MEMORIA DOCUMENTATA DEL DEPUTATOGENERALE GIUSEPPE LA MASASULLA QUISTIONE CHE LO RIGUARDA DIRETTA Agli Onorevoli Deputati del Parlamento Italiano TORINO, 1862 TIPOGRAFIA ARNALDI Via S. Agostino, N. 6. |
La mia questione col Ministero della Guerra fu svisata anche in Parlamento, perché da un lato a me non. è stato ancora concesso di poterla svolgere, dall'altro il Ministro disse parole ambigue ed in sua difesa, ma non comunicò alla Commissione composta di Deputati (che il Ministro medesimo propose), tutti i documenti che mi riguardano Nè la Commissione lesse la copia di detti documenti che le spedii per mezzo del Presidente della Camera;. né io fui dalla medesima inteso.
Così essa non potè emettere un esatto giudizio così io fui costretto a protestare alla Camera contro di questo malaugurato incidente, allo scopo di svolgere completamente e nettamente la quistione.
E perché i rappresentanti della Nazione conoscano i fatti che hanno stretto rapporto con essa, dirigo loro i documenti necessarii rischiarati da una succinta narrativa.
lo spero che questa memoria gioverà pure ad abbreviare alla Camera la discussione, perché mette sotto gli occhi ogni cosa che servir deve di base alla decisione da emettersi in proposito.
E con essa spero che gli onorevoli Deputati conosceranno sin da oggi chi sia la causa di questa scandalosa pubblicità, che per 18 mesi tentai dal lato mio, e in ogni modo, di evitare.
G. LA MASA
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Lasciando ogni preambolo entriamo nella questione, incominciando dall’esporre brevemente i fatti e i documenti, dall’epoca in cui essa ebbe principio, in Caserta. E per essere breve più che mi è possibile tralascio di narrare i fatti che la precessero della Campagna di Sicilia ed in parte di quella di Napoli, quantunque vi abbiano stretto rapporto, imperocché, al dire di Garibaldi, fu l'invidia per quei fatti, prima cagione delle mie persecuzioni. Ond'è che invito gli onorevoli Deputati a gettare anche uno sguardo sul libro che io loro presentai l'anno scorso: «Alcuni fatti e documenti della rivoluzione dell’Italia meridionale del 1860 riguardanti i Siciliani e La Masa» il quale in gran parte riesce a spiegare le vere cause di tante nequizie.
Traversata, col Dittatore, la Calabria e giunto in Napoli, io tosto ini offersi di recarmi agli avamposti sotto Capua, prima ancora che fossero riuniti sotto il mio comando, secondo l’ordine Dittatoriale, tutti i Corpi siciliani destinati alla campagna del continente.
Avverta il lettore che in Sicilia mi fu conferita dal Dittatore la nomina di Comandante Generale dei Cacciatori dell’Etna e delle Guerriglie Siciliane, cioè di tutta la forza attiva siciliana, ed in tale qualità presi parte nella difesa della capitale dell’Isola, (Documento I. — Più leggasi nel libro citato: I Siciliani e La Masa, da pag. LXIV a pag. LXXIII).
Nella giornata del 1° ottobre i miei soldati ebbero una memoranda parte nella vittoriosa battaglia del Volturno che decise la sorte di Napoli. Dicessi quindi loro le dovute lodi in un ordine del giorno, come di consuetudine.
Frattanto io vedeva nei giornali, rapporti ed ordini del giorno coi quali si tentava di togliere quella parte di gloria che operano guadagnata i miei soldati, e darsi intieramente ad altri.
Si continuava il metodo inaugurato in Sicilia, non solo di occultare i fatti che risguardavano me ed i Siciliani, ma di travisarli e calunniarli. Molti ricorderanno come in quell’epoca quasi tutti i giornali rapportassero che «i Siciliani non aveano combattuto» anzi e che erano fuggiti» e cose simili.
Credetti allora mio dovere, qual Comandante di Corpo, di fare anch’io pubblicare il mio ordine del giorno accennato, onde impedire che i miei nemici fabbricassero ulteriori menzogne, che, oltre di denigrare la gloria dei fratelli, gettavano il seme della divisione e dell’odio là dove spargere si doveva l’unione e l’affetto, l’emulazione e non l’invidia.
Il giorno 10 ottobre, dopo di aver inutilmente chiesto al Comando Generale che fosse rilevato al pari degli altri il mio Corpo dagli avamposti, ove trovavasi da circa un mese senza mai un giorno di riposo, ed erasi assai assottigliato pei morti, feriti e malati, per cui io temeva, non avrebbe potuto resistere ad una nuova sortita del nemico (Documento li ed Allegato Q a pag. lxi), mi recai a Caserta per chiederlo verbalmente al Dittatore.
Esso, dopo di avermelo promesso, prosegui dicendomi: «Questa volta non sono molto contento di voi, perché avete riempiti i giornali di lodi per voi e pei vostri.» Rimasi sorpreso, e risposi: «io non scrissi che un semplice ordine del giorno, il quale fu inserito in un solo giornale, e dopocché viddi pubblicati quelli di altri Comandanti.» In quel mentre si annunziava che il pranzo era servito; ed il Dittatore m’invitava a pranzare seco.
Io non accettai dicendo che avea già desinato agli avamposti; ina accettai di seguirlo nella stanza da pranzo, per metterlo al Chiaro dei fatti, ché io scorgeva gli erano stati travisati. Egli cortesemente mi offri la sedia a lui daccanto, e sedemmo.
Dopo brevi istanti incominciai dicendogli: «Vedo che siete stato: male informato dei fatti, e del mio ordine del giorno, nel quale neppure parlo di me, e dirigo lodi, non ai miei soldati soltanto, ma anche a tutti gli altri che combatterono nella medesima linea di battaglia dove comandai, ed a coloro che in altri punti della città, sotto altri Comandanti, si copersero di gloria; permettete che ve lo dia, onde ne prendiate cognizione voi stesso ed in cosi dire spiegava il giornale che lo avea pubblicato.
