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«Il Governo ci regala il vento dell’Africa» dalla illusione garibaldina a Lu Setti-e-menzu (Zenone di Elea - Dic. 2021)

IL CHOLERA DI PALERMO

nel 1866

RELAZIONE

DI CORRADO TOMMASI

già Direttore del servizio sanitario municipale

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PRELIMINARIMorti di cholera nel 1866
I. Sopra alcune condizioni del territorio del Comune di PalermoMese di Settembre [DATI CLIMATICI]
II. Invasione e provvedimenti
ANNOTAZIONI
III. Gravità ed estensione della epidemia del 1866

PRELIMINARI

La notizia dello scoppio improvviso del cholera in Alessandria d’Egitto nel 1865 e della successiva e rapida invasione del medesimo in Malta ed in Ancona, commosse grandemente gli animi in Sicilia e specialmente nelle città di Palermo e di Messina, Nessuna città d’Italia aveva conservata delle passate invasioni choleriche una memoria cosi luttuosa come queste due, poiché la prima negli anni 1837 e 1854, e la seconda nell’anno 1854 ebbero decimata la loro popolazione in proporzioni tali da rammentare le pestilenze del medio evo (1). Quindi non é meraviglia se l’agitazione fu cosi grande in tutte le classi della cittadinanza. Le più colte ed intelligenti si preoccuparono della evidenza colla quale questa volta la propagazione del cholera sembrava seguire la legge dei rapporti sociali e commerciali ed invocarono dal governo misure energiche per isolare interamente la Sicilia dai paesi già infetti, e da quelli che si trovavano cogli infetti in diretta comunicazione. Si diceva con ragione che, poiché la posizione isolana del paese permetteva di applicare con speranza di successo le leggi quarantarie, non si doveva trascurare, anche nel dubbio della loro efficacia, l’uso di un espediente forse valevole a preservarlo. La classe dei commercianti, la quale più delle altre avrebbe avuto a soffrire dell'applicazione di queste leggi, si mostrava in questo proposito cosi appassionata come le altre, e le Camere di Commercio di Messina e di Palermo appoggiarono colle loro deliberazioni la domanda di sottoporre a contumacia tutte le provenienze del continente Italiano,, il quale si trovava in libera comunicazione con Ancona, dove allora il cholera infieriva. Nella plebe l’agitazione era anco maggiore, come quella che è sempre più fieramente delle altre classi sociali colpita dalle epidemie, e nella quale vive sempre il sospetto che il cholera sia il prodotto di un veneficio governativo (2). Quest'agitazione popolare si tradusse in Messina in aperte violenze: la plebe non solo impose lo sfratto assoluto dal porto di alcuni bastimenti di provenienza sospetta, ma anco assali ed incendiò l’Ufficio di Sanità Marittima. In Palermo il popolo non trascese ad atti violenti, ma la sospensione degli animi anco qui era tale da tenere in grave sospetto le autorità civili e militari. Perciò il generale Medici, allora Comandante le operazioni militari contro il malandrinaggio e il prefetto Gualterio, instarono presso il governo centrale perché si desse sodisfazione al desiderio del paese, il quale si mostrava ed era pronto al sacrificio dei suoi interessi industriali e commerciali, pur di non lasciare intentato alcun mezzo per preservarsi dal flagello. Agli 11 agosto del 1865 tutte le provenienze da paesi non infetti del continente furono sottoposte ad una contumacia di 7 giorni: quelle da paesi infetti ad una contumacia di 15 giorni, la quale in pratica si trovò poi convertita in assoluto sfratto. Queste misure quarantarie furono applicate con una esattezza che forse in nessun altro paese, anche posto nelle medesime condizioni geografiche, sarebbe stata possibile; poiché alla sorveglianza governativa si aggiunse spontaneamente quella più diffidente e più rigorosa della intera popolazione.

Il Municipio di Palermo intanto, non riposando ciecamente sulla efficacia di queste misure, dava opera a tutti quei provvedimenti che potevansi credere atti a diminuire la diffusione del morbo, qualora fosse penetrato nella città. Il servizio di polizia urbana, già da due anni molto bene organizzato, fu reso più rigoroso e più attivo. Nello stesso tempo fu nominata una Commissione Sanitaria presieduta dal professore Enrico Albanese, alla quale fu dato l’incarico di proporre e fare quanto si credesse utile nell’interesse della città. Questa Commissione siedè dal giugno al novembre, e durante tutto questo tempo spiegò un’operosità grandissima. Compilò e pubblicò un Catechismo igienico popolare, nel quale si trovavano svolte le più sane massime di igiene pubblica e si inculcavano al popolo le migliori pratiche d’igiene privata. Stabili la creazione di Ufficii di soccorso a domicilio e di Spedali succursali, come pure di una lavanderia municipale dove le robe dei cholerici fossero lavate e disinfettate ad esclusione delle lavanderie ordinarie, e preparò un apposito regolamento per questi varii servizii. Provvidde a far ripulire ed imbiancare a spese del Municipio o con allettamento di premii stanziati dal Municipio, le case terreno dove abita il popolo in Palermo, dette in vernacolo catodii. Esercitò un’attiva sorveglianza sulle locande, sui conventi ed altri luoghi di numerosa coabitazione, vegliando specialmente alla manutenzione e disinfezione regolare delle latrine. Comperò una ragguardevole provvista di solfato di ferro e di cloruro di calce, onde avere di che supplire in ogni caso alla possibile insufficienza delle fabbriche locali e del commercio privato. In una parola non lasciò intentato nulla di quanto poteva migliorare le condizioni igieniche della città, insinuare negli animi del popolo le più giuste idee sul proposito del cholera e dei mezzi preservativi e curativi del medesimo, e preparare in anticipazione tutto quanto poteva occorrere al servizio di assistenza pubblica, pel caso in cui la temuta invasione si verificasse (3).

Fortunatamente tutto il 1865 trascorse, senza che in nessuna parte dell’isola di Sicilia apparisse vernn caso di cholera, nemmeno durante la gravissima epidemia che afflisse la vicina Napoli. Agli 8 di gennaio 1866, quando il cholera parve interamente scomparso dal continente italiano, le comunicazioni della Sicilia col rimanente d’Italia tornarono libere. Continuarono però a mantenersi con ogni rigore le contumacie per le provenienze dagli altri paesi tuttora infetti da cholera.

La popolazione andò grado a grado rassicurandosi e persistè in questa sicurezza relativa durante la prima metà dell’anno 1866. Pertanto, appena dopo il principio della guerra si ebbe notizia di alcuni casi di cholera verificatisi nell’alta Italia, l’agitazione ricominciò; non però cosi grave e minacciosa come nell’anno precedente. Al 16 agosto, dopo che Napoli fu di nuovo invasa dal cholera, vennero applicate le medesime misure quarantenarie; cioè lo sfratto per le provenienze di Napoli ed una contumacia di 7 giorni per quelle degli altri porti italiani: il paese rimase tranquillo nella speranza che esse valessero, come nell’anno 1865, a tener lontano dalla Sicilia il morbo asiatico.

Nel frattempo il Municipio aveva ripresa l’opera incominciata nell’anno precedente. Nei primi giorni di luglio fui invitato ad assumere la Direzione del servizio sanitario municipale, in qualità di Membro straordinario della Giunta, ed accettai di buon grado l’onorevole incarico. Trovai che fino dal 1° luglio. L’Assessore di salute pubblica e di polizia urbana, cav. di San Giovanni, aveva istituite delle Commissioni igieniche, composte di un medico, di un delegato municipale e di un’ingegnere; coll’incarico di visitare gli stabilimenti pubblici ed i luoghi di privata proprietà dove molte persone si trovavano in convivenza; di verificare lo stato di quelle abitazioni rapporto alla pulitezza, alla aerazione ed alla costruzione delle latrine; e di praticare e far praticare le riparazioni necessarie in queste ultimo e la loro regolare disinfezione per mezzo della soluzione di solfato di ferro. Io portai il numero dei medici ispettori, che dapprima erano soltanto due, a quattro, ed ognuno di essi fu preposto al servizio di polizia urbana e di salute pubblica di una dello Delegazioni mandamentali allora esistenti. La sorveglianza igienica esercitata da loro si estese alle fabriche, ai magazzini, alle bettole, come pure alla polizia dei vichi e dei cosi detti chiassi o cortili, e allo stato di manutenzione dei condotti neri che traversano in ogni senso la nostra città. Quando poi si ebbe l’avviso che il cholera era di nuovo scoppiato in Napoli, i quattro medici ispettori, continuando sempre il loro servizio igienico, furono riuniti al palazzo Municipale per ivi costituire un Ufficio sanitario centrale. Quest'Ufficio fu provvisto di una farmacia permanente e di una portatile, di abbondanti mezzi di disinfezione, di due infermieri e di due facchini: il servizio fu regolato per modo che al giorno e di notte fossero sempre reperibili un medico, un infermiere e un facchino, onde se qualche caso di cholera si manifestasse nella città, fosse sempre pronto il soccorso, e nello stesso tempo fosse possibile l’immediato isolamento della casa dell’infermo, praticato a seconda di apposite istruzioni. Contemporaneamente fu deliberata la istituzione di sei Ufficii mandamentali di soccorso a domicilio, di quattro Spedaletti succursali e di una Casa di contumacia, colle stesse norme stabilite dalla Commissione sanitaria dell’anno precedente; furono scelti i locali più atti ad ognuna di queste destinazioni, e fu preparato l’elenco del personale per sovvenire prontamente al primo impianto di ognuno di questi Ufficii e stabilimenti.

Cosi ci tenemmo pronti alla eventualità di una invasione cholerica, la quale e per la nostra posizione isolana, e pel rigore delle contumacie esistenti in tutta la costa di Sicilia, e per la scarsezza delle nostre transazioni commerciali speravamo di potere evitare, o almeno di seguire e combattere passo a passo nel suo lento e graduato sviluppo. La sorte della infelice Palermo volle altrimenti. La insurrezione del 16 settembre 1866 sconcertò tutte le preveggenze, ed in cambio di una invasione cholerica lenta, graduata, forse coercibile, qual’era stata fino allora temuta; le procurò una invasione improvvisa e quasi violenta. Prima però che io parli di questa invasione, del modo col quale avvenne e dei provvedimenti usati a combatterla, è necessario che io mi trattenga alquanto sopra alcune condizioni del territorio della Comune e della Città di Palermo, le quali, come vedremo, non furono senza influenza sul progressivo sviluppo del morbo e sulla quantità delle perdite che ci fece subire.


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I. Sopra alcune condizioni del territorio del Comune di Palermo


Palermo giace sull’estremo lembo di una vallata di figura irregolarmente semicircolare, la di cui grande apertura è rivolta a Greco, ove si trova il fronte marittimo della città. Da Tramontana per Occidente a Mezzodi e Levante la valle è limitata dai monti Pellegrino, Gallo, Billemi, Quattro Arie, Boccadifalco, Cuccio, Caputo, Moarta, Falcone, Grifone, Gibilrossa e Catalfano, sul quale ultimo, posto all’estremo orientale del golfo di Palermo, si trovan le rovine della Fenicia Solunto. Tutti questi monti i quali colle loro coste nude e rocciose forman un singolare contrasto colla splendida vegetazione della valle, sono costituiti da calcare grigio del periodo giurassico; in uno di essi, il monte delle Quattro Arie sovrastante alla comune di Baida, abbonda inoltre un calcare magnesiaco, la dolomite. Alla loro base e ad un’altezza variabile il calcareo grigio dei monti Palermitani si trova ricoperto da uno strato di calcare conchiglifero appartenente al pliocene superiore. Questo calcare tenero sotto forma di tufo calcareo (pietra bianca) o di breccia calcarea (pietra dell’Aspera), si stende dalla base dei monti fino alla riva del mare formando tutto il suolo della valle di Palermo. Il di lui piano superiore però è ben lungi dal trovarsi dappertutto allo stesso livello; che anzi presenta in varii punti delle depressioni più o meno estese e profonde le quali accolgono dei conglomerati postpliocenici, o dei trasporti alluvionali, o delle formazioni calcaree d’acqua dolce.

I confini del territorio della Comune di Palermo possono essere rappresentati da una linea la quale partendo dalla città, segue la costa settentrionale. del Golfo di Palermo, le spiagge di Mondello e di Sferracavallo, e dirigendosi poi a mezzodì, rasenti la base dei monti di Billemi e di Boccadifalco, tagli perpendicolarmente la strada che da Palermo va a Monreale, al di sopra del villaggio di Mezzomonreale; traversi il fiume Oreto, corra lungo le falde dei monti Grifone e Gibilrossa, si prolunghi fino alla riva del mare nella direzione di NordEst, e da questo punto si riconduca alla città lungo la costa meridionale del Golfo. Nello spazio cosi circoscritto il quale misura 149 chilometri quadrati, si trovano la città di Palermo e gli otto comuni ad essa riuniti; cioè, procedendo dal Nord al Sud, 1° Tommaso Natale e Sferracavallo, 2° Monde. lo e Pallavicino, 3° Resuttana, 4° Boccadifalco e Baida, 5° Zisa, 6° Mezzomonreale, 7° Falsomiele e Grazia, 8 Brancaccio.

I primi tre comuni occupano tutta la pianura situata al Nord e Nord-Ovest della città, e conosciuta col nome di Contrada dei Colli. Il livello di questa pianura è dappertutto d’assai superiore a quello del mare; presenta la sua maggiore elevatezza alla villa reale della Favorita, dove si solleva fino a 33 e 34 metri sul livello marittimo; di là discende fino a questo livello mediante due dolci ed uniformi inclinazioni, delle quali l’una da mezzogiorno a tramontana termina alla spiaggia di Mondello, l’altra da tramontana a mezzogiorno conduce alla spiaggia della Vicaria, in vicinanza della città. Il sotto suolo della pianura, tutto di tufo calcare, è ricoperto da uno strato di suolo arabile formato sul posto per decomposizione della roccia, il quale presenta una profondità minima di 10 centimetri ed una massima di 40 centimetri. Questo terreno vegetabile conserva la composizione fondamentale della roccia sottostante: ricco di sali calcarei e di ossido di ferro, scarseggia di argilla. È generalmente asciutto e nella calda stagione quasi arido; non solo, perché in tutta la pianura dei Colli mancano corsi d’acqua irrigui, ma anco perché l’infiltramento delle acque piovane e di quelle procurate dai bindoli nella roccia sottostante è quasi nullo, e quindi il sotto suolo non può fornire umidità al sottile strato di suolo arabile disseccato dall’azione dei raggi solari. Soltanto la spiaggia di Mondello fa eccezione a questa generale costituzione del suolo della contrada dei Colli, perché quivi il piano superiore della roccia calcarea ha un livello molto inferiore a quello del mare ed è ricoperta per una estensione di 47 ettari da una antica torbiera che forma il palude di Mondello; tutti i casali ed i villaggi dei Colli sono costruiti direttamente sulla roccia calcarea. Perciò le abitazioni sono asciutte, e sebbene lascino molto a desiderare sotto il rapporto della pulitezza, hanno però il vantaggio di riposare sopra un suolo poco permeabile non impregnato di sostanze organiche in decomposizione, il quale si interpone con strati della grossezza di 12 a 30 metri fra esse e il vasto lago d’acqua potabile che si stende al di sotto di tutta la pianura dei Colli, e mantiene esattamente il livello dell’acqua del mare (4).

Il territorio del comune di Brancaccio situato al Sud e Sud-Est della città si presenta in condizioni affatto opposte a quelle offerte dalla pianura dei Colli. Questo territorio forma la parte più depressa dell’agro Palermitano, ed in molta parte della sua estensione il piano superiore della roccia calcarea pliocenica si trova ad un livello inferiore a quello del mare. Essa è ricoperta da estesi banchi di una formazione palustre post-pliocenica d’acqua dolce; cioè da uno strato di calcare marnoso contenente conchiglie d’acqua dolce, più poroso e permeabile e più ricco di argilla del tufo calcare sottostante. Non dappertutto si trovano banchi di calcare marnoso, poiché là dove il livello del tufo calcare è più elevato, il calcare marnoso difetta. All’uno ed all’altro poi è sovrapposto uno strato di terreno di trasporto alluvionale, ricco d’argilla e di detrituo di materie organiche, acquitrinoso, permeabilissimo. Questo terreno costituisce il suolo arabile di tutta la comune di Brancaccio, e presenta una profondità che varia da 80 centimetri a 2 metri. I casali e i villaggi della comune sono costruiti o direttamente sul calcare marnoso (come p. e. il villaggio detto Sette Cannoli) o sopra il terreno argilloso che ricuopre cosi il calcare marnoso come il tufo calcare. Le abitazioni perciò posano sopra un terreno costantemente umido, molto permeabile, facile ad impregnarsi di sostanze organiche, e facile inoltre a risentire in modo squisito gli effetti delle variazioni di livello dell’acqua sotterranea, o acqua del fondo che voglia dirsi. Infatti è da considerare che il piano del territorio di questa comune si solleva di ben poco al disopra del livello del mare e che, per conseguenza, lo strato del terreno che si interpone fra le abitazioni e l’acqua sotterranea, oltre all’essere molto permeabile, è ancora molto sottile, poiché il livello di quest’ultima è quello medesimo delle acque del mare.

