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«Il Governo ci regala il vento dell’Africa» dalla illusione garibaldina a Lu Setti-e-menzu (Zenone di Elea - Dic. 2021)

IL

REGIME ECCEZIONALE

IN SICILIA

PAROLE

DI

FRANCESCO CRISPI

DEPUTATO AL PARLAMENTO

Libertà vo cercando

TORINO 1863

PER GLI  EREDI ROTTA

Tipografi della Camera dei Deputati

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

A MIEI AMICI DELLA SICILIA

Mandandovi il discorso pronunziato dame nella tornata parlamentare del 10 corrente, sento il bisogno di farlo precedere da poche parole che vi rivelino l’animo mio nelle difficili contingenze in cui versa il paese.

Quando il deputato D’Ondes-Reggio chiese d’interpellare il ministro della guerra sulle operazioni militari in Sicilia per l’arresto dei renitenti alla leva e dei disertori dall’esercito, non ne fui lieto, giacché io non poteva in alcun modo sperare che l’Italia ne avrebbe ottenuto qualche vantaggio. Ormai so per esperienza che le discussioni alla Camera sulla politica dei consiglieri della Corona si chiudono con voti di fiducia, ai quali anche concorrono, il popolo forse l’ignora, moltissimi di coloro che sono nemici personali dei ministri. Cotesti voti ripetuti ormai da tre anni nell’aula del palazzo Catignano, malgrado i mutamenti di persone nell’amministrazione dello Stato, non tornano certo ad onore della giustizia,  né valgono ad accrescere fede nelle moltitudini per le istituzioni nazionali. Prudenza quindi esige di evitarli, o per lo meno renderli rari.

Parecchi de' miei amici politici s’inscrissero per parlare. Io mi astenni di farlo.

Apertosi il dibattimento nella giornata del 5 dicembre, al deputato D’Ondes-Reggio, cui toccò il primo la parola, succedettero il ministro della guerra e l’onorevole Govone. Il tuono dato da questi due oratori alla disputa amareggiò quanti ci erano patrioti i quali negli ultimi sedici anni cospirando e battendosi alle barricate si erano cooperati pel trionfo dell’unità nazionale. La quistione prese proporzioni municipali, mentre le accuse al Ministero, quantunque si riferissero a casi dei quali la Sicilia era stata il teatro, colpivano il sistema di governo inaugurato col regno d’Italia da coloro che sin oggi ne han tenute le redini. Accortosi, o forse prevenuto del cattivo effetto di alcune sue parole, l’onorevole Govone, nella tornata del 7 venne a temperarne il significato; cotesto atto, se fu un pentimento, non potè essere una riparazione; anche cancellato

quello ch’egli aveva improvvisato, restava sempre quello che egli aveva scritto e che inopportunamente era stato letto alla Camera dal ministro della guerra. Il deputato Govone non poteva più distruggere il rapporto del generale Govone diretto da Girgenti

al suo ministro, rapporto nel quale dicevasi che «la Sicilia soprattutto la provincia di Girgenti, sotto alcuni aspetti, è in condizione che si avvicina ai mezzi tempi.»

Il ministro Peruzzi che è il più destro de' suoi colleghi, anch’esso dopo il generale Della Rovere interessato nella lotta, sorse a difendere l’operato del Ministero, ed a moderare la dolorosa impressione prodotta dai discorsi ufficiali ch’erano stati ascoltati, esordì con una lode ai prodigi siciliani del 12 gennaio. Trascinato però dalla necessità di scusare gli atti illegali nell'isola, i quali, secondo il suo modo di vedere, erano una forzata conseguenza della pretesa avversione di quel popolo alla leva, disse che cotesta avversione erasi anche manifestata al 1848, allora non essendo stato possibile riunire un esercito, malgrado che il Governo dell'isola non avesse mancato a' suoi doveri per fare soldati. Due giorni dopo venne dicendo le stesse cose il generai Bixio pel 1860.

Raccoglievasi intanto la Sinistra per discutere l’argomento delle interpellanze e per decidersi intorno al voto che conveniva dare in quella circostanza. In una delle sue riunioni fu stabilito di presentare uno speciale ordine del giorno, il quale suonasse la sfiducia negli uomini che attualmente sono al potere. Il suo presidente venne incaricato di svolgerne i motivi.

Cotesto ordine del giorno e i discorsi dei ministri

e dei ministeriali segnavano i limiti entro i quali io doveva ragionare alla Camera. Il deputato D’Ondes-Reggio aveva proposto un’inchiesta sugli avvenimenti siciliani; dopo le cose dette dai generali Della Rovere e Govone e dal ministro Peruzzi ogni indagine era superflua, giacché essi non avevano negato ciò che loro era stato imputato, ma si erano difesi apponendo quale legittimo motivo dei loro atti lo stato anormale del paese a cui era stato applicato il regime eccezionale; era dunque mio debito innanzi tratto profittare della loro dichiarazione, rifacendo un esame delle violazioni portate alla legge. Veniva dopo la necessità di rivendicare il popolo siciliano dalle accuse che gli erano state lanciate, e per la presunta sua ripugnanza alla leva, e pel suo stato di civiltà che si era voluto dipingere inferiore a quello delle altre genti italiche.

Il mio amico, il deputato Mordini, aveva diggià toccato con molta maestria cotesto argomento, e in bocca di un toscano ogni lode del nostro loco natio non poteva essere sospetta. Il deputato Cordova aveva schiacciato sotto il peso della dottrina e dei sarcasmi coloro, i quali avevano annunziato dalla tribuna che la Sicilia non è ancora uscita dal ciclo della barbarie. A compiere il quadro, io non doveva che, con l’aiuto delle statistiche penali, provare chela nostra popolazione in fatto di moralità non è al disotto di quella delle provincia che altra volta costituivano il regno sardo.

Ultimo tema a svolgere, e questo io solo il poteva ed era mio dovere il farlo, fu la condotta dei Siciliani al 1848 e al 1860. Due volte iniziatori del movimento nazionale, era stato detto che nulla avevan fatto per l’Italia e tutto per loro, e che essi avevano perduto la rivoluzione del 12 gennaio per non averla voluta difendere. Richiamando alla memoria alcuni atti della Camera dei comuni e i fatti succedutisi dall’aprile 1848 all’aprile 1849 sorse splendida la prova, che la libertà tra noi non cadde per inerzia di popolo, ma per incapacità degli uomini che ci governarono.

L’ordine del giorno della Sinistra constatava che il Ministero si era ribellato alla legge. Era impossibile ottenere che la Camera lo accettasse, e però era necessario dichiarare che non è più in essa il rimedio col quale si possano sanare i mali che travagliano gran parte delle provincie del regno.

Ogni assemblea ha l’impronta della sua origine, e dopo un corso di anni ha norme ed abitudini dalle quali non sa distaccarsi. Oramai non si presta fede agli uomini di parte democratica, e sistematicamente è respinta ogni accusa che essi fanno al potere esecutivo. Due anni addietro, il 10 dicembre 1861, io censurai l’amministrazione pubblica, previdi tutto ciò che dappoi è avvenuto in Sicilia, ma non per questo fui ascoltato. Le mie lagnanze sono state ripetute, preveduti i pericoli che ci minacciano.

La Camera ed i ministri procedono nella loro via, e non si accolgono che, invece d’ispirar fede nell’avvenire, essi han gettato il disordine morale in tutte le classi della società.

Il discorso che io vi mando fu chiuso da un concetto che applaudito dalle tribune, suscitò violenti tumulti nella Camera e mi costò un richiamo all'ordine. Io comprendo che la frase un po’ ruvida doveva ferire le orecchie degl’interessati. Se il coro degli urli fosse cessato, se all’intolleranza fosse succeduta la calma, avrei dato quelle spiegazioni che avrebbero soddisfatte le coscienze più timorose.

Il 6 giugno 1862, discutendosi la politica del Ministero pei casi di Saruico, io dichiarai alla Camera che essa non trovavasi più nelle condizioni nelle quali era sorta, e che si rendeva necessario un appello agli elettori. Anche allora io dissi, che l’assemblea rappresenta legalmente il paese, finché questo non siasi altrimenti pronunziato. Coteste parole, il cui significato è uguale a quelle state censurate nella tornata del 10 corrente, fecero sensazione, ma non furono riprovate.

Ogni assemblea rappresentativa ha limitati, dalla Costituzione dello Stato, i giorni della sua esistenza. Ciò nella previsione, ch’essa potendo nel corso degli anni non essere più l’espressione della pubblica opinione, sia necessario rinnovarne gli elementi per salvare il paese da un cataclisma. Quello che regolarmente si ottiene al termine d’ogni Legislatura, può essere richiesto durante la stessa dalle necessità della politica nazionale. Tra popolo e Parlamento possono manifestarsi dissidii; può altresì nel seno dello stesso Parlamento sorgere tal numero di frazioni di partito che alle medesime riesca difficile -la formazione di una maggioranza senza quelle transazioni interessate che pregiudicano gl’interessi dello Stato. In tale situazione non vi è che un solo rimedio: sciogliere la Camera per rifarla con nuove elezioni.

Cotesta è una prerogativa data al Re dall’articolo 9 dello Statuto. Il principe ne usa nei modi costituzionali in tutta la sua indipendenza, senza altra norma che la sua volontà, senza altro giudice che la sua coscienza.

Qualche giornale attaccò come eterodossa la teoria proclamata da me alla tribuna di un appello del Re al paese, quasi che la medesima contenesse i germi di un colpo di Stato.

La legge fondamentale della monarchia risponde per me alle accuse. Si può discutere, se sia il tempo di sciogliere la Camera, ma non può negarsi che il Re ne abbia il diritto,  né si potrà dire che consigliando ciò al Re, si chieda da lui una illegale violenza.

Ci furon di coloro che, durante l’agitazione della Camera, m’imputarono che io volessi con le mie parole esautorare il Parlamento. Finché questo Parlamento sieda, esso è il rappresentante legale della nazione e dev’essere obbedito. Può ssi invocarne la fine, criticarne le opere perché se ne ottenga una riforma; giammai negare autorità a' suoi atti, o proporre che le sue deliberazioni non siano rispettate.

15 dicembre 1863.

F. CRISPI.


CAMERA DEI DEPUTATI

TORNATA DEL 10 DICEMBRE 1863

PRESIDENTE. Verrebbe ora il turno dell’onorevole Bertani, ma egli l’ha cambiato coll’onorevole Crispi; do quindi a lui la parola per isvolgere l’ordine del giorno da lui presentato in compagnia di molti altri suoi colleghi.

Questo è così concepito:

«La Camera, considerando che dalla discussione risulta avere il Ministero apertamente violate le leggi dello Stato, ritiene superflua l’inchiesta parlamentare, e passa all’ordine del giorno.»

CRISPI. Signori, prendo la parola per adempiere ad un incarico che mi fu dato da' miei amici politici, il che fo con qualche trepidazione, non già per le idee che io verrò esponendo, ma per la pochezza del mio ingegno e per quel bisogno che sento di trovare nei miei onorevoli uditori l’indulgenza che non è sempre concessa agli uomini che seggono su questi banchi. (Bisbigli),

Se mai ho detto parole meno che convenienti, come potrebbe apparire dai rumori che si levarono, sta a coloro che le motivarono a darmi una smentita. (Bene! a sinistra)

L’ordine del giorno della Sinistra ritiene come superflua l’inchiesta parlamentare propostavi dall’onorevole deputato D’Ondes-Reggio. Esso però accenna, come constatato dalla discussione seguitasi in questi ultimi giorni, che il potere esecutivo ha mancato ai suoi doveri.

Io, tratto da questi due concetti cardinali della nostra mozione, ho bene indicato in essi il metodo della mia orazione.