Il Dittatore non mostravasi convinto dalle mie ragioni — per cui esclamai: «Ma se ascoltate da un lato le menzogne contro di me, lasciate dall’altro ch’io ve le smascheri, è vedrete che io ed i miei soldati, non solo fecimo il nostro dovere, tna unitamente agli altri ch'io comandava, salvammo la parte più esposta di S.a Maria, e la più combattuta!»
A quelle mie parole il Dittatore si alzò impetuoso, ed avvicinandosi a me, che a quell'atto mi era pure alzato, dissemi all’orecchio somméssamente in modo che i commensali, ch'’erano molti, non potessero udire «Rammentatevi che siete svenuto a Calatafimi!»
Può ciascuno immaginare l’impressione che mi recò il sentire quelle parole dal Dittatore!
Risposi ad alta voce, perché non avea riguardo che si parlasse altamente d’una calunnia non meno stolta che iniqua «Questa è un’infamia!si chiama svenire il cadere balzando da cavallo per non essere gettato in un precipizio? e ciò quattro miglia distante dal nemico, e ire ore avanti dell’attacco… Ne voglio soddisfazione... e subito... voglio conoscere coloro che inventano simili calunnie! Il Dittatore risposemi: «Ebbene... dopo pranzo ne parleremo.»
E qui pria di proseguire prego il lettore di esaminare quell’ordine del giorno che servì di strumento ai maligni per suscitare la collera contro di me nell’animo di colui ch''e rasi dimostrato sempre amico mio, sempre sdegnoso contro qualsiasi opposizione a mio riguardo. Desidero che si giudichi se io in esso glorificava me stesso, e prego di osservare anche la nota a piedi dalla quale rilevasi che allora anzi io diceva meno del vero (Documento III, estratto dal giorn. La Bandiera Italiana del 6 8.bre 1860).
Racconterò succintamente il fatto sul quale fu edificata la speciosa calunnia di uno svenimento in faccia al nemico.
Io mi recava ad eseguire un ordine di Garibaldi, mentre la Colonna spedizionaria facea grande alto nel paese di Vita: giunto sui lato del monte che sta presso allo stesso paese, ed ai cui piedi eravi la nostra avanguardia, m’incontrai con altro uomo a cavallo.
Il sentiero era strettissimo, e fiancheggiato da un lato da un profondo precipizio e dall’altro dalla montagna.
I due cavalli ravvicinarsi s’inalberarono e imbizzarrirono a tal segno, che il mio, indietreggiando, era in sul punto di cadere nel precipizio. Io non vidi altra risorsa che balzare da cavallo e gettarmi dal lato opposto; ma, per,l’irregolarità del terreno, percossi fortemente il lato sinistro ed il capo contro i sassi, perdendo conoscenza a causa della forte percossa alla parte occipitale.
Ciò accadde come dissi, vicinissimo a Vita (ad un quarto di miglio circa) e più, di cinque miglia distante da Calatafimi, nella di cui sottoposta falda era il nemico, e tre ore circa prima dell’attacco.
Riavutomi, dopo qualche tempo, provai di alzarmi, e sebbene con forte dolore e con frequenti vertigini, pelle contusioni e la percossa alla testa, pure mi forzai a camminare, e, trascinandomi lentamente, raggiunsi la Colonna spedizionaria, la quale,erasi intanto avanzata e posizionavasi sulla vetta del monte, in faccia alle alture così dette Pianto dei Romani, che stanno sotto il paese di Calatafimi, dove scaglionavansi i borbonici.
Sedetti a fianco del Dittatore raccontandogli quanto mi era avvenuto. Dopo circa un’ora ch’io era colà, incominciò l’attacco; e Garibaldi slanciossi contro il nemico con sole due compagnie: il rimanente della nostra truppa restava scaglionata sull’altura ad attendere gli ordini. Le riportate contusioni m’impedivano di correre per seguir Garibaldi; e fui costretto a rimanere col grosso capila truppa. Dopo brevissimo istante il Colonnello Cenni venne a trasmetterci l’ordine di far spiegare tutta la forza — io tosto l’eseguii, nel modo come meglio potei per lo stato in cui trovavami a causa della caduta.
Delle dichiarazioni de varii testimoni credo bene d’inserire qui soltanto quella del Colonnello Cenni, perché scritta da uno non siciliano, e perché da essa rilevasi che lo stesso figlio di Garibaldi fu testimone della mia caduta (Documento IV).
Ora proseguiamo.
Dopo quella scena dolorosa col Dittatore in Caserta, io lasciai Isf stanza da pranzo e mi recai nell'attigua, ove sotto l’impressione della collera, vergai una lettera al Dittatore con cui gli chiesi la mia dimissione ed i mezzi perché mi si rendesse sollecitamente la dovuta soddisfazione (Documento V).
Nel mentre stava scrivendo venne il maggiore Vecchi a significarmi, a nome del Dittatore, che quella sera non potea più vedermi per essere giunta una commissione dai vicini paesi ad avvertirlo che il nemico si avanzava.
Allora io pregai il Vecchi di consegnare il mio foglio al Dittatore e dirgli che io tornava difilato agli avamposti ed attendeva colà la sua chiamata.
L’indomani e nei giorni seguenti scrissi nuovamente al Dittatore insistendo che mi si dèsse sollecita riparazione (Docum. VI, VII). E perché i Rappresentanti della Nazione conoscano il modo come io non ho risparmiato mezzi a cercar di scoprire, provocare e chiamare col nome che si meritano i detrattori, trascrivo alcuni brani di una lettera che diressi al Dittatore, e di cui mandai copia al Ministero ed al Capo dello Stato Maggiore Generale.