I territorii delle altre quattro comuni riunite di Palermo presentano maggiori varietà nella costituzione del loro suolo. In quella di Falsomiele e Grazia, posta al Sud della città, il villaggio di Grazia, costruito alle falde del monte Grifone, posa sopra la roccia ed i terreni a lui circostanti sono tutti formati sul posto. Il villaggio di Falsomiele invece è costruito su terreni alluvionali, argillosi, i quali divengono tanto più profondi, quanto più ci si avvicina alla riva sinistra del fiume Oreto. Lo stesso si dica della comune di Mezzomonreale, posta al Sud-Ovest di Palermo, nella quale la parte che avvicina le falde di monte Caputo offre terreni arabili formati sul posto per decomposizione del tufo calcareo sottostante; mentre nella parte che guarda la sponda destra dell’Oreto e dove il suolo si avvalla nella direzione della Grazia e di contrada Molara, il tufo calcareo si trova ricoperto da terreni alluvionali, eminentemente argillosi, molto profondi. Nella comune di Baida, Boccadifalco costruito sulla montagna di questo nome, posa sopra la roccia di calcareo grigio ed i terreni arabili adiacenti sono terreni formati sul posto, scarsi d’argilla e poco profondi. Altarello di Baida invece, che si trova nella pianura sottostante, posa in parte sopra il tufo calcareo, e sopra terreni arabili formati sul posto, in parte sopra terreni alluvionali argillosi, molto profondi e forniti di abbondante irrigazione. Finalmente nella comune di Zisa predominano i terreni alluvionali argillosi, spesso molto profondi, e riccamente irrigati. Alcune parti della comune riposano però direttamente sul tufo calcare, come p. e. il villaggio di Denisinni.

La città di Palermo si trova amministrativamente divisa in sei mandamenti. Quattro di questi, quasi uguali fra loro per estensione e per popolazione occupano lo spazio rettangolare della città murata. Degli altri due,l’uno che porta il nome di Mandamento Orto Botanico si stende su tutto il territorio che dal lato meridionale della città và fino alla riva sinistra del fiume Oreto; il secondo, che ha il nome di Mandamento Molo, comprende l’attuale porto di Palermo, ed il territorio situato al lato settentrionale della città, sino al confine delle comuni dei Colli. Quest’ultimo è rappresentato quasi nella sua totalità, nella seconda delle carte topografiche che accompagnano il presente scritto; mentre del primo si vede soltanto quella porzione che costeggia il lato meridionale della città murata. Ad ognuno di questi due mandamenti esterni è annessa una metà dei sobborghi che si trovano ad occidente della città e che giungono lungo la strada di Monreale fino alla comune di Mezzomonreale.

Il territorio dei sei mandamenti della città occupa una superficie di 25 chilometri quadrati, ed è abitato da una popolazione di 167,625 individui, giusta il censimento del 1861 (5).

Il suolo sul quale è costruita la città presenta un declivio molto uniforme nella direzione di Sud-Ovest a Nord-Est, cioè dal lato che guarda Monreale fine al mare.

La uniformità di questo pendio viene interrotta da due grandi escavazioni le quali partendo, l’una dalla porta di Castro, l’altra dal Papireto (V. la seconda carta topografica) discendono verso il mare in una direzione sensibilmente parallela a quella della via Toledo o Cassavo, e si ricongiungono all’altezza della via Pannievi, per formar poi riunito una unica depressione fino alla Cala.

Il tracciato bleu che si trova sul lato destro della carta riproduce esattamente i limiti di una di queste escavazioni; quello del lato sinistro giunge solo alla metà dell’altra per le ragioni che or ora dirò.

È noto che Palermo deve il suo nome di origine greca (Panovmos tutto porto) a due grandi seni di mare che si addentravano nel territorio occupato attualmente dalla città murata, precisamente come avviene alla Valletta nell'isola di Malta (V. la prima carta topografica). Questi due seni dividevano la città in tre parti — una mediana che aveva la forma di un promontorio triangolare — e due laterali che si trovavano in connessione continua col rimanente delle sponde del golfo. Sul promontorio mediano era costruita la vecchia città, dai Greci chiamata Palepoli e che dagli Arabi fu detta ElKassar (il palazzo — il castello), nome che il popolo ha conservato alla strada principale della città. Sulle rive laterali furono costruiti i sobborghi, fra i quali primeggiava dal lato meridionale la Neapoli di Polibio, che gli Arabi posteriori chiamarono Khalessah (la squisita — l’eccellente) e che adesso corrottamente chiamasi Kalsa e Kausa; e del lato settentrionale il quartiere detto dagli Arabi di Sacalibah o degli Schiavoni, dove era il porto marittimo. Prendendo a guida le memorie storiche delle epoche Araba e Normanna il Maringo costruì nel 1614 una pianta topografica dell’antica Palermo, dalla quale sembrano essere state ricavate alcune copie ad olio, di cui una si conserva ancora nel palazzo del Municipio di Palermo. In questa si vedono i due seni marittimi sorpassare i confini delle mura occidentali della città, sui lati del Palazzo Reale, e al di là di quei confini accogliere ciascuno lo sbocco di un fiumiciattolo: la Cannizzara (Hainnazr degli Arabi) a sinistra e l’Annisinni o Denisinni (Ain-abi-Saidin o Ain-Saidin degli Arabi) a destra. Piuttosto ché riprodurre cotesta pianta che si trova nel Palazzo del Municipio ho stimato meglio ripubblicare, con alcune lievi modificazioni, quella dell’Abate Morso, sebbene il tracciato di essa corrisponda ad un’epoca posteriore a quello della. prima; cioè all'epoca nella quale era molto diminuita l’estensione del seno marittimo meridionale, ov’era l’Arsenale degli Emiri e dei primi re Normanni. E ciò perché mentre la prima è un grossolano abbozzo nel quale non è possibile rintracciare punti di ritrovo ben determinati, la seconda è fatta con quella esattezza che si poteva maggiore colle nozioni che si avevano nel 1827 quando il Morso la compose e, quel che è più, corrisponde assai bene alle descrizioni originali arabe di Palermo pubblicate da Michele Amari nel 1845 e 1846 (6).

Il tracciato bleu che si trova sulla carta topografica dell’attuale Palermo rappresenta le parti della città che fino alla seconda metà del secolo XII erano ancora occupate dal mare. In tutto questo spazio, come pure in quel tratto della città che si estende dalla Salila dei Benfratelli fino alla Porta di Castro, e al di là nella Fossa della Garofala, il suolo è formato da terreni di trasporto alluvionale e, per la massima parte, da fanghiglia (7). È da osservare inoltre che anche nelle parti più declivi e più prossime al mare del Mandamento Molo si trovano terreni alluvionali prodottisi in epoca anteriore al periodo storico sopra citato. Nel Mandamento Orto Botanico poi, in tutto il tratto che si estende da Porta S. Antonino fino al more da un lato, e fino all’Oreto dall’altro, si trova un terreno formato in totalità o da trasporti alluvionali o da macerie.

All’infuori delle parti fin qui descritte tutta la città è costruita erettamente sul tufo calcareo del pliocene superiore, che già abbiamo visto costituire il sotto suolo della valle Palermitana. Fra le porzioni della città costruite sulla roccia e quelle fabbricate sopra le fanghiglie e i terreni alluvionali si osservano notevoli differenze E livello; poiché le prime sono molto più elevate delle seconde. Talvolta queste differenze E livello sono abrupte, come p. e. nei vichi adiacenti alla strada n. 10 (via dei Carri) nel Mandamento Monte di Pietà; per lo più si trovano attenuate da trasporti artificiali di macerie coi quali vengono connesse, per mezzo di inclinazioni dolci ed uniformi, le parti più elevate e rocciose alle parti più basse ed alluvionali della città (8).

Le case di Palermo mancano tutte indistintamente di cantine, ond'è che i loro piani terreni posano direttamente sul suolo, e di qualunque natura esso sia. In questi piani terreni alloggia il popolo minuto e la massima parte degli artigiani: essi sono divisi in stanze anguste, oscure, per lo più senza possibile ventilazione, perché hanno un’unica apertura — la porta; il loro pavimento è spesso formato dal suolo allo stato naturale senza mattonato di sorta, e si trova ad un livello uguale o inferiore a quello del piano stradale. In ognuna di queste stanze, o per meglio dire caverne, che in vernacolo sono dette catodi, alberga una intera famiglia; in un canto di esse vi è il cesso in libera comunicazione coll’aria dell’ambiente. Non ha guari, prima delle attuali rigorose disposizioni di polizia urbana, era assai frequente incontrarvi porci e capre in comune consorzio cogli uomini, quasi che questi non trovassero le loro abitazioni abbastanza luride ed infelici. È facile immaginare come le condizioni igieniche di questi tugurii siano tanto più deplorabili quanto più umido e permeabile è il suolo ad essi sottostante, e quanto più basso il livello di esso; quanto più stretti e meno ventilati i vichi ed i chiassi o cortili ove sono fabbricati, e perciò quanto più difficile anche quell’incompleto rinnuovamento dell’ambiente che può aver luogo per mezzo della porta (9).

I cessi dei catodii hanno comuni i loro sbocchi con quelli dei piani sovrastanti delle case. Gli uni e gli altri mancano di valvule e generalmente anche di coperchio; per cui gli effluvii che ne emanano si spargono liberamente negli ambienti delle abitazioni. Per accogliere gli escrementi e le acque sporche delle case esistono in Palermo due sistemi diversi, tutti due in alto grado nocivi alla pubblica salute.

In una buona metà della superficie di Palermo gli espurghi delle case sono riuniti in fosse più o meno irregolari, scavate nel terreno sottostante e volgarmente dette campane. Queste fosse corrispondono esattamente a quelle che in Toscana sono chiamate bottini a smaltitoio. in esse le materie perdono gradatamente la parte liquida che si infiltra senza ostacolo nel terreno circostante; mentre entro di loro rimane la parte solida, cosi diminuita di volume da permettere spesso di lasciar correre molti anni prima di vuotarle. Intanto è facile concepire come l’infiltramento della parte liquida delle materie raccolte nelle campane, avvenga con maggiore rapidità ed estensione dove queste fosse sono scavate nelle fanghiglie e nei terreni alluvionali della città, di quello che dove esse sono scavate nel tufo calcare. Nel rimanente della superficie di Palermo gli espurghi delle case vengono accolti, insieme colle acque piovane, in un sistema di condotti il quale immette con undici grandi sbocchi nel mare. La sezione di questi condotti è generalmente rettangolare: essi sono costruiti con pezzi di breccia calcarea (pietra dell’Aspera) malamente cementati fra loro con calce ordinaria. Sono perciò assai permeabili, e quindi le materie in essi raccolte vanno perdendo molto della loro parte liquida; cosicché nei punti più declivi della città ristagnano facilmente, e tanto più facilmente in quanto che in alcune stagioni dell’anno la pioggia è rarissima in Palermo e spesso, come p. e. nel 1866, si hanno molti mesi consecutivi di assoluta siccità. Il ristagno delle materie entro i condotti diviene completo quando la marea è molto alta, e quando soffia il vento di NordEst, perché allora il mare occlude interamente gli undici grandi sbocchi di questo sistema di condotti aeri e le case si riempiono di pestilenziali esalazioni, specialmente nella parte più bassa della città.

Ad aggravare queste, già abbastanza infelici, condizioni igieniche della città e specialmente di quelle parti della medesima che riposano sopra terreni alluvionali o sopra fanghiglia, si aggiunge il modo col quale vien fatta la distribuzione delle acque potabili. Queste, provenienti in grandissima quantità dai monti circonvicini, sono condotte alle case per mezzo di tubi d’argilla assai porosi, i quali traversano in ogni senso il suolo della città e spesso corrono in grande prossimità delle pareti dei condotti neri e delle campane. Essi si trovano perciò circondati da un terreno impregnato da gran copia di sostanze organiche in decomposizione, le quali possono con molta facilità penetrare a traverso le loro pareti porose e disciogliersi nell'acqua corrente che vi è contenuta (10).


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II. Invasione e provvedimenti

Fino al giorno 16 settembre 1866, nel quale scoppiò la insurrezione di Palermo, nessun caso di cholera si era manifestato in tutta la estensione dell’isola di Sicilia, sebbene da un mese il cholera infierisse nella vicina Napoli. Tutte le coste dell’isola erano severamente guardate, e le leggi quarantenarie applicate con ogni rigore, poiché nel 1866 come nel 1865 la passione popolare coadiuvava e nello stesso tempo controllava la sorveglianza dell'amministrazione governativa (11). Che anzi l’esecuzione di quelle leggi fu cosi scrupolosa da riuscire non ultima fra le cause dell'insurrezione, perché trattenne il governo dallo spedire in tempo utile un rinforzo di truppa, la di cui presenza avrebbe forse impedito che si osasse consumare l’indegno attentato. In quel giorno nefasto, quando vedemmo la scarsa guarnigione, malamente diretta da due sciagurati Generali, chiarirsi impotente a spegnere la rivolta, ci ritraemmo vergognosi dall’onta subita e crucciati dal pensiero che la venuta tumultuosa, e ormai necessaria, di molta truppa dal continente, avrebbe condotto il cholera fra noi.

Pur troppo il triste presentimento doveva avverarsi. La mattina del 18 settembre entrava nel porto di Palermo il Tancredi, trasportando da Napoli i quinti battaglioni del 51° e del 19° Reggimento di fanteria che già da qualche tempo avevano stanza in quella città. Lo stessi giorno furono attaccati da cholera un capitano e tre soldati del 51°, i quali furono trasportati e curati al Lazzaretto civile, convertito provvisoriamente in ospedale. Nei giorni successivi si ammalarono non solo altri soldati del 51° e del 19° ed alcuni soldati appartenenti a nuove truppe sopravvenute, ma ancora alcuni individui di famiglie ricoverate al Castelluccio (v. la seconda carta topografica) o abitanti nella strada dell’Acquasanta, al Molo. Quando il 22 settembre furono ristabilite le comunicazioni fra la città ed il Molo, erano già stati ricoverati nel Lazzaretto, fra militari e civili, ventiquattro ammalati di cholera.

Si cercò subito di provvedere con quanta maggior sollecitudine si potè, in mezzo alla confusione che ognuno può immaginare. Il Generale Cadorna inviato qual Commissario Regio in Sicilia, prima ancora di scendere a terra, fece rimbarcare per Napoli due battaglioni recentemente arrivati da quella città, nei quali si era verificato qualche caso di cholera. Fu posto un cordone militare intorno al Lazzaretto, furono isolate le case della strada dell’Acquasanta dove erano occorsi casi di cholera, e fu evacuato, disinfettato e chiuso il Castelluccio. Dal canto suo il Generale Angioletti, nuovo comandante della Divisione territoriale, provvedeva per quanto si poteva farlo nel trambusto,della vittoria, a che le truppe non fossero troppo accumulate nei conventi ov’erano alloggiate; tanto più che anche in quelle provenienti da Livorno e restate per due giorni accampate al Molo insieme colle altre venute da Napoli, si erano già verificati alcuni casi di cholera, specialmente nel 53° fanteria, della valorosa brigata di Masi. Al Municipio l’Assessore Cav. di S. Giovanni ricostituiva nello stesso giorno l’Ufficio Sanitario e procedeva alle nomine dei sei Direttori degli Ufficii di soccorso a domicilio: l’indomani 23 settembre, la Giunta mi delegava i più ampii poteri per ordinare ed eseguire quanto si riputasse utile nelle presenti contingenze.

Nello stesso giorno 23 settembre ebbi avviso di tre casi di cholera manifestatisi nella popolazione civile e succeduti da morte. Il primo nella casa Perez, posta in via porta di Castro, in un bambino di mesi venti, appartenente ad una famiglia la quale durante l’insurrezione si era rifugiata nel locale del Castelluccio al Molo, ed era rientrata in città la sera innanzi. Gli altri due nel cortile Cruillas, posto nella contrada dei Petrazzi, (Comune di Besuttana) in casa di un tal Camello, il di cui figlio maggiore, Antonino, soldato nel 19° fanteria e già ricoverato nel Lazzaretto, ne era fuggito per ricondursi alla casa paterna. Visse in essa due giorni, durante i quali si ammalò di cholera un suo fratello di sei anni: i due fratelli morirono nella notte del 22 al 23 settembre. Feci isolare ambidue le case, disinfettare le biancherie e le latrine con ogni cura, in specie quelle della famiglia Caravella nella quale si era già ammalato e mori poi di cholera un terzo fratello, che fu l’ultimo. L’isolamento fu rigoroso e fu continuato in ognuna delle due località per dieci giorni, poi tolto. È notevole il fatto che nella contrada dei Petrazzi il cholera scomparve del tutto dopo quei tre primi casi della famiglia Caravello, e vi ricomparve soltanto un mese più tardi, quando ormai il morbo si era diffuso in tutta la contrada dei Colli.

