’indipendenza.. .

E questi due fatti, comunque si vogliano spiegare sono troppo grandi perché non siano tali da dimostrare il vero valore intrinseco di questo partito, che pur si professa Unitario per principio e non influenzato dalle condizioni locali che dice di saper dimenticare quando si tratti degl’interessi generali della nazione; come ha fatto il partito di opposizione e di malcontento nelle altre provincie dell’alta Italia quando si è trattato di guerra nazionale.

È quindi un partito mosso solo da passioni, da interessi locali, senza direzione, e non comprende che la facile opposizione sistematica a. tutto ciò che viene dal governo nazionale. Parla di popolo e non ha popolo, né è in grado di sostenere una rappresentanza.

Il partito liberale moderalo Unitario, depurato dai parassiti, raccoglie in se gran parte del fiore dei cittadini per onestà e per senno, ma è buono a nulla— vive per se— ha un giornale ministeriale ad ogni costo — spera nell’avvenire — si lagna dei torti del governo senza far chiasso, ed ora farà molte conquiste fra i disillusi e gli spaventati dagli atti di sovranità di questo popolo.

Il partito repubblicano non esiste di fatto, ma è una velleità di qualche giovane, è una delle mille forme che prende il partito d’azione, o la maschera di qualche clericale. E non può essere altrimenti in un paese eminentemente monarchico come questo, che sempre fu tale, e dové il popolo usa la parola repubblica solo quando vuol denotare una masnada di ladri che senza opposizione fa man bassa in un paese. Usato infatti questo motto d’ordine nella sommossa di settembre bastò perché la plebe comprendesse quello che dovesse fare e vedremo in seguito cosa. fece.

I borbonici sono pochissimi come partigiani di quella dinastia, ma sotto questo nome vanno inclusi gli assolutisti in genere che desiderano un governo dispotico ad uso Borboni, che permetta il regno dell’arbitrio e delle mangerie. ;

Gli autonomisti sono molti, divisi in cento specie, simpatici al popolo quasi quanto i clericali, e legati al volgo di tutti i partiti. — I capi di questo partito, o meglio le notabilità sono per lo più gente ricca e letterata — il paese li dice onesti – ma qui il senso di questa parola è molto lato. — Io se dovessi chiamarli onesti dovrei nello stesso tempo tenerli per uomini di mente poco sarta. — Che non siano capaci dimetter la mano nell’altrui scrigno, lo credo, ma che si possa caldeggiare un sistema per il proprio paese senza voler conoscere gli elementi di cui questo si compone, non mi pare opera di gente savia; e se li conoscono non esito a negar loro il titolo di onesti. — Dal confederatista, non dico autonomista assoluto perché questi sono rarissimi, al regionista e discentralista, tutti più o meno parteggiano per un governo che nell’isola si serva dell’elemento indigeno con un’amministrazione più o meno indipendente. Or bene sono stati essi testimoni delle sei giornate di settembre? Se non veniva a soccorrerli la nazione che ne sarebbe di Palermo e dell'isola?

Ma risponderanno certamente che se l’isola fosse governata da siciliani quei fatti non accadrebbero....

E credono dunque essi ingenuamente che il fuoco bruci solo quando è sviluppata la fiamma! Rinchiusi e ristretti in loro stessi credono forse che giungerebbero a megliorarsi a vicenda o non piuttosto a compiere la loro demoralizzazione? A che servirebbe la loro onestà finora incompresa dalle masse che in un secolo di civiltà operano come in pieno medioevo? E se ne gloriano! E mettono spirito cavalleresco nel saccheggiare!

L’elemento indigeno non può che transigere col popolo come transigeva il Borbone e tener l’isola in. putrida fermentazione!

Come disconoscere i vantaggi della fusione dei popoli, dell’accomunamento di interessi, della moltiplicazione illimitata di contratti fra le varie provincie del regno ec,? Ma la vera ragione non sta in un principio che vagheggiano, bensì negl’interessi individuali di alcuni che son lesi dal nuovo ordine di cose e dall’ambizione di altri, che nullità innanzi ad un gran regno vorrebbero esser grandi e potenti governando nella loro provincia.

Non si sono poi accorti come la massa dei ladri, malandrini e preti simpatizza con esso loro odiando e perseguitando i veri liberali! Come è esteso il manutengolismo e la classe elevata si faccia imporre dalla più abbietta e selvaggia? Non hanno fatta una statistica dei funzionari che nei sei giorni hanno difeso la causa dell’ordine?— Scendano nel campo delle cifre e vedano quante Guardie di P. S. siciliane hanno fatto il loro dovere e dové siano nati quelli che sono morti e feriti combattendo? Guardino la condotta delle guardie doganali che alle sette antimeridiane del giorno 16 settembre e anche prima abbandonarono i loro posti o cederono i fucili senza ombra di resistenza; guardino quanti hanno figurato di tutti i corpi addetti al Municipio, come difensori e quanti come briganti? E mi dicano poi se è possibile un governo e un’amministrazione tutta siciliana senza esser costretti a transigere e transigere ad ogni costo con la malandrineria e la camorra per evitare le insurrezioni e l’anarchia di settembre! Se transigendo col vizio si può moralizzare un popolo, allora avranno ragione essi; ma prima di rispondere viaggino e dopo fatti i debiti confronti mi diranno se è meglio navigare in tempesta sopra un vascello nelle limpide acque del mare, o in calma e sopra una barchetta nelle melmose acque di una palude!

Questi che ho enumerati sono i partiti in Palermo, che poi non hanno confini propri né certi, ma si estendono o si restringono secondo la forza che spinge il partito dominante e le esigenze degli interessi municipali.

I veri onesti però e liberali, illuminati e Italiani di cuore non appartengono a partiti di questa sorta che anzi deplorano altamente cotesto stato politicodella loro isola, ma hanno pur troppo il difetto comune dei buoni di tutti i paesi, quello cioè di starsene, neghittosi pensando ai fatti loro e poco disposti a faticare e sudare per il trionfo della causa dei buoni.

Veniamo ora alle condizioni sociali. — Palermo secondo l’ultima statistica conta 194000 abitanti, dei quali 174000 formano la popolazione rinchiusa nei limiti daziari e 20000 fanno parte del contado e sobborghi ristretti ad una cerchia di quattro o cinque chilometri. Dei 194000 nientemeno che 140000 sono inalfabeti!

Le classi di questa popolazione si dividono in proposizioni assai diverse di quello che accada nelle città dell’alta Italia e della centrale. — Numerosissima è la plebe oltre ad ogni credere, scarso il mezzo ceto, numerosa la nobiltà e molto isolata per genio aristocratico.

Il mezzo ceto va diviso in due categorie, cioè l’alto e illuminato che segue le vie del progresso, ed è rispettabilissimo, e il basso mezzo ceto che è ignorante, presuntuoso, povero e municipalista; che tende a rimaner stazionario.

Questa classe, nella quale intendo di annoverare il clero secolare e regolare che ha tutte le qualità suddette meno la. povertà, ha preso parte all'insurrezione insieme alla plebe nella quasi generalità o come attore o come manutengolo.

Fa eccezione pero la classe dedita al commercio e il popolo del borgo alla marina che appunto perché industrioso e commerciante rifugge dai movimenti anarchici.

Le classi inferiori si dividono in vero popolo e in plebe, nelle quali esclusi un certo numero di artigiani onesti, e qualche altra rara eccezione, tutto il resto è fattore della insurrezione.

Popolo e plebe si dividono poi in varie categorie secondo il grado di mafia la quale è madre di quell’omertà ((1)) che è causa precipua della ingovernabilità di questo popolo perché tarpa le ali alla' giustizia e assicura l’impunità al delitto.

Un più o meno alto grado di mafia decide della fortuna di un picciotto fino al punto che se ne tiene gran conto nel trattare matrimoni!... É certo che ad un vero mafioso non mancherà mai da vivere agiatamente e rispettato!

Tale e tanto grave è questa calamità della mafia nella campagna di Palermo che i poveri possidenti di terre sono costretti ad affidarle al più mafioso che si trovi, se vogliono raccogliere i loro prodotti e andare sicuri nei loro giardini (per giardini s'intendono tutti i terreni intorno alla città cinti per lo più da muri e in gran parte coltivati ad Aranci). E questa una dura necessità per i proprietari e assai deplorevole, ma non deve destar meraviglia allorché si pensi che la gente di campagna è tutta mercenaria, educata dal clero della bolla di composizione, e quindi naturale nemica di chi possiede la terra sulla quale essa suda. Se non si procede ad un sistema di larga colonizzazione per enfiteusi, creando proprietari e produttori dové sono mercenari e distruttori dell'agricoltura non sarà mai possibile di portarvi rimedio Vero ed efficace.

Da questo stato anormale dei rapporti sociali fra la classe che possiede tutto a quella che possiede nulla, come ben riconoscerà chi ha studiate le cause del Brigantaggio nelle provincie meridionali, nasce l'abitudine dei signori Palermitani di proteggere e garantire, quelli tra i loro temuti lavoranti e custodi di terre che son ricercati dalla giustizia per delitti commessi.

E chiaro quindi che questa della mafia è piaga sociale, fino al punto che chiunque dei signori di Palermo si attentasse di accusare i propri o gli altrui massari, e anche negasse loro aiuto, ricovero e mezzi di sussistenza, dovrebbe poi emigrare o essere esposto a certa vendetta.

Se tutti i proprietari però e il ceto civile dichiarassero una volta concordi la guerra al malandrinaggio questo sarebbe domato e avvilito, ma nessuno vuol essere primo, nessuno si fida dell’altro, spirito di unione non c’è che fra i malandrini e così questi regnano su tutti e commettono i loro delitti, anche tra la folla, sicuri che nessuno indicherà il reo.

Le sole forze unite del governo e dei cittadini, con le misure di rigore impiegate dal primo e i sagrifizi dei secondi si può portare un qualche rimedio a questa piaga; ma fin ora si è fatto poco dall'uno e niente dagli altri, e quel poco che ha fatto il governo è riuscito a nulla, perché l'opera del governo senza il concorso dei cittadini è assolutamente inutile.

Né è a dirsi che la natura della plebe di Palermo sia indomabile, poiché anzi la credo suscettivissima di educazione. Nello stesso tempo che questo popolo si mostra dotato di qualità e costumi selvaggi, di tendenze al delitto, al ladroneggio, alla crudeltà all'anarchia ec. pure fanno in lui singolare contrasto dalle doti che sviluppate e coltivate ne farebbero un ottimo popolo. Fra queste v'è quella della somma docilità per la quale se finora ha obbedito alle suggestioni del clero, potrebbe in seguito seguire i consigli della classe onesta e civile per la quale ha immenso rispetto fino a prostituirsi e mancare affatto di dignità. Cosi lo spirito di associazione per malfare si potrebbe tradurre a bene; l’affetto per i congiunti, la fedeltà verso gli amici, il rispetto per l'ospite quando non degenerate per fine turpe, potrebbero essere doti da far sperare un ottimo risultato dall'educazione e specialmente quando a questa vada congiunto l'altro mezzo d’incivilimento quale è la leva militare.

Riguardo ad intelligenza è sempre vero il giudizio di Cicerone che lo disse — Genus acutum et suspiciosum — e questa acutezza e prontezza di mente, che è pronunciatissima nella prima età, potrebbe mettersi a profitto e conservarla negli adulti quando, si distogliessero dal clero che impinzandola di superstizioni 9 di lordure finisce coll'attutirla. Anche il cuore de' Siciliani non può dirsi duro e cattivo quantunque siano cosi dediti ai delitti di sangue; in fondo è buono ma anche questo bisogna educarlo perché non trascenda a passioni brutali.

Per persuadersi però del come possa il popolo del settembre 1866 essere dotato di buone qualità naturali e buon cuore, bisogna avvicinarlo, entrare nei misteri di questa società, analizzare i suoi atti in rapporto con la causa motrice e poi si potrà riconoscere vero quello che ho esposto. — Per studiare il popolo bisogna star col popolo e quando uomini estranei all'isola lo avranno ben conosciuto sapranno anche governarlo. Dico uomini estranei all’isola perché quelli del paese lo conoscono troppo!

Tornando alla Mafia questa prende anche la forma di vera camorra nella città ed è assai generalizzata. — Potrei portar mille fatti per meglio descriverla ma me ne astengo per amor di brevità e perché tutti sanno cosa sia la camorra di città.

Aggiungo solo che la credo contagiosa perché si è pur troppo veduto a Palermo qualche continentale dell’alta Italia che ha tentato di smentire la fama di onestà che si son giustamente acquistata le provincie subalpine praticando qui la sublime camorra assai maestrevolmente.

La numerosa plebe di Palermo è poi miserabilissima, — vive alla giornata — è sobria quanto mai si può dire, e si ciba di sostanze poco nutrienti, tanto che questa sobrietà, insieme ad altre cause, del clima ecc. reagisce sul morale e crea quello stato di esaltamento cerebrale proprio dei popoli dell’Asia. — Ama di vestir bene— abita tuguri ai piani terreni, generalmente umidi e insalubri — non ha e non comprende altro divertimento pubblico che le processioni Te le feste di chiesa, — è carica di figli che non sa e volendo non potrebbe educare ecc. Questo è il quadro, quantunque languido e incompleto, del basso popolo di Palermo, e le classi che si avvicinano a questa sono presso a poco nelle stesse condizioni.

Il commercio è scarso perché assai ristretto il consumo e la produzione ridotta ad angusti limiti. Pure v'è un fatto che illude ed è che la Sicilia conta 64 articoli d’esportazione. Questi però non equilibrano l’importazione che comprende anche molti generi di prima necessità. Basti dire che nell'Isola non c’è una fabbrica di cristalli, né di carta, né di panni, né direi quasi di manifatture d'alcun genere. Quasi tutto deve venire dal continente mentre la massa ignorante o pura siciliana perché vede partire bastimenti di Aranci, sommacco, zolfo ec. crede intimamente che la Sicilia provveda d’ogni sorta di derrate e prodotti mezzo mondo. Senza accorgersi che in un’isola come questa, tanto fertile, e che è stata una volta il granaio di Roma, ora Palermo va tributaria della Sardegna e di Tunisi per il bestiame, della Lombardia per i latticini, di Napoli per i pollami e le uova ec. e persino vengono frutti da Genova, mentre a pochi chilometri della città ci sono migliaja di ettari di terre incolti, e centinaia di giovani che non sanno trovare una libera industria e pitoccano per aver l’impiego.

Queste debolezze sarebbero innocenti e inutile il rilevarle se non fossero una delle principali cause per le quali il paese resta nell'inerzia e non si slancia nel campo dell'industria, del commercio e delle arti per raggiungere quel grado di benessere e di ricchezza a cui possono aspirare essendo cosi favoriti dalla natura.

Se i siciliani avessero l’amore per il lavoro l’industria e l’agricoltura quale l'hanno i veneti, questa provincia sarebbe la più ricca non dico d’Italia ma d’Europa!... Ma mancano le strade vedremo nel capitolo rimedi a che si riduca quest’obbiezione che è nelle bocche di tutti quelli che passeggiano per Toledo, ammettendo intanto che le strade son necessarie e si devono fare dovunque manchino e presto.

Un’altra piaga sociale è la mania esagerata per il matrimonio che forma la rovina specialmente del ceto di mezzo. Nove decimi dei giovani da 17 ai 20 anni sono fidanzati e appena carpito un impieguccio o un' industria che renda loro dai 3 ai 6 tari al giorno (un tari sono 42 centesimi) senza curarsi che questo reddito sia permanente e capace di graduati aumenti impalmano una ragazza dai ai 46 anni e cosi si caricano di figli senza sapere come provvedere alla loro esistenza non che alla educazione. Ostinati i figli come i padri loro a non voler uscire dall’Isola, mancando la carriera del commercio è delle grandi speculazioni, riservate agli estranei e agli armatori del Borgo alla Marina; poco o nulla amanti della carriera militare; non avendo beni di fortuna perché le ricchezze sono concentrate in poche mani; e volendo maritarsi a Palermo, non resta loro che la carriera degl'impieghi.

Ecco la sorgente principale di malcontento!... Il non avere altra via per provvedere alla propria esistenza che quella miserabile, monotona e sepolcrale dell’impiegato!... Io conosco qualche giovane che per la sua intelligenza e il suo genio sarebbe stato chiamato a percorrere una brillante carriera nel mondo dei vivi, ridotto a stentar la vita prima di aver compito gli studi perché a 20 o 25 anni ha già tre o quattro figli che gli chiedono pane. — Con questo non intendo di far l’apologia del celibato ma stimmatizzare l'abuso del matrimonio in chi non è ancora in grado di compierne i doveri.

Accade perciò a Palermo che pochi eletti si danno alla carriera delle scienze ed i più non avendo avuto campo di studiare si danno a quella di patrocinatori, sollecitatori, mezzani d'affari ec. che mancando poi di pane formano la numerosa schiera, dei così detti malcontenti.

Tutta questa torma di gente che va a caccia di una miglior sistemazione finisce o bene o male col trovarsi una nicchia, e qui veniamo a trovare il bandolo di quella inesplicabile ostilità spiegata contro la legge della soppressione degli ordini religiosi.

Il clero padrone di metà dell’Isola e diviso in non so quante mila società e confraternite provvede in gran parte a tutta questa gente legandola cosi alla propria causa.

L’avvocatuccio che ha dieci tari al mese per la procura di due o tre luoghi pii. L’amministratore di una confraternita che ne ha venti, l’impiegato che ha settanta lire dal governo e otto o dieci figli da mantenere che trova a guadagnare i venti tarì al mese per tenere i conti di un luogo pio. Un altro che ne prende sei o sette da tre o quattro conventi come patrocinatore. Un medico che ha trenta tari all’anno da dieci monasteri per assisterli, e poi chi hajl privilegio di vender la cera alla tal chiesa, chi i generi coloniali alla tal badia e cosi via dicendo; ci sono migliaja di persone le quali hanno un assegno o un lucro dai luoghi pii, meschino si, ma tale nella condizione di questa numerosa classe che senza di questo provento non potrebbero mantenere la loro famiglia o ajutare i loro parenti.

Né basterebbe conservar gli stipendi a titolo di pensione, e che come ho accennato sono meschinissimi, poiché v'è un’altra folla di gente la quale vive più che sugli stipendi, sulla malversazione dei beni ecclesiastici; la quale è come corollario immancabile di quella grande immoralità che sono i luoghi pii stessi — oltre di che v'è un numero immenzo di artisti il quale vive sui lavori esclusivi che dà loro il ricco clero e che si troverebbe peggio degli scenografi e macchinisti ai quali mancasse il teatro. Infine poi ci son tante famiglie che vivono sulle grosse prebende di tanti monaci.

Sembrerà impossibile a quei dell’alta Italia come vi siano famiglie le quali possano stare nel rango del mezzo ceto col reddito di due o tre lire al giorno; ma ciò è ammirevole e non strano quando si conosca la somma sobrietà e moderazione di questo popolo, che se pur ha una ricchezza vera questa è la mancanza di bisogni!... Getta più un giovane del mezzo ceto in minuti piaceri a Milano o Torino che non spenda utilmente un padre di famiglia a Palermo; nello stesso tempo però questa è la causa che non ci sia quel movimento di denaro necessario allo sviluppo delle industrie e del commercio che forma la vita e il lustro di una gran città

Altra causa di malcontento e mollo seria è l’aver dovuto togliere a Palermo il centro della magistratura. Al tempo dei Borboni tutta l’isola era soggetta a Palermo e la numerosissima classe dei legali d’ogni specie ne traeva ricchezze. Gran parte di questa gente che ha perduto tanti profitti, che erano a tutto danno delle altre città dell'isola, grida contro il discentramento in Sicilia e si schiera fra gli autonomisti, che vogliono il discentramento rispetto al continente perché riconoscono dall’annessione i loro danni. In una parola questa classe di autonomisti vorrebbe l’indipendenza quasi assoluta per poter privare di libertà e indipendenza il resto dell'isola, tornandola schiava di Palermo. Anche la legge sulla disponibilità ha contribuito a crear nemici più che malcontenti; ma quanti degli impiegati colpiti dalla legge non erano indegni della fiducia dello Stato? Lo provi il gran numero che ha preso parte nella sommossa brigantesca !

Tutte queste cause di malcontento, per una logica tutta loro, entrano nella oramai famosa formula dei sei anni di sgoverno, ma nessuna di queste poi riverbera direttamente sul popolo basso il quale è quello che ha rinteso dall’annessione i maggiori vantaggi, quantunque incompresi.

Se si analizzano le lagnanze della plebe queste si vedrà che si aggirono tutte su perduti monopoli e guadagni illeciti. L’unico danno materiale lo riceve dalla coscrizione perché spende somme incredibili per ottener l’esenzione, facendosi il più delle volte burlare da imbroglioni e camorristi; ma è pur la coscrizione che gli arreca il maggior bene morale essendo la sola impiegata efficacemente fin’ora per incivilire la plebe e le campagne.

Questa riluttanza si vincerà col tempo, l’istruzione e l’esempio quantunque proceda da inclinazioni antimilitari e riconosciute anche all’epoca della dominazione romana, nella quale da uno scrittore si dice dei siculi. «Gravis militia procul domo, terra marique multos labores, magna pericula allatura videbatur; neque ipsos modo, sed parentes cognatosque corum ea cura angebat.» [(*)]

Molto ancora resterebbe a dire su questo argomento ma a me basta di averne detto quanto è necessario perché si possa in qualche modo comprendere e spiegare l’orribile crisi che abbiamo traversata.

Vi riflettano poi sopra, i signori del parlamento non però teorizzando sulle scranne della sala dei cinquecento, ma inviando commissioni le quali studino profondamente, con serio e lungo esame le condizioni sociali di quest'isola e si persuadano che l’Italia se vuol esser una, quale ora è solo politicamente, deve saper conciliare l'unità con la varietà e adattarsi alle esigenze di ciascuna provincia.

Veniamo ora alle cause immediate ed ai primi sintomi di reazione.

Fin dall’epoca dei meeting in favore della soppressione delle corporazioni religiose, che finì con una solenne dimostrazione popolare contro la soppressione, si potè vedere come le forze attive della reazione fossero interamente in potere del clero. Da quel giorno tutti i partiti o meglio tutte le fazioni dei partiti di opposizione reazionaria si trovarono d’accordo sopra un terreno comune, che comprendeva il mantenimento delle corporazioni religiose fino alla cessione dei beni ecclesiastici in favore della provincia. L’attitudine della camera legislativa nella discussione di quella legge e il ritiro della, medesima ravvivò fino alla esaltazione le speranze di tutta la reazione che prese un’attitudine di belligerante.

La schiera dei frati non esitò a dire apertamente che il governo aveva avuto paura di loro e che non si deciderebbe mai ad attuare una legge che avrebbe cagionata una rivoluzione.

Instancabile il clero e il solo che in queste provincie meriti il titolo di partito, perché veramente organizzato per sua istituzione e potente sulle masse che sono lasciate in sua balia, raccolse sotto la sua bandiera tutto ciò che v'è di retrivo, di autonomista, di borbonico, di esagerato e infine tutta la massa della plebe bigotta e avida di saccheggio.

Se il partito liberale avesse in sei anni fatto la metà del lavoro che ha impiegato il clero nell’educare a proprio modo la plebe, io credo che l’insurrezione sarebbe stata impossibile e il popolo siciliano potrebbe stare quasi al livello delle altre città d’Italia. Invece tutti hanno cospirato a render più agevole il compito del clero, fomentando il malcontento, minacciando rivoluzioni, accendendo e alimentando sempre questioni autonomiste e di campanile, e barricando la via al governo cui si rendeva impossibile il governare.

Pesa immensa la responsabilità sui progressisti e liberali più che sui retrivi, perché oltre a non aver fatto nulla per il vero bene e l'educazione di questo popolo selvaggio, impedì l’azione benefica della libertà gridando a squarcia gola contro qualunque cosa venisse dal governo; senza vedere a qual pericolo esponevano il paese coll’indebolire ogni giorno il principio di autorità, che è tanto più necessario dové manca totalmente nel popolo l’educazione e l’istruzione.

II popolo ha compreso benissimo che Palermo era tutta d’un pensiero e contate le forze regolari di cui disponeva il governo e senza sospettare neppure la menoma opposizione dai cittadini, ha veduto giunto il momento di atterrare d’un sol colpo tutto ciò che rappresentava il principio di autorità, fatto segno all'odio universale, e vi è riuscito mantenendosi sovrano per sei giorni.

Io ho inteso dalle bocche dei popolani dire ad una voce che essi erano insorti per dar braccio forte ai signori; che vedendosi abbandonati dai Cappidduzzi (cosi chiamano il ceto pensante e ricco) si tenevano per traditi e ne avrebbero fatto massacro insieme a tutti i continentali, appena cacciate le truppe e liberati i detenuti — A me pare che la plebe dasse prova di alto buon senso quando si chiamava tradita dal ceto pensante che tanto chiaramente li aveva incitati per sei anni contro il governo e che poi ora per la massima parte l'abbandonava esponendola sola ai pericoli della guerra e della repressione.

Io son ben lungi dall’applaudire per sistema a tutto quello che viene dal governo, ma non mi pare opera di buon cittadino e di patriotta il cospirare allo scopo di distruggere, invece di migliorare. Lo incitare il popolo contro il governo nazionale è un voler usare una potenza demolitrice, che per quanto è valevole ad abbattere il dispotismo, altrettanto è dannosa dové si tratta di illuminare i governanti o sostituirne dei migliori. — L’opposizione che si basa sulla forza delle nostre masse, brutali e ignoranti, è un tradimento Contro la nazione!.... Degna arma dei Gesuiti!...

Infatti la stampa clericale è sempre sulla pesta dei falsi oppositori, e i reazionari a Palermo hanno raggiunto Io scopo piuttosto seguendo il loro sistema che non creando un partito nuovo ed esclusivo. Tanto che il clero è giunto a scroccarsi la fama di clero liberale, illuminato, progressista: Stoltezza il crederlo «Ut imperium evertant libertatem praeferunt, si perverterint libertatem ipsam adgrediuntur.» [(*)]

La tensione degli animi e l’anormalità in cui versava Palermo erano spinti a tal punto che era necessaria una crisi; ed ora ché in parte è avvenuta non esito a dire che potrà riuscire a grande benefizio se il governo e i cittadini onesti sapranno profittare dell'esperienza; ma ne dubito fortemente.

Dopo la dimostrazione contro il meeting ché fu assopita dalla guardia nazionale e dal risoluto contegno dei buoni cittadini, cominciò più serio il lavorio del clero e dei retrivi per preparare una rivoluzione. — Un vero comitato reazionario si formò e rimase segreto quantunque ne trapelasse resistenza. Questo comitato è stato in seggio durante l’anarchia e v'è molto a credere che esista tuttora a capo della reazione. — Il celebre Badia latitante fu scelto dal comitato dirigente come nome da darsi al popolo, di capo partito, e si giunse a stabilire il giorno della rivoluzione di cui neppure i capi sapevano quale ne sarebbe il programma. Rivoluzione per la rivoluzione… Fu prorogata per varie volte finché si dichiarò immancabile per la notte del 13 al 14 maggio 1865.

I cittadini che ben conoscono il loro popolo si allarmarono oltremodo, le botteghe di commestibili rigurgitarono di gente, la pubblica sicurezza dové intervenire ai forni ove si agglomerava popolo, chiedente pane; le strade si fecero quasi deserte; la guardia nazionale tutta nei quartieri, la truppa consegnata e i continentali ridevano come non riderebbero al certo in casi simili nell’avvenire!

La sera del 13 essendo la città in queste condizioni, il prefetto Gualterio fece uscire, un proclama rassicurante ((1)), inviò pattuglie numerose per la campagna e in una parola mise la città in vero stato d’assedio. Nella notte nessuno si vide uscire armato, né alcuno tentò penetrare nella città; solo qualche pattuglia si crede che incontrasse per la campagna dieci o venti armati che si dileguarono alla loro vista. Gli studenti domandarono le armi e avutele uscirono in perlustrazione. Il Prefetto tranquillissimo di spirito e fiducioso, discese per Toledo, si fermò lungamente al caffè di Piazza Bologni e al casino de' nobili. Nulla avvenne che disturbasse la quiete della città e il giorno seguente si rise dello scherzo di Badia e si pianse sulle condizioni morali di una città che si lasciava imporre l’allarme per voci sparse da poca canaglia. — Chi rideva era ben lungi dal supporre che vi potesse essere in Palermo una plebe cosi pronta a tutti gli eventi, e capace di fare ciò che non si ammette più possibile nella civile Europa.

Dal 14 maggio in poi non era più lecito a chicchessia di credere a chi aveva fino al 13 del detto mese avvertite le autorità e assicurato che la rivoluzione era immancabile. — E gli avvertimenti venivano particolarmente dalle prime notabilità del paese.

Chi non comprende come si possa ora veramente temere per davvero una insurrezione ogni volta che manchi una numerosa guarnigione, basta che legga la storia dei fatti che narrerò per persuadersi che in un paese dové un infinito numero di ladri ha l’animo, l’arte e l’audacia dell’assassino, e i cittadini onesti si chiudono in casa anche quando le forze del governo stanno a difesa della nazione in altre provincie, è possibilissimo che una città si trasformi improvvisamente in una foresta, dové gli assassini son padroni di esercitare il loro mestiere e i buoni cittadini si trovino in questa come viaggiatori in una vettura corriera alla loro mercé. Tale è stata la nostra condizione per sei continui giorni, col fucile alla gola senza poter respirare.

Se in ogni strada, anche passando per i tetti, si fossero riuniti venti cittadini, e barricati in una casa avessero tenuto in soggezione la loro strada, questo sarebbe bastato per impedire la catastrofe e la poca truppa allora avrebbe potuto fare il resto. Ma invece di 12000 guardie nazionali, 40 o 50 soli individui di cui 5 continentali sono andati al Municipio (compresi quelli che erano di guardia) per difendere la loro città, i loro averi e le loro vite. A spiegar questo fenomeno in una città di circa 200000 abitanti bisogna ricorrere a qualche criterio nuovo per chi non conosce profondamente le condizioni sociali e morali delle nostre provincie meridionali.

Né si dica che la città era deserta di gioventù andata con Garibaldi a combattere l’ultima guerra dell’indipendenza, poiché tutti sanno che il contingente di volontari della classe civile di Palermo è ben lontano dal raggiungere il centinajo.

Una delle cause più decantate del movimento è il cosi detto malcontento, parola vaga con la quale si vuole incolpare di tutto quell'incompreso ente che si chiama governo e che per le masse rappresenta ancora il tiranno. Nessuno vuol persuadersi che il regno d’Italia è costituzionale, che il governo siamo noi, poiché noi mandiamo alla camera legislativa i clericali e autonomisti come Dondes Reggio e Cantù; i cospiratori i guerriglieri, gli eroi, invece di economisti, amministratori, finanzieri, legisti e liberali di cuore, invece che liberalissimi di mestiere

Esaminiamo ora il malcontento che si vuol far ricadere a colpa del governo. — Il popolo basso paga più cari i viveri, perché si sono aperte le vie del commercio; gl'industrianti hanno quasi perduto il monopolio, per la libertà del commercio; la coscrizione che è tutta a vantaggio dei figli del popolo che partono automi dalla campagna e tornano uomini ((1)); Una più retta amministrazione della giustizia, che toglie a molti l’impunità; la mancanza di lavoro per l’incuria del paese, il difetto di associazioni e le condizioni eccezionali di una crisi finanziaria; la camorra osteggiata, e che dava ricchezze con poca fatica; i renitenti della leva, cioè gente ridotta a vivere di ricatti e latrocini in mezzo ai boschi; il domicilio coatto e le ammonizioni che hanno inasprito gli ammoniti e i parenti dei deportati, (l’immenso numero di ammoniti dalla polizia procede dall’impossibilità di aver prove dei reati commessi, tanto che non potendoli consegnare al procuratore del Re, cerca di tenerli sotto mano il più possibile per prenderli in flagrante)— Queste ed altre di simil genere sono le decantale cause di malcontento per il popolo basso che si addebitano al governo, non so con quale logica. Poi viene il malcontento per le leggi del Municipio, che diretto dai due ammirabili sindaci Stabile e Rudini, ha dovuto fare in sei anni quanto sarebbe dovuto farsi gradatamente prima in cinquanta o cento. Ogni ordinanza municipale impone sagrifizi o toglie inveterate abitudini, quindi malcontento in gente che non comprende l’igiene, la polizia urbana, l’ornato pubblico, ecc. ecc.

La guerra al contrabbando che riduceva a cento le rendite del comune mentre ora ascendono a centomila, ha creato migliaja di odi al Municipio. — Le tasse per sopperire alle spese di ornato o per meglio dire alle strade che erano impraticabili, all’illuminazione, alla nettezza, ecc. hanno dato pane a molti e molti operai; ma questi stessi lavorano gridando contro le tenui tasse che procurano loro se non altro il lavoro, e sono forse meno onerose di quella abolita del macinato. «Il sistema delle imposte mutato costrinse l’operajo a versare nel pubblico tesoro qualche lira di tassa gravata in forma diretta, che fu più doloroso a contribuirsi degli scudi che si pagavano per la tassa del macinato.» (Cosi dice il Sindaco nella sua relazione).

Insomma malcontento su tutta la linea ma ingiusto, insensato, figlio dell'ignoranza, e dello stato di barbarie in cui è stata educata la plebe. Politicamente parlando non si può tener a calcolo il malcontento di Palermo perché è lo stato normale in cui s'è trovata sempre sotto tutti i governi e persino sotto il suo proprio scelto nel 1848, contro il quale furono tali le ire da esser costretti a richiamare il Borbone.

Opinione pubblica non c’è, le masse non comprendono l’unità; della libertà non se ne fa uso e dové se ne usa eccede subito fino all’abuso; lo stato febbrile degli animi è continuo e in tutte le classi; tutto tende alla crisi, niente all’equilibrio, perché la malattia è sociale!

Veniamo ora ad un’ultima càusa determinante della insurrezione e forse la più potente. Questa è la soppressione delle corporazioni religiose. — Il clero di Sicilia ho già detto che è ignorantissimo e in gran parte peggiore della plebe stessa; vedendosi spogliare delle ricchezze e quindi del dominio temporale, ha reagito in tutti i modi possibili, finché vinto dall'elemento straniero all'isola, gli ha dichiarata la guerra. Diviso in due schiere, l’una di generali che agognavano ad una vendetta come quella della S. Bartolomeo, l’altra di soldati che credevano ad una possibile vittoria, hanno combattuto con l’accanimento e la ferocia di un partito che richiama il tempo in cui il Cristianesimo cingeva la spada. — Onnipotente il clero sulla plebe, anzi sulle masse, avendo compiuta la coalizione con tutti i partiti retrogradi, e favorita una grande epidemia autonomistica, che ha spento la vita nazionale nata nel 1860 e mal nudrita per sei anni, potè trovato il momento opportuno far insorgere dietro di sé mezza Palermo e ottenere la vergognosa astenzione dell’altra metà, cloroformizzata dall’artefatto malcontento affinché non si opponesse.

Il clero dirigente ottenne un risultato di gran lunga superiore a quello che si aspettava. Impallidì ai primi trionfi — avrebbe voluto retrocedere, prevedendo le conseguenze — ma si trovò impotente a tornar indietro quando ebbe scatenata la plebe. I capi forse volevano una dimostrazione ed ebbero una ribellione. Gli autonomisti che speravano un trionfo ebbero una sconfitta!

PARTE SECONDA

Tantum religio potuit suadere malorum!

Lucrezio

GLI AVVENIMENTI

Come esordio, verificatosi sempre io tutte le sommosse dell’Isola, sulla quale Palermo ebbe quasi sempre l’iniziativa, accadevano più frequenti i ricatti, gl’incendi, gli assassini per le vie corriere e si spargevano voci di prossima rivoluzione, la cui data si stabiliva e subito dopo veniva successivamente prorogata.

Fin dal mese di giugno si era veduta qualche temporanea riunione di armati che poi spariva senza lasciar traccia di sé.

Nel mese di luglio si diè per certa l’insurrezione e proprio per il giorno di S. Rosalia, tanto che l'autorità credè di prendere delle precauzioni. Fu veduta allora una banda di briganti a cavallo che in numero di circa trenta apparvero e scomparvero nel territorio di Alcamo presso il feudo Lavatore. — Fu incaricato il Capitano Allusia, uomo energico e molto pratico del paese, di stabilire un servizio allo a dar la caccia a queste bande e il bravo Capitano con la poca truppa che potè avere, e poca poteva dargliene il Generale di divisione, accorreva qua e là senza gran profitto poiché le bande si scioglievano all'appressarsi della forza e, deposte le armi ciascuno tornava al suo lavoro. Anzi si può stabilire che nel momento stesso in cui la truppa usciva dal paese dirigendosi verso di loro, quelli avvertiti con segnali, che non hanno nulla da invidiare al telegrafo, si disponevano ad eluderla.

È chiaro che un governo il quale non sa adattare la polizia a ciascun paese e si regola in Sicilia con le norme di Lombardia, debba rimaner burlato dai briganti che organizzati in vaste associazioni godono di una protezione senza pari nelle campagne e nelle stesse città. — Il Ministero della guerra ha spesi per la sicurezza pubblica dei miglioni in Sicilia senza ottenerla, mentre il ministero dell'interno avrebbe potuto impiegare meno della metà in spionaggio e l’avrebbe in gran parte raggiunta.

Dall’aprile scorso si era costituito in Palermo un nuovo Comitato reazionario che aveva estese fila in tutta l’Isola e con la previgenza che mancò al governo si disponeva fin d'allora alla possibilità di una guerra fra Italia ed Austria. Non mancarono anche gl'incitamenti da Roma ed emissari che dovevano organizzare il movimento reazionario in tutta la penisola.

Presi infatti i concerti necessari e stabilito che la Sicilia dovrebbe esser pronta ad insorgere al primo rovescio delle armi Italiane, al grido di Repubblica e inaugurando il sollevamento con una riedizione della notte di S. Bartolomeo contro i liberali, il comitato reazionario con tutto il clero lavorarono attivamente per reclutare gente atta a dar l’iniziativa, preparare la plebe al gran passo e stender le fila nella provincia.

Il 24 giugno giunse troppo inaspettato, l’isola non era tutta pronta e si decisero ad attendere. Il dispaccio del Moniteur li scompigliò ed ebbero ordine dal continente di non muoversi; ma il comitato impaziente credè di fissare un’epoca e stabili il settembre. — Infatti ai primi di settembre si ebbero di nuovo i segni precursori poiché apparve alla Portella della Paglia poco distante da Palermo, una grossa banda di oltre 80, quasi tutta gente del basso mezzo ceto, ex impiegati pensionati e renitenti di leva, che gridò viva la republica Italiana e portava la bandiera rossa.

Fu allora che il Generale, a quel che si disse, tornò a domandare rinforzi a Firenze con una certa insistenza e dicendo che per ristabilir l’ordine e la sicurezza erano necessari per lo meno 45000 uomini con i quali si sarebbero ricominciate le operazioni militari. Il ministero, more solito, avendo mezza fiducia nelle autorità locali, mandò il 40° Reggimento Temporaneo Granatieri credendo che potesse bastare a ristabilire la sicurezza pubblica.

Il Prefetto insistè ancor’esso per aver truppa, e per togliere la difficoltà di doverla tenere 7 giorni in quarantena chiamò intorno a se alcune delle principale notabilità del paese dicendo loro: che fra due mali, uno dei quali era forse inevitabile, li chiamava a scegliere; cioè o rinunciare alla sicurezza pubblica, o ricever truppe senza quarantena ed esporsi al colera. 1 signori non esitarono a scegliere escludendo assolutamente il progetto di lasciar entrar subito le truppe senza contumacia quantunque provenienti da paese non infetto. — Intanto in città si gridava a squarciagola per lo stato deplorevole della pubblica sicurezza nelle campagne, mentre le truppe si straziavano con marcie, controma. rcie ed appostamenti per le quali fatiche ne andavano un numero considerevole all’ospedale— Tutto questo lavoro però da Toledo non si vedeva!

Non devo io qui tacere che anche la Guardia Nazionale si prestò facendo un servizio tanto più pesante in quanto che era tutto addossato ai soli buoni e volenterosi i quali accorrevano ad ogni chiamata, sicché dopo circa venti giorni dové cessare stante l’onere troppo grave che pesava su quei pochi cittadini.

Finalmente il 7 o l'8 settembre una pattuglia che perlustrava presso S. Martino (monastero dei Benedettini) avverti la presenza di una numerosa squadra di briganti e mandò a chieder rinforzi per attaccarla.

L’ispettore del Molo sig. avvocato Agostino Fassio corse dal Questore che ricusò di prestar fede al fatto perché diceva esser i soliti sogni che finivano sempre con la sparizione del fantasma, senza ottener mai il menomo risultato dalle operazioni. Allora il bravo ed intelligente ispettore che conosceva praticamente come potesse essere vero il fatto, quantunque vane le operazioni militari per sorprendere i briganti, volle andar egli stesso con due pattuglie di 17 uomini, composti da Granatieri e Carabinieri. — Giunte per due diverse strade sotto il monte Caputo videro realmente una grossa banda di briganti che invece di ritirarsi scaricò verso di loro i fucili. Allora vedendo troppo deboli le sue forze. per attaccarli fra quelle roccie, mandò a domandare rinforzi ed egli si ritirò a S. Martino. — Partirono molte truppe per circondare il Monte Cuccio, fra le quali il bravo. ed esperimentato capitano Allasia con i Carabinieri. Giunti nel luogo ebbero una scaramuccia con la Guardia Nazionale di Torretta accorsa non si sa bene a quale scopo, e che a prima vista non riconobbero essendo in abito borghese.

Nello stesso tempo anche il Luogotenente Lamponi avuto sentore del fatto era salito sul monte Cuccio con i suoi Carabinieri e poi,unitosi con gli altri percorse quei luoghi in tutte le direzioni. — Senza aver ottenuto niente dopo due giorni e due notti di fatiche tornarono tutti a Palermo e il capitano Allasia consegnò il rapporto che costatava non solo l’esistenza della banda ma che alcuni suoi soldati avevano veduto un gran numero di uomini armati sopra le più alte roccie, che gridava loro magna polenta; che v’erano mescolale delle persone civili; che avevano un capo, il quale trasmetteva gli ordini con una tromba; disse anche d’aver saputo dai caprari del monte essere tutt’altro che briganti poiché erano passati senza rubare né commestibili né cavalli ed anzi pagato largamente quanto avevano requisito— I cittadini seppero tutto questo e le autorità invece dai rapporti conchiusero che la banda di Monte Cuccio era un sogno. Questo fatto certamente non fa onore alle autorità ma non influì ai danni sopraggiunti in seguito poiché è certo che Prefetto e Questore, quantunque non credessero ad una insurrezione, pure usarono anzi abusarono delle forze di cui potevano disporre facendole correre giorno e notte in tutte le direzioni.

So anzi che fra la truppa, le guardie e i Carabinieri c’era del malcontento, perché si esigeva da essi più di quello che potessero sopportare potendo appena dormire una notte sopra tre.

Intanto per la città correvano voci sinistre e i borbonici spargevano che la restaurazione sarebbe accaduta verso la metà di settembre per opera degli Inglesi (sempre nel popolo si fa giuocare l’influenza inglese dovunque si tratti di restaurazioni; son tradizioni!) essendo prevalso per necessità politica il progetto della confederazione Italiana, proposto e caldeggiato dalla Francia (per quest’ultima stravaganza erano compatibili perché l’abbiamo letta mille volte sopra certi giornali scritti da certi grandi pubblicisti improvvisati!) .

Qualche borbonico che vive lungi da Palermo scriveva già da due mesi che ritornerebbe a settembre trionfante. — Si vedeva da qualche giorno un grande andirivieni al palazzo dei duchi d’Orleans e un grande agitarsi fra i loro coloni a Montelepre. In poco tempo escono tre proclami in carta rossa, dei quali il lettore ne troverà due riprodotti nel fine di questo capitolo.

Un avviso manoscritto stabilisce l’insurrezione per il giorno 4, un secondo avviso la rimette all’8 e infine il giorno 14 un terzo avviso in forma di proclama stabilisce il giorno 16.

Quel pecorajo che gridò al lupo tante volte per ischerzo non fu poi creduto quando chiamò ajuto per davvero. A questo aneddoto si informa il sistema insurrezionale dei siciliani, che all’originalità unisce un'utilità pratica.

Il giorno 10 o 12 furono presi due briganti, che cederono perché raggiunti da una palla di moschetto che li ferì, e questi confessarono (cosa straordinaria!) di essere pagati a 4 tari al giorno (1,70) per tener la campagna, armati, e star pronti agli ordini.

Il 14 e 15 entrarono pochi carri di vino ed olio mentre crebbe di molto l’introduzione della paglia per i cavalli. Ciò mostra che si aspettava d’introdurre i generi senza dazio e che v’era ricerca di paglia nella prevenzione che sarebbe stato difficile di averla per qualche giorno (in città non ce ne sono depositi).

Sembrerà a chi legge che tutti questi indizi cosi chiari e parlanti dovessero bastare per autorità a renderla avvertita. Qualcuno anche dirà che vi sarebbe da mettere in stato d’accusa il Prefetto ed il Questore. Io sostengo il contrario quantunque ammetta che abbiamo un governo cieco e senza energia di sorta; un sistema di mezze misure, d’incertezza e di paure; un miscuglio di rivoluzione e di reazione; più poeti che politici, infine quello stadio di disordine pel quale son passate tutte le nazioni prima di raggiungere l’equilibrio, dopo aver provato un gran rivolgimento. — E più anche per noi perché non c’è stata una grande crisi sociale capace di rovesciare il vecchio edilizio.

Trovandosi le autorità locali in condizioni anormali, come il governo centrale, deve mancar la forza in quelle come in questo. Cosa può fare un’autorità ibrida e impotente quale è un prefetto in Italia, innanzi alle difficoltà colossali, infinite che presenta una provincia come questa? In un paese dové è condizione normale lo stato prossimo alla rivoluzione; dové l’insurrezione si minaccia si organizza, e ne presenta i sintomiad ogni fase della luna? Cosa può fare un prefetto con autorità subalterne e collaterali quasi indipendenti?

In un paese dové formicolano i malandrini e dovrebbe governarsi con una potente pulizia, cosa può fare un Questore senza quattrini? Mentre un ispettore o un brigadiere di Carabinieri non può disporre di una lira, e se gli viene concessa deve presentare la regolare ricevuta in doppio originale!

Io sostengo dunque che prevenire una insurrezione della plebe di Palermo non era compito delle autorità locali ma sibbene del governo centrale. Le autorità locali non possono far più che tener informato il governo sullo stato della sicurezza pubblica, sulle condizioni in cui versa il paese e sui preparativi di sedizioni ogni volta che si ripetono. Toccava al governo centrale il conchiudere che Palermo non può stare senza, una forte guarnigione, o almeno appena richiesti i rinforzi inviarli subito senza curarsi della quarantena, tanto più che poteva mandar truppe provenienti da città non infette.

Cosa può poi aspettarsi il governo da uomini che in sei anni hanno fatto il giro di tutte le prefetture d’Italia? Questo è sistema per aver buoni ministri affinché conoscano bene tutte le provincie, ma non si provvede cosi al bene e all'interesse degli amministrati — Perché per esempio togliere a Palermo Gualterio e Medici che già conoscevano l’indole del paese? Come si poteva meglio usufruttuare il patriottismo e l’esperienza di questi due uomini che affidando loro la provincia la quale sopra ogni altra ha bisogno di essere ben governata? Non dico per questo che Torelli e Righini valessero di meno, ma è il cambiare che nuoce e giustamente se ne lagnano i siciliani! Oltrediché ogni uomo ha la sua nicchia e non sempre chi è attissimo a governare Milano lo è egualmente per Palermo.

Ma torniamo alla storia. — Le condizioni morali della popolazione e i sintomi accennati di insurrezione fino alla sera del 15 settembre non sono che la ripetizione del 13 maggio 1865, anzi assai minore di quell'epoca è l’agitazione e infinitamente minori le provviste di generi commestibili che il 13 maggio furono generali e tali che mancando il pane e la pasta, si vendé tutto un grande magazzino di vecchie gallette ammuffite e ritenute fin’allora per invendibili.

In questo stato di cose il temer sul serio la insurrezione (tenendo un sistema di polizia preadamitico che sa solamente quello che si vede e si tocca con le mani) sarebbe stata stoltezza, ma l’estendere piuttosto in città che fuori le precauzioni, come potè fare il M. Gualterio l’anno innanzi, sarebbe stato utile non solo ma si sarebbe evitata la catastrofe, perché duemila soldati comunque fossero reclute, impiegati la sera del 15 a vegliare per le principali vie e le porte avrebbero incoraggita la guardia nazionale ad uscire e tenuta quieta la città i rinforzi sarebbero poi giunti per purgare la campagna. Credo però che il timore di farsi burlare la seconda volta influisse molto a non far prendere questo provvedimento.

Che non si avesse fiducia alcuna nella guardia nazionale è cosa giustificata dai fatti e certamente alle prime schioppettate i buoni sarebbero fuggiti a casa e i cattivi avrebbero sparato contro i buoni e la truppa; ma qui sta il grande errore del Prefetto e del Questore, poiché se conoscevano il paese dovevano sapere che se la guardia nazionale avesse occupato tutta la città e le petizioni, il popolo non avrebbe tirato neppure una schioppettata e il 16 settembre sarebbe stato come il 14 maggio; cioè evitata la insurrezione e il prefetto Torelli l’avrebbe lasciata in eredità al suo successore come Gualterio l’aveva lasciata a lui. Cosi accade quando si governa alla giornata e non si è persuasi che non est diuturnus magister offici timor.

Mi perdoni il lettore tutte queste diversioni ma io non so farne a meno perché spero con questo di spiegar meglio il vero stato delle cose che altrimenti non si concepirebbe possibile da chi vive a Torino o a Milano

Molte cose dovrei ancora aggiungere che dimostrerebbero maggiormente l’operosità spiegata dal Prefetto e dal Questore al ravvicinarsi del pericolo, ma basterà quello che ho detto per far comprendere al lettore che le autorità non dormirono e se non poterono scongiurare la tempesta questo fu per mancanza di forza armata e forse anche per poca tattica.

In un paese dové la forza dei cittadini onesti è eguale a zero; dové là resistenza che i buoni oppongono ai tristi, come si è veduto nella settimana repubblicana, è la forza d’inerzia è la chiamano sapiente inerzia; dové c’è una plebe numerosa, brutale, ignorante, e guidata da uri clero peggiore della plebe stessa; dové il prestigio dell’autorità è nullo e confina anzi con l’odio, e l’arte di far le sommosse è sviluppatissima, tradizionale e succhiata col latte, non farà meraviglia che sia accaduto in sei giorni quanto ora verrò narrando.