L’inchiesta è superflua, o signori, giacché dai discorsi dei ministri dell’interno e della guerra vennero confessate le cose di cui essi furono accusati. Il ministro della guerra, difendendosi, fu costretto di venirvi a chiedere l’applicazione delle circostanze attenuanti, permettetemi la frase un poco giudiziaria.

Il ministro vi ha detto, ed il deputato Govone che gli ha fatto seguito ha ripetuto: abbiamo raggiunto un grande fine, perdonateci i violenti mezzi da noi praticati. Habemus reum confessum!

Si levarono due soli oratori (scusi il deputato Govone se non lo metto nel numero, giacché egli non venne se non se a ripeterci quello che l’onorevole ministro della guerra a suo nome già ci aveva letto), si levarono, dico, due soli oratori a difesa del potere esecutivo, l'onorevole Bixio e l’onorevole Bertolami.

Dell’onorevole Bertolami, del quale forse mi sarà dato luogo di parlare nel seguito del mio discorso, non dirò che una sola parola.

Egli è di animo mite, e tanto al 1848 nella Camera siciliana, quanto nella Camera italiana dal 1861 in poi, meno la piccola parentesi del Ministero Rattazzi, non ha fatto che difendere sempre l’onore dei ministri. (Si ride)

BERTOLAMI. Domando la parola per un fatto personale. (Movimenti a destra)

CRISPI. Quindi la sua autorità è alquanto affievolita.

Dell’onorevole Bixio, col quale mi dolgo che sieno accaduti diverbi disaggradevoli, e dal quale mi rincresce di essere distaccato, non potendogli ormai più professare l’antica amicizia, ne parlerò mettendolo in contraddizione con sé stesso. Né in contraddizione con sé stesso egli è solamente, ma lo è bensì col ministro dell’interno; imperocché le cose dette dall’onorevole generale contro la Sicilia trovano la nostra difesa nelle parole dell’onorevole Peruzzi quando vi parlò della rivoluzione del 1848.

Qual giudizio si può dare della difesa dell’onorevole Peruzzi e di quella dell’onorevole ministro Della Rovere?

L’onorevole Peruzzi fu maestro in sofismi, arte che con eccellenza ha dimostrato possedere nei tre anni che abbiamo l’onore di averlo nostro collega, e che in questa discussione usò a maraviglia, tanto che mi parve farla non da ministro, ma da curiale.

Dell’onorevole Della Rovere, a parte la durezza che viene dai suoi studi e dalle sue abitudini, un francese se lo avesse ascoltato avrebbe potuto dire che invece di difendersi, il a voulu faire de l’esprit. Mais pour faire de l’esprit...  (Mormorio) Vi ho pregati a volermi onorare della vostra indulgenza...  pour faire de l’esprit ci vogliono altro animo, altre abitudini. Anch’egli in molte cose si è contraddetto con sé stesso.

Posto ciò, non mi è disagevole il difendere l’ordine del giorno che i miei amici proposero ed io ho accettato e firmato con loro, ordine del giorno che è la sintesi a un dipresso delle cose dette dagli oratori che presero la parola da questo lato della Camera.

L’inutilità dell’inchiesta è molto evidente. I ministri hanno confessato; i ministri e l’onorevole Covone che fu loro compagno in questa discussione non hanno negato che in vari luoghi della Sicilia fu posto lo stato d’assedio.

Lo stato d’assedio, signori, non ha il fondamento di alcuna legge in Italia; direi anzi che vi è formalmente vietato. Secondo lo Statuto fondamentale del regno, è proibito pressamente di sospendere l’autorità della legge o di dispensarne l’osservanza; ove di ciò fosse d’uopo ci vorrebbe un apposito atto del Parlamento.

In Napoli ci era sotto i Borboni per lo stato d’assedio la celebre ordinanza di (Piazza del 26 gennaio 1831; in Francia c’è un decreto sulla stessa materia in data del 29 agosto 1849. Esso fu uno degli atti di quella Assemblea legislativa, che aprì l’abisso in cui furono ingoiate le libertà di quella nazione.

In Italia non l’abbiamo dunque cotesta legge, ed oso credere, o signori (e qui parlo agli uomini della maggioranza), che fedeli all’uomo che tenete a capo delle vostre idee, anche oggi che è disceso nella tomba, voi non vorrete farla una simigliante legge.

Tutti sanno la lettera del conte di Cavour del 2 ottobre 1860, nella quale l’illustre uomo di Stato opponevasi recisamente contro ogni proponimento che avesse potuto sospendere le libertà d’Italia.

In quella lettera si dichiarava che l’Italia non doveva ricorrere alla dittatura, ma che noi dovevamo dare l’esempio miracoloso di compiere l’impresa nazionale senza sacrificare la libertà all’indipendenza.

E se per lo stato d’assedio non ci sono leggi, ce ne sono forse perle perquisizioni fatte da un comandante militare? Neanche.

L’onorevole ministro della guerra e l’onorevole deputato Govone sono militari e sanno meglio di me che è proibito nel Codice penale militare ai signori militari, di fare perquisizioni per reati non militari nelle case e negli stabilimenti civili. Che direbbesi, ove si trattasse di reati che rientrano nella competenza dei giudici ordinari?

Ebbene, signori, quando accadevano i fatti di Licata, la Camera non aveva votata ancora la celebre legge dell’otto agosto ultimo scorso, colla quale i reati di renitenza alla leva erano deferiti ai tribunali militari. Quindi in cotesto caso il Ministero mancò al debito suo.

Si parlò, signori, di certi barbari, di popoli da medio evo, di certi uomini che non avrebbero dovuto essere nati ai tempi nostri; ma non si ricordò che non si possono applicar pene che non siano sancite nel Codice penale prima del commesso reato, e che quelle sancite non si possono applicare senza una sentenza dell’autorità giudiziaria.

La pena dell’acqua, sia per ore, sia per giorni (poco qui importa la questione del tempo), la pena dell’acqua è cosa da Medio Evo. (Sussurro) Noi non la conosciamo se non perché ci vien ricordata dai nostri scrittori; ma essa, o signori, non ha posto nel Codice italiano.

Nel Medio Evo quella pena era applicata contro i nemici della società; è la pena che alla loro volta gli stranieri, venendo in Italia, imponevano alle nostre città.

E le detenzioni ed i sequestri? Con una ingenuità che gli fa onore l’onorevole Govone vi dichiarava: noi arrestammo qualche sindaco o qualche consigliere municipale, ma l’abbiamo messo in un locale apposito.

L’onorevole Govone non sa che il mettere un arrestato in un locale apposito sia un delitto, secondo il Codice penale del regno. Non ci sono locali appositi, non ci sono che le carceri quando un individuo è regolarmente arrestato. E questo delitto se egli non lo sa, e se non lo sa il signor ministro della guerra, se lo faccia dire dal ministro della giustizia che lo deve sapere e lo sa perché in materia di legislazione è maestro mio.

Signori, ho letto da capo a fondo la legge sulla leva del 1854; ho voluto persuadermi se mai questa legge permetta le misure che furono applicate in Sicilia contro i renitenti; non c’è un articolo a questo riguardo. Si parla d’arresti, non si parla di cordoni militari ai comuni. Non si parla di pene prima che questi arresti siano fatti, molto meno poi si parla d’ostaggi.

E di questi ostaggi nel modo con cui furono operati, quali ne sono state le conseguenze?

Avete sentito la celebre divisione della Sicilia in parte occidentale ed in parte orientale che con molta sapienza l’onorevole Cordova volle provarvi che costituissero un tutto che si completa, svolgendovisi quella civiltà che non si volle riconoscere nell’isola, ma che anzi si volle ingiuriare. (Mormorio)

Signori, di questi ostaggi se ne sono fatti anche nella parte orientale della Sicilia, nella parte buona, della quale fa sempre elogio l’onorevole Peruzzi. Una donna in Catania, negandosi di consegnare il figlio renitente alla leva, fu trascinata in carcere ed ivi trattenuta con un bimbo di tre mesi.

Non vi parlerò poi degli ostaggi fattisi nella parte cattiva di Sicilia.

Non vi parlerò di Benedetta Rini di Alcamo, da otto mesi incinta che va a morire in prigione dopo quattro giorni di convulsione; non di un’altra donna in Monreale, la quale perì anch’essa, e bisognò farle, benché senza profitto, il taglio cesareo. Sono casi speciali e di poca entità, voi mi direte; ma avvennero e sono abbastanza dolorosi!

E poiché siamo sulle illegalità, eccoci ora petto a petto col ministro dell’interno. Io vengo alla legge Pica; legge, la quale prese il nome da un nostro collega, dandogli tristissima celebrità: l’ha voluto, ben gli stia.

Di questa legge hanno parlato diversi oratori; e l’onorevole ministro dell’interno, per difenderne la esagerata applicazione, tolse argomento dai discorsi tenutisi nelle due Camere del Parlamento, e l’onorevole De Cesare pur egli venne ad osservare all’onorevole Cordova che di quei discorsi bisognava attingerne i motivi, ricordando che così fu fatto pel Codice Napoleone: circostanza che l’onorevole Cordova ben sapeva, perché fece lungo tempo l’avvocato.

L’onorevole ministro Peruzzi adunque, tenendosi stretto a quei discorsi come l’ostrica allo scoglio, ne fece suo principale fondamento di difesa.

Ebbene, quantunque al par dell’onorevole Cordova potrei dire che non sono cotesti gli argomenti dei quali si sarebbe valso l’onorevole ministro della giustizia, ove avesse parlato in questa occasione, voglio prendere in fallo l’onorevole ministro dell’interno, ricorrendo agli stessi discorsi ai quali egli si è appoggiato.

La legge Pica venne il primo agosto di quest’anno come sostituzione alla legge sul brigantaggio che precedentemente era stata proposta per discutersi. Essendosi alla Camera suscitate delle gravi opposizioni a che venisse esaminata e votata, il Pica, che non sapeva che cosa portare di buono alle provincie meridionali, venne dicendo che egli ed i suoi amici avevano escogitato di fare di quella legge un sunto in tre articoli.

Nella tornata del primo agosto, il Pica, dandoci cotesta notizia, si esprimeva in questi termini (ed avverta la Camera che, poiché si vogliono interpretare le leggi dai discorsi tenutisi in questo recinto, bisogna attenersi certamente ai discorsi degli autori di quelle, perché l’autore dà alle medesime l’impronta; direi anzi ch’esse sono informate del suo spirito).

Che cosa diceva dunque l’onorevole Pica? (Rumori)

Ho chiesto un po’ d’indulgenza; d’altronde sarò breve.

Egli si esprimeva così: «Volendo trovare un modo di poter in questo scorcio di Sessione far cessare lo stato attuale delle cose che è altamente deplorabile, e dare al Governo le facoltà che per le leggi in vigore non avrebbe, e nello stesso tempo fare una specie di esperienza se con alcuni temperamenti si possa dar opera a scemare impiaga del brigantaggio, io ed alcuni miei amici abbiamo rassegnato alla Camera una proposta sospensiva della legge intorno al brigantaggio, e abbiamo tratto da questa legge medesima tre articoli che sarebbe essenziale che fossero immediatamente discussi e votati dalla Camera.»

La Camera acconsentì, e nella tornata mattutina di quel giorno, dietro alcune osservazioni presentate da parecchi oratori, incaricò la Commissione medesima di studiarla e di proporla nella tornata vespertina. L’onorevole Pica venne più tardi colla nuova proposta, la quale, invece di comporsi di tre articoli, come nacque, era stata redatta in cinque articoli.

Non ho bisogno di leggerli, ognuno di voi li conosce. D’altronde mi sarà dato di parlarne quando verrò allo esame della stessa.