È questo il fatto precisò, chi lo narra diversamente è un infame calunniatore! Generale, vi mando pure il mio ordine del giorno, che ha destato tanta ira e tanta calunnia, e che io sosterrò sempre, e che solo ho pubblicato dietro che per tutti i giornali vidi pubblicarsi i rapporti ed ordini del giorno dei capi di Corpi, che in qualche parte si appropriavano ciò che era dovuto ai miei.
Vi unisco pure copia del mio rapporto spedito al Ministro della Guerra, che con documenti, ed in ogni modo, son pronto a sostenere.
Il motivo segreto di quest’infamia, sapete qual è, o Generale? Non essere io maneggiabile dagli intriganti che purtroppo vi accerchiano! Il tenere alta la fronte innanzi agli uomini immorali che vedo ancora al vostro fianco, ed il mio nome che fa invidia a qualcuno de Comandanti.
Questo mio franco modo di esprimere vi serva di prova, o Generale, che io, come non ho temuto mai le baionette nemiche, non temo, anzi disprezzo il dispotismo settario, e molto più, quando lo vedo intruso nel comando delle armi patrie.
Ad uomini liberi, libere parole (Docum. VI).
Frattanto la truppa piemontese () veniva a rilevare i corpi dell’armata meridionale agli avamposti di S. Angelo e S. Maria, ed io mi trasferii col mio a Caserta.
Mi recai tosto dal Capo dello Stato Maggiore, generale Sirtori, e narrai l’accaduto insistendo, anche con esso, perché venisse subito convocato un consiglio d'inchiesta. Egli mostrò meraviglia del fatto, e mi disse queste precise parole «Scusate... perdonate Garibaldi... io so positivamente ch’esse vi ama e vi stima, e non dovete badare a quel momento di malumore prodotto dalle gravi preoccupazioni politiche e dispiaceri che lo affliggono.» Risposi: che anch’io assai amava il Dittatore — che comprendeva che esso avea proferite quelle parole in un momento di malumore indipendente dalla sua volontà — dal suo cuore — e dalle mie azioni — ma che se non mi fosse stata data una pubblica riparazione certo io non poteva rinunciare al Consiglio d’inchiesta da me domandato.
Mi recai indi dal Ministro della Guerra, generale Cosenz. Egli era al buio dell’avvenuto e se ne mostrò dolente, lo insistetti, anche presso di lui, perché mi fosse data completa riparazione mediante il Consiglio d’inchiesta.
Non vedendo nessuna risposta, la mattina del 18 io scriveva al Capo dello Stato Maggiore ed al Ministro della Guerra insistendo sempre vivamente per la chiesta riparazione, che si convocasse un Consiglio d’inchiesta, ed inviai ai sudetti copia delle mie lettere in proposito dirette al Dittatore (Documenti VIII, IX).
Nel pomeriggio rìcevea la lettera a firma di Garibaldi (Documento X), nella quale veniva nominato altro comandante alla mia truppa, e la lettera del Capo dello Stato Maggiore (Documento XI) colla quale indicava a chi io dovea consegnare il comando.
Io tosto protestai perché, è vero che non si accettava la mia demissione che nella parte soltanto del comando, nominandosi un colonnello della mia truppa a comandante interinale, in mia vece, della 19° Divisione, come riscontrasi anche dall’unita ministeriale (Documento XII), ed a comandante effettivo della mia prima Brigata; ma non mi si comunicava l’ordine sulla convocazione del Consiglio d’inchiesta, il quale avrebbe dovuto essere contemporaneo alla sospensione del comando, dappoiché io avea sempre manifestato, verbalmente ed in iscritto, ch’io volea riparazione completa e radicale nei modi voluti dalla legge e dall'onore. La demissione da me chiesta era un mezzo necessario per ottenere la regolare riparazione, ma non era lo scopo dei miei reclami. Ciò era chiaro; e solo la malignità poteva non riconoscerlo. Diffatti il Dittatore ed il Ministro della Guerra, guidati dalla coscienza, non si ingannarono, e risposero, come appresso vedremo, col provvedimento corrispondente alla equa apprezziazione di quella disgraziata circostanza.
Scrissi sollecitamente al Capo dello Stato Maggiore — al Ministro della Guerra — ai Colonnelli Corrao e La Porta (Documenti XIII, XIV, XV, XVI) protestando contro l’ingiustizia accennata.
Il Ministro Cosenz mi aveva osservato che. il Consiglio d'inchiesta da me domandato non potea ordinarsi non essendovi gli estremi necessarii per farlo, cioè, non essendovi chi mi accusasse, né sapendo io chi accusare, non avendomi il Dittatore, per prudenza, dichiarato chi gli avesse parlalo di quella diceria: e quindi proponevami un Consiglio di disciplina, il quale avrebbe raggiunto lo scopo stesso di smascherare le calunnie, e d'indicare chi fossero i calunniatori.
Io risposi che: Consiglio d’inchiesta — di disciplina — o qualunque altro — per me era lo stesso e lo accettava, purché fosse legale e aperto, facesse chiara la luce, e mi dèsse quella riparazione che mi sentiva nel (liritto di pretendere. Egli allora promisemi che avrebbe tosto parlato col Dittatore in proposito, per averne la sua approvazione, ed avrebbe in seguito ordinata la convocazione di un Consiglio. di disciplina.
Io pregavalo a far esaminare dallo stesso Consiglio i miei fatti militari, dal momento dello sbarco in Marsala fino al 18 ottobre, e ciò perché desiderava, non soltanto che le calunnie ed i calunniatori fossero smascherati, ma che venissero pur anche solennemente constatate le mie azioni in tutta la campagna, le quali, con tanto studio, si erano sempre coperte di silenzio, di tenebre e, quello che è peggio, di menzogne.