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Ecco due dei proclami che mentiscono una forma repubblicana ma in fondo sono un vero prodotto di sagrestia. Vi si troveranno le solite parole altisonanti prese in prestito non dalla vera ma dalla falsa democrazia, con l’aggiunta delle nuove declamazioni che suonano Custoza e Lissa, ve ne fu un terzo che non ho potuto avere e che portava, a quel che si dice, la data di Lugano. Io non credo ad una tale provenienza che accennerebbe a Mazzini poiché ripugna un simile connubio fra l'ex triunviro della repubblica romana e la causa dei preti a Palermo.

ITALIANI!

Il sacrifizio dell’Unità, della Libertà, dell’Indipendenza, dell’onore d’Italia è stato consumato.

Voi illusi e dimentichi della tradizione dell'esecrata genìa dei Re un giorno fatale, deponeste nell’urna il fatalissimo Si.

Credeste a far una, grande e temuta la Patria, esser d’uopo della Spada d’un monarca; e scriveste sulla Bandiera d’Italia, col sangue dei vostri martiri, gloriosamente caduti nella rivoluzione— Vittorio Emanuele.

Quel Si, fregiò la corona del re del Piemonte e lo disse re d’Italia. Quant'era opera santissima, vergare invece una sentenza di morte contro chi osa ancora chiamarsi erede del sognato diritto divino.

Quel Si, per una inesorabile logica vi ricambiò, e ne aveste violenza, assassinio, lutto, miseria e sfrenata tirannide.

Una masnada di ladroni han governato per sei dolorosissimi anni la Patria nostra. Una masnada di feroci l’hanno insanguinata. Una masnada di vili l'han fatta schiava del turpe Uomo che infama la Francia.

A tanti ineffabili mali, a tanta dolorosa esistenza, per annientare moralmente l’Italia, vi si aggiunse lo schifoso tradimento. Quel terribile fantasma che si estolle in mezzo al cruentissimo campo di Custoza e sulle insanguinate acque di Lissa, cui si legge in fronte: Malatesta Baglione Redivivo. — Rappresenta il fedifrago re d’Italia.

Ma che potevate sperare dalla corona che tradiva in Novara e perfidamente consegnava l'Eroica Milano alle orde Austriache? e bombardava l’Italianissima Genova? ma che potevate sperare da chi assassinava in Aspromonte l’invitto Generale Garibaldi? da chi segnava con mano Parricida la convenzione del 15 settembre e l’insanguinava la clamide reale colle stragi dell’innocente popolo torinese?

Che più oltre vi rimane a sperare? l’amara delusione, il triste disinganno avvelenano adesso la nostra vita, vi creano un rimorso e. vi strappano dalle labbra una maledizione; essa però non fulmina oggi i malfattori e traditori di Patria; è dovere alzare il braccio e percuotere risolutamente la testa cinta dall’infangata traditrice corona.

I soldati, sulla cui forza spera sorreggersi la tirannide, sono nostri fratelli, strenui campioni figli d’Italia;— di quell’Italia tradita, venduta manomessa, spogliata: Essi non potranno nell'ora del cimento ritorcere la loro arma contro il seno del fratello e della sconsolata madre, senza macchiare la loro onorata fronte dello stemma del Parricida. Non il Soldato raccolse l’infame retaggio di Caino e di Giuda; ma l’iniqua stirpe dei Coronali tormentatori e carnefici dei Popoli.

ITALIANI DI SICILIA

Destatevi! il vostro letargo, questo inqualificabile indifferentismo vi disonora e potrebbe annoverarvi nei vili; ma siete tali voi? Voi popolo delle barricate, popolo delle grandi iniziative che distruggeste il trono del tiranno Borbone? noi Voi siete i degni figli di Procida, i nati nella terra dei vulcani e non potete senza eternamente infamarvi tracannare il calice colmo del disonore e della vergogna d’Italia.

Si scrivan nella storia a caratteri di sangue le quattro dolentissime pagine di Novara, Aspromonte, Custoza, e Lissa; ma si scriva ancora la pagina. — Il popolo Italiano seppe in un solo giorno vendicare d’Italia il tradito onore frantumando, sulla tomba dei suoi figli la maledetta corona della Casa Savoja.

ITALIANI!

Alzate il grido e col grido la mano, sterminate quel Trono e sulle rovine di esso s'innalzi l’intemerato Vessillo della Italiana repubblica. E desso il Vessillo che rese Roma immortale, Italia grande, e regina del mondo; qualunque altro Vessillo è straniero all’Italia.

Là sui campi di Custoza fissate per un’istante lo sguardo: essi biancheggiano del bianco delle ossa seminate dei nostri più cari nell'infelice tradita memoranda giornata del 24 luglio, nell'eroismo di quel giorno, al paragone, ogni eroismo cede. In quel giorno non uno, ma ventimila furono i Leonida, i Ferucci, i Garibaldi, i Massena, i Neij, i Desaise. — Il tradimento però li spense tutti.

Fissate lo sguardo nell’acque di Lissa, terribile è a vedersi!! — sono corpi mutilati, tronche braccia, teste spezzate staccate dal busto, membra fatte a brani che galleggiano ancora sulla superficie dell’Adriatico. Vedete li quell’uomo, quell’eroe che ogni sforzo adopera per istarsi diritto in mezzo alle onde, egli è l’immortale Luigi Cappellini Comandante La Palestro; egli compreso di dignità nazionale, geloso custode del proprio onore, e dell’onore d’Italia, preferì bruciare la propria carne, anziché per campare la vita, vedersi contaminati i polsi della catena Austriaca. Chi li spense? il tradimento!

Fissate finalmente lo sguardo nel montuoso Tirolo.

Una prediletta schiera di generosi coll'abnegazione del martire che muore per un’idea, con l’incancellabile fede nell'anima di vincere ad ogni costo, muove per quei monti, per quei dirupi. È rossa l’assisa! ah e la magica invincibile camicia dell'Uomo ferito sul calvario d’Aspromonte. Riconoscili o popolo! donne italiane ravvisateli! sono i vostri figli, i vostri fratelli, i vostri fidanzati! Eglino spinti dall’amor di Patria, compresi dal sacro fuoco della libertà; corrono nudi, scalzi, senza armi, macilenti per l'idea di più giorni; congelati dalla neve sulla quale posarono le stanche membra, la trapassata notte. — A snidare da quelle balze i ladroni Croati; romperli, fugarli, sospingerli per sette miglia con le bajonette alle reni..... e nostra la vittoria si?.... ma la terra è coverta di cadaveri; le carabine non prendono fuoco, le cartuccie premono acqua, perché non provveduti dalle cartuccie.... Si, è nostra la vittoria ma a prezzo di un fiume di sangue voluto dal tradimento.

Gli uni e gli altri alzano ora la voce e gridano vendetta. — Vendetta dei traditi. — Vendetta della disonorata ed infamata patria; Cada il nostro sangue — essi gridano — come fulmine sull’abborrita anima dei traditori tutti.

CONCITTADINI!

Se il disonore e l’infamia con cui han voluto ammantare l’Italia non vi desta, se la vendetta bramata dei caduti per tradimento non vi muove, la mano del Dio degli oppressi inciderà sulla vostra fronte la terribile sentenza. — Abbietto, schiavo, ti maledico.

Ma io sento nell’anima mia il vostro furore, voi correte alle armi,... al vostro braccio unisco il mio, alla vostra unisco la mia voce, Viva l’Italia repubblicana!

Palermo agosto 1866.

VIVA LA REPUBBLICA!

Concittadini,

Predestinata questa terra alle grandi iniziative, va a compiere l’alto dovere di congiungere alla memorabile epoca del 1789 l’altra del 1866.

A tanta eccelsa opera è d’uopo la concordia; giù dunque in nome della patria tradita, in nome dell’onore d’Italia, in nome dei nostri martiri, i rancori, gli odi di parte, le inimicizie, le bassezze; un eterno oblio, un denso velo sul passato.

Guai a chi oserà versare sangue cittadino per libidine di vendetta; guai a chi oserà mettere un dito sugli altrui averi.

La rivoluzione, dopo la convenzione del 15 settembre, dopo Aspromonte, dopo le stragi di Torino, dopo il sanguinoso e nero tradimento di Custoza e Lissa, è il più santo de' doveri.

Tollerare in pace i crimini dell’obbrobriosa monarchia non è vigliaccheria soltanto, ma consentita complicità. Permettere di male, vale quanto commetterlo. Noi siamo nel caso della legittima difesa.

Ci annettemmo sotto la solenne condizione dell’unità della libertà, dell’indipendenza d’Italia. Che ne ha fatto di questa grande e sventurata terra la spergiura monarchia? I’ ha rubata all’ombra della derisoria costituzione, l’ha prostituita, l’ha corrotta, l’ha coperta d’infamia. E poiché essa si pone a traverso la via; poiché sbarra il passaggio a noi tutti col trono e col patibolo, noi facciamo come la figlia di Tarquinio, che ci passi sopra il petto anziché indietreggiare.

Sia il primo atto della nostra rivoluzione, un bacio di fraterno amore, e nel contempo ci solleveremo come un sol uomo a combattere i’ inimico comune, col grido Viva la repubblica Italiana,

Ufficiali e Militi della guardia nazionale!

A cittadini di tanto patriottismo e di tanto onore, qualsiasi parola la crediamo superflua.

La bandiera della Repubblica Italiana dopo le ultime tradizioni è la sola che rimane ai non compri e onorati Italiani. Noi, siam convinti, non esiterete a scegliere tra il gran delitto di sorreggere i traditori, e il sacro dovere di difendere e dar vita alla tradita e disonorata patria nostra.

Se poi un fatale destino vuol sangue fraterno, versatelo pure, noi, sappiatelo, non imbratteremo le nostre mani di sangue cittadino. Assaliteci pure, noi, vi risponderemo col ramo d’ulivo nelle mani. Si pregi chi vuole della maledizione caduta sulla fronte di Caino; noi altamente protestiamo non appartenere a quella stirpe.

Soldati della truppa regolare!

La gran lotta tra l’Italia che vuol essere, contro la monarchia omicida dei vostri compagni a Custoza ed a Lissa, sta per cominciare!

Ritenendovi macchine e privi affatto di palpiti per la patria e per l’onore, vuol farvi istromento d’assassini, di turpitudini, di brutture, vuol farvi carnefici di voi stessi, delle vostre sorelle, delle vostre madri: vuole che uccidiate la Patria e chiamarvi Cosacchi.

La monarchia per ingannarvi vi parlerà di onore militare, che non conobbe mai, di giuramento, che ha mille volte spergiurato.

Ricordatevi pertanto, che onore, giuramento non si traducono sgozzare la Patria, bagnare di sangue fraterno le strade ed i campi, deludere la libertà della propria terra «ma» difenderla, darle vita, onore, potenza.

Tra il farvi sgherri della tirannide, o Cittadini soldati della patria, sta in voi la scelta. Noi per i primi vi porgiamo la destra al grido di viva la Repubblica Italiana,

Palermo.

Il 15 settembre

L'odi tenaci, la smorta paura,

Lu tradimento, chi si teni forti

A la silenziaria congiura;

La vinditta, chi àv'armi d’oogni sorti;

G. MELI

Perché il lettore possa farsi un’idea il più possibile giusta delle condizioni in cui era Palermo alla vigilia della sommossa, gioverà enumerare le forze di cui disponeva il governo, le posizioni che occupava la truppa e le condizioni della città. La forza regoline sparsa in tutta la provincia di Palermo si componeva di quasi tutte reclute della leva 1845 che appena sapevano caricare il fucile; di reclute della leva anteriore e che da quattro o cinque mesi erano sotto le bandiere; di circa quattrocento Carabinieri buoni ed esperimentati, e di pochi artiglieri. Si può dire francamente che il corpo degli uffiziali presentava più elementi di forza che non tutti i soldati presi insieme.

Questa guarnigione era composta come segue:

10° Reggimento temporaneo Granatieri

746

5° Battaglione del 10° Fanteria due, compagnie

295

5° Battaglione del 70° Fanteria

516

6° Battaglione del 67° Fanteria

491

10° Batteria dell’8° Reggimento Artiglieria

148


3196

La metà di queste truppe risiedevano costantemente in Palermo, le altre o distaccate o inviate per rinforzo di quà e di là secondo il bisogno. I Carabinieri fissi a Palermo erano circa 200 e. v'è da defalcare poi un notevole numero di malati.

Le principali posizioni occupate in città erano le caserme a Porta Nuova, la Vicaria, il semidistrutto Castelloa mare, e il quartiere dei Quattroventi, oltre a molti posti secondari; dimodoché la già esigua, guarnigione era sparpagliata per la città in tutte posizioni poco o nulla difendibili.

Delle forze cittadine e comunali, come si vide col fatto, non v’era da farne gran conto a meno di qualche eccezione, e poco si poteva contare su quelle della Questura per una resistenza armata.

D’altra parte le forze del nemico erano da lunga pezza moralmente organizzate e immensamente superiori di numero; né questa organizzazione poteva trapelare, poiché consisteva nell’aver mantenuto il popolo in quell’atmosfera di odi, d’ignoranza e di superstizione, quale respiravano all’epoca de' Borboni. Infine la disposizione ad insorgere alla prima chiamata, è lo stato normale, e basta che manchi una pressione perché sviluppi a profitto di qualunque partilo il quale voglia servirsene per distruggere il governo esistente.

Il giorno 15 trovò la città in queste condizioni. Il popolo era da gran tempo disposto o insorgere, sapeva che l’ultimo giorno designato era il 16 settembre, ma le schioppettate lo avrebbero avvertito del momento opportuno per uscire armati e unirsi a chi dava l’iniziativa. — Il comitato avendo sotto i suoi ordini immediati dieci o venti capi squadra avrebbe dato il segnale e questi avevano già disposto un centinajo di uomini, fiore di ribaldi, che al primo loro cenno sarebbero usciti a tirare i primi colpi di fucile per chiamare il popolo a fare altrettanto. — Altre due centinaja almeno erano invitati ad entrare in città ed unirsi ai primi e questi eran tutta gente da galera, latitanti e renitenti di leva, in gran parte palermitani o dei vicini giardini, insieme a gente uscita dà Palermo stessa il giorno precedente per tornare con la gente reclutata nelle campagne. Il prestigio che godono le squadre venule dal di fuori è tale, che era necessario questo stratagemma per meglio suscitare la sommossa.

L’agitazione dei cento e ‘forse più, nascosti o per meglio dire acquartierali in città da vari giorni nei conventi, nei monasteri e nelle case, davano il sentimento della vicina catastrofe a quanti li conoscevano e vedevano i doro preparativi, e questi eran fatti abbastanza palesamento in mezzo ad un popolo che tutto quanto si farebbe ammazzare piuttosto che svelare il nascondiglio e le trame di un assassino.

Le classi. superiori partecipano della commozione prodotta da questi preparativi di armi e munizioni ai quali naturalmente deve prender parte molta gente; vedono ciò che sta per accadere e ili onesti avvertono le autorità con lettere anonime, senza però indicare una sola casa ove si nasconda un brigante o reazionario,0 si cospiri. L’agitazione delle classi civili si accresce nella giornata e nasce la voce pubblica che accenna il prossimo sconvolgimento. — Allora qualche distinto cittadino va ad avvertire le autoritàche per il dimani si avrebbe finalmente la cento volte minacciata e da essi preveduta e denunziata rivoluzione. — Ma dové sono i reazionari? dové è il covile... un covile di sediziosi? dové le armi per la plebe che non le possiede? Come può accadere una grande sommossa se nessuno dei tanti liberali e buoni cittadini ha potuto trapelare, scoprire e denunciare un solo cospiratore! Si danno vaghi indizi, si designano varie località campestri ove sono radunate delle squadre... va, anzi corre la truppa non trova anima viva... Insomma l’unica vera ragione portata in prova delle asserzioni è che la rivoluzione ci sarà perché ci sarà (il qual modo di dire denota nel dialetto la somma convinzione di chi asserisce e l'ultima ratio). Cosicché essendosi verificato questo strano fenomeno più volte e non essendo ora più marcato di quello che fosse il 13 maggio 1865, non produce l'effetto di allarmare le autorità in modo serio, ma piuttosto desta la compassione.

Le monache e i frati scienti di tutto non solo, ma organizzatori e promotori, si danno un gran da fare per avvertire amici e parenti; a chi di star pronto ad operare, a chi di nascondersi, a chi di metter in salvo i valori, a chi di sperare nell’avvenire, nella provvidenza, nel Dio giusto ec. ec. ed infatti ciò che più desta l’allarme nel ceto civile sono gli avvertimenti ricevuti dalle monache che mai avevano insistito tanto nel raccomandare ai parenti di mettersi in luogo sicuro per non esser offesi, ben s’intende, dai soldati.

La classe eletta di onesti e veri liberali guarda, esamina e poi resta indifferente perché confida nella stella d’Italia. Questa classe con tutti i continentali italiani e stranieri si persuade che è il solito giuoco e nulla avverrà di serio.

Il comitato intanto non dorme e vede maturarsi il suo progetto in modo maraviglioso, tanto che credè non solo giunto il momento opportuno ma non sarebbe più in tempo per tornar indietro, lo dalle voci sparse, dai discorsi di popolani influenti e dagli ordini dati alle squadre credo di poter dedurre che esistesse non un comitato con pieni poteri, ma solo un centro, un ministero costituzionale che dipendesse da una vasta associazione di reazionari tutti unanimi nell’azione.

Alle tre pomeridiane pare che si desse il segnale ai capi squadra che sul far della sera erari già tutti al loro posto. Non v'è più a quest’ora alcun ritegno e nell’interno dei quartieri si lavora a faccia scoperta senza che la polizia sappia è molto meno veda nulla. Anche i confidenti della pulizia si guarderebbero bene in questo momento di accusare alcuno, tanto che in certe strade più remote la sommossa è già un fatto che si compie.

Sono avvertili quei di fuori che si avvicineranno alla città durante la notte, partono emissari per la provincia, ordini speciali non servono a nulla perché son tutti briganti che conoscono bene il mestiere e basta aver dato loro dei capi squadra. — Basti dire che non pensarono neppure a tagliare il telegrafo nella stessa notte, e questa fu la nostra salvezza.

Certo è che il comitato sapeva di poter contare dopo un primo trionfo sopra non meno che ventimila insorgenti, non si sa però se quale limite si fosse prefisso chi era capo istigatore, ne quale il vero scopo ove non fosse tanto sciocco da credere ad una insurrezione generale di tutta l’Italia dopo l’iniziativa di Palermo. Per me ritengo che chi era vero capo volesse telo una grande dimostrazione, lasciando poi che il comitato col suo parlamento s’ingolfasse in qualunque più spericolata impresa; come è sistema di tutti i grandi cospiratori e che fu anche di Mazzini il quale a furia di piccole rivoluzioni le più azzardose e senza scopo diretto, tendeva a preparare la rivoluzione.

Tutto il giorno 15 passò cosi apparentemente tranquillo, ciascuno andava per i suoi affari, ma pur si notava nella stessa Toledo un gran girandolare di preti e frati che andavano con un’aria più tracotante del solito e uniti a tre e quattro insieme.

Nella campagna ognuno fa i fatti suoi e non si rinvengono le riunioni di armati che l’opinione pubblica e le lettere, come ho detto, indicano già pronti in certe località. Né erano estranei all’isola i delegati che la questura inviò insieme alla truppa, poiché per quattro quinti erano anzi palermitani. Ma è naturale che i renitenti e assassini rimanessero nascosti fino al momento dell'azione e gli altri lavoravano pacificamente come al solito tenendo il fucile fra i cespugli e pronti sempre a partire.

Di tanta gente che bazzica la campagna e che conosce le intenzioni dei cospiratori, non v'è uno, non uno solo che ami il paese tanto,, quanto basti a deciderlo di andar ad avvertire le autorità o far conoscere l’imminente pericolo alle pattuglie che corrono la campagna. Il governo non può contare che su quello che vede con i propri occhi, o credere ingenuamente a voci già tante volte sbugiardate dai fatti, quantunque abbiano un fondo di verità che per onor del paese vi era ripugnanza ad ammettere. — Triste condizione per un governo che non ha saputo e 4on ha voluto organizzare una pulizia! E pulizia sola che sappia metter le mani sui ladri d’ogni specie basterebbe a disarmare la reazione in queste provincie!.. Salvo poi a curar la piaga sociale che li produce.

Qui giova anche far riflettere che in sei anni i reali non hanno mai cessato di essere in una proporzione spaventevole, e la vera sicurezza pubblica non si è mai avuta. — Bisognava procurarla ad ogni costo con mezzi anche eccezionali se si voleva educare il paese a respingere il malandrino e far causa comune col governo. dové si è abituati per necessità a stringer la mano al malfattore tanto più strettamente per quanto questo è più terribile e carico di delitti, per non esser preso di mira e fatto soggetto delle sue vendette e aggressioni, bisognava dare tanto di tutela quanta bastasse per renderli fiduciosi nel governo e in modo da indurli a dichiarar la guerra alla mafia e ai malandrini!

Ciò si sarebbe ottenuto non in un mese o due o dieci, ma nei sei anni di libertà si poteva portare a tal grado da evitare ora ciò che è accaduto. — 11 compito era difficile perché si tratta di abitudini inveterate e di uno sterminato numero di reprobi, ma con. vera energia e leggi opportune si poteva far molto.

Altra cosa che bisogna tener a calcolo è che l’odio per il governo è quasi universale e anche i relativamente onesti hanno goduto nel vedere i danni del governo per sei giorni umiliato se non vinto.

La Guardia Nazionale mal organizzata è un altro fatto e grave poiché fra 12000 ve ne sono stati oltre a 3000 che si sono uniti più o meno strettamente agl'insorti e vari capi squadra appartenevano a questo corpo che doveva tutelare l’ordine.

Infine il non aver invigilato sulla Massoneria la quale racchiudeva quasi tutti gli elementi che hanno organizzata l’insurrezione è anche un gran torto per il governo locale che aveva già dei fatti contro quell'associazione fin dall'epoca del meeting, ma questo torto rientra nell’altro della mancanza totale di polizia. 11 governo infine ripeterò, che ha voluto governare Palermo come Torino e Milano e la Camera ha voluto far le leggi per un’Italia, senza occuparsi di adattarle a ciascuna provincia, ordinando larghezze o restrizioni secondo il bisogno e le condizioni speciali delle medesime.

Torniamo ai fatti. — Dopo il mezzogiorno del 15 cominciava a trasparire l’agitazione nei cittadini un poco più marcata e il Generale Camozzi ebbe avvertimenti da qualche amico. Anche le altre autorità ne ebbero di nuovi e raddoppiarono la vigilanza che può fare una pulizia senza pulizia, cioè di far passeggiar pattuglie dalla parte dové si aspettava il nemico, senza sapere che il nemico era in città ed era la plebe stessa.

Il Questore che era già vittima d’una camarilla, che con le più squisite arti gesuitiche lo avea circondato, credè ai suoi confidenti più che agli altri e qualificò d’insensati quelli che troppo temevano; e difatti non avea in mano alcuna prova che potesse indurlo a temere seriamente.

Il Prefetto ed i generali non rimasero indifferenti ai timori e chiamarono il Questore perché esponesse il vero stato delle cose. É inutile il dire con quanta sicurezza il Pinna dimostrasse che si ripeteva il caso identico del 13 Maggio e che non bisognava farsi burlare la seconda volta.

Nessuno sospettò che il 13 Maggio abortisse per la forza spiegata dal governo e dalla Guardia Nazionale e si prese la deliberazione di non turbare la quiete della città con inopportuno allarme.

Però non si trascurò nulla né dal Prefetto né dal Questore per assicurarsi della verità di quanto si asseriva dai cittadini. Mandarono quante pattuglie più poterono a perlustrare la campagna in tutti i sensi e in tutte le direzioni. Nulla si rinvenne.

Invitati gl’Ispettori dei mandamenti, tutti siciliani meno quello del Molo, a dire se fosse vero che il popolo faceva provviste, qualcuno negò che ciò si fosse verificato nel suo distretto ed altri dissero che solo pochi paurosissimi avevano comprato più pane e pasta del solito, e infine in pochi forni si era notata più folla del solito.

Il Generale Camozzi domandò al Prefetto di far battere la generale e gli fu negato per la sopradetta ragione.

Sopraggiunge la sera e la città seguita ad essere apparentemente tranquilla ma quasi deserta. Qualche bandiera rossa trovata nei luoghi più remoti è tolta dalle guardie di P, S. e una se ne vede sotto il palazzo del Generale Righini in Toledo, mezzo raggruppata, sicché pochi l’osservano.

Sull’anfiteatro di monti che circonda Palermo si vede qualche fuoco, ma non era cosa insolita.

Molti militi vanno al Comando della Guardia Nazionale per curiosità di sapere cosa vi sia di nuovo, per provvedere alla propria individuale sicurezza. Non si può spiegare diversamente perché chiamati poche ore dopo dall’avvissatore e più tardi dalla generale, che fu battuta alle 5 ant. non risposero all’appello.

Il Generale Camozzi riceve nuovi avvertimenti dagli amici; sul far della mezzanotte, manda i rinforzi richiesti a S. Francesco di Paola, ma pochi perché non né avea da disporne, e va ad ispezionare tutti i pósti mentre già si sentono le fucilate dalla parte dei Porrazzi e di Monreale, che hanno lo scopo evidente di richiamar fuori la truppa per batterla dai muri dei giardini e intanto lasciar campo più libero a quelli che devono operare dentro la città,

Avvertito il Questore di ciò che si sente accadere nella campagna, manda nuovi rinforzi di guardie e granatieri alle pattuglie che già percorrono quei luoghi e spedisce ordini all’Avvocato Fassio, Ispettore del Molo, perché raddoppi la sorveglianza dal lato delle carceri.

Oramai il Pinna si persuade di essere stato tradito, prima da se stesso e poi dai sui confidenti. — Pinna non era l’uomo da governare la polizia a Palermo; Pinna è reo ma è un reo che desta compassione!

Il 16 settembre

…………………...iu vi presenta.

Teatru orrendu di miseria umana.

G. MELI

Nelle prime ore antimeridiane la gente assoldata dal Comitato reazionario si mette in azione spargendosi per la città e facendo sempre centro in qualche convento. Dal di fuori si avvicinano i duecento, che sono quelli di cui abbiamo già parlato, in parte usciti la sera innanzi da Palermo e molti che da vari giorni erano in campagna per armarsi ed unirsi a qualche fuoruscito. Questi marciano quatti quatti fra le ficaie, e protetti dagli alti muri dei giardini, coadiuvati dai giardinieri e abitanti delle campagne circostanti alla città.

Quei di dentro intanto vanno reclutando amici nei quartieri interni, metton fuori le armi e fanno certo il popolo ch’è finalmente giunta l’ora della, sommossa.

Finora però pochi obbediscono all’appello perché non si tratta di andare contro il solito nemico. — Già si sente quà. e là qualche colpo di fucile e otto o dieci riuniti portano in giro una bandiera rossa gridando Viva la Reprubrica; altri vanno bussando alle porte dei popolani col calcio del fucile, chiamandoli imperiosamente e minacciando chi esita ad uscire o tenere aperta la porta della bottegacasa per comodo di rifuggiarsi o appiattarsi — Nessuno oppone deciso rifiuto poiché tutti sanno che la rivoluzione è un dovere, qualunque ne sia lo scopo o il movente.

All’una ant. il luogotenente della stazione alla Marina sig. Raffaele Lamponi sentendo colpi di fucile verso Bocca di Falco, pochi chilometri lungi dalla città, prende con se 40 de' suoi Carabinieri e corre nella direzione dei fuoco, ma perlustrate inutilmente quelle campagne, torna in città alle 7 ant.

Nella stessa ora avendo l’Ispettore dei Molo Sig, avvocato Agostino Fassio intese delle fucilate dal lato dei Pietrazzi, e temendo che fossero attaccate dai briganti due pattuglie ivi inviate la sera innanzi, vi spedi il delegato Rampolla con 47 Granatieri comandati dal lenente Fomenti, e intanto prese delle disposizioni intorno allasua ispezione.

Il Questore anch’esso avvertito spedisce pattuglie ai Pofrazzi,. dové pure si sentivano fucilate, mentre i Carabinieri e guardie di questura che sono di ronda per la città sono costrette a ritirarsi nei quartieri per riunirsi, siccome avevano ricevuto ordine di fare in caso di allarme.

Cinque carabinieri a cavallo che perlustravano verso il largo de' Porrazzi si trovano in mezzo ad una pioggia di palle che viene dai muri dei giardini e tre ne cadono, uno morto e due gravemente feriti; gli altri due si gettano a terra fingendosi morti finché verso falba poterono mettersi in salvo e giungere al quartiere dové portarono la triste notizia. Allora il Capitano Alasia prende con se quanti può carabinieri e soldati, traversa la campagna scavalcando i muri dei giardini e raggiunge i briganti che fuggono, a precipizio. Son sempre questi i duecento circa che divisi in varie squadre si avvicinavano per entrare in città. Inseguiti dal bravo Alasia entrano infatti per le porte di Castro, Montalto, S. Angata e parte anche per S. Antonino, meno un certo numero che rimase vagante per la campagna avendo preso la fuga in direzione opposta alla città.

Anche il Sottotenente Gori sente le fucilate dal suo quartiere ai Borgognoni è corso ai Porrazzi coni suoi carabinieri, ed il maresciallo

Ansaldi, trova in una casa tali indizi da esser certo che ivi avesse dimorato la notte una gran parte dei briganti e perciò arresta alcuni che ritenne per manutengoli. Quindi corre nella linea parallela a quella tenuta dal Capitano Alasia e raggiunge una squadra a porla S. Agata sparandogli appresso qualche colpo di fucile. Intanto vedendo che da una vicina casa si faceva fuoco contro la sua colonna, la prende d’assalto, arresta dieci individui e sequestra molte armi e munizioni. Dopo di questo, trovandosi quasi circondato dai briganti, che occupano i vicoli e le case all’intorno, crede opportuno di tornare al quartiere per lasciar la preda e informare i superiori.

Al Gori si era unito il bravissimo delegato Barrila Parlermitano che anch’esso era accorso con i Granatieri ed incalzò vigorosamente i briganti come avrebbe potuto fare un vecchio soldato. Il Gori ed il Barrila figureranno sempre nei sei giorni in tutte le operazioni più azzardose.

La questura domanda che si tenga in armi un battaglione nel quartiere S. Giacomo.

I briganti in città vanno intanto provvedendosi di fucili e munizioni presso i militi della Guardia Nazionale e le guardie daziarie Municipali, oltre a quanto è già preparato nei conventi e specialmente in quello di di S. Nicolò Tolentino dové è il maggior deposito di polvere. — Gl’insorgenti formano un primo quartier generale nel centro del mandamento Monte di Pietà.

Informato il General Camozzi di quanto accade in città, credo che senta spezzarsi il cuore avvezzo a palpitare in mezzo a gloriose rivoluzioni. — Animato da sempre generosi e patriottici sentimenti, vorrebbe essere circondato da generosi cittadini e patriotti per soffocare il sollevamento dalla bordaglia; manda perciò il suo ajutante signor Gamba ad avvertire il Prefetto e per sapere se credesse giunta l’opportunità di far battere la generale. Il Prefetto ricusa di nuovo il suo consenso, nella sicurezza che non si sarebbe guadagnato in forza e piuttosto allarmato il paese, che d’altronde non sivedeva ancora minacciato seriamente.

Qui giova notare che il Prefetto non credeva di poter contare neppure sull’effetto morale di una riunione della Guardia Nazionale, che per lo stesso allarme prodotto dalla generale non sarebbe accorsa sotto le armi, come, chiamata poche ore prima a domicilio non ne eran venuti che pochissimi. Credo bene che se si fosse accettato il giorno innanzi il consiglio del Camozzi, di battere la generale, si sarebbe usato un mezzo preventivo che forse avrebbe scongiurata la tempesta, ma oggi, nella condizione attuale degli animi, dopo che è accaduto il pronunciamento della plebe, è inutile domandare il concorso della guardia nazionale che si può esser certi non verrà.

L’avvocato Passio ispettore del Molo sentendo che la fucilata si avvicina sempre più, dispone venti nomini del 68° di linea in sentinelle avanzate intorno all’Ispezione di P. S. prende altri 60 uomini al quartiere Quattroventi, comandati dal Luogotenente Lenzi, ed occupa la importante posizione di Piazza Ruggiero Settimo. — Ricevuto quindi l'ordine di non uscire in campagna, difendere ad ogni costo le Grandi Prigioni e spedire cento uomini ai Colli, corre subito ai Quattroventi a prender nuovi rinforzi ed eseguisce gli ordini.

Il Generale Camozzi fermatosi al Municipio, ove risiede il gran comando della Guardia Nazionale, manda verso le tre antimeridiane a svegliare il Sindaco, che subito corre al suo posto, e poi insieme vanno dal Prefetto per domandargli se permettesse di far battere la generale. Giunti sulla Piazza Vittoria lo trovarono che montava in carrozza insieme ad un ufficiale de' Carabinieri per andare ai Porrazzi, e rispose loro che non sapeva persuadersi della necessità di mettere il paese in allarme mentre egli non aveva alcun rapporto che accennasse a gravi disturbi e molto meno a rivoluzione; solo sentirsi delle fucilate in campagna ed egli stesso andava per vedere di che si trattasse. — Un tal proposito li sorprese e non poterono far più che rispondere. — Ella ci troverà al nostro posto. .

Le autorità non sanno ciò che accade nell’interno dei quattro grandi quartieri nei quali si divide la città poiché si è abituati a giudicare delle condizioni di Palermo dallo stato in cui sono le due grandi strade Toledo e Macqueda, nelle quali soltanto sogliono accadere le dimostrazioni popolari. Oltre di che gl'insorti non fanno che uscire sparando e poi tornano ad intanarsi, tanto che non si può dire che una parte della città sia da essi occupata e difendano una qualunque posizione.

Tornati al Palazzo pretorio il Sindaco ed il Camozzi, e sentendo incalzare le fucilate, uscirono di nuovo per veder lo stato della città con i loro propri occhi e discesi per Macqueda trovarono che 40 guardie daziarie Municipali avevano abbandonati i posti per riparare nel loro quartiere, dicendo di essere state attaccate da bande armate. Qualcuno mi fa poi supporre che cedessero in gran parte i loro fucili ai rimi insorti, che anche disarmati, si presentarono loro dinanzi.

Dopo questi gravi sintomi non v'era più da frapporre indugi e andati di nuovo al Municipio il Generale Camozzi die. ordine che si battesse la generale.

Sono le cinque antimeridiane e i tamburrini possono eseguire l’ordine ricevuto; molte persone si portano da un luogo all'altro senza essere offese e il pericolo di uscire non é grave che in pochissime strade. Pure non si ha altro risultato che quello di aumentare di una quindicina il corpo di guardia al Municipio, non compresi gli ufficiali superiori che accorsero alla prima chiamata o spontaneamente.

Neppure l’evidente pericolo in cui versa la città basta a scuoterli dal

l’inerzia ed imprimer loro il coraggio di correre alla difesa. Qui non è più questione di buona o cattiva organizzazione, ma di sacro dovere di ogni cittadino. Se v'erano cattivi elementi nella Guardia Nazionale, la forza spiegata dalla maggioranza dei buoni avrebbe paralizzate le cattive intenzioni dei tristi. Non era più momento da pensare al battaglione e alla legione, ma ogni individuo doveva portarsi al più vicino quartiere con le armi che gli ha affidate la nazione e difendere la causa dell'ordine per l’interesse e il decoro del paese.

Comincia ad albeggiare ed il Luogotenente Generale barone Righini comandante la divisione è avvertito che la città è in rivolta. — Spedisce subito ordine a tutti i posti perché siano prese le disposizioni da lui date nel luglio e ripetute il 3 settembre per il caso di un qualsiasi allarme. — Disceso quindi dalla sua abitazione in Toledo, che è a 40 metri dai Quatro Canti di città e cento dal Palazzo Pretorio, trova che già una compagnia di Granatieri in forza dell’ordine suindicato è giunta al suo palazzo. Allora veduti degli armati presso la piazza Vigliena (o dei Quattro Canti di città) ordina il fuoco e fatta marciare la compagnia a bajonetta calata i briganti fuggono precipitosamente verso la strade adiacenti.

Il Prefetto tornato a piedi dai Porrazzi, dové non trovò che i due Carabinieri feriti (che fece trasportare all'ospedale col suo legno) e i soldati di pattuglia ai quali domandò di che si trattava e n’ebbe in risposta che erano i soliti tradimenti dei briganti, si fermò al palazzo Reale per dare varie disposizioni e presi con se il Consigliere Delegato signor Basile e il duca Della Verdura si avviò verso il Municipio dové si organizzava la difesa e il Sindaco stesso impugnava un fucile.

I rivoltosi sparano fucilate contro il picchetto di 4 soldati che è di guardia alla Posta (dirimpetto al palazzo Municipale) e questi rispondono rimanendo fermi al loro posto, ma cade morto il furiere e feriti due altri.

Una ventina di briganti con bandiera rossa e gridando viva la reprubrica percorrono la via Macqueda; giunti sotto al Municipio sono sbaragliati alle prime fucilate e fuggono nelle vicine strade, dopo che una palla venuta dal Municipio stesso ha ferito nel braccio il mascalzone che porta la bandiera. Allora il principe di S. Flavia, Capitano di Stato maggiore della Guardia Nazionale, va a domandar rinforzi al General Righini e trovatolo presso i quattro canti di città, il Generale lascia ivi mezza compagnia e va egli stesso con l’altra mezza a liberare il Municipio dai briganti che lo tenevan di mira lasciandovi la mezza compagnia per rinforzo. Egli poi va al palazzo Reale dové é la residenza del governo e il comando militare, per. mettersi d’accordo col Generale di dipartimento Carderina che già trova sulle difese e intento a spedir pattuglie verso i punti più minacciati della città.

Vedendo che avevano poche e deboli forze da poter disporre e che gl’insorgenti, trovando appoggio illimitato nel popolo crescevano di numero e di ardire, tanto i Generali quanto il Prefetto risolverono contemporaneamente di domandare rinforzi, telegrafando a Firenze, a Napoli ed a Messina.

Già il Prefetto aveva richiamati per telegrafo i distaccamenti che erano nei paesi del circondario e questi muovevano verso Palermo.

Alle 7 antimeridiane si vede qualche bottega di commestibili aperta e nei quartieri interni si apre anche il mercato, ma in deboli proporzioni. Ad ogni fucilata accade un serra serra, un fuggi fuggi, finché tutti si rinchiudono definitivamente.

Le campane di vari monasteri e chiese suonano ora a rintocchi per dar segnali ed ora a stormo per chiamare alla rivolta. Il monastero delle Vergini alle Stimmate è il primo a dare il segnale. L’insurrezione però resta sempre localizzata in poche strade donde i briganti tentano delle escursioni, cominciano a far barricate, s’impadroniscono delle ispezioni interne di P. S. e de' Carabinieri, saccheggiandone le caserme che son senza difesa.

I posti di Guardia Nazionale sono quasi tutti abbandonati e non v'è più una guardia daziaria Municipale al suo posto, cosicché una folla di gente introduce, fra gli applausi del popolo, generi di dazio ed entrano alla corsa centinaja di carri carichi di vino e olio i quali eran fuori delle porte aspettando di poter entrare impunemente. Anche il passaggio dei carri nelle straduzze è dalla plebe festeggiato con applausi e grida di gioja.

A Porta Garibaldi il maresciallo Biffignando comandante quella stazione con tre de' suoi carabinieri traduce al quartiere S. Giacomo 10 detenuti terminesi senza incontrare altra difficoltà. nel lungo transito che qualche fucilata a porta S. Agata; ma anzi uno dei suoi avendo colpito a morte un brigante, fuggiron tutti, ed egli potè tranquillamente arrivare al quartiere di S. Giacomo. Avendo voluto quindi tornare alla sua stazione s’incontra per via con un picchetto di Granatieri che faceva a fucilate con gl’insorti, si unisce con quelli e li mette in fuga. Intanto il ViceBrigadiere Morgantini della sua stazione con tre carabinieri é assalito e dopo un vivo fuoco, ferito uno di loro, son presi prigionieri. Allora i briganti seguiti da molte donne del popolo saccheggiano la stazione e bruciano le carte che trovano. .

Alle 7 antimeridiane é pure saccheggiata la stazione dei Reali Caravinieri all’Olivella mentre era indifesa, essendosi i soldati riuniti alla caserma principale.

Alle 7 e mezzo antimeridiane il Luogotenente Bottino con un sottotenente, due Bassi ufficiali e 31 Granatieri va di rinforzo al Palazzo delle Finanze tenuto in custodia da poche Guardie Nazionali che uria alla volta se la svignarono tutti.

Per mostrare di quale importanza sia questo stabilimento basterà dire che è la residenza della Banca Nazionale, de? Banco di Sicilia, della Borsa e del Tribunale mercantile. Le somme e valori ivi esistenti oltrepassavano certamente i 25 milioni.

Il luogotenente Lamponi che con i Carabinieri ritornava dalla escursione di cui sopra abbiamo parlato, giunto all'Olivuzza seppe che Palermo era in insurrezione e non sarebbe più potuto entrare. Prese allora il passo di corsa e ricevuto a fucilate verso Porta d'Ossuna ripiegò su Porta Nuova e giunse alla caserma centrate. Ivi domandò di andare con i 40 Carabinieri che aveva, alla sua luogotenenza, traversando tutta la città e attaccando prima alle spalle i briganti che gli avevano impedito l’ingresso a Porta d’Ossuna. Allora il Generale Righini lodando questa generosa risoluzione gli dette anche 30 Granatieri col sottotenente Fermenti, incaricandolo di portare un dispaccio alla caserma dei Quattroventi. 11 Lamponi parti alla corsa e giunto ai Quattro canti di città trovò che in quel momento vi erano accorsi molti briganti; questi dagli angoli delle vicine strade e tra i materiali e travi ammonticchiati per il ristauro della chiesa di S. Matteo, fecero un vivo fuoco per una ora, finché co! solo disporsi ad attaccarli alla bajonetta fuggirono,; ma raggiunti dalle palle ne rimase qualcuno morto o ferito. Superato questo ostacolo prosegui senza difficoltà fino ai Quattroventi dové lasciò il dispaccio e i granatieri, che erano digiuni, dirigendosi con i carabinieri verso i Quattro canti di campagna che sono nel prolungamento della via Macqueda— Avvedutosi che a porta Carini v’era una forte banda, e che si spandeva fin verso Porla Macqueda, sparando colpi di fucile dietro le case e agli angoli delle vie, volle attaccarla da due lati e coraggiosamente si spinse con la metà dei suoi dalla parte di Porta Macqueda facendo marciare l’altra metà dal lato di S. Francesco di Paola.

Giunti alla corsa su Porta Carini si sparse lo sbigottimento frai briganti che rallentarono il fuoco e corsero a fortificarsi nel convento delle Stimmate, alla Villa Filippina e al quartiere di S. Francesco di Paola, già abbandonato dalla Guardia Nazionale. Alcuni briganti furono uccisi mentre attraversavano le strade per raggiungere queste posizioni e due furono inseguiti dai carabinieri fin sui tetti d’una casa e uccisi. Quelli. però che erano giunti salvi ricominciarono un vivo fuoco che obbligò i carabinieri a ritirarsi sulla piazza Ruggiero Settimo, dové fra poco li vedremo combattere valorosamente insieme al Capitano Vigna con i granatieri e l’Ispettore Fassio.

Alle 8 antimeridiane la Batteria d’Artiglieria si dispone sulla piazza Vittoria sotto al Palazzo Reale ed è pronta a fulminare la Via Toledo.

La stazione dei Reali Carabinieri all’Olivuzza essendo vuota, perché tutti sono in servizio, è invasa dai briganti che entrano per saccheggiarla. Avvedutasi di ciò la moglie del Brigadiere Beata, per nome Maria Mazzia, che si trovava in una casa vicina, corre anch’essa e mette in salvo un orologio e del denaro. Intanto vede che una donnaccia maltratta e beffeggia il ritratto del Re, le si scaglia addosso e se lo prende gridando «questo è il ritratto del padre d’Italia.... lo voglio io.... lasciatemelo... infame!...» La donna saccheggiatrice e vile non oppose resistenza alla vista di tanto coraggio, ma un ribaldo che avea allora rubala una spada dei Carabinieri le lascia cadere sulla testa un fendente che la ferisce gravemente. La intrepida Mazzia tenendo stretto il ritratto del suo re fugge grondante di sangue, salvandosi in una vicina casa. Mi duole di non poter dire siciliana questa coraggiosa donna, che ha un principio e una fede politica cosi viva, poiché pochi di questi fatti basterebbero a far dimenticare le mille turpitudini commesse dalle donne della plebe di Palermo e del circondario! Vi sono però dei fatti di donne Palermitane del volgo le quali, se pure non hanno mostrata fede ad un principio politico qualunque, che ancora non sono capaci di comprendere hanno però dimostrato un ottimo cuore, salvando con pericolo della loro vita qualche infelice, cercato a morte perché vestiva l’uniforme o avea coperto con zelo un officio odioso.

Già fin da prima che il Prefetto giungesse al Palazzo Municipale col consigliere Basile ed il duca Della Verdura, v'erano giunti i signori Notarbartolo, Traina, Trigona, Manfredi Lanza, Scalia, gli avvocati Albanese e Perrone Paladini, il professore Tommasi, il sig. Vassallo, il sig. Murena, il colonnello ispettore della Guardia nazionale sig. Cappello e qualche altro di cui non conosco il nome.

La giunta Municipale poi si era costituita in seduta permanente e vedendo che la generale non avea dato buon risultato decise di uscire con alla testa il Sindaco e il Generale Camozzi con i pochi militi ivi adunati a fare una specie di processione, che servisse d’invito e d’incoraggiamento agli altri che eran rimasti sordi prima alla voce del dovere e poi ai rulli del tamburro. Essendo in quel momento occupata la vicina piazza Vigliena o dei quattro canti che proteggeva l’ingresso del palazzo Municipale, uscirono prendendola via opposta e andarono fino alla Fiera Vecchia. Accolti in vari punti da fucilate rispondono con energia uccidendo 4 briganti e prendendone prigioni altri 4. — Non avendo potuto aumentare neppure di uno il numero dei militi cittadini e invece essendone alcuni feriti di quelli che erano con loro, crederono opportuno di ritirarsi di nuovo al Municipio.

L’imbarazzo dei Generali e delle autorità civili si fa sempre più penoso poiché non sanno come usare della poca forza di cui dispongono non essendovi un posto da combattere. Si trovavano peggio che in un bosco occupato da guerriglieri che sparano in mille direzioni senza esser veduti e la truppa si aggira all’azzardo senza mai trovare il nemico e cadendo ogni momento in agguati. Le case erano come alberi inerti e passivi, buone solo a servir di riparo ai briganti. Guerra peggiore di questa non vi può essere! .

Oramai gl’insorti ricevuti a braccia aperte dai frati e dalle monache sono padroni di quasi tutti i conventi e monasteri, che sparsi per tutta la città sono altrettante cittadelle, dové trovano armi e munizioni. — La maggior parte dei posti della Guardia Nazionale sono già abbandonati dai pochi che dalla sera innanzi v'erano di. guardia e anche il nucleo che è al Municipio va sempre più assottigliandosi. — All’Olivella il Colonnello Raffo col Capitano principino. Niscemi e qualche milite si barricano nel quartiere, accolgono poi una quindicina di soldati prigionieri che sono loro consegnati dalle squadre, ma ricusano di dar munizioni e le loro armi. Poco dopo qualche colpo di fucile è diretto contro il quartiere.

Il Prefetto ed il Sindaco si propongono di tentare una seconda sortita, e insieme al Generale Camozzi, con mezza compagnia di Granatieri comandata dal Luogotenente Castam, alcuni militi della Guardia Nazionale e vari generosi cittadini, escono in via Toledo; percorrono varie vie del mandamento Castello a Mare; all’Olivella prendono con loro il Niscemi e i militi della Guardia Nazionale che vi sono; arrestano qualche brigante che conducono al. palazzo delle Finanze; hanno qualche ferito ed è subito medicato dal professor Tommasi che è con loro; ricevono applausi dalle finestre di Toledo dové si vedono sventolare per quel momento varie bandiere tricolori; cercano di girare la barricata di via Macqueda sempre con alla testa il Sindaco ed il Prefetto e finalmente dopo un inutile sfoggio di coraggio ed abnegazione, non coadiuvati dal paese che rimane impassibile nella più vergognosa inerzia, son costretti a ripiegare innanzi al fuoco che parte dal monastero delle Stimmate o ritirarsi al Municipio.

Mentre come ho detto il paese rimane inerte e sordo ad ogni chiamata, rifulge, maggiormente chi isolato, senz’armi e nell’astenzione generale si getta coraggiosamente fra la folla dei briganti, or minacciandoli ed ora esortandoli a smettere dalle loro prave intenzioni e cedere innanzi a quel nucleo di cittadini condotti dal loro Sindaco e dal Prefetto. Questi era il bravo e distinto giovane Carmelo Di Benedetto, reduce dalla guerra, la cui famiglia diè sempre prove di alto sentire e vero patriottismo. Cento giovani come Carmelo Di Benedetto avrebbero repressa la sommossa più facilmente che non dieci battaglioni di soldati I Palermo meriterebbe il titolo di eroica se avesse potuto con le sole forze di cittadini onesti e liberali vincere il sollevamento della plebe; e credo che questa plebe si sarebbe lasciata disarmare assai facilmente dai cittadini, se in gran numero avessero seguito l’esempio del Di Benedetto!

Le autorità municipali e il Prefetto giunti al palazzo Pretorio tengono consiglio e decidono di andare al palazzo Reale per conferire con i Generali. Il Camozzi resta al suo posto.

Al Castello,a Mare il Maggiore Belli opera prodigi per renderlo difendibile. Questo castello fu semidistrutto nel 1860, rimanendo in piedi pochi ruderi delle mura bastionate e le caserme, con i magazzini nella piazza d’armi che è nel centro. Custodito dal deposito del 70° Fanteria comandante il Maggiore Belli e composto di 300 soldati, in gran parte reclute della leva 45 che non conoscono neppure la manovra del fucile, deve difendere una vasta linea e salvare i magazzini ove si trova una gran quantità di polvere, cartucce, cartocci per cannone, palle, granate, vecchi carri di artiglieria con cannoni smontati e molti inchiodati, e infine circa 14000 fucili di proprietà particolare sequestrati dal governo. Oltre tutto questo vi sono 264 condannati militari, e 15 famiglie formanti nell’insieme il numero di 95 pèrsone, che pur bisogna provvedere di cibo.

Avvertilo il Maggiore Bellidi buon mattino che v'erano gravi disordini in città mette subito in esecuzione gli ordini del Generale comandante la divisione per il caso di allarme. Manda due ufficiali uno dal Generale ed uno al gran comando per aver istruzioni, chiude, le porte, alza il ponte, quantunque al castello si possa accedere dalle dirute mura salendo sui terrapieni.