L’onorevole Pica cominciò ad esporre i motivi dei cinque articoli e disse:

«Io credo non dover spendere molte parole per dimostrare la convenienza e la giustizia delle disposizioni che la Camera è chiamata a votare attualmente. Negli articoli di legge che io vi propongo è definito il reato di brigantaggio, e questa definizione, o signori, non è senza importanza sulla pratica applicazione; la definizione non è mia, non è arbitraria; ma è tratta dalla legge, e nella specie applicata vi ha una distinzione importantissima.

«Fra i colpevoli di questo reato che oppongono resistenza alla forza pubblica, ed i quali necessariamente vanno puniti colla pena capitale, coloro che sono semplicemente complici, secondo la graduazione della loro complicità, sono sottoposti alle pene ordinarie stabilite nel Codice penale.»

E qui viene discorrendo della competenza dei tribunali militari istituita pei misfatti di brigantaggio. Non ne proseguo la lettura perché non fa al caso nostro. Viene immediatamente l’onorevole Pica a parlare del celebre articolo 5:

«Vi è una misura preventiva, dichiara il relatore della legge, della quale tutti riconoscono la necessità che le autorità locali hanno spesse volte implorata di poter adoperare, ma che ora non è consentita dalla legge, quella cioè di allontanare da taluni luoghi infestati dal brigantaggio le persone sospette di favorirlo.

«Questa facoltà si è accordata al Governo, ma si è accordata per un tempo limitatissimo. Era pure necessario, signori, provvedere alle spese che la repressione del brigantaggio naturalmente esige.»

E qui discende a parlare dell’onere che dalla legge risulterebbe alle finanze dello Stato, il che esce dal nostro argomento.

Dunque l’onorevole Pica fece capire a questa onorevolissima Camera che i cinque articoli avevano due fini: reprimere il brigantaggio, e con misure preventive far sì che non sorgesse là dove ancora non si era sviluppato. Tuttavia si trattò sempre di brigantaggio: e la Commissione che portò quegli articoli a discutere alla Camera era quella stessa per lo innanzi incaricata della legge sul brigantaggio.

Alla Camera vi furono discorsi scambiati qua e là, e la legge fu votata. Al Senato i dubbi ritornarono. In quella Camera vi furono alcuni onorevoli personaggi, i quali temettero che di cotesta legge si potesse fare cattivo uso, o che per lo meno potesse applicarsi a repressione di reati che non avessero legame col brigantaggio.

L’onorevole guardasigilli, con quella schiettezza e con quel retto criterio che l’onora, dissipò tutti gli scrupoli.

Io non farò che leggere le parole di lui per persuadervene.

Mi scusi l’onorevole Peruzzi se l’abbandono per un momento; mi è d’uopo metterlo in contraddizione col suo onorevole collega.

Dopo il discorso dell’onorevole senatore Farina, il guardasigilli diceva:

«È vero che l’articolo 5 non è in relazione coll’articolo 1 (qui è in errore l’onorevole ministro, giacche i due articoli hanno strettissima relazione), in quanto che esso avrà impero e vigore anche nelle altre provincie che non sieno dichiarate in istato di brigantaggio, ma non di meno è indispensabile, perché può accadere che vi sia il brigantaggio in una provincia, senza che prenda uno sviluppo di natura tale da costringere il Governo a dichiararla in istato di brigantaggio, e stabilire una giurisdizione eccezionale. Così vi potrebbero essere in cotali provincie manutengoli anche senza -che fossero soggette quelle provincie alle disposizioni dell’articolo 1°.

«Può accadere ancora che vi siano manutengoli in una provincia in cui non vi sia il brigantaggio e che porgano aiuti, somministrazioni o facciano pagamenti a briganti che infestano altre provincie.

«È quindi evidente come possa accadere che la disposizione dell’articolo 5 sia applicata in luoghi, che noji sieno stati dichiarati in istato di brigantaggio.»

Dunque il ministro guardasigilli osservò che quello articolo era scritto nello scopo di provvedere alla sicurezza delle provincie dove fossero briganti, quantunque non dichiarate in istato di brigantaggio, e d’impedire che dalle provincie limitrofe a quelle dove infierisse il brigantaggio partissero aiuti al brigantaggio, e questo fosse favorito e protetto.

«L’osservazione poi fatta dall’onorevole senatore Farina (continua il signor ministro) intorno alle persone indicate con la designazione di sospetti manutengoli, non ha valore quando egli rifletta che, se il manutengolo, complice dei briganti, prenda parte attiva nel reato del brigantaggio, il medesimo cade sotto la sanzione degli articoli 1 e 2 della legge.

«Nell’articolo 5 il sospetto manutengolo (qui spiega la parola manutengolo, onde sapersi su quali individui era data piena autorità al potere esecutivo) è quel tale individuo sul quale l’autorità di pubblica sicurezza, sia per i suoi precedenti, sia per la sua condotta, ha seri dubbi che tenga mano al brigantaggio, senza però che vi sieno prova tali da poter intentarsi contro di lui un giudizio regolare.

«Questi sospetti manutengoli (cioè i complici di brigantaggio) hanno dall’articolo 5 una guarentigia nel parere di quella Giunta cui è deferito il giudizio intorno ai fatti del sospetto; il sospetto in una parola corrisponde a quelle notorietà che molte volte indiziano una persona senza che possa concretarsi contro di lei una prova che valga a tradurla in giudizio. Fassi perciò evidente che l’articolo 5 non è in contraddizione coll’articolo 1.»

Dopo parlò l’onorevole senatore Pareto, a cui succedette il suo collega, l’onorevole Farina, il quale cosi si espresse:

«Prendo atto delle dichiarazioni del ministro, e dacché mi assicura che la legge non si applicherà che ai sospetti manutengoli di brigantaggio, mi tengo per pago. Sarebbe per verità desiderabile che le cose fossero state spiegate meglio; ma ciò pur troppo è quello 'che avviene, quando si improvvisano emendamenti che non sono stati col rimanente della legge coordinati.»

In conseguenza di coteste spiegazioni il Senato votò la legge.

Credo che ce ne sia abbastanza per convincersi che le parole dell’autore della legge, di coloro che presero parte alla discussione e del guardasigilli, ci spieghino che l’articolo 5 non fu scritto nella legge del 15 agosto 1863 che per punire eccezionalmente coloro che potevano essere riconosciuti manutengoli dei briganti, o che avevano stretti vincoli coi briganti.

Ora siccome in Sicilia il flagello del. brigantaggio non si è mai sviluppato, e nessuna relazione è tra i malfattori dell’isola e i briganti delle provincie napoletane, non era permesso estendere l’enunciata legge oltre i limiti indicati dalla volontà del Parlamento.

Io diceva un momento fa che l’articolo 5 della legge 15 agosto 1863 è legato coll'articolo 1; cotesta è questione di grammatica, o signori, ed i Toscani, che ne sanno più di noi (Ilarità), o dovrebbero saperne più di noi

PERUZZI, ministro per l’interno. No! no!

CRISPI...  mi daranno ragione.

L’articolo 1° prescrive che fino al 31 dicembre del corrente anno i reati di brigantaggio saranno deferiti ai tribunali militari.

Nell’articolo 2° si enunciano le pene da infliggersi ai colpevoli di reati di brigantaggio.

Nell’articolo 3° è detto:

«Sara conceduto a coloro che si saranno costituiti, o si costituiranno nel termine di un mese, una diminuzione di pena.»

All’articolo 4° poi è soggiunto:

«Il Governo avrà pure facoltà, ecc. (La particella pure è una congiunzione, e vale a congiungere cotesto articolo ai precedenti). Finalmente troviamo all’articolo quinto: «Il Governo avrà inoltre (ecco un’altra congiunzione) la facoltà di assegnare per un tempo non maggiore di un anno domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi,» ecc.

Dunque, o signori, quando ci si viene dicendo che l’articolo quinto è indipendente dagli altri quattro articoli ciò è affatto assurdo: che lo si faccia per artifizio oratorio, per difetto di migliori argomenti da mettersi innanzi, io non ho nulla a ridire; ma quando si vuol provarlo con interpretazioni capricciose, io dovrò ripetere quello che ieri disse l’onorevole deputato Cordova, che se, alla vece del ministro dell’interno avesse parlato. il guardasigilli, costui non avrebbe ricorso a cotesta difesa.

Posto ciò, io domando: dopo coteste illegalità, diremo noi che il fine giustifica i mezzi? L’ingiustizia non può in nissuna occasione cangiar significato, ed ottenere tributi di lode. Del resto, discendendo ai fatti pratici, vediamo se in realtà i mezzi raggiunsero il fine. Vediamo se produssero qualche vantaggio cotesti mezzi eccezionali. È un esame cotesto che val la pena di fare.

Se lo aver gettato in carcere onesti cittadini, se lo aver dato la caccia in Sicilia ai. patrioti che nel febbraio e nel marzo di questo anno erano stati, dopo un illegale arresto, messi in libertà dalla Corte di appello di Palermo, era il fine cui si mirava, cotesto fine fu raggiunto. Cotesto però è un fine politico, e non certamente contro la libertà delle opinioni fu fatta la legge fatale del 15 agosto.

E in ciò, signori ministri, sta il vizio del sistema del vostro governo, che da tre anni avete imposto all’Italia. E lo dico a voi, perché dall’apertura del Parla. mento, meno la parentesi del Ministero Rattazzi, sempre voi siete stati al potere. Al 1861 eran ministri l’onorevole Peruzzi e l’onorevole Minghetti, e sono  essi oggi l’anima, il pensiero dell’attuale Gabinetto, i due cardini su cui poggia l’ordinamento del Governo italiano.

Dunque, se il proposto fine era di tormentare i patrioti, l’onorevole Peruzzi l’ha raggiunto; ma con ciò egli si è distaccato sempre più dal paese il quale non è con lui,  né co’ suoi amici. Non ha però coi mezzi eccezionali ristabilita la sicurezza pubblica.

Signori, ho notizie di Sicilia da pochi giorni: alle porte di Palermo le grassazioni continuano; alla Bagheria, al ponte delle Grazie, al ponte delle Mortelle, a poca distanza da quella città, la vettura pubblica più volte è stata assalita, i cittadini sono stati attaccati dai malfattori e spogliati. Dunque, invece di servirsi della legge Pica per richiamare in carcere tutti quelli che noi primi vogliamo che vi ritornino (e l’onorevole Peruzzi lo notò nel suo discorso quando venne ricordando le varie volte che io parlai di ciò in questa Camera), se ne sono serviti per infierire ancora una volta contro coloro che lavorarono pel trionfo della libertà della patria.

Abbiamo molti liberali arrestati in Termini, in Palermo, ed in altre città di Sicilia, ma la massa dei galeotti non è ancora rientrata nel carcere.

(Il ministro Peruzzi fa segni negativi.)

Il ministro può far segni negativi, e n’è padrone, io lo affermo e niuno può vietarlo: egli ha le notizie da coloro che devono difendersi, io ho le notizie da coloro che l’accusano: tra la sua negativa e la mia affermativa la Camera deciderà.

Voci a sinistra. La Camera ha già deciso.

CRISPI. Voi dite che fu aggiunto il fine, perché tutti i renitenti di leva furono raccolti sotto le bandiere. Anche in questo non siete riesciti; stando alle vostre cifre, mancano ancora 10,000 giovani da trovare.

Del resto, questo argomento dei renitenti, siccome si rannoda a un altro ordine d’idee, la Camera mi permetterà che io ne parli quando verrò alle materie che si legano a cotesto delitto ed alle cause, che l’hanno potuto ingenerare.

Prego pertanto l’onorevole presidente a volermi accordare pochissimi minuti di riposo.

PRESIDENTE. La seduta è sospesa per pochi momenti.

 (L’oratore riposa alcuni minuti).

PRESIDENTE. L’onorevole Crispi ha la parola per continuare il suo discorso.

