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«Il Governo ci regala il vento dell’Africa» dalla illusione garibaldina a Lu Setti-e-menzu (Zenone di Elea - Dic. 2021)

POCHE PAROLE ALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE

PALERMO

STABILIMENTO TIPOGRAFICO DI FRANCESCO LAO

Premiato con diverse Medaglie d'oro, argento e bronzo

viti del Celso, 31

1867

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

POCHE PAROLE ALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE

A bene apprezzare e giudicare gli avvenimenti e le vere cause dello scontento universale in Sicilia e particolarmente in Palermo è mestieri cennare quali erano le condizioni morali e materiali dell’isola prima che al 1860 la rivoluzione fosse venuta a distruggere con la Monarchia Borbonica il governo assoluto e ad impiantare il sistema costituzionale con la Monarchia Sabauda.

Dal 48 al 1860 la Sicilia era cresciuta in ricchezza materiale non quanto avrebbe potuto, per difetto di opere pubbliche e per mancanza di mezzi di comunicazione, ma certo materialmente era ricca ed il corso dei fondi pubblici n’è prova indiretta, ma innegabile. La verità non va mai nascosta se si ama rimediare a’ mali e troncarli alla radice.

La Sicilia adunque prima del 1860 era ricca, pagava pochi e leggeri balzelli, ma ciò non pertanto mai non smetteva di congiurare e di tentare di scuotere quel governo che la privava di libere istituzioni, che non le restituiva la sua costituzione, che la governava con forma assoluta, spesso arbitrariamente e senza alcuna garenzia della libertà individuale.

Questi barbari Siciliani, come taluno stoltamente si piacque chiamarci, questi barbari Siciliani, pagavano lievi imposte, non conoscevano la legge della disponibilità, aveano ricche corporazioni religiose il cui denaro si rinversava principalmente entro le mura di Palermo, governo abbastanza locale, nell’ultimo decennio la più grande sicurezza pubblica, ed intanto? intanto congiuravano, scuotevano e facevano di tempo in tempo tremare il governo borbonico. Maniscalco con tutte le sue misure arbitrarie, con le sue carcerazioni illegali, con le sue deportazioni, con un formidabile corredo di trenta mila bajonette, e di artiglierie fu rovesciato e schiacciato dalla rivoluzione.

Queste sono verità innegabili, storia sincrona di cui sono testimoni tutti coloro che hanno varcato l’età puerile.

A che servirono le misure eccezionali, gli arresti arbitrari, le deportazioni illegali oprate in larga scala dal 48 al 60? Ad inasprire i costumi e gli animi, a demoralizzare sempre pili gli uomini, per modo che sotto questo riguardo al 1860 ci trovammo forse in peggiori condizioni che non eravamo stati al 1848. A che adunque chiedere misure eccezionali, poteri arbitrari, mezzi in somma che furono e saranno sempre le vere cause della demoralizzazione, che hanno reso e renderanno permanenti le congiure e la rivoluzione per rovesciare presto o tardi un governo?

In sette anni sventuratamente il Governo più che la sostanza mutò i nomi: allora ci fu un Rega, un Fardella, un Mistretta e per ultimo un Maniscalco a cui s’inchinarono ed incensarono molti degli attuali liberali mentre noi eravamo raminghi, esuli lontani delle nostre case e da quanto vi ha di più caro nella vita.

Ora sono altri nomi, ma il domicilio de’ cittadini non fu sacro allora, non lo è stato oggi: ma gli arresti si facevano senza mandato del magistrato allora ed oggi. Ma gli nomini marcivano illegalmente nelle prigioni allora e vi marciscono oggi: si deportavano all’isola di Favignana allora c si deportano oggi, si volevano e si vogliono responsabili di un delitto non coloro che lo hanno commesso, ma ben’anco i parenti, i congiunti sino al settimo grado de’ colpevoli e sino de’ soli imputati.