Non vedendo tornare i due ufficiali Cerone e Balzerotti invia al comando il signor Tenente Zeni, in. abito borghese, e questi torna cori l’ordine d’inviare al palazzo Reale una compagnia, che parte subito comandata dal Capitano Cavigliotti, Luogotenente Panza e Sottotenenti Zeni e Levi, Questi per la via Cavour giungono a Porta Macqueda ove un vivo fuoco delle Stimmate fa cader feriti cinque soldati e sgominare gli altri, che ripreso animo per l’esempio ed il valore degli ufficiali, riescono per le intricate vie del Mandamento Monte di Pietà a raggiungere il palazzo Reale.

Intanto il castello è rimasto con 80 soldati,160 reclute e 12 ufficiali d’amministrazione; mi pare quindi che il Generale commettesse una grave imprudenza diminuendone il presidio dei 60 soldati, mentre anzi avrebbe dovuto aumentarlo per non mettersi nel pericolo di lasciare in mano degli insorti tante munizioni o i 4 cannoni che guardano il porto, potendosi con questi molestare, se non impedire lo sbarco delle truppe che dovevano venire.

Vero è però che nessuno poteva prevedere a quale grado sarebbe giunta la sommossa e mai poi che avrebbe dominato la città per sei giorni. Il Maggiore Belli contate le sue forze dispose sui bastioni i soldati e si servi delle reclute per far barricate nei punti più deboli, garantire le sentinelle che stanno allo scoperto ed estrarre dai magazzini qualche cannonò che arma con vecchi carri. Per le barricale e i ripari si serve dei materassi, che toglie prima d’ogni altro alla propria famiglia, di botti, casse, ceste e pagliéncci di soldati. Infine gli riusci a grande stento di mettere in batteria un grosso cannone sul bastione che guarda la città.

Vedendosi poi sprovvisto di viveri manda per mare a cercarne sui vapori ancorati in porto, ma indarno, finché può avere due botti di galletta da un magazzeno vicino.

L’industria e l’attività spiegata dal prode Maggiore hanno del maraviglioso per chi conosce il luogo e le difficoltà contro le quali dové lottare. La città deve essergli motto grata perché la sua fermezza impedì agli insorti di prendere una posizione che avrebbe raddoppiate le loro forze, provvedendoli di cannoni e di munizioni, e resa impossibile la difesa delle Finanze e forse anche delle altre posizioni tenute dalla truppa.

Giova sapere però che il Maggiore Belli non era nuovo a questi frangenti, poiché ebbe una gloriosa parte nella difesa di Roma del 1849 come ufficiale di artiglieria.

I due Carabinieri a cavallo Montanelli e Ferrari portano un dispaccio dal palazzo Reale al Molo e incolumi vi giungono per la via esterna dopo esser passati in mezzo a vivo fuoco presso Porta d’Ossuna, sotto al bastione della Concezione, a Porta Carini e a S. Francesco di Paola. Anche il Carabiniere d’Arma Vincenzo in abito borghese, passando per la città, porla un dispaccio ai Quattroventi ed altro al Molo, riportando indietro la risposta sano e salvo dopo esser passato fra gl’insorti briganti.

Il signor Santocanale ajutante del tesoriere comunale va con pericolo di vita all’ufficio e prende 14000 lire' portandole nella propria casa dové in seguito, ricercato dalle squadre, salva a stento la vita fuggendo di casa in casa.

I Carabinieri della stazione all’Albergheria si salvano riparando a S. Giacomo e la stazione viene saccheggiata. L’istessa sorte subivano quelle della Magione, dei Quattro Canti di Città, e quella dei Noviziato ove il carabiniere di piantone Quadrio si getta dalla fenestra, mette in fuga 12 briganti investendoli alla bajonetta, dopo che hanno scaricati i fucili contro di lui, e ferito mortalmente raggiunge la caserma di S. Giacomo.

I Carabinieri alla caserma del Carmine combattono lungamente, finché discesi sj gettano sulla via incalzando gl’insorti' con la bajonetta; ma quelli fuggono mentre per le fucilate che vengono dagli sbocchi delle vie cade morto il brigadiere Porro Luigi e ferito il carabiniere Concaro; un terzo è fatto prigioniero e gli altri si salvano.

A S. Agata è ucciso con un colpo di pistola alla gola un granatiere che assalito dai briganti non vuol farsi disarmare.

L’ispettore Fassio che abbiamo lasciato sulla piazza Ruggiero Settimo era molestato dal fuoco delle Stimmate, e vedendo che all’altra estremità della via si scambiavano fucilate, invitò il Luogotenente Lenzi a percorrere la via Macqueda con i suoi Granatieri e subito il bravo ufficiale parti alla corsa e al grido di viva il Re e l’Italia.

Avendo già spedita una compagnia alle carceri comandata dal Capitano Rocca e presa con se la compagnia del Capitano Vigna, che veniva dal corso Sema, si uni al Luogotenente Lamponi che voleva tornare all'attacco di Porta Carini. Infatti tutti riuniti e comprese 10 guardie di P. S. con l’applicato Leonardo Cadelo, marciarono con passo rapido verso il convento di S. Francesco di Paola, ove sostenuto un vivo fuoco per due buone ore, che costò ben caro ai briganti, e riconosciuto impossibile di vincere un nemico barricato sull’alto delle case e conventi e che non si vedeva, si ritirarono protetti dal fuoco del collegio Garibaldi che impedi ai briganti di occupare i giardini, dai Cui muri e ficaje li avrebbero decimati. 11 Lamponi vedendo che erano rimasti sul terreno dei feriti tornò indietro con alcuni Carabinieri e in mezzo ad una pioggia di palle riuscì a salvarli. Stanchi dopo tanti combattimenti e dopo tante corse, fatte in mezzo al fuoco, si diressero verso le grandi prigioni dové sarebbero assai utili essendo molto debole il presidio che guardava quel grande stabilimento.

La condotta tenuta dall’avvocato Agostino Fassio e Luogotenente Raffaele Lamponi confina con l’eroismo e cosi deve dirsi del Capitano Vigna e tutta la truppa che era sotto i loro ordini. I feriti si rialzavano per combattere ancora, gridando viva il Re viva l’Italia e queste erano le ultime parole dei morienti. — 11 brigadiere Beata ferito ad una guancia si rialzò ed uccise un brigante. Fu quindi condotto all’istituto Garibaldi, da dové dopo la capitolazione, preso dagl'insorti e portato innanzi al comitato fu messo nell'ospedale civile, fu minacciato di morte e svillaneggiato dalle squadre che si riserbarono di fucilarlo la sera stessa. Sentendo questo il direttore dell'ospedale lo nascose in un segreto camerino; infatti venuti i manigoldi e ricercatolo invano imprecavano a chi lo aveva fatto fuggire. Il Beata intanto che aveva nascosto il revolver nello stivale stava pronto per vender cara la vita mentre sentiva gridare: morte al brigadiere Beata. Ma gli assassini riuscite vane le ricerche se ne andarono a cercar nuove imprese.

I briganti gridano viva la Reprubrica e mentre sparano emettono urli articolando le voci a iddi... a iddi. Quando poi vedono che la truppa corre verso di loro gridano anche viva S. Rusalia, viva la Beddamatri e viva la religioni.

Non hanno altro ordine che quello di esser divisi in squadre, ognuno spara a suo talento e all’azzardo senza mirare e spesso riparati da parapetti alzando solo le braccia per esplodere il fucile. Ciò non ostante la pioggia delle palle è tale per il numero dei combattenti e per la celerità con cui caricano, passandosi i fucili uno all’altro, che arrecava delle perdite alla truppa e spesso dové meno se lo aspettava. Se non fosse stato cosi non sarebbe rimasto vivo un solo soldato dei vecchi, né un Carabiniere, né un’Ufficiale perché si esponevano con troppo ardire nelle posizioni più scoperte e pericolose.

Dopo il mezzogiorno il numero degl’insorti nelle strade supera già i seicento, mentre i conventi e i bastioni delle mura occupati, sono gremiti di gente atta a sparare dai balconi e dai parapetti.

Durante la mattina accadono mille episodi ma mi è impossibile di narrar tutto minutamente, quantunque molti ridondino a lode di vari cittadini, funzionari pubblici e militari che ebbero a lottare lungamente per salvar la vita. Fra questi sono da notarsi principalmente i giudici di vari tribunali, tutta quasi la magistratura, gli addetti alla pulizia, alle dogane ed ai dazi comunali che doverono nascondersi, spesso fuggendo per i tetti e saltando dalle fenestre.

Alle tre pomeridiane è rotto il telegrafo ma già son giunte le risposte di Firenze, Napoli e Messina che annunziano la pronta partenza delle truppe e della flotta da Taranto.

Il suono delle campane e delle cornamuse si fa più generale, suonando a stormo o chiamando a soccorso verso i luoghi dové si dirige la truppa o s’impegna il fuoco.

Le donne e i ragazzi fanno da, portavoce e nelle strade al passare di uomini armati si prorompe in plausi per incoraggiarli o mostrarsi favorevoli alla sommossa. Cosi se v'è pericolo dai lato ove si dirigono sono avvertiti con sommo zelo e interesse, dimodoché i rivoltosi briganti son certi d’avere un solo nemico da combattere e questo riconoscibile alla divisa militare che indossa..

Qualche, popolano onesto ed industrioso che amerebbe rimaner pei fatti suoi tenta di esimersi dal prender parte attiva, ma ricercato dalla squadra degli amici è costretto a prendere il fucile. A chi mette scuse rispondono — ma non sei più liberale?— E queste parole dette con aria minacciosa bastano a decidere il renitente se non vuol essere pugnalato. A pochi riesce dileguarsi e rimaner lontani con qualche strattagemma per non macchiarsi di sangue italiano.

Il General Marini comandante la piazza resta al suo posto. in Piazza Bologni e si difende dalle fucilate dei briganti con un picchetto di 20 Granatieri che ivi è di guardia.

Il comitato reazionario s’insedia nel convento dello Spirito Santo.

Due compagnie una di Granatieri ed una del 69° di linea, comandate dal Maggiore Fiastri partono da Piazza Vittoria e scendendo per la Via Toledo entrano nella strada Macqueda' per prender di fronte le barricate che sono sotto e prima delle Stimmate. Accolti da un vivo fuoco giungono a superare la prima, che nessuno dei briganti insorti rimane per contrastarla. Pervenuti alla seconda sotto il fuoco della medesima e del monastero, le giovani truppe non resistono, son feriti molti soldati, due ufficiali ed il maggiore stesso, tanto che son costretti a ritirarsi.

Le Guardie di P. S. dell'ispezione al Celso si difendono facendo fuoco dalle feneslre, finché alle tre pomeridiane va il maresciallo Sotgiu con alcuni Carabinieri e una compagnia del 69° di linea a rilevarle, insieme al personale della Questura, oltre a 40 detenuti e tre o quattrocento fucili, portando tutto al palazzo Reale. — Più tardi torna la stessa compagnia col duca Della Verdura che ivi presso prende con se la moglie e la figlia. — Dopo dieci ore vanno squadre e popolo a saccheggiare la caserma di P. S. e l’incendiano. I vicini vedendosi in pericolo vanno ad estinguere l’incendio.

È invaso il Tribunale militare, saccheggiate le camere degl’impiegati e gli uffici, bruciati i soli processi in corso d’istruzione lasciando intatti quelli sui quali era già stata pronunziata una sentenza. Questo l'atto dimostra che la cosa fu diretta da persona intelligente ed interessata.

Il Prefetto conduce egli stesso al Palazzo di città dei soldati che portano cesti di munizioni e poi, evitando il Toledo, torna incolume al palazzo Reale. — Il coraggio dimostrato dal Senatore Torelli lo rende ammirevole. Egli era sempre dovunque maggiore il pericolo e spesso accompagnato dal coraggioso Sindaco.

Alle cinque pomeridiane una palla colpisce a morte un Capitano di fanteria che sta con la sua compagnia innanzi al palazzo Reale.

Sull’imbrunire cessa alquanto il fuoco impazzato dagl’insorti i quali si dedicano a costruir barricate per garantirsi durante la notte. Profittando di questo momento di tregua la Giunta municipale con i cittadini che l’attorniano, il picchetto di Guardie Nazionali e le poche guardie Municipali e daziarie si ritirano al palazzo Reale percorrendo circa un chilometro, dal centro alla periferia della, città, senza esser molestati.

Rimane al palazzo Pretorio il General Camozzi con una compagnia di Granatieri comandata dal Capitano Bruno, il cavalier Vassallo de' Paleologhi ex capitano in aspettativa, altri due o tre cittadini, in tutto centocinquanta difensori che operano prodigi di valore e di abnegazione.

Il cannone della Porta Nuova ha già tirati vari colpi contro la Porta d’Ossuna e tre colpi a polvere all'imboccatura del Toledo.

Il Generale Carderina comprendendo oramai chiaramente la posizione in cui si trova, ordina delle opere di trinceramento intorno alla Piazza Vittoria e fa costruire una barricata' alla Matrice per proteggere e sostenere ad ogni Costo la sede del governo.

Il Prefetto assiste a queste opere insieme ai Generali i quali credo che avessero l’animo lacerato dalle più strazianti angoscio. Vecchi soldati, avvezzi alle vittorie e dopo un combattimento, vedersi quasi vinti senza aver combattuto e senza saper da chi I Comandanti senza esercito e dover quasi far da custodi delle reclute I Trovarsi innanzi ad un labirinto invece di uncampo,. tanto che non vale arte di guerra né coraggio individuale, è tal condizione di cose da non dover maravigliare alcuno se fossero seriamente preoccupati della posizione delle cose per certo non molto felice ((1)) e aggiungerò anzi assai strana e tormentosa.

I Generali certamente al primo annunzio di rivolta si aspettavano di aver che fare con un popolo che insorgesse e in grandi masse tumultuanti uscisse in piazza, anche armato, per imporre al governo qualche suo preteso diritto, o protestare contro le istituzioni vigenti. Allora essi, son certo, che montati a cavallo, e raccolto un numero quanto maggiore potessero di buoni soldati, avrebbero affrontate le turbe de' sediziosi e tentato di riportarle al dovere o sbaragliate con la forza. Questo sarebbe stato compito da Generali responsabili dell’ordine politico nel paese ove sono a capo di una guarnigione. Ma aspettando invano questa, che solo potrebbe dirsi rivoluzione, e trovandosi innanzi ad una guerriglia da briganti, in una città che rimane inerte, e senza truppe adatte, avrei voluto vederci chiunque e agire diversamente da quello che fecero il Carderina ed il Righini; rimanendo sulla difensiva e salvando almeno la residenza del governo e gli alti personaggi ivi rinchiusi, compreso il Sindaco che in mano del popolo sarebbe stato bruciato vivo!

Vedremo in Seguito come i briganti sotto al Palazzo gridassero — vogliamo il Sindaco. — Consegnateci il Sindaco e non vi molesteremo più!— Dopo avergli saccheggiato e bruciato il palazzo a furia di popolo, non lo volevano in mano certamente per farlo presidente della loro repubblica!... Cosi dico del duca Della Verdura che fu promotore del famoso meeting e di altri cittadini. — Come si poteva consigliare i Generati a sparpagliare le truppe, isolare per conseguenza le reclute in massima parte siciliane, col pericolo che passassero al nemico ed esporsi a perdere la posizione del palazzo Reale?— Ciò che si doveva aspettare dai Generali in quel frangente era il colpo d’occhio militare, che misurassero le loro forze, che le impiegassero prima a mantenersi un centro d azione e poi ad operare di fuori. Questo è appunto quello che fecero e mirabilmente!... Stabilita la massima di tenersi sulla difensiva e tener fermo nella posizione, per se stessa forte del palazzo Reale, perché non avevano forze per andar più oltre, si lasciarono poi influenzare e informare sulla natura degli offensori, sul loro sistema di offesa e sui mezzi usati altre volte per respingerti. Veduto quindi che non si poteva aspettare il nemico spiegati in reggimenti sulla piazza, quantunque grandiosissima e proietti dal fuoco del Palazzo, perché gl’. insorti non eran soliti di appiccar battaglia né affrontar la truppa, ma avrebbero combattuto. sparando alla lungi e coperti, videro essere ottimo consiglio di barricarsi e adattare la difesa ai genere di offesa, come il Prefetto, il Sindaco e la Giunta municipale domandavano che si facesse.

Al quartiere di S. Giacomo s’istituisce un ospedale per i feriti e i Reali Carabinieri condotti dal tenente Gori requisiscono buoi fuori Porta Nuova e pasta presso l’albergo de' Poveri.

Il quartiere della Trinità è fatto segno alle fucilate degl’insorti che sparano dal vicolo de' Biscottai e da qualche casa non che dal lato della Piazzetta dei Tedeschi, sperando che i soldati l’abbandonassero. Assediali e assedianti comprendono quanto sia importante il possesso di quel quartiere che domina la Piazza Vittoria.

La Plebe irrompe nell’ex Convento dei Gesuiti, detto di Casa Professa, e invade gli Asili Infantili. La superiora cerca di ammansire quelle jene in forma di donne, pregandole a risparmiare quell’istituto che è tutto per il popolo e dové sono educati i loro stessi figli: Minacciata di morte deve desistere dalle preghiere e rimaner spettatrice del saccheggio e distruzione di quanto ivi avea accumulato la carità cittadina.

Sopraggiunta la notte un movimento febbrile invade la plebe e le sqadre ed entrano in città altri 200 circa dalla campagna; i popolani si armano con i fucili rubali nel giorno o requisiti nelle case dei cittadini, raccolgono munizioni e la plebe gridando addumamu domanda lumi alle finestre, e tutta la città é illuminala per comodo delle squadre.

La gente dei piani terreni è tutta in attività prodigiosa e ciascuno si dedica a costruire barricale nella propria strada con le basole del lastricato. Le squadre sparano colpi ogni tanto per mantenere l’all’erta e le campane suonano ad intervalli per accendere maggiormente alla rivolta.

Molti preti vanno aggirandosi per le strade più popolose fra le loro pecorelle, animandole, confortandole e benedicendole. Ogni volta che si presenta un prete, uomini e donne e ragazzi lo attorniano baciandogli le mani e le vestimenta intenti a raccogliere le sue parole che suonano vendetta e ira, mal celata sotto le sagrileghe espresioni religiose.

Dovunque si presenta un prete ivi è il capo naturale della sommossa e tutti si atteggiano all’obbedienza.

A mezzanotte può dirsi che la città di Palermo è in pieno potere degli insorti, i quali si sono fortificati, e le autorità con la truppa sono bloccate nelle isolate posizioni che occupano al limite o all’esterno della città, oltre al Palazzo Municipale che domani a notte dovrà essere anch'esso sgombrato.

Durante la notte il Prefetto e il Sindaco confortati dai consigli della Giunta Municipale e dai cittadini ricoverati al Palazzo, insistono presso i generali perché s’impieghi la truppa a riconquistare la città. È ammirevole la buona volontà, lo zelo e la coraggiosa iniziativa di tutti questi cittadini ma essi non conoscono abbastanza il valore reale delle forze che sono in loro potere.

Già buon. numero di soldati erano caduti prigionieri; le sortite fatte erano mal riuscite; ingolfandosi nella città e sparpagliate nelle strade dové non si può agir compatti come in campo, le truppe sarebbero bersaglio ai colpi dei briganti colla sola aspettativa di moltiplicare i vani tentativi operati nella giornata. Si esporrebbero a perdere intanto le posizioni dové la truppa può mantenere la disciplina e sotto gli occhi e la spada dei capi tener fermo alla difesa. Infine nel domani mattina dovrebbero giungere rinforzi da Messina e verso il mezzogiorno potevano arrivare molte truppe da Napoli fornite di munizioni! e artiglierie colle quali si tenterebbe con maggior probabilità di risultato ciò che oggi sarebbe imprudenza e una colpa per i generali.

Il generai Righini impiega il suo capo di stato maggiore tenente Colonnello Lipari ad esplorare dalla specula, che è nello stesso Palazzo Reale, i movimenti degl’insorti all’interno e all’esterno della sottoposta città, mentre il professore Cacciatore con gl’istrumenti destinati all’osservazioni astronomiche fa ricerche sulla superficie del mare per scoprire se giunga un vascello o un vapore carico di truppe, che sarebbe ora una scoperta più bella che non un nuovo pianeta. In queste osservazioni intanto sono molestati da palle di fucili che fischian loro d’intorno ed una mancò poco che non rovinasse il magnifico gran refrattore di Mera.

Il 17 settembre

Lunedì

Si di lu beni pubblici!

Si perdi in nui l’idia,

O casa di diavulu,

O chiamala anarchia.

G. Meli

Dalla mezzanotte all’alba seguila il lavorio delle squadre, l’agitazione nelle strade, la costruzione di barricate, i colpi di fucile, lo. scampanio e le grida insieme a fatti parziali e vendette che qui non vai la pena di enumerare.

I Generali Carderina e Righini sono sempre d’accordo sulla condotta da tenersi e irremovibili nel principio stabilito di non sperperare le deboli forze di cui dispongono e di dovere ad ogni costo difendere la sede del governo. La truppa radunata nel vasto ricinto del palazzo Reale e Piazza Vittoria, sulla quale sono i quartieri, la prefettura, la questura, i telegrafi, ecc. ascende a circa duemila uomini di cui due terzi sono di puro imbarazzo poiché, come ho già detto, reclute in gran parte neppure vestite e mollo meno disciplinate né istruite nel maneggio delle armi.

Per andare dentro la città in mezzo ad un fuoco micidiale che non si sa neppure da dové venga e senza poter combattere né vedere il nemico, ci vogliono truppe non solo agguerrite ma che siano anche capaci di una grande abnegazione, di cui nel caso nostro non potevano essere dotati che gli ufficiali. Questi infatti insieme al piccol numero di vecchia truppa ne ebbero tanta e mostraron'o tanto valore è fermezza da superare ogni aspettazione e salvarono l’onore delle armi.

Le autorità civili ridotte all’impotenza e mosse da un eccesso di buona volontà insistono nei progetti di colpi arditi per ripristinare l’ordine. Questi progetti ampliati è moltiplicati dai cittadini che sono ricoverali in Palazzo generano della confusione apparente, mentre l’elemento militare tien fermo al principio stabilito, e con ordine e fermezza seguita il sistema di difesa della Piazza Vittoria aggiungendovi quella della Matrice e occupando il monastero di S. Elisabetta.

Il Prefetto influì grandemente perché si assicurasse alla truppa il possesso della piazza e chiesa della Matrice dacché già le squadre avevano tentato d’impadronirsene sparando da quella parte colpi di fucile, nella speranza che i soldati, come altre volte i borbonici, impauriti dal fischio delle palle l’abbandonassero. Certo se l’avessero attaccata con tre o quattrocento nomini se ne sarebbero impadroniti; ma non tentarono di dar l’assalto neppure con forze esuberanti, delle' quali potevano disporre. Tanto erari lontani gl'insorti dal credersi capaci di dare un assalto ad una posizione che quando requisivano fucili militari prima loro cura era quella di gettar via la bajonetta come arnese totalmente, inutile. Io ho veduto qualche migliajo d’insorti e neppur uno portava la bajonetta.

Già all’alba i rivoltosi sono ai loro posti e in tutti i posti poiché immenso ne è il numero e sparano fucilate contro tutte le posizioni occupate dalle truppe. Il grido convenzionale è viva la repubblica italiana ma l’epiteto d’italiana pochi lo ripetono. L’ordine di sparare lo dà chiunque della squadra gridando a iddi a iddi.

Alle Grandi Carceri o Vicaria vedendo che le forze sono in numero soddisfacente e gl'insorti non possono avvicinarsi molto a causa del fuoco che parte dall’Istituto Garibaldi e dal quartiere dei Quattroventi, l’ispettore Passio e il luogotenente Lamponi andarono dal capitano Vigna a fargli il progetto di una sortita di ricognizione. Il. Capitano accettò senza esitare e unitosi a questi due valorosi ed instancabili giovani usci verso le sei antimeridiane con 160 uomini dirigendosi a Piazza Ruggiero Settimo. Ricevuti da un vivo fuoco di fucileria si divisero in tre distaccamenti; il capitano Vigna con il tenente Sponsilli e il sottotenente Filaferro prese per il Piano S. Oliva, il luogotenente Lamponi per i giardini, e l’ispettore Fassio con le guardie e i due bersaglieri municipali, Saluzzo Michele di Asti e Trevisani Angelo Veneto, prese per S. Annuzza onde riuscire ai Quattro Canti di campagna. Ricevuti in tutti i punti dal fuoco che partiva dalle case e dai muri dei 9 giardini si sono slanciati alla corsa verso i posti occupati dagl'insorti i quali, benché formidabili di numero, pure spaventati dall’ardire di quel pugno di soldati abbandonarono le posizioni. Dato il segnale dalle campane, nuove squadre vengono dall’interno della città, altre dal Giardino inglese e infine dalla Via Eoli i e si riaffacciano tentando di accerchiare la truppa. 11 luogotenente Lamponi con i Carabinieri e pochi Granatieri gira di fianco il nemico occupando il giardino dietro all’istituto Garibaldi da dové bersaglia con vantaggio un posto degl'insorti i quali si rifugiano nel convento di S. Francesco dì Paola soffrendo nel passaggio rilevanti perdite. Questa lotta. dura eirca due ore costando alla truppa dieci o dodici fra morti e feriti, finché avvedutosi il Lamponi di essere rimasto sole con pericolo di rimanere accerchiato dal numero sempre crescente degl'insorti ripiega sul palazzo Nobili, ove è il comando della sua luogotenenza e da quell’altura apre un vivo fuoco contro gl’insorti i quali baldanzosi per il loro numero credevano facil cosa il distruggere questo pugno di forti; ma s’ingannarono poiché invece trovata una valida resistenza doverono a gran corsa ritirarsi lasciandogli cosi il campo libero per raggiungere la compagnia de' Granatieri comandata dal Vigna e che già si era con buon’ordine ritirata alle grandi prigioni. Anche il Fassio dopo aver combattuto dal suo lato finché fu possibile era rientrato insieme al Vigna. Tenuto poi consiglio decisero di non tentare nuove sortite, atte solo a cagionar loro delle perdite, che pur ne ebbero a deplorare, e contentarsi di difendere ad ogni costo le grandi prigioni.

Il Maggior Canetti dopo, aver fatto delle sortite con gli alunni dell’Istituto militare Garibaldi per proteggere, il giorno 16 le operazioni del Lamponi e trovandosi in una pessima situazione, avendo tutti ragazzi ed armi atte all'istruzione e non al fuoco, dové capitolare.

Gli alunni palermitani furon lasciali liberi e quelli del continente insieme agli ufficiali e il Maggiore stesso furono fatti prigionieri.

Entra in porto un vapore proveniente da Messina e sbarca a Porta Felice il 5° battaglione del 67° fanteria comandato dal Maggiore Gagliardi, che percorrendo la Via Toledo, e applaudito dai cittadini che abitano lungo quella via, giunge alle 7 antimeridiane sulla Piazza Vittoria. Ivi queste truppe bivaccano e attendono al rancio. per esser poi subito utilizzate. Più tardi giunge una compagnia da Bagheria ed altri distaccamenti dai dintorni.

Se il battaglione di Messina potè senza incontrar resistenza sbarcare e percorrere tutta Toledo è chiaro che con sei battaglioni occupando le case che fanno angolo coi vicoli che mettono a Toledo e quindi barricando l’imbocco dei vicoli stessi, si sarebbe potuto mantenere la comunicazione fra il Palazzo Reale e il mare, provvedersi al castello. di munizioni, aver viveri e nello stesso tempo tener divisa in due la città. Tagliate costa metà le forze degl’insorgenti si sarebbe impedito il saccheggio del Palazzo Rudinì, conservata la posizione del Palazzo Pretorio e tenuta in soggezione la plebe, che non ubbriacata dai fatto di vedersi padrona assoluta della città, non si sarebbe lanciata tutta nella sommossa, e al giungere dei bersaglieri il giorno 49 avrebbe ceduto immancabilmente.

Bisognava però avere sei battaglioni di truppa, agguerrita che resistesse al fuoco!... Infine se la guarnigione che c’era fosse stata composta di vera truppa non solo si sarebbe potuto far tutto questo ma sarebbe stata sufficiente ad impedire l’insurrezione; e se pure fosse scoppiata avrebbero mantenuto tali posizioni da renderla impotente e tale da potersi soffocare prima che giungessero i piccoli rinforzi da Messina e da Napoli.

I Pompieri difendono la loro caserma de' Crociferi in via Macqueda finché son costretti ad abbandonarla e il nopolo entra saccheggiando e distruggendo quanto ivi aveva accumulateci ricchi istrumenti il solerte Municipio. Persino le pompe furono frantumate e bruciate dicendo a olii tentò opporsi, delle stesse squadre, che non era più tempo da spegnere incendi.

Trovata ivi la carrettella dell’accalappiatore fu bruciata fra gli evviva delle, donne e dei ragazzi.

Forati quindi i muri dell’attiguo Palazzo Rudinì v'entrò tanto numero di ribaldi e di plebe che in poche ore fu saccheggiato e distrutto quanto di ricchezze e di splendore apparteneva a quella nobile ed antica famiglia.

In un momento per tutta la città si vedono portare i mobili e le masserizie rubate, con oscena esultanza delle donne che si vestono degli abiti della Sindachessa schernendola con gli atti e le parole, perché essendo piemontese si era insegnato loro ad odiarla (ecco gli effetti prodotti dalla propaganda dei puri siciliani).

Non avendo più che rubare dettero fuoco al prezioso archivio di famiglia e l'incendio avrebbe’consumato tutto il Palazzo se i vicini non fossero corsi a spegnerlo. La giovane marchesa moglie del Sindaco, gravida e con un figlio in braccio, sfugge a certa morte uscendo da una fenestra e va à domandar ricovero ad un vicino che la respinge chiudendogli la porta in faccia, finché ricoverata presso una generosa ed affezionata donna che dimorava nei vicini piani terreni è poi portata in luogo più sicuro. Immagini ora il lettore cosa dové soffrire il giovane Sindaco mentre sapeva quale scempio si stava facendo della sua casa, abitata ancora da chi aveva più caro al mondo!... Un tale martirio, e il coraggio mostrato nel compiere il suo dovere di cittadino e di Sindaco, lo rendono più che ammirevole, l’eroe di Palermo... Rudini è un martire del progresso e della civiltà in lotta con la barbarie del. clero e della plebe!

Cessato lo sbigottimento nelle squadre che ài erano allontanate dal centro della città all’arrivo delle truppe di Messina, delle quali non conoscevano ancora il numero e le forze, erano già tornati a molestare il presidio del Municipio con un continuo fuoco di. fucileria che partiva dall'Università, dalla casa Bordonaro abbandonata dalle truppe, dal palazzo Rudinì, dai monasteri di S. Caterina e Martorana tutti occupati dalle squadre degl’insorti. — Il presidio comandato dal General Camozzi e dal Capitano Bruni dei Granatieri, resiste lottando con là fame, la sete e la scarsezza delle munizioni. Anche alcuni cittadini prendono parte | alla difesa e sono i signori De Maria, Vassallo col suo figlio, i due fratelli Perrone Paladini, i due Lalum. ia, D’Agostino, Durante, Perricone, Magliocco, Brunetti, Colonna, Giuliano, Trevisano, Grisafi ed altri.

Alle dieci antimeridiane il battaglione di Messina scende per Toledo, portando due carri di pane e munizioni per approvvigionare il palazzo di città, le Finanze e il Lazzaretto, Ricevuto a fucilate che vengono dagli sbocchi delle vie, dai convene e da qualche casa, caduto un mulo dei carri e nata un poco di confusione fra le. fila dei soldati per i feriti che cadevano, retrocessero a Palazzo donde erano partiti.

Anche il Maggiore Fiastri lenta di liberare il comando di piazza e giunto al largo di Piazza Bologni, lungo il Toledo, è ferito mortalmente sicché la compagnia torna indietro in disordine.

Alle cinque pomeridiane il Prefetto con l’ingegnere Brunelli di Bologna e le guardie di P. S. col delegato Freddi, occupa il convento dei Sette Angeli alla Matrice, abbandonato la notte dalle monache, che accompagnate da una squadra di briganti si erano ricoverate a S. Vito. — Questo fatto è notevole poiché quelle monache non potevano trovare luogo più, sicuro del loro stesso monastero, nel quale mille e mille famiglie avrebbero desiderato di potervisi ricoverare per essere proietti dalla truppa contro i briganti; ma le verginelle de' Sette Angeli preferiscono di darsi in braccio ad una masnada di ladri ed assassini, da esse ben conosciuti per tali, piuttosto che rimanere in mano dei difensori dell’ordine e della legge.

Alcune monache che erano rimaste, vedendo abbattere la porta principale, ne uscirono da un’apertura praticata nelle, case attigue; ma non poterono salvarsi in tempo il sagrestano ed il campanaro, che più gentili degli altri briganti fuggiti ai primi colpi, avevano cavaliermente data la precedenza alle signorine, ed essi armati di fucile ancora caldo, furono sorpresi dai soldati, che precipitosamente invasero il monastero da dové si era sparato contro di loro.

Occupata quindi la casa contigua, con soddisfazione del. barone Mule palermitano, proprietario della medesima, e dell’avvocato Lucchini veneto che anch’esso vi dimorava, le truppe furono padrone del Toledo dalla Matrice fino al collegio nazionale, dové erano già state saccheggiate le scuole tecniche.

Le squadre tentano di entrare nel palazzo di S. Elia, ove il giorno prima si erano difese le troppe, ma sono respinti da una controsquadra che il principe teneva per difendere il proprio palazzo. — Ecco un esempio dell'utilità pratica che i proprietari di Sicilia ricavano col proteggere i loro coloni.

Il S. Elia ha tolto tanti uomini alla insurrezione ed ha rivolto le loro armi, non dico contro i briganti, perché eran briganti questi stessi, ma a propria Salvezza, senza di che il suo palazzo avrebbe fatta la fine di quello Rudinì. — Con questo sistema si salvò anche qualche altro signorotto di Palermo.

Alle quattro pomeridiane, una palla colpisce a morte il Capitano Bruni, e questo fatto disanima la guarnigione del palazzo Pretorio già quasi impotente a resistere, mancando di viveri, di acqua e vicina a rimanere anche senza munizioni.

Il Luogotenente dei Reali Carabinieri Giovanni Riccio, essendo noto per il suo. valore, riceve l’incarico di scendere dalla Piazza Vittoria nel quartiere dell’Albergheria e snidare i briganti che molestano il presidio del palazzo Reale. Il bravo Ufficiale tenta l'impresa, quantunque impossibile, ma accolto da un vivo fuoco deve ritirarsi per non sagrificare inutilmente tutti i suoi uomini. Queste ricognizioni però ottenevano l’intento di scoraggiare i briganti i quali presto si avvidero che l’esercito nazionale era ben diverso da quello borbonico.

Le squadre vanno per le case dei cittadini più ricchi commettendo estorsioni e le cosi dette componende, che fruttano loro ingenti somme di denaro. Ognuno cerca di comprar la vita dando il denaro che può, le armi e i viveri.

L’istituto Garibaldi è invaso dalla plebe e saccheggiato, le armi sono distribuite ai picciotti di dodici e quindici anni, che d’ora innanzi spareranno anch’essi dietro le barricate..

É tale lo sciupio di polvere che fa tutta la bordaglia, sparando senza saper dove, che son costretti a far fabbricare gran copia di cotone fulminante.

A via Raffadali è ucciso un certo Paolo Belloni, per privata vendetta, con due schioppettate.

Il comando di Piazza cede, ed il Generale trova rifugio in una casa particolare. Invaso dai briganti è saccheggiato e danno fuoco alla biblioteca militare che già costava allo stato ingenti somme ed era molto ben corredata di libri utili agli Ufficiati di tutte le armi. Trovata la cassa fu trasportata nel convento del Carmine dové venuti alla divisione sorsero tali liti, che all’uscire fecero a schioppettate con quelli ch'erano di fuori e molti caddero uccisi e feriti.

La stazione a Piazza Marina è costretta a cedere ed i Carabinieri son fatti prigionieri.

Alle quattro e mezzo pomeridiane da un gran numero di briganti è attaccato l'ospedale militare a Porta S. Giorgia, è abbattuta la porta che mette in via della Bara, rotta un’inferriata ed un miscuglio di briganti e plebe entrano. gridando orribilmente e sparando colpi di fucile. Il direttore dell'amministrazione,Cav. Osta insieme al cappellano signor Arcieri di Palermo e l'allievo signor Patavina, pure di Palermo vanno loro incontro per domandare cosa vogliano e cercare di ammansirli dappoiché è impossibile la resistenza. Inteso che richiedevano solamente le rmi indicarono loro il luogo ove si trovavano andando alcuno a prender le chiavi. I briganti impazienti d’ogni indugio atterrano la porla di quella camera non solo, ma anche dei magazzini ove si trovava una gran provvista di tele, lenzuola e bende. Un’immensa folla di donne (molte armate di stocchi e coltelli) entra a furia e iu poche ore è tutto depredato.

Gli uomini intanto s’impadroniscono di tutte le armi dei malati, avendo cura di vuotare ben bene i zaini e prendere quanto altro trovarono. Domandano poi di entrare nelle sale e nelle camere degli Ufficiali dové seguiti dalla plebe, furono in un baleno saccheggiate non solò, ma rotti persino gl’infissi e stracciati i parati delle camere. Nella sola casa del dottor Restelli fecero un danno di oltre 20000 lire e portaron via l’equipaggio di tutti gli Ufficiali e delle suore di carità..

Da questo. momento le squadre non cessano più dall’andare e venire ed è libero l’accesso al popolo per compiere l’opera di distruzione.

Alle otto pomeridiane vanno tre briganti, che sembrano di civile condizione, e domandano i registri di cassa. Dopo averli esaminati e veduto che la somma giacente era di circa 20000 lire ordinano al Direttore a' nome del comitato di consegnar loro tutto, rilasciandogliene analoga ricevuta.

Gl’inscritti di leva in osservazione fuggono e. cosi anche qualche soldato siciliano convalescente.

L’ospedale resta senza un soldo e oltre 200 malati, da mantenere.

Fin dalle undici antimeridiane gl’insorti avevano cominciato il fuoco contro le mura e le fenestre del palazzo delle Finanze, e mandato parlamentari per intimare la resa,. dicendo che il palazzo Reale e il castello erano già in loro mani e prigionieri i Generali. — Vero attacco non fu perché se avessero praticata un’apertura nel muro, in una delle strette vie che sono intorno a tre lati del palazzo, avrebbero potuto facilmente impadronirsene; ma noi fecero perché non avevano dieci o venti uomini capaci d’esporre, il petto al fuoco de' Granatieri nel primo irrompere.

Si dice anche che vi fossero delle divergenze fra i capi squadra sul modo di usare lè ingenti. somme che ivi si troverebbero. Come anche pare che esercitassero la loro influenza molti di quelli che vi tenevano grandi somme depositate, perché non fossero concentrati tutti gli sforzi ad impadronirsene, rovinando gl’interessi di mille e mille capitalisti.

La sera quel pugno di prodi potè avere 85 gallette ed un poco di vino, e in seguito alcuni pietosi vicini li provvidero di quanto bastava per non morir di fame. Al guardaporta intanto, Pietro Sampieri, riusci di procurar loro dell’acqua riattivando un vecchio pozzo.

Il Maggiore Belli al Castello a mare raddoppia gli argomenti di difesa e colloca in batteria un cannone da 82 che giaceva nei magazzini, armandolo non par vero come. In questa operazione ed altre si distinsero il sergente veterano di artiglieria Incorpora e caporale de Bernardi. Fra i detenuti trovò due artiglieri e fra i soldati due sergenti che conoscevano la manovra d’artiglieria, Simonetti e Carlevari; sicché questi furono destinati a fare il servizio dei cannoni.

É assalito dai briganti il palazzo de' Tribunali dové sono bruciati o rubati i processi in corso. .

Entrano in città generi di consumo in quantità enorme.

Il maresciallo di P. S. signor Timoteo Opulo preso dalle squadre fuori Porta S. Antonino è fucilato dopo mille insulti e lasciato sul terreno in preda ai cani. 11 giorno seguente vien 'bruciato, sicché il puzzo che emana tormenta tutti quelli che abitano in quei dintorni.

A S. Antonino stesso fu ferito anche un Carabiniere, ed cerone la descrizione che tolgo da una bellissima corrispondenza al Corriere delle Romagne, perché non potrei narrarla con maggior verità ed eleganza di stile:

«Una povera donna salvò la vita a un carabiniere: mi narrò ella stessa il fatto con queste, parole. — Un Carabiniere ferito alla gamba dritta ed inseguito dalle squadre si rifugiò nella mia casipola: lo lo spogliai subito, e lo misi nel letto, e mentre m’ingegnava di nascondere i panni, sopravvengono due o tre della squadra e questi si contentano di portar via la divisa e le armi: poco dopo ne viene un’altra più furibonda, e io dico al carabiniere. — Figlio mio, di che sei soldato, non Carabiniere, se no ci ammazzano tutti e due — entrano gridando — è qui il Carabiniere — e già appuntano gli schioppi per ucciderlo sul letto. Io mi getto in ginocchio e mi raccomando per carità ch'e un soldato, non è Carabiniere, è soldato, meschino. — «Giuralo» — mi dicono le squadre — io lo giuro in coscienza dell’anima mia — e cosi fu salvo.

«Ho poi raccontato questo in una casa dov'erano due monache, e queste inorridite mi hanno detto. — Uh che peccato mortale avete sull’anima! Dovevate dire che era Carabiniere...»

Meglio un delitto che una menzogna innocente, e poi meglio una menzogna che favorire la giustizia; insomma protezione per gli assassini a tutti i costi; ecco la morale colla quale é stato educato e nutrito il popolo siciliano dal clero e dai governi caduti L.. E cosi passata in sangue è questa, morale che non sanno comprendere copie quelli dell’alta Italia possano maravigliarsi e chiamar colpose simili abitudini che essi si limitano a denotare col semplice titolo di costumi.

Il delegato di Bagheria Salvatore Natali ricoveratosi a Palermo ha un portone del Vicolo delle Finanze ne esce per cercare un più comodo ricovero e prender cibo, ma in quel momento entrava una squadra che veniva dalla Bagheria e riconosciutolo l’uccise. Il cadavere rimase sulla strada due giorni finché i vicini si decisero di bruciarlo spargendo cosi il nauseante puzzo in tutto quel quartiere.

Alcune squadre vengono in possesso di un piccolo cannone di qualche bastimento mercantile e lo portano in trionfo fino alla piazza del Carmine ove lo caricano e si esercitano al tiro. Però è buono a nulla né sanno usarlo.

A Piazza Vittoria e palazzo Reale essendo state compiute delle forti e regolari barricate in tutti gli sbocchi, fu affidata quella che guarda il Toledo, munita di un cannone, al Colonnello Córdiglia. Quella di Porta Nuova al Colonnello Sannazzaro. Il quartiere di S. Giacomo, che guarda dal lato opposto alla piazza il Papi reto, fu affidato, al Colonnello Martina. Il quartiere della Trinità al Maggiore Gentile, e il comando delle truppe che sono sulla piazza e nel palazzo Reale, con una sezione d’artiglieria, al Colonnello Sacco.

I due Generali son sempre d’attorno e passane gran parte delle notti alla barricata che guarda Toledo.

Il Carabiniere d’Arma Vincenzo è inviato per la seconda volta al Molo per portare un dispaccio, ma oggi non gli vien fatto di giungervi.

La compagnia di 150 Granatieri comandata dal Capitano Oldani riceveva ordine il giorno 16 di partire da Partenico e venire a Palermo. Infatti messisi in marcia con tutti i bagagli e raccogliendo tutti i piccoli distaccamenti che incontravano per via, molestati leggermente da qualche piccola banda che fece fuoco, contro di loro dai monti soprastanti alle strade, giunsero alle falde di Monte Cuccio in vista di Palermo. Ivi dispósti in ordine di battaglia s’inoltrarono nei giardini, ed entrati nei viottoli incassati fra le alte mura degli stessi giardini si trovarono vicini a S. Francesco di Paola. Allora un nuvolo di briganti, usciti dalla città al loro appressarsi, li copri con una pioggia di palle, sparando dai muri e dalle ficaje, tanto che i poveri soldati non sapevano come e a chi rispondere. Feriti molti e fra questi il luogotenente Tosi, vedendo alcuni compagni morti e la posizione orribile, nacque un poco di disordine; ma il capitano e gli altri ufficiali, compreso il Tosi che fasciata la ferita seguitò a combattere, ordinarono di dar la scalata ad un muro ed entrare nei campi lasciando i carri e i bagagli che rimasero preda dei briganti. Non sapendo cosa accadeva a Palermo e sperando di aver soccorsi, il Capitano Oldani ordinò l’assalto di una casa da dové partivano fucilate, e impadronitosene vi si barricò difendendosi dalle finestre.

Assaliti alla lontana da migliaja di palle e facendo suonare continuamente i tamburri per domandare soccorso i poveri Granatieri cominciarono a difettare di munizioni dopo otto ore di fuoco, finché uno delle squadre potendo inosservato arrivare alla porla della casa vi attaccò fuoco. Allora gli ufficiali vollero fare una sortita e il Capitano Oldani perii primo insieme ai luogotenenti Tosi e Franchi, i bassi ufficiali Acquati, Del Buono, Della Lunga e Ghedini con una quarantina di soldati uscirono a passo di corsa, ma bersagliati da una continua scarica dei briganti, cadde morto il Capitano mentre gridava Viva L’Italia e vari soldati pure furono uccisi o feriti. Allora il Tosi preJe il comando della compagnia e portati fuori 40 soldati voleva aprirsi la via alla bajonetla per entrare a Palermo. IL Tosi non pensava di aver che fare con un nemico che non ha il coraggio di combattere alla bajonetta, ma che solo sa sparare dietro i muri, fuggendo verso le barricate che sono più indietro quando i soldati son vicini a raggiungerli. Infatti appena usciti cade morto il sottotenente Franceschi e gli altri corrono fino alla piazza S. Francesco di Paola sempre bersagliati dal fuoco e senza poter usare la bajonetta. Qui il Tosi cade estenuato, i soldati non hanno più neppure una cartuccia; sicché il delegato Tresca, ch’era vestito da Granatiere, alza un fazzoletto bianco; son subito circondati dai briganti, ch'erano oltre i quattrocento, e disarmati e spogliati di tutto son condotti prigionieri nel convento dei Benedettini Agostiniani.

Il rimanente della compagnia che resisteva ancora nella cascina, finite le munizioni dové cedere anch'esso ed ebbe la stessa sorte degli altri.

Le squadre occupano la chiesa di S. Cita e i frati con solennità ne prendono possesso per restituirla al culto fra le ovazioni della plebe, che intanto trovata nella cappella del vicino ospedale militare una Piside con le ostie consacrate, le gettano in terra per rubare il sacro metallo.

Furori religiosi e orribili sacrilegi vanno di pari passo dové la Bolla di composizione tiene il posto dei vangelo è i mercanti usurai fanno le veci di ministri di Dio... e la religione è' una finzione... una menzogna!

Sopraggiunge la notte e niun soccorso arriva da Napoli, forse per le solite avariò alla macchina o altro inconveniente che non manca mai quando un bastimento serve al governo. Gl’insorti dopo aver sparato tutta la giornata pare che vogliano riposarsi è cessa il fuoco quasi totalmente. Non mancano però di far qualche barricata per Toledo dové rimane buon nerbo di briganti, è ricomincia il tetro grido dell’allerta e dell'allerta sto. — Ogni tanto suona qualche campana dando segnali, e i capi tengono consiglio per dare un qualunque programma al popolo e creare un comitato che si presenti al pubblico con un certo prestigio e autorità di nomi. — Vedremo in seguito che resterà il programma dei ladri e la nobiltà non sarà che vittima, e come ricattata da assassini cederà alla forza brutale senza accettare alcun mandato. Profitterà però del prestigio che gode per abbindolare i fanatici e risparmiare a Palermo estremi mali.

Il 18 settembre

Martedì

Faciliore inter malos consensu

ad bellum quam in pace

ad concordiam

Tacito

Poco dopo la mezzanotte del 17 il presidio del palazzo di Città, mancante di viveri e munizioni, è nella impossibilità di resistere più oltre e il General Camozzi, tenuto consiglio con i cittadini che sono presso di lui, decide di abbandonarlo profittando della notte oscura per andare al palazzo Reale. Infatti disposti gli uomini in tre compagnie e prese egli stesso le bandiere delle 4 legioni della Guardia Nazionale, escono quietamente, e per strade traverse giungono al palazzo Reale senza essere molestati in alcun modo. — Arrivati poi alle prime opere di trinceramento della Piazza Vittoria, mancò poco che non ricevessero una scarica, perché stante l’oscurità della notte non v'era modo di farsi riconoscere.

All'una e mezzo antimeridiana il Generale Carderina ordina al Capitano Marasca del'10° Granatieri temporaneo di andare al palazzo delle Finanze con la sua compagnia, portando ogni soldato un pane nello zaino da lasciarsi a quel presidio, e quindi proseguire la corsa fino al Castello a mare per portare un dispaccio a quel comandante e poi tornare a Palazzo accompagnando le truppe che sbarcheranno certamente in giornata. Il bravo Capitano si mise subito in marcia con i Tenenti Antoniani e Cartoni comandando che la compagnia procedesse ai lati della strada con ordine e silenzio. La via Toledo era al bujo, ingombra di rollami, vetri e di qualche cadavere tanto che caddero dei soldati, ma pure giunsero inosservati fino ai Quattro Cantoni di città. Qui trovarono una barricata che facilmente superarono perché le sentinelle fuggirono senza neppur sparare, e proseguita la marcia fin presso al palazzo delle Finanze si trovarono innanzi ad una ben costruita barricata, da dové s’intesero intimare l’alto chi va là; il Capitano risponde col grido avanti ai soldati e i briganti fanno una scarica a cui la compagnia risponde; ma vedendo impossibile di superarla ora che era dato l’allarme è costretto a tornar indietro, non senza pericolo di esser preso in mezzo, poiché già le campane suonavano a raccolta e gl'insorti si precipitavano verso gli sbocchi del Toledo, tutti muniti di solidissime barricate.

Arriva a Palermo la squadra brigantesca di Montelepre composta di circa cento uomini benissimo equipaggiati e muniti di buone armi e abbondanti munizioni. Si noti che il paese di Montelepre è quasi tutto di proprietà (anche per recenti acquisti) del duca d’Aumal, i paesani quasi tutti suoi soggetti o coloni, e che questa squadra sparse nel popolo la notizia dell’arrivo di una flotta inglese con a bordo un principe Orleans.

I Generali, il Prefetto, il Sindaco e la Giunta municipale si riuniscono in consiglio.