CRISPI. Signori, si è voluto, in proposito delle interpellanze del deputato D’Ondes, fare un po’ di storia da alcuni deputati e dall’onorevole ministro dell’interno. Essi però non ebbero in mira che l’interesse di coloro che hanno governato e governano in Italia, onde non poterono essere abbastanza veridici. Rifacciamo la storia e rifacciamola in difesa del popolo.

E in questa storia non crediate che, essendo forzati a parlare, della Sicilia, io intenda di trattenervi di una provincia speciale, imperocché le cose che là successero hanno avuto un’eco e si sono per altri modi manifestate nel continente italiano.

L’onorevole ministro Peruzzi a temperare qualche aspra parola che fu detta sulla Sicilia in questo recinto venne narrandoci le cose palermitane del 1848.

Quella sua narrazione naturalmente è in contraddizione con ciò che su quell’epoca ricordò l’onorevole Bixio. Laonde io vi prometteva nel principio del mio discorso che io li avrei trovati in contraddizione, giacché nei giudizi sulla rivoluzione siciliana e sulle sue vicissitudini il ministro con anticipazione aveva già risposto al deputato.

Le ventiquattro giornate di Palermo sursero gloriose senza l’aiuto di altre provincie italiane.

Compartecipe allora, come nel 1860, agli avvenimenti della mia terra natale, credo di poterne ricordare i casi meglio di qualunque altro.

La Sicilia levatasi in armi per rivendicare la sua libertà, onde far parte politicamente della nazione italiana, aveva dato prove di energia e di valore, sicché i popolani di Milano quando insorsero anch’essi contro la dominazione dell’Austria, volendo fare un elogio a sé stessi ed ai combattenti di Palermo, li chiamarono i Lombardi di Sicilia.

Prima delle giornate di febbraio, i Francesi, all’annunzio delle vittorie popolari della Sicilia, esclamarono: Les journées de Palerme ont effacé Juillet.

Siccome avviene in tutte le insurrezioni, ritornato l’ordine legale, coloro che vanno alle barricate e tengono il Governo durante. la. lotta ne sono allontanati, onde sono condannati a mettersi alla sinistra delle Assemblee.

Apertosi il 25 marzo 1848 il Parlamento siciliano, si compóse un Ministero di uomini appartenenti alla parte moderata; qui abbiamo uno de' suoi membri, l’onorevole senatore Amari, che allora ebbe il gran coraggio di farla da ministro delle finanze.

Alla Camera dei comuni un deputato della Sinistra, il signor Romeo, al secondo o terzo giorno delle nostre adunanze, chiese che si pensasse all’ordinamento dell’esercito; i ministri vi si opposero e domandarono ed ottennero che non si discutesse quella mozione.

Il primo aprile 1848 il deputato Fronte, che era anch’esso a sinistra, lusingandosi di un successo che era mancato al suo collega signor Romeo, domandò che si pensasse alla costituzione dell’esercito e che si prendessero tutti i provvedimenti perché appena ne sorgesse il bisogno, il paese, ordinato in armi, avesse potuto difendere i suoi diritti.

Fra le parole di quell’onorevole deputato, che oggi è morto, ma che fu una delle migliori intelligenze del nostro paese natio, erano assai notevoli le seguenti: «Le più vitali questioni che sin dal primo momento della riunione nostra avrebbero dovuto occupare la Camera, o non si sono toccate affatto, o di sfuggita.»

Chiudeva poi il suo discorso in questo modo: «Non confidiamo ciecamente nella straniera influenza, che non so quanto possa valere.»

Il ministro degli affari esteri (amicissimo in questi ultimi anni dell’onorevole Peruzzi, tanto che, quantunque non fosse unitario, ne fu promosso ad alti uffici), si indegnò di quella proposta, e chiese che non fosse discussa. Il deputato Amari, ignoro se fu il ministro o un altro degli Amari, dichiarò che la proposta era una offesa alla maestà del Parlamento, e consigliò il suo autore a volerla ritirare. La Camera la respinse come inconveniente ed inopportuna.

Il ministro della guerra Paterno, il quale era uscito dalle file dell’esercito napolitano, dove era stato un bravo ufficiale, aveva il desiderio di organizzare almeno un reggimento di cavalleria; presentassi un giorno al ministro degli affari esteri per essere autorizzato a comperare delle selle e delle sciabole; il suo collega gli rispose: «Ma come, anche voi pensate all’esercito? La cittadella di Messina ci sarà resa con una nota dell’Inghilterra, l’esercito lo faremo quando il Re avrà preso possesso della Sicilia.»

Il 21 agosto successivo presentai alla Camera siciliana una proposta di legge per la leva. Tutti i ministeriali e i ministri si opposero, onde non ebbi  né anche l’onore di vederla discutere. Quel Ministero abbandonava il potere alla vigilia della guerra, lasciando un migliaio di lire in cassa ed i quadri di dodici battaglioni con poche centinaia di soldati. Messina, pochi giorni dopo, cadeva per impreveggenza di coloro che avevano governato l’isola, e cadeva difesa eroicamente dal popolo che, senza guida, senza capi, battevasi solo contro numerose coorti di Svizzeri lanciate nell’isola dal Borbone, tormentato dalle bombe della cittadella che ridusse in cenere quella martire città.

Il 23 settembre io, che sono tenace nelle mie opinioni, riproposi alla Camera la legge sulla leva, che fu discussa e votata.

Ci volle l’eccidio di Messina perché i signori che stavano al potere e quelli che facevano parte della maggioranza, snella quale c’era pure l’onorevole Bertolami, accettassero una legge così salutare.

Quella legge, debbo confessarlo, era abbastanza mite; devo altresì soggiungere che la coscrizione si fece come per prodigio. Da tutti i comuni di Sicilia i coscritti affluivano in Palermo: ma i moderati, che anche allora erano negligenti, li lasciavano senza casermaggio, senza vestimenta e senza armi.

Le povere reclute restarono più d’un mese sulla paglia, onde non è a meravigliarsi se sia avvenuta qualche diserzione.

Cotesto è un fatto inoppugnabile, e nessuno potrà contraddirmi.

Direste or voi che la Sicilia era ostile alla vita militare, e che colà, per l’avversione del popolo alla leva, al 1848 non fu possibile avere soldati? O direste al contrario, che tutta ricade sui Ministeri la colpa di non aver saputo,  né voluto costituire un esercito per la salute della patria?

Il paese diede prove di valore e di abnegazione; e tutte le volte che il Governo nazionale chiedeva un sacrifizio non gli veniva negato. Basta a ciò ricordare che il Parlamento avendo decretato il prestito forzoso non furono necessarie le coazioni perché questo prestito si eseguisse; in un giorno, signori, appena le liste furono affisse, la città di Palermo versò un milione e mezzo di lire nelle casse dello Stato.

Malgrado il mal volere di coloro che erano stati al potere, malgrado le loro opposizioni, dal mese di ottobre 1848 al mese di febbraio 1849 furono organizzati 14 mila uomini, del che lode sia resa a Giuseppe La Farina, del quale io era allora il segretario generale. Colui, quantunque non fosse militare, pose tanto zelo e tanta energia a costituire un esercito in Sicilia che in breve tempo seppe riuscirvi.

Una voce. Si dice ora che è morto.

CRISPI. L’avrei detto anche lui vivente. .

La mia lealtà è conosciuta. Le vostre insinuazioni poco benevole contro di me non valgono.

I moderati che sono stati sempre la peste d’Italia...  (Oh! oh! — Vivi rumori).

I moderati che sono stati sempre la peste d’Italia (Ilarità), fecero sì per le loro paure che cotesti 14 mila uomini, invece di esser lanciati di un colpo sul nemico, fossero sparpagliati su tutta la superficie della Sicilia. Essi temevano che i repubblicani avrebbero proclamato non so quale Governo democratico, se Palermo e le altre città fossero rimaste senza forza ordinata. Giammai 4 mila dei nostri si trovarono raccolti di fronte ai borbonici, i quali marciavano sempre in grandi masse.

Cadde Catania, anch’essa difesa eroicamente dal popolo. Cotesta caduta fu un vero Waterloo per i signori  che avevano governato; essi se ne fuggirono tutti allo straniero, nessuno escluso. (Il ministro Amari fa segni di diniego per sé) Il ministro Amari era in Parigi allora. Dirò anzi che, sentito il rovescio della rivoluzione, lasciò la missione che gli era stata affidata all’estero (io non l’ho dimenticato) e venne col suo fucile dichiarando ch'era pronto a battersi per difendere, i diritti della Sicilia.

Dunque la caduta di Catania fu pei moderati un vero Waterloo.

L’onorevole ministro Peruzzi l’altro giorno vi lesse una pagina della storia di La Farina con molta inopportunità; cotesta, per coloro che ignorano le pagine precedenti, poteva essere interpretata come offensiva al paese, mentre le cose dettevi sono al contrario un grande elogio per Palermo. Io compirò la narrazione dei casi che vi furono raccontati anche valendomi della storia del medesimo scrittore.

Mentre il Borbone rioccupava la Sicilia, che cosa credete che facessero coloro che rimasero al governo della cosa pubblica? Sciolsero i 14 mila uomini, invece di aumentarne il numero per difendere il paese.

E tutto questo perché?

Perché coloro i quali avevano il 13 aprile 1848 votata ed applaudita la decadenza del Borbone, il 17 aprile 1849 avevano accettata una transazione col Borbone.

AMARI, ministro. Noi no, era il partito stesso che era al Ministero.

PRESIDENTE. Io prego l’onorevole ministro a non interrompere.

CRISPI. Fu la Camera, meno noi della Sinistra, che rifiutammo ogni patto; quella era la stessa Camera a cui, quando era ministro, si era appoggiato il signor Amari.

Narrando gli atti di quel tempo, La Farina così scriveva:

«Dal dì 15 al 20 aprile, unico studio del Ministero fu di sciogliere e disperdere le forze armate e mettere il popolo nella necessità di accettare una pace vergognosa. Furono rifiutati 2000 fucili e 500 quintali di polvere, che per conto della Sicilia arrivavano in Trapani; furono invitati parecchi personaggi, autorevoli per nome e per noto amore alla rivoluzione, di partirsi dall’isola. Con ciò era ben naturale che il generale Satriano procedesse liberamente per Palermo.»

Allora, signori, di quella illustre città, avvenne quello che vi fu narrato dall’onorevole ministro Peruzzi, cioè che alcuni dei soldati stati disciolti, senza capi, senza guida, difesero l’onore del paese e si opposero, nelle montagne di Palermo, a che il Borbone prendesse possesso dell’antica capitale della Sicilia.

Quindi quelle parole lettevi dal ministro Peruzzi nella storia del La Farina, e che forse male suonarono alle vostre orecchie:

«All’alba del dì 7 maggio bande di popolani armati, senza ordini, senza capi, e solo sostenute dal battaglione francese e da un mezzo squadrone di cavalleria ricostruitosi con alcuni soldati ritornati spontanei alle bandiere al grido di guerra, assalivano vigorosamente gli avamposti napolitani.»

Per chi legge, Sembra che il battaglione francese fosse solo a difenderci, ed avrebbe ragione di credere che la Sicilia, restìa alle cose militari, dovesse ricorrere alla forza straniera a sostegno dell’onore e della libertà. Ma conoscendo che cotesto fu un generoso conato popolare contro una codarda ostilità, avrà di che lodare il paese.

Questo fu fatto nel 1848; e noi che andammo sulla via dell’esilio, ma col pensiero di rivendicare la Sicilia a libertà per riunirla alla patria italiana, noi sospirammo per ben dodici anni, onde il nostro loco natio prorompesse in un’insurrezione tutta sua e senza l’aiuto di forze forestiere. Ci lusingavamo intanto nel pensiero che coloro i quali nel 1848 avevano fatto così misera prova di sé, essendo al timone degli affari, questa volta almeno ci avrebbero lasciati tranquilli ordinare il paese non solo nella sua amministrazione e nelle sue finanze, ma anche nelle armi.