Ciò purè egli mi promise.
Mentre io stava attendendo le risoluzioni superiori (le quali diffatti furono date pochi giorni dopo) il Capo dello Stato Maggiore mandava ordini sopra ordini perché io consegnassi il comando (Documenti XVII, XVIII). Io scriveva a Garibaldi ancora una volta rammentandogli che aspettava riparazione, e che insisteva per un Consiglio d’inchiesta. Tale Consiglio dovea convocarsi contemporaneamente alla sospensione dal comando (Documento XIX).
Osservisi come lo stesso Sirtori nella sua lettera (Documento XVIII), parla soltanto di passaggio di comando e non mai di demissione dall’esercizio e mi chiama Generale, come anche dopo sempre fece.
Rimanendo però io fermo a non consegnare il comando, né la cancelleria del mio Stato Maggiore, fino a che non fosse ordinato il Consiglio di disciplina, il Sirtori mandò a far ciò eseguire forzosamente. E qui notisi che non portava nessun disordine ['aspettare qualche giorno, perché io aveva incaricato a fare le mie funzioni stesso Ten. Col. La Porta indicato dal Sirtori (Documento XX).
Io tosto protestai contro quel fatto al Ministro della Guerra (Documento XXI) e l’indomani mi recai dallo stesso.
Egli mi disse che il Dittatore avea data la sua approvazione pel Consiglio di disciplina, che egli lo avea già ordinato al Capo dello Stato Maggiore, che questi però gli aveva detto che quel Consiglio non sarebbe stato necessario, perché si sarebbe data al La Masa amichevole riparazione, lo replicava sempre la mia protesta.
Aspettai ancora due giorni; e vedendo che il Consiglio non si convocava, né soddisfazione alcuna mi veniva, credetti che fosse partito preso dal Capo dello Stato Maggiore di impedirà che si facesse la luce; e mi rivolsi all'opinione pubblica per mezzo dei giornali (Documento XXII, XXIII).
Dai documenti sopracitati il lettore conoscerà il modo prudente nel quale io mi condussi sospendendo la pubblicazione appena mi sembrò che il governo volesse davvero eseguire il Consiglio domandato.
Il Ministro mi comunicò allora la copia autentica dell'Ordinanza con cui aveva nominati i membri del Consiglio di disciplina, Ordinanza che avea spedita fino dal giorno 28 ottobre al Capo dello. Stato Maggiore pella esecuzione di esso (Docum. XXIV).
Nel frattempo si fuse il governò dittatoriale in quello del Re, ed io scrissi una lettera al Ministro della Guerra, Generale Fanti, unendogli copia dell'anzidetta ordinanza (D. XXV).
Mi recai in pari tempo dal Re supplicandolo a voler ordinare che si eseguisse sollecitamente quel Consiglio: e S. M., trovando ragionevole la mia istanza, degnò passarne subito l’ordine al Ministro della Guerra.
Questi ne parlò al Sirtori, il quale rispose, che non si potea fare Consiglio a La Masa perché esso avea data la demissione, ed era perciò stato cancellato dai ruoli dell'esercito meridionale..
Allora io mostrai i documenti, od essendosi riscontrato ch'io non era demissionato dall’esercito, ma semplicemente dal Comando, il Re diede ordine che si convocasse tosto il Consiglio, e che io fossi rimesso» nei ruoli, da cui indebitamente era stato cancellato. Locché fu eseguito-sotto gli occhi del generale conte Della Rocca.
Ma i giorni passavano, e sebbene non vi fosse più verun ostacolo, come mi assicurava il generale Della Rocca, il Sirtori non convocava il Consiglio.
In conseguenza di ciò il 22 dicembre io gli scrissi una lettera pregandolo ad effettuarlo al più presto.
Egli mi rispondeva, con ufficio,del 24 dicembre, nel modo seguente: (Docum. XXVI).
Oggetto
Napoli,24 dicembre 1860.
La questione ch’Ella con vive istanze dimanda di sottoporre ad un Consiglio è di indole e sì delicata che questo Comando credè meglio di sottomettere all’esame della Commissione di Scrutinio.
Nel dargliene pertanto partecipazione le si assicura che qualunque deliberazione venga presa in proposito le sarà subito comunicata.
Il Generale Comandante in Capo
G. Sirtori.
Da esso si vede come della demissione non si facesse più parola, ma si ricorresse invece ad altro mezzo onde non farsi il Consiglio di disciplina, tribunale legale, chiaro, aperto, dal quale io doveva ottenere solenne riparazione, tentandosi invece di cangiarlo in un tribunale chiuso ed arbitrario, cioè in una Commissione di scrutinio, della quale era membro lo stesso Sirtori.
Io comunicai quel foglio al generale Della Rocca Comandante Generale in Napoli, ed esso vi rispondeva nei seguenti termini: (Documento XXVII).
Napoli, 26 dicembre 1860.
Non è della competenza della Commissione Pattare del signor Generale La Masa per due ragioni: 1° Perché la Commissione non tratta degli Uffiziali Generali; 2° Perché la Commissione non può erigersi in Consiglio di Guerra, né di Disciplina, come fu accordato al predetto signor Generale.
Il dì appresso il generale Della Rocca chiese spiegazione al Sirtori sulla frase di «questione delicata» ch’egli portava nella lettera a motivo per non fare il Consiglio di disciplina; ed il generale Sirtori rispose che era per un riguardo a Garibaldi. Il generale Della Bocca gli dimostrò come Garibaldi nulla avesse a fare col Consiglio — che esso stesso anzi lo avea accordato, — e che il Re voleva si convocasse al più presto.