Alle sei antimeridiane si segnalano dalla Specula legni, da guerra in vista. .

La guarnigione del palazzo Reale comincia a difettare di viveri avendo da provvedere a circa tremila persone che si trovano in quel recinto fra truppa e cittadini, sicché il Generale ordina che sia ridotta a metà la razione del pane.

Circa 600 reclute siciliane in congedo che stavano al Lazzaretto per scontare la contumacia, essendo rimaste senza viveri e non avendo potuto aver le armi richieste per andare a difendere il Castello a mare, erano usciti fin dalla sera innanzi e pur troppo qualcuno si unisce ai briganti. Devesi notare però che erano tutti della leva 4845 e quindi sotto le bandiere da meno di un mese, essendo state chiamate quando già si trattava della pace.

Gl’insorti attaccano, o per meglio dire sparano contro tutti i posti tenuti dalla truppa e specialmente contro le grandi prigioni.

Essendo abbandonato fin dalla notte il palazzo di Città, v’entrano le squadre e il popolo furibondo saccheggiando e distruggendo tutto quello che trovano, e bruciando l'archivio. Anche il grande e magnifico ritratto di Garibaldi è straccialo e calpestato dall’idrofoba e ingrata plebe, insieme a quello del più augusto personaggio d’Italia. Dopo di che il comitato reazionario vi portò la sua residenza e alle nove antimeridiane fu abbassato il glorioso vessillo nazionale e innalzato uno straccio rosso.

Dal Castello a mare il Maggiore Belli dirige un colpo di mitraglia ai briganti che da un vicolo presso S. Lucia sparano contro le grandi prigioni e cade mortalmente ferito il famoso Salvatore Di Miceli. Questi era un uomo carico di delitti contro la sicurezza pubblica e pochi giorni prima della insurrezione era stato messo in libertà per ordine dell'autorità giudiziaria. Tornato a Monreale non voleva il giorno 16 prender parte alla insurrezione e si dice che vi fosse spinto quasi a forza dai frati Benedettini che colà regnavano sul paese e sul governo.

All’ospedale militare le squadre vanno e vengono continuamente e cosi la plebe, che sempre trova qualche cosa da portar via. La moglie del Dottor Restelli si rifugia in casa dei signori Alaimo e le Suore di carità presso il Console generale di Francia..

Intanto mancando i mezzi per provvedere di alimenti il personale e i 200 malati, si fanno collette fra i medici, e i fratelli Buonaccorso fabbri falegnami dell’ospedale formando una controsquadra vanno a prenderli al mercato. Ogni giorno mandano anche al comitato il Patavina con la controsquadra per aver i viveri ma non ottengono nulla. La sera anche la signora Guidotti moglie del Medico Capo si ritira in casa dei signori Alaimo.

Vedendosi il Maggiore Belli sempre più circondato dagl'insorti che andavano sparando contro il castello, comprese la necessità in cui si sarebbe trovato di dover tirare col cannone contro la città se si tentasse di assalirlo. Risoluto di difendere la posizione ad ogni costo e riconoscendone la somma importanza, per la ragione che ho già detta, mandò fuori un Ufficiale con bandiera parlamentaria e un tamburro.

Al primo rullo tutti gli abitanti delle case che sono di fronte al castello misero fuori la testa e allora l’Ufficiale lesse il seguente avviso.

«Il comandante del forte di Castello a mare, nella dolorosa necessità di dover far fuoco coi cannoni contro le case che circondano il forte, qualora queste servissero di ricetto, agl'insorti; per evitare i terribili danni che ne verrebbero ai pacifici cittadini, fa invito ai medesimi o di allontanarsi ad altre abitazioni ovvero a rifugiarsi in questo forte ove saranno in sicuro. Dovranno però portare con se j viveri necessari.»

Propagatasi in città la notizia di questo avviso il comitato mandò un parlamentario al forte. — Infatti si presentò un individuo al Maggiore Belli, che disse essere Francesco Burgio d’Agate e membro del comitato secondario di S. Domenico, e gli domandò copia dell’avviso fatto leggere dall'Ufficiale. Entrò poi in discorsi d’attualità, dicendo che sarebbe impossibile al castello di resistere e che riteneva necessario che cedesse tostoché avesse capitolato il palazzo Reale, assicurandolo infine che per questo le trattative erano già a buon partito.

Il Maggiore che pieno di fede nell'Italia, non aveva credulo alle voci di insurrezione a Napoli e a Genova, sapendo anche che erano partite le truppe da Napoli e Livorno non che la flotta da Taranto, per il telegramma ricevuto dal Prefetto il giorno 16, si rise di quelle guapponate e tornò sul suo bastione per far collocare un altro cannone di contro la via Cavour.

Arrivati in porto fin dalle prime ore del mattino il Tancredi e il Rosolino Pilo; sempre in ritardo perché potevano essere a Palermo il giorno innanzi, sbarcano i due quinti battaglioni del 19° e 51° fanteria, (molto incompleti poiché superano appena i 700 uomini), e qualche pezzo d’artiglieria di marina, cioè due obici da 8 e due da 16 che furono utilissimi al Comandante de' Quattroventi per tenere in rispetto i briganti che assediavano la Vicaria.

Anche gl'insorti hanno qualche cannoncino di marina in ferraccio che non reca loro alcun vantaggio perché non sanno adoperarli.

Il castello riceve viveri dal Tancredi.

Venendo a mancare le munizioni al presidio del palazzo Reale il Generale fece appello alle truppe perché si presentassero dei volontari per aprir le comunicazioni con la marina e il castello e. portar l'ordine di spedire a palazzo rinforzi, viveri e munizioni.

Si presentarono 55 soldati e il milite della Guardia Nazionale signor Pirandelli si offri per far da guida.

Dato il comando al Capitano Maliardi e ai due Tenenti Leva e Fazio, questa eletta schiera usci da porta Nuova disposta in pelottoni di otto uomini ciascuno, dirigendosi al mare per la via esterna. Giunti all’Olivuzza una grandine di palle che veniva dai muri dei giardini a dai filari di fichi d’india, ove erano intanati i briganti corsi dalla città al primo muoversi della truppa, li obbligò a marciare nella direzione del fuoco per sloggiare il nemico. che infatti al loro avvicinarsi fuggi prendendo simili posizioni ma più lontane, Caduto morto il Luogotenente Levi i soldati raddoppiarono di ardire e corsero a prendere una barricata, ma tale, era il fuoco che videro impossibile di giungervi vivi essendo in troppo meschino numero. Qui rimane ferito il Capitano che perde. il dito mignolo. Sopraffatti da un cerchio di fuoco che partiva da tutti i giardini e dalle casino, si aprono il varco in una di queste, atterrando la porta, ma disgraziatamente trovano che non ha riuscita dalla parte di dietro. Allora il Sottotenente Fazio tentò ‘una sortita con 5 uomini, ma si vide accerchialo da oltre mille insorti che stavano l’un sopra l’altro fra i muri dei giardini e le ficaje e che gridavano arrinitivi ca avriti sarva la vita. La resa era inevitabile a meno che avessero voluto farsi inutilmente scannare senza gloria, da cosi spregevole nemico. Furono disarmati e condotti prigionieri a S. Agostino.

Comincia del fermento fra le squadre che minacciano i loro capi perché vogliono esser pagati secondo le promesse avute; intanto vanno per le case de' cittadini imponendo requisizioni di denari e viveri. Molti signori evitano il saccheggio delle loro case sborzando grosse somme in oro ed argento.

Esce stampato il seguente proclama:

Comitato provvisorio di Palermo

Concittadini!

«In questi momenti supremi, è mestieri che il paese pensi alla sua tutela. La Guardia Nazionale renderà certamente questo servigio, il governo provvisorio fa ad essa un appello.

«Animo dunque e virtù cittadina. Compatti ai vostri quartieri; il paese è salvo.»

Palermo, 18 settembre 1866,

Il presidente

del comitato provvisorio

I Sottotenente Fornaca del 10° temporaneo Granatieri con pochi uomini va ad attaccare gl’insorti a porta d’Ossuna da dové molestano il quartiere di S. Giacomo. Giunto alla porta i briganti abbandonano la casetta de' finanzieri dové erano intanati e corrono dietro la barricata costruita alla porta d’Ossuna. Il Fornaca vedendo impossibile di poterla abbattere senza l’ajuto del cannone, essendo formata come al solito di grossi pezzi di marmo del basolato delle strade, e non potendo in alcun modo raggiungere il nemico, si contentò di prendere la bandiera che slava sulla casetta de' finanzieri e tornò al suo posto, lasciando così sbalorditi i briganti che per tutto il giorno non tornarono più ad occuparla. — In questo fatto cadde morto il caporal foriere Varengo Giuseppe.

La città ha preso l’aspetto di una fortezza alla quale nessuno può avvicinarsi senza rimanere oppresso da un vivo e ben nutrito fuoco di fucileria. — La truppa dovrà risolvere un difficile problema, quale è quello di prendere questa fortezza senza poter usare i più efficaci mezzi di offesa. — Rispondere colle fucilate è cosa vana perché il nemico è barricato e non si mostra mai, né va ad attaccarle allo scoperto ove sono attendate e molto meno tenta assalti ai quartieri.

Assalire senza poter essere protetti dal cannone vuol dire immolare la metà delle truppe che dopo entrate sarebbero massacrale per le vie da una pioggia di palle senza potersi difendere ne offendere.

Usare il cannone e la mitraglia ridurrebbe immediatamente al silenzio il nemico ma sarebbe una barbarie, perché ne risulterebbe più danno ai cittadini onesti e alle famiglie innocenti che non ai briganti.

Una dunque è la soluzione possibile. — Aspettare i rinforzi finché bastino ad assicurare l’esito di un assalto generale, e intanto tenere in iscacco il nemico perché occupato alle barricate non abbia tempo di sfogare la sua ferocia sui cittadini e dedicarsi al saccheggio. Questo è il programma adottato da tutti i comandanti e che otterrà lo scopo.

Per la città corrono le più stravaganti notizie e tante che mi è impossibile di registrarle. La più. notevole però è quella che tutta Italia fosse insorta dopo l’iniziativa di Palermo, e da per tutto già sventolasse vittorioso il vessillo rosso. 11 popolo credè e il ritardo dei soccorsi fece dubitare quelli che hanno mezza fede nell'Italia,

Vari principi e distintissimi cittadini sono presi a forza per costituire un comitato palese. Un’immensa folla disarmata e di plebe va a prenderli nelle loro case e non si sa ancora se per alcuno di questi il farsi trascinare per forza fosse una commedia, ma è certo che i più furono vittime designate dal comitato reazionario e dal popolo, che non sa fare un passo se non ne chiama a parte la nobiltà, che é abitualo a vene{rare.

Intorno alle grandi prigioni v'è sempre un forte nucleo di briganti che non cessa mai dal molestarle. Nel triangolo formato da porta Carini, porta Macqueda e la Vicaria non vi sono mai meno di cinque o seimila insorti poiché il principale obbiettivo della insurrezione nelle menti della plebe è la liberazione dei fratelli che giacciono nelle carceri. Se fossero riusciti a scatenare quelle duemila e duecento belve, Palermo sarebbe andata in fiamme; ma vani furono i loro sforzi la dové non più tremila servi della tirannide, ma poco più che duecento petti di liberi italiani. son pronti a morire combattendo, piuttosto che cedere alla vile ciurmaglia e tradire il paese. Gridano i briganti arrinnitivi ca lu Palazzu ha cidutu Si nun v’arrinnùi vi scanniremu a tutti. — Ma quei prodi si ridono delle minaccie e son certi che fra tanta bordaglia non c’è uno che abbia il coraggio di tentare l'assalto.

Al palazzo Reale tutto è movimento per provvedere agl’incalzanti bisogni del presidio e alle opere di difesa. Il Prefetto e i cittadini che gli sono dattorno, il Sindaco e la Giunta municipale tutti lavorano e si fanno commissioni per presiedere alla cura de' feriti, alla requisizione di viveri e munizioni ecc, ecc. Però più che lenire le amarezze dell’assedio, non v'è da fare. I Generali vedono, ascoltano, danno mano a tutto, ma la loro base di operazione è fissa.

Non si deve e non si può far più che difendere le posizioni ad ogni costo, e fino a che non giungano rinforzi.

Il Prefetto e il Sindaco domandano 40 uniformi militari per il caso che anche i borghesi fossero costretti a fare un’estrema difesa o piuttosto aprirsi un varco per la città fino al mare, quando non avrebbero più una cartuccia, né un pane, né un cavallo da uccidere.

I Carabinieri ed il signor Perricone vanno facendo requisizioni di viveri durante la giornata.

Le squadre hanno già saccheggiata il magazzino merci e tutta la città è piena di oggetti militari.

Si annunzia al popolo l’arrivo di uno sterminato numero di squadre da tutta l'isola, ma invece non sono che due o trecento ribaldi di vari paesi che vengono alla spicciolata, e un centinajo e mezzo che riunitisi nelle campagne vicino fanno l’ingresso trionfale in città preceduti da una specie di concerto.

Un carabiniere ed una guardia di,P. S. presi prigionieri al giardino inglese il giorno 16, sono pugnalati. Poi fu trovata una testa conficcata al muro con un grosso chiodo e doveva appartenere ad uno di questi. Fu levata e sotterrata da un cittadino che se ne avvide.

Un Granatiere siciliano diserta e appena giunto fra gl’insorti spara contro la sua compagnia. Un solo carabiniere, anch'esso siciliano, trovandosi solo in campagna si unisce alle squadre dopo essersi spogliato dell’uniforme.

È ricercato avidamente il processo di Badia e lo vogliono dall’istruttore Nicolosi che salva la vita a furia di denaro.

I preti portano il Viatico ai malati e traversando le strade benedicono col Sacramento le squadre che s’inginocchiano gridando viva la religione.

Il rispetto per i preti è sommo e se qualcuno vuol fare un poco il riservalo gl'insorti armati son pronti a ripetere «Parrini ((1)) nui nni cummattemu pri vuautri... ajutatinni!

Le squadre portano bandiere rosse sulle quali sono attaccate effìgi di Santi, e l’intercalare dei briganti «La Bedda Matri di tu Garminu cci farrà vincivi e quella dei cittadini. «comu voli Diu.»

È cosa strana ai tempi nostri, ma pur caratteristica di questo popolo, quella di vedere costantemente invocare e chiamar partecipe e protettrice de' loro delitti, la Deità. Anche sul calcio dei fucili qualcuno tiene appiccata l'effìgie di Santa Rosalia; senza dir degli scapolari e abitini e corone e altri attrezzi della più raffinata superstizione che i preti profondono largamente tra la plebe attribuendo loro virtù di talismani.

Nei quartieri interni le botteghe di commestibili sono aperte e si vedono venditori di guasteUe ed altri generi che gridano ad alta voce il prezzo delle loro merci.

Cosi nelle strade non esposte ai projettili si vedono uomini e donne ai balconi in conversazione coi vicini, raccontare gli avvenimenti del giorno, domandar notizie, agl'insorti che passano senza mostrarsi punto esterrefatti per ciò che accade nella loro città. Chi più ha da temere si mostra più propenso al movimento e parla di vittoria de' nostri (i briganti) e con una restrizione mentale intende per nostri le truppe che lo facciano uscir dal pericolo di aver saccheggiata la casa.

Dorante i sei giorni non si è mai inteso pronunziare il nomo di Garibaldi ed anzi il sentimento pubblico consigliava a tacerlo. Neppur nelle forme v'è nulla che dia alla sommossa un carattere politico. Garibaldi è simbolo d’Unità per l'Italia e quindi non può esser che odioso agli insorti i quali piuttosto gridano, viva Badia, tanto più caro al popolo perché rinnegato reazionario e autonomista.

La casa del cittadino Perrone Paladini è saccheggiata perché designato, da' reazionari autonomisti, come capo partito, liberale e sfacciatamente unitario.

Alla chiesa di S. Agostino, ove sono i registri di leva,va una turba di popolo e brucia tutto.

Veniamo ora alle operazioni militari, 1700 uomini circa venuti da Napoli, e sbarcati nel mattino al Molo, dopo presa cognizione dello stato delle cose è del terreno, si diressero per la via grande delle Croci nella direzione deII’Olivuzza per raggiungere il Palazzo Reale e aprire le comunicazioni fra la marina e quel presidio, Ingolfatisi nelle strade che fiancheggiano i. giardini, incassate fra le alte mura dei medesimi, furono bersagliati da un vivo fuoco di fucileria al quale non potevano vantaggiosamente rispondere, perché partiva dalle case e dalle ficaje dové gli insorti erano più che barricati. Vedendo che l’impresa non si poteva compiere per quel giorno si contentarono della ricognizione fatta è ripiegarono verso il Molo, avendo pur sofferte delle sensibili perdite di oltre a venti feriti fra ufficiali e soldati. Ritiratesi queste truppe alla Marina venivano vantaggiosamente disposte per rinforzare esternamente la difesa delle grandi prigioni, con distaccamenti di compagnie dal lato di tramontana a tener aperte le comunicazioni fra queste e i diversi quartieri del Molo; e infine ad occupare il lazzaretto per modo da formare una ben difesa base di operazione, acconcia a tutelare altresì lo sbarco delle truppe che si aspettavano dal continente.

Le piccole frazioni del 2° e 3° battaglione del 10° temporaneo Granatieri con due pezzi da 36 sbarcati dal Rosolino Pilo ai Quattro Venti, due obici avuti dalla Pirocorvetta Tancredi che guardano la strada del Molo, e il Tancredi stesso col suo fianco a terra dirigendo colpi di mitraglia, concorrono a tener in soggezione le torme d’insorti che costantemente minacciano le grandi prigioni.

Tutte queste precauzioni prese dai nuovi arrivati sono quasi inutili, e nascono dal creder gl’insorti capaci di tentare l'assalto della Vicaria, mentre invece tutti i loro sforzi tendono ad avvilire il presidio e indurlo a cedere, come avevano ottenuto altre volte quando si trattava di truppe borboniche.

Alle dieci di sera, proveniente da Livorno sbarca il 24° Battaglione Bersaglieri che doveva giungere la piattina o anche la notte precedente, se i soliti inciampi non gli avessero impedito di partire all’ora stabilita

Preso quartiere al Molo nella cosi detta quinta casa, il Maggiore assume il comando di tutte le forze sbarcate finora, essendo il più anziano fra gli ufficiali superiori che si trovavano al molo — Prima sua cura fu quella di riconoscere minutamente il terreno, facendo una ricognizione verso il lazzaretto, e da qui ripiegando sulla sinistra rasente le falde del Monte | Pellegrino s’immetteva per la strada S. Polo, spingendosi fino al principio della via grande delle Croci, a destra delle grandi prigioni, di fronte ( )alla città. Assicuratisi per tal modo che un gran tratto della parte Occidentale dei sobborghi di Palermo era sgombra dai briganti, e presidiata, da distaccamenti del 19° e 51° di linea, ritornò in quartiere dové dette le disposizioni da eseguirsi il mattino seguente.

Avendo le squadre assalito vari stabilimenti potè il comitato fornirsi di una rilevante somma di denaro che poi servirà a pagare i republicani. Un quindici mila lire trovarono al Municipio, e non so quanto al comando di Piazza, alla cassa di risparmio, all’Ospedal Militare, all’Istituto Garibaldi e in varie altre casse parziali delle stazioni e delle compagnie. Gran parte però andò rubato dalle squadre stesse come ho già detto che accadde della cassa del comando di piazza portata al Carmine. Ma al comitato non mancherà certamente modo di provveder denaro avendo nelle sue fila il ricco clero e i ladri per andare a far requisizioni presso i più ricchi cittadini.

Sopraggiunta la notte tornano le solite scene d’illuminazione, di grida, di all’erta, di scampanio eoe. ma si odono raramente colpi di fucile. La notte passa meno agitata delle precedenti perché gli uomini cominciano ad esser stanchi.

Il 19 settembre

Mercoledì

Scioti, e liberi sfirrannu,

La cita è desolata,

Cui pò diri, ohimè! lu danno,

Chi appurtau sta gran scappata?

G. Meli

Questa è la giornata che segna il colmo della insurrezione e si può calcolare che nella città ci siano 25,000 armati. Di questi non più che dodici centinaja provenivano dai paesi della provincia di Palermo; senza contare alcune bande che rimasero scorrazzando per i contorni, minacciando i paesi che si mantenevano tranquilli, e saccheggiando le caserme della Vittoria e de' Borgognoni che sono a mezzo chilometro da Palermo. — Non resiste alla critica lo ammettere, come hanno fatto molti corrispondenti, un maggior numero di invasori estranei a questa città, e solo si aumenterebbe di un buon terzo la cifra che ho data di mille e duecento, se si volessero calcolare come estranei i renitenti e latitanti palermitani, che uscirono fuori dai boschi, dalle campagne e dai conventi. Né tutti rimasero costantemente a Palermo, che anzi molti quando ebbero fatto un buon bottino se ne tornarono ai loro paesi. Di questo ho dovuto persuadermi dopo accurate indagini mentre prima ancor’ io credeva che gl'invasori fossero un gran numero.

Vi sono poi circa duemila fra giardinieri, contadini e carrettieri, e i più feroci di tutti, che abitano presso la città nei sobborghi e nei casolari.

Sette o ottomila della plebe insieme ai sopradetti sono i veri combattenti dai bastioni, dalle case, dalle barricate e fanno le sortite fra i muri dei giardini e filari di fichi d’India per molestare la truppa nei suoi movimenti.

Il rimanente degli armati guarda le barricate di tutte le mille straduzze della città e uniti alle loro donne e ai ragazzi fanno un baccano infernale, danno la caccia ai proscritti, fanno da telegrafo per avvisare dove devono accorrere le squadre, si dedicano al saccheggio degli stabilimenti municipali e governativi, e infine tormentano gli onesti cittadini in tutti i modi possibili.

A tutto questo bisogna aggiungere un migliajo che girano armati per andare a far provviste e prender notizie degli amici e parenti.

Infine poi la numerosa schiera dei partigiani d’ogni colore, feccia di tutti i partiti, in gran parte armati, che per essere del ceto superiore alla plebe, fa da direttore parziale del movimento insieme al clero, e questo per la sua veste domina ovunque. Anche un sagrestano o un inserviente di monastero gode di una buona dose d’influenza sul popolaccio.

Ciò nondimeno il numero dei veri combattenti che tengono fermo alla difesa delle posizioni non supera certamente i dodicimila ed in gran parte sono disposti fra porta Carini e porta S. Giorgio e intorno alle grandi carceri, che sono il loro obbiettivo, mentre tutta la plebe è unanime ((1)) nel proteggerli ed ajutarli.

La notte passa piuttosto tranquilla con i soliti all’erta sta e i segnali delle campane.

AI palazzo Reale il General Carderina alle due e mezzo antimeridiane raduna tutti i comandanti di corpo e tiene un segreto consiglio per constatare la situazione e redigerne un processo verbale. Fu veduto cosi che non v’erano viveri per più d’un giorno e riducendo al quarto di, pane la razione, ve ne sarebbero anche per tutto il 20. Le munizioni da guerra presso che finite, non avendo più che 20 colpi a soldato e 50 per cannone. Si dispose quindi che la razione fosse ridotta al quarto di pane, che si ucciderebbero altri cavalli e che non si facesse più fuoco se non quando il nemico fosse a cinquanta passi; ciò che voleva dire non sparar più perché i briganti non avrebbero certamente il coraggio di venire scoperti a cinquanta passi dal palazzo. Infatti fu ottimo provvedimento perché non si ebbe occasione di sparare e fu economizzata la poca munizione che rimaneva. .

Quantunque i soldati abbiano una cosi scarsa razione pure al quartiere della Trinità la dividono, con qualche cittadino delle case vicine che non potendo uscire a provvedersene versava in gravi angustie.

I Generali ordinano che si facciano requisizioni nelle campagne vicine le quali furono eseguite dai carabinieri ed anche dal signor Perricone.

Alle sei antimeridiane dalla specola si segnalano legni da guerra in | vista dal lato Est e poco più tardi si assicura che è la fiotta italiana: proveniente da Taranto.

Per la città si legge il seguente avviso, stampato:

Comitato provvisorio di Palermo

«Il sottoscritto, abilitato dal governo provvisorio invita i capi squadra a recarsi domani fra le 8 e le 10 àntemeridiane al palazzo di Città col notamento de' loro uomini ove saranno dal sottoscritto pagati.»

Palazzo, 19 settembre 1866.

Salvatore Nobile

Questo Salvatore Nobile era al tempo dei Borboni un intimo di Maniscalco.

Il Maggiore Brunettaj quantunque non potesse fin’ora contare che su poche forze, relativamente al nemico che era numeroso e fortificato, pure non potendo rimanere inerte mentre le circostanze stesse richiedevano la più pronta azione, verso le nove antimeridiane eseguisce un movimento di ricognizione offensiva nell’esterno della città.

Infatti messo in ordine di battaglia il suo battaglione si spinge fino al principio del corso' Scinà e i bersaglieri al solo grido di Savoja senza aver punto bisogno di valersi della bajonetta s’impossessano della prima barricata, che i briganti abbandonarono al primo loro avvicinarsi. Cosi prosieguono fino alla piazza Ruggiero'Settimo senza poter mai usar delle armi perché le sole grida e la vista delle loro piume bastano a metter in fuga quella vile bordaglia che si rintana dietro le mura e i bastioni della città.

Ottenuto lo scopo di riconoscere le posizioni e le località, atterrate quante barricate incontrano, presi tre pezzi di cannone in ferraccio con i quali i briganti cercavano di battere in breccia le mura della Vicaria, tornano ai loro alloggiamenti. — Trovarono allora già ancorata ih porto la flotta e disceso a terra il Contrammiraglio Ribotty il quale; dopo essere stato informato sullo stato delle cose, ordinava lo sbarco, di un battaglione di marinai ed un battaglione di fanteria Real Marina con dieci piccoli pezzi dà sbarco, dando il comando delle forze di terra e di quelle sbarcate al distinto capitano di fregata signor Acton Cav. Emerich.

Dai palazzo Reale il carabiniere d’Arma Vincenzo è inviato di nuovo con un dispaccio per l’Ammiraglio, ma riconosciuto per via da un tale che frequentava la caserma, fu circondato dalla folla e fatto prigioniero. Quantunque lo perquisissero due volte pure non gli trovarono il dispaccio, che teneva cucito nella fodera del soprabito, e potè riconsegnare al comando quando entrate le truppe fu liberato. Cosi fu che ebbe salva la vita.

Un altro carabiniere che tentò pure di portare un dispaccio all’Ammiraglio passando per la via esterna, fu crivellato dalle palle in modo che essendo pur vicino alla meta cadde esanime. Gli fu poi trovato due giorni dopo sugli abiti il seguente scritto che io stesso ho avuto in mano e tutto intriso di sangue:

GRAN COMANDO DEL DIPARTIMENTO DI PALERMO
GABINETTO

Palazzo Reale 19 ore 1 tre quarti pom.

All’Ammiraglio della flotta

«Arrivi il più presto possibile direttamente a me al Palazzo Reale.»

Il Generale

G. CARDERINA

Quantunque il Contrammiraglio non riceva in questo giorno alcun messaggio dalle Autorità di Palermo pure si dispone a far prontamente di proprio moto quanto da queste medesime si desidera.

Intanto in città tutti sanno che è giunta una flotta e quantunque moltissimi possano vederla e riconoscerla, pure si sparge la voce che è la flotta inglese con a bordo un principe di casa Borbone.

Altri dicono che è precisamente il principe Carlo residente a Londra ed ha con sé truppe spagnole comandate dal general Bosco.

L’arrivo della flotta però mette in convulsione i capi del sollevamento che cominciano a pensare ai casi loro. — Essi sognavano una rivoluzione italiana scoppiata all’annunzio dell’insorgimento di Palermo, per opera della reazione. Ora vedendo che l’isola nella massima parte era rimasta tranquilla e che la flotta aveva potuta essere impiegata contro Palermo, e. forse con truppe da sbarco, crederono di esser perduti. Non pensando, né potendo con la vile bordaglia che avevano armata resistere all’urto della vera truppa, come non avevano potuto espugnare neppure le mal difendibili posizioni tenute finora da poche reclute, vollero tentare di venire ad una tregua con le autorità assediate per potersi assicurare uno scampo e portar con esso loro il bottino. Infatti si fa correre un’altra voce in città che cioè il Console degli Stati Uniti ha offerta la sua mediazione per venire a trattative di tregua con le autorità. Intanto l’esimio marchese di Torrearsa, circondato da altri suoi distintissimi colleghi di sventura, non volendo in alcun modo rappresentare la sedicente repubblica, è finalmente indotto ad abboccarsi col console generale di Francia M.(r) De Sèuevier. Credo che il proggetto dei nobili fosse quello di barcamenare i briganti finché non giungessero i rinforzi, ottenendo cosi che nella speranza di una vantaggiosa capitolazione non eccedessero più oltre negli atti di vandalismo. In ogni modo è certo che la nobiltà trascinata a forza nella bolgia della insurrezione influì grandemente col suo contegno a moderarla, fino al momento in cui i briganti furono costretti a fuggire o cedere innanzi alle truppe vittoriose, mentre la massima parte credeva di non aver nulla a temere e poter presto venire alla liquidazione delle pensioni e compensi promessi.

Il Principe di Monteleone, dovendosi adattare ad aver per compagno il brigante Minneci, va al palazzo del console per domandare se avrebbe ricevuto il marchese di Torrearsa. — M(r). De Sénevier non esita a rispondere che lo avrebbe ricevuto ben volentieri come marchese di Torrearsa. — Andarono poco dopo il Marchese col principe di Monteleone, accompagnati dal Minneci, e dopo una breve discussione nella quale il Marchese declinò, come è naturale, ogni responsabilità e solidarietà con i briganti, ed il console ebbe protestato che non accetterebbe alcuna missione da parte degl’insorti, ma solo umanitaria per la salute della città, da parte e per la garenzia che gl'ispiravano personalmente il marchese di Torreassa e il principe di Monteleone, s’incaricò di scrivere una lettera al prefetto Torelli per domandare un abboccamento. In questo egli avrebbe poi fatte le proposte di una tregua di due giorni perché potessero esser impiegati nell’indurre gl’insorti ad uscire dalla città o ceder le armi e ripristinare cosi l’ordine senza ulteriore spargimento di sangue.

Il Minneci prese la lettera per farla pervenire al palazzo Reale ed il console stette pronto aspettando di poter andare a compiere la sua missione, che come egli credeva, avrebbe potuto far cessare tanti mali. Passò tutto quel giorno ed il seguente senza che più alcuno gli si presentasse.

È chiaro che il comitato segreto de' reazionari, avendo veduto che la flotta non aveva truppe da sbarco, se non pochissime, credè opportuno di soprassiedere per prolungare il suo regno e aspettare gli avvenimenti, che sperava favorevoli.

Il vero comitato vorrebbe prima di cedere fare qualche atto che avesse le apparenze di governo. A questo scopo fa prendere a forza il marchese di S. Giacinto, ex direttore delle poste, e lo fa condurre alla sua presenza per dargli l’incarico di prender possesso degli uffici della posta, consegnare al comitato tutto il numerario che esistesse nelle casse è organizzare un servizio di posta.

Il marchese di S. Giacinto dové andare, ma potè per questo giorno esimersi dall’eseguire gli ordini ricevuti col pretesto che mancavano gli impiegati i quali tenevano le chiavi delle casse.

L’ospedale militare seguita ad essere in balia delle squadre; il comitato nega ancora di dare i viveri per i malati dopo essersi impadronito della cassa; si mette la bandiera nera per ordine di un certo Patrizio, Lombardini giovane trapanese, che ha aspetto di persona civile e sembra incaricato di presiedere all’ospedale... perché sia perfettamente saccheggiato... La sera intanto si sparge nel popolo delle vicine contrade, che i medici si sono messi in comunicazione col castello per mezzo di segnali; e lo scopo di questa voce evidente è quello di aver una scusa per Cacciar via tutti e rubare i letti e quel poco che rimane ancora per uso indispensabile dei malati.

A S. Lucia un bottegajo spara contro un drappello di fanteria di marina e ne uccide uno; ma poco dopo va con la moglie a prendere il cadavere, lo trascina nella sua bottega per spogliarlo, e inorridisce riconoscendo il proprio figlio!

La donna infuriata allora come una tigre, si avventa con un coltello contro il marito e pazza dal dolore corre per le strade urlando finché credo fosse condotta al manicomio.

Per la città v'è il solito baccano infernale che esprime la gioja della plebe. Le donne non sanno saziarsi dal gridare, dal rubare, dal godere dell’impunità nel trasgredire con matto piacere alle leggi municipali di pulizia urbana. Tutto si fa in strada nei vicoli non esposti alle fucilate e tutto è anarchia perfetta. — Dei mascalzoni della plebe bandiscono la carne umana gridando con barbara compiacenza. — A 16 grana la carni di surdatu e 32 chidda di carrubinieri ca ci nne cchiu picca. — Si accendono i forni con tavole, cornici e mobili rotti gel. saccheggio del palazzo Rudini. — Nel mandamento Tribunali è ucciso uno delle squadre perché grida viva Francesco 2°, mentre in altri punti della città lo stesso grido è accolto con freddezza le pochissime volte che è ripetuto. Erano questi tentativi di qualche borbonico e riuscirono a dimostrare sempre più l’odio profondo che questo popolo nudrisce verso la caduta dinastia. — a plebe fornitissima di denaro spende molt’oro e argento, però la carta monetata seguita ad avere lo stesso valore e fiducia.

I capi squadra vestono quasi. tutti in bonacca e berretto rosso e portano uno straccio rosso (spesso è propriamente uno straccio) a tracolla, da destra a. sinistra, mentre molti anche delle squadre tengono berretti rossi presi nel saccheggio del magazzino merci, dové ne trovarono un deposito di quelli dei bersaglieri.

Alle undici antimeridiane 200 briganti circa, quasi tutti di Monreale e paesi vicini, e qualcuno di Girgenti, invadono i quartieri de' Borgognoni e della Vittoria (mezzo chilometro fuori la porta Nuova) ove erano pochi soldati in guardia dei. materiali e 60 cavalli. Saccheggiato tutto, compresi i cavalli, uccisi quelli degli ufficiali e distrutto quanto poterono, fecero prigionieri 60 soldati, tutte reclute siciliane, mentre due carabinieri ed un soldato continentali si misero in salvo fuggendo dalle fenestre e giunsero al palazzo Reale. Un altro del continente e caporale di artiglieria che aveva istigato gli altri a protrarre la difesa fino all’estremo, fu da quelle jene avide di sangue legato in croce ad un legno qualunque, poi barbaramente tormentato a colpi di stille e infine tagliatogli un membro del corpo gli accesero dintorno della paglia facendolo morire fra i più orribili dolori.

Questo è il fatto più atroce che si sia commesso nella cerchia di Palermo durante i sei giorni, ma è tale da far inorridire chiunque... meno quelli ai quali le gesta dei repubblicani di settembre servono per argomento di partito!

Da porla Nuova non poterono andare soccorsi e si limitarono a tirare da quella parte dei colpi di cannone. — Il non aver buona truppa è sempre la causa di tutti i danni, ma si poteva tenervi un presidio un poco più numeroso e comandato da qualche ufficiale!...

Una granata della flotta cade nel giardino del palazzo Reale e ferisce un carabiniere ed un soldato. Allora si fanno sventolare grandi bandiere tricolori sulla piramide di porla Nuova ed è avvertito cosi l’ammiraglio che ivi non ci son nemici.

I carabinieri seguitano a far sortite e andati per la via di Colonna Rotta, fuori porta Nuova, per requisir viveri, ne tornano ben provvisti, portando anche una cassetta di munizioni che trovano in una casa di campagna.

Cinque cavalli rubati alla caserma della Vittoria sono dal comitato segreto inviati al principe Linguaglossa che pensò bene di mandarli altrove.

Il Castello a mare riceve dalla flotta quattro cannoni da sbarco con relativi marinai che il Maggiore Belli fa collocare sul torrione da dové sparano qualche colpo, con ordine di dirigerli sulle strade senza recate danno alle case.

Alle grandi prigioni il fuoco dura continuo per undici ore e le palle piovono come grandine, ma siccome i briganti nemmeno sognano di dar Vassallo, le perdite dei soldati Si riducono a soli 4 feriti. — Se gl'insorti briganti avessero avuto il coraggio di dar la scalata di notte in non più che duemila, disponendosi a 500 per ognuno dei quattro lati dello edificio, protetti dalla fucileria,delle case e giardini attigui, avrebbero potuto benissimo impadronirsene sagrificando un centinajo di uomini. I difensori scarsi di numero non avrebbero potuto resistere a lungo a forze preponderanti in un vero assalto, poiché le mura sono alle non più che cinque e sei metri e volendosi anche servire delle carceri come di ridotti non avrebbero avute truppe sufficienti per difendere tutto il vasto recinto. Ma i repubblicani di Palermo tengono troppo a caro la loro vita per esporla fuori delle barricate e delle caso! Mai neppure un picchetto di truppa è stato affrontato a petto scoperto sopra una strada, anche quando tre o quattrocento briganti assalivano venti o trenta soldati. Sempre son rimasti dietro le mura, gli angoli delle strade e dentro le case, sparando all’impazzata. Eppure v'è chi parla di Valore delle squadre!... Innanzi a chi confonde vi valore col brutale ardire dell’assassino non v'è da. rispondere.

All'ispettore Passio i briganti gridavano arriènniti o ti scannamu la mugghieri e li figghi ca sunnu cca cu nui; e cosi ripetevano agli altri, che avevano in città la loro famiglia. Immagini ognuno quale strazio dovesse esser questo per quei prodi, aggiunto alla già penosa situazione in cui si trovavano.

Verso le due pomeridiane tutte le truppe sbarcate al Molo e quelle che erano colà acquartierate si dispongono a marciare verso la città mentre alcune barche armate in guerra perlustrano la costa e,proteggono col loro fuoco i movimenti della truppa. — Il comandante cav. Acton ordina il 24° Bersaglieri in testa alla colonna: seguito da due battaglioni di fanteria Real Marina e marinai, mentre le frazioni dei quinti battaglioni del 49’ e 54° reggimento formano la retroguardia. Prende anche dieci piccoli pezzi di artiglieria di. marina e in tutto forma una colonna di mille e cinquecento uomini.

La 2 compagnia dei 24° Bersaglieri marcia ordinata in avanguardia e senza far fuoco traversa il largo dell'Ucciardone, entra seguita dall'intera colonna nel corso Scinà, mentre i piccoli obici col loro fuoco spargono il terrore fra i brigante che friggono in città, e s’impadronisce di piazza Ruggiero Settimo: Procedendo quindi per la strada S. Oliva la colonna giunge, sempre preceduta dai bersaglieri, dirimpetto al. convento di S. Francesco di Paola dové è bersagliata con vivo fuoco dal convento, da porta Carini, dalle barricate di via Milazzo e via Stabile, dai muri della Villa Filippina, da tutti i vicoli a sinistra di piazza S. Oliva, dall’Orfanotrofio Ardizzone, dai fabbricati, dai muri e dal bastione della Concezione. In mezzo a tal cerchio di fuoco sarebbe sagrificata gran parte della colonna di truppa se i briganti non sparassero senza mirare e mettendo fuori il fucile solo quanto bastava per scaricarlo.

I Bersaglieri non si fermano e secondati dalla fanteria Real Marina circondano il convento, occupano la strada Milazzo, la via Stabile, la via Carini, fanno tacere il fuoco dell’Orfanotrofio e della Villa Filippina e cosi divisi in drappelli si spingono verso porta Macqueda, porta Carini e la via Malaspina spargendo il terrore frà le squadre.

Tenute queste posizioni per due ore e venendo meno le munizioni per gli obici, che erano tirati da marinai, non poteva la truppa tentare l’ingresso in città né rimanere la notte in quelle condizioni, sicché riformate le colonne nel più bell’ordine rientrarono nei quartieri al Molo.

In tale operazione, che può dirsi di ricognizione per esplorare le forze dei briganti, ebbe a distinguersi la fanteria Real Marina, meritaronsi lode speciale i cannonieri a marinai e sopra tutti poi i bersaglieri per il loro ardimento e tenace costanza.

Il comandante cav. Acton diè prova di molto coraggio e sangue freddo, come anche l’intrepido Maggiore Brunetta; il Capitano Zinzani che comandava la 2(a) compagnia de' Bersaglieri in avanguardia, il Luogotenente di vascello Grandville che fu ferito ed i Capitani di Real Marina Beuf e Palma anch'essi feriti. Particolar menzione poi merita il Sottotenente Garibaldino Magliocco palermitano che volontario facendo da guida si spingeva animoso ove maggiore era il pericolo.

Volendo esporre però francamente la mia opinione sullo scopo di questa ricognizione mi sembra che avrebbe potuto avere un risultato più soddisfacente se avesse avuto per obbiettivo di prendere e tenere la posizione di S. Francesco di Paola e dell'Istituto Garibaldi. Forse il comandante non sapendo quanto, valessero i briganti avrà temuto di non potervisi mantenere quando fosse assalito da forze preponderanti. Certo che se avesse saputo come'75 soldati erano bastati a difendere il palazzo delle Finanze, 200 a tenere il Castello e 250 a sostenersi nelle grandi prigioni, cosi estese e dové si concentravano tutti gli sforzi degli insorti, non avrebbe esitato un'istante a prendere il convento suddetto e l’Istituto per poi domani impadronirsi del bastione della Concezione e bastione di porta d’Ossuna e unirsi cosi al presidio del palazzo Reale il quale allora avrebbe potuto prendere l’offensiva.

Io abitando sopra il bastione di porta d’Ossuna da un belvedere altissimo, che domina tutta Palermo, vidi i briganti ritirarsi dal bastione della Concezione allorché le truppe si avvicinarono a porta Carini, e miaspettava di veder occupato anche il bastione, quando invece ritiratesi quelle, ricomparvero i briganti, fra i quali, se non m’inganno nel giorno, vi era anche un frate Benedettino Bianco il quale senz armi pareva che dirigesse o animasse la squadra.

Non potendo il. cav. Acton conoscere il vero valore. delle forze nemiche né la natura delle posizioni suindicate non poteva agir diversamente a quello che fece con si poche truppe, e quasi tutte di, mare, senza incorrere nella taccia di imprudente. Doveva piuttosto il Ministro della guerra inviare un Generale che conoscesse praticamente la città.

Al Palazzo Reale tutto ha movimento e industria per provvedere alla critica situazione. — Non v'è che un medico il dottor Lancia che per caso si trovava la mattina del. 16 al quartiere dei carabinieri, dove era andato per la visita. — Manca tuttociò che serve alla cura dei feriti ma vi provvede il comitato, sanitario composto dei Signori Manfredi Lanza, Trabia, Perroni Paladini, e Di Maria; il cavaliere Stura intanto mette a disposizione del comitato suddetto molte lenzuola e la duchessa della Verdura con la figlia, la baronessa Righini e tutte le signore degli ufficiali ricoverati al Palazzo preparano bende e sfila con tela trovata nel Monastero dei Settangeli.

Vengon meno le munizioni, e il comitato. composto del Duca della Verdura, assessore Notarbartolo e signor Traina si occupano di provvederle, fabbricando una pallottiera di legno nella speranza di poterle fare adattate ai fucili rigati, e radunando tutta la polvere che poterono trovare nelle case poste nel loro recinto.

Per requisire i viveri si forma anche un comitato speciale composto dei Signori Perricone, Capitano Saracèni e Tenente dei Reali Carabinieri Gori, oltre di che era attivissimo l’intendente militare signor Ferrerò.

Il Sindaco con i signori Beltrani, Notarbartolo, Basile e Chiaves procurano in tutti i modi possibili di spedir dispacci al molo, ma di otto inviati quattro tornano indietro, di tre non si ha più notizia e il. solo Rossini Guardia di P. S. giunge al destino e torna con la risposta.

Progetti, sogni e ipotesi se ne fanno a migliaia da tutta la gente iva radunata, e la mancanza di notizie fa si che si esageri grandemente la condizione delle cose— Il Sindaco propone di uscire in massa e per la via esterna riparare al molo e sulla flotta. Appoggiato questo progetto dal Duca della Verdura, è combattuto dal Conte Notarbartolo e respinto dai Generali.

Gli ufficiali di stato maggiore sono instancabili e fra questi merita particolar menzione il tenente Vincenzo Mortillaro, distintissimo ufficiale palermitano, che meritò anche l’onore di esser nominato nel rapporto del Generale.

I Carabinieri che hanno il loro quartiere di S. Giacomo a lato di Porta Nuova sono instancabili nel provvedere a tutto ciò Che si richiede da loro. Il Maggiore Donassi è sempre in azione e cosi i capitani Alasia Raimondo, Mugnaini Giuseppe, Valizzone Leonardo che diriggono la difesa non solo del quartiere, ma anche di Porta Nuova ed esterne barricate, che son fatte segno al fuoco dei briganti i quali sparano dapertutto ed in tutte le direzioni. Tanto nella difesa poi, quanto nelle requisizioni di viveri sono mirabilmente coadiuvati dai luogotenenti Ghelfi Priamo, Vaiper Carlo e dai tenenti Gori Luigi, Riccio Giovanni, Spano. Salvatore, Allodi. Erminio e Merlato Giovanni — Furono i carabinieri infine che provvidero la massima parte dei viveri con le molte sortite che fecero, mentre il Marescial Maggiore Golinelli ne era il distributore e tutti i bassi ufficiali ebbero la loro parte nel requisirli, dovendo nello stesso tempo difendersi e sparare contro i briganti, appiattati nella campagna e nei casali.

Il Capitano d’Artiglieria Conte di S. Marzano è anch’esso sempre in azione per dirigere il fuoco affinché non si ecceda e si arrechino danni alla città.

I Generali passano gran parte del giorno e anche la notte alle barricate, sorvegliando le reclute, della cui condotta nell’interno del recinto non ebbero a dolersi, né si poteva aspettare di più da gente nuova alle armi e alla disciplina. Essendo quasi tutte reclute siciliane, tolte dalla campagna, era già molto se rimanevano fedeli alla bandiera mentre i loro compatriotti godevano dell’Anarchia!

Si deve quindi alla saggia prudenza dei generali e fermezza degli ufficiali tutti, se non si ebbe a deplorare un grave scandalo nell'esercito.

Il Maggiore Gentile avendo saputo dai suoi soldati che. v'è una donna nella strada vicina, sotto al quartiere della Trinità, la quale offre di vendere 14 sacchi di farina, ne informa il solerte Colonnello Lipari il quale ordina che sia accettata e immediatamente presa. — Temendo che potesse essere avvelenata ne fu ionizzata un poco e data ai cani, finché riconosciuta ottima servi ad arricchire il magazzino viveri di un vero tesoro. Si uccidono vari cavalli perché non v'è più carne, e fu trovata ottima.

Non si può ancora fare un calcolo esatto sulla quantità di viveri che si requisiscono, i quali entrano è si consumano confusamente, deposti in vari locali e tenuti da vari comandanti di corpo nei loro quartieri. Si sta facendo però uno scandaglio "dei viveri depositati e delle razioni, che ascendono a tre mila circa, aggiungendovi intanto i 14 sacchi di farina e una gran quantità di formaggi e pasta trovati in un magazzino. di cui si è scassinata la porta.

Sul far della sera il Maggiore Belli al Castellammare riceve una lettera di certo Burgio che gli domanda un abboccamento. Essendo l’ora tarda gli risponde che potrà andare la mattina vegnente, cioè il 20.

Nello stesso tempo, si sparge la voce fra il popolo, che il castello vorrebbe una tregua di dieci giorni per domandare intanto a Firenze il permesso di poter capitolare. Di queste false notizie si fa un abuso incredibile... Nel mandamento Palazzo Reale corre la voce che ha ceduto Castello mentre nel mandamento Castello si dice che vuole una tregua... Nel mandamento Monte di Pietà, si 'assicura, che ha ceduto, Palazzo Reale mentre all’Albegaria si da per certo che sono state aperte le grandi prigioni.

Insomma si balocca il popolo come si farebbe con un fanciullo perché non abbia paura. La gran notizia però che é nelle bocche di tutti e li fa certi del trionfo, si è quella che il governo Italiano non può mandar, truppe perché tutta la penisola è insorta e le potenze vogliono che Si faccia la confederazione.

È poi assai curioso il sentir gridare nello stesso tempo e dalle stesse persone Viva la Reprubrica... Viva lu re propria. Tanto è lontana questa plebe dal concepire una forma di governo che non sia monarchica!... I popolani parlano di repubblica come di una costituente nella quale si scioglierà un re per la Sicilia (che in dialetto chiamano Regno) e in ogni quartiere si parla di candidato diverso; ma la parola d’ordine è che questo Re verrà dall’estero.

Si ripetono sempre gli stessi fatti... Rivoluzione per godere qualche settimana di anarchia e intanto cercare un nuovo padrone; per poi tornar a fare altrettanto periodicamente quando torna la febbre della rivoluzione con la crisi dell’anarchia e la guarigione con una monarchia qualunque. Tanto è vero che le rivoluzioni in Sicilia séno effetto di una malattia sociale: Crisi periodiche...

La sera si ripetono le solite scene; arrivano nuove piccole squadre ed altre partono; la notte passa piuttosto tranquilla meno in alcune strade dové si radunano plebe e squadre a far baldoria; fra litigi e grida si mantiene l’agitazione e il terrore nei poveri cittadini.

Il 20 settembre

Giovedì

Dalla mezzanotte alle prime ore antemeridiane non è turbata la tranquillità, tanto che cominciando a mancare le munizioni alla Vicaria, ne escono volontariamente i due carabinieri DeAngelis e Buonamico, vanno alla caserma de' Quattroventi e tornano dopo due ore, incolumi, con un distaccamento di Granatieri e due casse di munizioni.

Le truppe stanziate al Molo rimangono per questo giorno immobili in attesa di rinforzi.

L'Ammiraglio invia al Castello a mare il Sottotenente di vascello signor Narri ucci, distintissimo ufficiale del suo stato maggiore, con dei cannoni ed affusti per i pezzi che ne eran privi, nonché molti sacchi per gabbia e cannonieri per servire. i pezzi. Fa quindi situare imbozzato il Principe Umberto per proteggere il lato più debole del Castello.

Barche armate in guerra perlustrano il porto, tenendo in soggezione la strada del Borgo, la porta' Felice, la Flora e la via Lincoln.

Al palazzo Reale il foriere de' veterani Salvatore Fuppalloda Napoli, scritturale al gran comando, si offre per andare dall’Ammiraglio con un dispaccio, e riesce nell'intento.

Dalle case sottostanti al palazzo Reale, verso l’Albergheria, i briganti gridano morti a lu Sinnacu. — Datinni lu Sinnacu ca nun vi sparamu cchiu.

Alle case nuove al Borgo è saccheggiata l’abitazione di certo Giuseppe Meli impiegato.