Intanto continuarono a manifestarsi alcuni pochi casi di cholera nel gruppo di case che si trova sulla strada dell'Acquasanta e specialmente nel Chiasso Pipitone e nel vico Lo Casto. Il giorno 30 di settembre se ne verificò un primo caso nello stradone del Borgo e precisamente nella strada del Collegio di S. Maria, e il 3 di ottobre un secondo nella via Requiseus, al Borgo. Mantenni gli isolamenti dappertutto, nel solo intento di rassicurare gli animi concitati della popolazione e sebbene vedessi prossima la fine di questo sistema, perché il cholera andava sempre più diffondendosi nelle truppe che erano di guarnigione nella città ed in quelle distaccate nei Comuni circonvicini. Infatti il numero dei cholerosi militari cresceva per modo, che i medici militari si videro costretti sul finire di settembre ad abbandonare l’insufficiente locale del Lazzaretto, ed a stabilire un nuovo e più vasto spedale nella villa Airoldi, a poca distanza della città.

Soltanto ai 4 di ottobre incominciarono a manifestarsi casi di cholera nella popolazione civile della città murata. Il primo caso (fatta astrazione da quello del 23 settembre in via Porta di Castro, perché in persona proveniente dal Castelluccio), si verificò in un bambino di cinque anni di nome Francesco Parisi abitante in via Bara (Mandamento Castellammare). La famiglia aspettò ad avvisare l’Ufficio di soccorso che il bambino fosse morto, poi faggi dalla casa e andò a ricoverarsi nella casa Befrancisci in via Ruggiero Mastrangelo (Mandamento Tribunali), dove nello stesso giorno si ammalò di cholera e mori un altro bambino, Antonino Parisi. Entro città non volli continuare gli isolamenti; prima di tutto perché sarebbero stati ridicoli, mentre la truppa nella quale il cholera infieriva sempre più conservava la sua libertà di movimenti, e in secondo luogo perché sarebbero riusciti dispendiosissimi ed illusorii. Mi contentai di far disinfettare e chiudere le case e di far trasportare la famiglia Parisi alla villa Palagonia a Mezzomorreale, dove io aveva disposta una casa di contumacia. Cosi pure praticai nei giorni successivi: finché agli 11 di ottobre, moltiplicandosi i casi in tutto il territorio della Comune, e riuscendo ormai a tutti evidente la impossibilità di infrenare con misure di isolamento la diffusione del cholera, mentre in città e nelle Comuni riunite avevamo tanti focolai d’infezione rappresentati dalla truppa; tolsi i sequestri e chiusi la casa di contumacia.

Nel frattempo io aveva già ordinati tutti i servizii medici come pure quello di polizia urbana ed il servizio funerario. Fino dal giorno 23 settembre l’Ufficio centrale aveva ricominciato a funzionare e faceva tutt’uno colla Direzione centrale sanitaria. Il locale di questo Ufficio avea subita durante l’insurrezione la stessa sorte del rimanente del Palazzo Municipale; tutto quanto vi si trovava era stato derubato o distrutto, per cui bisognò cominciare dal rifar tutto da capo, inclusive le due farmacie, permanente e portatile, delle quali non si trovava più traccia. Lasciai quest’ufficio centrale costituito qual era prima dell’insurrezione. Soltanto, per le esigenze del nuovo servizio, vi aggiunsi Un economo ed un Segretario, e più tardi, quando il lavoro divenne troppo ingente, un sottosegretario. Il personale medico di questo Ufficio fu molto operoso durante i primi giorni dell’invasione, quando si trattava di provvedere ai casi isolati che si manifestavano nella città e nei dintorni, e quando al pubblico non erano abbastanza note le sedi degli Ufficii di soccorso mandamentali, e la creazione delle Condotte nei Comuni riuniti. Più tardi la di lui operosità decrebbe in ragione dell’annientata attività degli altri Istituti; ma ritornò in pieno vigore quando, in proporzione colla diminuzione dell’epidemia, si fece la graduata soppressione degli Ufficii mandamentali di soccorso. Dal giorno 22 settembre al giorno 31 ottobre il servizio diurno e notturno non cessò mai in questo Ufficio centrale, il quale, durante il periodo della sua minore attività nel fatto dell’assistenza medica, provvide sempre alacramente alla sorveglianza igienica della città, e alla direzione dei lavori di polizia urbana, stimati utili nell’interesse della pubblica salute.

Il giorno 25 settembre erano già impiantati sei Ufficii di soccorso a domicilio in altrettante scuole comunali di ognuno dei Mandamenti della città. Quello del Mandamento Molo, fu nello stesso giorno dichiarato aperto al pubblico, ed incominciò subito a provvedere all’assistenza medica, alle disinfezioni, ed agli isolamenti nei casi di cholera che si manifestavano nei vichi adiacenti alla strada dell’Acquasanta ed al Borgo; località nelle quali il cholera rimase limitato fino al giorno 4 ottobre. Gli altri cinque Ufficii Mandamentali furono aperti definitivamente il giorno 29 settembre. Ognuno dei Direttori di questi Uffici ebbe facoltà di scegliersi un personale di sua fiducia, ed io mi riserbai soltanto l’approvazione delle nomine fatte da loro. Nel primo impianto ogni Ufficio fu costituito soltanto dal Direttore, da un Medico assistente, da un Economo, e da un inserviente. Più tardi, in ragione delibatimeli to della epidemia, il numero dei medici assistenti fu portato a due i quali fecero alternativamente la guardia notturna; e quando l’epidemia infierì nei Mandamenti Castellammare e Tribunali,, fu necessario portare il numero dei medici assistenti a tre nell’ufficio di soccorso del primo e a quattro in quello del secondo di tali Mandamenti. Ogni Ufficio fu provveduto di due registri a matrice, uno per i buoni di medicamenti, l’altro pei buoni di alimenti, e fu inoltre data ad ogni Direttore la somma di lire 100, rinnovabile secondo la necessità, per provvedere alle piccole spese d’urgenza dell'Ufficio ed a qualche soccorso che non si poteva apprestare per mezzo dei buoni suddetti. I medesimi registri a matrice furono dati all'Ufficio centrale; cosicché, salve poche eccezioni, tutti i soccorsi distribuiti lo furono per mezzo di questi buoni, dei quali di tratto in tratto la Direzione centrale operava il pagamento. Per ovviare agli abusi che fin da principio si manifestarono nei conti di alcuni dei farmacisti che avevano spedite le ricette dei medici municipali, creai un posto di Perito farmacista il quale esaminasse e tassasse prima del pagamento le note presentate, e verificasse la qualità dei medicamenti forniti all’ufficio centrale e ad alcuni degli Spedali succursali.

Sin da principio gli Ufficii di soccorso a domicilio ebbero a contrastare con due gravi difficoltà, le quali per lungo tempo impedirono che da essi si potesse ritrarre quel vantaggio che ragionevolmente poteva aspettarsene. La prima, e la più duratura, era costituita dai pregiudizii del popolo il quale vedeva questa volta nell’amministrazione municipale l’ente malefico avvelenatore. Perciò i medici degli Ufficii di soccorso furono in principio presi in sospetto dal popolo e, non che esser richiesti dell’opera loro, si trovarono non di rado minacciati quando l’offersero nei casi di cholera che indirettamente erano venuti a loro cognizione. La seconda difficoltà (pur troppo di natura transitoria), fu la illusione nella quale molti delle classi più agiate vissero per qualche tempo che il cholera non esisteva e che egli fosse un fantasma creato da immaginazioni fervide e spaventate, o da interessi impegnati a far credere alla sua esistenza (12). Disgraziatamente alcuni medici della città si adoperarono a mantenere questa illusione, la quale cadde ad un tratto quando le dolorose stragi del 19 ottobre e dei giorni susseguenti provarono con tutta evidenza che il cholera era in città, e fecero subentrare alla stolta fiducia un panico improvviso e la fuga di gran parte della cittadinanza più facoltosa. In mezzo a tali difficoltà gli Ufficii di soccorso a domicilio nel primo mese della loro attività quasi non fecero che registrare i nomi dei morti e dei morenti, che loro venivano denunziati in vista del gratuito trasporto dei cadaveri; pochi furono in quel periodo di tempo i casi di cholera nei quali si potè apprestare un soccorso efficace. Più tardi, tolta di mezzo una delle cagioni d’errore, l’influenza personale di molti dei medici impiegati negli Ufficii di soccorso, gli esempii di abnegazione di cui essi furono larghi, la cordialità dell’opera loro, la generosità dei soccorsi che il Municipio per mezzo loro apprestava, valsero ad estendere l’azione di questi Uffici mandamentali; cosicché nell’ultimo mese dell’epidemia i miei bullettini portavano delle cifre molto prossime al vero, se non interamente vere. Ai 15 di novembre, in seguito alla ragguardevole diminuzione dell’epidemia cholerica, furono soppressi gli Ufficii di soccorso dei Mandamenti Molo, Monte di Pietà, ed Orto Botanico; ai 20 di novembre quello del Mandamento Palazzo Reale, e ai 23 novembre quelli dei Mandamenti Castellammare e Tribunali. Dopo questa soppressione l’assistenza a domicilio fu intrapresa nei primi quattro Mandamenti dagli Spedali succursali della Consolazione, di Valverde, di S. Gregorio Papa, e dell’Annunziata: negli ultimi due dai medici dell’ufficio centrale.

Nello stesso giorno 29 settembre nel quale venivano aperti al pubblico tutti gli Ufficii mandamentali di soccorso, erano installati anco gli Spedali succursali, in numero di quattro. Il primo nel Convento della Consolazione ai Quattro Venti, il secondo nella Villeggiatura di Valverde a Mezzomorreale, gli altri due, quali annessi dello Spedale Civico e perciò posti sotto una unica Direzione, nei conventi di S. Gregorio Papa e dell’Annunziata. Il Direttore dello Spedale di Valverde fu incaricato anche della Direzione della casa di contumacia situata nella vicina villa di Palagonia. I pregiudizii popolari impedirono che dagli Spedali di Vaiverde e della Consolazione si ritraesse un frutto proporzionato alla spesa che costarono, perché il loro impianto ed il loro personale del tutto nuovi e di evidente creazione municipale spaventarono i credenti nel veleno. Invece gli Spedali di S. Gregorio Papa e dell’Annunziata furono riguardati come una semplice diramazione dello Spedale Civico e, serviti come erano da un personale già appartenente allo Spedale medesimo, il popolo non seppe della loro origine municipale, non diffidò, ed i malati vi accorsero in numero assai ragguardevole, I due Spedali succursali di Valverde e della Consolazione furono chiusi il 30 novembre Ai 15 di dicembre fu licenziato il personale della casa di soccorso a S. Gregorio Papa e ai 20 dello stesso mese quello dell’altra casa di soccorso all’Annunziata. Tutti gli oggetti di proprietà del Municipio che si trovavano in questi Spedali e negli Ufficii di soccorso a domicilio furono posti in un. magazzino creato nel Convento di S, Gregorio Papa, ad eccezione di dieci letti i quali rimasero nel Convento medesimo a disposizione dello Spedale Civico, onde ricoverarsi gli ammalati di cholera, caso mai. se ne presentassero ancora in qualche punto dei territorio del Comune.

Oltre ai provvedimenti sanitarii sopra enumerati, diretti tutti ad attenuare le conseguenze della invasione cholerica nella città di Palermo, fu necessario fino dal 27 settembre istituire delle condotte mediche nei Comuni riuniti, per soccorrere ai casi di cholera che si andavano manifestando nell'agro Palermitano sui passi delle truppe d’accantonamento. Una di esse, quella di Partanna, già esisteva da qualche tempo in vista delle febbri intermittenti che dominano nei dintorni del palude di Mondello. Io ne creai altre sei, una delle quali, quella di Boccadifalco, comprendeva anche la comune di Mezzomorreale, dove lo Spedale di Valverde serviva da Ufficio di soccorso permanente. I medici condotti ebbero facoltà di somministrare, d’accordo cogli Eletti Comunali, dei soccorsi di viveri e di medicamenti nel modo stesso dei medici degli Ufficii di soccorso a domicilio della città.

Le più gravi difficoltà da superare nei primordii della invasione cholerica furono relative al servizio di polizia urbana. L’indomani della insurrezione, dopo sette giorni durante i quali ogni atto del viver civile era rimasto sospeso, le immondezze si trovavano accumulate in ogni punto della città e specialmente nei chiassi e nei vichi. Di più in molti luoghi erano cadaveri d’uomini e di cavalli insepolti, o mal sepolti, e gettati nelle cisterne, e tramandanti pestilenziali esalazioni in mezzo all’abitato. Inoltre per lo spavento indotto nei primi giorni della rioccupazione della città dalle temute perquisizioni, moltissimi oggetti provenienti dai saccheggi avvenuti durante l’insurrezione erano stati gettati a masse in mezzo alle strade, o cacciati a forza entro i condotti neri e le campane della città. A tutto questo bisognò riparare e fu riparato mediante il buon volere e la instancabile attività dei Delegati municipali. Alle quattro Delegazioni ordinarie la Giunta aggiungeva due nuove Delegazioni provvisorie nei Mandamenti Orto Botanico e Molo e poneva i sei Delegati sotto la mia direzione. Essi operarono e fecero operare la nettezza delle strade e dei vichi, il vuotamente dei condotti neri e delle campane, l’allontanamento dei concimi dall’abitato, la completa sepoltura dei cadaveri e delle carogne nei luoghi stessi dove erano stati gettati durante l’insurrezione; corressero, dove poterono farlo, il declivio dei corsi d’acqua semi stagnanti; ripararono le latrine mal costruite dei casermaggi e dei monasteri, e le fecero riparare nelle case dei privati dove faceva bisogno; vegliarono a tener sbarazzati i mercati dai cibi nocivi; dal 23 settembre all’11 ottobre eseguirono ed amministrarono gli isolamenti; e finalmente durante tutta l’epidemia posero grandissimo impegno a praticare e far praticare le disinfezioni nei condotti neri delle strade e delle case. Le spese di questi e di altri consimili lavori furono fatte, pei luoghi pubblici e per le case dei privati impotenti a pagare, dal mio Ufficio; le altre furono a cura dei Delegati stessi risarcite dai proprietarii abili al pagamento. I Delegati vegliarono pure all’imbiancatura dei catodi, facendola praticare essi stessi, dove trovarono resistenza all'esecuzione di questa misura igienica imposta dal Municipio, il quale aveva stanziato un premio di lira una per ogni stanza che fosse stata spontaneamente imbiancata entro un dato termine. Servigii simili a quelli resi dai Delegati mandamentali, e spesso altrettanto spinosi, furono prestati dagli Eletti delegati delle Comuni riunite.

Al Delegato del Mandamento Orto Botanico, fu affidata ancora la Direzione della Lavanderia municipale stabilita nel locale del tiro a bersaglio fuori porta 8. Antonino. Questa lavanderia rimase a tutto carico del Municipio, poiché la di lui attività si restrinse a purgare le sole biancherie provenienti dagli Spedali civili e militari dei cholerosi. Per quanto numerose fossero le guarentigie stabilite dalla sua amministrazione, tenue il prezzo delle tariffe pei cittadini facoltosi, e gratuito il lavoro offerto ai cittadini indigenti; non fu possibile ottenere che i privati vi spedissero nemmeno un fazzoletto. Pregiudizi d’ogni maniera si opposero alla di lei attivazione in più vaste proporzioni, e primo di tutti il timore dell’avvelenamento municipale. Errore fatale il quale contribui moltissimo alla diffusione del morbo, perché condusse a tenere accumulate nelle case, spesso per vari giorni, le biancherie sporche le quali, come tutti sanno, costituiscono uno dei più pericolosi fomiti d’infezione del cholera, e a lavarle poi senza precauzione alcuna o nelle case stesse, o per mezzo delle lavandaie ordinarie. Insisto in questo fatto perché ritengo fermamente che senza questa bestiale ostinazione molti lutti sarebbero stati risparmiati alla nostra città, e perché mi duole che un provvedimento sul quale io contava più che su molti altri per limitare la diffusione del morbo in seno alla popolazione nostra, sia riuscito per colpa di tutta la cittadinanza completamente inutile (13).

Ad avvalorare l’opera dei Delegati municipali e quella dei medici degli Ufficii di soccorso a domicilio in tutto ciò che concerneva la osservanza delle regole di buona igiene pubblica e privata, feci il giorno 3 di ottobre un appello ai più notabili cittadini di ogni mandamento, perché si riunissero a formare delle Commissioni Sanitarie, e colla loro personale influenza facilitassero il lavoro degli impiegati sanitarii municipali. Questo appello non riuscì infruttuoso; che anzi molti cittadini concorsero volonterosamente all’opera benefica ed in breve tempo molte di queste Commissioni furono formate e riunite sotto la presidenza del Cav. Salvatore Cappello. Queste Commissioni si adoperarono assai efficacemente durante tutto il corso dell’epidemia al miglioramento delle condizioni igieniche di molte case private, e più tardi servirono utilmente, quali diramazioni del Comitato di beneficenza, per la distribuzione dei soccorsi prelevati sulle somme offerte dal Re, dal Governo, e dai cittadini.