Ha il Sirtori dichiarò, che egli non lo avrebbe mai fatto eseguire, a meno che un ordine espresso del Re non ve lo obbligasse; non tenendo conto di quello già avuto col mezzo del Ministro Fanti.
Dietro di ciò il generale Della Rocca scrisse al Re (che era ritornato a Torino) e S. M. degnò di rispondere subito di suo pugno al generale Della Rocca incaricandolo di passare il suo ordine espresso al generale Sirtori perché convocasse tosto il Consiglio di disciplina a «soddisfazione del Generale La Masa».
Nel frattempo giunse l’ordine che Tarmata meridionale si recasse in Piemonte, ed io venni a Torino col mio regolare foglio di via (nel quale era qualificalo Luogotenente Generale) rilasciatomi dal Comando di Napoli. Tale foglio di via ch’io presentai qui al Comando di Piazza, ora trovasi al Ministero di Guerra al quale lo consegnai.
Dopo qualche giorno del mio arrivo mi recai dal Ministro della Guerra a pregarlo affinché sollecitasse la convocazione del Consiglio.
Egli risposemi: «Come convocare il Consiglio di disciplina se il generale Sirtori mi dice ch’Ella non appartiene più all'esercito, e per esserne demissionato e cancellato dai ruoli?» rimasi sorpreso ad udire rinascere quel pretesto: gli comunicai quanto era avvenuto a Napoli, e presentai al Ministero una lettera del generale Della Rocca la quale mi assicurava che io era stato rimesso nei ruoli. Tale lettera non mi fu più restituita dal Ministero. (Notisi anche che mi erano stati pagati i miei averi del mese di febbraio, e la demissione era stata in ottobre).
Dopo pochi giorni giungeva da Napoli lo stesso generale Della Rocca, ed io gli comunicava quanto mi avea detto il Ministro Fanti.
Egli risposemi: «Dite al Ministro che gli do la mia parola di onore che voi siete stato rimesso nei ruoli da dove eravate indebitamente cancellato, e ciò per ordine del Re — alla mia presenza — e di mano stessa del generale Sirtori».
Ritornai dal Ministro e gli riferii quanto sopra. Dopo di ciò non si parlò più, di nuovo, della demissione. Ma, a quanto mi disse il Ministro, il generale Sirtori presentò. allora un altro pretesto, dicendo che «La Masa non aveva mai appartenuto all'armata meridionale!!!»
Il Ministro Fanti sembra però che non desse retta a questo nuovo appiglio, perché mi dichiarò allora di essere pronto a convocare immediatamente il Consiglio di disciplina, e mi domandò i titoli per riconoscere il mio grado, e poter scegliere in relazione di esso i membri legali.
Io li presentai.
Ma il Ministro dimenticando l'ostilità del Sirtori a mio riguardo, della quale io stesso avea avute indubbie prove, e dimenticando eziandio che gli uffiziali Generali non dipendevano dalla Commissione di scrutinio, secondo il Decreto del Re, chiese il parere sul mio grado a quella Commissione, non avendo io presentato un Brevettò!
E qui è mestieri che faccia una breve digressione onde manifestare il motivo per cui io mi trovava privo dei Brevetto del mio grado, ma come i miei titoli, però, valessero quanto un Brevetto, perché nomine Dittatoriali, direttamente avute, le quali furono per Decreto Reale riconosciute legali.
Giunto in Sicilia colla spedizione dei Mille, io era riconosciuto in virtù del Decreto di Garibaldi che dice: «i gradi, più che ai privilegio, al merito, sono gli stessi coperti su altri campi di battaglia»; nel mio grado del 1848-49 di Luogotenente Generale, come tutti gli altri lo erano nei gradi che avevano coperti «su altri campi di battaglia».
Staccatomi, col consenso del Dittatore, dalla colonna spedizio-naria, io la precedeva; traversava l’isola, facendone insorgere i paesi, disarmando i Borbonici, armando gl’insorgenti, mandando guerriglie ad ingrossare il corpo spedizionàrio, costituendo i governi provvisori, ecc. E girando Palermo mi era portato sulla montagna di Gibilrossa che sta a cavaliere di essa e di Misilmeri.
In Misilmeri io avea proclamato il Governo Provvisorio Centrale dell'isola, ed in Gibilrossa, chiamai e riunii gl’insorti, organizzando coll’approvazione del Dittatore, il primo nucleo del 2° Corpo d’Armata, nel miglior modo possibile, viste le circostanze (Doc. XXVIII, XXIX e XX).
Formai in pochi giorni un campo di oltre sei mila uomini, e portai la catena degli avamposti sino a tre miglia dalla capitale (ove trovavansi oltre a 24 mila uomini di truppa regolare) mentre la colonna spedizionaria era ancora dal lato opposto, e distante quaranta miglia da Palermo.
Quel campo cogli innumeri fuochi, ch’io feci accendere su parte delle montagne circostanti Palermo, e co suoi rumori guerreschi, fu stimato assai più numeroso, infuse la speranza nei cittadini, il terrore nei Borbonici, e fu la base di operazione pell’attacco di Palermo (Vedasi da pag. XXIX a pag. LV del i° Voi. ).
Il 2° Corpo d'Armata era quindi tutto composto di Siciliani, e forte di cinque in sei mila uomini.
Esso formò la prima colonna nell’attacco ed entrata nella capitale; io ne ebbi il comando; la seconda colonna, col Dittatore e tutti gli altri comandanti, si componeva dei continentali, i quali diminuiti dalle conseguenze della battaglia di Calatafimi, e dalla piccola frazione che si era internata coll’artiglieria nell’isola dopo il fatto del Parco, non rimanevano più di settecento cinquanta, e di trecento circa uomini delle guerriglie che erano rimasti coi continentali dopo lo stesso fatto del Parco.