Il Minneci va dalle suore di carità (francesi) alI’Olivuzza, per sentire se vorrebbero esse incaricarsi di far pervenire al Prefetto la lettera del Console generale di Francia. Le suore declinano questa missione.

Al Castello a mare due signori domandano di parlare al comandante. Ricevuti, dal Maggiore Belli si presentarlo facendo mostra di essere essi invitati e fingendo di non sapere che il Burgio aveva richiesto la sera innanzi un abboccamento. Dopo che il Maggiore ebbe loro dichiarato di non aver nulla a dire, gl’incogniti si finsero sorpresi e uno prese la paròla dicendo: postoché non abbiamo nulla di ufficiale da trattare, voglia in via confidenziale confermarci le notizie, che jeri l’altro dette al Burgio, se cioè sia realmente vero che il moto di Palermo è rimasto isolato e stiano. per arrivare poderosi rinforzi di truppa regolare dal continente. Il Belli confermò loro quanto aveva detto al Burgio tentando anche di distorglierli dal proseguire nella lotta. Quelli risposero esser ciò impossibile ed aver giurato di lasciar distruggere Palermo piuttosto che rimanere dipendenti dal. governo italiano. Parlarono poi lungamente dei cattivi trattamenti, del disprezzo e degl'insulti che. la Sicilia è costretta a tollerare. «… I siciliani, soggiungeva uno di loro, non sono cattivi e sostengono anche volentieri qualunque sagrifizio, ma sono orgogliosi e vogliono essere accarezzati... Colle buone se ne fa. quello che si vuole.» — Il Maggiore insisté a lungo con dolci maniere per persuaderli a desistere dalle ostilità ed a far atto di sottomissione al governo nazionale confidando nella clemenza sovrana; li consigliò a provvedere cosi alla propria salvezza e li scongiuro a risparmiare alla città gll'orrori di misure più violenti di repressione. — A tutto questo risposero, che comprendevano bene di non potersi sostenere, ma il dado era pittato e oramai bisognava subire le conseguenze... lo lasciarono infine commossi quasi fino alle lagrime.

Alcune ore dopo un parlamentario con bandiera bianca consegnò alla porta del Castello la seguente lettera:

Comitato centrale

Signore

«Noi gradiamo i sentimenti vostri, ma la nostra patria tradita non è più in tempo di ritirarsi; quindi preghiamo Lei da veri fratelli dell’uguaglianza renderci domani il forte, che in caso opposto sarà preso di assalto con gravi perdite da ambo le parti.

Non è vero che il nostro movimento non è stato corrisposto dal resto dell'Italia, che anzi Napoli, Firenze, Genova, il Lombardo non che tutta l’isola siciliana sono in rivolta di unanime voce.

«Viva, la repubblica! Sicché a nome di tutta l’Italia finiamo inculcandovi gridare con noi viva la repubblica e domani divideremo insieme il gaudio de' veri figli d’Italia.

Pel Presidente

(Alcuni tratti di penna non leggibili che imitano una firma)

Al signor Comandante

Il Forte Castellamare

Da parte del Comitato Centrale

Il Maggiore' Belli non tiene alcun conto di questa lettera.

Al palazzo Reale si constata che i viveri potranno bastare per tutto il domani 21 e il Colonnello de' Reali Carabinieri dice chiaramente che le requisizioni sono insufficienti, essendo oramai spogliate di tutto le case e giardini nel raggio di porta Nuova. I Generali si preoccupano grandemente di questa situazione e il Generale Righini tiene un segreto convegno col Prefetto per pensare al da farsi ove il giorno 22 non fossero aperte le comunicazioni col mare. 1 rinforzi non tarderanno più oltre, ma si tratta di tremila persone che bisogna alimentare, e la mancanza di viveri può reagire sul morale della truppa, già mal provvista di munizioni e molto stanca. Non contento il Generale Carderina del superficiale scandaglio fatto, ordina all'intendente di esaminare le provviste esistenti in tutti i magazzini e quartieri, redigendone un esatto rapporto.

Più tardi i Generali tornano a riunirsi insieme al Prefetto per discutere sui provvedimenti da prendersi ove, prima che giungessero i rinforzi, l’Intendente dichiarasse la totale mancanza di viveri; tanto più terribile inquantoché la gente radunata a Palazzo si era abbondonata al più grande avvilimento. Essendo già giunte delle truppe e la flotta, non vi era luogo a preparare estremi rimedi ma solo prepararsi ad ogni contingenza per non esser presi alla sprovvista. Mentre i Generali e il Prefetto conversavano fra loro si fa annunziare l’intendente Ferrerò e dichiara di aver esattamente calcolata la quantità di viveri con il prodotto delle ultime requisizioni, e potersi esser sicuri di averne sufficienti fino al 24, purché si prosegua col sistema delle mezze razioni. Svanito cosi il peggior pericolo che si voleva scongiurare, e rimanendo al posto delle munizioni le bajonette, non v'è più da temere seriamente e si cominciano a prendere disposizioni per una difesa del solo palazzo Reale ove non si potesse più sostenersi sulla piazza Vittoria.

Dalle grandi prigioni il Luogotenente Lamponi fa una sortita per requisire alimenti, come già ne aveva operato un’altra il Luogotenente Filaferro. Passando in mezzo al fuoco degl’insorti torna con due piccoli buoi, de' quali nno gli cade ferito, polli, pasta e due cannoncini di marina. Le fatiche sopportate dalla guarnigione della Vicaria sono incredibili e tutti gli ufficiali si distinguono per il loro coraggio non solo, ma per là loro patriottica abnegazione; e particolar menzione meritano poi il Luogotenente Lamponi a l’ispettore Passio non che i custodi col loro direttore.

I detenuti eran tutti prevenuti di ciò che doveva accadere; tanto che quando s'intimò loro di metter, fuori tutto il pane che avevano, pena la fucilazione a chi l’occultasse, ne cavarono tanto che bastò loro non solo durante tutto l’assedio ma ve ne fu anche per i soldati. Fin dal giorno 15 erano tutti pronti ad uscire tenendo già fatto il loro fagottello di panni e aspettando il momento di poter far forza alle porte e tumultuare. A questo provvide però il Passio facendoli guardare a vista da Granatieri col fucile montato, e con ordine di sparare al primo che trasgredisse all'intimo fatto loro di star coricati.

Anche il bravissimo luogotenente dei Granatieri Nasce, palermitano, seppe con pochi uomini e armato di due grossi tromboni tenere in rispetto i briganti lungo al corso Scinà, a vantaggio dei difensori della vicaria. A questi giovani valorosi che hanno salvata la città dal flagello peggiore, quale sarebbe stato la sortita dei detenuti, sarebbe da desiderarsi che il municipio compartisse un premio onorifico per attestar loro la dovuta gratitudine. 'Avendo (atto più che una campagna, pure il governo non deve riconoscerla per tale, perché la nazione. può solo deplorare una guerra fratricida che va nella luttuosa storia del brigantaggio.

All'ospedal militare verso il mezzogiorno entrano delle squadre a vogliono far prigioniero tutto il personale compresi anche i malati per dare una soddisfazione al popolo che li incolpava di essersi messi in comunicazione col castello per. mezzo di segnali; la vera ragione però era che volevano fare uscir tutti per rubare quel poco che vi era rimasto e i 200 letti che servivano ai malati. 11 dottor Guidotti e il cav. Osta cercano di persuaderli con mille ragioni e dimostrando loro che non avrebbero neppur potuto vedere il castello essendone riparata la vista da alte case e una chiesa. Entrano intanto altre squadre meno feroci e si viene ad una conciliazione; che cioè porterebbero con loro i convalescenti, tre ufficiali malati e gli altri si ridurrebbero tutti nella chiesa, consegnando l’ospedale ad un certo cav. Mira; il solo farmacista poi potrebbe salire alla farmacia accompagnato da qualcuno delle squadre di guardia.

Nel condurre via i convalescenti e malati meno gravi i briganti dividono, i siciliani. dai continentali, maltrattando e insultando questi ultimi, che poi portati all’ospedale della Concezione avrebbero voluto fucilarli; consegnati però a quei medici civili non ebbero più campo a. sfogar su quei disgraziati la loro feroce rabbia. — Più tardi mentre il personale dell’ospedale militare è riunito per mangiare un poco di riso, che a stento hanno potuto procurarsi, entrano altre squadre; li accusano delle Sopraddette colpe, più di star gozzovigliando invece di pensare ai maiali. Invano si scusano i medici facendo riflettere che non può l’ospedale rimanere senza di loro; i briganti rispondono che in Sicilia non mancano medici e che essi devono esser fucilati per dar soddisfazione al popolo... e già li fanno mettere in rango per portarli fuori, quando entrano nuove squadre, che altre volte hanno proietto l’ospedale, e si mettono in opposizione con le prime. Durante la baruffa i medici e, tutto il personale trovan modo di fuggire riparando negli alberghi e in qualche casa particolare. Intanto i poveri malati restano in mano della bordaglia senza cura e senza cibo, e nella sera una torma di donne toglie loro i materassi e le coperte lasciandoli sui pagliericci.

La controsquadra formata dai fratelli Buonaccorso è minacciala perché ha prestata la sua opera ai medici nel provvedere i cibi e nel difenderli. Allora son costretti anche questi a fuggire e dosi non c’è più chi, vada a trovar viveri per i malati.

La moglie del cavaliere Osta si ritira presso il console generale di Francia.

Dalla Specula si segnalano due vapori carichi di truppe provenienti da Messina.

Son presi a forza alcuni impiegati della posta e condotti presso il comitato e quindi agli uffici. Non essendosi potute avere le chiavi venne ordine del comitato al marchese S. Giacinto di rompere le casse e consegnare i valori a Salvatore Nobile. Furono trovate 65 mila lire delle quali una quarta parte erano boni mancanti,di una non so qual firma e quindi non riscuotibili. Parte dei valori fu destramente salvata dagl’impiegati stessi.

Per le vie interne è un continuo andare e venire di armati, di donne e di ragazzi che trasportano oggetti provenienti dal saccheggio, e la mostrano, irridendo al governo e ricevono rallegramenti dalla gente che sta alle fenestre curiosando per passare il. tempo, e cercando ogni maniera di mostrarsi partigiana della repubblica, per non essere esposta al saccheggio o alle componendo.

Il prigionieri accompagnati da gente delle squadre son portati in giro a fine di raccogliere denaro e provvedere al loro alimento. Però sono spesso gli accompagnatori che provvisoriamente intascano il denaro raccolto. In qualche quartiere son lasciati soli perché vadano elemosinando e questi ricavano appena il pane per sfamarsi, perché sarebbe stato pericoloso il farsi vedere troppo pietosi verso i soldati. Alcuni però, sprezzando il pericolo o potendolo fare di nascosto e nelle strade ove v'è meno popolo, accolgono questi disgraziati e li forniscono, di quanto è necessario.

Si vedono molte donne armate di stille e alcune anche di fucile alle barricate.

Nel mandamento Tribunali se ne vide una vestita da uomo con bonacca di velluto, bonnetto simile a quello dei polacchi e un lungo cortellaccio alla cintura. Questa stessa fu veduta, anche insieme a due preti con i quali sembrava che fosse in relazioni mollo intime.

Nelle case del mezzo ceto onesto non si vede una fenestra né uh portone aperto e si può dire che tale raccoglimento ed attenzione della classe pensante avvilisce i capi della reazione e la plebe, perché è una vera dimostrazione di biasimo contro di loro, alla quale non sono abituati.

Chi è costretto ad uscir di casa deve vestir gli abiti più sdruciti che abbia e un berretto qualunque. Guai a chi si mostrasse in pubblico con cappello a cilindro!

Nel convento di S. Anna si vedono i frati quasi sempre sui balconi, con sembiante ilare e di compiacenza, plaudenti quando si sente più viva la fucilata, passano torme di briganti gridando viva la repubblica... S. Rosalia... la religione, il re proprio, ovvero; morte agl’italiani.

In mezzo agli evviva la repubblica si sentiva talvolta. — Viva il re Orllinzu (Orleans). Infiniti erano i soggetti dei loro plausi, secondo il quartiere o le opinioni dei tanti capisquadra. Per chiunque si gridasse evviva, tutti applaudivano perché sarebbe stato assai pericoloso il contradire o rimanere indifferente, anche per quelli stessi delle squadre.

Essendo la festa di S. Matteo esce una processione e percorre le strade del mandamento Tribunali. Questa processione consiste in un quadro di S. Rosalia legalo alla spalliera di una sedia, e portato in testa da un fanatico, non so di qual sesso, preceduto da un tamburro e seguito da una caterva di femmine e ragazzi, circondati da uomini armati, col capo scoperto e tatti gridando con spaventevoli urli di evviva alla Santa, tramezzati con qualche colpo di fucile. Un prete capitanava quest’orgia religiosa.

Alle cinque pomeridiane un buon numero di briganti si risolve. a dare l’attacco al palazzo Reale. Ma per far questo invece di prender le bajo(: )nette e dar d’assalto alle barricate di piazza Vittoria, trova più comodo è meno pericoloso di aprire la' stamperia dei soci Carini, Macoclin e Càronna e da li sfondando i solai e incendiando, riuscire nel quartiere della Trinità che mette sulla piazza Vittoria, mentre un centinajo dei loro; impostati nei vicoli fanno, un vivo fuoco contro le fenestre del quartiere stesso. Il Maggiore Gentile si mette sulle difese e fa anch’esso sfondare un solajo per discendere nella stamperia ed incontrare i briganti, mentre due compagnie vengono a rinforzare il quartiere e rispondono al fuoco. Allora i briganti si allontanano, e vari sottufficiali discesi fino al piano terreno trovano insieme a molto combustibile, già acceso,. un bariletto di polvere destinato a farli saltare in aria. Gl’insorti i quali speravano che a tanto loro ardire sarebbe venuto meno il coraggio dei soldati e avrebbero abbandonato il quartiere, trovandosi' da offensori che erano, attaccati essi stessi, non pensarono neppure più ad espugnare il palazzo Reale.

Questo è stato l’unico tentativo d’attacco che non si è limitato al semplice sparare de' fucili e tendeva ad impadronirsi di una posizione con la forza.

Quasi nello stesso tempo che si attaccava il quartiere della Trinità un’altra squadra faceva fuoco dal lato di porta di Castro, ma davvero inutilmente perché da quel lato vi sono altissimi bastioni sui quali è fabbricato il palazzo. Qualche colpo di cannone bastò per farli tacere.

La tipografia Carini, Macoclin e Carolina, ove si stamperà questo scritto, ebbe a soffrire intanto gravissimi danni di oltre ad ottomila lire.

Sbarcano al. Molo il 31° battaglione Bersaglieri e due battaglioni del 53° reggimento di linea. Più tardi sbarca anche il Generar Angioletti comandante la 10(a) divisione attiva.

La sera passa piuttosto tranquilla' e si comincia a spargere la voce fra il popolo e il basso mezzo ceto che se entrassero i soldati si rinnuoverebbero gli orrori commessi nella restaurazione borbonica del 1848.

Questo timore s’ingigantisce talmente che anche la parte del popolo la quale era contraria alla sommossa ora desidera piuttosto la vittoria dei repubblicani e non quella delle truppe. v'è qualche famiglia che si barrica in casa e molti cambiano di alloggio per andare lontani dai posti ove si teme che possano irrompere i soldati.

Un certo numero dei più compromessi partono durante la notte, ben forniti dr armi e denaro, e già fin dal mattino si videro al piano dei Porrazzi moltissimi carri che partivano. carichi del bottino e specialmente biancherie tolte all'ospedale, ove ce ne era un’immensa provvisione, materassi e oggetti militari presi al magazzino merci ecc.

Durante la notte non si sente che qualche colpo di cannone tirato dalla flotta e poche fucilate, oltre lo scampanio di tutte le chiese e monasteri, gli all’erta alle barricate e le baruffe fra squadre nel dividerla preda del giorno o per ubriachezza.

Il 21 settembre

Venerdì

Nelle prime ore antimeridiane seguitano a partire le squadre venute da fuori ed alcuni dei più compromessi del popolo, sempre ben forniti di armi e di denaro. La città è piuttosto tranquilla e si pensa più a garentir se stessi, nell'idea che le truppe entreranno furibonde, di quello che sia a protrarre la difesa. Le squadre sono ridotte a. metà e le tien ferme il terrore che l’uno incute all’altro. Molti, vanno gridando per la città che si tenga pronto olio bollente da tirare sopra le truppe, ma invece tutti si preparano a riceverle con la più grande moderazione è piuttosto con applausi. '

Il General Angioletti al primo albeggiare si dispone all’attacco avendo in mira di liberare prima d’ogni altro il presidio del palazzo Reale. A questo scopo invia il General Masi con il 34° battaglione Bersaglieri, il 4°, 3° e 4° battaglione del 53° fanteria e due pezzi di artiglieria da sbarco, affinché per la via. esterna dell'Olivuzza raggiunga il palazzo Reale.

Affida la difesa dei Quattroventi, base di queste operazioni, al capitano di fregala Acton con le truppe di marina.

Manda delle compagnie di Granatieri ad esplorare il terreno sul fianco destro verso Monte Pellegrino.

Chiede alle grandi prigioni uomini pratici del paese ed ha 50 carabinieri che divide fra i vari battaglioni per servir da guide e 42 ne ritiene con se insieme al Luogotenente Lamponi, che rimane al suo fianco come ajutante di campo.

Prende sotto i suoi ordir immediati il 24° Bersaglieri con i quinti battaglioni del 49° e 54° fanteria e due pezzi da sbarco, occupando con i bersaglieri e i cannoni la via della Libertà e con la linea le strade dei Lolli e Terre Rosse.

Il Contrammiraglio Ribotty intanto prende posizione con le sue fregate innanzi alla via Toledo e la via Lincoln per tirare d’infilata a piccole cariche su queste strade e tenere in soggezione i briganti.

Tutto questo apparato nella parte inferiore della città tende a richiamare l’attenzione degl'insorti da questa parte e impedire che si gettino sui giardini, fra i muri dei quali sparando contro la colonna del Generale Masi potrebbero cagionargli forti perdite.

Le truppe impiegate in questa operazione e che sono le sole sbarcate finora, ascendono a non più che 3650 uomini. Infatti i due Battaglioni del 49° e 54° giunti il 48 contano solamente, presi insieme,700 uomini; il 24 Bersaglieri giunto la sera del 4 8 conta 360 uomini; il 34° Bersaglieri 440, i tre battaglioni del 53° di linea giunti la sera del 20 non più che 4350; le truppe di marina sbarcate sono in numero di 800.

Verso le otto antim. poi giunge il 54° di linea formato di 4800 uomini e questo per ordine del Generale Angioletti sbarca presso le foci delI’Oreto, alla sinistra dell’attacco, per prender posizione nella campagna sulle vie di Misilmeri e Bagheria e impedire cosi la fuga dei briganti.

La colonna del General Masi procede verso l’Olivuzza con alla testa il 34° Bersaglieri comandato dal Maggior Disperati e coprendosi dal fuoco che parte dai muri e dalle ficaje gremite di briganti. Contro qualche casa da dové partiva il fuoco corrono all’attacco i soldati, ma gl’insorti l'abbandonano per trincerarsi in un’altra più lontana, finché superato ogni ostacolo il General Masi entra nel recinto del Palazzo Reale alle 14 ant. alla testa di due battaglioni del 53° col bravo colonnello Finazzi, accolto dal presidio con entusiastica gioja. Il battaglione de' bersaglieri avendo fatto un più lungo giro giunge anch’esso al Palazzo un’ora dopo e i soldati generosamente dividono il loro pane con quelli del presidio. Un battaglione rimane scaglionato sulla via percorsa a fine di mantenere aperte le comunicazioni e proteggere il passaggio delle munizioni da bocca e da guerra.

Intanto il Generale Angioletti dopo essere rimasto un poco di tempo sulla difensiva, bersagliato dal fuoco di S. Francesco di Paola ed altri posti, vedendo che il Masi combatteva all’Olivuzza e procedeva innanzi, crede opportuno di dare un finto attacco alla porta Macqueda per richiamare ivi l’attenzione e le forze nemiche. Ordina infatti alle sue truppe di marciare sui quattro cantoni di campagna, manda il suo ajutante di campo luogotenente Ducos al trivio di via Cimiterio per coadiuvare il Maggiore Rasponi ed impadronirsi del convento di S. Francesco di Paola e al Maggiore Brunetta comanda di attaccare Porta Macqueda col 24° Bersaglieri.

Il maggiore Brunetta non poteva ricever ordine più gradito di quello di andare primo in mezzo al fuoco e messosi in marcia con i suoi bersaglieri, appoggiato da pochi Granatieri e Carabinieri Reali, giunge alla prima barricata di porta Macqueda che trovò senza difensori, sicché montatovi sopra, in mezzo ad un vivo fuoco che veniva dalla barricata seguente, dal monastero delle Stimate e da qualche casa, arringa i suoi soldati presso a poco con queste parole: Bersaglieri, voi mi vedete: ecco qual conto fa il vostro Maggiore? un Brunetta d’Usseaux di questa feccia codarda. Voi siete bravi: lo so; vi conosco e sono superbo di voi. Combattendo col vostro coraggio son certo che in un subito sbaraglieremo la vile canaglia— Bersaglieri avanti— Viva il Re— Viva l’Italia! — I soldati accesi da queste parole si precipitano e corrono verso la se' conda, che anch’essa è abbandonata dai briganti i quali fuggono per spa, rare dai vicoli barricati. — La tromba suona a ritirata ma il Brunetta col prode Capitanò Cavalli, il Sottotenente Pràsca ed altri Ufficiali, precedendo sessanta bersaglieri, non la sente’, e sempre a passo di carica salta tutte le barricate di via Macqueda, giunge ai Quattro, canti di Città e in mezzo al fuoco dei. monasteri e dei vicoli che mettono sul Toledo giunge al Palazzo Reale, lasciando dietro di se ferito il suo Ajutante maggiore Faconti.

In questa corsa rimangono feriti il Capitano Bechis, il Sotto Tenente Ubertis, il sergente Albertelli, ucciso il furiere Pensa, ed il bersagliere Benedetti Angelo che ferito gravemente, non visto dai compagni, rimane in terra e preso dai briganti. Questi inveiscono contro di lui perché, non vuol gridare viva la Repubblica, finché per la gran perdita di sangue, che sgorgava dalle sue ferite e le percosse, cade morto dopo aver pronunziato viva il Re, viva l'Italia!

I briganti dopo passato il Brunetta si(J) riaffacciano alla 3(a) barricata; i luogotenenti Thovex e Lucangeli che sono tra la prima e la seconda barricata vogliono raggiungere i compagni e portar loro l’ordine di ritirarsi.

II Thovex come più anziano dà il comando di procedere innanzi ma ve1 dono una bandiera rossa sulla 3 barricata da dové parte un ben nutrito fuoco. In questo momento si fa sentire di nuovo il segnale di serrarsi alla, corsa e son costretti a ritirarsi. É ferito il Tbovex che lascia il comando al Luogotenente Antonio Lucangeli.

Intanto il comandante Acton ha già oltrepassato il limite prefissogli ed è giunto a Porta Carini dové s’è impadronito di varie barricate.

Ritiratisi Bersaglieri e Granatieri nelle strade vicine a piazza Ruggiero Settimo i briganti tornarono alle barricate di porta Macqueda. Allora il (General Angioletti volle snidarli di nuovo e sguainata la spada ordina, l’attacco, marcia esso stesso intrepida alla testa della colonna, e riacquista le barricate, fugando gl’insorti e rimanendo in mezzo ad un vivo e mal diretto fuoco di fucileria ché partiva da tutte le strade e dal monastero delle Stimmate. In questo attacco si distinsero per la loro audacia il Luogotenente Saltarelli, un Sottotenente di vascello di cui ignoro il nome, il Luogotenente Lucangeli che comandava i Bersaglieri d il Lamponi.

Ottenuto l’intento poiché già sa che la colonna di Masi è giunta al palazzo Reale fa ritirare tutte le truppe nelle loro posizioni occupando il trivio del cimiterio, la strada della Libertà e il convento di S. Francesco di Paola.

Particolar lode devesi al Sottotenente Garibaldino signor Magliocco di Palermo che fu di guida alle truppe in molte operazioni e combatté sempre in prima fila con ammirevole coraggio e sangue freddo.

Questi fatti incuterono tanto terrore alla vile bordaglia che si era impadronita di Palermo, da farle pèrdere anche quel 'poco di coraggio brutale che suole animare i briganti delle foreste. Un gran numero di squadre prende la fuga fin da ora e durante la notte, e i disillusi del popolo o meno cattivi, nascondono le armi rintanandosi nelle loro case. Non più che duemila restano armati perché ridotti alla disperazione o estremamente, esaltati, i quali dicono di voler morire pria di cedere,, ma poi. cederanno prima di morire!

Nel mattino il Sottotenente Gori de' Reali Carabinieri. col Maresciallo Sotgiu andò a requisir viveri presso Mezzo Monreale. Attaccato dal fuoco dei briganti che abitano o si son rifugiati in quei giardini, si difese coraggiosamente, infine. ridotto in un cortile, gl'insorti gl'intimarono di arrendersi, ma egli continuò a far fuoco contro di loro finché giunse un drappello di soldati inviato in suo soccorso dal palazzo Reale. Molte altre operazioni di questo genere furono eseguite dal Gori con ammirevole audacia e buon risultato, avendo a compagni i bravi Sott’ufiìciali So t giu, Biffignandi, Colombatto e Magotti.

Il Sottotenente Fagnani Ercole de' Reali Carabinieri, giunto a Palermo durante l’insurrezione, dopo aver combattuto insieme al Lamponi in vari scontri, ora si mette alla testa di 22 Bersaglieri e va ad attaccare un nucleo di briganti, li mette in fuga e quindi prende d’assalto una casa, verso il portò, dové erano radunali molti reazionari, e briganti, arrestandone un buon numero.

Al Castellamare il Maggiore Belli avendo ricevuto avviso dal Generale Angioletti che le sue truppe si erano spinte, fino al palazzo Reale, giudicò terminata l’insurrezione, e presi con se sei soldati col fucile e tre con caravine, esce dal castello per andare a distruggere le barricate che erano state costruite dirimpetto al medesimo dagl'insorti. Dopo averne abbattute tre e mentre gettava a terra un canestro di terra che faceva parte di una grande barricata, la quale chiudeva la via principale che conduce al Castello, esce da un portone un brigante e gli scarica contro il fucile a dieci metri di distanza. Il Maggiore tratta fuori la sciabola voleva inseguirlo, ma in quel frattempo il Capitano Buriina, che ló aveva accompagnato, si era avveduto della mossa del brigante e preso il fucile d’un soldato gl’impedisce il passaggio e spara contro il fuggente. A questo segnale dalle fenestre vicine comincia una viva fucilata contro di loro, e rimangono fra questa e il fuoco del Castello, sicché doverono tornare donde eran venuti, ma con lento passo e soffermandosi per sparare in ritirata. Giunte nuove squadre sul posto e vedendo l'inutilità di quel combattimento, provocato dalla sola sua tracotanza, il Maggiore Belli ordinò che il presidio del Castello cessasse il fuoco, e cosi si tacquero anche gl’insorti. — Poco dopo un sott’ufficiale di marina mandato dal Contrammiraglio Ribotty andò per sapere se il forte fosse attaccato ed avesse bisogno di rinforzi.

Si legge affisso al pubblico il seguente editto in cui si paria di rigore della legge. E si noti che porta la data del 24, cioè a cose finite.

Comitato provvisorio di Palermo

«Il comitato provvisorio a cui sono pervenuti reiterati reclami, che alcuni individui alla spicciolata, dandosi come uomini appartenenti alle squadre si son fatti lecito sotto varii pretesti di salire alquante case di pacifici cittadini ciò che è una violazione al proprio domicilio, e che costituisce un reato in qualunquesiasi tempo.

«Ad impedire tale rilevante disordine, il comitato incarica rigorosamente tutti i capi squadra a Sorvegliare tutti gli uomini di sua dipendenza non. solo, ma usare la massima vigilanza sopra qualunque individuo che fosse, o no armato, affinché da questo momento in poi, non si sentisse più ripetere il disordine di cui sopra è parola; mentre il comitato è onninamente deciso a farlo reprimere con ogni mezzo, e facendogli applicare tutto il rigore della legge.»

Palermo,21 settembre 1866.

Per l'intiero comitato

il presidente provvisorio

Principe di Linguàglossa

L’ospedal militare rimasto senza la controsquadra dei fratelli Buonaccorso, versa nelle più penose condizioni. Mancando totalmente di viveri per i malati, l’allievo di farmacia signor Di Giovanni ed il. sergente di disciplina inviano una domanda al comitato degl'insorti perché provveda a tanto urgente' bisogno. Portata la domanda da una squadra, di quelle che si aggiravano sempre nell’ospedale, ottenne il rilascio di tanti buoni per carne, pane e pasta da bastare per due giorni. La squadra andò con questi buoni al mercato e portò i viveri per i malati. — La plebe ancora entra ed esce dall'ospedale, e persino la sera vanno donne col lanternino per frugar dapertutto contentandosi anche di portar via i chiodi ed i frantumi delle porte scassinate.

Gl'insorti feriti che sono negli ospedali civili ricevono l’annunzio che le truppe sono oramai vincitrici e vengono portati via dai parenti, alcuni in questo giorno ed altri nel domani mattina. Una tale notizia è orribile per quei disgraziati ai quali non era pur sorto il dubbio che la repubblica potesse cessare e si aspettavano invece una pensione dal nuovo governo, come dai capi era stato loro promesso. A gente ignorante e bruta, per la quale la Sicilia è il mondo, avendo vedute tanto numerose le loro forze, Sembra impossibile che ve ne siano delle maggiori per vincerli! — Il vedersi nel pericolo di esser presi e fucilati reagisce talmente sul loro fisico che dopo pochi giorni ne perirono la massima parte e specialmente gli amputati.

Le squadre formate e pagate dai signori che abitano fuori porta Macqueda, a difesa dei loro palazzi, perché non facciano la fine di quello Rudinì, non vogliono più rimanere indifferenti e salgono ai primi piani per difendei si dalle truppe. I signori vorrebbero opporsi ma quelli rispondono — ci avete compromessi ed ora non ci vogliamo far prendere e lasciar entrare le truppe. I soldati entrando poi arrestarono i padroni di due o tre palazzi d’onde era partito il fuoco contro di loro, e ve ne furono due che passarono pericolo di esser fucilati. Chi non conosce il paese non può comprendere la necessità di formare queste contro squadre, cioè che si possano prendere scorte di briganti per difendersi dai briganti. Come è naturale con questi bisognava che i signori si mostrassero favorevoli all'insurrezione, e da ciò nasceva che nel caso estremo anche questi volessero combattere per mantenere il regno dell’anarchia. — La devozione che ha il popolo per i nobili fa si che trovino difensori umili e soggetti, ma quando il popolo sente la sua forza vuole che i nobili siano con lui come nel 60 e nel 48, quando appunto i signori s’impadronirono del movimento ed anzi lo fomentarono per abbattere la tirannia. — Per la plebe di Palermo il governo nazionale è atroce tirannia perché toglie la libertà, di mal fare e combatte i suoi pregiudizi e ree abitudini, mentre le dà una libertà politica che essa non comprende e non le serve a nulla.

Si affìgge per la città stampato il seguente proclama le cui firme sono apocrife e dichiarate tali dagli stessi nominati, meno il Bona lede, dopo ripristinato l’ordine.

Comitato provvisorio di Palermo
Appello al popolo

Concittadini!

«La posizione del nostro paese è nota a tutti. Oggi dopo sei giorni di vittorie esso reclama maggiore difesa, difesa che ridonda al comune interesse.

«E perciò s’invitano tutti i cittadini di ogni classe a prendere le armi, e correre al compimento dell’altissimo scopo; e ciò non perché manca la forza a sostenere questa suprema lotta, ma perché al bisogno della patria è dovere d’ogni cittadino apprestare il suo braccio, e «la sua vita.

Concittadini!

«L’esperienza ci à provato che non mai siete mancati all’appello della «patria, e sull'altare di essa rosseggia ancora il sangue dei vostri generosi fratelli.

«Fidiamo in voi.

I componenti del Comitato provvisorio, chiamati dal popolo:

«Principe Antonio Pignatelli di Monteleone — Barone Giovanni Riso — «Principino di Niscemi — Principe di Rammacca— Principe di Galati — «Barone Sutera — Principe di San Vincenzo — Monsignor Gaetanò Bella«via — Dr. Onofrio Di Benedetto — Francesco Bonafede.»

Palermo li 21 settembre 1866.

Il Presidente

Principe di Linguaglossa

Il timore nel popolo che i soldati entrando daranno il saccheggio, uccideranno le donne ed i bambini e commetteranno ogni sorta di orrori si va sempre accrescendo e fa sperare ai più la vittoria dei briganti.

I Generali emettono un’ordine alle truppe che raccomanda, sotto severe pene, la più stretta disciplina.

Alle tre pomeridiane il Maggiore Brunetta con pochi soldati del 24° Bersaglieri e i luogotenenti Mattei e Pola fa una ricognizione verso l’Albergo de' Poveri fuori la Porta Nuova ed è molestato da colpi di fucile. Accompagnato dal Tenente Gori, il Maresciallo Biffignandi e Brigadiere Golombatto, che rimane ferito ma pur seguita a combattere, riprende la caserma de' Borgognoni dové si erano ritirati molti insorti con a capo un prete

Alle sei pomeridiane il Maggiore Disperati col 31° Bersaglieri percorre il Toledo ed occupa il Municipio rispondendo al fuoco che viene specialmente dai monasteri. Torna al palazzo Reale con due feriti dopo aver distrutte molte barricate, consumata tutta la munizione e bruciato il tendone che era stato messo dagl’insorti per impedire la vista di tutto il Toledo. Il Brigadiere Stefanelli che fu di guida in questa ricognizione diè prove di valore quanto i Bersaglieri.

Alle nove e mezzo giunge al palazzo Reale una compagnia del 54° fanteria scortando cinque carri di munizioni e viveri.

I capi insorti vedendosi ridotti a mal partito per le operazioni compiute dalla truppa e l’avvilimento delle squadre che si vanno dileguando d’ora in ora, pensano di profittare della lettera del Console generale di Francia, nella speranza di poter ottenere una tregua che permetta loro di mettersi in salvo e fare intanto una capitolazione che li riconosca per belligeranti ed assicuri l’impunità alla plebe armata.

A questo scopo mandano il Minneci dal Maggiore Canotti, loro prigioniero, perché trovi modo d’inviare la lettera del Console al Prefetto. Il Maggiore, riconosciuto il carattere della lettera non potè ricusarsi, e diè loro il capitano Menozzi, anch'esso prigioniero, che con bandiera bianca andò al palazzo, consegnò la lettera e n'ebbe la risposta da portare al Console di. Francia M3 De Sénevier.

Fino a questo momento le truppe giunte di rinforzo e le uniche che possono occupare la città ascendono a 5450 uomini. Gl’insorti armati sono ancora circa il terzo della truppa.

La notte promette di esser tranquilla ed è interrotto il silenzio dalle sole campane, gli all’erta e qualche colpo tirato dalla flotta e dal Castello intorno alle grandi prigioni.

Il 22 settembre

Sabato

Alla mezza antimeridiana M.(r) De Sénevier riceve dal Capitano Menozzi la risposta del Prefetto concepita in questi termini. — Che il Console generale di Francia sarebbe sempre ricevuto con piacere e i Generali avevano dati ordini perché le truppe lo lasciassero passare liberamente. Si aggiungeva anche il consiglio di profittare della notte per questa gita a fine d’incontrare minori difficoltà nel passaggio.

Ora però le condizioni delle cose sono totalmente cambiate, la vittoria è assicurata alle truppe, il timore che il governo italiano non abbia compresa la gravità della situazione di Palermo è svanito, i rinforzi non solo sono arrivati ma hanno superati i maggiori ostacoli, missione umanitaria non ha più luogo, essendo invece desiderabile che la forza sia impiegata per tagliare la ritirata alla sediziosa e selvaggia plebaglia, che aveva coperto d’orrori e di vergogne questa infelice città. Patteggiare con tal gente, mentre si può debellare sarebbe un’immoralità, una debolezza, un delitto!

Il Console dopo letta la lettera esitò alquanto e rivoltosi al brigante Minneci che accompagnava il capitano) gli disse: É tempo che vi mettiate in salvo e deponiate le armi se non volete esser fucilati. E’ impossibile che le autorità ora vi concedano una tregua — Ma finalmente cedendo alle preghiere, avendo già fatta una processa e nutrendo la speranza di poter ritardare gli atti di disperazione ai quali si sarebbero dati in preda quei briganti, prima di fuggire, accettò di andare al palazzo nell’interesse della città e sempre per fine umanitario.

Preso con se il cancelliere del Consolalo M.(r) Braquehais, e unitosi ad essi il cav. De Franceschi direttore dei telegrafi, che desiderava parlare col Prefetto, si misero in cammino scortati da uno stuolo di briganti armati. Il passaggio presentava non lievi pericoli, specialmente per il cannone del Castello a mare che tirava difilata nella via Cavour per tagliare le comunicazioni fra la città e la Vicaria.

Il Minneci precedeva la compagnia per avvertire le sentinelle degl'insorti, finché passate quaranta o cinquanta barricate giunsero presso le opere avanzate di trinceramento del palazzo Reale) dietro la chiesa della Matrice. Quivi. mancando di una bandiera bianca doverono attendere. mezz’ora per trovarla e finalmente forniti di questa e di quattro torcie 'a vento, il Capitano Menozzi riusci a farsi riconoscere dalla sentinella militare annunziando l’arrivo del Console di Francia.

Il Generale Righini appena avvertito, corse ad incontrarlo alla barricata, accompagnato dal Tenente Colonnello di stato maggiore Lipari, e condusse tutti, esclusa la scorta, al palazzo presso il Prefetto. M(r). De Sénevier nel traversare la piazza insieme al Generale, gli fu largo di elogi per d’eroica difesa e più di tutto per aver salvato la sede del governo e cosi per conseguenza le carceri, le Finanze ed il Castello. Aggiunse anche che avevano avuto che fare con una massa imponente di oltre a 30000 rivoltosi e che se egli fosse potuto venire due giorni innanzi avrebbe risparmiati tanti sagrifizi di sangue, poiché i briganti erano desiderosi di ottenere una tregua, e intanto sarebbero arrivati maggiori rinforzi di truppe.

Giunti presso il Prefetto questo lo accolse come Console di Francia e non come parlamentario degl'insorti, respingendo però qualunque proposizione di tregua. Passò quindi dal General Carderina che anch'esso respinse ciò che M(r). De Sénevier non insisteva che si accettasse.

Dopo queste brevi conversazioni tornò alla sua residenza passando per gli stessi pericoli e negandosi di palesare al brigante Minneci l'esito della sua missione; che si riservava di dare al marchese di Torrearsa, e non ad altri che non riconosceva per mandatari.

Giunto però al consolalo permise al sig. Braquehai di cedere alle insistenze del Minneci e dire: chp gl'insorti non avevano nulla a sperare dalle.. autorità e pensassero quindi a cedere le armi.

Fino all’alba non v'è di nuovo che la partenza di molte squadre.

Alle ore sei antimeridiane si segnalano dalla specula due vapori da Messina.

Alle sei e mezzo antimeridiane il Generale Masi avendo a guida il signor Perricone, scende per il Toledo alla testa del 34° Bersaglieri ed un battaglione di linea occupando il Municipio e le principali strade.

Sbarcano due battaglioni del 59° fanteria e con questi il General Angioletti va al palazzo Reale passando per la via esterna.

Molte squadre si radunano al piano de' Porrazzi e due compagnie sono spedite per veder di farle prigioniere. Impegnatosi il fuoco da ambe le parti è spedita un’altra compagnia di rinforzo, ma i briganti prendono la fuga per non esser presi d’assalto.

Le squadre fin dal primo albeggiare. si possono dire tutte sciolte, meno qualche nucleo di gente disperata che rimane nei punti più remoti della città. Molli delle squadre si vedono entrare nei pianterreni in bonacca, col fucile annerito, e poco dopo uscire in uniforme di Guardia Nazionale, o con gli abiti borghesi che hanno più eleganti.

Un basso ufficiale con tre o quattro soldati s’inoltra fino a S. Anna, dové la plebe è tutta in strada a far la baldoria confidando ancora nella repubblica. Appena veduti i soldati, tutti prorompono in evviva al Re, alla truppa, all’Italia; dai balconi escono fuori bandiere tricolori, i frati si ritirano precipitosamente chiudendo le fenestre e i soldati sbalorditi senza saper più in qual mondo si trovino piantano la bandiera sopra una barricata. Nessuno dei fieri repubblicani osa sparare un colpo contro quei coraggiosi i quali erano colà corsi nella certezza di azzardar la vita, ma invece si vedono offrir del vino con l’idea di farseli amici. Avvedutisi però i popolani che i soldati trattavano con loro cavaliermente, cambiarono ben presto attitudine e tornarono all'antica indifferenza che nasconde un profondo odio.

Il rapido passaggio del. popolo, dal sollevamento in massa per abbattere il governo e il plauso alle truppe vincitrici che vengono a ripristinarlo, ha dell'incredibile.

É possibile il comprenderlo solo quando si sia persuasi che questo popolo non ha convinzioni politiche d’alcun genere. Jeri dominavano le squadre e l’anarchia ed il popolo era con loro, oggi è vittorioso il governo e tutti s’inchinano non solo ma applaudiscono e corrono per Toledo appena lasciato il fucile, per gridare viva il Re, viva la truppa! Intanto tutte le menti son rivolte a studiar la via di salvarsi dai tribunali, e nascondere le armi per riprenderle appena tornerà l’occasione di far nuovamente la reprubrìca. E nel popolo v'è la convinzione intima che non tarderà molto, a venire il momento di poterla tornar a fare, e più bella di quella di settembre. — La classe colta e liberale intanto riprende vita e la via Toledo è imbandierata,

Alle sei antimeridiane gli allievi Cesare Montoni e Gaetano Marconi, animati da filantropico zelo, e quantunque non siano cessati i pericoli, tornano nell’ospedale militare e prodigano cure ai malati. Mentre starino medicando alcune piaghe già degenerate muovono qualche lagnanza agli insorti di guardia per aver loro impedito di rimanere all’ospedale. I briganti rispondono che essi non avrebbero voluto lasciarli partire e fu un’altra squadra quella che voleva portarli alla fucilazione; del resto potrebbero ora tornar tutti liberamente al loro posto.

I due allievi fanno rapporto sullo stato delle cose al medico capo signor Guidotti il quale corre subito all’ospedale con tutti i medici, mentre aveva potuto indurlo ad allontanarsene la loro certezza di esser condotti a morte e per dare una soddisfazione al popolo. Poche ore dopo le squadre abbandonarono l’ospedale e tornò in possesso della truppa.

I danni arrecati a questo stabilimento, compresi i valori appartenenti agli ufficiali e le armi supera certamente le trecentomila lire.

Il Castello, le Finanze e le grandi prigioni ricevono rinforzi e viveri. — La truppa bivacca sulle piazze e prende possesso dei monasteri occupati dalle squadre e di alcune chiese.

La circolazione per la città è quasi ristabilita e si distruggono le barricate. Nell'interno dei quartieri v'è ancora qualche squadra alla quale è chiuso ogni scampo alla fuga e si sente ogni tanto qualche colpo di fucile e segnale di campane; ma nessuno se ne dà carico e domani dovranno cedere, o meglio gittar viale armi e nascondersi.

Alle sei pomeridiane entra nel palazzo Reale il Commissario straordinario, Generale Cadorna.

Giunge in porto il Vittorio Emanuele con a bordo i battaglioni 33°,40° ed una compagnia del 20° Bersaglieri. Questo bastimento che era partito da Ancona il mattino del giorno 16 e poteva essere a Palermo al più tardi la notte del 19, avendo ordine di navigare a grande velocità, si ferma invece a Brindisi una notte intera, poi a Messina 24 ore per sbarcare il 15° battaglione Bersaglieri ed un Generale, naviga come una barca a remi e giunge a cose terminate. Perché tutto questo? per i soliti inconvenienti ai cuscinetti della macchinai... Pare quindi che questa dei cuscinetti sia la piaga della flotta italiana e dovrebbe il ministero fare un’inchiesta su tutti i ritardi avvenuti nell’invio di truppe a Palermo e vedere se furono sempre per causa dei cuscinetti, a fine di stabilire se, per ovviare tali inconvenienti giovi meglio cambiar questi o non piuttosto i capitani!...

la notte passa tranquilla, pochi si azzardano d’uscire, i proscritti, cittadini e militari, tornano in libertà e si ristorano, comincia un nuovo genere di emozioni, l’incubo dell’insurrezione brigantesca si dilegua.

Trascrivo ora il brano seguente dell’opuscolo. —«I casi di Palermo— » del signor Ciotti:

«Il popolo (non la plebaglia sfrenata né i suoi incitatori) vedeva ed ammirava, né poteva persuadersi come tanta umanità, tanta amorevolezza, tanto ordine potesser regnare in mezzo a schiere si stolidamente e selvaggiamente provocate ed offese.

«Pensavasi alle truppe borboniche — al bombardamento borbonico — che differenza!

………………………………………………………………………………………………………...

«Il Sindaco rientrava insieme alla truppa nella sede del Municipio. — Oh quanto mutala! — Al marchese di Torrearsa che corse a salutarlo, disse queste parole:

«Marchese, le mie case sono distrutte, io e la mia famiglia siamo stati perseguitati: ho il padre moribondo: dalla depredazione del domestico focolare altro non ho potuto salvare che questa camicia: ma io sto qui al mio posto, pronto sempre a servire questo povero paese, che ne ha tanto bisogno, ho farò ancora e sempre il mio dovere.

«Parole memorabili, che la stona dee registrare, e che i contemporanei dovrebber tradurre nel marmo.

«Il marchese di Rudinì resterà senza fallo la più bella e nobile figura di questo tratto di storia.»

Il 23 settembre

Domenica

Durante la notte il popolo si dedica al disarmo, volontario e a mettere fuori della casa tutti i corpi di delitto. Molli nascondono i fucili, come avevano fatto nella restaurazione del 1849 e che poi servirono nel movimento del 1860. Tutte le armi meno buone, i fucili della truppa, le sciabole, stocchi, pistole ecc. sono gettale sulla pubblica strada insieme ai prodotti del saccheggio.

La mattina si trova la città ingombra di tutta questa roba. É uno spettacolo veramente nuovo ed anzi unico, il vedere in tutte le vie sparsi i mobili dorati, le cornici, le sedie alla roccocò, le campane di cristallo, orologi grandi, libri, carte, insieme ad imposte di fenestre, porte, tavole da letto, materassi, oggetti militari a migliaja, uniformi, tappeti, insomma un poco di tutto... E questo gettito di masserizie dura per vari giorni, in minori proporzioni.

La truppa passa con carri a raccoglier le armi e la questura i mobili.

Molte Guardie Nazionali girano per la città e si lavora da per tutto a distruggere le barricate.

V’è ancora qualche strada occupata da insorti armati i quali non sanno dové fuggire né si fidano di uscire perché credono che la truppa scanni quanti incontra per via. Il concerto militare scende per Toledo e va fino al Municipio mentre c’è ancora qualche cadavere sulla strada. Si raduna della gente del popolo e il concerto percorre il rimanente del Toledo segui o da questa turba plaudente. Giunti a piazza Marina si sente un vivo fuoco di fucileria, il cannone della flotta torna a far fuoco, tutti friggono nei vicoli e una compagnia di bersaglieri entra in via Butera, prende d'assalto le case d’onde veniva il fuoco e arresta una ventina di briganti.

Dopo quest’ultimo tentativo la tranquillità non è più turbata. I soldati vanno per la città, spesso inermi ed isolati. Il popolo li invita a bere, tanto che la sera se ne vede un certo numero alquanto ubbriachi.

Nelle strade interne ove era stato maggiore il fanatismo per l’anarchia, perché abitati dall’infima plebe, escono tutti in strada all’apparire d’un soldato e prorompono in evviva al Re e all'Italia.

Era forse dal 4860 che qui non si sentiva ripetete dal popolo viva Vittorio ed oggi è nella bocca di tutti. La sommessione più completa e generale fa un contrasto assai spiccato con la ribellione di poche ore innanzi. Il popolo si era sfogato per sei giorni, era già stanco e direi quasi che desiderava di esser governato.

La costanza nell’azione non è requisito di queste plebi meridionali!... Ma costante negli odi, nelle abitudini, nei vizi, tornerebbe a far altrettanto fra tre mesi; e questo è ciò che spera poter fare, e vi si prepara.

Il Generale Longoni prende il comando delle truppe destinate ad operare e partono battaglioni per la campagna, dirigendosi su Morreale, Misilmeri, Bagheria, Carini, Villabate; Piana dei Greci, S. Martino ecc.

Sbarcano nuove truppe, il tesoro militare e le munizioni. Si occupano le posizioni più importanti, ma non so per quale incidente si trascura di mettere un picchetto alle porte della città d’onde si mettono in salvo quelli fra i più compromessi i quali non erano ancora partiti.

Migliaja di appartenenti alle squadre rimangono nascosti nelle case e alcuni, che si trovano armati nei giardini e fanno resistenza alle truppe, son fucilati sul posto.

Là plebe torna alle sue consuete abitudini come se nulla fosse accaduto, ma ciò non ostante la città ha un aspetto lugubre e pauroso. Le strade sono ingombre di materiali e rottami, le carrozze non possono ancora transitare, il ceto civile poco si mostra all’infuori del Toledo, la sera tutti si ritirano prestissimo, poche botteghe e di soli commestibili sono aperte.

Il contegno dei soldati è ammirevole e forse, avuto riguardo alle condizioni speciali di questa insurrezione, può dirsi il primo esempio di una civiltà e moderazione cosi perfetta, in un esercito che da vincitore prende la città, dopo aver tanto sofferto, e aver combattuto con un nemico disordinato e feroce, senza bandiera e senza leggi di buona guerra.

Si aggiunga anche che nel campo si era esageralo di molto il trattamento sofferto dai prigionieri; ma pure era vero che i malati furono minacciati di morte insieme ai medici militari. Un caporale era stato barbaramente crocifisso ai Borgognoni, un Granatiere ucciso a S. Agata e vari carabinieri scannati. Senza dire del saccheggio delle caserme e case degli ufficiali, con danno immenso ed irrifattibile degli individui, oltre a quello del governo. Questa é la maggior vittoria dell’esercito e di questa può esser orgoglioso più d’ogni altro. L’esercito francese può vantarsi del suo ingresso a Roma come miracolo di moderazione, ma pure io che son testimonio dell’uno e dell’altro fatto, devo confessare che l’esercito italiano più che eguale fu superiore in civiltà al. francese; e ben diverso era il caso!...