Anche questo ci fu negato nel 1860.

Sbarcati a Marsala (e qui, come vede la Camera, vengo all’argomento che fu oggetto delle interpellanze del deputato D’Ondes-Reggio,), primo nostro pensiero fu di rovesciare il Borbone e ricomporre con un regime civile lo Stato che la sorte della rivoluzione ci aveva affidato.

Quale urgente necessità ci si offriva alla mente quella di trovar uomini e cose per compiere la rivoluzione e prepararci alla guerra. Pertanto pubblicammo in Salemi il decreto del 14 maggio 1860 che gettava le basi del nostro sistema militare.

L’onorevole ministro Della Rovere, che ricordò un tale decreto come origine della leva in Sicilia, deve intanto sapere che, quando eravamo in Salemi, non eravamo ancora padroni della Sicilia. Non eravamo, si può dirlo, neanco padroni della stessa Salemi, perché dopo un giorno di riposo ne siamo partiti, onde la città rimase alla sua antica amministrazione.

Il 15 maggio ci fu la battaglia di Calatafimi, e dopo quel giorno fummo obbligati sempre ad avanzare, onde il 27 dello stesso mese entrammo in Palermo, la quale non fu interamente sgombra dai Borbonici che il 19 giugno; quindi il 24 luglio fu sgombra Milazzo, il 28 Messina, il 2 o 3 agosto Augusta, il 2 settembre Siracusa.

Perché una leva si possa eseguire, il ministro della guerra me lo insegna, e l’onorevole Bixio dovrebbe pur saperlo, ci vogliono molti mezzi e bisogna essere in condizione di farsi ovunque obbedire. Ora, perché un Governo sia obbedito, bisogna poter esercitare il suo impero senza ostacolo alcuno. Poscia è necessario compilare le liste,  né questo si può fare in un giorno; ci vogliono quattro o cinque mesi per avere le liste di coscrizione.

Ma Garibaldi, come benissimo disse il deputato Bixio, aveva in mente di andare in Napoli il più presto possibile, per non lasciare tempo al nemico di riprendere la rivincita su noi.

Ora, in così breve periodo era impossibile attuare la leva, e con essa avere i soldati che dovevan passare lo Stretto.

Noi, lo ripeto, fummo padroni interamente della Sicilia il 2 settembre, cioè 24 giorni prima che furono eseguiti i primi sbarchi in Calabria. In conseguenza di ciò, dovemmo rinunziare alla leva e ricorrere all’arruolamento dei volontari.

Cotesto arruolamento risulta essere d’una qualche entità dalle liste che ho qui, e l’onorevole Bixio non potrà contraddirmi, giacche egli può conoscere le cose fatte da lui e ch’ei vide nei luoghi dove passò, ma non può sapere le cose che fecero gli altri.

Adunque da queste liste risulta che noi reclutammo in Sicilia e mandammo sul continente 9800 volontari, alla quale cifra bisogna aggiungere i 4000 uomini rimasti in Messina, dei quali parlò il mio amico, il deputato Fabrizj, e i 1250 marinai fomiti alla flottiglia che rese così utili servizi agli sbarchi sul continente; ed in quella flottiglia, o signori, non vi erano che soli 50 continentali.

Dunque, come vi. rassegnai, si ricorse all’arruolamento dei volontari. Chi faceva cotesto arruolamento? Sventuratamente spesso lo facevano coloro che conoscevano poco il paese e le sue abitudini. Quindi avveniva con poco criterio, talché talora non mancò che molti di quei galeotti che erano fuggiti dai luoghi di pena venissero accettati. Dovremo noi giudicare l’indole militare o non militare del paese dai costumi di quella gente? Signori, ove il facessimo, mancheremmo di senso comune.

C’è anche un’altra osservazione a fare su questo argomento: l’onorevole deputato Bixio disse alla Camera che nei suoi battaglioni avvenne più d’una fiata che molti di coloro che si arruolavano la mattina se ne partissero la sera con armi e bagaglio.

L’onorevole deputato Bixio, il quale è uno dei più valorosi campioni della rivoluzione e dell’esercito italiano, ammirevole al fuoco, io non lo ammirerei mai nell’amministrazione e nell’organizzazione. Egli si lagna delle diserzioni che avvenivano nel corpo da lui comandato: ciò è vero, ma spessissimo successe che molti lasciando la di lui divisione se ne andassero in un’altra divisione, con la speranza di esservi meglio trattati.

L’onorevole Bixio per la sua vivace natura fa la disciplina a colpi di revolver.

BIXIO. Domando la parola per un fatto personale.

CRISPI. È un fatto noto che contro alcuni indisciplinati l’onorevole generale Bixio fulminò colpi di revolver.

BIXIO. Contro i ladri.

CRISPI. Quindi non è a stupire che molti, per isfuggire la sua disciplina, lasciassero lui e si raccogliessero in altro corpo sotto altro comandante e perciò se ne andassero e col vestiario e colle armi.

Del resto l’onorevole Bixio non ebbe mai sotto di se più di 2000 uomini, perché allora egli era maggior generale o brigadiere, come vuole, e comandava una brigata.

Allora egli non comandava che una brigata; ebbene, in questa brigata esso formò i quadri degli uffiziali con quella parte dei Mille di Marsala che per la loro intelligenza potevano occupare dei gradi. Ma l’onorevole Bixio, siccome scrisse in un suo documento che ho qui sotto gli occhi e del quale leggerò un passaggio alla Camera, aveva i battaglioni della prima brigata tutti di Siciliani, meno gli ufficiali. Cotesto è nel rapporto dell’onorevole generale Bixio del 6 ottobre 1860, diretto al dittatore sulle giornate del l'e del 2° ottobre 1860. In esso così vengono suddivise le forze che erano sotto i suoi ordini: prima brigata 1828 uomini; seconda brigata 670 uomini.

(Sul Volturno egli aveva preso il comando di un corpo di truppe superiore a quello che aveva quando dalla Sicilia venne al continente.)

Brigata Ebhérard (nome che ricorda memorie infauste), 1502...  

BOGGIO. È un nome onorato.

Voci. È un uomo che ha fatto il suo dovere.

CRISPI. Colonna Fabrizj 1560 uomini. Queste erano le forze sotto di lui.

Le due prime brigate formavano un totale di 2498 uomini.

L’onorevole Bixio ieri vi disse che 1600 uomini erano Siciliani, dunque soli 800 erano i continentali. Egli parlando della prima brigata così si esprime  nel suo rapporto:

«È dover mio dirle che i battaglioni della prima brigata che caricarono alla baionetta i vecchi soldati della Germania venuti a puntellare la tirannide di Francesco Borbone sono formati quasi intieramente di giovani Siciliani: solo i quadri compongonsi dei nostri continentali sbarcati in Sicilia colla prima spedizione.»

Dunque, se solo i quadri si formavano degli individui sbarcati in Sicilia nella prima spedizione, la conseguenza è che senza i Siciliani egli non avrebbe potuto formare la sua brigata.

Queste poche cose aggiunte alle altre dette dall’onorevole mio amico il deputato Fabrizj vi provano che la Sicilia non è poi così restìa alla milizia come si è voluto dimostrare.

È stata restìa sotto il Governo del Re d’Italia? È quello che vedremo.

Epperciò io diceva alla Camera di volermi permettere che la questione dei renitenti alla leva io la trattassi quando sarebbe venuta la materia che si riferiva alla poca, o nessuna, o completa inclinazione che ha la Sicilia alle cose militari.

L’onorevole ministro della guerra vi disse che della leva del 1840 i renitenti furono

4987

ed i disertori di seconda categoria

2952

i renitenti della leva 4841 furono

5870

A riportarsi

13809

Riporto

13809

ed i disertori di seconda categoria

2656

i renitenti della leva 1842 furono

8241

ed i disertori dall’esercito

1419

(La seconda categoria del 1842 non fu chiamata)

E così ci dava un totale di

26,125

uomini tra renitenti e disertori.

Vediame, o signori, quanti erano gl’iscritti, e quanti furono i chiamati sotto le armi dalla Sicilia.

Dalle leve 1840-41……………….. (Mormorio d’impazienza)

Signori, vi prego di un po’ d’indulgenza, io sono quasi al termine...

Una voce al centro. Ci vorrebbe anche un po’ di discrezione.

CRISPI. Dopo tante accuse lanciate contro le provincie siciliane,-non è fuor di luogo che un deputato sorga. a difesa delle medesime.

Per le leve del 1840 e del 1841 la prima chiamata fu di 9396 uomini, la seconda categoria di 42,362.

La leva pel 1842 (la seconda categoria. non essendo stata chiamata) fu di 4969 uomini: totale 56,727.

Da questa cifra, tolti i renitenti e i disertori di cui parlò il ministro della guerra, cioè 26,125 uomini, si ebbero sotto le armi 30,602 uomini.

TORRE. Tutto sbagliato.

CRISPI. Ho preso le cifre da atti ufficiali!

A questi 30,602 uomini, i quali vennero sotto le armi senza bisogno di coazioni, aggiungete gli arrestati con mezzi ordinari 3759, gli arrestati con mezzi straordinari 4000, abbiamo l’egregia cifra di 38,361 uomini.

Se non isbaglio, mi pare che il debito di sangue fu ben pagato dalla Sicilia.

Se il signor Torre, il quale è maestro in ciò, avesse delle osservazioni a fare, io gliene sarei grato. Queste cifre...

TORRE. Queste cifre non sono esatte.

CRISPI...  Queste cifre io le ho tolte dai decreti e dal discorso del ministro della guerra alla Camera.

È un ragionamento al quale non potete sfuggire. Le cifre sono tutte officiali, e se vi è qualche errore, che non può esser grave, esso è tutto vostro.

Poste siffatte premesse, ne viene questa conseguenza: la Sicilia ha dato un contingente di 38,361 uomini.

Ieri l’onorevole deputato Bixio vi diceva che noi non abbiamo in soldati che 270 mila uomini.

BIXIO. Non calcolati gli uffiziali.

CRISPI. I soldati senza contare gli uffiziali.

La Sicilia ha una popolazione di 2,391,802 individui, poco più del decimo di tutta la popolazione del regno d’Italia.

Mi dica l’onorevole ministro della guerra (io gli chiedo ciò, giacché le leve delle quali ha tenuto discorso furono fatte nello spazio di tempo corso dal dicembre 1861 al dicembre 1862, cioè entro un anno), mi dica l’onorevole ministro della guerra, quando ci sono 38,361 uomini sotto le armi in mezzo a soldati il cui totale ascende a 270 mila, io credo che la Sicilia diede più di quello che era chiamata a dare. (Risa ironiche al centro)

Le risa non sono una risposta; io ho parlato di cifre, ed a queste si potrà soltanto rispondere con altre, e allora io saprò alla mia volta soggiungere che, se queste cifre sono false’ sono opera di coloro che scrissero i decreti (Oh); i decreti non li scrissi lo.

Io ho letto nell’articolo 25 dello Statuto che tutti i cittadini devono concorrere ai carichi dello Stato in proporzione dei loro averi, e conseguentemente non al di là dei bisogni nazionali; ciò è per l’imposta in denaro, quanto per l’imposta di sangue. Non dovete chiedere ad una provincia del regno al di là di quello che è obbligata a dare in proporzione delle altre provincie.

Ora, voi che avevate sotto le armi 30,602 siciliani allorché deste opera alle misure eccezionali in Sicilia, avevate al di là di quello che la Sicilia dar vi doveva. Quindi, allorché usaste quelle misure eccezionali, voi eravate doppiamente colpevoli, doppiamente avete offesa la legge.