Onde provvedere al trasporto degli ammalati, disposi in ognuno dei sei ufficii di soccorso a domicilio una lettiga con due lettighieri in permanenza, i quali portavano agli spedali tutti quei cholerosi visitati dai medici dell’ufficio che si lasciavano persuadere a ricoverare colà. Dovetti inoltre stabilire una carrozza fissa per ognuno dei quattro reggimenti di fanteria accasermati nella città, onde evitare lo sconcio di vedere ad ogni tratto presa a caso una carrozza cittadina per trasportare i militari ammalati di cholera alla villa Airoldi, e di subire poi gli assalti dei cocchieri ai quali per tutto pagamento si davano dei buoni sul Municipio. Non essendomi riuscito in alcun modo ottenere che l’amministrazione militare provvedesse coi proprii carri a questi trasporti, deliberai, d’accordo colla Giunta, di finirla con un inconveniente cosi grave, mantenendo fisse a disposizione dei quattro comandi di reggimento le carrozze in discorso. Soltanto ai 16 novembre potei liberarmi di questo gravissimo carico. Il trasporto dei morti fu in principio effettuato per mezzo di casse; quando però i casi di cholera aumentarono di numero dovetti abbandonare questo sistema troppo dispendioso e fare invece il trasporto per mezzo di un carro mortuario. Il carro. unico che serviva in principio, poi i quattro, poi i sei che furono necessari! più tardi, furono comperati e distrutti alla fine dell'epidemia. Quando la mortalità decrebbe per modo da non esservi più necessità dei carri, feci costruire delle casse capaci di due cadaveri ciascuna, le quali venivano portate a spalla fino al cimitero dei Rotoli. Il capitano Reggio diresse in qualità d’ispettore questo tristo e complicato servizio con molta attività ed intelligenza fino al termine dell’epidemia. Fu inoltre necessario, per le stesse ragioni accennate più sopra a proposito dei trasporti degli ammalati militari, mantenere allo Spedale militare della villa Airoldi, un carro a permanenza, il quale servisse al trasporlo dei morti militari fino ai Rotoli. Il lavoro della sepoltura dei cadaveri fu condotto con ordine, economia e diligenza ammirevoli dal sig. Vizzini, il quale profittò dei lavori fatti al Camposanto dei Rotoli nel 1854 per modo che nessuna nuova spesa di costruzione occorse nel 1866.

Nella pratica delle disinfezioni dovei limitarmi all'uso del cloruro di calce e del solfato di ferro; il primo per la purificazione degli ambienti e per la disinfezione delle biancherie, il secondo per la disinfezione dei condotti neri e delle latrine. Profittai della ragguardevole provvista di cloruro di calce fatta nel 1865; il solfato di ferro mi venne fornito, nella quantità di cento quintali circa per settimana, da una unica fabbrica appartenente al Senatore Florio. Il di più che fu necessario adoperare lo feci venire da Napoli. Mi sarebbe stato impossibile sperimentare l’uso dell’acido carbolico, dell’acido ipermanganico e degli ipermanganati, perché in nessuna fabbrica italiana avrei potuto procurarmi questi prodotti nella quantità necessaria a praticare lo disinfezioni sopra una scala cosi vasta. Ed anco se possibile fosse stato, avrei incontrate grandi difficoltà nella esecuzione, perché questi mezzi, finora sconosciuti al popolo di Palermo, sarebbero riusciti molto più sospetti della soluzione di solfato di ferro; che già si era veduta impiegare senza danno nel 1865. Avrei desiderato congiungere all'uso della soluzione di solfato di ferro quello della polvere di carbone, onde ottenere contemporaneamente la combinazione del gas solfidrico coll’ossido idrato di ferro, e l’assorbimento degli altri gas, in specie degli acidi grassi volatili. Ma sarebbe stato cattivo consiglio gettare grandi masse di una materia insolubile come il carbone, entro un sistema cosi difettoso di condotti neri come è quello di Palermo; nel quale ristagnano quantità già troppo ragguardevoli di materie solide, per effetto della permeabilità delle pareti e della insufficiente inclinazione. Ebbi anche il pensiero di fare applicare ai cessi di tutte le case una valvola col sistema inglese, onde rompere cosi la continuità di comunicazioni che tutte le case di una strada o di più strade hanno fra loro per mezzo dell’acquedotto che le percorre; e contava servirmi a questo fine dell’opera delle Commissioni sanitarie. Dovetti però persuadermi che la cosa non era eseguibile, poiché nella metà delle case di Palermo avrei dovuto fare il lavoro e a spese del Municipio, senza nessuna speranza, anche lontana di risarcimento (14).


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III. Gravità ed estensione della epidemia del 1866

Ben si può dire con tutta ragione che l’epidemia cholerica non poteva coglierci in peggior punto. La città era appena uscita dai terrori dell’insurrezione, appena aveva assaporato un momento di tranquillità e di gioia dopo l’avvenuta liberazione; quando veniva soprappresa da un altro e più grave terrore, quello del cholera. Molte delle più cospicue famiglie le quali si erano imbarcate per isfuggire al primo pericolo, abbandonarono il paese per evitare il secondo; ed a quelle molte altre se ne aggiunsero appena il morbo cominciò ad estendersi nella città. Ciò valse ad accrescere lo sgomento di quella parte della cittadinanza per la quale la fuga non era possibile, e ad aumentare l’immensa miseria che già gravava sulla città; sospendendo ad un tratto l’esercizio di un infinito numero di commerci e di piccole industrie che facean capo a quei facoltosi fuggiaschi. Gli arresti numerosi di molti capi di famiglie popolane contribuirono non poco a rendere più tristi le condizioni economiche del paese; il quale già aveva incominciato a risentire le dolorose conseguenze dello scarso raccolto cagionato dalla siccità, e della cessazione quasi assoluta di ogni movimento commerciaio, in seguito all’isolamento quarantenario del la Sicilia. Sebbene le condizioni igieniche della città molto lasciassero a desiderare, come sopra ho detto, erano pure senza confronto migliori di quelle in cui essa si trovava nel 1854 e 1855, all’epoca dell’ultima epidemia di cholera. L’amministrazione municipale si era adoperata dal 1860 in poi con grande attività, intelligenza e fermezza a rinnovarne l’aspetto, specialmente rapporto alla polizia urbana; e ciò spiega come le vendette dei reazionarii nelle giornate di settembre fossero a preferenza dirette contro il Municipio e gli uomini che lo costituivano, colpevoli di aver dimostrato al paese che sotto l’impero della libertà si migliorava e si progrediva. Riguardo però alla igiene privata del popolo nessun progresso si era avverato. Indipendentemente delle condizioni infelici delle abitazioni popolari, rimaste sempre le stesse, aggravate anzi nel 1866 dalla ragguardevole diminuzione dell’acqua necessaria alla nettezza domestica; l’alimentazione del popolo si trovava, come nel passato, costituita quasi esclusivamente da vegetabili: cioè da fichi d’india, pomi, ed erbaggi. L’uso della carne quasi sconosciuto; scarsissimo quello del pane e delle paste, stante la cresciuta miseria e la straordinaria carezza di tali generi di vettovaglia (15).

Non è meraviglia quindi se il cholera menò strage principalmente nelle classi popolari, in proporzioni anco superiori a quelle che abitualmente si riscontrano nelle altre grandi città. Le cagioni anzidetto, ed inoltre la ostinata diffidenza di ogni soccorso medico contribuirono a questo doloroso resultato. Non solo erano sospetti al popolo i medici municipali, riguardati da lui quali avvelenatori patentati, ma anche gli altri medici liberamente esercenti: perciò quasi mai avvenne che, fra la gente del popolo, essi potessero intraprendere la cura del cholera nello stadio di invasione della malattia. Quasi sempre ebbero a fare con dei casi di cholera confermato, e per lo più già arrivato al periodo asfittico. I soli fra i medici di Palermo che ebbero la fortuna di attaccare il cholera nei primordii del suo sviluppo, furono i medici delle Grandi Prigioni situate nella Vicaria. Essi poterono infatti, mediante un’attiva e intelligente sorveglianza esercitata sui detenuti, incominciare sempre la cura degli ammalati appena si manifestavano i fenomeni prodromici del cholera; e cosi, sopra 447 attaccati, offrire una brillante statistica di 370 guariti e di soli 117 morti (16). Molto diversa era la condizione dei medici municipali. Il popolo si guardava da loro come da nemici: nella massima parte dei casi, appena un individuo era preso dal cholera, tutto lo studio della famiglia era diretto a sottrarre l’ammalato alle loro investigazioni, e la casa all’opera di disinfezione esercitata dai Delegati municipali. Intanto, nel concetto che si trattasse di veneficio, gli infermi venivano sottoposti alle più strane cure e si amministravano loro, quali contravveleni, la lisciva, l’olio delle lampade delle Madonne, e pensino delle decozioni di tabacco! Ai medici municipali si ricorreva pel trasporto dei cadaveri e per soccorsi alla famiglia, quando la morte era avvenuta; ovvero quando il caso era ormai talmente disperato da mettere quella povera gente nella condizione di attaccarsi anche ai rasoi. Nel Mandamento Castellammare, per esempio, sopra 790 ammalati di cholera denunziati all’ufficio di soccorso, 425 erano già morti al momento della denunzia, e degli altri 365, che si sottoposero a cura, soli 154 guarirono e 4 si lasciarono trasportare allo Spedale. Nel Mandamento Tribunali, sopra 911 colerici inscritti nei registri dell’ufficio, si trova una cifra di 750 morti; 682 dei quali erano morti nella giornata stessa nella quale avvenne la denunzia. Nel mandamento Ortobotanico, sopra 183 ammalati di cholera denunziati all’ufficio di soccorso,132 erano già morti al momento della denunzia, e di questi soli 9 furono rivelati con una fede medica; perciò gli altri 123 erano morti senza soccorso medico di sorta. Lo stesso si verificò negli altri mandamenti e nella massima parte delle condotte: quasi dappertutto la cifra dei cholerosi sottoposti alle cure mediche si trova inferiore della metà o di due terzi a quella dei cholerosi rivelati ai medici municipali, ed in questa ristretta frazione si riscontra una mortalità proporzionatamente assai grande. Invece si nota una mortalità molto minore negli ammalati curati negli Spedali, sebbene essi appartenessero alle stesse classi sociali di quelli curati a domicilio dagli altri medici municipali. Cosi p. e. nello Spedale di S. Gregorio Papa sopra 109 ammalati ricevuti ne morirono 56; e nello Spedale dell’Annunziata sopra 151 ricevuti, ne morirono 87. Questa notevole differenza fra la mortalità dei cholerosi ricoverati negli Spedali e quella dei cholerosi curati a domicilio, è in gran parte dovuta alla circostanza che i primi, fiduciosi nel valore dei medici soccorsi (come lo dimostrava il fatto della loro spontanea presentazione allo Spedale), venivano a sottoporsi alle cure mediche in uno stadio della malattia meno avanzata dei secondi. È da osservare inoltre che i primi, entrando nello Spedale, venivano sottratti alle perniciose influenze delle loro triste abitazioni, e che per essi era assicurata la continuità dell’assistenza, la regolarità della somministrazione degli alimenti e dei medicamenti, e la unità della cura. I secondi invece rimanevano durante tutto il corso della malattia nei loro miserabili tugurii; erano assistiti da famiglie spaventate, diffidenti e fameliche, le quali spesso convertivano in proprio vantaggio i buoni di viveri e di medicamenti rilasciati dai medici municipali, e non di rado facevano intervenire nella cura, di nascosto al medico municipale, altri medici della città; ovvero dei venditori di specifici, dei fattucchieri e tutta quella maledetta, genia di ciarlatani che, in mezzo a tali pubbliche sventure, pullula e prospera, volgendo a suo profitto l’ignoranza e i pregiudizi delle classi più infelici della popolazione.

Ciò premesso, riesce evidente la impossibilità in cui siamo di costatare il numero dei casi di titolerà che si verificarono nella nostra città durante il corso della epidemia del 1866, e di giudicare del valore dei metodi curativi adoperati a combattere la malattia. Quest’ultima parte potrà essere illustrata, in alcuni casi speciali e per alcuni gruppi di ammalati cholerici, dalle singole pubblicazioni dei medici degli Spedali civili e militari, dei medici della città, e di alcuni fra i medici municipali, i quali hanno avuta la opportunità di riunire un complesso di osservazioni molto accurate ed interessanti. Ma alla prima impossibilità non potrà essere mai più riparata; ed è veramente doloroso il pensare che, dopo avere impiantato e mantenuto un servizio sanitario cosi completo e costoso, noi non possiamo ricavare elementi per giudicare della estensione, della gravità, e delle fasi della epidemia del 1866, se non dalla conoscenza delle perdite che ci ha fatte subire, cioè dal numero delle morti avvenute.

L’accurata comparazione dei bullettini civili e militari, dei rapporti dei medici civili e militari, e dei registri dello stato civile, ci dà pel 1866 una cifra complessiva di 3977 morti di cholera; dei quali 3572 nella popolazione civile del Comune di Palermo, e 405 fra i militari che vi erano di guarnigione. Questa cifra complessiva si decompone cosi:


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Morti di cholera nel 1866

POPOLAZIONE CIVILE

Città
Sezione Tribunali N. 840
» Castellammare » 676
» Palazzo Reale » 429
» Monte Pietà » 364
» Orto Botanico » 170
» Molo » 450
Vicaria
» 117
Spedale S. Gregorio » 56
» Annunziata » 87
» Consolazione » 21

Totale N. 3210
Militari N.  405

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Morti di cholera nel 1866

POPOLAZIONE CIVILE

Campagna
Tommaso Natale e Sferracavallo N. 44
Mondello, Partanna e Pallavicino » 17 (*)
Resuttana e S. Lorenzo » 22
Brancaccio e Conte Federico » 141
Falsomiele e Grazia » 6
Mezzomorreale e Porrazzi » 16
Baida e Boccadifalco » 35
Zisa e Uditore » 55
Totale N. 362
Totale dei morti nella popolazione civile  3572
Totale generale  3977
(*) Contrada dei Colli — Totale dei morti  83

Mentre il mio amico avv. Fr. Maggiore Perni, Direttore dell'Ufficio di Statistica nel Municipio di Palermo va preparando colla sua consueta accuratezza e solerzia un lavoro statistico, nel quale saranno dettagliate tutte le circostanze relative all’età, al sesso e alla condizione sociale degli individui morti di cholera nella epidemia del 1866; possiamo intanto mettere in rapporto i dati che possediamo fin qui, colle peculiari condizioni topografiche ed igieniche delle varie sezioni amministrative del territorio della Comune di Palermo. Su queste peculiari condizioni io mi sono lungamente intrattenuto nel primo capitolo di questo scritto: resta adesso a vedere se, e fino a qual punto, esse abbiano esercitata una influenza apprezzabile sulla propagazione del morbo. Della influenza loro sulla intensità del medesimo non possiamo nemmeno parlare: dessa non potrebbe essere argomentata se non dal paragone del numero degli attaccati con quello dei morti in una data località, ed a noi manca uno dei termini del paragone, cioè la cifra degli attaccati che non possiamo, nemmeno in modo approssimativo, determinare.

Appena si getta uno sguardo sul quadro precedente, si rimane colpiti della enorme differenza che si riscontra fra la mortalità verificatasi nelle tre Comuni della Contrada Colli e quella del Comune di Brancaccio. Nei primi, sopra una popolazione di 9,060 abitanti, si sono avverate soltanto 83 morti per cholera; mentre nell’ultimo, sopra una popolazione di 4,892 abitanti, se ne sono annoverate 141.

Fatta proporzione, la perdita subita dal Comune di Brancaccio si trova tre volte e mezza maggiore di quella della Contrada dei Colli. Io ho già fatto notare più sopra come le condizioni del territorio di queste Comuni siano in perfetta opposizione fra loro: come cioè, mentre nel Comune di Brancaccio si trova quasi dappertutto un terreno alluvionale, umido, molto permeabile e costituente uno strato relativamente sottile al di sopra del livello dell'acqua del fondo; nei Comuni dei Colli si trova invece un terreno roccioso, poco permeabile, asciutto, che si interpone con strati di 12 a 30 metri di grossezza fra le abitazioni e il livello medio dell’acqua del fondo. Le abitudini della vita, e le condizioni sociali delle popolazioni sono sensibilmente uguali in tutte queste Comuni; come, del resto, in tutte le popolazioni dell’agro Palermitano propriamente detto. Inoltre le Comuni dei Colli, come quella di Brancaccio, ricavano in ugual modo l’acqua potabile del loro fondo medesimo; cioè o da pozzi artificialmente scavati, o da sorgenti che pullulano abbondantissime in vicinanza del mare e nelle parti dove il livello del terreno è molto basso, specialmente nel Comune di Brancaccio. Cosicché, nel ricercare le cause della grandissima differenza che si osserva nella gravità ad estensione della epidemia cholerica ohe ha colpita queste Comuni, dobbiamo necessariamente ristringerci alla considerazione delle differenze che si incontrano nella qualità del terreno ad esse sottostante, nei rapporti di esso terreno coll'acqua del fondo, e nelle qualità di quest’acqua medesima, che è dalle popolazioni adoperata come acqua potabile.