Ad onore dei comandanti deve anche dirsi che non si lasciarono regolare da leggi e diritti di guerra, ricordandosi sempre che Palermo era città nazionale ed amica. Infatti i cannoni, furono sempre rivolti verso le strade ed i campi, più per impaurire che per offendere i danni della città son cosi leggeri da non valer la pena di enumerarli. Pochi colpi furono tirati contro qualche casa del Borgo dové si. eran annidati gran numero di briganti e contro il monastero delle Stimmate. Le granate per Toledo fecero qualche leggero danno, di ribalzo, e il maggior male fu la caduta di molli cristalli prodotto dalla detonazione.

In questo giorno può dirsi cessata completamente la reazione armata e torna a rivivere la cospirazione.

Già dal primo albore i reazionari presagiscono il buon giorno e sollevano lo spirito dei briganti e della plebe assicurando che la riscossa non tarderà molto per loro. La mitezza nella repressione è per essi debolezza del governo e si giunge al punto di stabilire una nuova insurrezione per il giorno 27. I più non la credono possibile, ma pure un gran numero di cittadini in quel giorno cercarono ricovero sui bastimenti nel porto.

Il Generale Cadorna proclama lo stato d’assedio, e tale che ha tutta l’importanza nella parola e di fatto non è ohe qualche misura eccezionale.

Si ordina anche il disarmo, avendo cura di avvertire i briganti che potrebbe esser applicata... anche... la pena della fucilazione; la plebe se la ride di queste mezze misure e i soli galantuomini consegnano le armi.

Poche perquisizioni si fanno per timore di ledere il domicilio degli assassini che, in forza della opposizione che minaccia ruggiti alla camera, sono elevati al grado di compromessi politici.

Si procede alacremente al riordinamento della città. Il Municipio dà opera al risarcimento delle strade, e far seppellire i cadaveri degl'insorti deposti nelle chiese, nei giardini e nei pozzi.

Si sparge la notizia di qualche caso di colera e il popolò faccetta con. sommessione, come misura eccezionale, e come castigo inflitto dal governo insieme allo stato d’assedio e ai tribunali militari.

É sciolta la Guardia Nazionale, sono occupati quasi tutti i conventi e monasteri, si riaprono gli uffici e va in scena il teatro dì musica a S. Cecilia.

Il General Cadorna lasciato libero avrebbe saputo scernere i cittadini dai briganti, tutelare e. garentire i primi combattendo i secondi; conservare le libertà per gli onesti e,toglierle ai malandrini; ma il contegno del Commissario. Regio mostra chiaramente che ha pieni poteri... per telegrafare a Firenze ad ogni mossa che deve farei...

Se poi i palermitani onesti si lagnano’ del governo non hanno mille ragioni? Al timore di una opposizione falsamente democratica; alle vane declamazioni di insensati, agl'interessi di un partito, si sagrifica il bene di una città, si assicuraci trionfo e l’impunità ai reazionari e briganti, si toglie la libertà vera, agli onesti paralizzando la vita, il commercia e tutto, per aver il gusto di mantenere incontaminato il principio di libertà a prezzo di libertà.

NOTA.

Molto spesso ho detto — Siciliani — in luogo di— abitanti della provincia di Palermo — ciò che sarebbe stato d’imbarazzo nel dire; ma non dovranno di questo adombrarsi le città dell’. Isola. che non presero parte alla sommossa, poiché tutto il mondo sa che questa non oltrepassò i confini della provincia di Palermo. Non cosi però ove si' parla di mali sociali, poiché questi son comuni alla massima parte dell’isola di Sicilia non solo, ma a quasi tutte le provincie meridionali d’Italia.

Tabella numerica, delle perdite sofferte dalle Truppe di terra e di mare 
nel sollevamento di Palermo dal 16 al 22 settembre 1866


MORTI

FERITI

TOTALE PERDITE


Ufficiali Truppa Ufficiali Truppa Ufficiali Truppa

12(a) Legione Reali Carabinieri

» 46 » 5 5 54

10° Regg?°. Granatieri temporaneo

6 12 5 54 11 63

85° Id. Fanteria

1 3 » 9 1 12

Deposito del 59° Fanteria

» 1 1 12 1 13

Id. del 70° id.

1 1 » 5 1 6

10(a) Batteria dell’8 Regg.° Artiglieria

» 1 » » » 1

24° Battaglione Bersaglieri

» 6 4 28 4 34

34° Id. id.

» 3 » 24 » 24

53° Reggimento Fanteria

» 3 1 27 4 30

54° Id. id.

» » » 8 » 8

5° Battaglione del 19° Fanteria

» 2 3 10 3 12

5° Id.. del 54° id.


1 » 7
8

Regia Marineria


Re di Portogallo

» 1 1 14 1 45

Principe Umberto

» » 2 14 2 44

Maria Adelaide

» 1 » 11 » 12

Gaeta

» » 1 7 1 7

Duca di Genova

» » 2 4 2 4

Garibaldi

» » » 3 » 3

Carlo Alberto

» 1 » 3 » 4

San Giovanni

» 1 » » » 1

Totale

8 83 20 239 28 322

Il totale dei morti, compresi quelli in seguito a ferite, è di 116. Mancano poi tutti i feriti leggermente e che furono curati nei respettivi quartieri.


Perdite sofferte dalla Compagnia di P. S. di Palermo.

MORTI

NOME

GRADO PATRIA

Opulo Timoteo

Maresciallo Novara

Caprini Epaminonda

Brigadiere Porto Ferrajo

Mariconti Santo

Vice-Brigad.(e) Lodi

Mappelli Filippo

Id. Usuago

Grippa Giovanni

Id. Bergamo

Prià Agostino

Appuntato Castel Pusterlengo

Sartorio Angelo

Id. Milano

Duranti Egidio

Guardia Orvieto

Cedro Giuseppe

Id. Biella

Meattini Bartolomeo

Id. Cortona

Marani Giuseppe

Id. Lugo

Del Rio Filia Pasquale

Id. Bolona

Fossen Giovanni

Id. Riva d'Agordo

Branchi Pietro

Id. Sondrio

Rossini Luciano

Id. Padova

Mari Luigi

Id. Carsedole

Garbati Giosuè

Id. Borgo Ortolani

Fasani Giuseppe

Id. Cremona

Costella Giovanni

Id. Ceneda

Bertone Giuseppe

Id. Brendusso

Tonai Giovanni

Id. Dervati

Bertavelli Giov. Battista

Id. Mallerò

Cottone Carmelo

Id. Patti

Lusitano Arcangelo — Guardia — di Palermo.

Delegati uccisi a Palermo

Salvatore Natalo — di Palermo.

Ispettori uccisi

Avvocato Giovanni Solla — di Alessandria.

Delegati feriti leggermente

Freddi Nicola — di Civitavecchia. Lambranzi Giuseppe — di Parma.

Fu anche leggermente ferito il Comandante delle Guardie di P. S.. Isola Giacomo — di Torino.

Totale — Morti 25 — Feriti 4 dei quali:

Sono stati uccisi — A Palermo 8

A Misilmeri 10

A Brancaccio 2

A Villagrazia 1

A Monreale 1

A Villabate 1

A Bagheria 1

A Sambuca 1

NOTA

Vedendo che le Guardie di P. S. uccise appartengono nella quasi totalità alle provincie del continente, non si deve per questo conchiudere che questo corpo sia formato di tutti estranei all'isola, poiché invece più della metà sono siciliani.

AVVENIMENTI DEL CIRCONDARIO DI PALERMO

Dirò poche parole su ciò che avvenne nelle vicine città e villaggi del circondario di Palermo, poiché è difficile di poter raccogliere notizie di fatti, in gran parte avvenuti dové non ci sono testimoni estranei al paese stesso, o perché bisognerebbe andare sul luogo per averli.

Non tu!te, anzi dirò pochissime città di questa provincia si lasciarono imporre dai malandrini e dalla bordaglia che avrebbe voluto insorgere. Molti paesi, privi quasi totalmente di truppa, mantennero la tranquillità per il buon volere della Guardia Nazionale; altri si tennero in una prudente aspettativa per. vedere, qual piega prendeva il movimento di Palermo; alcuni poi dopo aver dato un contingente di ribaldi, che andavano a' depredare lontano, scorrazzando per le campagne, poterono conservare l’ordine in casa loro. .

I tre paesi ove avvennero scene d’orrore e tali da sembrar impossibili, sono Misilmeri, Monreale ed Ogliastro. Di questi tratterò un poco più diffusamente, mentre degli altri mi contenterò solo di dire ciò che fu perpetrato contro la truppa e le cose più rimarchevoli.

Da pertutto la reazione aveva fatti preparativi come a Palermo e si commettevano delitti in prevenzione, per intimidire i buoni o toglier di mezzo qualche persona che sarebbe stataceli ostacolo. Per esempio a Monreale fu ucciso il Maggiore della Guardia Nazionale signor Leto perché uomo integro ed influente.

Cosi dico di altri, in vari paesi, e sempre contro persone poco amiche del clero e di tendenze progressiste.

Fanatismo religioso, guerra alla proprietà, spirito di distruzione, animano. gl'insorgènti della provincia, ma è dà notarsi che per quanto si dimostrano maggiori e più generati le tendenze socialiste, altrettanto è minore, che non sia a Palermo, lo spirito autonomista — che è sinonimo di interessi lesi.

In tutti i paesi, di cui narrerò la storia delle nefandità commesse in settembre, si può andare per buone strade corriere. A Misilmeri si va in un’ora e mezzo e a Monreale in un’ora e per una deliziosa strada, fiancheggiata da case e giardini, tanto che può chiamarsi un sobborgo di Palermo. Eppure non si è mai sicuri di andare a Monreale senza esporsi, al pericolo di una fucilata o di esser ricattato. Sulla piazza stessa di Monreale si sono commessi molti, delitti senza che si sia quasi mai scoperto il reo e mai trovate le prove per condannarli.

La statistica degli assassini commessi nella strada di Monreale e nella città stessa, sembra incredibile! Se la vicinanza ad una grande città, una magnifica strada e sei anni di libertà, non son bastati ad incivilire una città di 16000 abitanti, ciò mostra, che non bastano le strade e la libertà, ma deve concorrervi un altro elemento senza del quale è tutto inutile. Questo elemento è la, buona volontà dei. cittadini per profittare della strada, delle scuole, dell'industria e di tutti, i vantaggi che arreca la vicinanza di un grande centro di popolazione. Le 'strade senza spirito di progresso servono a nulla, e l’esempio di Monreale dovrebbe persuadere coloro i quali ripetono tutti i mali presenti dalla lentezza con cui si costruiscono le strade.

Monreale

La città di Monreale sede arcivescovile con 46000 abitatiti e a cinque chilometri da Palermo, alla quale é unita per una magnifica strada, è il covile della reazione, e dei briganti, poiché. dei paesi del circondario è il più dominato dal clero.

Nella luttuosa settimana di settembre tutto vi si operò all’unisono con Palermo e solo si anticipò alquanto nell’azione, poi nella ferocia degli atti superò la plebe di questa.

Il giorno 15 già tutto era organizzato con unanimità di propositi sorprendente e che sarebbe ammirevole se fosse rivolta ad uno scopo lodevole ed utile.

Alle sette e mezzo pomeridiane s’ intese l’esplosione di' una bomba di carta, nel centro della città, e doveva esser questo il segnale che la insurrezione era definitivamente stabilita per quella notte. Accorsero sul luogo i delegati Freddi e Lambranzi e andarono al quartiere della Guardia. Nazionale per. domandare man forte. I militi si erano rinchiusi e non vollero uscire in nessun conto. Sopravvennero intanto il Vice-Brigadiere di P. S, le guardie, i carabinieri, la poca truppa che v’era e fecero degli arresti.

Alla mezza antimeridiana del 16 s'intesero dei colpi di fucile verso Rocca Monreale e nei giardini dal lato di Palermo, che erano dirette contro un posto detto il Palchetto occupato da pochi soldati. Tutta la truppa si mise sotto le armi per esser pronta ad ogni evento e sul far del giorno giunsero gl’ispettori Avv.(0) Bolla, La Porla e l’applicato Castagnone per sapere cosa fosse accaduto, poiché da Palermo si era inteso un vivo fuoco di fucileria. Mentre stavano parlando dell’accaduto si presenta loro il Maresciallo de' Reali Carabinieri Zavattini Epineto annunziando che presso la chiesa della Madonna delle Croci, sul pendio del monte Caputo, si vedono uomini armati ed hanno una bandiera rossa. Andati tutti alla caserma dei Carabinieri, da dové si poteva vedere quella località, si accertarono del fatto, ma l’ispettore Bolla, piemontese, e perciò non pratico di queste scene, non volle credere che fossero briganti, ritenendo impossibile che potessero giungere a tanto ardire di venir cosi presso alla città. Credeva piuttosto che fossero Guardie Nazionali ed altri cittadini ivi raccolti per la festa di quella Madonna, tanto più che si sentiva il suono delle campane. Ciò non ostante cedendo alle insistenze di quelli che credevano fosse una banda di briganti e dicevano persino di conoscere alcuno,. dispose che il Freddi con i carabinieri e dieci guardie di P. S. andasse per vie nascoste ad attaccarli alle spalle;il Lambranzi con 30 Granatieri girasse sulla sinistra e il Zavattini con altri 30 Granatieri alla destra. Egli poi, malgrado l’opposizione di tutti, stabili di andar solo ad incontrarli di fronte per riconoscere da se stesso che gente fosse.

Erano le sette antimeridiane ed il Freddi partì per primo, dovendo fare un più lungo cammino, e' gli altri partirebbero un’ora dopo per trovarsi tutti ad un tempo alla Madonna, delle Croci ed accerchiare i briganti.

Intanto una moltitudine di popolani armati fa fuoco contro la guardia delle carceri per liberare i detenuti, e tale è sempre l’obbiettivo principale delle sommosse di queste, plebi..

Il Capitano dei Granatieri signor Marasca alle prime fucilate mette sotto le armi i 60 soldati che ha, e divisi in due pelottoni, l’uno comandato dal Luogotenente Antoniani e Sottotenente Cartoni, l’altro dal Sottotenente Chilò, marcia a. passo di corsa verso. le carceri. Mentre i soldati di guardia si difendono energicamente, egli occupa le strade. circostanti, facendo fuoco sui rivoltosi. Volendo poi prenderli in mezzo, va col secondo pelottone nelle strade superiori, ma accolto da per tutto a fucilate e da una pioggia di tegole e sassi, crede opportuno di prendere una posizione dominante e occupa la chiesetta delle Croci; dové sapeva di poter essere protetto dal. delegato Freddi che v’era andato con i carabinieri e le guardie di P. S. Infatti il Freddi era giunto alla destra di quella posizione e con un vivo fuoco teneva a bada i briganti, perché non l’accerchiassero.

Il Marasca prima di andare alle Croci spedi un caporale al primo peloltone con ordine che lo raggiungesse; ma quello temendo di esser messo in mezzo aveva preso posizione nel proprio quartiere. Anche i Marescialli Zavatlina e Bellini con i loro uomini, dopo un’ora di fuoco, si ridussero nello stesso quartiere e tutti insieme sostennero un fuoco di Cinque ore; finché avendo gl'insorti praticata un’apertura da un lato del quartiere e vedendo di non potersi sostenere a lungo, ne uscirono a bajonetta calata e andarono fuori del paese. Tentarono poco dopo di rientrarvi ma fu loro impossibile e cosi presero la via di Palermo.

Il delegato Freddi dopo di aver mandato due guardie per domandare rinforzi a Palermo, occupò la cima del monte Caputo per proteggere i

Granatieri, affinché non fossero loro tagliate tutte le strade alla ritirata. Vedendo poi che il primo pelottone era partito da Monreale e i rinforzi non giungevano, tenne consiglio col capitano, il delegato Lambranzi o il tenente Chilò, i quali decisero di ritirarsi a Palermo passando fra Rocca Monreale e Bocca di Falco e poi fra i filari di fichi d'India e i muri dei giardini. — Alle sette pomeridiane giunsero a Palermo, e se avessero tardato poche ore a prender questa determinazione non sarebbero stati più in tempo e il meno che potesse loro accadere era di essere fatti prigionieri.

I briganti entrati in Monreale sono circa trecento e tutti assassini, renitenti e latitanti del paese stesso, con i loro capi Spinnato, Cuccio, Giordano ecc. già famosi per i loro delitti.

L’ispettore Bolla che con il delegato La Porta e l’applicato Castagnone era entrato nel convento de' Benedettini per vedere le operazioni d’attacco da esso ordinate, e aspettare che il Freddi fosse giunto al suo posto per poi andare anch’essi, volle uscire, ad onta delle dissuasioni e preghiere di chi lo circondava, per andar dal Sindaco e dal Comandante della Guardia Nazionale. Appena arrivato sulla piazza e riconosciuto per l’ispettore che inviava i picchiotti al domicilio coatto, fu fatto segno alla furia popolare, gli spaccarono il cranio e poi lo crivellarono di palle. Il cadavere rimase nudo (le vittime son sempre denudate per rubare gli abiti) sulla pubblica strada e spesso qualche picciuottu, di quelli che avrebbero meritato la galera piuttosto che il domicilio coatto, si divertiva a gridare presso al cadavere. — A 32 grana lu ruotulu la carni di lu spitturi (dico gridavano, non vendevano).

Il La Porta che accompagnava il povero Bolla potè fuggire e l’applicato Castagnone fu fatto prigioniero e tenuto nel convento dei Benedettini.

Gl’insorti rimasti padroni del campo si abbandonarono ad ogni sorta di sfrenatezze inaugurando la più salvaggia anarchia.

Sono aperte per prima cosa le carceri, messi in libertà i detenuti e saccheggiate nel modo più completo, comprendendovi anche le vicine abitazioni dei delegati Freddi Nicola e Lambranzi Giuseppe.

E saccheggiata la caserma de' Reali Carabinieri, dové trovarono sette cavalli; la caserma delle Guardie di P. S.; gli alloggi degli ufficiali, la Ricevitorìa e l'archivio della Pretura, portando via la carta bollata e distruggendo il resto.

La mattina del 16 una banda di assassini fece prigioniero il carabiniere Busachelli intimandogli di gridare viva la repubblica, ma il bravo soldato, disprezzando la vita grida ad alta voce viva il Re... viva l’Italia. Allora quei cannibali lo trascinarono in mezzo al paese e l’uccisero a colpi di coltello e di fucile..

E ucciso un vecchio che aveva relazioni col delegato e una donna con la figlia perché facevano dei servizi domestici alla questura.

Si forma un comitato detto del Municipio, il quale dice di pagare le squadre perché mantengano il buon ordine e proteggano i cittadini. A queste squadre il comitato elargì oltre a 5000 lire; del resto non si fece. più che uccidere, rubare, saccheggiare e inviar squadre a Palermo e nei vicini paesi per fare altrettanto.

I membri del. comitato furono reclutati fra i cittadini e i membri del Municipio. Presi a forza dal popolo elessero a presidente l'Arcivescovo Benedetto D’Acquisto e salvarono quanto poterono dalla distruzione.

Entrate le truppe, il giorno 25, liberarono 476 prigionieri fra soldati, Guardie di P. S. e Carabinieri, presi in vari luoghi del circondario e ivi mandati da Palermo stessa.

Le perdite del combattimento di Monreale ascendono ad 8 Granatieri morti, un caporale furiere e 4 soldati feriti.

Più minuti dettagli su ciò che avvenne durante gli otto giorni di anarchia è difficile a conoscerli.

Misilmeri

L’ominiè dui voti Lupu.

G. Meli

La storia degli otto giorni d'anarchia in Misilmeri è tale da fare ribrezzo ad ogni uomo civile. Si tratta di una città posta all chilometri, cioè ad un’ora e mezzo di distanza da Palermo e con 9000 abitanti, che nella gran maggioranza ha cooperato o presa parte attiva alla carnificina, al saccheggio, ai baccanali e ad ogni sorta di barbarie. Tutto era organizzato fin dalla sera del 15 per l’ingresso delle squadre armate, di. misilmeresi latitanti e renitenti di leva, e partite le truppe al mezzodì del 16 (richiamate a Palermo) entrarono festeggiate da tutta la popolazione e capitanate dai celebri assassini Domenico Giordano e G. Battista Plescia.

La sera vi fu generale. illuminazione e costituito un comitato delle persone più agiate del paese il cui primo atto fu quello di chiamare il popolo alle armi per liberare i detenuti e correre in soccorso di Palermo.

Tutto il paese rispose all’appello e andò al deposito di armi della Guardia Nazionale, che era stata disciolta pochi giorni prima per decreto reale. Il picchetto' di truppa che custodiva il deposito dové cedere innanzi ad una turba di oltre duemila, in gran parte armati, e fatto prigioniero. Fu saccheggiato quindi il locale e presi dal popolo 500 fucili, col|e relative munizioni, con i quali si armò di nuovo la Guardia Nazionale. Dopo di questo la folla si spinse alla caserma dei Reali Carabinieri ove si erano ritirate anche le Guardie di P. S. e tumultuando intimò loro di arrendersi. Il Maresciallo Grimaldi e il Brigadiere di P. S. De Lupis non si lasciarono intimidire e risposero con un vivo fuoco, che durò tutta la notte fino al mezzodì del 48, quando cioè ebbero sparata l’ultima cartuccia. ,

Andò allora una commissione composta di notabili del paese e del Pretore, per indurli a cessare dà un’inutile difesa e uscire dal paese, promettendo che non sarebbero molestati da alcuno. Il Maresciallo forzato dalla dura necessità dové acconsentire e usci con tutti i suoi; ma appena fatti pochi passi furono circondati ed assaliti da una turbarli popolo e Guardie Nazionali. I Carabinieri vedendosi traditi si misero in difesa e facendosi largo con la bajonetta, menando colpi da disperati, raggiunsero di nuovo la caserma e vi rimasero difendendosi tutta la notte.

Il Maresciallo però che con due carabinieri e 4 guardie di P. S. si era trovato isolato, potè fuggire e venire a Palermo con i suoi compagni.

Gli assediati, mancando di viveri e di munizioni, non sapevano a qual partito appigliarsi, quando la mattina del 19 furono invitati di nuovo ad uscire con promessa di aver salva la vita. Intanto il popolo aveva praticala un'apertura dà un lato della caserma ed entrati i più feroci furon sopra a quei disgraziati e li portarono in strada, in mezzo ad una turba di gente avida di vendetta e di sangue. — Qui ripugna il descrivere gli atti di efferata barbarie commessi sopra quelle misere vittime. Uccisi a colpi di fucile o di coltello, alcuni martoriati e indi bruciati, altri ebbero tagliata fa testa, infine si giunse a condannare la guardia di P. S. Sartorio ad essere fatta morire a morsi di donne, fra de’ quali ve ne fu una che riusci a carpirgli un membro del corpo. Dopo averli uccisi tutti la barbarie Si spiegò fin sui cadaveri che m ‘gran parte. furono tagliati a pezzi e gettati per la campagna senza sepoltura. Al cadavere del Rappieri fu tagliata la testa da un certo Pietro C. che come belva ne succhiò il sangue, e messa in punta alla bajonetta, tolta allo stesso, la portò in gira per il paese. Una donna carpi allo stesso cadavere una parte che non nomino e diceva di volerla mangiare. Tutto ciò perché il giovane Rappieri aveva operati importanti arresti dovuti al suo zelo. Vi fu chi lambì il coltello di cui si era servito per la carnificina, e intanto tutti gridavano morti all’italiani... viva la Bedda Mairi... viva S. Givstii... viva la Riligioni... e le campane suonavano a stormo... E il dice l’Arcivescovo che il suo clero. è modello di rettitudine, a e carità... che suda ad educare e moralizzare le plebi e le conicità con l’esempio e la predicazione! Menzogna!... Un paese come Misilmeri, dové la vita non è che un tessuto di atti esterni di religione, dové tutti pendono dal labbro del prete, dové si brandisce il coltello e lo schioppo al grido di viva la Bedda Matri e S. Giusta e la Riligioni, non può esser frutto che delle insinuazioni del clero, della educazione del prete, della morale che dettò la bolla di composizione!... Risulta infatti che il clero invece di inorridire, invece di mettersi fra la vittima e i carnefici, invece di predicar la pace, incitava alla vendetta, faceva suonare le campane, e godeva di questa piccola S. Bartolomeo, dicendo al popolo che i soldati di Vittorio Emanuele sono eretici e scomunicali!... Venga ora Mons. Arcivescovo a rispondere con qualche sua lettera al Ministro... e dica che è colpa del giornale il Precursore se il clero di Misilmeri si é veduto cangiare in jene le sue pecorelle! Ci dica che è colpa del governo se egli non può esercitare i suoi poteri! che non ha giurisdizione su quel clero... e ne dia ad intendere quanti vuole sofismi e ipocrite menzogne, ma neghi se può, che al grido di viva la Religione, la Madonna, S. Giusto ecc. furono barbaramente uccisi 24 Carabinieri e 4 o Guardie di P. S.! Ci dica quanti numeri del giornale il Precursore, o meglio quanti han potuto leggere quel giornale nella Misilmeri devota della Bedda Matri e fanatica contro gli eretici per quanto è ignorante e selvaggia!

Ma il mondo giudica dai fatti e scuserà piuttosto la popolazione di Misilmeri come miseramente abbandonata nelle braccia di pastori veri discendenti di Torquemada, e riconoscerà come in un paese dové non si è esercitata altra influenza, altra educazione, altro dominio morale, che quello del clero, debba su questo ricadere l’esecrazione del mondo civile per i fatti di settembre. Né si dica che in un giorno le pecore si cambiarono in lupi, poiché la serie dei delitti non è mai interrotta ed ha sempre le stesse cause.

A prolungare le delizie del massacro qualche assassino dopo aver attaccato un brano dei cadaveri ad una porta né bandiva la carne gridando: a 35 grana la carni di li sbirri e 42 chidda di li carrubinieri ca va cchiu cara (dico si bandiva e non si vendeva).

I cadaveri ebbero sepoltura solo quando ristabilite le autorità il giorno 27 'furono rinvenuti sparsi per i campi.

Sazio infine di vittime il popolaccio diè mano al saccheggio di tutti gli. edifici pubblici, cominciando però dalla casa dell’ex Sindaco Pietro Lallia, perché uomo onesto e non amico dei preti, del percettore Giuseppe Santoro, del Municipio, Caserme ', Carceri, ufficio dello stato civile ecc. distruggendo quello che non potevano portar via e rubando perfino le porte, le fenestre, i mattoni delle camere, gli scalini e infine tutto ciò che aveva un valore.

Finalmente non avendo più delitti da perpetrare in Misilmeri, il comitato invitò la popolazione ad arruolarsi per andare in ajuto di Palermo poi la retribuzione di due lire al giorno. Il Salvatore Dipisa pagò subito là prima rata e oltre 200 di quelle jene, con vessillo rosso, entrarono in Palermo dove non v’era certo bisogno di questo rinforzo.

Il Brigadiere Santagostino cui riuscì di fuggire, s’incamminò il 18 verso Belmonte, dové prima d’entrare mandava a chiamare il Capitano della Guardia Nazionale che conosceva. Gli si presentarono invece certi B. ed R. il primo dei quali con una fucilata lo stese a terra.

Quanto ho narrato ha dell’incredibile ed io avrei voluto tacerlo se le corrispondenze non ne avessero già di troppo parlato, e non mi muovesse la speranza, che conosciuti si grandi mali, non si tardasse ad applicare energici rimedi. Il sagrifìcio d’amor proprio nazionale che si fa nel pubblicare coteste vergognose e tristi scene di sangue, valesse almeno a persuadere i rappresentanti della nazione, che sopra a tante questioni più che secondarie e di etichette parlamentari, dovrebbe dominare quella sociale che minaccia cronicismo in certe provincie. — Qualche misilmerese reo, o plaudente spettatore di tanto eccidio, può domani montar la guardia con la divisa militare alla porta del parlamento, o alla vedetta di un nemico alle frontiere, dové certamente non farà la parte di uno di quei soldati vincitori di Sadowa che prima di prendere il fucile ha già passati sei anni sulle panche delle scuole...

Nota degli uccisi nell’eccidio di Misilmeri

Maccia Luigi— Castangia Luigi— Rapieri Fiorio — Sessini Antonio — Sassilla Giuseppe — Sauna Antonio — Amenta Sebastiano — Ciacci Tommaso — Bozzanga Orazio — Di Salvo Carmelo — Mameli Salvatore — Armano Giovanni — Morale Sebastiano — Galipò Rosario — Trecani Santo — Bria Giovanni — Praga Stefano — Caria Francesco — Lazzarini Giovanni— La Greca Ferdinando — Tarulli Giuseppe.

I nomi delle 10 Guardie di P. S. sono nella nota antecedente delle perdite avute dal corpo di P. S.

Torretta

Torretta città di 2500 abitanti e a 43 chilometri da Palermo volle anch’essa fare la sua sommossa. — La sera del 47 un centinajo d'uomini si presentarono armati alla caserma de' Beali Carabinieri e chiamando il Brigadiere Gastaldi perché si affacciasse alla feneslra, gl'intimarono di ceder le armi. Non avendo i Carabinieri obbedito all'intimo, i tumultuanti irruppero nella caserma, sicché i Carabinieri doverono fuggire. Usciti in strada furono salutati a colpi di fucile e sassate tanto che poterono a stento mettersi in salvo. Dopo questo seguitò l’anarchia ma non si ebbero a deplorare gravi sconcerti in confronto a quello che accadde nei suddescriiti paesi.

Ogliastro

Questa piccola città conta 2000 abitanti e dista da Palermo 22 chilometri. Qui avvennero fatti orribili, e atti eroici da parte de' Carabinieri. Questi il giorno 49 vedendo lo stato delle cose assai minaccioso s’incamminarono verso Marineo per unirsi a quella stazione, ma attaccati per via da squadre di briganti doverono tornare in Ogliastro con due feriti, e ripararono in casa di un tal Romano Camillo. Abboccatisi quindi con vari signori del paese furono consigliati a passare nel quartiere della Guardia Nazionale dové sarebbero più sicuri. Poco dopo una folla d’armati irruppe nel quartiere, abbattendo la porta, e i carabinieri si rifugiarono nel piano superiore, ferendo intanto un brigante con un colpo di revolver. Circondati da tutte le parti e non rimanendo loro alcuno scampo si videro presto perduti inevitabilmente. Il Brigadiere Tarroni allora, non volendo in alcun conto cedere, prese una bandiera tricolore e la mise fuori della fenestra, gridando insieme a tutti i soldati: viva ir Re, viva l'Italia. Gl’insorti maggiormente irritati vedendo impossibile di aver in mano quei prodi senza combatterli, cominciarono a demolire un soffitto e infine si decisero ad incendiarlo. Allora quei carabinieri non esitarono fra le due vie che v'erano da scegliere, cioè, o cedere o suicidarsi, e si attennero alla seconda. Fatto un fascio di tutte le carte e dei mobili li incendiarono, poi tornati con la bandiera presso alla fenestra gridarono di nuovo viva il Re... viva l’Italia... e dato mano ai revolver li scaricarono contro il proprio petto. Morirono sul colpo il Brigadiere Tarroni e i Carabinieri Beltamante Luigi, Catgiù Antonio, Flocchini Nicolò. Il quinto per nome Bagileo sopravvisse al colpo ma mori poi all’ospedale di Palermo ove fu condotto.

Entrato allora il popolo gettò dalle fenestre i cadaveri, facendone scempio crudele, fino al punto che la levatrice del paese Francesca C. dette l’osceno spettacolo di tagliare dal cadavere del Tarroni una parie che non nomino. 'I tre carabinieri Prato, Pastore e Molletta che non ebbero coraggio per suicidarsi, tentarono di fuggire; ma i primi due furono raggiunti da una scarica di fucilate eil terzo, preso da quei manigoldi, fu legato sopra una sedia e dopo mille strazi barbaramente ucciso.

Nessun giornale ha parlalo bon lode di questi martiri della civiltà e vittime della barbarie di plebi, per le quali con unanime grido è sorto uno stuolo di avvocati che ha protestalo contro le misure eccezionali o i tribunali militari. I rei di questi delitti dovranno forse esser giudicali da correi più fortunati, e tutti saranno salvi ed impuniti! E se fra i giurati vi sarà chi voglia la giustizia, chi lo proteggerà, chi lo salverà dalle vendette e dal coltello.? Oh... v'è chi lo salverà... l'esperienza.

Farsi manutengoli de' delitti e amici degli assassini come è di costume; ecco la via di esser liberi di vivere, dové dominano gli assassini protetti da chi vede nelle leggi eccezionali contro i briganti, un attentato contro la libertà. Ma perché questi signori declamatori non vengono a passare qualche anno a Ogliastro, a Misilmeri, a Monreale, lasciando gli onesti di Sicilia venir un poco a Firenze, dové ammettiamo che valga la loro teoria e neppur noi ammetteremmo leggi eccezionali!

Alia e suo circondario

Appena giunta a Lercara Friddi la notizia del sollevamento di Palermo la Guardia Nazionale comandata dal Capitano Nicolosi usci in pattuglia, con lo scopo apparente di respingere le squadre de' briganti che potrebbero invaderla. Rientrando in città, verso le nove pomeridiane, alla rinfusa e con grida tumultuose, giunse fin sotto al quartiere ove era un distaccamento del 70° di linea, e s’intesero esplodere tre colpi di fucile. Nessuno di questi tre colpi andò fallito poiché cadde morto il soldato Alessandretti e feriti il Boddo ed il Ferraris. Allora il Maresciallo Balsami invitò il comandante di quel distaccamento, composto di un sergente, un caporale e 19 soldati, a concentrarsi nella caserma dei Reali Carabinieri per presentare maggior resistenza. A questo movimento della truppa si intimorirono alquanto i colpevoli e l’ingegnere signor Palermo andò dal Pretore a dichiarare: che essendo caduto gli si era scaricato il fucile a due colpi e feriti cosi i due soldati. Altrettanto l'opinione pubblica diceva essere accaduto al Nicolosi che pure aveva scaricato il fucile.

Il Balsamo avverti di tuttocciò il comandante della luogotenenza di Alia signor Malvezzi, che si trovava in Montemaggiore.

Questi accorse subito la mattina del 19 e rilevò come equivoca fosse stata la condotta del Pretore nel ricevere la giustificazione del signor Palermo. Ordinò quindi il concentramento dei carabinieri sparsi nelle stazioni di Castronovo e Vicari, in Lercara e quelle di Montemmaggiore, Valledolmo e Caltavuturo in Alia (città di 6000 abitanti). Vedendo poi che il contegno di quelle popolazioni si faceva oltremodo minaccioso decise di concentrar tutte le forze in Roccapalumba, che è posizione importante, e dové la famiglia Avellone gli offriva appoggio morale e materiale.

Appena giunto la sera del 20 in Roccapalumba ricevé ordine dal Sottoprefetto di Termini di portarsi in Vicari e rimanervi fino a nuov’ordine. Partito subito con tutte le sue forze, gli venne riferito per via, come a Campofelice di Fitalia fosse stata massacrata l’intera famiglia d’un assessore municipale, sicché si diresse a quella volta, e giunto di sera in vista del paese si avvide che una turba di gente, capitanata da un prete, ne sbarrava l’ingresso in attitudine di difesa. Arrestatisi per vedere di che si trattasse sentirono domandarsi: se son carabinieri e vengono per l’ordine; risposto affermativamente sono invitati con. cenni ad entrare, ma appena fatti pochi passi il prete grida viva la Religione... viva la repubblica... tutti ripetono l’evviva e fanno una scarica di fucilati contro la truppa. 11 Malvezzi mette i suoi in difesa e ordina il fuoco, ma vedendo poi di avere una posizione sfavorevole e che la notte s’inoltrava, per non esporre le sue deboli forze al pericolo di essere accerchiate e sorprese prosegui il suo cammino per Vicari, ove pernottò. La mattina seguente poi si stabili in un fondaco distante circa un chilometro dal paese, da dové potè fare molte escursioni ed arrestare vari briganti che venivano da Palermo carichi di bottino e specialmente di oggetti militari.

In seguito avendo saputo che in Mezzojuso (città di 5000 abitanti) vi erano dei poveri soldati e carabinieri nascostisi per salvar la vita, vi andò e fu accolto con dimostrazioni di gioja, mentre poche ore prima era in pieno furore repubblicano. Il Sindaco, la giunta Municipale, il Pretore, le notabilità del paese g il clero Greco andarono ad incontrarlo con ripetuti evviva al Re e all'Italia. Allora uscirono fuori i soldati nascosti e fra questi il carabiniere Ghiggioni, assai mal ridotto, dopo esser stato 12 ore dentro una sepoltura,36 ore fra la volta e il tetto di una chiesa, due giorni circa in una botte della vigna del Sindaco e finalmente in una sagrestia, dovendo sempre cambiar nascondiglio per procurarsi i viveri. .

Il carabiniere Vaccanti, fuggito allorché fu assalita la stazione, si, rifuggiò in una macchia e quindi in casa del Sacerdote greco, Gaspare Carade.

Il regio Pretore anch’esso dové star nascosto per tutto il tempo dell’anarchia, e cosi altri soldati e carabinieri, dei quali alcuno fu prima assai malconcio dalla furia popolare quando furono invase le caserme per saccheggiarle. Gli archivi furono bruciati e infine si fece vera reprubrica.

Fu qui che si ebbe a deplorare la diserzione di un carabiniere siciliano. .

Villabate

Il giorno 47 parte da Villabate la pattuglia in perlustrazione dirigendosi verso la borgata prossima a Palermo, detta dell’Acqàa dei Corsali, ed è composta di 4 carabinieri,3 guardie di P, S. e sei soldati del 70° di linea, sotto il comando del Brigadiere Carlo Pirotta. Giunti allo Sperone sentono alcune voci da un canneto che intimano loro di gettarsi a terra, e s’impegna quindi uno scambio di fucilate per lo spazio di mezz’ora. Vedendo il Piròtta che i malandrini cercavano di accerchiarlo si diresse verso l’Acqua de' Corsali ove all'approssimarsi vide che il casule era gremito di gente la quale li invitava con segnali a proseguire il cammino. Giunti a tiro di fucile s’intesero fare una scarica e doverono ritirarsi dietro le chiudende dei giardini, dopo aver risposto al fuoco; e nuovo fuoco doverono sostenere in mezzo ai giardini stessi, poiché si videro circondati dai campagnuoli armati di fucile che cercavano di impedir loro la ritirata. Allora vedendosi perduti vollero fare una carica alla bajonetta e si aprirono un varco, ma caddero morti il carabiniere Sciocco, la guardia Durando e prigionieri il carabiniere Lardoni con tre soldati.

I superstiti sempre bersagliati dal fuoco raggiunsero il posto detto Favara, mezzo chilometro distante da Villabate, da dové speravano di aver soccorsi. Qui veduto un immenso numero di ribaldi che stavano appostati, tentarono un assalto, ma fatti pochi passi cadde morto il carabiniere Bisenzoni; desisterono allora dall'impresa e si ricoverarono sopra una collina. .

Intanto il Vice-Brigadiere Foit inteso il fuoco immaginò ohe si trattasse dei suoi compagni e corse dal comandante della Guardia-Nazionale per chieder rinforzi, ma gli fu risposto essere troppo tardi e che il comune era circondato da più che 300 malfattori armati.

I sette rimasti sulla collina senza munizioni, affamati e stanchi, tentarono di guadagnar i monti, ma circondati da briganti a cavallo doverono abbassar le armi.

Il Pirolla tentò suicidarsi e mentre stava per compiere quest’atto disperato venne una palla sulla carabina e ne fece saltar via l’incassatura. Presi allora e spogliati di tutto, meno la camicia e le mutande, tagliarono loro con un rasojo e un coltello i mustacchi e si disponevano a fucilarli, quando giunse sul luogo un certo Cottone Antonino, macellajo di Villabate, che con preghiere e promesse ottenne che si conducessero vivi in città.

Entrati in Villabate si trovarono in mezzo a centinaja di malfattori che volevano portarli con esso loro, ma vi si oppose l’ufficialità della Guardia Nazionale e particolarmente il comandante signor Saimeri e il Sindaco signor Montalto, i quali riuscirono a tenerli nel palazzo Municipale.

Più volte in seguito tentarono le squadre di portarli con loro ma sempre furono difesi dalla Guardia Nazionale, ed anzi il giorno 22, volendo la squadra che li aveva fatti prigionieri, fucilarli ad ogni costo, perché saputo che due dei loro compagni erano rimasti vittime nel combattimento, si armò tutta la Guardia Nazionale e persino le donne, tanto che la squadra dové fuggire.

Ecco quindi un bell’esempio del bene sommo che può fare la Guardia Nazionale quando è animata da buona volontà e comprende la sua missione.

Piana de’ Greci

Questa città che conta 6000 abitanti e dista da Palermo 22 chilometri si mantenne calma fino al giorno 19. Una banda che scorrazzava nei dintorni prendeva a forza i contadini e diceva di voler fare la leva per conto della reprubrica, disfare il governo e cosi abolire i dazi.

Il Capitano comandante la compagnia esterna dei Reali Carabinieri, che trovavasi per caso in Piana de' Greci, riunì tutta la forza che oltre ai carabinieri e guardie di questura, contava 80 Granatieri. Anche la Guardia Nazionale si era messa in difesa, quando la sera del 49 entrò una banda di malandrini ai quali si uni il contadiname nella speranza di veder abolita la leva e le tasse. .

Attaccata la truppa da una viva fucilata e non potendo combattere un nemico appiattato nelle case e dietro i muri, dopo sostenuto il fuoco per varie ore si ritirarono a Corleone. Allora le squadre venute da Monreale e capitanate dal Parisi, percorsero la città di casa in casa esigendo la consegna di tutte le armi e munizioni.

Il movimento cominciò nel quartiere de' Cappuccini ove quei frati si erano fatti centro di tutta la feccia reazionaria del paese, ivi raccolta in adunanza.

Il giorno seguente la ciurmaglia prese à forza vari cittadini di tutti i colori per formare un comitato e appena installato si venne allo scopo, che era di farsi pagare. Quei disgraziati doverono allora raccoglier denaro presso i cittadini per soddisfare la bordaglia che altrimenti avrebbe saccheggiata la città.

È notevole che qualche squadra annunziava per futura regina della Sicilia Maria Teresa e altre parlavamo di un re di cui per ora tacevano il nome. Ecco tutto quello che vi fu di politico nella sommossa di Piana de' Greci, ed è già molto poiché in altri paesi non vi fu neppur questo.

Infine si rubò, si bruciarono carte, si fecero componendo, ma non si sparse sangue.

Corleone

Il Luogotenente dei Reali Carabinieri Capponi, avuto sentore di ciò che accadeva a Palermo, concentrò in Corleone tutta la forza che aveva nelle stazioni dipendenti. Poco dopo ricevé ordine dal Generale di dipartimento di marciare su Palermo insieme alle guardie di P. S. e la 19(a) compagnia del 97° fanteria.

Partiti e giunti tra Marineo e Misilmeri seppero che migliaja d’armati dominavano quella contrada e sarebbe impossibile di passare con si poca truppa. Allora il Maggiore Bassi tenne consiglio e si decisero di tornare in Corleone prima che le bande, le quali già si presentavano sulle creste dei monti che dominano lo stradale, potessero impedirglielo. Tornati in Corleone trovarono che già la bordaglia era minacciosa e i buoni cittadini armati per difendersi versavano in grave pericolo ed erano intimoriti. È da notarsi che questo paese aveva a temere non solo dal partito Borbonico clericale, ma per i 190 ammoniti che ci sono, 43 disertori e 44 renitenti di leva che erano latitanti nei dintorni.

Il Capponi però non disperò di mantener l’ordine e messosi d’accordo col Maggiore Giuseppe Bentivegna, comandante quella Guardia Nazionale e buon cittadino, attivò un servizio di pattuglie all’esterno e all'interno della città prevedendo possibile una incursione di Briganti. Il paese fu tranquillo innanzi a questo apparato di forze, ma essendosi un giorno battuta la generale, l'agitazione si fe’ seria. Però il contegno della Guardia Nazionale, dei Carabinieri e della truppa di linea fu tale da rassicurare tutti e calmare gli spiriti.

Non cessarono per questo i cattivi dal cospirare tanto all’interno quanto all’esterno, ma l’aver potuto rompere le comunicazioni fra loro, riuscì a soffocare i rei progetti e tener lontane le bande armate.

I Carabinieri, la Guardia Nazionale e la truppa di linea coni loro capi, si può dire che hanno salvato Corleone e il Circondario dall'anarchia, perché sarebbe bastato un momento solo di esitazione e d’indebolimento perché tutto andasse a fuoco. Le fatiche sopportate per otto giorni continui, gl’importanti arresti di famosi briganti, e l’ordine. mantenuto in mezzo a tante difficoltà rendono benemerita del paese quella piccola guarnigione e la brava Guardia Nazionale.

Bagheria

Questa città che conta 9000 abitanti e dista da Palermo 13 chilometri fu anch’essa in preda all'anarchia. Le squadre s’impadronirono della ferrovia e la fecero agire per loro conto. Il popolo corse per prima cosa a liberare i detenuti e i carabinieri fecero quello che poterono per impedirlo.

Giunse un rinforzo portato dal carabiniere Ghetti ma fu assalito dalle squadre. Caddero morti tre soldati e gli altri si misero in salvo fuggendo per i tetti.

Boccadifalco

Questa grossa borgata è a mezz’ora di distanza da Palermo e abitata da gente dedita al delitto e alle vendette.

La sera stessa del 16 il popolo assali la stazione dei carabinieri i quali dopo una lunga resistenza furono sopraffatti dai briganti.

I due carabinieri Canavotto e Zanti che v'erano, fatti prigionieri, sono fucilati e quindi la plebe sfoga la sua rabbia contro la salma del carabiniere Canavotto.

Tommasonatale

Il 17 è invasa la caserma; fatti prigionieri i carabinieri Farisano e Locci, oltre ad una guardia di P. S. pensano di portarli a Palermo. Giunti a poca d istanza dalla città la squadra che li accompagnava pensò di sbrigarsene facendo sopra di loro una scarica. La guardia di. P. S. essendo siciliana potè, parlando il dialetto, fermare quelli che dovevano fucilarlo; gli altri caddero l’uno morto e il Locci ferito, ma si dette per morto e poco dopo si mise in salvo nella casa di un'onesta famiglia che amorevolmente lo accolse e lo curò.

Montelepre

La sera del 47 è invaso da squadre di Monreale e di Borgettoe tutto il paese insorge alle grida di viva la repubblica. I 7 carabinieri che vi erano non vedendosi sicuri bella caserma cercano di salvarsi nelle case di conoscenti; ma il Carlini cade ucciso da una palla, il Cremonti è protetto dal signor Palazzolo che lo condusse nella propria casa; il Brigadiere Saitta è anche salvo in casa del signor Albani Luogotenente della Guardia Nazionale, il Cavalca trovato in casa di un tal Candela è assassinato, gli altri tre Stillio, Cariano e Marchetti son presi nei loro nascondigli e condotti ad esser fucilati. Mentre sono già sotto la bocca de' fucili giunge l'arciprete Terranova e con la sua autorità riesce a salvarli..

PARTE TERZA

OSSERVAZIONIE RIMEDI

Bastanti da se suli liggi boni

A rigulari Stati e Nazioni?

Senza costumi li liggi eccellenti

Sù senza mastri l’ottimi strumenti.

G. Meli

Le osservazioni che ora farò saranno il risultato delle impressioni ricevute e che hanno un’intensità diversa da quelle che hanno ferito l’animo dei palermitani.

Gli estranei all’isola hanno misurato i fatti del settembre dando loro un valore ed un’importanza assai grande, dacché non avevano idea, neppur lontana, di tali scene; alle quali gl’indigeni sono abituati e sanno schermirsene con disinvoltura sorprendente. Oltrediché le minaccie ed i maggiori pericoli erano riservati per i continentali, detti italiani, contro i quali l’odio della plebe è grandissimo, perché fu educata ad odiarli.

Essere in casa nostra e sentirsi trattar da stranieri; vederci fatti segno all’odio d’una plebe armata e senza freno; infine sentire con le nostre orecchie che dopo preso palazzo avrebbero scannati tutti i continentali; son tali impressioni che non possono dimenticarsi, né è facile descrivere come abbiano reagito sull’animo nostro e come perciò si desideri ardentemente di veder attuati reali rimedi che possano impedire il ritornò di quelle sei giornate.

È certo che se gl'indigeni avessero dato a quei fatti il valore stesso che gli danno i continentali, sarebbe avvenuta il 22 settembre una contro rivoluzione di tutti gli onesti cittadini, per impadronirsi della canaglia e mandarla fuori dell'Isola. Ma questo non potè accadere come non aveva potuto esserci il giorno 16, quando una piccola parte soltanto del popolo prendeva parte alla sommossa.

Durante l’anarchia la popolazione sembrava ben poco atterrita e le donne specialmente dimostravano molto coraggio e spirito. Non opporsi alle squadre, dar loro quello che chiedevano, aver qualche popolano al fianco per esser protetti, bastava per essi a scongiurare il pericolo d’aver saccheggiata la casa.

La metà poi dei continentali devono la loro salvezza a famiglie palermitane che li difesero e li tennero nascosti nelle loro abitazioni.

Tutto sarebbe stato inutile però se fossero usciti dalle carceri i detenuti e fosse stato preso palazzo Reale, perché allora le squadre avrebbero creduto ad una completa vittoria, senza punto pensare a possibile restaurazione, e avrebbero messo in esecuzione il progetto di massacrarli. Si erano anzi da qualche squadra divise per ciascuna tante famiglie, perché tutte volevano aver parte nel bottino, che era lo scopo principale.

Ad impedire tali eccessi, consta anche, che valse l’autorità di vari popolani, i quali erano nelle squadre solo perché non avrebbero potuto esimersene senza pericolo di essere ammazzati. Questi facevano i repubblicani per paura, sparavano più degli altri, e cosi resisi benemeriti, influivano poi per frenare i più selvaggi, quando si trattava di far vittime. Più onesto di cosi non poteva essere in quei giorni un popolano, ma se ora gli si domanda una testimonianza, perché abbia corso la giustizia, si fa piuttosto, condannar lui alla galera di quello che infamarsi e tradire l’omertà. Di tutti i delitti si potrebbero aver le prove, di tutte le armi sapere i nascondigli, di tutti i capi conoscere i nomi, ma chi è che si attenti di parlare? Chi parlasse, come si salverebbe nella prossima ventura rivoluzione, che tutti si aspettano come possibilissima e che hanno ragione di temere dopo veduta quella di settembre?

Ecco il peggior effetto di questa sommossa che ha raddoppiato il prestigio ai malandrini togliendolo totalmente al governo.