Queste mostruosità si commettevano allora e si commettono oggi, ma vi ha di più. Si parlò ai tempi di Maniscalco della cuffia del silenzio mezzo certamente atroce, barbaro, selvaggio ma non si toglieva la vita senza giudizio, senza difesa, senza sentenza.

Coloro che vi parlano adunque di misure eccezionali, di misure che possono legalizzarsi, ma che saranno sempre contro il dritto, la giustizia, la scienza e l’umanità, sapete che cosa chiedono, e vogliono forse senza neanco saperlo? Lo diremo noi: essi chiedono e vogliono ciò che biasimavano altra volta, e che fu la ragione più forte della rovina del Governo passato, ciò che fu una delle cause precipue degl’infausti avvenimenti di settembre 1866, e costoro intanto si credono uomini d’ordine!

Il questore Pinna ebbe l’ingenuità di dire nella sua famosa relazione stoltamente pubblicata dal Governo nella Gazzetta Officiale del Regno, il questore Pinna disse: il mezzo di arrestare i parenti de’ renitenti di leva ch’era riuscito in altri tempi, ora non ci diede l’utile risultato che ci attendevamo, ed io a questa eloquente ed incredibile confessione, aggiungerò che sono stato assicurato che in un paese del distretto per un solo renitente di leva si ebbero 34 latitanti, numero 'più che sufficiente a formare una numerosa squadra.

È qui è d’uopo avvertire che il municipio certo con le migliori intenzioni del mondo, ma con la maggiore imprudenza e sconsigliatezza volle seguire le orme del governo, e distruggere tutto quanto il popolo amava, volle fare la sua legge di disponibilità, ed abusare de’ suoi poteri arbitrariamente infliggendo smodate e spesso ingiuste multe: in guisa che contribui non poco a spingere la gente minuta alla rivolta.

Cosi nelle fatali giornate di settembre il Sindaco, gli Assessori, gli agenti municipali di ogni specie furono fatti segno del furore popolare: cosi mentre da’ rivoltosi si facevano prigionieri e si trattavano umanamente i soldati e sino i carabinieri, si perseguitava a morte tutto ciò che sentiva di municipio.

Né il 48 né il 1860 ci diedero il miserando spettacolo di vedere attaccato, preso e saccheggiato il palazzo municipale, quest’arca che in tutte le rivoluzioni restò sempre a galla, quest’àncora di salute che si ebbero sempre gli uomini innocui in mezzo all’anarchia.

Questi sono pur troppo fatti innegabili innanzi alla di cui prepotente eloquenza, ogni cavillo ed ogni falsa smentita vien meno. — Taluni oggi vengono a chiedervi le misure eccezionali, le deportazioni, gli esili arbitrari spinti forse senza saperlo involontariamente da bisogno di vendetta pei sofferti oltraggi, e da paura pei corsi pericoli, ma la paura è la più stolta consigliera degli uomini e spesso li rende dementi.

A conchiudere sul doloroso argomento che trattiamo se mi domanderete quale sia il mezzo da me creduto utile ad infrenare tutti i malfattori che non si possono condannare per difetto di prove giuridiche, io risponderò senza esitanza la giustizia e la legalità.

Costoro non possono, né devono temersi da un Governo che ha mezzi legali più che sufficienti ad inutilizzarli, o distruggerli.

Signori, ò tempo ornai che l’arbitrio svanisca, che la legalità e la giustizia esclusivamente imperino.

Sapete quanti anni si contano in Sicilia di misure eccezionali arbitrarie non mai interrotte in fatto, se non in dritto? Quanti ne corrono dal 1815 al 1867, vale a dire più di mezzo secolo!

Sin troppo fino alla nausea si è provato l’iniquo sistema dell’arbitrio e della inlegalità legalizzata o no, poco monta, ed è ornai tempo che si lasci la mala via battuta sinora.