Io era quindi Luogotenente Generale e funzionava da Comandante di un Corpo d'Armata, quando gli altri, ora Luogotenenti Generali, erano; ancora Luogotenenti Colonnelli e Colonnelli.
Pochi giorni dopo l’entrata in Palermo il Dittatore spontaneamente mi nominava Comandante Generale effettivo del Corpo d’Armata € Cacciatori dell’Etna e Guerriglie Siciliane, ciò che significava tutta la forza attiva e regolare dell’isola, tanto organizzata che in formatone. Mi dava l’ordine, a tale effetto, che le guerriglie si organizzassero in battaglioni regolari, e precisamente secondo il suo Decreto (di cui egli stesso mi diede una copia) onde facessero parte dell’esercito attivo, e che si reclutassero i giovani per formarne Subito l’esercito stanziale. Mi ordinava in pari tempo che gli presentassi un Quadro Nominativo di organizzazione del Comando Generale dei «Cacciatori dell’Etna e Guerriglie Siciliane».
lo feci e glielo presentai.
Dittatore lo esaminò, indi approvò e firmò, e mi ordinava di portarlo immediatamente al Ministero della Guerra per dargli. corso ufficiale, ed una copia al Capo dello Stato Maggiore perché ne avesse conoscenza.
Ciò io eseguii immediatamente.
Passarono alcuni giorni e le comunicazioni non venivano; allora io mi recai dal Ministro di guerra. Egli si scusò del ritardo colle molte occupazioni che avea, e promise spedirle l’indomani mattina. Passato ancora un giorno o due senza veder nulla, mandai di nuovo dal Ministro, e nuova promessa di spedirle la sera o la dimane. La faccenda continuò così quasi un mese, infine del quale il Ministro disse di aver perduta l’originale nomina del Dittatore (Documento XXI).
In quell’epoca io mi trovava nell’interno dell’isola a sedare turbolenze ivi sorte, ma il mio Capo di Stato Maggiore andò dal Dittatore a narrargli l’avvenuto, dicendo che teneva copia del Quadro. Allora il Dittatore ordinò di farne altra copia e portargliela.
Ciò eseguito, il Commissario di Guerra, sig. Pasquale Mastricchi, la presentò al Dittatore, che, dopo di averla esaminata, la firmò alla presenza di alcune persone, fra lo quali il Sirtori, dicendo le più autorevoli e lusinghiere parole a mio riguardo (Documenti XXII, XXIII).
Tale nomina il mio Capo di Stato Maggiore credè bene di non più consegnarla al Ministro, temendo che nuovamente la si perdesse, e quand’io ritornai dall'interno, sicuro che una nomina Dittatoriale valeva quanto un Brevetto, e d’altronde neppur io tranquillo di un altro smarrimento, la tenni presso di me.
E qui non posso tacere che fummi narrato che il Generale Sirtori abbia detto alla Commissione di Scrutinio che quel Decreto era stato carpito dagli Ufficiali del mio Stato-Maggiore al Dittatore. Prego perciò di osservare che il primo originale il Dittatore me lo chiese, non solo direttamente ed a voce, ma anche col mezzo del Generale Turr, onde si attuasse subito l’organizzazione del mio Corpo; ed appena firmato, alla presenza dello stesso Generale Tùrr, mi diede l’ordine di portarlo immediatamente al Ministro della Guerra per darglisi il corso regolare — e che quando il Dittatore firmò il secondo (dietro la dichiarazione del Ministro di aver perduto il primo) fu, me assente, alla distanza di quasi un mese dal primo, ed alla presenza di alcune persone (come già dissi) fra cui il Sirtori — parlando ad alta voce di quello che faceva, e dicendo amichevoli parole di me, in tono come di ammonizione a qualcuno ch’era là presente.
Dippiù il Generale Garibaldi dietro le tante ostilità che mi si facevano lo ha riconfermato con una terza copia in Caprera anche firmata di suo pugno.
Ora il lettore conosce che la nomina Dittatoriale che possiedo è perfettamente legale e valida quanto un Brevetto.
Chiudo questa digressione con osservare che i più alti gradi sin dal 1848, terminata l’azione, e quando non mi credea più necessario al comando, li ho sempre rinunziati. Il Governo però non volle mai accettare le mie rinunzie.
Ciò lo sa il Generale Garibaldi: ed al medesimo io dissi sin dall’anno scorso, che se questa volta insisteva per essere riconosciuto nel grado mio effettivo, si era per sostenere il mio decoro militare che si pretendea ledere da altri — ma che dopo avrei saputo (quando il medesimo decoro me lo permettesse) rinunciare come pel passato — Di più aggiungo che al Ministro Pettiti io avea dichiarato che era pronto a rinunciare al diritto di Generale d’Armata e di essere disposto ad accettare il grado di Tenente Generale, se terminavano presto le persecuzioni e l’ingiustizia di volermi riconoscere in un grado di meno degli altri Tenenti Generali dell’Esercita meridionale.
Ciò valga a far conoscere che il movente principale delle attuali insistenze è la difesa della mia riputazione militare, che l’invidia soltanto ha tentato di oscurare.
Riprendo il filo della narrativa.
La Commissione di Scrutinio alla quale, come vedemmo, si era rivolto il Ministro della Guerra per avere un parere, si basò sulle informazioni date dal Generale Sirtori, le quali erano tutte erronee. Leggansi i Documenti XXIV, XXV, XXVI che basteranno a chiarire il lettore di ogni cosa.
E qui chiamo ('attenzione di esso su di una. circostanza la quale determina nettamente il perno della questione, ed è: che fino a questo punto nessuno parlò mai di accuse contro di me. Il Ministro non domandava altro alla Commissione di Scrutinio che un parere sul grado che mi competeva, né accennava a Giuri d'onore, né a Consigli da farsi pria di stabilire il mio grado.