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Restaurato l’ordine la plebe cadde in un certo abbattimento, ma questo cessò appena si avvide della debolezza del governo... Mitezza e debolezza, per un popolo capace di tanti delitti, sono sinonimi, poiché non può comprendere le cause della mitezza. Infatti quale idea può aver una tal plebe di costituzione, di opposizione parlamentare, di reazione della stampa, che sono le cause per le quali non si è proceduto con bastante energia? È più naturale si persuadessero che il governo, ha paura della Sicilia. — E poiché il governo ha paura, hanno concluso, si potrà presto tornare a far la rivoluzione, e quindi bisogna star sempre pronti e non cedere in alcun modo. Cosi è che la mafia oggi è più ardita di quello che fosse innanzi al settembre, che si sia risa dell'impotente stato di assedio, dell’effimero disarmo, dell'inutile spauracchio dei tribunali militari e di tutte le misure di repressione!

Ventiquattro ore di vero rigore sarebbero valse assai più a deprimere l’ardimento della massa di ladri e assassini, che non tutti i tribunali in un anno; dai quali per necessità dovranno uscire con patente d’innocenza migliaja di rei, i quali saranno pronti a far domani il doppio di quello che fecero nei sei giorni.

In ventiquattro ore si potevano prendere otto o diecimila della peggiore feccia e deportarli, dopo un giudizio statario, in un’isola dell’Oceania. Questo sarebbe stato vero rimedio, che avrebbe depurato il paese, sollevato lo spirito dei buoni, resa ai cittadini la libertà di vivere onestamente senza patteggiare coi malandrini, e si sarebbe agito, direi, costituzionalmente perché non v'è nessun articolo dello statuto che garantisca l’impunità e la libertà ai ladri ed assassini (a meno che l’aver saputo farsi padroni di una gran città non li esalti al grado di eroi del mestiere).

Ora è inutile pensare a quello che non si è fatto o sarebbe invece desiderabile che si facesse appello al parlamento per ottenere leggi eccezionali contro i ladri e gli assassini.

É con le leggi eccezionali che si possono salvare le libertà politiche, garentire i cittadini onesti, ottenere la sicurezza pubblica e punire i colpevoli. Per dar la caccia ai ladri non v'è mica bisogno di sospender la libertà della stampa, la libertà d’associazione ecc. basta non esser gelosi della libertà individuale del ladro e del suo domicilio! Gli onesti che non nascondono in casa alcun delinquente non avranno che a lodarsi del governo se dovrà dar loro qualche fastidio per ricercare il reo e punirlo. In questo solo deve farsi un’eccezione e sarà meglio che sia un’eccezione legale di quello che abusiva!

Leggano i signori rappresentanti della nazione le parole del Sindaco nella sua relazione dové dice; «Quasi tutti i cittadini all'occasione sono manutengoli: eppure ben molti meritano il titolo di onesti.» Dopo questa confessione, che è vera in tutta l'estensione del termine, come si può sperare che trionfi 1 onestà e la moralità, che funzioni regolarmente il Giuri, che cessi il regno della mafia e dei malandrini, senza radicali provvedimenti, energici ed eccezionali? — Se la legge non garentisce il cittadino onesto, questo è costretto a transigere col malfattore, per inevitabile necessità. — Un tal sistema per i più oggi è un’abitudine e quasi una virtù, né cesserà finché sarà necessario mezzo per salvarsi dalle vendette.

Il paese è vero che non dà appoggio all’autorità, ma neppure l'autorità ha diritto a pretender quest’appoggio finché non sia in grado di garentire esso i cittadini. Qui non si tratta di centinaja ma bensì di migliaia... di plebi intere... che professano l’omertà e la fanno rispettare! Qual garanzia ha potato dare il governo dorante i sei giorni di settembre ai compì. nessi verso i malandrini? Dopo un tale esempio chi può più compromettersi? Ci vogliono popolazioni di ben altra tempra ed educazione per aver il coraggio di professar la moralità ad ogni costo! — Dopo venti anni di un governo, più forte e più energico della regnante mafia ed omertà, si avrà l’appoggio della popolazione; ora bisogna governare il paese per quale è e non supponendolo già maturo e quale si desidererebbe che fosse.

Finché il governo tratterà con rispetto e moderazione i ladri di questa provincia, solo perché sono molti, questi domineranno città e campagna senza mai dar pace ai cittadini.

La mancanza di sicurezza pubblica e la camorra, o associazione di malfattori che s’impongono al paese con lo loro leggi, sono la causa principale di tutti i mali che soffre la Sicilia. Tolta infatti la sicurezza nelle campagne, che sono dominate dalla mafia, come può fiorire l’agricoltura, prima ed anzi unica sorgente di ricchezze nell’Isola? Come può svilupparsi l’industria e quindi il commercio? Come può redimersi l’agricoltura dalla privativa che se ne è fatta il malandrino e mercenario, che solo é in grado di bazzicar la campagna? Come può il proprietario mettere amore e migliorare le terre, delle quali é padrone soltanto di censirle al tale e tal altro brigante sotto pena di veder bruciata la messe o tagliati gli alberi di agrumi? Aggiunte queste perenni cause di disordine alle già pessime condizioni sociali ed economiche, come potrà mai stabilirsi l’equilibrio!

Qualunque provvedimento Sarà inutile se non cominci dal depurare il paese dai ladri ai quali è soggetto, e non si diano esempi di severe punizioni contro i rei di ogni categoria!

Ma come si possono punire migliaja di saccheggiatori e delinquenti dei sei giorni, se già riboccano le carceri per i rei dei tempi ordinari? Certo che la difficoltà è assai seria, ma bisogna risolverla e non saltarla a piè pari come si suol fare delle più gravi questioni, per non aver il coraggio di usare energici provvedimenti. — Forca e galera non servono allo scopo, ci vuole la deportazione, e su larga scala, di tutti i ribaldi dannosi alla società e recidivi nel delitto.

Nemico della pena di morte, per principi non tantó umanitari quanto psicologici, godo net vedere che questa, inflitta dai tribunali, non fu ancora applicata. L’esperienza ha dimostrato abbastanza che la ghigliottina imbarbarisce e non serve di esempio che al giustiziato, il quale dopo morto non ha più bisogno di migliorare. La classe sulla quale fa grande effetto l’esemplarità di questa pena è quella appunto che per la stessa sensibilità rifugge dal delitto.

Le fucilazioni dei presi coll'arma alla mano, come in proseguimento di guerra, erano le sole ammissibili ed utili, ma ristaurato l’ordine non servono più a nulla. Ognuno spera, nel delinquere, di potersi salvare dalle unghie del fisco, e poi se muore il male è per lui soltanto, p. che gli altri ereditano il mestiere, e quel che aveva accumulato di denari basta ad asciugar le lagrime dei parenti. Mille esempi provino questo fatto, che ho veduto in pratica e lo asseriscono i più intelligenti ed osservatori uffiziali pubblici. La sensibilità non è eguale in tutte le classi della società, e nella plebe non dirozzata in alcun modo, v'è da dubitare se esista in grado da meritare considerazione, fino al punto di contare sull'effetto morale di una pena esemplare.

La galera fa paura da per tutto meno che in quest'isola, dove hanno sempre la speranza della rivoluzione che ne apra le porte. Tale e tanto profonda è la convinzione che il detenuto possa da un momento all’altro esser libero, da permettere che il malandrino eserciti la sua influenza fra le grate quanto se fosse in libertà.

Se dunque l’esperienza dimostra che poco giovino la ghigliottina e la galera, bisogna vedere se la deportazione supplisca a queste. Io credo che per gl’isolani sia non solo il migliore, ma l’unico mezzo che raggiunga lo scopo. — Deportazione temporanea per i rei di minor conto, affinché non esercitino la loro malefica influenza per azione catalitica. Deportazione in vita, in terre lontane, per i recidivi nel delitto. — Allora si vedranno i buoni e gli onesti respirare, diminuirà il malcontento, perché cesseranno i mali sociali dei quali è causa principale l’insicurezza pubblica; il fisco sarà coadiuvato nelle sue ricerche e si comincerà a vivere in Sicilia come si vive altrove.

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A dimostrare qual forza eserciti il malandrino anche quando è in catene o alla vigilia dì una condanna di morte potrei citare mille fatti del giorno; ma mi contenterò di uno che è il più notorio e stato riprodotto dai giornali di Palermo.

Tutti ricordano l’infausta epoca dei pugnalatori ed il processo fatto centro quei pochi assassini che caddero nelle mani della giustizia. Ecco un episodio caratteristico e che dimostra qual potenza sia il malandrinaggio protetto dall'omertà e come innanzi ad. essa non debba far meraviglia se rimane impotente la legge.

Arrestati vari pugnalatori; sui quali il fisco aveva le più ampie convinzioni di reità, si ebbe la fortuna di trovare un cittadino, che colpito da uno di questi, sopravvisse alla ferita non solo,, ma si mostrò tanto onesto da dichiarare che egli avrebbe riconosciuta fra mille la voce del pugnalatore, perché nel vibrare il colpo inveì contro di lui anche con le parole. — Mori., ecc. Il fisco aveva pure potuto sapere che il colpevole di questo delitto era vestito con calzoni operati a quadretti e l’imputato era un certo Cali arrestato mentre fuggiva.

Nello stesso processo figurava un certo Angelo D’Angelo il quale, (cosa straordinaria) aveva presa l’impunità e detto francamente tutto quello che sapeva a riguardo suo e de' suoi compagni.

La plebe era fremente per questo processo e assisteva ai dibattimenti i in attitudine cosi minacciosa, che dovevano questi farsi con grande apparato di forza. Oltrediché nel tradurre il D’Angelo d’Angelo dal tribunale alle carceri, e viceversa, doveva accompagnarlo un battaglione di linea, essendo il popolo oltremodo irritato contro di questo, perché impunitario, e avrebbe voluto passare dagl’insulti e gli urli, alle vie di fatto ed ucciderlo.

Quando alla corte di Assisie si venne alle contestazioni, dové assistervi anche il ferito come testimonio, e interrogato dal presidente, se avrebbe riconosciuta la voce del suo feritore tornò, a dichiarare che l’avrebbe riconosciuta fra mille. Allora il presidente fece parlare ad uno ad uno 4 tutti gl’imputati e poi si rivolse di nuovo al ferito domandudogli se fra quelle voci avesse intesa quella del suo feritore... Si, rispose (dopo (1 )essersi accorto che il pubblico non vedeva in quella sala altro reo che l’impunitario) Angelo D’Angelo è il mio assassino.

Un movimento di soddisfazione e contentezza si manifestò dalla marmaglia che assisteva e dagl'imputati, meno che da Angelo D’Angelo il quale domandò di parlare; e disse, rivolgendosi imperturbato al Presidente. avv.‘° Maurigi: Eccellenza; se io in quell’ora ero alla Fieravecchia, dové ho commesso il mio delitto, non potevo nello stesso tempo essere a via Butera, dové fu ferito questo signore; del resto poi tutte le infamità che ho commesse ve le ho dette, ed una più una meno per me sarebbe l’istesso. Sappiate dunque che il reo è Cali è non io, e questo signore lo ha ben riconosciuto, ma accusa me perché sono impunitario. Infatti i testimoni dicono che il feritore indossava un pajo di pantaloni a quadretti bianchi e neri... si facciano calare i pantaloni di velluto che porla Cali e sotto gli si troveranno quelli a quadretti bianchi e neri. — Fatta questa operazione fu trovato vero tutto ciò che aveva detto Angelo. D’Angelo e il ferito convinto di falsa deposizione fu sottoposto a procedimento. Ecco la morale dell'omertà e causa prima di tutti i mali che affliggono questa provincia. Non v'è processo dové il fisco non incontri tale difficoltà, spesso insuperabile, o nei testimoni o nella stessa vittima, la quale si sottomette alla legge omertà per non esser due volte vittima o dover emigrare.

Ecco dunque cosa è l’omertà. — 'Fare come fece (il galantuomo o l’uomo) il ferito sopradetto; cioè tradire la giustizia per salvare il reo, dichiararsi contro chiunque parli e ingannare il fisco con false deposizioni. Chi non osserva questi precetti passa pericolo di essere ammazzato, anzi può dirsi un uomo bello e condannato a morte; e se è un popolano oltre a guadagnarsi una schioppettata o pugnalata, perde l'onore ed è infamato lui e la sua famiglia.

É per questo che il Sindaco nella sua relazione dice «Quasi tutti i cittadini all'occasione sono manutengoli; eppure ben molti meritano il titolo di onesti.» L’uomo onesto è abituato a vedere nell'omertà un mezzo di conservazione della propria vita e non sa comprendere come il tradire la propria coscienza e l’opera della giustizia, come il proteggere in ogni maniera l’assassino, sia cosa riprovevole e tanto dannosa al paese, che in questo modo non potrà mai godere una sicurezza pubblica duratura.

Ognuno risponde: tocca al Governo di pensarci e garentirci; perché cosi accadeva all’epoca di Maniscalco, il quale governava per mezzo di malandrini. Questi allora rubavano senza assassinare, pagavano i danni sofferti dal forte con ciò che toglievano al debole, prendendo intanto compensi per tali fatiche dal Governo, dal derubato e dal ladro, con un sistema di compensi che vi sarebbe da perder la testa a narrarlo, tanto è complicato e strano. Ridotto a sistema il latrocinio, procedevano tranquilli, senza turbar l’ordine politico e la quiete del paese.

Quale idea dell’onestà può aver questa plebe educata da tanto tempo aduna tal scuola? Infatti. io mi son convinto, parlando famigliarmente con le più oneste persone del popolo, che il senso morale in esse è pervertito talmente da non esser più capaci di comprendere come certe industrie, certi atti di mala fede, certi profitti, certe azioni ec. siano disoneste non solo, ma infamanti.

Il riformare la morale pubblica è certamente opera del tempo, ma se questo tempo passa senza l’assiduo lavoro dei governanti, senza un riordinamento sociale, senza vera istruzione del popolo, sarà tempo perduto, poiché il tempo opera troppo lentamente tali trasformazioni se non vi concorre l’opera dell’uomo.

L’istruzione non si può negare, che progredisca; ma qui non si tratta di farla progredire, bisogna farla correre con la velocità della locomotiva per raggiungere il progresso delle altre nazioni. Non basta l’istruzione ufficiale che si contenta e non può far più che aprir scuole, ci vuole quella che va a cercar l’ignorante e lo mena alla scuola, e questa è cooperazione che deve prestarla il cittadino.

Le migliaja di ragazzi che vivono sulla strada oziosi, luridi e scalzi, o dediti a simular processioni, o ad accattar denaro dinanzi ad un’effigie di S. Rosalia (per conto di qualche prete e sagrestano che fa questa speculazione prestando il quadro o la statuetta del santo) cosa potranno venir di meglio che non siano, i padri loro?

E per le altre classi si chiama, progredire dell’istruzione, se dopo sei anni di libertà e di scuole l’istituto di una città di 194000 abitanti non conta che dai dieci ai venti scolari e l’università neppur trenta studenti palermitani iscritti? Per favorir gli studi dunque bisogna far qualche cosa di più e di più si farebbe se i governanti conoscessero bene le condizioni del paese.

Invece di facilitare sento che quest’anno si è messa una tassa per gli studenti dell’Istituto, ciò che in questo paese vuol dire non voler più istituto tecnico, perché la gioventù che studierebbe è quella appunto la meno agiata ed avrebbe bisogno di ajuti piuttosto che di pesi; oltrediché d’ora innanzi sarà proibito all’istituto di ricevere uditori, mentre questi erano appunto il massimo numero. Che politica sia questa, e in questo paese, non è facile a definirsi!

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Una prima vendetta dei retrivi, ovvero un primo attacco al governo fatto dai declamatori, dopo la restaurazione dell’ordine, fu quello di denigrare la. fama delle autorità che ebbero la disgrazia di vedere il sollevamento del paese da esse governato. — A me pare che si dovrebbe andar cauti nell’accusare, poiché potrebbe essere che amministratori e amministrati fossero egualmente vittime di una causa prima. Non sono tanto gli uomini quanto il sistema che è viziato, poiché non so come si possa chiamar questore responsabile chi non ha pulizia né mezzi per formarla. — Oltrediché non è colpa del Pinna per es. se fu mandato a reggere un paese che non conosceva e che non poteva conoscere. Chiunque sia il questore, se non si organizza una vera pulizia non è possibile che sappia mai per intuizione quello che tutto il paese è interessato e abituato a nascondere. Quando poi ci fosse il buon questore e la vera pulizia bisognerebbe che i cittadini e la stampa non si allarmassero per ogni arresto ed ogni perquisizione, la quale non sia più che legale, aspettando a far questo quando il paese sarà depurato dai malandrini d’ogni specie.

Riguardo al Prefetto qual potere ha egli mai per ovviare ai profondi mali sociali che tengono questa provincia in un continuo stato prossimo alla crisi? Ai rimedi radicali non può metter mane che il governo centrale e toccherebbe ai deputati d’illuminarlo é appoggiarlo. Fin da oggi per esempio si può arguire che fra dieci mesi, se ci saranno a Palermo tremila reclute, come al 16 settembre, avremo di nuovo la insurrezione, i saccheggi, gl’incendi, e anche quei massacri per i quali questa volta è mancato il tempo opportuno. A che cosa gioverà il saperlo e che il Prefetto ne avverta il governo, se dopo il primo esempio si è scherzato su quello che è accaduto, non si è data mano ad alcun provvedimento per legge, si lascian liberi centinaja di assassini, non si è fatto che un illusorio disarmo, infine si è lascialo tutto nello statu quo! Ma il governo può rispondere, che non poteva far altrimenti perché conosce l’umore della camera, la quale non avrebbe sofferto misure eccezionali, benché si trattasse di casi più che eccezionali. E allora, se il governo è infirmato dalla camera, la camera bada più alla poesia che non agli interessi dei cittadini, se l’opposizione' si fa per portar il governo all'orlo d‘un precipizio e spingercelo invece di metterlo sulla buona via, se il paese stesso non fa qualche cosa per migliorare le proprie condizioni e si contenta di correr dietro agli oppositori ecc. ecc. come si può poi scaricare tutta la colpa sulle povere autorità locali? A che serve il prevedere se non si provvede? Veduta la necessità di stabilire una vera pulizia per sventare le trame dei ladri, perché non vi si è subito provveduto? E ai disordini sociali quando si porrà mano? Se cittadini e governo non cessano di guardarsi in cagnesco e non sono unanimi nel lavoro non si otterrà mai nulla di bene e i mali si faranno sempre più gravi!

Intanto quale è la gratitudine verso quelle autorità che hanno salvalo il paese dall’estrema rovina? — Accuse e calunnie. — Se i Generali non avessero tenuto fermo alla difesa del palazzo Reale, raccogliendo quelle forze che divise si sarebbero perdute, il governo sarebbe stato vinto completamente e le squadre avrebbero avuto campo di far massacri nella città e protrarre molto a lungo il loro dominio. Quale è il compenso che hanno ricevuto per aver agito con senno e ottenuto il miglior risultato che si potesse sperare da una massa di reclute? Né più né meno che il titolo di vigliacchi, perché si è arguito che tra quattro mura e fra tre persone si sia dai Generali progettato di venire ad una capitolazione con ì briganti... Ma almeno si poteva architettare la cosa con minore dabbenaggine, scegliendo meglio il giorno, e non quello proprio in cui era già in porto la flotta e i primi rinforzi di truppe. Il colloquio segreto fra i Generali e il Prefetto, nel quale si dice che i Generali proponessero, o almeno pensassero ad una possibile capitolazione, non può essere che l’unico colloquio segreto del 20, cioè il giorno in cui già. operavano le truppe sbarcate, e l’intendente Ferrerò dichiarava di aver viveri per tutto il 24. Come poteva quindi venir in capo ai Generali di pensare ad una resa, mentre non ne avevano avuta l’idea, o almeno non si accusano di averne concepito il progetto il giorno 48 o 49 nei quali lo stato delle cose era assai più allarmante? — Come poi si sia potuto trapelare ciò che hanno detto fra loro il Prefetto e i Generali, questo rimane un incognita, o almeno rimane tale per chi non ammette che il Comm.(e) Torelli sia stato capace di calunnia o di slealtà.

Che il marchese Rudinì abbia accennato a questo fatto nella sua relazione non può essere che per aver intesa questa voce in bocca a persone, che non credeva interessate a denigrare la fama dei Generali.

Giacché ho parlato di gratitudine mancata verso le autorità, da parte di quelli che le hanno calunniate, chi per malvolere, e chi per leggerezza, dovrò anche notare come nulla si sia fatto dalla città per compensare in qualche modo, se non altro con onorificenze, tutti gli ufficiali che furono spogliati interamente di quanto possedevano. Che sia tutto dovere, e puro dovere, quello di esporre la vita per la salvezza di una città ed anche per un solo cittadino che sia in pericolo; questo sta in regola, ma che debba anche perdere tutto il suo avere, non è nell’ordine delle cose. Il Municipio che nelle ultime luttuose circostanze si è mostrato eguale all’altezza della sua missione, non è lodevole per questo lato, e tanto più che sa, essere irrifattibili i danni ricevuti dagli ufficiali.

Il cumulo dei sagrifici imposti alla guarnigione in Sicilia non è certo una piccola cosa, e profittare di questa circostanza per mostrare verso di lei la gratitudine della città sarebbe stato, se non un dovere, almeno un atto molto lodevole e non nuovo, poiché in Italia se ne contano vari esempi.

Per dimostrare quanto sangue costi all’armata la guerra contro il malandrinaggio, valga la seguente tabella ove ho notate le perdite fatte dal solo corpo dei Reali Carabinieri, in un quadriennio, di tutti uccisi e feriti a tradimento nell’esercizio delle loro funzioni.

Sopra 4800 uomini che conta' la legione:

ANNO

UCCISIFERITI

Ufficiali

Bassufficial

Carabinieri

Totale

Ufficiali

Bassufficial

Carabinieri

Totale

1863

» 6 9 15 » 10 26 36

1864

» 2 5 7 » 6 19 25

1865

» 2 3 5 « 2 17 19

1866

1 6 46 53 » 8 22 30


1 16 63 80 » 26 84 110

Ottanta uccisi e centodieci feriti in un solo corpo del l’armata, senza contare le perdite della truppa di linea e pubblica sicurezza, sono un tal fatto da meritare seria considerazione, e dimostra come lo stato di guerra dichiarata sia lo. stato normale nell’isola. Credo che tutto il continente italiano e le altre isole, non escluse le. provincie ove ferve il brigantaggio, non diano un contingente cosi spaventevole di perdite nel corpo de' Reali Carabinieri.

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I colpi di facile sparati nei sei, anzi nei sette giorni, ascendono a qualche milione, tanto che sembrava una gran battaglia ed invece era piuttosto un gran fuoco d’artifizio. Tutta l’offesa degli insorti ha consistito in questo ostinato fuoco e mai hanno tentato un assalto delle posizioni. L’unico tentativo d’attacco fu quello alla Trinità, dové cercarono di far saltare in aria il quartiere con un bariletto di polvere, ma vero assalto mai. Se lo avessero tentato vi sarebbero riusciti certamente perché le reclute non avrebbero resistito in un combattimento alla bajonetta. Potendo gl'insorti disporre di 20000 uomini e potendo anche dar l’assalto ad una posizione alla volta, senza aver nulla a temere dalle altre, si sarebbero in un’ora impadroniti del palazzo Reale, attaccandolo in dieci o venti punti; ma mancavano di uomini capaci di ordinare e molto meno di esporre il petto fuori delle barricate!

Anche nella difesa le squadre si mostrarono oltremodo vigliacche, poiché non rimasero mai a contrastare il possesso di una barricata, quantunque pochissimi fossero i soldati che l’attaccavano. Le truppe hanno sempre combattuto in mezzo al fuoco e senza veder la faccia del nemico né poter usare mai la bajonetta. Tutta bordaglia, non mossa da un principio, come poteva sentire il puntiglio d’onore che imprime il vero coraggio! La sua guerra consisteva nello sparare dietro i ripari e sparar sempre in tutte le direzioni,

Una statistica delle perdite fatte dai briganti non si può fare ancora, ma si può arguire che il numero è assai inferiore a quello delle truppe. La massima parte dei briganti uccisi o feriti sono vittime della loro poca avvedutezza e njun ordine. Infatti varie volte furono sorpresi mentre traversavano le strade, o rimasti isolati in qualche casale, o colti da qualche tiratore impostato sull’alto della Matrice e del palazzo Reale e infine dalla mitraglia che li raggiungeva dové meno. se lo aspettavano. Molti poi furono uccisi o feriti dai compagni stessi in qualche' litigio e nel dividere il bottino, come per esempio accadde al Carmine.

Da una tale insurrezione avranno imparato le autorità militari che questa plebe anche armata non si deve temerla. Basta impedire che costruisca le barricate, perché queste soltanto formano la sua vera forza. Bisognerebbe quindi tener divise le truppe, in tutti i quartieri della città e non più concentrate quasi interamente a Porta Nuova. Se nell'interno dei quattro mandamenti vi fosse stato il 16 settembre un solo battaglione, il popolo non avrebbe potuto unirsi, barricarsi e rendersi formidabile per le sue posizioni. — Una miglior ripartizione della truppa nell'interno della città è fra le cose desiderabili ed ora non mancano locali per servire a quest’uso.

Le leggi della tattica militare si opporranno a questo sistema, ma la miglior tattica è quella che soddisfa allo scopo; e qui l'esperienza insegna che non è buono il principio del concentramento non potendosi poi più percorrere la città senza gravi sagrifizi quando sono fatte le barricate; e barricate solidissime essendo costruite con le grandi basole di marmo del lastricato.

Star pronti ad ogni evento è compito delle autorità militari poiché non v'è da illudersi; finché esisteranno le cause sarà sempre da temersi un nuovo sollevamento di ladri, e rimuovere le cause e opera di anni e non di giorni. Per qualche tempo è necessario che la nazione faccia il sagrifizio di tenere nelle provincie occidentali dell'isola non meno di 20000 uomini. Una forte guarnigione ha poi anche il vantaggio di portar dei guadagni materiali alle' misere popolazioni della campagna. Gli ufficiali spendono molto e appunto di gente che spenda v'è gran bisogno per ravvivare la circolazione del denaro e alimentare le piccole industrie.

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Se il 16 settembre duemila o anche mille Guardie Nazionali fossero accorse ai più vicini quartieri, non avrebbero passato alcun grave pericolo, e riuniti per buon volere individuale, eguale in intensità al malvolere della plebe, avrebbero potuto occupare le più forti posizioni. — Padroni delle strade dominate dal palazzo delle Finanze, della Zecca, dei Tribunali, del Municipio, dell’Università, dell’ex collegio de' Gesuiti, dell’Ospedale civico, della concezione col suo bastione, di S. Francesco di Paola, del Monte di Pietà ecc. avrebbero tenuto in rispetto il popolo e offese le squadre, sparando dalle fenestre, quando pure non volessero uscire in piazza ad affrontarle. Tutto questo sarebbe bastato ad avvilire i sediziosi e ripristinar l’ordine appena turbato. Intanto la truppa avrebbe operato all’aperto occupando il Toledo, le porte della città, e mantenendosi nelle proprie posizioni di Castello a mare, palazzo Reale ecc. — Nessuno potrà negare che innanzi a questo apparato di forza la vile bordaglia avrebbe desistilo dall’impresa come già avvenne il 13 maggio 1865.

Tutto questo non si è fatto e neppur tentato di fare, quantunque il General Camozzi avesse fatto appello alla Guardia Nazionale fin dalla sera innanzi, facendo chiamare i militi a domicilio, e poi alle cinque del mattino con il tamburro.

I cittadini si aspettavano la sommossa, i giornali la prevedevano da molto tempo e nessuno è corso in difesa della città perché la Guardia Nazionale non era ben organizzata.

Ma cosa manca quando i cittadini hanno le armi e i quartieri per riunirsi? — Manca che il governo li prenda ad uno ad uno per la mano e li porti al posto ove li chiama il dovere.... E quando noi italiani ci spoglieremo delle fasce che c’involgono come bambini e licenzieremo la balia?.. Oh non m’inganno se dico che il nostro paese é ricco di poesia e di parole, povero di virtù cittadine e veri liberali! — Esigiamo dal governo che ci venga a fare poco meno che il. bucato in famiglia e nulla domandiamo a noi stessi! Gridiamo contro la forma dei governo dispotico ma vogliamo di fatto viver schiavi e pupilli come siamo nati! Abbiamo libere istituzioni ma manchiamo di uomini liberi... eppure osiamo far confronti tra noi e l’Inghilterra!…

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Il sollevamento di Palermo non ha alcun carattere politico nel suo sviluppo, ma fu organizzato, incarnato e promosso dalla reazione clericale autonomista e borbonica, in relazione col partito legittimista cattolico.

Non vi fu che un tardo simulacro di governo provvisorio col quale intendeva la plebe di trovar la via di esser pagata. Non si può dire neppure che vi fu un’invasione di briganti poiché quelli che vennero dai paesi vicini eran tutta gente di città, né più né meno dei palermitani, e ben pochi furono i disertori di leva e latitanti, che giunsero in gran. parte dopo che Palermo era tutta in mano degl'insorti. 11 grido di repubblica fu grido di convenzione e significava soltanto anarchia, mentre i democratici onesti furono i più avversi al movimento.

Piuttosto la sommossa di Palermo è stata una vendetta del clero e dei partigiani del passato. La plebe li ha seguiti perché di sua natura e per tradizione ama la rivoluzione per l’anarchia. Le tendenze socialiste sono pronunciatissime in questa plebe che fra se ed il proprietario vede quell'abisso che separa il bianco dal negro nelle colonie americane.

La vita per questo popolo comincia e finisce coi giorni dell’anarchia, che sa spesso e cosi bene procurarsi, e facendosi temere da chi dovrebbe esser amato. Il solo clero lo blandisce ed al clero corrisponde con amore e da esso si lascia condurre ciecamente.

É da notarsi poi che la sommossa di Palermo non ha nulla di comune con nessuna delle rivoluzioni al mondo note. — Infatti non vi è ombra di tumulto popolare, non dimostrazioni di piazza, non riunione di popolo; che in questo caso sarebbe stato facile ai generali di presentarsi e col prestigio del coraggio o infine con la carica di uno o due battaglioni disperdere la folla di sediziosi, come accadde in altre circostanze quando per es. la Guardia Nazionale bastò a disperdere i dimostranti contro il Meeting, e nelle luttuose circostanze del 1862.

Ora non c’è stata sedizione, ma pura e semplice manovra da' briganti, i quali sparano e fuggono, si presentano allo sbocco d’una via e poi ricompariscono dietro le inferriate di un monastero, e cosi via dicendo. — Cosa ottennero il coraggioso Prefetto, il bravo Sindaco, è i buoni cittadini allorché fecero la processione per la città? Non ebbero altra consolazione che quella di ghermire qualche brigante e ricevere molte schioppettate... A che serve il coraggio innanzi a questa strana situazione di cose?

Ci volevan battaglioni di truppa vera e occupare militarmente la città, ma questo è appunto quello che mancava, né si poteva a priori stabilire che i cittadini sarebbero rimasti cosi inerti!

Se a Palermo vi fossero state disposizioni ed elementi per una rivoluzione, questa sarebbe, scoppiata immancabilmente durante l’anarchia. — La stessa plebe fu mossa dai liberali nel 1848 e nel 1860; né si può dire che i partiti politici non avrebbero voluto oggi valersene per gli eccessi ai quali il popolo si abbandonava, poiché accadde di peggio assai nel 48 e 60. Di ciò non si può dubitare e il Precursore stesso lo confessa nel suo numero 340 del 30 novembre 1866 allorché parlando dei fatti del settembre dice «La plebe palermitana abbandonata a se stessa non commise neanche il ventesimo degli orrori consumati nel 1848 e nel 1860.»

L’isola era tutta in condizioni tali da poter insorgere poiché non vi erano truppe, se non pochissime, giovanissime e in gran parte formate di siciliani del e ultime leve. Se non si mosse ciò vuol dire che la Sicilia é Italiana di fondo e i suoi disturbi provengono non dall'ordine politico ma bensì da malattia sociale che la corrode.

Se l’Irlanda fosse lasciata a se stessa, come è accaduto della Sicilia nei mesi di giugno, luglio, agosto e settembre, e mentre la nazione era impegnata in una guerra, forse l’Irlanda avrebbe proclamata la sua indipendenza. E cosi dico di molte provincie di vari stati Europei. La Sicilia invece potendo insorgere e trionfare facilmente delle poche forze qui lasciate dal governo, non solo è rimasta fedele all’Unità, ma neppure ha profittato di un sollevamento assai imponente di una plebe ladra e selvaggia, per la quale poco altro di ajuto sarebbe bastato a compiere la distruzione del governo esistente e proclamare l’autonomia dell'Isola. Questo fatto dovrebbe persuadere certi pubblicisti esteri e convincerli che l’Italia è una sola famiglia, e se pur v'è di essa qualche membro malato non v'è però alcun figliuol prodigo che voglia dipartirsi da lei né alcuno, che sia tenuto per forza.

Il malcontento in Sicilia è l’espressione di immensi bisogni materiali che sente, i quali si manifestano sotto mille forme, ma tutte le grida e le lagnanze sono effetto di un dolore, e non una dimostrazione politica per staccarsi dalla nazione.

Gli stessi cosi detti autonomisti vogliono Punita, e se desideralo un discentramento, Ciò è perché sperano con questo di portare immediato sollievo all’esquilibrio sociale che mantiene la miseria di molte classi in questa provincia.

Quando saranno divise le terre dei luoghi pii e ravvivata l’agricoltura; quando avrà prodotti i. benefici effetti l’istruzione delle nuove generazioni e la leva militare; quando saranno moltiplicati i contatti con le altre provincie del regno; quando saranno introdotte le industrie e le manifatture, animato il commercio e spezzato il giuogo del clero, la Sicilia si arricchirà, godrà il benessere materiale e con questo cesseranno i sollevamenti della plebe e i reati nelle campagne. Togliete i ladri e la gente che ha fame e si dica poi ove sono elementi di rivoluzione in Sicilia, ora che è unita alla madre patria! Che vi sia chi opina per un ministero piuttosto che un altro, per una maggiore o minor libertà ec. questo accade anche nelle provincie subalpine alle quali nessuno nega che desiderino l’unità.

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La bordaglia di Palermo ha cercato nel movimento del settembre di ripetere ciò che si era fatto nel 48 e nel 60. Nell’offesa, nella difesa e nel modo di combattere ha copiato alla lettera quelle insurrezioni. Sempre lo stesso obbiettivo, di liberare i ladri alfe grandi prigioni, rubare il più possibile, distruggere gli stabilimenti pubblici e municipali, le stesse grida, le stesse barricate, lo stesso tendone a S. Giuseppe, gli stessi centri, lo stesso ordine di squadre, le stesse promesse al popolo. Allora guidata da liberali insorgeva contro il despotismo, ora guidata da borbonici e preti ha voluto assumere la stessa veste, insorgendo al grido di libertà insieme e in favore del partito dispotico, legittimista e clericale. Ma dal partito politico non ha preso che il motto d'ordine e l’incitamento. Dopo scatenata non vi sarebbe stato alcuno capace di comprendere più perché insorgeva. Orgie di ladri e nulla più t Terrore in tutti i partiti e vivo desiderio nei cittadini di veder presto ripristinato il governo nazionale... per osteggiarlo di nuovo e combatterlo con la stampa nei suoi alti, ma non per distruggerlo. Queste sembrano stranezze ma non sono cose speciali della Sicilia. In tutta Italia v'è questo genere di partili che nesciunt quid dicam perché mancano di una educazione politica. In Sicilia accade che il numero di questi è innumerevole, ma non perciò si deve dire che sono nemici dell'unità. Ogni volta che un capo malcontento riesce a carpireun impiego, una fornitura, un’onorificenza, diventa subito ragionevole; cioè si spoglia della veste di malcontento e resta quello che è di fondo, cioè un buon liberale, amico delle istituzioni vigenti e del governo nazionale. Se si scruta bene dové si vede opposizione politica in Sicilia, si troverà sempre che non è altro se non che ignoranza, e miseria. v'è poi il partito onesto che si lagna degli effetti dell’ignoranza e della miseria, che tengono il paese in un abbattimento morale e materiale da far paura, e pel quale è stato possibile il sollevamento di settembre.

Il governo non sembra persuaso della realtà dei mali che generano il malcontento, poiché prende sempre di mira le questioni politiche dové non vi sono che questioni economiche e sociali.

Sul bilancio dello stato bisogna aggiungere 30 milioni all'anno da impiegarsi, ma saggiamente, in favore della Sicilia e questa in dieci anni fiorirà tanto da non esser più di grave peso alla nazione, ma anzi sarà di sollievo e le renderà il decuplo di quella che si spenderà, per lei. — Vedremo in seguito dové si dovrebbero spendere i trenta milioni perché quest'isola che è una voragine si converta in una miniera.

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Sulla connivenza del clero, secolare e regolare, nei fatti di settembre abbondano. talmente i documenti ed i testimoni da non aver bisogno di commenti; La lettera dell’Arci vescovo, o di chi per lui, non è che un tessuto di menzogne e sofismi dà far nausea. Il clero é non solo autore ma causa di nove decimi dei mali della Sicilia.

In sei anni di libertà questo popolo avrebbe progredito maravigliosamente se non fosse stato di ostacolo il clero con le sue false dottrine. L’ignoranza invincibile della plebe non é che un effetto della educazione religiosa che ne stupra le menti con la superstizione degl’idolatri e il fanatismo dei barbari Né Mons. Arcivescovo negherà che l’educazione religiosa sia data dal clero! La bolla di composizione che ho data nella prima parte di questo scritto é tal documento che può dirsi monumento d’infamia, e neghi se può Monsignore che quella é la morale inculcata dal prete a che la bolla con ipocrita arte legalizza il delitto e autorizza al furto, usufruendone esso stesso una tassa che chiama pena. Il clero risponderà che se ne stampano ora ogni anno venti o trenta copie a Palermo per mera formalità... concedo... poiché la bolla é passata nei costumi e nelle abitudini del. clero e del popolo da non aver più bisogno di leggerla. Io prima di averla in mano avrei potuto scriverla senza sbagliare di un concetto solo, tanto si legge bene negli atti, e si sente nel vivere in Sicilia.

Che il clero abbia organizzato diretto e prestato anche il braccio alla sommossa é un fatto innegabile. Nei conventi e nei monasteri stavano nascosti molti briganti; il popolo non faceva che ripètere di essere insorto contro chi voleva affamare la Sicilia togliendo i beni ai luoghi pii, privarlo della. sua religione, scandalizzarlo con i sacrilegi ecc. dappoiché si facevano le operazioni della leva nelle chiese, si mettevano ospedali nei conventi, si conculcavano infine le cose sacre. Ecco in che consisteva la politica che Io muoveva alla sommossa!

Molti preti e frati erano capi squadre e i più accaniti. In vari conventi furono trovati corpi di delitto, documenti irrefragabili di cospirazione antinazionale, residui di istrumenti da guerra ivi fabbricati, cioè polvere, palle di piombò e pallottoliere, cotone fulminante, oltre a bandiere e ritratti fabbricati dalle monache, corrispondenze con i, principali briganti ecc. ecc.

Oh se invece di un così turpe e corrotto clero vi fossero centinaja di preti come Carmelo Pardi e redimessero il popolo dalla schiavitù morale, allora si potrebbe sopportare non solo l’influenza del clero ma sarebbe un elemento di civiltà e di progresso. Ma quanti sono i Carmelo Pardi?... Vere eccezioni!...

Il clero non solo non è pentito ma va tronfio del brillante risultato ottenuto nel settembre e dovuto alla sua educazione. Cosa sono gli eccidi, le carnificine, i saccheggi, gli incendi di Palermo, Misilmeri, figliastro. ecc. quando il popolo commettendo tali orrori grida viva la religione? Come può esser malcontento il prete quando vede il ladro che col bottino in collo si ferma innanzi al quadro di una Madonna per ringraziarla di tanta provvidenza? Quando squarta e tortura e uccide miseri soldati perché servono un re scomunicato e intanto grida morie agli eretici morte agli Italiani viva S. Rosalia! cosa ci può veder di male il prete di Sicilia se questi sono i suoi insegnamenti, se la religione non é che un culto esterno!

Per migliorare il popolo bisognerebbe educare prima il clero, ma é ciò possibile? D’altronde se non si toglie questo ostacolo è inutile di pensare all'incivilimento di queste plebi. Non resta quindi che rimuover là causa e questo si potrebbe ottenere. con la mobilizzazione del clero stipendiato dallo stato. Si fa passeggiare tutta Italia agl'impiegati e perché non si potrebbe fare altrettanto dei preti?

Il clero di Piemonte, Lombardia e Venezia è meno cattivo, e anzi relativamente può dirsi buono; per lo meno è cristiano, morale e si occupa delle opere di carità aborrendo dal vizio. Si mandi questo in Sicilia dové troverà da fare delle vere missioni, e si porti questo di Sicilia nell'alta Italia, dové il popolo non ha bisogno d'imparar la morale dal prete e quindi sarà ridotto all’impotenza di far del male; anzi ivi il popolò moralizzerà i preti. Quelli che non vogliono cambiar cielo rinunzieranno alla pensione e cosi si. farà un’economia che servirà a pagare il viaggio a quelli che dovranno per necessità obbedire.

Io ho inteso persone del basso popolo alle quali avendo discorso dei mali che lo affliggono, mi hanno confessato che tutto accade per incitamento del clero. Oh non v'è dubbio questa plebe non potrà progredire finché sarà a contatto di questo clero, e se si vuol provvedervi energicamente non c’è che sostituirlo con preti meno corrotti e meno fanatici!

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Nella educazione di un popolo ha sempre influito grandemente a svilupparne il senso morale e politico, la vita pubblica... e vita pubblica manca totalmente a Palermo. Questo popolo vive di concentramento e tale che giunge a non oltrepassare i limiti della famiglia e del parentado. Se v'è riunione questa è in chiesa e quindi riunione che invece di unire tende ad isolare e concentrare gli spiriti. Cosi accade delle processioni che sono i circènses dei Siciliani e dirò anzi di tutte le provincie meridionali d’Italia. — Vita pubblica, vita espansiva non c'è e non se ne ha idea neppure. Il promuoverla sarebbe compito del Municipio e anche del governo. — Il teatro per esempio è una scuola alla quale accorre smanioso il popolo di Torino, di Milano e di tutte anche le piccole città dell'alta e media Italia. Qui è quasi ignorato dal popolo e dirò anche che ne profitta assai poco la classe ricca e colta; poiché vedo che manca questo divertimento per la metà dell’anno, e quando v'è ho trovato non sempre piena la platea di uno o due piccolissimi teatri. Basti dire che nell’isola di Sardegna, Cagliari con 34000 abitanti ha un politeama costantemente frequentato, mentre Palermo con 194000 non lo possiede. — Ciò mostra che non v'è passione per divertimenti i pubblici che fanno parte della vita pubblica. — In tre anni non ho mai veduto uno spettacolo per il popolo, meno che un fuoco artificiale per lo Statuto, e intendo spettacolo che uscisse dalla sfera religiosa e superstiziosa, tendente cioè ad esilarare un poco lo spirito della plebe, la quale così cerca emozioni procurandosi il divertimento delle rivoluzioni.

Soppresse le feste per S. Rosalia ed altri santi, il popolo non ha più una giornata per rompere la monotonia della sua vita. Come si vuole poi che ami il governo, se da questo non riceve altro invito che quello di pagare, di dare i figli all’esercito o di abbandonare i suoi vizi e le sue ree abitudini!

Per tutti i popoli il carnevale è stagione di divertimenti, anzi di sfrenamento, e qui invece si riduce a pranzi fra parenti e giuoco fra amici. L’anno scorso poi vi fu qualche cosa che produsse l’effetto inverso, poiché si ebbero tre giorni di carrozzata, esclusivi per la nobiltà e ricchi, che come è di costume la organizzarono fra loro avvertendone il pubblico solo per far sapere che in quelle ore sarebbe impedito il passaggio dei carri nella strada scelta per teatro del loro, particolare divertimento. La plebe e là classe a questa più vicina, come é ben naturale, accorse per, vedere, e avendo qualcuno ardito di tirare qualche mazzo di fiori, fu ricevuto con disprezzo. Indispettito il popolo per non poter prendervi parte alcuna, cominciò a tirar sassi e fischiare e far tumulto. Intervenne allora la truppa e i signori doverono svignarsela. — Non dare alcuno spettacolo al popolo e poi permetterne uno esclusivo per una casta, era un voler abusare e quasi insultare la plebe. — Lo stesso passatempo della marina che consiste in qualche ora di musica. comincia alle dieci di sera, che è quanto dire escludere il popolo, che stanco dalle fatiche della giornata, in quell’ora va a riposare e quindi non può profittarne. Infine niente si fa per il popolo e si pretende poi che non abituato alle riunioni sappia assistervi con civiltà; che diseredato di tutto, sia contento; che disprezzato, baci la mano che lo disprezza; che non chiamato mai a rallegrarsi accetti volentieri i sagrifizi; che abbandonato a se stesso e nelle mani del clero, s’ispiri da se alla civiltà; che respinto dalla classe colta comprenda per proprio intuito la necessità di istruirsi; che infine fra mille cause che lo dividono tenda ad associarsi nell'industria e nel lavoro t Questo si chiama aspettar miracoli; ma invece se non si cambia sistema si avranno sempre frodi, assassini e saccheggi come quelli di settembre, ogni volta che mancherà la forza armata per impedirli.

Gioverebbe perciò che agli altri rimedi radicali si aggiungesse anche la cura morale, ed ogni domenica ci fosse per ij popolo un qualche divertimento; che si attivassero teatri popolari d’ogni genere,' con sovvenzione municipale o governativa, perché fosse possibili, e a prezzi molto discreti; che per le grandi ricorrenze si dasse qualche spettacolo pubblico, sia pure la cuccagna o la tombola, e non le sole riviste militari alle quali non prende alcun piacere o non vi assiste questo popolo anti-militare; che si dassero divertimenti alle scuole nel carnevale e dalle società operaje, che in molti luoghi hanno la loro piccola filodrammatica; infine anche da questo lato far qualche cosa per il popolo se non si vuole malinconico, concentrato nel vizio e nemico dei ricchi e del governo.

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Vi sono delle società operaje ma nessuno si avvede che esistono. Parlano molto ma non si vede alcun prodotto della loro associazione. Anche in queste si appalesano i tristi effetti dell'isolamento del paese. Farebbe d’uopo che il Municipio cercasse di svegliarle ed imprimer loro il movimento.

Ora sta per aprirsi la grande esposizione a Parigi, e non potrebbe il Municipio inviarvi a proprie spese un cinquanta artisti ed operai dei più intelligenti, perché vedano, imparino e cerchino d’imitare qualche cosa del tanto che si fa altrove e di cui qui non si ha la menoma idea? Come possono svilupparsi le intelligenze copiando sempre ciò che hanno fatto i padri loro, senza, veder nulla di nuovo, né sapere come progrediscano le arti? Senza attriti e senza contatti non si sviluppa alcuna forza! — Contragga anche un debito la città per inviare un gran numero di artisti e operai all’esposizione, li faccia accompagnare e diriggere dai suoi ingegneri municipali, impieghi anche un capitale per acquisto di macchine ed istrumenti, e rinvestirà il denaro al mille per uno, preparando vere ricchezze al paese col promuovere lo sviluppo delle sue forze vitali.

I signori del Municipio se vogliono veder ricco e florido il loro paese bisogna che smettano la paura di far debiti, e si ricordino di essere in un’isola dové tutto ciò che non può venire da se per l’ostacolo del mare, bisogna importarlo. Finché a Palermo si guarderà con beatitudine a quello che c’è e non si provvedere invece a ciò che manca, non si aprirà mai il varco all'industria ed alle arti, né si provvederà a tutta la classe di parassiti, che son tali perché non è loro possibile di trovare un lavoro conveniente. Se volessi enumerare le arti che mancano a Palermo e che potrebbero dar pane ai mille e mille che non sanno dové batter la testa per guadagnarselo, dovrei scrivere un quaderno.

L’industria privata non basta a promuoverle, vi provveda dunque il Municipio con incoraggiamenti, con sovvenzioni e mandi dei giovani altrove ad imparare quelle arti che qui non sono abbastanza conosciute.

Ora ci sono liberi tanti conventi che possono diventare altrettanti stabilimenti d’industria e unendo al locale anche una sovvenzione si troverà chi apra una fabbrica di carta, di cristalli, di panni, di cotoni e stabilimenti meccanici, e macchine per lo sgranellamento del cotone ecc. — Ecco la via retta per provvedere a tanta gente che manca di lavoro, che ha perduto l’impiego oche lo cercai — La piaga di Palermo sono gl'impiegati in attività ed in aspettativa, i primi perché non contenti i secondi perché malcontenti. Attivate le industrie cesserà la concorrenza per gl'impieghi, ed allora i primi saranno meglio soddisfatti ed i secondi invece di pitoccare per andar a copiar lettere e tener registri, troveranno miglior conto a farsi produttori e prenderanno la via dell'industria. Con questa sarà provveduto al lavoro per il popolo che ne manca, sarà impiegato un gran numero di donne per le quali manca quasi assolutamente l’esercizio di arti, e molti operai saranno impiegati.

Queste son cose elementari che tutti sanno, e tutti dicono ma perché non si attuano? Perché non si associano dieci o venti negozianti di pannine per stabilire una fabbrica, ora che possono avere senza sagrifizi dei magnifici locali? Perché non si associano fra loro i 45 tipografi per mettere una fabbrica di carta, che tutta deve venir dal continente? Perché infine non si formano società di ogni sorta per le mille fabbricazioni che si potrebbero introdurre?

Questo è un paese vergine per l’industria e tutto vi fiorirebbe a meraviglia, ma senza il buon volere dei cittadini non si svilupperà mai nulla. Qualche incoraggimento può darlo il governo, molto può fare il Municipio, ma se non si sveglia la popolazione non si svolgerà mai la ricchezza pubblica e il popolo rimarrà nella miseria!,

Toccherebbe poi esclusivamente ab governo di raddoppiare le corse dei vapori e render giornaliere le comunicazioni col continente, diminuendo anche per metà il prezzo dei posti di seconda e terza classe.

Moltiplicare i contatti con le altre provincie del regno è ciò che di meglio si possa fare per modificare la natura recalcilramente dei cosi detti Siciliani puri i quali si oppongono ad ogni innovazione, sola perché di origine esotica ed opposta alle loro inveterate abitudini.

La Sicilia é Italiana ma poco conosce i fratelli del continente, con i quali non è ancora famigliarizzala abbastanza. La fusione che fra le varie provincie procede a grandi passi sul continente, con i Siciliani che non escono dall'Isola è appena cominciata.

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Povertà, ignoranza e demoralizzazione sono l’eredità lasciata dai Borboni alla plebe di Palermo; né basta risalire a questo governo poiché anche le altre' dominazioni anteriori, nel loro avvicendarsi, lasciarono tristi memorie e furono una pessima scuola.