Lasciando quest’argomento della leva non sarà fuor di luogo ch’io dica che la Sinistra parlamentare, che questa volta fu accusata di poco patriotismo, non ha mancato mai di predicare in Sicilia l’adempimento di cotesto dovere.

Sono ancora pochi giorni che il mio amico deputato La Porta pronunziando ai suoi elettori un discorso, dal quale l’onorevole ministro dell’interno riferì le poche parole soltanto che concernevano la pubblica istruzione, fra le altre cose chiedeva che il popolo accorresse sotto le bandiere. (Segni d'impazienza)

PRESIDENTE. Prego nuovamente l’onorevole deputato Crispi di restringere il suo discorso, imperocché, come ella ben vede, è necessario che oramai si termini questa discussione. La prego di limitarsi a quello che gli resta ancora a dire per sostenere il suo ordine del giorno.

CRISPI. Perdoni l’onorevole presidente, io sono sul finire del mio discorso, ma nell’argomento in cui sto per entrare vi sono trascinato per accuse venute a provincie del regno che amo quant’altri mai, e che non posso al certo dimenticare per la ragione che io sono unitario, giacché  né anco sarei italiano se non fossi nato in Sicilia.

Signori, si è fatta una dolorosa discussione quanto alla sicurezza pubblica in Sicilia. Non c’è nulla di nuovo in tutto ciò, meno la confusione delle date. Non c’è nulla  di nuovo in tutto ciò, perché parecchie volte io sono venuto qui alla Camera chiedendo al potere esecutivo che volesse fare il suo debito, imponendo ai suoi subordinati che facessero anch’essi il debito loro, onde quelle provincie, dopo tre anni in cui il Governo regio è stato istituito, potesse godere i benefizi della libertà e della sicurezza delle vite e dei benj.

Si parlò di molti fatti i quali, come benissimo diceva l’onorevole deputato Cordova, non si possono slegare dagli, avvenimenti sorti nel 1860. Si fece anche di più: si confusero gli avvenimenti del 1860 con quelli posteriori: si ricordò, per esempio, il fatto di Santa Margherita, se ne ricordarono tanti altri, senza osservare che quelli sono avvenuti dal 16 maggio al 4 agosto 1860, che tutti, quello di Santa Margherita in ispecie, scoppiarono in un momento che il governo della rivoluzione non aveva ancora, impero,  né il Borbone era più padrone della Sicilia. Allora le orde dei galeotti lanciatesi sulle città erano padrone del paese. È troppo strano che la civiltà d’un paese la si voglia misurare dai fatti d’un tempo eccezionale ed ex lege. Il naufragio del legno svedese avvenne giusto in quell’epoca di desolazione.

Ma, signori, di questi fatti ne sono avvenuti anche nella civile Inghilterra, e in momenti di calma. Non avete voi letto di quel terribile omicidio che si narra d’un uomo tagliato a pezzi, messo in un sacco e gettato sulla spiaggia del Tamigi? Diremo noi per questo che la civile Inghilterra sia una nazione barbara? Non ci  fu un certo Boggia in Milano, che per 15 anni consecutivi uccideva e seppelliva gli uomini nelle cantine della sua casa? ll diremo per questo che la Lombardia sia una provincia barbara? Non ebbimo nel 1859 nella civilissima Parma il fatto terribile dell’Anviti? E diremo per questo che Parma sia una città barbara? Non ebbimo noi la società dei pugnalatovi di Livorno? E diremo noi che la civilissima Toscana sia una provincia barbara? (Bravo! Bene!)

Ma lasciamo questi periodi eccezionali nella vita dei popoli, e da uomini seri giudichiamo i paesi colle statistiche dei tempi normali.

Signori, il regno d’Italia ancora non ha una statistica penale, almeno non ce n’è alcuna pubblicata; spero che l’onorevole guardasigilli colmerà questa lacuna. Accordatemi dunque che io mi valga delle statistiche penali di Sicilia e della statistica penale degli Stati sardi: e soffrite che io faccia un paragone dei reati che si rilevano da queste statistiche.

Nei tempi normali, nel 1846, per esempio (poiché i dati statistici che vennero pubblicati sono degli anni 1646, 1850, 1851, 1852), gli omicidi in Sicilia, in un anno, erano 98 sopra 1380 reati, cioè 7 su 100; nel 1850, cioè dopo due anni della rivoluzione, quando già non tutti i galeotti evasi erano rientrati nei luoghi di pena, gli omicidi erano 124 in un anno, e non un migliaio all’anno siccome l’onorevole Govone disse che ne avvengono ordinariamente in Sicilia, furono 124 sopra 894 reati, cioè 14 su 110; nel 1851 furono 107 sopra 897 reati, cioè 13 su 110; nel 1852 furono 115 sopra 993 reati, cioè 12 su 100. Questa è dunque la proporzione dei reati nei tempi normali: ed ho l’orgoglio di dichiarare che non abbiam ragione di arrossire per ciò di fronte allo straniero.

Negli Stati sardi, o signori, qual è la proporzione? Io apro il libro pubblicato d’ordine del Governo l’anno 1853 e trovo gli omicidi 152 su 1451 crimini, cioè 11 per 100.

Voi vedete, o signori, che le proporzioni dei reati non sono dissimili da quelle della Sicilia. Quindi ne tirerete la conseguenza che quell’isola non merita certo di essere giudicata così severamente, siccome fu fatto, e che per lo meno, se vogliamo parlare della sua moralità, non possiamo far a meno di ritenere ch’essa è al pari delle altre provincie italiane.

Ma, diceva l’onorevole Govone, il quale naturalmente non giudicò la Sicilia se non che dalle cose che gli narravano, non dalle cose che vedeva, che ci erano stati vari omicidi di carabinieri; che il paese era diffidente, che nelle condizioni morali in cui si trovava non c’era altro rimedio se non che continuargli il metodo di cura che gli è stato applicato in questi tre anni.

Signori, per quello che riguarda i reati contro i carabinieri sicuramente essi sono deplorabili, ma permettetemi che io ve ne dia il vero significato: cotesti omicidi sono la conseguenza della legge del taglione! Noi abbiamo molti reati commessi anche dai carabinieri e rimasti impuniti;  né di ciò vogliate fare le meraviglie, giacché oggi i carabinieri non sono più quelli di altra volta. A Beipasso, vicino a Catania, a Partinico, a Morreale, i carabinieri si piacquero uccidere degli uomini i quali dopo arrestati fuggivano dalle loro mani.

Ma in quel paese dove il popolo risente le impressioni di amore e di odio con molta vivacità, osservando che non gli vien resa giustizia (fa male, io non lo approvo, anzi sono il primo a censurarlo), risponde reagendo; è cotesta, vi dissi, la legge del taglione!

Signori, ho terminato.

Parlando della Sicilia, non volli estendere le mie osservazioni alle altre parti del regno, e specialmente al Napoletano, giacché ne verrà l’occasione, quando avranno luogo le speciali interpellanze dell’onorevole Greco.

Ma non crediate che questa mia riserva sia stata coll’intendimento di voler fare della causa siciliana un argomento a parte, giacché per me l’ultimo borgo del regno d’Italia equivale alla prima città della Penisola; ogni zolla di terra nazionale dalle Alpi al Lilibeo mi è oltre modo cara, essendo stata mia cura e mio affetto la costituzione di questa grande nazione.

Ora, come conclusione, permettetemi che, nel congedarmi da voi, io vi domandi: qual è il rimedio a tutto ciò? Vi lagnate della diffidenza di quel popolo verso i militari ed i pubblici funzionari, della sua natura sospettosa, dei reati che in gran numero vi si commettono. Cotesti però non sono che effetti; bisogna che voi mi diciate quale ne sia la causa. La causa è nel Governo.

Il Governo ha colpito in quelle provincie tutti gl’interessi, ha urtato tutte le suscettibilità, ha disprezzato l’elemento locale, ha offeso la dignità umana, si è reso impossibile, e perciò l’amministrazione pubblica non può regolarmente procedere.

Ve lo abbiamo detto più volte dal marzo 1861 al dicembre del 1863; ve lo ripeteremo ancora altre volte, perché temiamo che ci darete motivo di doverlo ripetere.

Qual è il rimedio? Il rimedio, signori, non istà  né in quei ministri,  né in voi; il rimedio sta nel Re e nel paese. Ve l’ho detto un anno fa: questa Camera legalmente rappresenta l’Italia, moralmente non la rappresenta. (Applausi nelle tribune pubbliche — Rumori e vivi segni di disapprovazione nella Camera')

PRESIDENTE. Signor Crispi, questa è una sconveniente parola: la ritiri.

Voci al centro e alla destra. All’ordine! all’ordine!

LANZA. È un insulto fatto alla rappresentanza nazionale!

Voci. Si sgombrino le tribune!

CRISPI. Bisogna che il Re nei modi costituzionali faccia appello al paese, affinché ne esca la vera volontà della nazione. (Nuovi richiami)

LANZA ed altri. È un insulto alla Camera!

(Molti deputati a destra ed al centro si alzano gridando: Si chiami all’ordine! Il deputato Crispi all’ordine!)

LANZA. (Con impeto) È un membro della Camera che vuole esautorare il Parlamento!

Molte voci a destra ed al centro. Si facciano sgombrare le tribune pubbliche donde è venuto lo scandalo!

TORRE. Si faccia rispettare la rappresentanza nazionale!

Voci. (Al presidente) Faccia ritirare le espressioni di Crispi.

PRESIDENTE. Lo ripeto: il deputato Crispi ritiri questa espressione, altrimenti egli sarà chiamato solennemente all’ordine.

CRISPI. Signori, non è la prima volta che cotesto pensiero fu da me manifestato alla Camera. Un anno fa vi espressi il bisogno di ciò, e tanta irritazione non fu suscitata. Prendete il volume dei rendiconti parlamentari del 1862, e troverete che io dico la verità.

Se oggi venisse un deputato a dichiararvi che, in tanta difformità di opinioni, sarebbe necessaria una nuova Camera, farebbe forse male cotesto deputato mettendo avanti una sua proposta per un miglioramento della nazionale rappresentanza? ( Nuovi richiami — Agitazione)

PRESIDENTE. Silenzio!

DI PETTINENGO. Domando la parola per una mozione d’ordine.

CRISPI. Per obbedire all’onorevole presidente, spiegherò la frase. (Lunga interruzione)

Voci a destra. No! no! La ritiri!

PRESIDENTE. Ella debbe assolutamente dichiarare che ritira quelle parole.

CRISPI. Per obbedire all’onorevole...  

Voci a destra. Ritiri le sue parole; non c’è altro.

( Vivi rumori)

CRISPI. Non mi lasciano parlare!

Voci a sinistra. Silenzio!

CRISPI. Posso parlare?

PRESIDENTE. Dee ritirare quelle parole, altrimenti si farà risultare dal processo verbale ch’è stato chiamato all’ordine.

Una voce a destra. E togliergli la parola.

(Il rumore continua.)

CRISPI. Non ho sentito il presidente.

PRESIDENTE. (Scuotendo il campanello) Prego i deputati di tacere; (Si fa silenzio)

La invito a ritirare senza più quelle parole.

CRISPI. Allora accetto che mi chiami all’ordine. (Bravo! Bene! a sinistra — Nuovi e forti rumori a destra e al centro)

PRESIDENTE. La chiamo all’ordine, e ne risulterà dal processo verbale. (Bene! a destra)

LANZA. (Con forza) Il paese giudicherà. (Bene! a destra).

Voci a sinistra. Invochiamo anche noi questo giudizio!

BIXIO. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.

Prego l’onorevole presidente della Camera di far riconoscere se le tribune hanno turbato le discussioni della Camera con ischiamazzi, ed in caso affermativo a farle sgombrate. (Bravo! bravo!)