La stessa differenza notata fra la mortalità delle Comuni dei Colli e quella di Brancaccio, si riscontra in più piccole proporzioni nei due villaggi di una stesso Comune, quella cioè di Falsomiele e Grazia.

Ho già detto altrove della diversità della giacitura di questi due villaggi; l’uno dei quali, la Grazia, posa in sito elevato e sopra un terreno roccioso, mentre l’altro, Falsomiele, è situato nel piano della valle, sopra un terreno alluvionale, permeabile e ricco di umidità. La popolazione di Grazia è di 879 abitanti; quella di Falsomiele di 1112. Or si osserva che di 6 morti di cholera in questo Comune, quattro appartengono alla popolazione di Falsomiele, e nessuno al villaggio di Grazia: gli altri due sono Palermitani trovatisi, non si sà per quali circostanze, ad ammalarsi e a morire di cholera nel Comune medesimo. Questi, per eccezione, possiede una lista completa dei casi di cholera verificatisi durante l’epidemia in tutta la estensione del suo territorio, i quali sommano a 19, e sono ripartiti cosi:



Attaccati Guariti Morti

Falsomiele..………….. N.

12 8 4

Grazia…………………….»

4 4 »

S. Maria di Gesù.……..»

1 1 »

Palermo………………….»

2 » 2

Totale N.

19 13 6

Lo stesso fatto si riproduce con evidenza anco maggiore nel Comune di Baida. Ho notato più sopra come Boccadifalco e Altarello di Baida presentino nella loro giacitura delle differenze perfettamente analoghe a quelle che si riscontrano fra la giacitura di Grazia e quella di Falsomiele.

Ed anche qui osserviamo che dei 35 morti di cholera in questa comune,10 appartengono a Boccadifalco e 25 ad Altarello; sebbene la popolazione del primo villaggio ammonti a 2171 abitanti, e quella del secondo soltanto a 785.

Mancano finora dati precisi che ci permettono di determinare se le medesime differenze si siano riscontrate nelle varie parti del Comune di Mezzomonreale, che si trovano in opposizione fra loro per le qualità del terreno su cui riposano. Il servizio sanitario di questa Comune è stato fatto durante la epidemia, in parte dal medico condotto di Baida, in parte dallo Spedale di Val verde, ed in parte dall’Ufficio di soccorso del Mandamento Orto Botanico. — Ne è quindi risultata una qualche confusione nella registrazione dei casi, la quale non mi permette di fare con esattezza il reparto topografico dei 16 morti di cholera appartenenti a questa Comune. Nella Comune di Zisa, che posa sopra un terreno generalmente alluvionale, il fatto di una mortalità proporzionatamente maggiore che nelle Comuni le quali posano su terreno roccioso, sembra a prima giunta ripetersi con tutta la sua evidenza; poiché in una popolazione di 5258 abitanti si sono avuti 85 morti di cholera cioè due di più che nelle Comuni dei Colli, le quali hanno una popolazione di 9060 abitanti. Giova però il notare, che 18 di queste morti per cholera si sono verificate in Denisinni, piccolo Villaggio di 380 abitanti il quale è costruito sulla roccia calcarea. La popolazione di questo villaggio vive quasi esclusivamente della industria della lavanderia, ed in esso sono state lavate durante l’epidemia, e senza nessuna precauzione, moltissime biancherie di cholerici; di modo che, siccome ho accennato in una nota precedente (11) delle lavandaie di Denisinni sono rimaste vittime del morbo cholerico. Perciò, facendo astrazione di Denisinni, i morti di cholera nella Comune di Zisa si riducono a 67; cifra la quale,se rappresenta una mortalità superiore a quella riscontrata nelle Comuni dei Colli, non è però tanto elevata da permetterci di trarre delle conclusioni positive, riguardo alla influenza esercitata dalla qualità del terreno sulla diffusione del cholera nella Comune di Zisa.

Venendo adesso alla città, troviamo che nel Man damento Orto Botanico,sopra 170 decessi per cholera notati nel quadro precedente,150 sono stati verificati dall’ufficio di soccorso a domicilio del Mandamento, diretto dall’egregio collega Bott. Giuseppe Furitano.

Nell’eccellente rapporto presentatomi da lui, rapporto che per la sua importanza io molto desidererei veder pubblicato, egli nota come di questi 150 decessi, 29 appartengono a quella sezione del Mandamento che si estende da porta S. Antonino fino ai Porrazzi; 121 all’altra sezione che si estende dalla porta medesima fino al mare. Queste due sezioni hanno una popolazione presso a poco uguale: differiscono per la qualità del terreno, roccioso nella prima, e formato invece da alluvioni e da macerie nella seconda; e pel livello, che è assai elevato nella prima e molto basso invece nella seconda. Intanto la mortalità nella prima non è che di 0,67 %, mentre nella seconda raggiunge 2,79.

Anche nel Mandamento Molo la massima parte delle morti per cholera si verificò nelle parti più prossime al mare, di livello molto basso, e che riposano sopra un terreno d’alluvione. Furono specialmente colpiti i vichi adiacenti alla strada dell’Acqua santa, i chiassi Giliberto, Cannata, Onorato 2°, e la via del collegio di S. Maria al Borgo; come pure il chiasso Caruso che immette nella via Cavour. Vero è che in queste parti del Mandamento abita poverissima gente, accumulata in miserabili e luridi tugurii; ma simili condizioni di vita si trovano anche in altre parti più superiori del Mandamento Molo, senza che in esse si sia riscontrata una mortalità proporzionatamente cosi grande, come nei luoghi sopraccennati.

Perciò che riguarda i quattro Mandamenti interni della città, si può dire in brevi parole: che l’epidemia ha principalmente infierito in quelle parti di essi che sono nella seconda carta colorate in bleu; come pure in quella escavazione del Mandamento Palazzo Reale che si estende dalla Salita dei Benfratelli alla Porta di Castro. In altri termini: la maggiore propagazione del cholera e la maggiore mortalità, si sono verificate in quelle parti che pochi secoli fa erano ancora occupate dal mare, e che si distinguono dalle altre, sulle quali la città è costruita, per natura alluvionale o fangosa del terreno e per la piccolissima elevazione del loro livello.

Gettando un colpo d’occhio sulla carta, riesce facile l’avvertire come i Mandamenti Castellammare e Tribunali sieno sotto questo rapporto i meno favoriti; poiché in essi il terreno costituito in tali condizioni, occupa una superficie molto maggiore che negli altri due. Ed é appunto in questi due mandamenti che si osservò la massima mortalità (v. quadro precedente); mortalità che risulta quasi doppia di quella verificatasi negli altri due, se si paragonano fra loro quei Mandamenti che hanno una popolazione presso a poco uguale; cioè il Mandamento Tribunali col Mandamento Palazzo Reale da un lato, e il Mandamento Castellammare col Monte di Pietà dall’altro. Del resto la tradizione ci dice che lo stesso fatto si è riscontrato nella grande epidemia del 1837, ed in quella del 1854; poiché in ambidue la massima mortalità si verificò nei due Mandamenti interni più prossimi al mare. Di quella del 1855 sappiamo soltanto che essa si mantenne principalmente ristretta al Mandamento Palazzo Reale; dove, si dice, che scoppiasse in seguito all’accumulamento di stracci appartenenti ad ammalati di cholera dell’anno precedente, in alcuni magazzini dell’Albergaria.

Noi vediamo dunque, in varie località del territorio del Comune di Palermo, riprodursi una singolare coincidenza fra alcune peculiari condizioni del suolo e la estensione della epidemia cholerica. Dovunque noi troviamo il tufo calcare, che forma il sottosuolo di tutta la Comune, coverto da strati profondi di terreni alluvionali o fangosi, ricchi di umidità, molto permeabili, e quindi molto facilmente impregnati da materie organiche in decomposizione; quivi osserviamo essere avvenuta una maggior diffusione del cholera. All’inverso, dovunque si incontrano terreni rocciosi, asciutti e poco permeabili, e perciò poco atti ad essere impregnati dalle materie medesime; ivi osserviamo che la propagazione del morbo si è mantenuta in più ristretti limiti. Non per questo è a noi lecito di arguire, che queste differenze verificatesi nella propagazione epidemica del cholera del 1866 in Palermo, sieno state unicamente determinate dalla specialità delle condizioni del suolo. Noi possiamo bensì ritenere che, una volta avveratisi in una data località alcuni casi di cholera, il germe o seminio morboso del medesimo (il quale sappiamo ormai svilupparsi principalmente dalle evacuazioni intestinali degli ammalati), possa accumularsi in maggiore o minore quantità nel terreno sottostante; secondo che questi è più o meno permeabile, più o meno atto a ritenere in sé, a guisa di spugna, le materie organiche che vi si sono infiltrate. Dobbiamo altresì ammettere, dietro la gran quantità di osservazioni che attualmente la scienza possiede in proposito, che le emanazioni le quali in tal caso si sollevano dal terreno, riescano tanto più nocive e valevoli a trasmettere ad altri individui il morbo cholerico, quanto maggiore é la quantità delle materie organiche che si trovano contenute nel terreno medesimo, e quanto più questi è ricco di umidità. Di fatti, comunque si voglia concepire la natura del germe cholerico; sia egli un essere organizzato, un microfito o un microzoo come alcuni pretendono, o sivvero un veleno organico generatosi per un modo speciale di decomposizione delle materie rigettate dal corpo degli ammalati; la di lui moltiplicazione nel primo caso, e la di lui produzione nel secondo, troveranno sempre condizioni più favorevoli in un terreno impregnato di materie organiche putrescenti e ricco di umidità, di quello che in un terreno dove le une e l’altra scarseggiano, Perciò, sebbene noi manchiamo ancora di nozioni precise sulla natura del germe o del veleno organico che produce il cholera, abbiamo dati scientifici sufficienti per ritenere che i terreni molto permeabili, ricchi di argilla ed umidi, sieno quelli nei quali egli alligna e si moltiplica, a preferenza dei terreni rocciosi, scarsi d’argilla ed asciutti, Quindi non possiamo disconoscere l’influenza esercitata da questo elemento causale sulla più estesa propagazione del cholera, verificatasi in alcune località del territorio di Palermo e dell’agro circostante.

Ma, appunto in queste stesse località si incontrano delle condizioni molto favorevoli alla penetrazione delle materie organiche, dalle quali prende sviluppo il germe o veleno cholerico, nelle acque potabili, e all'inquinamento consecutivo delle medesime. Nella Comune di Brancaccio p. e. dove tali acque si traggono dall’acqua del fondo, noi troviamo che in moltissimi punti il livello di questa dista di ben poco dalla superficie del suolo sul quale posano le abitazioni, e che esso non rimane diviso da uno strato, talvolta molto sottile, di un terreno permeabile, argilloso ed umido.

All’incontro nelle Comuni dei Colli, dove pure l’acqua potabile è fornita dall’acqua del fondo; il livello di questa è separato dalla superficie del suolo da grossissimi strati di una roccia calcarea, poco permeabile ed asciutta. Anche nella città, siccome ho notato nel primo capitolo, le parti ove si trovano terreni alluvionali, o fangosi, sono quelle nelle quali più facilmente può avvenire la penetrazione delle materie organiche che impregnano il suolo, entro i tubi d’argilla i quali conducono l’acqua potabile. Introduzione tanto più facile, in quanto che questi tubi sono fra loro connessi per mezzo di un luto detto colla da fontaniere formato di gesso, stoppa ed olio, il quale frequentemente si screpola; ed in quanto, per la mobilità del suolo in cui sono immersi, vanno spesso soggetti a rotture parziali.

Sebbene noi siamo ancora lontani dal conoscere il grado di influenza che può esercitare sulla propagazione del cholera, l’inquinamento delle acque potabili, per mezzo delle materie organiche rigettate dal corpo dei cholerosi; non possiamo trascurare la considerazione di alcuni fatti, i quali conducono a ritenere che questa influenza sia assai ragguardevole. Taccio degli esperimenti di Thiersch il quale ha potuto determinare nei sorci alcuni dei fenomeni ed alcune delle alterazioni anatomiche, intestinali e renali, proprie del cholera; facendo loro ingerire dei piccoli pezzi di carta immersi nelle deiezioni intestinali dei cholerici, tre, quattro e fino a nove giorni dopo la loro emissione. Questi esperimenti provano soltanto che il cholera, od uno stato morboso molto simile al cholera, può essere sviluppato mediante l’ingestione delle materie intestinali dei cholerosi, quando esse hanno raggiunto un certo grado di decomposizione putrida. Non valgono però a provare che lo stesso avvenimento possa verificarsi per mezzo delle acque potabili, quando in esse vengono a disciogliersi tali materie, in una proporzione che necessariamente deve esser piccola; perché altrimenti non sarebbero più adoperate nella alimentazione umana. Alcuni fatti raccolti in questi ultimi tempi sembrano fornire questa prova, o almeno accennare alla possibilità, che le acque potabili inquinate dalle deiezioni choleriche possano farsi causa efficiente del cholera e servire alla di lui propagazione. Noi non possediamo ancora nessun rapporto scientifico relativo alla epidemia cholerica che ha afflitto Parigi nel 1866; poiché l’autorità politica proibì nel modo il più assoluto che si parlasse della esistenza del cholera nella capitale della Francia, cosi nei giornali scientifici come nei politici. Alcune corrispondenze parigine di giornali Belgi e Italiani, hanno però rilevato un fatto che avrebbe una grande importanza nella quistione in discorso; quello cioè che i villaggi prossimi a Parigi, e situati sulle rive della Senna, al di sopra della città sono stati colpiti dal cholera in una propagazione infinitamente minore di quelli che si trovano sulle rive del fiume medesimo al di sotto della città, e al di sotto del luogo ove la Senna riceve lo sbocco della cloaca massima di Parigi. Si narra ancora, che in alcuni giorni dell’epidemia si è osservata nella Senna, a livello di questo sbocco della cloaca massima, una straordinaria mortalità del pesce che è abbondantissimo in quel fiume, e specialmente in quella parte del suo corso; stante la gran quantità dei materiali nutritivi che gli vengono offerti dagli scoli della città. Se il fatto al quale accennano queste corrispondenze fosse scientificamente constatato, esso avrebbe una importanza capitale; poiché l’acqua della Senna è adoperata come acqua potabile nella città di Parigi non solo, ma anche nei villaggi di cui qui sopra è parola. Sarebbe una ripetizione in grande, di ciò che è stato osservato da Dinger nella piccola città Hirschberg in Germania.

Hirschberg ricava una parte delle sue acque potabili da un ruscello, che scende a lei dopo aver traversato il villaggio di Dobareuth, situata a qualche miglio di distanza. In Dobareuth ammalò di cholera il 5 ottobre 1866 un muratore di Zwickaù il quale mori l'8 ottobre.

Gli escrementi di esso furono tutti gettati in un cesso che comunicava liberamente col ruscello, e la di lui biancheria fu lavata nel ruscello medesimo. Ai 9 e ai 10 di ottobre si ammalarono in Hirschberg dieci persone, le quali tutte avevano bevuta l’acqua di quel ruscello proveniente da Dobareuth. Seguirono dall’11 al 18 ottobre altri 34 casi di cholera, la massima parte dei quali in persone che avevano continuato ad operare quell’acqua come bevanda. Notevole poi la circostanza, che gli abitanti di due molini situati sul corso del ruscello, i quali non avevano bevuta di quell’acqua, rimasero immuni della malattia. Anche nell’ultima epidemia cholerica di Londra, si sono osservate grandissime differenze nella mortalità dei singoli distretti della città, a seconda della qualità delle acque potabili che loro vengono distribuite. Per esempio: alcuni distretti le di cui acque potabili sono fornite dalle parti superiori del corso del fiumiciattolo Lea, hanno avuta una mortalità di 17,1 su 10,000 abitanti; mentre in un distretto le di cui acque potabili sono fornite dalle parti inferiori e più profonde dello stesso fiume, si è osservata una mortalità, proporzionatamente enorme, di 94,3 su 10,000 abitanti.