Tornando alle condizioni attuali ed alle cause del mal contento è indispensabile aggiungere che se la ricchezza materiale non bastò nei tempi andati ad impedire le rivoluzioni, molto meno può oggi bastare quella miseria che col sistema di accentramento è piombata sopra l’intera isola ed in particolar modo sopra Palermo, la di cui importanza e grandezza è opera di secoli, nò si distrugge in un giorno.

Non è logico, non è possibile spogliare una popolosa città di tutte le sue importanti istituzioni, gittare tante famiglie sul lastrico, ferire tanti interessi, rendere tanto precarie ed incerte 1’esistenze di tutti e pretendere che questa popolazione debba mostrarsi contenta e far plauso a chi l’immiserisce o rovina.

E questo scontento generale non difficile, né strano a comprendersi costituì la forza dell’inerzia, dell’indifferentismo che forse fu la maggiore che si ebbero le infauste giornate di settembre.

E come pretendere che un impiegato in disponibilità, che un padre di famiglia avesse nel momento del pericolo preso le armi a puntellare un governo che l’avea ridotto all’elemosina, che avea tolto il pane di bocca ai suoi figli?

Come pretendere che gl’impiegati delle corporazioni religiose che una subita e sconsigliata legge ridusse alla miseria, avessero esposto le loro vite per sostenere chi Cavea spogliato di tutto? Chiedere ciò sarebbe volere tutti gli uomini eroi-, ma chi ignora che gli eroi sono tali perchè rari, e sono rari anco ne’ romanzi, e ne’ poemi!

Fu certo gran fatto che cotesti uomini avessero virtù di rimanere semplici spettatori, e che la ragione potesse in loro più del digiuno!

Che si pensi adunque a mutare cammino, ed a restituire a questo paese tutte quelle instituzioni che non vengono in contrasto e che non attentano l’unità della patria.

Taluno ha creduto trovare una bella frase, ma che stringendosi diviene bolla di sapone, dicendo che quelle instituzioni davano a Palermo una vita fittizia che bisognava distruggere: ma che cosa è mai 1’ aumento eh’ ebbe Torino, quello che ha avuto e continua ad avere Firenze? Che cosa è mai la grandezza di Parigi, di Londra e di tutte le capitali d’Europa?

Ditemi queste grandi città sono forse dannate alla sorte del bue grasso, che s’ingrassa appunto per essere mandato al macello?

Sono forse le grandi città condannate a perire perchè condizioni passaggerc, o secolari fanno loro acquistare grandezza, popolosità, importanza maggiore di tutte le altre?

Dovranno un giorno rovinare, e rimanere sepolte sotto le macerie dei grandi edilizi dei superbi tempi che oggi racchiudono? Ma tanta rovina, tanta sciagura è forse sagrifizio inevitabile che chiede l’unità della patria, che domanda il principio della nazionalità?

Per amore di Dio che non si metta avanti idea tanto antinazionale, per amore di Dio che non si discrediti il santo principio dell’unità! esso non chiede, non abbisogna della rovina di alcuno, esso non è di quegl’idoli punici che reclamavano sempre sangue umano. No, è solo lo stolto sistema di accentramento che chiede e che ha fatto la miseria di tutti, e che Dio non voglia, prepara lo sfacelo della nazione!

Riflettete che Napoli conta per lo meno la dodicesima parte della popolazione dell’ ex-reame, che Palermo racchiude la decima parte e forse più della popolazione dell’isola, e cosi mano mano tutte le altre grandi città che hanno formato e formano lo splendore e l’orgoglio d’Italia — Distruggere queste grandi città è lo stesso che decimare la Nazione: danneggiare ogni giorno queste grandi città come si è fatto per sette anni continui,-vale lo stesso che immiserire l’intera Nazione, senza vantaggiare che un solo punto di tutta Italia! Che cosa credete che nella distruzione delle grandi città abbiano guadagnato tutte le altre città minori? Nulla, e trattandosi di Sicilia, di cui ci occupiamo in questo momento, fate una corsa nelle altre città dell’isola, e le troverete misere e scontente più della nostra.