Il bisogno del Giurì fu messo in campo più tardi, quando erano esauriti tutti gli altri pretesti per osteggiarmi.
Nè la Commissione di Scrutinio parlò minimamente di accuse di nessun genere contro di me, né di necessità di Giuri. Il Generale Sirtori avea anzi dichiarato in Napoli, al Generale Della Rocca, che non poteva farsi il Consiglio di Disciplina perché niuno accusava La Masa — e lo stesso a me avea detto il Ministro Generale Cosenz.
E difatti si osservi come nella Ministeriale Fanti non mi si domandano che i miei titoli di nomina, per cui se, in seguito di essa, io avessi presentato un Brevetto, la questione era bella e finita, senza «che a nessuno venisse in capo ch’io dovea essere pria sottoposto d un Giurì d’onore.
Si ponga attenzione ad un’altra circostanza: nella risposta della Commissione di Scrutinio si dice nettamente ch’io avea data la demissione dal comando e non si parla di demissione dall’esercito — né nella Ministeriale si fa cenno per nulla della demissione, anzi ili contrario si chiedono i miei titoli; domanda che non mi si sarebbe fatta ove si avesse creduto alla demissione, la quale avrebbe resa inutile la presentazione di essi, qualunque si fossero.
Fino a questo punto adunque (si noti bene) fui io solo che per mia soddisfazione avea chiesto un Consiglio d'inchiesta per conoscere coloro che si erano piaciuti ad inventare tante favole calunniose a mio riguardo, perché malgrado ch’io li avessi provocati in ogni modo e chiamati a scoprirsi, mai uno si era fatto innanzi ad assumere la responsabilità di quelle dicerie non solo, ma nemmanco ad assumere la responsabilità di averle credule (Docum. XXVU). E perché desiderava che in modo solenne venissero constatati i fatti dei Siciliani e miei, che si vòlevano avvolgere nel buio o nella calunnia, diressi un appello ai Siciliani invitandoli a rispondere pubblicamente alle dimande ch'io loro facea (Doc. XXVIII). Che i Siciliani furono sempre calunniati presso il Dittatore e particolarmente quelli che io comandai sotto Capua, lo prova pure la lettera (Documento XXIX). Didatti furono dimenticati nell’Ordine del giorno del Dittatore.
Desidero che tutte queste considerazioni rimangano impresse nella memoria del lettore perché faciliteranno, più tardi, il suo giudizio.
Spedii quella mia risposta documentata al Ministro, pregandolo, dopo esaminata, a passarla alla Commissione di Scrutinio, onde estinguere le false impressioni prodotte dalle informazioni del Sir-tori, le quali indirettamente nuocevano agli Uffiziali del mio Stato Maggiore, che erano compresi nei quadri medesimi che definiscono il mio grado; protestando però in pari tempo ch’io non dipendeva dalla Commissione di Scrutinio. E nel timore che quella mia risposta andasse smarrita, ne mandai copia a ciascuno dei Membri della Commissione.
Passarono mesi senza che più nulla sapessi.
lo intanto, scorgendo quanto si ritardava il Consiglio di Disciplina da me domandato perché mi facesse giustizia rischiarando ogni cosa, risolsi di cominciare a fare luce e giustizia da me, pubblicando nei giornali le mie lettere e quelle di alcuni Generali, risguardanti i fatti che si calunniavano, e le loro risposte.
Feci inoltre pubblicare un libro che raccontasse brevemente i fatti appoggiandoli ai documenti, onde il pubblico non rimanesse nell’equivoco, nell'ignoranza, o nell'inganno.
Per riguardi di delicatezza e di ordine, ed onde lasciar campo al Ministero di finire la mia questione senza ch'io pubblicassi il mio carteggio con esso, terminai il primo volume, pria di parlare del fatto che mi avea spinto a chiedere la demissione, e di tutto quanto accadde dopo quell’epoca; sospendendo la pubblicazione del 2° volume.
Un solo anonimo sotto il nome di «Ultimo dei Mille» criticò in modo stolto e basso quel libro, mentre invece moltissimi testimoni dei fatti, fra i quali molti dei Mille, lo elogiarono (Doc. A, vedi in fine dei Documenti).
E qui ripeto quanto già dissi nel libro stesso,-cioè che fu dolorosissimo per me l’essere costretto a quella pubblicazione, e che la procrastinai il più possibile, ma essa si era resa indispensabile appunto per colpa di coloro che attraversarono il Consiglio di Disciplina. E di più aggiungo; che se, in qualche apprezziazione d'uomini e di cose, è possibile ch’io mi sia ingannato (non pretendendo io all’infallibilità) trovasi però in esso la più scrupolosa esattezza nei fatti, come i testimoni e i documenti lo provano. In seguito all’articolo dell'anonimo pubblicatosi sulla «Libera Parola» chiesi conto al Direttore del Giornale, e ne ebbi la dichiarazione (Doc. XL). Indi mi rivolsi al Colonnello Bassini, per un’allusione equivoca che trovavasi in quell’articolo, e ne èbbi la dichiarazione (Documento XLI).
Intanto il Generale Cugia assumeva il portafoglio della Guerra, ed ia gli scriveva la lettera (Doc. XLIl).
Non ebbi mai risposta, né nulla si fece.
Venne il Ministro Della-Rovere. Io mi recai a pregarlo che sollecitasse la soluzione della mia vertenza, ed egli risposerai che ne avrebbe preso conoscenza al più presto.
Ma il tempo passava indarno; per cui il giorno 16 ottobre 1861, temendo che s’io lasciava trascorrere l’anno senza che fosse convocato il Consiglio di disciplina dopo mi si opponesse la prescrizione, scrissi al Ministero una protesta (Documento XLIII).