In presenza di tali fatti, noi non possiamo disconoscere la influenza che questo secondo elemento causale può avere avuta, nel favorire la propagazione del morbo cholerico in alcune sezioni del territorio di Palermo e, più specialmente, nel Comune di Brancaccio e in quelle parti della città che sono costruite su macerie, sopra fanghiglia, e sopra terreni di alluvione. In queste ultime, a complicare la quistione delle cause della propagazione epidemica del cholera, troviamo ancora un terzo elemento causale; cioè la facilità colla quale avviene in esso il ristagno delle materie escrementizie entro i condotti neri comuni, in grazia della piccola elevazione del livello di queste parti della città, e della insufficiente inclinazione che, conseguentemente, hanno i condotti neri che le percorrono. La considerazione di questo terzo elemento causale, acquista una particolare importanza per quelle, di tali parti della città, che appartengono ai Mandamenti Orto Botanico e Molo, o specialmente ai Mandamenti Castellammare e Tribunali; poiché nei condotti neri di essi ristagnano non solo le materie escrementizie prodotte sul luogo, ma vengono a ristagnare tutte le materie escrementizie delle parti più elevate della città, le quali scendono al mare per quei condotti medesimi. Quindi, se è vero che da queste materie vengano emanati i germi o miasmi cholerici; essi debbono diffondersi in maggior copia negli ambienti delle case di queste parti della città, di quello che nell’interno delle case situate in altri punti più elevati della medesima (17).

Non era senza interesse, per lo studio delle fasi dell’epidemia cholerica del 1866, il valutare la influenza, che alcune condizioni meteorologiche avevano potuto esercitare sull’azione dei tre elementi causali sopradetti, come pure sulle disposizioni degli individui a risentirne gli effetti. Perciò, servendomi dei dati gentilmente fornitimi dal cav. Cacciatore, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Palermo; io aveva costruito il seguente quadro, nel quale dal 22 settembre fino al 29 dicembre (giorno in cui si verificò l’ultimo caso di cholera del Comune di Palermo), si notavano giorno per giorno le principali variazioni della temperatura, della pressione atmosferica, della direzione del vento, della quantità della pioggia e dell’attività della evaporazione. Queste variazioni dovevano esser poste in confronto col numero dei casi, che giornalmente si erano verificati, nella popolazione civile della città e della campagna; ad esclusione delle Grandi Prigioni o Vicaria, la di cui popolazione, per la specialità delle condizioni di vita a lei proprie, era posta fuori di calcolo. Nel fatto però, questo quadro è riuscito un aborto: poiché invece del. numero dei casi, non vi ho potuto notare se non il numero dei morti; le cifre dei quali non hanno quasi nessun significato, perché non si può determinare quando e sotto l’influenza di quali condizioni atmosferiche, si ammalassero quelli che si trovano notati nel quadro come morti. Nonostante, tal qual è, lo pubblico qui per mostrare come io l’aveva concepito, è perché, se non altro, può dare un’idea approssimativa delle fasi principali della epidemia del 1866.



Mese di Settembre
giorni TEMPERATURA PRESSIONE
MASSIMA MINIMA MASSIMA MINIMA
23 25,4 18,7 56,87 54,82
24 25,4 18,2 57,25 54,64
25 24,6 18,4 57,56 55,69
26 23,6 17,6 56,59 53,57
27 23,4 18,4 54,54 51,58
28 23,8 18,2 55,71 52,56
29 24,4 21,1 55,19 54,07
30 26. 8 22,0 55,78 50,69
Mese di Settembre
DIREZIONE DEL VENTO PIOGGIA EVAPORAZIONE MORTI PER CHOLERA
12 m. 9 p. CITTÀ CAMP.
Calmo

3.7672 1 2
E O
3,6391

E E S E 0,19 2,6446

O Calmo 1,71 3,1844
2
SO OSO 0,32 3,1230

SE OSO
4,4730 2
NE OSO
3,2374

E E
3,3677


Mese di Ottobre
Giorni TEMPERATURA PRESSIONE
MASSIMA MINIMA MASSIMA MINIMA
1 28,8 14,5 753,46 750,51
2 25,6 12,5 56,24 52,66
3 24,8 20,8 57,80 55,02
4 24,6 22,0 57,98 55,16
5 25,6 20,0 58,73 55,28
6 22,9 20,0 58,77 56,59
7 22,3 18,1 60,27 56,60
8 21,7 14,1 60,18 56,16
9 23,7 14,1 58,39 56,28
10 24,4 18,4 57,48 50,76
il 27,0 17,6 53,35 50,08
12 23,3 17,3 52,56 51,11
13 35,0 re,8 52,77 49,32
14 27,2 18,7 53,52 50, 50
15 25,2 15,5 54; 54 52,05
16 22,4 15,7 54,87 53,26
17 21,1 14,5 56,56 54,08
18 20,1 16,3 58,24 56,67
19 20,7 14,5 59,65 57, 64
20 20,4 13,8 62,11 59,0
21 20,0 12,7 60,84 59,4
22 19,0 10,3 60,65 58,95
23 20,2 12,4 59,59 52,53
24 19,2 12,7 53,20 51,2
25 22,0 12,4 53; 37 47,51
26 20,4 14,4 48,11 45,83
27 20,7 15,5 51,19 47,07
28 20,9 14,7 51,56 50,34
29 19,8 13. 1 53,57 50,11
30 20,2 12,8 57,63 52,53
31 19,6 li,8 62,51 57 71

Mese di Ottobre
DIREZIONE DEL VENTO PIOGGIA EVAPORAZIONE MORTI PER CHOLERA
12 m. 9 p. CITTÀ CAMP.
N N E E
5,2135 6 1
N N E E
2,7970 6
N N O Calmo 0,95 2,3531 3
E N E O S O
4,4394 10
NNE O S O
2,3963 2
O N O O S O 3,02 3,2923 3
N N E N E 5,15 5,5235 5 1
N N E OSO 3,69 4,909 7 1
NNE OSO 1,05 2,9594 6 3
S S O E R E
3,310 5
11
S S O Calmo 1,58 4,1527 6
E O S O
2,4342 4 2
S S O S O
7,5581 7
SO O N O 1,33 5,948 7 2
N N E O
3,1412 14 4
O N O O S O 0,22 3,9076 li 5
O S O N E 14 3,8643 19 7
N E O S O
3,5945 106 5
E N E O S O 0,44 2,5152 119 10
E N E O S O
3,6053 144 10
E N E E
4,2126 307 13
N N E Calmo
3,6267 123 14
Calmo Calmo
3,2814 104 15
O S O Calmo
2,7957 110 20
Calmo O S O
4,4255 120 5
N N E O S O 7,94 2,1696 115 14
N E O S O 7,82 1,9323 109 6
OSO Calmo 2,04 1,5221 102 14
Calmo O S 1,27 2,5368 79 12
E N E O
2,7957 95 12
N O Calmo 0,13 3,225 126 5

Mese di Novembre

Giorni TEMPERATURA PRESSIONE
MASSIMA. MINIMA MASSIMA MINIMA
I 18,8 15,3 761,99 157,10
2 23,9 13,9 57,75 52,22
3 21,7 16,6 55,99 53,O8
4 19,9 16,0 58,68 54,86
5 19,5 14,2 61,0 58,15
6 19,? 13,3 61,4 60,13
7 19,5 14,5 61,27 59,57
8 19,0 13,7 61,72 60,59
9 20,0 14,2 61,56 56,09
10 23,2 17,7 57,78 53,73
11 21,1 16,0 58,56 55,25
12 18,7 14,4 57,97 56,59
13 20,4 12,1 58,87 57,11
14 20,8 14,8 57,80 52,27
15 18,7 15,9 60,58 51,91
16 16,9 11,2 61,63 57,98
17 20,1 13,4 53,99 49,39
18 19,4 1o,5 56,42 48,22
19 16,0 1o,4 57,51 51,11
20 11,5 13,1 51,72 47,20
21 15,4 8,3 57,60 50,66
22 15,8 1o,0 58,44 55,35
23 15,7 11,1 61,7 57,64
24 18,4 12,4 60,31 52,61
25 15,2 11,0 55,81 50,81
26 17,6 13,5 57,34 47,65
27 15,8 9,6 49,69 47,44
28 13,7 9,5 48,27 43,83
29 13,2 8,3 47,56 44,58
30 12,4 6,8 52,17 45,93

Mese di Novembre

DIREZIONE DEL VENTO PIOGGIA EVAPORAZIONE MORTI PER CHOLERA
12 m. 9 p. CITTÀ CAMP.
N E Calmo
2,3207 122 17
S 2,41
3,2382 87 10
S O OSO
2,6014 127 13
S O OSO
3,2814 119 7
N E OSO
1,9508 81 8
Calmo OSO
2,1372 88 8
N E Calmo
1,9214 93 2
N E OSO
1,8781 84 10
N E OSO
2,4286 58 9
O Calmo 9 4,5876 85 2
S O OSO
3,0980 52 6
Calmo OSO 0,57 2,3207 58 58
N E OSO
2,3855 51 7
S O OSO 0,03 3,0008 34 5
O Di Di 0 0,03 6,3417 30 7
N E Calmo
3,7888 18 2
O OSO 0,15 4,0055 24 24
N O N N O 1,74 4,8465 39 39
S O O
3,3244 21 8
S O O N O 1,17 5,4620 12 4
E O N O
4,9330 21 4
S O N N O
3,3029 16 6
N E OSO
2,5152 10 4
O OSO
3,9561 8 1
O OSO 1,43 3,3463 12 3
O O 4,86 3,0441 2 3
S O O 5,27 3,7976 6 3
S O Calmo 5,78 1,7055 14 3
OSO 17,28
2,9793 9
N O OSO 6,94 1,8189 7 1

Mese di Dicembre
Giorni TEMPERATURA PRESSIONE
MASSIMA MINIMA MASSIMA MINIMA
1 12,8 8,0 757,92 750,16
2 15,4 10,9 61,33 57,70
3 17,4 12,7 62,08 60,44
4 16,4 11,8 61,96 60,31
5 16,3 li,1 62,94 60,93
6 15,7 10,0 62,94 60,41
7 15,4 10,7 62,06 59,29
8 16,5 il,1 60,54 58,63
9 16,0 9,0 61,96 58,22
IO 12,8 9,6 65,32 60,14
11 15,4 7,9 61,39 56,07
12 16,5 11,8 59,69 56,01
13 17,1 13,1 58,91 56,13
14 17,2 14,4 56,84 49,32
15 17,2 14,5 52,70 46,74
16 18,1 13,3 55,11 52,68
17 16,2 9,4 54,74 46,43
18 12,8 10,1 56,43 47,21
19 12,4 9,3 58,63 55,46
20 13,5 8,4 60,23 57,83
21 14,5 8,2 60,73 58,91
22 13,8 8,5 61,33 59,74
23 14,3 8,3 65,15 60,66
24. 13,1 6,1 67,72 65, SI
25 13,0 6,3 66,24 62,71
26 13,0 6,7 62,81 61. 07
27 12,5 6,7 62,24 58,16
28 13,7 8,8 59,15 53,94
29 14,1 10,4 56,00 52,85
1 30 14,7 9,5 54,75 52,26
31 16,1 li,3 52,95 49,63

Mese di Dicembre


DIREZIONE DEL VENTO PIOGGIA EVAPORAZIONE MORTI PER CHOLERA
12 m. 9 p. CITTÀ CAMP.
E OSO
9,48 1,1982 7
N E OSO
1,1549 9 2
N N E OSO
1,8566 8
Calmo OSO
1,3923 6
N E OSO
1,1010 6
N N E OSO
1,4247 4
V IV E OSO
1,2575 7
Calmo OSO
1,3492 4 2
O S O N E 0,06 1,9005 6 6
N N E OSO
4,3717 2
N O OSO 1,91 1,8242 1
E N E OSO
1,2789 3
S O OSO
2,6450 5
S O OSO
3,7023 4
O S O O
3,3538 3
O S O O S O
2,8065 7
N N O N N O 11,04 4,6739 1
N E N E 7,24 5,1706 1
N N E O 1,59 4. 7818 2
Calmo OSO
2,0077 1
N N O OSO
1,8566

E N E OSO
1,4140 1
N E OSO
1,2845 2
N N E OSO
1,7810 1
Calmo OSO
2,0509 1
E S O
1,8566 1
N N E OSO
1,5631

O OSO 1,60 1,2197

O OSO 0,16 2,1047 1
S O OSO
2,8064

S O OSO
3,5512



Io aveva temuto, fin da principio dell’epidemia, che nell’autunno dell’anno 1866 si verificassero gravi ed improvvisi sbilanci di temperatura. E ciò, perché la temperatura media di tutto il rimanente dell’anno era stata molto elevata, e la siccità cosi grande e prolungata, da far credere che nell’autunno si sarebbero avute abbondanti piogge.

Volendo attenuare, per quanto stava in me, gli effetti nocivi degli improvvisi abbassamenti di temperatura, sopra i corpi indeboliti e seminudi delle classi più misere della popolazione; io aveva pregati i Signori componenti del Comitato di Beneficenza, presieduto da quell’egregio cittadino che è il P. Salvatore Lanza di Trabia, a volere impiegare la massima parte delle somme di cui disponevano, alla riscossione dei panni di lana posti in pegno al Monte di Pietà. Essi gentilmente acconsentirono; e quindi disimpegnarono e restituirono ai loro poveri proprietarii, una quantità ragguardevole di abiti e di coperte di lana. Nel fatto però il mio timore si mostrò infondato,perché la temperatura si mantenne assai elevata durante tutto il mese di ottobre,e decrebbe poi gradatamente nel mese di novembre; le piogge rimasero molto scarseggianti durante tutto il corso dell’epidemia. Non si ebbero improvvisi sbilanci di temperatura, salvo quegli ordinarli ai paesi del mezzogiorno, dove la temperatura subisce un’abbassamento improvviso e notevole appena è calato il sole; specialmente nella stagione calda e sulle coste marittime.

Soltanto una volta, ai 13 di ottobre, soffiò fortemente lo scirocco (18). ma non fa immediatamente succeduto dai venti del Nord; perciò, anche in questo caso, non si verificarono né i grandi ed improvvisi abbassamenti di temperatura, né le abbondanti piogge che generalmente si osservano al cessare di quel vento. Ciò nonostante nel giorno 14 ottobre e nei susseguenti si ebbe un notevole aumento dei casi di cholera, tanto nella popolazione civile come nella truppa; il che forse è da attribuire, in parte alla diminuzione della resistenza organica che succede all’azione prolungata dello scirocco sui corpi umani, in parte al modo con cui esso accelera la decomposizione putrida delle materie organiche, e provoca il sollevamento dal suolo di una maggior copia di emanazioni nocive. Questo aumento immediato del numero dei casi di cholera, dopo la sciroccata del 13 ottobre, fu sensibilissimo, ed avvenne in proporzioni molto maggiori di quelle che si rilevano dal quadro precedente; nel quale è notato soltanto l’ammonto del numero dei decessi che, naturalmente, si verificò qualche tempo dopo l’aumento del numero dei casi.

II territorio del Comune di Palermo presenta delle condizioni molto favorevoli alla constatazione del principio stabilito da Pettenkofer, che «le oscillazioni del livello dell'acqua sotterranea, od acqua del fondo, nei luoghi ove il terreno è molto permeabile e molto ricco di umidità, esercitano una notevole influenza sulla propagazione epidemica del cholera e che «l’abbassamento rapido di questo livello favorisce la propagazione del morbo». Infatti, in quelle parti del territorio di Palermo dove si osservano tali condizioni del suolo, il livello dell’acqua del fondo è quello stesso dell’acqua del mare, e subisce delle variazioni parallele e corrispondenti a quello di quest’ultimo. Ora, è antica osservazione dei marinai del Golfo di Palermo, che in esso il livello dell’acqua del mare, specialmente nelle ore della marea, subisce un notevole abbassamento quando spirano i venti di Nord, di Nord-Ovest, di Sud-Ovest, e di Est; mentre si solleva quando spirano venti di Nord-Est, Perciò, se invece di notare miseramente il numero dei morti di ciascheduna giornata io avessi potuto raccogliere il numero dei casi quotidiani, avrei potuto ancora porre la cifra che si rappresentava, in rapporto colla direzione e colla forza del vento che spirava nei giorni medesimi e nei precedenti, e cosi, forse, trarre argomento a constatare la verità di quel principio di Pettenkofer. In specie la Comune di Brancaccio avrebbe presentate condizioni favorevolissime a questo studio. Si sarebbe inoltre potuto osservare se, data la verità di quel principio, vi fosse una certa opposizione fra la campagna e la città; se, cioè, mentre l’innalzamento del livello delle acque esercitava una azione proficua in alcune delle comuni di Campagna, non ne esercitasi se invece una nociva in alcune parti della città; sostenendo e facendo ristagnare più facilmente le materie escrementizie entro i condotti neri che le percorrono. Tutto questo studio, per le ragioni anzidetto, rimane una semplice desiderata', né il quadro precedente, colle sue aride cifre di mortalità, può servire a spargere luce su questa importante quistione.

La epidemia di cholera del 1866, riusci meno funesta alla città di Palermo di quella del 1854. In una popolazione di 185,814 abitanti si verificarono nel 1854 5,334 morti di cholera, compresa la guarnigione; mentre nel 1866, con una popolazione di 201,375 abitanti se ne sono avverate soltanto 3,977. E ciò, sebbene la truppa stanziata nella città e nel circondario di Palermo fosse molto numerosa, reduce da una campagna penosa per lunghe marce e privazioni d’ogni natura, e sottoposta in Palermo a gravi fatiche, specialmente durante la notte. Nella popolazione civile, le disposizioni individuali a contrarre il cholera, sembravano dovere essere maggiori che nel 1854; poiché la depressione morale prodotta dal terrore dell’epidemia, si aggiungeva a quella precedentemente prodotta dal terrore dell’insurrezione e delle immediate conseguenze della medesima.