Andate a Messina ed il suo malessere, il suo scontento, s’é possibile, è maggiore di quello di Palermo. Le replicate elezioni di Mazzini hanno certo gran significato e grande eloquenza! — Ma d’altronde come potrebbe accadere diversamente, quando il sagrifizio di Palermo si é compito sull’altare ed a benefizio esclusivo della sola capitale?

Aggiungete che per un’isola situata all’ultima punta d’Italia il mal sistema di accentramento raddoppia la triste conseguenza: ciò ch'è danno in un punto del continente diviene qui rovina.

Le isole hanno bisogni speciali, né possono governarsi come qualunque altra parte del continente: non esse hanno bisogno di essere in gran parte localmente governate. Guardate le miserrime condizioni della Sardegna dopo 19 anni di governo libero, ma accentratore!

Signori della Commissione d’inchiesta, a che dilungarmi ancora sulle cause del malcontento di Palermo, della sua Provincia, dell’isola tutta?

Uomini della vostra intelligenza e del vostro sapere le conoscevano già prima di metter piede nella nostra città, ne sanno ora più di qualunque de’ suoi abitanti.

A che tornare sopra i luttuosi avvenimenti di settembre e sulle cause che li produssero? A che parlare delle foli, delle menzogne, delle calunnie del rapporto officiale del Generale Cadorna offiicialmente pubblicato dalla Gazzetta officiale del Regno d'Italia!

Noi non abbiamo creduto dignitoso ed utile di ribatterlo, di dirne verbo, ed anzi per carità di patria abbiamo voluto tirare un velo sopra gli atroci spettacoli che seguirono lo ristabilimento dell’ordine: avremmo potuto e non abbiamo voluto riprendere la nostra rivincita in faccia all’Europa civile con la differenza che quanto asserì il Cadorna fu smentito da’ fatti, e quanto avremmo detto noi sarebbe stato comprovato da’ fatti, insomma con la differenza che corre tra la luce e le tenebre, tra la verità e la menzogna. Ma a che rincrudelire la piaga che sanguina tuttavia? Lasciamo intera la responsabilità ed il peso a chi forse senza saperlo ci calunniava ed al Ministro che accreditava la menzogna strombettandola a tutta l’Europa come fa il cerretano co’ propri cerotti. Ma le calunnie non rendono barbara una popolazione, come i cerotti non danno la vita a’ morti!

Signori, a conchiudere adunque dirò: legalità in tutto e per tutti: governo locale quanto più si può in Palermo, senza detrimento della facoltà che godono gli attuali Capo-provincia, — mezzi di comunicazione nell’isola, come già. esistono nella massima parte del continente, libertà di produrre e non proibizione di coltivazione.

Il prolungare l’assegno agl’impiegati in disponibilità, raggiungere pochi chilometri di ferrovia, a’ pochissimi esistenti sono atti di giustizia ma non rimedi radicali ai mali che ci travagliano — possono lenire, ma non sanare la piaga.

Coloro che vi gridano misure eccezionali s’ingannano e v’ingannano; coloro che vi dicono continuate l’assegno agl’impiegati in disponibilità, e date da vivere a quelli delle abolite corporazioni religiose, vi chiedono cosa onesta, ma se l’additano come rimedio a’ mali, s’ingannano e v’ingannano: coloro che vi parlano di opere pubbliche, d’industrie, di case di lavoro, vi dicono cose utili, ma che abbisognano di lungo tempo e sviluppo, e quando l’additano come rimedi pronti e radicali, s’illudono e senza saperlo tentano deludervi.

Signori della Commissione d’inchiesta,

Qui non v’è strada di mezzo, o mutare radicalmente sistema o rassegnarsi a spendere, per mantenere con la forza la nostra isola, più di quanto potrete smungerne con le più dure e forti imposte: qui non vi è strada di mezzo o mutare radicalmente sistema o attendersi che la Sicilia divenga sventuratamente l’Irlanda d’Italia!

Palermo, li 31 maggio 1867.







Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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