Il Parlamento debb’essere fatto rispettare, e il paese esser certo che le nostre deliberazioni non si fanno al rumore delle tribune pubbliche. (Bravo! bravo! al centro ed alla destra)

È strano che ne sia causa l’estrema sinistra!

PRESIDENTE. (Con forza) A tenore del regolamento ordino agli uscieri di fare sgombrare immediatamente le tribune donde sono partiti gli applausi. (Bravo! Bene!)

(Gli uscieri fanno sgombrare le tribune pubbliche dell’ordine superiore — La seduta è sospesa — Agitazione e conversazioni animate in tutti i banchi della Camera.)

MINGHETTI, presidente del Consiglio ……………………….......................................................………

………………………………………………………………......................................................…………………………

…………………………………………………………......................................................………………………………

L’onorevole Crispi parlando della leva in Sicilia ha recato innanzi delle cifre che discordano dal vero. Io non so dove egli abbia trovato che trent’otto o quaranta mila coscritti siciliani sono sotto le armi. Se tutti i coscritti fossero venuti sotto le armi ne avremmo poco più di ventidue mila; tale è il calcolo fatto sopra le leve di 1 e 2 categoria. Ma bisogna togliere quelli che non si presentarono al momento della partenza e quelli che disertarono dal corpo dopo averlo raggiunto, e sono circa otto mila; vede adunque quanto i suoi calcoli siano errati.

………………………………………………………………......................................................…………………………

………………………………………………………………………......................................................…………………

CRISPI. Domando la parola per un fatto personale. (Rumori)

Voci a destra. No! no! Ai voti!

PRESIDENTE. Indichi il fatto personale.

CRISPI. Il fatto personale è questo.

Voci. No! no! Ai voti!

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Le mie parole non possono dar luogo a fatto personale, d’altronde dichiaro che non ho inteso riferirmi personalmente ad alcuno.

CRISPI. Nella mia assenza (Rumori e voci che impediscono di continuare)

Molte voci a sinistra. Silenzio!

PRESIDENTE. Prego la Camera di lasciar che il deputato Crispi indichi il fatto personale, come il regolamento glielo permette.

CRISPI. Indico il fatto personale, e se i rumori non fossero venuti ad interrompermi, avrei già terminato.

Mi fu riferito che nella mia assenza l’onorevole ministro delle finanze abbia detto che le cifre da me prodotte...  (Oh! oh! a destra)

Voci a sinistra. Lascino parlare. (No! no!)

LAZZARO. Quando ha parlato Bertolami noi abbiamo tollerato.

Voci. Parli! parli!

Altre voci. Non è fatto personale.

PRESIDENTE. Mantengo la parola all’onorevole Crispi per dichiarare il fatto personale; prego la Camera di far silenzio.

CRISPI. Mi fu dunque annunziato che il signor ministro delle finanze abbia detto nella mia assenza che le cifre da me prodotte in quanto agl’inscritti di leva in Sicilia, ai chiamati sotto le armi ed ai renitenti, dei quali tenni parola nel mio discorso d’oggi, non siano esatte: È vero questo?

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Si, è vero; anzi, se vuole, gli darò la memoria.

CRISPI. Non ne ho bisogno. Ebbene, io gli dirò donde abbia prese le mie cifre.

Le cifre le ho tolte dai decreti 5 dicembre e 19 dicembre 1861, numeri 346 e 388, e dall’altro decreto 27 luglio 1862, numero 713; chiunque vuole può andare a leggerli cotesti decreti.

Dalle cifre ivi notate risulta che la Sicilia fu chiamata a dare sugli iscritti delle leve 1840-41-42, entro il periodo di un anno, 56,727 uomini.

L’onorevole ministro della guerra disse che i disertori e renitenti erano 26,125: facendone sottrazione troveremo che sotto le armi ci erano 30,602 uomini. Dunque, sé c’è errore, questo non è mio, ma del Ministero che fu autore dei decreti e che ci ha date le cifre dei renitenti e dei disertori.

Aggiungendo ai 30,602 soldati ch’erano in servizio sin dal principio i 3759 che con mezzi ordinari furono ripresi, i 4000 che furono arrestati con mezzi eccezionali dal generale Govone e dagli altri incaricati delle operazioni militari, avremo un totale di 38,361 uomini.

Se queste cifre volete negarmele, non dovete dirlo a parole, ma coi fatti. Le cifre, 10 ripeto, io le ho tratte da atti ufficiali e dal discorso fatto in risposta al deputato D’Ondes-Reggio dal ministro della guerra.

PRESIDENTE DEL. CONSIGLIO. Domando la parola.

Domani farò pubblicare in un giornale la. risposta precisa al deputato Crispi, perché non voglio prolungare più oltre questa discussione. (Bene!)

LA LEVA IN SICILIA

(Dalla Gazzetta ufficiale del 14 dicembre)

In fine della discussione di giovedì ultimo scorso sulla interpellanza del deputato D’Ondes-Reggio, il deputato Crispi disse, citando decreti, che i Siciliani attualmente sotto le armi ascendono a 38,361 uomini. Il presidente del Consiglio dei ministri, per non prolungare ancora di più la discussione, essendo già l'ora tarda, promise che su questo punto non avrebbe mancato di confutare la cifra allegata, dimostrando quanti effettivamente soldati di quelle provincie trovansi nelle file dell’esercito.

I decreti reali da cui il deputato Crispi desumeva che la Sicilia doveva dare 56,727 uomini sono quelli con cui vien ripartito fra i vari circondari, il contingente di la categoria delle leve 1840-41-42, e portano le date del 5 dicembre 1861, n 346, del 19 dicembre dello stesso anno, n° 388, e l’altro del 28 dicembre 1862, n° 1069, e non già quello da lui erroneamente citato n° 713 del 27 luglio 1862. Le fonti da cui trasse le sue cifre sarebbero state le vere per ciò che riguarda la 1 categoria; ma queste fonti non furono ben consultate dall’onorevole deputato, poiché alla Sicilia non 56,727 uomini, ma ne erano assegnati appena 14,844 di la categoria. Quindi partendo da questa base erronea, tutti 1 suoi calcoli dovevano riuscire, come riuscirono, inesatti.

I seguenti dati confermano il suesposto:

Colla legge del 30 giugno 1861 il Governo del Re fu autorizzato ad operare una leva militare sui nati nel 1840 nelle provincie. siciliane, fissando il contingente

di la categoria a uomini

4500

Da questa cifra bisogna dedurre:

Alunni ecclesiastici dispensati

77

Ammogliati prima del 1° giugno dello stesso anno (articolo 5 della stessa legge)

555

Uomini che non furono potuti somministrare da alcuni circondari ()

13

645 645

Quindi il contingente di 1 categoria si ridusse a

3855

Quando questa 1 categoria fu chiamata sotto le armi ne mancarono alla partenza 1040; per conseguenza il contingente di 1 categoria della classe 1840 che venne sotto le bandiere fu di 2815.

Il contingente di 2 categoria risultò di

uomini
4343

Dai quali però bisogna dedurre:

Alunni ecclesiastici dispensati

63

Ammogliati

412
475 475

Quindi rimasero

3868

Al momento della partenza non risposero alla chiamata 1912 di essi, epperò gli uomini di 2 categoria venuti sotto le armi non furono che 1956.

Gli uomini di 1 e 2 categoria della classe 1840 che vennero sotto le bandiere furono dunque 4771.

La leva sui nati nel 1841 fu operata in Sicilia contemporaneamente alle antiche provincie, alla Lombardia, all’Emilia ed alle Marche e l’Umbria. La legge che approvò questa leva fu quella del 22 agosto 1861, la quale stabilì che il contingente di 1 categoria dovesse essere di 24,000 uomini.

La Sicilia, giusta il riparto sancito col decreto regio in data 19 dicembre 1861, fu tenuta a somministrare

un contingente di 1 categoria di uomini

4915

Deducendo da questa cifra:

Alunni ecclesiastici dispensati

Ammogliati prima della promulgazione

88

della legge sul reclutamento

495

Somministrati in meno per mancanza di inscritti in alcuni circondari ()

21
604 604

Si vedrà che il contingente di 1 categoria della classe 1841 si ridusse a


4311 

Alla partenza poi essendo mancati 1983 individui, ne consegue che coloro che propriamente raggiunsero le bandiere non furono che 2328.

La seconda categoria risultò di uomini

3518

Dai quali dedotti:

Alunni ecclesiastici dispensati

70

Ammogliati

202
272 272

Rimase di uomini

3246

Tolti da questa cifra 1673 individui che non risposero alla chiamata della partenza, restano gli uomini di 2 categoria, che effettivamente raggiunsero le insegne 1573.  Dimodoché fra 1 e 2 categoria andarono sotto le armi 3901 uomini. .

La leva sui nati nel 1842 fu operata contemporaneamente in tutte le provincie del regno. Il Parlamento autorizzò il Governo ad effettuarla con legge in data 13 luglio 1862, con la quale il contingente di 1 categoria rimase fissato a 45,000 uomini.

La Sicilia, a seconda del riparto fatto ed approvato con regio decreto in data 28 dicembre 1862, fu chiamata a somministrare

un contingente di 1. categoria di  uomini

5369

Sottraendo da questa cifra:

Ecclesiastici dispensati

101

Ammogliati

221

Individui somministrati in meno da alcuni circondari (1)

745
1067 1067

Rimase il contingente di 1 categoria

4302

La 2 categoria raggiunse appena la cifra di

1723

Da cui bisogna ancora togliere:

Ecclesiastici dispensati

35

Ammogliati

60
95 95

Sicché rimane di

1628

La tenuità di questa cifra dimostra evidentemente come i renitenti, anziché diminuire, crebbero sempre più.

Siccome però la 2‘ categoria sui nati nel 1842 non è stata chiamata sotto le armi, così non teniamo calcolo di questi residuali 1628 uomini, come non ne tenne calcolo il deputato Crispi.

Riepilogando il risultato delle tre leve abbiamo:

Leva 1840, 1 categoria

2815

Id. 2 id.

1956
4771 4771

Leva 1841, 1 categoria.

2328

Id. 2 id.

1573
3901 3901

Leva 1842, 1 categoria

4302

Id. 2 id. non chiamata

4302 4302

Totale

 12974

Questi furono realmente gli uomini della Sicilia che raggiunsero le bandiere nazionali (), ma dopo le disertarono 1419 di essi, epperò

i soldati di dette provincie si ridussero a

11555

Siccome però vi furono:

Renitenti arrestati o presentatisi spontanei fino alla pubblicazione del discarico finale della leva sui nati nell’anno 1842 (10 giugno 1862)

1372

Disertori (mancati alla partenza) arrestati o presentati spontanei

2387

3759

3759

Arrestati nelle operazioni condotte dal generale Govone circa altri

4000

Così la cifra verrebbe ad ascendere a uomini


19314

se tutti i renitenti arrestati fossero stati trovati abili al servizio militare, il che non è, mentre nella Sicilia le riforme degl’inscritti non sono minori in media sulle tre leve del 22,85 per cento.

Del resto, siccome questi renitenti arrestati durante le operazioni del generale Govone vanno a deduzione del contingente della leva in corso, così nelle leve sui nati del 1840-41-42, delle quali era questione nella Camera, la Sicilia non somministrò realmente che circa 14,000 uomini, la metà, cioè, di meno di quelli che avrebbe dovuto somministrare in ragione della sua popolazione. Anzi i 38561 uomini che il deputato Crispi suppone trovarsi sotto le armi ed appartenenti a quelle provincie, non solo la Sicilia, nuova alla leva, ma neppure le stesse antiche provincie, fatta ragione della popolazione, così abituate alla medesima, avrebbero potuto dare all’esercito.