Le miserie della plebe e di una parte della cittadinanza mezzana, erano più grandi che nel 1854, e i loro effetti malefici si trovavano accresciuti dalla scarsezza e dall’alto prezzo dei generi di alimentazione. Se, ciò nonostante, la epidemia del 1866 fu meno grave di quella del 1854; io credo la si sia dovuta, in parte alla siccità dell’anno 1866, che forse valse a modificare utilmente lo condizioni del suolo; ma in gran parte ancora ai miglioramenti igienici procurati alla città dalla amministrazione municipale, nel periodo corso dal 1860 al 1866. Io non sò quanto l’opera mia, e quella dei colleghi e funzionari! che mi coadiuvarono nell’assunto di limitare, per quanto era possibile, la propagazione del morbo, e di combatterne le fatali conseguenze, abbiano contribuito a questo risultato, relativamente favorevole. Certo si é che esse sarebbero riuscite del tutto vane, se la intelligente attività del Municipio non ci avesse fatto trovar pronto un buon ordinamento del servizio di polizia urbana, e non mi avesse forniti i più larghi e generosi mezzi di azione.

Riassumendo quanto sono andato esponendo nelle varie parti di questo scritto, relativamente alla epidemia cholerica di Palermo nel 1866, io credo di poter formulare le seguenti conclusioni.

1° Il cholera fu importato in Palermo ed in Sicilia dalle truppe provenienti da Napoli, e sbarcate al Molo di Palermo dal 18 al 22 settembre.

2° La propagazione epidemica del cholera, in alcune parti del territorio del Comune di Palermo, sembra essere stata favorita:

Dalla permeabilità, dalla natura argillosa e dalla umidità del terreno sottostante alle abitazioni,

Dalla facilità offerta alla introduzione delle materie organiche, le quali contengono il germe o seminio cholerico, nelle acque potabili.

Dal ristagno delle materie escrementizie, che si verifica in alcune parti della città entro i condotti neri stradali, i quali sono in libera comunicazione cogli ambienti delle case circostanti.

3° Ci mancano gli elementi necessarii a giudicare se, in alcune parti del territorio di Palermo, l’abbassamento del livello dell’acqua del fondo abbia favorita la propagazione epidemica del cholera, e se, iu genere, le oscillazioni di questo livello abbiano esercitata una qualche influenza sulla propagazione medesima.

Palermo 4 aprile 1867.


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_______________________________

ANNOTAZIONI


(1) Ecco il quadro delle perdite subite dalla città di Palermo nelle tre precedenti invasioni del cholera.

Anno          POPOLAZIONE         MORTI DI CHOLERA

1837             176,752                         21,014

1854             185,814                         5,334

1855             182,220                         1,260

In Messina si calcola in modo approssimativo che nei 1854 perissero di cholera 10,293 persone. Sebbene ci manchi adesso il modo di rettificare questa cifra, pure sappiamo che tutti i dati concorrono a farla ritenere come inferiore alla cifra reale.

(2) Forse in nessun paese d’Europa la credenza che il cholera sia l’effetto di un avvelenamento delle masse per parte del Governo è cosi radicata come in Sicilia. Qui al le cause ordinarie di questa abberrazione popolare se ne sono aggiunte altre del tutto speciali, valevoli ad estenderla e mantenerla anco fra persone per educazione e cultura non volgari.

L’odio verso la passata dinastia era cosi generale da farla credere facilmente capace di qualunque eccesso, per quanto inumano e spietato fosse. Il contegno tenuto dal Governo borbonico durante la prima invasione cholerica del 1837 non fu certo quello che si doveva per ricondurre a migliori sentimenti verso di lui della gente disposta a non lasciar fuggire nessuna occasione di infamarlo e di screditarlo. Poiché se è giusto sollevarsi in nome della scienza e del buon senso contro l'accusa lanciata nel 1837 al Governo borbonico di avere ad arte sparso il cholera in Palermo e in Sicilia; è altrettanto giusto il rimprovero che dai meno appassionati gli venne fatto di essersi adoperato in quei tristi frangenti con una noncuranza inumana ed una incredibile imprevidenza politica. Infatti mentre la Sicilia ebbe a soffrire tutti i disagi e i dissesti economici di una. rigorosa quarantena, finché il cholera menava le sue stragi in Francia e nell’alta Italia, questa quarantena venne tolta ad un tratto appena il cholera invase Napoli. La cosa parve ed era cosi strana che anche i più moderati ed intelligenti di quel tempo ebbero a dire che si era voluto che la Sicilia non andasse immune dal flagello che aveva colpita la capitale. Altri non si limitò a questa accusa vaga e per cosi dire di intenzioni e volle profittare della opportunità per formulare un’accusa di fatto, e subito dopo i primi casi di cholera che apparvero, incolpare il Governo di avere avvelenato il paese. Era questi ultimi cito con dolore Michele Fodera uno dei più distinti medici italiani del suo tempo, il quale allora e poi si mostrò sempre convinto, almeno in pubblico, che il cholera fosse un avvelenamento, lo non credo che Fodera dicesse questo a buona fede, e ritengo anzi che, odiatore qual era del Governo borbonico, intendesse servirsi dell’autorità che gli dava la sua riputazione scientifica per rendere più facilmente credibile la tremenda accusa. In ogni modo è facile immaginare cosa dovessero fare e dire quelli i quali non avendo la posizione scientifica di Fodera, non avevano nel manifestare simili opinioni quei ritegni che avrebbe dovuti aver lui. Si disse, si scrisse e si è finora ripetuto che anche l’illustre Domenico Scinà credesse nel veleno e che, colpito dal cholera, corresse dal Governatore Duca di Cumia a chiedergli un contravveleno. Io sono lieto di poter ristabilire, colla testimonianza dell’onorevole Marchese di Torrearsa nipote del Duca di Cumia, la verità dei fatti che travisati dalla malevolenza e dalle esaltate immaginazioni popolari, hanno dato argomento a questa favola. Scinà era amico e familiare nella casa del Duca di Cumia, dove anche durante l’invasione cholerica dei 37 si conduceva quasi seralmente a geniale convegno. Egli era bensì spaventato dal terribile morbo e preoccupato dalla idea di rimanerne colpito, non però da pensieri indegni di un intelletto così distinto. Ammalatosi di cholera fu assistito dal Doti. Pacini, il quale narrando poi gli ultimi momenti della vita di quest’uomo insigne, riferì che per esprimere la qualità e la intensità dei suoi patimenti egli aveva detto «muoio come se fossi avvelenato». Su questa semplice frase si è edificata la leggenda di Scinà che appena colpito dal cholera corre in casa del Duca di Cumia a chiedergli un contravveleno e del Duca che, mostrandogli il cadavere di sua moglie morta di cholera, gli risponde «stolto! s'io possedessi un contravveleno ella non sarebbe morta». Gli ignoranti che credevano nel veleno e i disonesti che di questa credenza facevano arme di opposizione politica, erano troppo contenti di appoggiare la loro fede e la loro indegna manovra alla autorità di tanto nome; per lasciar fuggire la occasione di imprimere nelle immaginazioni volgari una di $ quelle lugubri, e fantastiche scene le quali, trasmesse per tradizione, rivestono apparenza di verità storiche.

Si aggiungano agli effetti morali di queste insinuazioni quelli prodotti dalla rapida diffusione del morbo; dalle fatali somiglianze che ha con alcuni avvelenamenti; dalla immensa strage che fecondagli avvelenamenti reali, che per vendetta o per cupidigia, si verificarono in mezzo alla completa dissoluzione di ogni legame sociale e di qualunque remora amministrativa o giudiziaria; dal fatto dall'Arcivescovo di Palermo Trigona che, morendo di cholera, manifestò la convinzione di essere avvelenato; e ben si comprenderà come l’idea del veneficio diventasse atto di fede in Palermo e poi in tutta Sicilia. Molti comuni dell'interno dell'isola si ordinarono in forza armata e respinsero a colpi: di fucile dal loro territorio chiunque vi era estraneo. In Siracusa la popolazione insorse, fece una rivoluzione politica, proclamò un Governo provvisorio, uccise alcuni, creduli avvelenatori; e poco dopo il Governo provvisorio presieduto’ dall'avvocato Adorno, invitò. il popolo a tranquillizzarsi, dichiarando pubblicamente che «si era trovata la causa del cholera e che era stata remossa». Del Carretto, accorso con mezzi potenti di repressione, spense facilmente questo fuoco di paglia e, dove sarebbe stato mestieri di miti consigli e di pietosi provvedimenti, credè miglior partito invece spingersi ad atroci ed efferate vendette. Queste furono cosi sanguinose,, e talmente sproporzionate alla entità dcl fatto, da lasciar persuase le genti, esaltate dall'odio e dalla paura, che il Governo punisse il popolo dell’aver scoperto il sua segreto. Da quel tempo in poi divenne proverbiale in tutta. Sicilia che «il cholera si cura colla polvere da schioppo». Nella invasione. cholerica del 1854 una parte dei liberali ebbe il torto gravissimo di prevalersi di questa convinzione così, estesa e profonda per accrescere odio al Governo, propagando con ogni mezzo l'insano errore. Molti poi se ne ebbero a pentire amaramente, quando alle prime minacce di nuova invasione nel 1865 si adoperavano a persuadere il popolo del contrario, e spesso si sentirono rispondere «se era un veleno quando c'era Ferdinando non avrà cessato di esserlo perché c'è Vittorio Emanuele». La immunità completa di cui l’isola godé nel 1865, mentre fu dalle persone oneste e intelligenti attribuita alle rigorose quarantene; dal popolo, abituato da secoli a considerare il Governo come un’ente astratto e malefico, fu credula l’effetto dell’altitudine minacciosa presa da lui, soprattutto in Messina. Con tali disposizioni delle masse, continuamente fomentate dalle malvagie insinuazioni dei nostri nemici politici, i quali seguirono in questo la lattica precedentemente usata dai loro avversarli; non è meraviglia se la invasione cholerica del 1866, che avvenne subito dopo la repressione della rivolta del settembre, fosse considerata come un’applicazione dell’antico «vae victis». Se non che questa volta gli odii locali erano cosi eccitali, le offese fatte durante la rivolta al Municipio e al Sindaco Rudini cosi gravi, che la vendetta si credè più Municipale che Governativa; tanto più vedendo il servizio di assistenza pubblica, sempre sospetto in simili casi, esercitato esclusivamente dal Municipio. Sembra che questa idea non corresse soltanto nella plebe, poiché ih Commissario Regio Cadorna ricevé parecchie lettere anonime scritte abbastanza bene e con accento di profonda convinzione; nelle quali gli si diceva che, essendo conosciuto come un uomo di buon cuore; si sperava ponesse un argine alle indegnità commesse dal Municipio. In alcune di queste lettere si conveniva della esistenza del cholera in Palermo, ma la si diceva cosa di poco momento, e si affermava che, profittando della occasione il Municipio faceva girare di notte' una carrozza la quale spargeva polveri venefiche. In una che io conservo, si assicura che il cholera finirebbe entro quattro giorni, qualora si facesse perlustrare la città durante la notte da forti pattuglie. Più tardi, in grazia dell’influenza personale e della operosità dei medici degli Uffici Municipali, questa aberrazione parve farsi meno generale, ma fu ben lungi dall'estinguersi. Perdurò e perdura tuttavia; poiché in occasione dell’incendio avvenuto nel Palazzo del Municipio il 26 dicembre 1866 si diceva nel popolo che io, partendo per Napoli dove allora mi trovava, aveva lasciato l’ordine di distruggere in quella bella maniera tutti i documenti, i quali avrebbero potuto comprovare il mio misfatto.

(3)L a Commissione sanitaria dei 1863, la quale prestò gratuitamente i suoi servigi al Municipio era composta dei Signori Dottori Giovanni Piazza, Giuseppe Arcaleo, Reves, Giaconia, Dichiara, Leto, Lodi, Antonino Macaluso, Abbate, Ferina, Palazzotto, Barbera, e Gebbia. Quasi tutti questi Signori furono a capo di servizi! importanti durante il cheterà del 1866, e mi coadiuvarono con molla intelligenza e cordialità sino alla fine dell'epidemia.

(4) Per più ampie notizie sulla costituzione del suolo dei Colli vedi—Inzenga—Descrizione dell’istituto agrario Castelnuovo P. 61 — e il — Rapporto sulle lagune di Mondello, negli Annali di agricoltura siciliana, anno 10°, fascicoli 32 e 33.

(5) Ecco il quadro della popolazione del comune di Palermo, secondo il censimento del 1861

Città 

 MANDAMENTI                      TOTALE degli abitanti

1. Palazzo Reale                                         34,096

2. Monte di Pietà                                         31,89

3.Tribunali                                                     34,541 4*.

4. Castellammare                                         31,248

3. Oreto                                                             11,579

6. Molo                                                                24,271

Totale                                                                 167,625

Rapporto medio della popolazione per ogni chilometro quadrato 6705,00.

Campagna

COMUNI RIUNITI                                                             TOTALE degli abitanti

1. Tommaso Natale, e Sferracavallo *                             2,676

2. Partanna, Pallavicino, e Mondello *                           2,948

3. Resuttana, e S. Lorenzo *                                                 3,436

4. Baida, e Boccadifalco                                                         4,065

5. Zisa, e Uditore                                                                        5 258

6. Mczzomonreale, e Porrazzì                                             1,454

7. Falsomiele, e Grazia                                                             2,109

8'. Brancaccio, e Conte Federico                                         4,892

Totale                                                                                             26,838

Rapporto medio della popolazione per ogni chilometro quadrato         215,62.

Totale generale della popolazione nel 1861                                                     194,463

'Totale generale della popolazione nel 1865                                                     201,375

* Contrada dei Colli.

(6) Vedi la descrizione di Palermo alla metò del decimo secolo di Ebn-Haucal di Bagdad, e quella di Palermo nella seconda metà del dodicesimo secolo, di Ebn-Djobair di Valenza, pubblicate por la prima volta da Michele Amari Bel Journal Asiatique 1845-1846. Esse mi hanno servito a constatare l'esattezza della massima parte del tracciato delibate Morso,e nello stesso tempo a rettificare alcune delle denominazioni usate da lui.

Per mezzo di esse e del lavoro di Morso (Descrizione di Palermo antico,1827) ho potuto, aiutandomi collo studio accurato dei movimenti del terreno, riprodurre sulla carta dell’attuale Palermo i limiti dei due seni marittimi, quali esistevano ancora nella seconda metà del secolo duodecimo. Lo spazio designato nella carta di Morso al n. 64 col nome di Ripa delle Baiale rappresenta la porzione, già in quel tempo interrala, del seno marittimo meridionale il quale in epoche anteriori si prolungava fino a porta di Castro. Della Cannizzara (Chemonia dei Greci) deviata adesso per irrigare i giardini della Conca d’Oro, non esistono più se non piccolissime tracce rappresentale dalla fossa della garofala, fuori porta di Castro, e dal cosi detto condotto di Malotempo che percorre la via di porta di Castro. L’Ain-Saidin o Deuisinni e scomparso del tutto, frazionato com’è in tanti rigagnoli d'irrigazione, dopo aver servito alle lavandaje del villaggio dello Denisinni nel Comune di Zisa. Alla metà del duodecimo secolo le alluvioni di questo fiumiciattolo, e di altri corsi d'acqua che sboccavano nell'antico porto, avevano convertila l'estrema parte di esso in una palude nella quale crescevano dei papiri, e che perciò fu chiamalo il Papireto. Il quartiere degli Schiavoni o di Sacalibah posto sulla riva settentrionale del porlo fu perciò detto dagli scrittori dell’epoca normanna Trans-papyretum. Ho voluto accennare queste poche cose per maggiore intelligenza delle due carte topografiche qui unite: per ulteriori e più ampie notizie il lettore dovrà consultare i lavori sopra citali, ed inoltre la Topografia di Palermo di Domenico Scinà, 1818.

(7) A questo enunciato generico fa eccezione il suolo di quella parte della via Butera che avvicina la Porta Reale, come pure quello sottostante alla Villa Giulia e all’Orto Botanico. In queste parti della città il mio amico Prof. Gemellavo ha trovalo allo scoperto un conglomerato post-pliocenico, e perciò sebbene si tratti di punti della città il di cui livello è molto basso, non si può ammettere che quivi esistesse un fondo marino.