Il famoso principio dei despoti— Divide et impera. — Applicato aduna isola non poteva non riuscir mortifero. Infatti la Sicilia fu segregatanon solo dall'Italia ma dal mondo, blandite le velleità municipali, coltivate le gelosie fra provincie, solleticate le ambizioni dei ricchi e dei dotti, alimentati i vizi del popolo, il pauperismo l’ignoranza, la superstizione e quanto altro tendeva a degradarlo. ’

Negare un tale stato dopo i fatti di settembre sarebbe un mentire a noi stessi; dire, che tutto il mondo sia eguale, una vera follia; disperare dall’avvenire, una stoltezza!

Bisogna però cominciare una volta ad applicare i rimedi e questa é opera esclusiva della parte colta e ricca della popolazione, ajutata dal governo.

Palermo è una gran città per il numero degli abitanti, ma gli mancano, l’equilibrio delle fortune e le fonti di ricchezza, senza le quali una città è tanto più misera per quanto è più numerosa la sua popolazione.

Tutte le ex metropoli d'Italia, quale più quale meno sono in tale condizione rispetto a Parigi; ma Palermo rispetto alle altre grandi città d’Italia è in condizioni lacrimevoli! Di che ha da vivere il numerosissimo popolo se non ci sono industrie possibili? — Dite ad un giovane povero, che s’industri sé vuol mangiare, che lavori, che si guadagni il pane! Cosa vi risponderà?... che non sa cosa fare — e giustamente dice, poiché se tentate di enumerargli cento modi di guadagnarsi il pane vi dimostrerà con pratiche ragioni che è quasi impossibile.

Il lavoro che dà Palermo basta ad occupare onestamente appena un quarto della popolazione. Cosa devono fare gli altri tre quarti? Arrabbattarsi di quà e di là e dedicarsi a vivere d’illeciti guadagni, cioè il contrabbando, il giuoco clandestino, la camorra nel commercio e negli affari, l’impostura e la baratteria su tutto quello che gli capita d’innanzi; e non può esser altrimenti per chi non vuol gettarsi in mare o morir di fame.

I cessati lucri per gli avvocati, dopo il discentramento giudiziario, non possono esser la causa di questo stato di cose, poiché vedono tutti che il viver misero, l’eccessiva' frugalità, l’attitudine a profittare di meschini guadagni, l’industria illecita che tiene il posto della onesta, che è impossibile, sono al grado di inveterate abitudini. Anzi tutti i commercianti esteri e viaggiatori sono unanimi nell'attestare che dal 60 in qua il commercio a Palermo è immensamente più ricco, nello stesso tempo che è più diviso. L’aumento di prezzo e la decuplicata facilità di vendere le derrate non può neppure esser causa di miseria. Solo la ricchezza è più divisa, v'è una classe che s’è impoverita come ve ne è un’altra che era povera ed ora non lo è più. Tutto le oscillazioni e gli spostamenti che possono essere accaduti si riferiscono quindi agl'individui e non al paese, che quantunque abbia migliorato da sei anni a questa parte, pure resta in deplorevoli condizioni economiche.

Ma perché in un paese cosi fertile e naturalmente ricco deve esserci tanta miseria, mentre il Veneto tanto sterile e per natura povero, gavazza nelle ricchezze?... Perché c'è l’industria; la colonizzazione delle terre, laboriosa è la popolazione e più divisa é la proprietà. — Non potrebbe accader l'istesso nella provincia di Palermo, quantunque per le vecchie istituzioni la ricchezza sia tutta in poche mani, e un abisso separi la classe ricca dalla povera e poverissima?.

Il salto é grande ma non superiore alle forze umane; tanto più che si può disporre di tutti i beni del più gran proprietario che fosse in Sicilia, la Chiesa, le cui terre date ad enfiteusi formeranno la classe dei piccoli proprietari. — Basta volere e voler seguire la via del possibile e non quella immaginaria ed assurda di aspettar tutti i rimedi dal governo!

Cessione dei beni ecclesiastici, lavori pubblici, istruzione, strade, vapori son tutte belle cose, ma poco valgono se manca il concorso de' cittadini e particolarmente dei ricchi, che si spiega con l’associazione. Questo è il gran segreto e l’unico mezzo per raggiungere lo scopo in breve spazio di tempo, altrimenti il governo può ordinar ponti, case, porti, strade e quanto mai si desideri, senza mai cambiare sostanzialmente le condizioni sociali. Terminati i lavori rimarrà la miseria diminuita di un centigrammo. E poi bastano i lavori pubblici per sopperire ai bisogni di tutte le classi? Le migliaja di famiglie che vestono l’abito del mezzo ceto, possono andare a lavorare o divenir tutti capi maestri? La miseria se é deplorevole nella plebe non lo é meno in tutta la classe, numerosissima nelle grandi città, che non può viver di lavoro manuale e non sa dirigere imprese che spettano ai capi d’arte. A tutta questa gente può ben venire in ajuto l’industria mossa dalle associazioni, e arricchita questa, si avrà la classe che dà vita ad una grande città, aumentando il consumo che alimenta le piccole industrie nel popolo. — L’associazione di capitali renderà proficua la divisione delle terre dei luoghi pii, centuplicando l’agricoltura e la produzione. L’associazione per le manifatture, che mancano quasi assolutamente a Palermo, darà lavoro a migliaja di operai e particolarmente donne per le quali non c’è altra via aperta che quella di incartar gli aranci. L’associazione, per il commercio che è ristretto in poche mani e che é suscettibile d’infinito aumento, avendo un porto e tanti marinai da poter rivaleggiare con Genova, dando cosi pane a migliaja di persone d’ogni classe. Associazione infine per l’istruzione del popolo e per educargli i figli con le amorose cure di cittadini che valgono mille volte più delle scuole ufficiali, alle quali non é possibile che accorra chi non é capace di comprenderne l’importanza.

Tutte queste cose e mille altre non può farle il governo; e se per le altre città d’Italia sono utili, qui sono indispensabili, se si vuol esscr liberi e raggiunger la vera civiltà che renda non più possibili le luttuose scene di settembre e lo stato anormale ed insopportabile della insicurezza pubblica; che è cagionata da disordini sociali e non per colpa del governo nazionale. Un buon questore può ovviare a qualche sconcerto, può alleviare i mali e con la forza impedire il regno dei malandrini, ma questo non può far altro che protrarre all’infinito lo stato precario, d’incertezza, di continuo sistema repressivo, che senza portar rimedio ai mali paralizza il progresso del bene. Si dovrà sempre avere un numero strabocchevole di truppa per dar la caccia ai ladri d’ogni specie e diminuirne sempre il numero col prenderli e portarli alla vicaria? Sarà questo un bel vivere in Sicilia! o non sarebbe meglio impedire che tanti si dassero al mestiere del ladro e tanti altri a quello del manutengolo? Si risponderà che per ora ci vuole l’uno e l'altro sistema e su ciò non v'è dubbio; ma bisogna che davvero ci sia l’uno e l’altro. Il governo farà certo la parte sua tenendo qui una numerosa guarnigione e alimentando per quanto può il lavoro con opere pubbliche, ma bisogna che migliaja di cittadini cessino dal sistema di lagnarsi, piangere e gridare, per darsi a quello di fare fare e fare, pronti a superar tutte le difficoltà e sudare per il popolo e scavare le sorgenti di ricchezza. — Per vincere la miseria a Palermo e necessario che molti battano la strada che ha tenuta Florio, il quale dal nulla con l’industria e l’attività si è fatto non solo tre o quattro volte milionario lui, ma dà pane onorato a centinaja di famiglie. — Chi si dà alla carriera dell’impiego, che qui è al grado di mania, non solo si rende il meno utile alle società ma provvede assai miseramente a se stesso. Cento come Florio bastano a dar la vita rigogliosa e superba ad una provincia. Mille impiegati o pensionati la immiseriscono col dare alla società sette o otto mila figli che non potranno avere ottomila impieghi e saranno perciò altrettanti malcontenti!

A sostegno di quanto ho detto gioverà che trascriva le parole del P. Carmelo Pardi che trovo in un suo aureo articolo inserito nel giornale l’Amico del Popolo (l'autore essendo siciliano non é sospetto). Dopo aver parlato dei mali che affliggono il suo paese esclama— «Tale è lo stato di Palermo. — Quale antitesi dolorosa! Nelle altre città italiane un’invidiabile prosperità d’arti, d’industrie e di commercio, una vita di tutta dolcezza i trionfi della libertà e i miracoli del patrio amore. In questa città posta come a segno della maledizione di Dio, l’inerzia, la miseria, la morte.»

Tutto questo detto assolutamente non è vero, ma relativamente a Palermo è verissimo. Per il continente Italiano Io stato d'invidiabilità è ancora lontano, ma il progresso fa passi giganteschi in tutti i rami. Per Palermo se si cercasse il trionfo della libertà vera e si facessero miracoli di patrio amore, cesserebbe la maledizione di Dio, la quale in altri termini è l’inerzia delle popolazioni, che aspettano la benedizione di Dio invece di procurarsi il benessere con le proprie braccia fe il proprio ingegno nel mondo delle realtà.

Non dico già che si possa d’un colpo cambiar faccia a Palermo; render laboriosi e onesti tante migliaja di mafiosi, avvezzi a viver di rapina, popolare le campagne deserte, ravvivare l’agricoltura, e introdurre le macchine e l’industria manifatturiera ecc. Per tutto questo ci vuol tempo e proceder per gradi; ma il tempo se passa come gli ultimi sei tanni senza creare lo spirito di associazione, servirà a nulla. Questo dovrebbero dire e ripetere i giornali senza mai stancarsi, come lo dicono e ripetono i giornali di Genova, già ricca e slanciata nel commercio in modo da destare l’invidia alle altre città marittime d’Italia! Si rivolgano al paese più che al governo, il quale dovrebbe avere un migliardo di rendita al giorno da spendere in opere pubbliche se dovesse provvedere in dieci anni di tutto quello che è necessario a mezza Italia che ne manca. Si dia un’occhiata alle Calabrie, alla Puglia, alla Basilicata, agli Abbruzzi ecc. e vedano quante centinaja di centri popolosi mancano non solo Ti ponti per passare larghi fiumi e torrenti, ma persino di strade carrereccie! Guardino la Sardegna che manca di tutto, dové non c’è un fiume. arginato e venti o trenta città marciscono per aria contaminata dal miasmi palustre a causa dello impaludamento prodotto dallo straripare di questi fiumi. E quante città d’Italia che già sono in grado di produrre ed esportare mancano di strade e porli? Quante provincie non sono in condizioni venti volte peggiori del circondario di Palermo? Perché il circondario di Palermo che ha le strade e il porto rimane incolto per tre quinte? È causa del governo o dell’inerzia e delle condizioni economiche e sociali della popolazione? Se il contadino del circondario di Palermo preferisce di far l’assassino invece del coltivatore e del colono industrioso, non è perché manchi la strada né il ponte né la ferrovia né il porto, ma perché ama meglio di tener passo col fucile sulla strada, che coltivare la terra, alla quale non lo lega nessun vincolo d’amore perché è un mercenario! I signori comincino a far sagrifizi e dian loro le terre incolte in enfiteusi e vedrete che per lo meno i figli di questi ameranno la terra che nessuno potrà toglier loro, e fatti laboriosi e proprietari, diverranno anche onesti. Fate poi che nessuno protegga più il proprio massaro quando è reo di un delitto e questi cesseranno a poco a poco, finché si potrà andar in campagna senza bisogno di dover aver amici i briganti perché non vi assassinino.

Chi ha gridato tanto contro l’indemaniazione dei beni ecclesiastici, chi sparge fra il popolo che tolti i beni ai frati in Sicilia si morirà di fame, che Iddio punirà quelli i quali compreranno le terre dei luoghi pii, che gl’inglesi compreranno tutto e getteranno l’isola nella,miseria, ed altre simili ridicolaggini, figlie della più profonda ignoranza delle scienze economiche o armi di partito reazionario, vuole il miserabile stato attuale, poiché altrimenti comprenderebbe che la vendita o la cessione per enfiteusi di tante terre dovrà portare al risultato di creare migliaja di proprietari i quali saranno Un vero bene per l’isola, invece di tanta gente che su quelle terre e relative amministrazioni vive di peggio che elemosina!

Cosa è il danno presente di tutti questi parassiti, ai quali pure si può provvedere in qualche altro modo, a paragone dell'immenso vantaggio che ne ridonderà al paese intiero in un prossimo avvenire?

Senza divisione delle terre non é possibile agricoltura e industria individuale. Se con allettamenti non si chiamano in Sicilia tante di quelle braccia che qui mancano e altrove abbondano ed emigrano in America, non si potrà lavorar quanto basti a produrre, non solo per l’aumento di consumo nel paese e redimersi dall’importazione, ma molto meno per una larga esportazione che nutrisca il commercio; se non si attiva il commercio mancherà sempre a Palermo una delle maggiori sorgenti di ricchezza e che qui è tanto più necessaria, in quantoché questa città perla sua ubicazione manca di tante altre sorgenti che hanno Napoli, Firenze, Bologna ecc. perle quali la sola affluenza di forestieri mette in circolazione tanto denaro e alimenta tante industrie! ~ Giacché ho nominati i forestieri gioverà notare che se Palermo presentasse i Vantaggi delle altre città italiane vi accorrerebbero migliaja di famiglie Inglesi e Russe per passarvi l’inverno. Qual ricchezza non sarebbe questa? A Roma si conta che nei mesi d’inverno i forestieri lasciano circa un milione al giorno, che diviso in tutta quella parte della popolazione che vive d’industrie e lavoro basta a supplire colà alla totale mancanza di commercio. Non è dunque un beneficio disprezzabile, oltrediché il contatto con gente di più avanzata civiltà è utile alle classi che l'avvicinano. Ma per ricever forestieri bisogna che ci siano case assai buone, gajezza e moltiplicità di passeggi, teatri e società, insomma la vita del bel mondo, oltre a commestibili scelti e quei latti ed erbaggi e carni che qui mancano solo perché non ve ne è richiesta da parte degli indigeni.

Quando Palermo avrà un mezzo ceto ricco, tutte queste cose non mancheranno e si avrà nell'inverno un popolo di stranieri che per godere del bel cielo e della tiepida stagione verranno a versare anche qui i loro tesori. Né tutto ciò lo dico a caso, poiché è discorso ripetutomi da un Lord inglese che era qui due anni or sono, quando oltre a cinquanta famiglie inglesi doverono ripartire perché non trovarono alloggio; e quelle che rimasero, mi diceva, non torneranno perché ci manca tutto quello di cui i signori non sanno far di meno.

Ci vogliono viaggiatori ricchi per alimentare le arti di lusso che pur provvedono all’esistenza di tante famiglie! Maestri di musica, di pittura, di lingue ecc. ecc. cosa possono guadagnar altrimenti con le miserie dell’aristocrazia indigena che non può gettare in un anno quanto quelli profondono in una settimana! — Una città grande e popolosa come Palermo ha bisogno di queste risorse quando voglia essere orgogliosa di se e stare nel rango che le spetta.

Ad invitare viaggiatori in Sicilia potrebbe anche influire grandemente la curiosità per le scoperte archeologiche che si potrebbero fare attivando gli scavi nelle antiche città distrutte. L’importanza di tali ricchezze è tale da superare l’espettazione ed arricchirebbe la storia di questa terra, che ebbe un primato nell’antica civiltà.

Se s'intraprendessero degli scavi diretti da dotti archeologi, qual nuovo campo non si aprirebbe alla gioventù, quale incitamento non sarebbero a studiare, e quanti esteri non verrebbero ad ammirare i monumenti t artistici che giacciono sotterra!

Una società di dotti e ricchi del paese, con una sovvenzione governativa ed una municipale potrebbe arricchir Palermo di un museo da far, invidia. — Per tutto questo ci vogliono cittadini che amino di vero cuore l il loro paese e conoscano i propri tesori!

Ma la ricchezza di Palermo deve procedere anche dall’essere centro di una vasta provincia, e la mancanza di strade impedisce l'affluenza di tutti i prodotti che prenderebbero questa via, dando l’abbondanza e alimentando il commercio di esportazione.

Esaminiamo quindi la quistione delle strade che già ho detto esser necessario si costruisca,no, e presto, per conto dello stato, almeno per le grandi arterie. — Ci sono in Italia delle provincie che hanno strade in tale proporzione da doversi quasi lagnare dello spreco di terreno, perciò tolto alla coltivazione. — per esempio la Venezia e la Lombardia. —

Chi ha però fatto quelle strade? Si dirà, il governo Austriaco, e non v'è dubbio, ma quando il governo Austriaco ha dato mano a costruir le grandi arterie e le ferrovie? Quando già migliaja di vene solcavano il territorio, e di mano in mano che si costruivano arterie, si moltiplicavano le vene, cioè le strade consorziali, per opera dei cittadini proprietari e coloni. E quando son cominciate le strade che ho chiamate vene? allorché vi fu sangue da immettervi cioè i prodotti di una larga ed industriosa agricoltura. Ricche di sangue le vene il governo non potè trascurare la costruzione delle arterie per raccogliere questo sangue e portarlo al cuore dell’impero.

Si arricchiva cosi il popolo e lo stato e si procurava a quelle popolazioni quel benessere, quella ricchezza di città e quell’ammirevole coltura, che la Sicilia può ben invidiare al Veneto. E dovrebbe imitarla se non vuole che la fertilità della sua terra ed il calore del suo sole siano causa della sua miseria, e miseria che nelle piccole città è ad un grado spaventevole. Un centro di popolazione nel Veneto di mille abitanti ha più benessere e piaceri della vita che non una città di venti o trentamila abitanti in Sicilia, come Canicattì, Alcamo, Caltagirone e tante altre.

Né è a dire che i comuni di Sicilia siano poveri, mentre per esempio il Municipio di Caltagirone paga con le sue rendite tutte le tasse che dovrebbero pagare i cittadini, senza bisogno di imporne alcuna esso stesso. Sarà per mancanza di mezzi,o non piuttosto per mancanza di spirito di progresso se Caltagirone non si apre cento strade all’intorno per giungere fino a Palermo o Messina, con vantaggio proprio e dei comuni che traverserebbe! Oh sarà colpa dello stato se Caltagirone, e comuni di poco minor ricchezza, non comprendono i loro tempi e non sorgono a nuova vita, profittando della libertà di svolgere la loro ricchezza? Dovrà la nazione fare ingenti spese prima a chi è ricco e poi ai poveri comuni di Sardegna ed ai poverissimi di alcune provincie del Napoletano, per i quali non si fa nulla perché non gridano! I Non meritano egualmente le stesse cure tutte le città meridionali? Si può far tutto per tutti e in pochi anni? Si, si farebbe tutto per tutti se nello stesso tempo i cittadini si ajutassero a vicenda, promuovendo vaste associazioni con gl'immensi capitali che rimangono seppelliti, invece di circolare come circolano nell’alta Italia! — Ciò dipende da circostanze eccezionali per i governi che hanno oppresse e mal educate queste popolazioni, ma bisogna pur riconoscere quale è la vera causa dei mali e cercare di rimuoverli invece di aspettar la manna del governo, attraversandogli intanto la strada in tutti i modi. Non nego per questo che il governo sia poco attivo e niente energico! E questo è conseguenza delle stesse cause perché il governo è l’espressione dello stato patologico del paese. I mali son tanti che non si possono curar tutti insieme, non vi son menti capaci di abbracciare la cura generale di questo malato corpo sociale. I rimedi si applicano, ma purtroppo è vero che tendono piuttosto a calmare i dolori di quello che a curar le piaghe. Ora che siam liberi da nemici esteri si potrà pensare un poco più agl'interni malori, ma siam sempre li, che se i cittadini non fanno molto da se stessi non si otterrà nulla di buono né presto. Un sintomo certo che il paese comprenda il proprio compito sarà quello di veder la stampa, meno partigiana e in mano di economisti!... e a questo siamo molto lontani!...

Quando sarà risoluta la questione delle strade sarà per questo che Palermo potrà realmente ritrarne tanto di bene quanto si aspetta? Non nego che una maggior abbondanza di viveri ne farà abbassare i prezzi esagerati, che vi affluirà maggior copia di affari e di gente, ma tutto questo non sarà mai tanto da pareggiare l’epoca in cui Palermo era il centro e l’emporio dell’Isola. Ora le condizioni sono cambiate e il discentramento non si limita alle sole amministrazioni, poiché sono aperte le comunicazioni dirette fra le piccole città dell'isola e il continente. I vapori toccano anche i piccoli porti e le derrate prenderanno la via più breve senza bisogno di accentrarsi a Palermo la quale è nella più infelice ubicazione, posta com'è all’estremo limite.

Il vero vantaggio quindi che può risultare a Palermo sarà dalla propria provincia che è la meno industriosa. Infatti vediamo che due grandi centri di popolazione quali sono Monreale con 16000 abitanti e Bagheria con 8000, unite a Palermo con magnifiche strade e a tanto breve distanza, sono fra le più miserabili e demoralizzate. A che giova la strada a questi due paesi se non vi si è svolta nessuna industria, ed entrando a Monreale sembra di essere in un paese di montagna dei più segregali! Se essendo ad un’ora di distanza da Palermo non si é ancora stabilito un servizio di omnibus che vi ci conduca, non dico con sei o sette corse al giorno ma neppure con una! Cosa sono quei carretti a due ruote, con le molle, e che sembrano destinati a trasportar majali piuttosto che uomini? E quelle luride vetture dové non entrerebbe certamente un galantuomo? Ciò vuol dire che ad un’ora di distanza da Palermo, con un paese cosi popoloso e che da tanto tempo ha una magnifica strada, non ci sono rapporti tali da invogliare un intraprendente a stabilire un corso di omnibus. E certo sarebbe una cattiva speculazione perché non troverebbe alimento mettendo in comunicazione un paese che non produce e non consuma. Qual ricchezza quindi si spera dalle strade che apriranno i rapporti con altre città di questa provincia e che sono nelle condizioni di Monreale? Siamo dunque al caso di Palermo, che cioè bisogna prima d’ogni altro promuovere le industrie e l’agricoltura per buona volontà de' cittadini, giacché quello che può fare il governo è ben poca cosa e porterà i suoi vantaggi contando solo sopra il lento progresso dei tempi.

La Sicilia ha bisogno di essere amata dai suoi figli con vero amore e non con vane declamazioni!

Uno dei lamenti e delle accuse che si fanno al governo è la lentezza con la quale progrediscono le strade ferrate nell'Isola, ma chi è che ne studi le cause e proponga i rimedi atti a rimuovere gli ostacoli per i quali non si sono fin’ora compiute?

Se i lavori ferroviari non progrediscono con celerità in Sicilia ed in Sardegna ciò accade perché mancano le condizioni necessarie al loro sviluppo. — Si dice invece che il governo non le vuole — no... non è vero, questa è una calunnia che manca di senso comune. — Se ci fossero le condizioni necessarie, anzi la metà delle condizioni necessarie, le ferrovie progredirebbero anche a dispetto di quel governo che non le volesse!— Il governo Papale che assolutamente non le ammetteva, perché non credeva cosa da buon cristiano il viaggiar celeremente, avendo poi dovuto cedere alle esigenze dei tempi le concesse: mise pero tali difficoltà all’esecuzione che sembrano incredibili; ma infine le strade ferrate son là belle e compiute, perché v'era la necessità e molte delle condizioni favorevoli al loro sviluppo, oltre a tutte le condizioni per la loro costruzione. Da Roma a Frascati v'è un’ora di ferrovia, e Frascati è città di due o tre mila abitanti. Pure facendo 4 o 5 corse al giorno è accaduto in qualche domenica che non si è potuto partire o dovuto metter due macchine per il gran numero dei vagoni a causa dell'immensa folla che andava per corse di piacere. — Tra Palermo e Bagheria che è città di 8000 abitanti, e anche città di villeggiatura, non è difficile che di domenica parta la locomotiva con venti viaggiatori!

Ho portato l’esempio di Roma perché è la città ove meno fiorisce il commercio capace di alimentare una ferrovia. Cosa sarebbe il confronto con le linee dell’alta Italia?

Quale avvenire presentano le ferrovie in Sicilia? E dico avvenire prossimo perché fra mezzo secolo sarà altra cosa! — Una rete che circolerà sulle coste avrà la concorrenza del mare, dove i trasporti si operano a metà di prezzo. Per la stessa ragione rappresenterà la forza di un uomo monco poiché prenderà alimento da un solo lato, e anche quest'unico braccio sarà paralizzato se non si faranno presto le strade che conducano agli scali della ferrovia. Sicché mancandogli le braccia resterà il tronco al quale il governo dovrà dar da mangiare ed anzi imboccarlo, sarà quindi invece di un tronco di ferrovia una ferrovia-tronco.

Tutto questo non deve distogliere dal farle ma dimostra che la società non può sperare felici risultali, e tali da meritare da parte sua grandi sagrifizi, e la preferenza su altri lavori che presentano uno splendido avvenire. La crisi finanziaria d’Europa poi e il discredito generale che ha colpito sui mercati esteri il credito finanziario Italiano, ha necessariamente battuto maggiormente quelle ferrovie che si presentavano sui detti mercati con un numero immenso di valori di portafoglio e senza speranza di un bello avvenire. Se i capitalisti di Sicilia avessero comprati molli di questi valori, le sue ferrovie avrebbero rinteso meno del discredito finanziario Italiano e forse ora sarebbero compiute.

Questo accade quando manca tanta vitalità nel paese per far da se, e bisogna dipendere da società estere. Nell’interno della Sicilia v'è tanto denaro sepolto da sopperire alle spese di una ferrovia, e si poteva formare una società indigena la quale avrebbe economizzati due terzi delle spese e lasciate in casa propria tante ricchezze.

Invece accade più che l’opposto poiché sono straordinarie le difficoltà che incontra la costruzione, non solo per il clima e la malaria, ma per la stessa insicurezza pubblica, per la deficienza di braccia e la totale mancanza di appaltatori.

Nel tronco che si costruisce sulla linea di Termini son morti quattro ingegneri per febbri intermittenti. I lavoranti continentali poco possono lavorare sotto la cocente sferza del sole, per sei mesi dell'anno. Gl'indigeni non vogliono lavorare, o pretendono stipendi enormi, o non vogliono allontanarsi dal loro paese più di due o tre chilometri. Infine. mancano le braccia, tanto che se ne impiegano oltre ad un migliajo Toscani e Calabresi. Per gli appalti non si presenta un solo del paese, ed infatti il tronco che si costruisce da Termini a Lercara é ora in mano di una società Toscana, ad un Francese e ad un Belga.

Persino vi sono difficoltà per l’esercizio, poiché i briganti hanno tentato di far rovesciare la locomotiva per poi assalire i viaggiatori; e questo caso si é verificato ora presso Ficarazzelli tanto che si è dovuto cambiar orario per evitare il viaggio di notte.

Tutte queste difficoltà son nulla in confronto poi di quella che seguirà dopo compiuti i lavori è messa in attività l’intera linea. Che si fa per preparare alimenti alla ferrovia? Cosa trasporterà? Le derrate non possono avere esito se non si costruiscono strade provinciali e se i municipi non fanno le strade per raggiunger queste; su quali prodotti si conta poi, se non sul sopravanzo di una già meschina agricoltura? Se non si comincia ad incoraggire questa, moltiplicando il bestiame, la coltura del cotone, l’introduzione di nuovi prodotti agricoli ecc. qual vantaggio immediato si spera dalla ferrovia? Quale dei municipi si prepara a profittare di tal beneficio?

Per giustificare quindi l'ansietà con la quale si aspetta il compimento delle strade ferrate bisogna insistere si verso il governo, sorvegliare la condotta della società; ma nello stesso tempo mostrare di comprendere la parte che spetta ai cittadini per accelerarne il conseguimento e poterla alimentare. È certo che molte difficoltà non sono removibili e di queste bisogna tenere calcolo per non accusare inutilmente chi deve superarle ed il governo; molle però dipendono dai municipi e questi bisognerebbe scuoterli dall’inerzia e illuminarli con la stampa.

Per le provincie meridionali che sono nella linea centrale del continente si è superata presto ogni difficoltà perché v'era l’interesse politico e strategico per la nazione intera; altrimenti neppure molte delle provincie napoletane potrebbero avere ancora il beneficio della ferrovia. E poi in sei anni che si lavora non è compiuta la linea... e Pescara ha avuta la ferrovia dopo di Ascoli, Brindisi dopo di Pescara, Messina dopo di Brindisi, Palermo dopo di Messina; questo vuol dire che si é cominciato da dové già v'era una rete in comunicazione con tutta Europa, per progredire fino a Palermo, un passo dopo l’altro, e legarla al rimanente già messo in comunicazione. Ascoli ha aspettato due anni, Pescara quattro, Brindisi cinque, Messina sette, Palermo nove a norma delle distanze e le difficoltà che s’incontrano.

La questione quindi delle ferrovie in Sicilia, che è una delle cause di malcontento, é legata alle condizioni morali economiche e sociali dell’isola, e quelle stesse condizioni delle quali si sono deplorali i tristi effetti negli avvenimenti di settembre. Siccome però le strade ferrate fanno parte, e gran parte, dei rimedi attivi con i quali si devono curare i mali che affliggono quest'isola, dovrebbe il parlamento concedere delle facilitazioni tali da renderne possibile il pronto compimento. — Quando ho parlato di milioni da spendere in favore della Sicilia ho inteso di comprendervi per prima cosa l’apertura di strade e un maggiore impulso alle ferrovie. É tempo oramai di romper gl’indugi e il governo dovrebbe spiegare un poco d'energia facendo quegli sforzi e quei sagrifizi che sono necessari perché nel più breve tempo possibile le linee di Sicilia siano compiute!

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Un male sommo per la Sicilia è la cattiva divisione della ricchezza. Si può dire che in quest’isola non v'è borghesia e la popolazione si divide in ricchi e miserabili. La proprietà non solo è in mano di pochi, ma fra il ricco ed il povero v'è una insuperabile barriera che li separa. Questa come tutti sanno e la principal causa del brigantaggio nelle provincie napolitano e che in fondo é una guerra contro la proprietà. Cosi in Sicilia, dové se il terreno non si presta al vero brigantaggio come negli Abbruzzi, v’è però la malattia stessa sotto diversa forma, che produce gli stessi effetti, e più difficile ne è il rimedio se non si ricorre a provvedimenti radicali.

La vendita o la gabellazione dei terreni tolti alle corporazioni religiose sarà un rimedio eroico, ma agirà lentamente se non vi si aggiunge contemporaneamente la pronta costruzione delle principali strade,l'aumento di braccia e l’operosità dei cittadini.

L’agricoltura in Sicilia é troppo depressa e ristretta da inveterate abitudini, che ne limitano le coltivazioni e queste sono mal condotte per la tendenza ad economizzare le braccia, perché mancano.

Non più che la metà delle terre de' luoghi pii si può sperare che siano coltivate dagl’indigeni, l'altra metà resterà incolta per molti anni, e tutte poi saranno coltivate con sistemi poco produttivi.

A porre rimedio, ripeto, che dovrebbero il Governo ed i municipi favorire l’immigrazione di coloni dalle provincie Italiane ove abbondano le braccia, fino al punto da dover emigrare in America. Queste braccia che sarebbero una ricchezza, invece di perderle, non si potrebbero impiegare alla colonizzazione di tanti feudi tolti ai luoghi pii? Questi sarebbero allora una fonte di ricchezze per la Sicilia, raddoppiando il commercio e versando sui mercati tanti prodotti da permettere che ribassino i prezzi dei generi di prima necessità, che qui sono più elevati di quello che sia nell’alta Italia? Oltrediché il contatto di nuovi agricoltori, con nuovi sistemi, con maggiore abitudine al lavoro, con nuove colture, gioverebbe al rialzamento della umiliata agricoltura.

Qui accade come nella campagna Romana dove cento ettari di terra danno lavoro ad una famiglia o due, mentre nella non molto fertile provincia delle Marche cento ettari danno lavoro e pane a cento famiglie in campagna e ben essere a dieci famiglie di proprietari in città. Cosa non sarebbe poi qui con tanta fertilità di terre e cosi dolce clima! Risoluta la questione della mancanza di braccia l'agricoltura in Sicilia può dare ricchezze inesauribili; ma senza queste e con i vieti pregiudizi progredirà assai lentamente e non in proporzione delle esigenze del paese.

Intanto aumentando il numero dei coloni proprietari e mescolandoli con agricoltori ai quali è ignota la Mafia e il malandrinaggio, si otterrebbe lavoro e moralità, e quindi sicurezza pubblica, assai più presto e più facilmente di quello che con le migliaja di Carabinieri e le colonne mobili di truppa.

Svolgere tali progetti, che non credo abbiano il merito della novità, non è il compito che mi son prefisso e quindi mi contenterò di aventi. accennati per promuoverne la discussione, che nascerà per aver cosi impudentemente stuzzicati ed anche offesi i delicati nervi degli autonomisti. Se i grandi proprietari di Sicilia studiassero i vantaggi che reca il sistema colonico delle Marche, dell’Umbria, della Toscana, del Veneto credo che non esiterebbero ad applicarlo anch’essi. Perché quelle provincie sono intersecate di strade e abbondano d’ogni bene? É opera quella di Governi o di cittadini? Le centomila case coloniche delle Marche e le migliaja di strade consorziali non sono un effetto dell’agricoltura stessa? Se v'è sicurezza pubblica si deve ai carabinieri o non piuttosto all'indole della popolazione la quale legata alla terra con vincolo d’amore, che è frutto della proprietà o semiproprietà, è laboriosa ed amante dell’ordine! — I grandi tenimenti per la grande coltura sono utili quando non sono esclusivi e quando il padrone è un agronomo. Ma qual è quel proprietario di feudi in questa provincia che allevi belle razze di cavalli o grandi bergamine, con prodotti che si avvicinino a quelli dell'alta Italia? Se non v'è questo a che servono i latifondi riservali alla grande coltura? Con tanta terra incolta, fin presso ai grandi centri popolosi, chi può intraprender colture e introdurre nuovi metodi e stabilir tenimenti-modello, con scuole di agricoltura, finché manca la sicurezza e il malandrino domini la campagna? E come può cessare l’insicurezza e il monopolio dei malandrini finché non vi sia agricoltura?

Per uscire da questo circolo non basta affidarsi all’opera del tempo ma ci vogliono radicali ed energici provvedimenti, quali ho brevemente accennati.

E qui ha gran torto il Governo che quantunque persuaso della necessità di favorire l'agricoltura, e volenteroso d’incoraggiarla non ha poi fatto nulla di serio in queste provincie. Non solo si manca quasi totalmente di scuole pratiche ma neppur si è pensato di dotare l’università di un grande orto modello, benché non manchi un dottissimo e pratico professore per dirigerlo, quale é il professor Insenga.

Non basta esser persuasi che l’Italia è un paese eminentemente agricolo e che dalla terra deve ricavare le sue ricchezze, ma bisogna risolvere arditamente tutte le questioni e sciogliere le difficoltà che inceppano l'agricoltura!

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La mancanza di sicurezza pubblica non si risente solo nelle campagne lontane alla città, ma anzi i più famosi ricatti sono stati sempre perpetrati vicino all’abitato. Un sistema di sorveglianza per mezzo di guardie campestri sarebbe desiderabile, ma prima d’ogni altro bisogna renderlo possibile. Finché alla coltivazione di aranci in boschetti vadano congiunti i ricinti murati, non sarà mai possibile di impedire ai malandrini il dominio assoluto della campagna di Palermo. L’arancio stendendo i suoi rami fin presso terra ed oltrepassando insieme l’altezza dei muri, accade che chiunque voglia sottrarsi allo sguardo di chi lo insegna o lo ricerca, possa farlo assai facilmente. Entrata una guardia campestre in un giardino può piegandosi in terra vedere il fuggente, ma quando questo è salito sopra muro non è più visibile, sicché entrato nel secondo giardino può prendere impunemente quella direzione che vuole senza pericolo d'esser raggiunto.

Così si spiega come siansi potuti operare tanti ricatti presso la città senza poter mai scoprire i rei né liberare la vittima; quantunque si siano impiegate numerose truppe.

Far abbattere quindi i muri dei terreni, non destinati ad uso di ville, sarebbe l'unico mezzo per impedire i ricatti, render praticabile la campagna e non sagrificar più soldati, che spesso sono uccisi a tradimento Ira quei muri. In tutto il mondo si usano le siepi e gli steccati per difendere i terreni, e persino un semplice fossetto, come per es. nei paduli coltivati ad ortaglia nelle vicinanze di Napoli; e perché non si potrebbe far altrettanto anche qui?

Metteranno i Palermitani vanità ed orgoglio per i loro giardini ricinti di mura invece di fruttifire siepi?

La mania di clausure che ha seppellito vive tante migliaja di fanciulle, deve aver consigliato il sistema dei recinti murati nella campagna, perché tutte le bellezze della natura fossero nascoste all’uomo! Quante vittime non costano quei muri? Quante impunità hanno fruttato ai malandrini? E se non si può andar a passeggiare in campagna non è forse questa la causa, perché oltre a proteggere i malandrini tolgono la gradevole vista dei campi riducendo le strade a veri fossati?

Le guardie campestri bastano da per tutto a salvare i raccolti dalla rapacia dei ladri, perché non devono bastare qui, dové il quasi unico frutto sono gli aranci, frutto che si ha a tanto basso prezzo da potersene sfamare per un soldo, senza bisogno di andarli a rubare?

Dia l’esempio il Governo abbattendo i muri dei terreni indemaniati, lasciandone solo mezzo metro come limite dei terreni, e piantando intanto il gelso a spalliera, che aumenterà il prodotto delle terre e introdurrà l’industria della seta dové si esercita quella del malandrino.

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La città di Palermo col suo circondario si trova ora in uno stato di depressione e disfiducia da far paura. Non circola più denaro, il commercio è quasi spento, non più affari, ridotte a metà le rendite dei signori, disordinati gl’interessi di mille famiglie o per la insurrezione o per il flagello del colera che imperversò quando più la città aveva bisogno di tranquillità e di ristoro. Infine Palermo è in uno stato deplorevole che reagisce enormemente sul morale, in modo da fomentare nuove ire e preparare un’altra crisi, che il sentimento pubblico ritiene , per inevitabile e non lontana. Per soccorrere a tanti mali bisogna che il governo non si contenti di palliativi, ma instituisca una cura radicale, facendo tutto quello che ai cittadini è mancala la forza di fare finora. L’aver dato impulso ai lavori pubblici è un palliativo dei più utili, ma puro palliativo, precario, e che soddisfa appena un decimo delle esigenze attuali. Il principal soccorso bisogna portarlo alle classi medie le quali hanno perduta la fonte d’ogni loro benessere e non hanno saputo aprirsi un varco sopra un altro terreno, non solo, ma non son capaci di aprirselo in seguito.

Un'efficace rimedio e pronto Io ha già nelle mani il governo, e questo è il demanio. Ridurre i beni ecclesiastici a piccoli lotti e darli presto ad enfiteusi, molto eque, e senza richieder guarentigia, oltre a quella che presta il fondo stesso, è l’unico modo di venir in soccorso a quelli per i quali non è possibile di trovare un’industria. Dopo questo sarebbe necessaria l’istituzione di una banca di prestiti la quale faccia delle anticipazioni sui redditi per agevolare la trasformazione o il miglioramento dei fondi urbani; oltre ad essere una banca agraria per fare altrettanto verso gli enfiteuti di fondi rustici.

Dare i conventi a chi introducesse fabbricazioni e manifatture, con l’ajuto di capitali da parte della banca; queste verrebbero in ajuto del popolo procurando il lavoro. Se v'è paese dové l’introduzione di macchine per manifatture sarebbe facile non solo, ma assai ben accetta, è appunto Palermo. L’economia di forze è quella che in gran parte può risolverei! problema dell’industria in questo paese. Il guajo sta nella mancanza di moralità, ed è questa la gran ragione che adduce chiunque è istigalo ad intraprendere un’industria. Ecco perché bisogna che intervenga il governo con le banche e si disponga per vari anni a fare il sagrifizio di qualche milione guarentendo un tanto per cento sulle perdite che farebbero per le frodi. Il sistema che il governo abbia a guarentire le speculazioni è certamente biasimevole, per tutti i riguardi, ma nel caso della Sicilia è una prepotente necessità.

Palermo è forse l'unica grande città d’Italia alla quale manchino le condizioni necessarie alla vita. Perdurando in questo stato anormale finirà con l’essere una grande spina per la nazione, sicché bisogna che questa le ridoni la vita, venendo in suo soccorso mediante grandi sagrifici.

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Benché abbia detto che il Governo deve, per le eccezionali condizioni del paese, scendere a cure paterne e di famiglia per questo popolo, pure farò quest’ultima apostrofe ai cittadini di Palermo e che può riferirsi a gran parte d’Italia: Persuadiamoci una volta che è stoltezza il voler ripetere tutto dal governo ed in ciò dobbiamo imitare il popolo Inglese che è il più libero perché è il più emancipato dal governo. I popoli che vogliono esser curati come pupilli, sostenuti in ogni atto, diretti in ogni azione e imboccati come bambini, rimarranno sempre bambini!... Lo stato, quando le condizioni sono normali, non può e non deve dare che buone leggi e libere istituzioni... guai se va più oltre! Il resto bisogna procurarselo da se usando delle libertà; ma molti sono i liberali ira noi e pochi sanno essere uomini liberi!

Un popolo che ha libertà di associazione, di stampa, di commercio, di culto, di coscienza, oltre ai diritti inerenti ad uno stato costituzionale, che non ha nulla ad invidiare ad alcun paese, se non sa proceder solo e provvedere a se stesso, per raggiunger un alto grado di civiltà, di benessere e di ricchezza, è un popolo imbelle che si merita la schiavitù; cioè un governo che ne dirigga e ne moderi ogni atto ed ogni movimento.

Abbiamo conquista la libertà e l’unità nazionale ma il vero popolo rimane quello stesso che rendeva possibile la tirannia!... Tocca a noi di far anche questa conquista, educandolo ed istruendolo per redimerlo dalla schiavitù morale.

La libertà fin’ora è tutta a vantaggio de' nemici del paese e del clero n. pervertitore di ogni ordine civile; l’associazione non serve che ai mesta. tori politici ed ai malfattori; la stampa oltrepassa i limiti per servire a passioni sfrenate, invece d’illuminare il governo e dirigere l’opinione pubblica, prendendo a discutere seriamente e scientificamente le (questioni vitali della nazione ed i veri bisogni della provincia. Toccherebbe ai cittadini di associarsi con capitali per sostenere la stampa ~ la quale in Italia non può ancora vivere senza aiuti, perché son pochi quelli che leggono. L’economista, l'avvocato, il finanziere, l’igienista, e quanti altri possono trattare con scienza degl'interessi pubblici, non si dedicheranno alla stampa finché questa non pagherà le loro fatiche.

Cosi per l’istruzione— A che servono le cento scuole a Palermo se dopo sei anni si ha lo spettacolo di una plebe che furibonda va a distruggere non solo s le scuole, ma persino gli asili infantili! Ciò vuol dire che non basta quel che può fare il governo ufficialmente e bisogna che i cittadini conducano per mano i figli del popolo alle scuole e persuadano i padri e le madri del, bene sommo che ne risulterà loro. I sei anni passati sono presso che perduti in fatto a progresso di queste plebi, e sei anni nel nostro secolo sono un’epoca intera. Se già tanto resta a fare alla parte d'Italia più incivilita, per raggiungere la civiltà del popolo alemanno, cosa sarà per la Sicilia le cui plebi son così indietro rispetto all’alta Italia? La gioventù colta e progressista vi pensi e impieghi la sua opera e la sua mente alla redenzione del popolo!

Quando ogni cittadino avrà coltivata la mente ed educato il cuore di dieci popolani, potrà dire di aver compiuto il dovere di buono e libero cittadino; e quando ogni popolano saprà leggere, intendere e scrivere sulla propria porta al posto delle luride effigie,

Cui cchiu la liggi venera

Chist'è liberi! cchiui

La liggi è partu propriu

Dunca obbidemu a nui (1). allora si vedrà sparire il malcontento, l’industria e la ricchezza prenderanno il posto dell'inerzia e della miseria, e il popolo acquisterà la coscienza di se stesso.

In Sicilia più che altrove sarebbe necessario che in ogni strada, in ogni piazza, in ogni borgo si formassero società di giovani colti e di distinte signore, e nelle stesse chiese o cappelle riunissero quanti conoscono della plebe, padri madri e figli, per istruirli, abituarli all'associazione, consigliarli, unirli con legami di mutuo soccorso, ed educare infine con amore quelle povere menti, stuprate dalla superstizione e da una fede corrotta, che le tiene schiave di uno spudorato clero il quale j pei loro cuori ha preso il posto nientemeno che di Dio!..

FINE

NOTE

(1) Il dire che la settimana repubblicanasia stata un effetto del mal governo, è un oltraggio, il peggiore degli oltraggi, che possa avventarsi alla libertà ed al nostro povero paese che ha subito l’orribile attentato. Imperocché, qui non vi fosse un governo geografico fatto a posta per tormentare e mettere alla disperazione le nostre popolazioni. — Gli uomini che governavano il resto del regno qui governavano; il bene e il male, i vantaggi e i pesi, le speranze e le delusioni, tutto noi avemmo comune colla grande famiglia Italiana; anzi a nostro speciale riguardo, l'Italia aveva dovuto sobbarcarsi a dei sagrificì che la storia imparziale non deve tacere. — I debiti comunali della Sicilia, il mutuo forzoso del 1848, erano stati inscritti sul bilancio dello Stato; tutti quasi i licei, i ginnasi, le scuole e gli istituti tecnici, le scuole normali, le magistrali, lungi dal pesare prò ratasui comuni, sulle provincie e sullo Stato, erano stati dichiarati Reali e a peso delle finanze mantenuti; coll’abolizione del macinate senza che lo si supplisse con altro balzello la Sicilia per ben due anni si assise al banchetto d’Italia pagando la metà dello scotto e godendo di tutti i vantaggi; i beni di manomorta, che altrove vendonsi, qui, con incommensurabile beneficio delle popolazioni concedevansi ad enfiteusi ecc. ecc.E questo era tutto bene, valevole a dimostrare la sollecitudine che il governo del Re non mancò mal di avere per l’Isola: però un tal bene non procedeva disgiunto da molto male (Giuseppe Ciotti— 1 casi di Palermo).

(1) La Madonna.

(1) Corrotto il governo, corrotti i suoi agenti, corrotta la pubblica forza per lunghissimo secolo, a poco a poco la turpitudine nelle masse vesti le forme del dovere e della virtù.

La corruzione fu non solo confessata ma esaltata, si trasfuse negli abiti della vita, si scolpi nella lingua, ebbe il suo decalogo

A chi ti toglie il pane e tu togliegli la vita;

Ciò che non ti appartiene né male né bene;

Quando c’è l’uomo morto deve pensarsi al vivo;

La testimonianza è buona finché non noccia al prossimo, ed altro

Adagi di simil conio furono tenuti come dogmi di fede.

Per questo la giustizia e l’autorità si trovarono circondata, ove non foss’altro, da un generale mutismo nel quale si riverì una virtù.

Era ammazzato un individuo? ben gli sta, dicevasi area tolto il pane all'interfettore; né si badava se il pane fosse stato tolto davvero o se era onestamente guadagnato — Fare il contrabbando, rubar in officiò, falsificare una firma, scroccare uno scudo, questo era tutto guadagnarsi il pane. Abbiamo noi stessi udito questa teoria confessata, con raro candore, da vari contrabandisti, da alcuni agenti dell'amministrazione; questo delitto di togliere il pane, le turbe saccheggiatrici del Municipio rimproveravano all’autorità comunale.

Era perseguitato un assassino? tutti gli schiudevano la via allo scampo: il morto era morto e doveva pensarsi al vivo.

Compariva in giustizia un delinguente? non si rivelava nulla imperocché la testimonianza poteva nuocere al prossimo.

Qualche grave caso interveniva? Acqua in becca, che ciò che non ti appartiene né male né bene.

Ecco che cosa è l'Omertà.

Ciotti — I casi di Palermo 6(a) 10.

*Quel servizio militare, lontano da casa, per terra e per mare, sembrava portare grandi pericoli; né questa cura turbò solo loro, ma i loro genitori e parenti. N. del R.

*Per rovesciare il governo preferiscono la libertà, se tentano di rovesciare la libertà stessa. N. del R.

(1) Palermitani!— Vi ho detto nel giorno del mio arrivo che un uomo solo nulla può senza il concorso e l’ajuto di tutti i cittadini. — Il concorso operoso di tutti i cittadini onesti so di averlo e ve ne ringrazio.

Un altro concorso però vi chieggo il concorso della fiducia. Non vi lasciate sviare dalle esagerazioni e dalle false paure. Non vi lasciate intimidire da pochi tristi, o meglio non vi occupate o non date importanza alle ciarle ed ai vanti di questi, confidate nella vigilanza e nella forza del governo e nella sua fermezza nel voler tutelare la pubblica tranquillità.

A questa tranquillità contribuirà soprattutto la calma negli animi, ed è questa che domando ed aspetto da voi con piena confidenza.

Palermo 13 maggio 1805.

Il Prefetto— Gualterio

Questo proclama appoggiato da un buon contingente di truppa, e non reclute, assicurò il concorso della guardia nazionale e la reazione dové tacere perché la plebe non sarebbe insorta innanzi a questo apparato di forze. — Se non v'era tutto questo, oggi possiamo asserire con certezza che la insurrezione sarebbe accaduta allora, ma credo meno veemente perché il clero non era alla disperazione e gli sarebbe bastata la metà di quello che ha fatto nel settembre 1866 per protestare contro la tremenda legge della soppressione.

(1) Né è poi sola la Sicilia ad aver per la prima volta coscrizione perche altri due miglioni e mezzo d’Italiani che erano sotto il giogo Papale non l’avevano mai avuta e ci si sono adattati abbastanza lodevolmente.

(1) Parole del Sindaco nella sua relazione.

(1) Parrini e sinonimo di preti nel dialetto siciliano.

(1) Pare incredibile ma pure è un fatto: queste classi popolari per cui si era fatto tanto, il giorno della rivolta se non combatterono, parteggiarono per chi combatteva; se non uccisero o saccheggiarono, parteggiarono per chi saccheggiava ed uccideva.

Ciò non sarebbe certamente avvenuto se un veleno continuo non si fosse insinuato nelle infime plebi, con diabolica pertinacia, da certe classi più elevate, che sono pertanto la peggior plebe del mondo.

Sei anni di mene reazionarie impunite, sei anni di calunnie, di perfide insinuazioni contro del governo e del Municipio; sei anni di studi per dimostrare che si era peggio di prima, aveano portato il loro frutto. — La mala semenza si e va gittata in terreno proprio a questo genere di produzioni!...

Ciotti— I casi di Palermo pag. 52.

(1) G, Meli.











Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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