Infine, se per la leva di quest’anno il Governo ottenne, non senza opposizione nella Camera, un contingente di 55,000 uomini sopra una popolazione di 21,894,925, come avrebbe la Camera medesima accordato per le tre leve 1840-41-42 sopra una popolazione più di tre volte minore, cioè di 6,906,504 (quale è quella della Sicilia triplicata) il contingente ancora maggiore di 56,727 uomini citati dal deputato Crispi?

_________


L’articolo che precede non offre sufficienti informazioni sulle tre leve operate in Sicilia dal dicembre 1861 al dicembre 1862. Esso dà una nuova prova del poco ordine nella nostra amministrazione, e della mancanza di statistiche militari dalle quali dovrebbesi senza alcuna difficoltà riconoscere il numero degli uomini validi a prender le armi, e quello che realmente ogni provincia tiene nell’esercito nazionale.

La prima leva fu ordinata in Sicilia con legge speciale del 30 giugno 1861 (numero 63), e le altre due leve con leggi 22 agosto 1861 (numero 223) e 13 luglio 1862 (numero 696).

Con regi decreti 5 e 19 dicembre 1861 (numeri 346 e 388) la Sicilia fu chiamata a dare la prima categoria per le leve degli anni 1840 e 1841, e con decreto 28 dicembre 1862 (numero 1069) la prima categoria per la leva del 1842. Da cotesti decreti risulta che i giovani iscritti ed il contingente dovuto da ogni circondario erano nelle seguenti proporzioni:


1840 (decreto 5 dicembre 1861, num. 346)

CIRCONDARI

NATI
NEL 1840
ISCRITTI CONTINGENTE DI 1^ CATEGORIA

Acireale

847 847 154

Alcamo

642 642 117

Bivona

510 510 93

Caltagirone

892 892 162

Caltanisetta

923 923 168

Castroreale

746 746 136

Catania

1795 1795 326

Cefalù

839 839 153

Corleone

464 464 84

Girgenti

1958 4958 356

Mazzara

616 616 112

Messina

2225 2225 405

Mistretta

489 489 89

Modica

1157 1157 210

Nicosia

687 687 125

Noto

591 591 107

Palermo

4007 4007 728

Patti

814 814 148

Piazza

782. 782 142

Sciacca

484 484 88

Siracusa

734 734 133

Termini

1016 1016 185

Terranova

588 688 107

Trapani

945 945 172
24751 24751 4500

1841 (decreto 19 dicembre 1861, num. 388)

CIRCONDARI

OMESSI DI LEVE ANTERIORI NATI NEL 1841 ISCRITTI DEDOTTI I CAPILISTA CONTINGENTE DI 1^ CATEGORIA

Acireale

1 862 863 156

Alcamo

18 675 693 126

Bivona

» 630 630 114

Caltagirone

» 1149 1149 208

Caltanisetta

3 966 969 176

Castroreale

» 786 786 142

Catania

» 1870 1870 339

Cefalù

» 926 926 168

Corleone

» 582 582 106

Girgenti

» 1884 1884 341

Mazzara

» 633 633 115

Messina

69 2442 2501 453

Mistretta

» 475 475 86

Modica

41 1447 1488 270

Nicosia

1 931 932 169

Noto

» 646 646 117

Palermo

» 4176 4176 757

Patti

» 837 837 152

Piazza

» 934 934 169

Sciacca

» 656 556 101

Siracusa

» 969 969 176

Termini

» 1122 1122 203

Terranova

9 646 665 119

Trapani

» 836 836 152

132

» 26780 27112 4915

1842 (decreto 28 dicembre 1862, num. 1069)

CIRCONDARI

CAPILISTA PROVENIENTI DA LEVE ANTERIORI OMESSI DI LEVE ANTERIORI NATI NEL 1842 ISCRITTI DEDOTTI I CAPILISTA CONTINGENTE DI 1^ CATEGORIA

Acireale

246 5 876 881 186

Alcamo

143 » 639 639 135

Bivona

» » 568 568 120

Caltagirone

96 6 1001 1007 213

Caltanisetta

148 1 930 931 197

Castroreale

98 3 840 843 178

Catania

370 16 1990 2006 424

Cefalù

169 6 839 835 177

Corleone

46 2 485 487 103

Girgenti

388 » 1743 1743 369

Mazzara

109 1 618 619 131

Messina

336 13 1961 4973 417

Mistretta

91 1 469 470 100

Modica

176 13 1347 1360 388

Nicosia

132 » 788 788 167

Noto

83 » 615 615 130

Palermo

306 7 4131 4128 873

Patti

113 5 813 817 173

Piazza

169 5 817 822 174

Sciacca

50 3 569 573 121

Siracusa

76 44 773' 817 173

Termini

136 1 liJJìo 1066 326

Terranova

108 530 530 112

Trapani

107 7 854 861 182
3475 138 85340 25378 5369

______________

Riassumendo abbiamo:

Iscritti del 1840

24751

Id. del 1841

27112

Id. del 1842

25240

Totale

77103

Prima categoria del 1840

4500

Id. del 1841

4915

Id. del 1842

5369

Totale

14784

Il rapporto della prima categoria sugl’iscritti è circa del 19 per cento. Nulladimeno il Governo dichiara che la Sicilia non potè neanco apprestare il contingente della prima categoria in quel numero d’uomini che le fu con gli enunciati decreti reali richiesto. A provare l’incredibilità di ciò bastano poche osservazioni. La Gazzetta Officiale ci dà la notizia che «nella Sicilia le riforme degl’iscritti sono in media, sulle tre leve, del 22 85 per 100.» Ammesso ciò, ed essendoci ancor margine nelle liste, è assurdo il dire che, fatte le esenzioni sul numero che doveva costituire il contingente di prima categoria, il Ministero a compierlo non si fosse servito dei rimanenti iscritti di leva. Egli così operando avrebbe mancato alla legge, il che non puossi neanco presumere, dopoché fu visto che si trascorse in atti illegali per eseguire la coscrizione in Sicilia.

Con decreto reale del 27 luglio 1862 (numero 713) il Governo chiamò sotto le armi gli uomini appartenenti alla seconda categoria delle classi 1840 e 1841. Questa doveva comporsi degl’inscritti che sarebbero sopravanzati dopo fornito' il contingente di prima categoria (articolo 3 legge 30 giugno 1861 e articolo 3 legge 22 agosto anno stesso). Il contingente di prima categoria pel 1840 ed il 1841, siccome si è potuto scorgere dalle cifre riferite più sopra, era di 9415 uomini su 51,863 iscritti. La seconda categoria dunque doveva constare di quel numero di uomini rimasti nelle liste, dopo partiti i 9415 individui di prima categoria. Quale ne era la cifra? Il Governo dichiarando inesatta quella data da me nella tornata del 10 dicembre, ne pubblica una della cui verità ci è luogo a dubitare.

Il Governo asserisce nel suo giornale che il contingente di prima categoria prestato dalla Sicilia per la

leva 1840 fu di uomini

3855

e quello di seconda categoria di»

3868

quello di prima categoria pel 1841 di

4311

e quello di seconda categoria di

3246

finalmente quello di prima categoria pel 1842 di

4302

Totale

uomini 19582

Di costoro quei che non risposero alla chiamata e però furono renitenti sono:

Della prima categoria 1840

uomini 1040

Della seconda categoria 1840

» 1912

Della prima categoria 1841

» 1983

Della seconda categoria 1841

» 1673

Totale

uomini 6608

Aggiuntivi i disertori

» 1419

Totale

uomini8027

Vi erano dunque sotto le armi

uomini11555

Senza osservare se realmente sia esatta la cifra degli 11,555 che rimasero nell’esercito, circostanza della quale non si può esser sicuri, siccome sarà detto più sotto, mi è lecito far notare che la Gazzetta Officiale è in contraddizione col ministro della guerra per quanto si riferisce al numero dei renitenti e dei disertori. 11 ministro della guerra così parlava nella tornata del 5 dicembre alla Camera (tolgo dal rendiconto ufficiale):

«La leva del 1840 (era la prima quella che si faceva sotto l’impressione dell’entusiasmo) diede 4987 renitenti; la leva del 1841, diede 5870 renitenti; la leva del 1842, 8241; in totale queste tre leve 1840-41-42 diedero sui ruoli. dei renitenti 19,298 individui. (Segni di stupore)

«Dopo questi vengono i disertori, cioè quelli che erano stati inscritti sui ruoli della seconda categoria, e che chiamati non si presentarono -questi sommano a 2952 per la classe del 1840, ed a 2656 per quella del 1841: totale 5608.

«Finalmente dai corpi diversi dell’esercito, di quelli inscritti che avevano obbedito alla legge sulla leva ne erano disertati 1419. Addizionando tutte queste cifre troviamo un complesso di 26,225 individui. (Sensazione)»

Tra il ministro e lo scrittore dell'articolo nella Gazzetta ci dev’essere qualcheduno caduto in errore, giacché nelle cifre da loro date ci è una differenza di 18,198 uomini. Ma lo scrittore dell’articolo cade altresì in contraddizione con sé stesso. Egli dichiara che le cifre delle due leve del 1840 e del 1841 si sono ridotte:

1840 (prima categoria) a

3855 uomini

1840 (seconda categoria) a

3868 id.

1841 (prima categoria) a

4311 id.

1841 (seconda categoria) a

3246 id.

Aggiungendo a queste cifre:

Alunni ecclesiastici dispensati nelle due leve

298 id.

Ammogliati anche dispensati

1664

id.

Ne risulta un totale di

32242 uomini

Ora questa cifra non si accorda col numero degli iscritti di lèva il quale per quei due anni era di 51863, ammesso altresì che su questi bisognasse togliere il 22 85 per cento di riformati, siccome venne dichiarato nella stessa Gazzetta.

Spiegherò meglio il mio concetto.

Gl’inscritti di leva in Sicilia, siccome più volte fu detto,

erano pel 1840 e il 1841 in

51,863 uomini

Toltovi il 22 85 di riformati, cioè

11,851 id.

la cifra delle due leve doveva essere di

40,012 uomini

e non di 32,242 siccome venne riferito dalla Gazzetta Officiale. Non ho mica tenuto conto della leva del 1842, sulla quale la gazzetta non ci dà renitenti; aggiungendo la cifra dei presenti sotto le bandiere per cotesto anno alla cifra degli altri due anni, si vedrà che i miei calcoli non erano molto lontani dal vero quando io parlavo alla Camera.

Io potrei continuare le mie osservazioni, ché ce ne sarebbero delle altre pure importanti da fare. Me ne astengo, perché farei una inutile polemica.

Il Ministero che aveva promesso nella tornata del 10 corrente alla Camera di pubblicare le cifre esatte delle leve operatesi in Sicilia, non l’ha fatto malgrado che ci avesse pensato quattro giorni. Quelle date da me saranno anco erronee, circostanza che resta a provare; ma, ripeto ciò che dissi in Parlamento, non ne è mia la colpa, giacché io ne aveva tratto gli elementi dagli atti ufficiali.

Intanto quel che si deduce dalle discussioni parlamentari e dall’articolo della Gazzetta egli è che il Ministero, inaugurando in Sicilia il regime eccezionale, non aveva sulla leva e sui renitenti quei dati certi e inoppugnabili che sono necessari, quando si vuole assumere la risponsabilità di uscire dai limiti della legge.




ERRATA-CORRIGE

Pag. 63, lin. 4, invece di id. del 1842...  25240, leggi:

id. del 1842...  25378 —

Pag. 63, lin. 5, invece di totale...  27103, leggi:

totale...  27241.

Pag. 66, lin. 9, invece di totale di 32242 uomini, leggi:

totale di 17242 uomini.

Pag. 66, lin. 20, invece di e non di 32242, leggi:

e non di 17242.





Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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