Varie cause hanno contribuito alla scomparsa, relativamente cosi rapida, delle insenature marittime che si addentravano nella città. Prima di tutto le alluvioni della Cannizzara, del Denisinni e di altri corsi d’acqua che immettevano nell'antico porto. Poi la incuria nel cavare il fondo dei seri marittimi, la quale durante le dominazioni Sveva e Aragonese fu molto maggiore di quello che nel periodi precedenti Arabo e Normanno. Infine il lavoro degli uomini; poiché, fra gli altri documenti, esistono prove storiche di lavori eseguiti dal Conte di Albadelista Viceré di Sicilia nel 1591 per disseccare la palude del Papireto. A tutte queste cause efficienti del disseccamento deve aggiungersene un'altra, cioè il sollevamento progressivo della costa settentrionale di Sicilia nel periodo post-terziario, illustrato da Gemellaro in una pregiata memoria sulla Grotta di Carburanceli inserita nel giornale delle Scienze naturali ed economiche di Palermo, Voi. 1° p. 255.

(8) Per dare una idea di queste differenze di livello e della loro importanza pongo qui le cifre che rappresentano in metri l'altezza del piano della strada principale di Palermo, il Cassaro o Corso Vittorio Emanuele,sul livello del mare. Vicino al mare, a Porta Felice metri10

Alla Piazzetta della Marina in faccia alle Finanze             »             2,80

Ai quattro Cantoni                                                                         »             18,10

Alla Piazza Bologni                                                                         »             20,00

Alla Porta Nuova (in fondo alla Piazza Vittoria)                 »             28,32

L’altezza della via Macqueda è a Porta s. Antonino            »             22,53

A Porla Macqueda                                                                             »             21,28

Nelle parti corrispondenti ai due antichi seni marittimi questa strada è costruita sopra un argine artificiale, che in alcuni punti si solleva di molli metri sul livello delle strade collaterali.

(9) L’egregio Prof. Niccolo Cervello il quale durante il cholèra dcl 1866, senza avere assunto alcun pubblico ufficio ha dato prove di un coraggio e di una abnegazione superiori ad ogni elogio, ha osservalo che: date uguali le altre condizioni igieniche delle abitazioni popolari, il cholera si è maggiormente diffuso in quelle strade le quali corrono parallele al fronte marittimo della città. Questo, come ho già detto in principio, è rivolto verso Greco, dove pure è rivolta la grande apertura del Golfo di Palermo. In conseguenza il vento che maggiormente domina fra noi è il Greco (Nord Est), il quale spira nella direzione di tolte le strade della città che scendono perpendicolari al fronte marittimo della medesima. La osservazione del Prof. Cervello ha tanto più valore in quanto che, ripeto, la massima parte dei cala di di Palermo non ha modo di rinnovare l’ambiente interno, se non per mezzo della porta che dà sulla strada.

(10) Io sono stato molto preoccupato, lino del primo giorno nel quale intrapresi il servizio Sanitario Municipale, di questa condizione di cose. Non era possibile riparare in breve tempo ad inconvenienti di tal natura, ed anco lo fosse stato era impossibile trovare i mezzi finanziarii per farla. Non ho trascurato però nessuna occasione di insistere sulla necessità della conversione delle campane in pozzi neri, a pareti ben limitate ed impermeabili. Sarebbe desiderabile che al sistema dei condoni fosse interamente sostituito quello dei pozzi neri o delle botti mobili, poiché cosi sarebbe preservato il terreno da ulteriori infiltramenti di materie organiche in decomposizione, e nello stesso tempo si potrebbero raccogliere ed utilizzare nell'agricoltura le materie escrementizie, invece di lasciarle disperdere a mare. Nei mio concetto la rete dei condotti che adesso esiste in Palermo, dovrebbe servire esclusivamente allo scolo delle acque piovane e delle acque sporche delle case. Qualora non fosse possibile intraprendere questo lavoro di sostituzione sopra una vasta scala, si potrebbero intanto, in via provvisoria, costruire in vicinanza del mare dei vasti serbatoi chiusi, nei quali le materie portale dai condotti si accumulassero e dai quali di tempo in tempo venissero estratte colle pompe. Tali serbatoi dovrebbero comunicare col mare per mezzo di aperture chiuse da cateratte, onde lasciar versare nel mare il loro contenuto, ad ogni sopravvenienza di pioggia. Questo sistema ibrido lascerebbe sussistere molli degli inconvenienti che adesso si lamentano; ma intanto renderebbe indipendente il corso delle materie nei condotti dalla influenza detraila marea e dai venti di NordEst, permetterebbe di dare una maggiore inclinazione alle parli estreme dei condotti terminali, ed assicurerebbe, colla vendila delle materie esimile, una rendila cospicua al Municipio. Il Sindaco Budini commesse nel luglio del 1866 all’Ufficio Tecnico di intraprendere degli studii in ordine a questa idea, e nello stesso tempo decretò che nella costruzione dei condoni nuovi e nella riparazione dei vecchi fosse adoperato il calcare compatto invece della breccia calcarea, eia calce idraulica invece della ordinaria, onde evitare l'infiltramento delle materie nel terreno circostante.

Sarebbe poi da provvedere perché ai tubi i quali attualmente conducono l’acqua potabile fossero sostituiti tubi di ghisa, almeno in quelle parti della città dove il terreno è più permeabile.

(11) Una sola volta questa sorveglianza difettò o, per dir meglio, fu delusa da una violenza popolare. Sulla fine dì agosto uno Sciabecco proveniente da Napoli entrò nel por di Messina per fare la sua contumacia. Fu sfrattato. Il capitano e l’equipaggio del bastimento erano nativi dell'isola della Salina (Isole Eolie) e pensarono bene di andare a consumare la contumacia in patria. Arrivati che furono alla Salina la popolazione fece a rovescio di quella di Messina; cioè, mossa da non so quali affetti pel capitano e per l'equipaggio dello Sciabecco, sforzò la consegna delle guardie della costa e obbligò l'equipaggio a scendere a terra. Il capitano fu attaccalo dal cholera poco dopo disceso a terra; poi si ammalarono di cholera alcuni uomini dell’equipaggio ed alcune persone del paese. In tutto l’epidemia si limitò a sette casi di malattia, durò pochi giorni, dopo i quali si estinse interamente. Non occorre dire che immediatamente dopo primo avviso di questo fatto furono sottoposte a contumacia tutte lo provenienze della Salina, tanto nelle altre isole Eolie, come in Sicilia. In tutto il corso dell'anno 1866 nessun altro caso di cholera si è manifestalo nel gruppo delle isole Eolie.

(12) Conservo ancora la copia di un rapporto da me diretto il 9 ottobre al Questore di Palermo a carico di un Delegato di polizia, il quale nell'Ufficio di soccorso del Mandamento Tribunali disse al medico di guardia, in presenza di parecchie persone, che a il cholera non esisteva e che per farlo finire bastava togliere la paga ai medici municipali interessati a far credere che ci fosse cholera in Palermo). Cosicché da un lato ì poveri di spirito credevano nel veleno, dall’altro i furbi non credevano all'esistenza del cholera. E mentre, nel principio di ottobre, per qualche giorno io mi trovava costretto a diminuire le cifre dei casi nei miei bullellini, onde non spaventare di troppo la popolazione; mi è avvenuto di vedere spesso la mia povera e adulterata cifra, accolla con un sogghigno di incredulità da molle persone che, credendosi furbi, ritenevano si trattasse di pretta invenzione. Più tardi i furbi cambiarono sistema. Invece di credere che le cifre dei miei bullellini fossero esagerate o inventate, si immaginarono che fossero di molto inferiori alle cifre reali; mentre io (forse a torto) dava le vere. E allora fantasticarono di quattrocento o cinquecento morti al giorno, per quanto i miei impiegati si sbracciassero a predicare che la massima cifra e radiata quella del 20 ottobre, cioè di 175 morti.

(13) Non è senza importanza il far notare che, mentre nessuna delle lavandaje e nessuno degli impiegali della lavanderia municipale fu attaccato dal cholera durante tutto il corso dell’epidemia; nel villaggio di ’Dcnisrnni invece, dove si lava quasi tutta la biancheria delta città, morirono di cholera undici lavandaie. Gli impiegali della lavanderia municipale andavano a prendere le biancherie sporche con delle tinozze di legno, entro le quali era posta una leggera soluzione di cloruro di calce. Giunti alla lavanderia, le biancherie erano poste per ventiquattro ore in altre tinozze ripiene di una soluzione consimile. Soltanto dopo aver subito questo trattamento, la biancheria veniva consegnala alle lavandaie impiegate dal Municipio.

(14) Ecco la nota del personale sanitario quale si trova definitivamente costituito dopo alcuni lievi cangiamenti subiti dal personale che funzioni nei primi giorni della epidemia.

PRENOME E NOME                                                                             QUALITÀ UFFICIO

Sigg.

« Abbate Vincenzo                                                                               Medico Ispettore Centrale

« Salcmi Bernardo                                                                               id. id.

« Giaconia Saverio                                                                               id. id.

« Reyes Sebastiano                                                                              id. id.

« Campisi Giovanni                                                                             Perito Farmacista id.

« Piccolo Girolamo                                                                             Direttore Soccorso Mandamento Castellammare

« Randacio Francesco                                                                        id. id. Tribunali

« Corradi Alfonso                                                                                 id. id. Monte Pietà

« De Franchis Michele                                                                         id. id. Palazzo Reale

« Palazzotto Domenico                                                                       id. id. Molo

« Puritano Giuseppe                                                                             id. id. Ortobotanico

« Barbera Vincenzo                                                                                id. Ospedale succursale alla Consolazione

« Arculeo Giuseppe                                                                                id. id. Valverde

« Piazza Giovanni                                                                                     id. Ospedali succursali a S. Gregorio Papa e Annunziala

« Nicolai Giovanni                                                                                 Medico condotto Comune di Mezzomorreale e Balda

« Leone Giacomo                                                                                     id. id. Zisa

« Marcianò Francesco                                                                          id. id. Brancaccio

« Leto Filippo                                                                                             id. id. Falsomiele e Grazia

« Testa Giuseppe                                                                                     id. id. Resuttana e S. Lorenzo

« Amato Antonio                                                                                     id. id. Sferracavallo e Tommaso Natale

« Chines Giuseppe                                                                                     id. id. Mondello e Pallavicini

« Cav. Notarbartolo Pietro                                                                  Delegato Municipale Delegazione Mandamento

Castellammare

« Castagna Pietro                                                                                        id. funzion. id. Tribunali

« Sidoti Francesco                                                                                     id. id. Monte Pietà

« Urbano Carmelo                                                                                     id. id. Palazzo Reale

« Ludovisi (Luogotenente)                                                                     id. funzion. id. Molo

« Sanzo Leopoldo                                                                                     id. id. Ortobotanico

« Reggio Oreste                                                                                         Ispettore : Trasporti mortuari!

« Vizzini Ferdinando                                                                                 id. Camposanto ai Rotoli

(15) In Palermo, anche nelle classi più facoltose, l’alimentazione scarseggia generalmente di carne, ed è principalmente costituita da farinacei, vegetabili e dolci, dei quali si fa qui un uso estesissimo. Non pertanto gli armenti dell’isola, montuosa e scarsa di pasture com’è, sono insufficienti a fornire la carne necessaria al consumo della città, por quanto piccolo sia. Infatti la massima parte degli animali bovini macellati in Palermo provengono o dalla Sardegna o dalle provincie Napoletane. Nello scorcio del 1866, i noleggi dei bastimenti che li portano si trovarono straordinariamente elevati, per effetto della quarantena di 15 giorni alla quale erano sottoposti nel porto di Palermo prima dell’invasione; e nei porti dove facevano ritorno, dopo che il cholera ebbe invasa la città. Inoltre, appena si seppe che in Palermo era il cholera, la città si trovò circondata da una zona di terrore che la isolò quasi interamente dal resto della provincia, e sospese quasi del tutto le importazioni dall’interno. Queste ragioni contribuirono ad elevare il prezzo della carne e quello delle farine; il quale ultimo era già per l’avanti assai cresciuto in conseguenza della scarsezza dei raccolti che afflisse tutta Italia nel 1866, ed in specie la Sicilia. Così avvenne che in Palermo molti alimenti di prima necessità divennero inaccessibili non solo alle borse del popolo, ma anco a quelle della piccola borghesia;. e specialmente alla numerosa classe degli antichi impiegali, immiserii i dalla malaugurata legge sulle disponibilità. Molti di questi, durante il cholera, dovettero ricorrere ai SOCCORSI municipali per provvedere alla sussistenza propria ed a quella delle loro famiglie; ed io rammento ancora le penose impressioni provale in quel periodo di tempo, quando vedeva affollarsi nel mio Ufficio uomini e donne di condizione civile, a chiedere niente altro che buoni di carne e di pane. Non parlo del popolo minuto, il quale nei suoi infelicissimi tugurii ci offerse tali spettacoli di miseria, quali io avea fino allora ritenuti possibili soltanto in Irlandar od in alcuni quartieri di Londra.

(16) V. lo scritto del Dr. Caralozzolo intitolino Sui cholerosi delle Grandi Prigioni. Palermo 1866.

É a notare che fra i 117 morii ve ne sono 40 i quali erano stati curati da un preteso specificista, un tal Pappalardo di Siracusa, che per sei giorni fu proposto dal Reggente della Prefettura di Palermo alla Direzione dell'Infermeria dei detenuti cholerici.

(17) È da notare a questo proposito che nel cholera del 1854 la mortalità verificatasi nei Mandamenti Castellammare e Tribunali, fu proporzionatamente minore di quella del 1866. In allora essa superò la mortalità dei Mandamenti Monte dr Piota e Palazzo Reale soltanto di un quarto; mentre nel 1866 l'ha superata quasi della metà. Giova però osservare che nel 1854 la rete dei condotti neri non era così vasta come è adesso; poiché durante la sola gestione Rudini, se ne sono costruiti quasi per 12 chilometri di nuovi. Quindi nel 1854 rimaneva sul posto, raccolta nelle campane, una gran quantità delle materie escrementizie, che adesso scendono a mare percorrendo i condotti neri maestri delle parli più basse della città.

(18) Il vento che in tutto il mezzodì d'Italia porla il nome di Scirocco, non è il vento di Sud-Estnotato nella classica Rosa dei Venticon questo nome. É invece un vento di Sud Sud-Ovest, è il terribile Simoundegli Arabi, è il benefico Foinche, sciogliendo le ghiacciaie delle Alpi, permette agli Svizzeri di coltivare alcune delle cime dei loro monti. La corrente d'aria che lo costituisce, portata ad altissima temperatura dalle infuocate sabbie del deserto di Sahara, perviene a noi traversando il piccolo tratto di mare che separa la Sicilia dalla penisola di Cartagine. In questo breve traggitto marittimo la di lei temperatura si abbassa di ben poco, l'umidità di cui si carica è troppo scarsa, perché essa raggiunga il suo punto di saturazione; ond’è che arriva fino a Palermo calda, relativamente asciutta, e contenente ancora in sospensione la minutissima sabbia del Sahara. Per effetto della sua alta temperatura questa colonna d'aria occupa prima le alte e poi le basse regioni dell’atmosfera. Infatti lo scirocco viene annunziato da un velamento biancastro, o bianco rossastro, che si stende nell’atto dell'atmosfera e, durante la notte, da una più forte scintillazione delle stelle. Succedono poi degli aliti caldi nella bassa atmosfera, e finalmente il vento incomincia a soffiare, generalmente con gran forza. La evaporazione alla superficie del corpo si fà attivissima, la pelle diventa asciutta, si produce un senso penoso di aridità nella congiuntiva e nella muccosa delle vie respiratorie; le orine divengono più scarse e più colorate ed il loro peso specifico aumenta notevolmente. La sete non è né cosi forte, né cosi costante, come alcuni pretendono; piuttosto è costante un sentimento di generale ambascia, accompagnato dalla depressione di tutte le azioni del sistema nervoso, e specialmente delle azioni intellettuali. In alcuni individui a questa depressione si aggiunge una mobilitàmaggiore delle azioni medesime; cosicché, a seconda dei caratteri individuali, si vede apparire o una insolita irritabilità, o una singolare espansività. Nelle persone molto delicate ed impressionabili, questo stato anormale del sistema nervoso arriva talvolta a suscitare la febbre. La respirazione si accelera in proporzione della rarefazione dell’aria, la quale giunge alcune volte a tale, da rendere impossibile il caricare le macchine elettriche. Ilpenoso senso di calore prodotto dallo scirocco, non è proporzionato all’aumento di temperatura dell’aria, il quale di rado, anche nella grande estate, sorpassa i 40 gradi del centigrado; mentre talvolta una fiatata di scirocco vi fa la stessa impressione che l’esser davanti alla bocca di un forno fusorio. Sembra che questo vento non sia per se stesso nocivo alla salute umana. Lo è piuttosto per effetto dei venti che gli succedono; i quali, quando soffiano dal Nord, producono uno improvviso abbassamento della temperatura c, condensando ad un tratto i vapori acquei accumulati nell’atmosfera dallo scirocco, generano abbondanti piogge. Durante un’epidemia di cholera però la comparsa dello scirocco è sempre temibile; non solo per la considerazione anzidetta, ma anche perché provocando una attivissima evaporazione del suolo, moltiplica le emanazioni nocive che se ne sollevano, perche accelera la decomposizione putrida delle materie escrementizie, e perché, in poche ore produce la corruzione di molti commestibili e in special modo delle carni.










Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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