Trascorsi alcuni dì mi recai dal Ministro.
Egli mi disse che avrebbe chiamata una Commissione ad aiutarlo nell’esame dei miei documenti, onde vedere se era possibile che-con quei titoli mi si potesse riconoscere qual Maggior Generale. Al che risposi che i miei titoli portavano il grado di Generale d'Armata.
Ma a questa osservazione egli dimenticò la sua gravità, ed in modo impetuoso e collerico, alzando assai la voce dissemi «che non replicassi più quella parola, che la dimenticassi, perché non solo io non sarei mai riconosciuto come Generale d’Armata, ma neppure come Luogotenente Generale.»
Io risposi; che si trattava del corpo dei Volontarii, dove se altri che cominciarono la campagna come Tenenti Colonnelli, ora erano Luogotenenti Generali, non sarebbe né strano, né ingiusto che io, che la cominciai come Luogotenente Generale, e che le circostanze mi aveano posto nell'occasione di combattere in più fatti d’armi, e di avere una parte più importante degli altri nell’impresa di Sicilia, fossi ora Generale d’Armata; che sarebbe invece stato strano ed ingiusto il farmi retrocedere di gradi, che equivaleva degradarmi. Che però del resto vi erano i miei titoli i quali stabilivano il mio grado, e che io non voleva essere riconosciuto né di più, né di meno di quanto dall’imparziale e legale esame di essi risultasse: che lo pregava soltanto a sollecitare la soluzione di una vertenza già troppo ritardata. Egli calmatosi alquanto, me lo promise.
Dopo qualche dì io gli spediva la lettera e le informazioni (Documenti XLIV, XLV) e ciò perché egli mi avea accennato ancora alla demissione, e perché la Commissione fosse bene informata sui miei titoli. Si osservi che se io ripetei molte volte le stesse cose, fu nel timore che non fossero state lette, dappoiché mai mi si rispondeva, né mi si facea cenno di conoscere la mia questione — come mai potei, ottenere di parlare più di quattro o cinque minuti col ministro Della-Rovere.
Passati ancora alcuni giorni, egli mi disse che la Commissione avea date il parere; 1° di esaminare se la mia demissione dall'esercito fosse stata accettata,2 farsi il consiglio,3° stabilirsi il mio grado.
Al che io risposi: «Circa alla questione della demissione fu già «decisa dal Re in Napoli e dal Ministro Fanti in Torino, per cui essa non è più da portarsi in campo. Se il Consiglio è quello che io ho chiesto tanto insistentemente da più di un anno allo 4 scopo ch’egli scopra i calunniatori e mi dia la dovuta riparazione, sta bene, ed io la ringrazio.»
Non seppi più nulla per qualche tempo: quando per caso udii Che era stato nominato il Consiglio.
Nessuna comunicazione me ne fi! dato, nessuno mi chiamò.
Mi recai, dopo qualche giorno, dal Generale Durando, che io avea inteso dire ne fosse il Presidente, e manifestandogli la mia sorpresi per non aver ricevuta comunicazione, gli chiesi: se quel consiglio era quello medesimo da me domandato. Egli mi rispose di si.
E richiestolo perché non mi si chiamasse, promise che mi avrebbero chiamato fra pochi giorni onde io dèssi gli opportuni schiarimenti.
Una sola volta fui presente alla seduta del Consiglio; e l’indomani presentai in iscritto, al Consiglio medesimo, una memoria in cui ripeteva quanto gli avea il di innanzi verbalmente dichiarato, aggiungendovi anche un piccolo schizzo topografico, onde, posta ogni cosa chiaramente sott’occhio, non potessero aver luogo dubbie interpretazioni, equivoci, confusioni (Doc. XLVII).
E qui prego il lettore di fare attenzione alla conclusione di quella memoria, perché lucidamente essa dimostra, come io riteneva sempre che quel Consiglio fosse il tribunale militare, legale, da che richiesto ed ottenuto dal Governo Dittatoriale e dal Re.
Al Presidente, dello stesso, io avea poi verbalmente dichiarato che se quel genere di Consiglio non era quello da me chiesto per mia soddisfazione, — ma invece intendesse sottoporre me ad un accusa, non lo avrei riconosciuto, e me ne sarei appellato al Parlamento.
lo era quindi tranquillo che il Consiglio che si faceva, sotto qual» siasi nome designato, era al solo ed identico scopo pel quale io avea domandato il Consiglio d’inchiesta e mi si era in sua vece ac» cordato il Consiglio di Disciplina; e mi bastavano le dichiarazioni e proteste esplicitamente fatte, ed in tutti i modi manifestate, al Ministro ed al Presidente del Consiglio convocato.
Solo dopo di aver ricevuta la Ministeriale Petitti 26. marzo 1864. conobbi che quello era un Consiglio fuori legge, e per convocare il quale mi si era cangiato niente meno che, da accusatore, in accusato! Intanto succedeva il cambiamento del Ministero, ed io dopo alcuni giorni mi recai dal nuovo Ministro di Guerra pregandolo a, sollecitare l’evasione del mio affare. Egli mi disse che non lo conosceva ancora, ma lo avrebbe esaminato tosto.
Io sapeva che il Giurì avea dato il suo verdetto a me favorevole — che le calunnie erano state tutte distrutte — che nessuno erasi trovato che mi accusasse. Il ritardo al mio riconoscimento mi si avea fatto credere non provenire che dall'aver aspettato il Ministro Della Rovere di avere un posto in cui collocarmi.
Quando il giorno 26 marzo ricevei il seguente Uffizio: Ministeriale (Docun. XLVII).
Torino, addi 25 marzo 1862.
Onde stabilire in modo definitivo la posizione militare della S. V. il Ministro della Guerra domandava alla Commissione di scrutinio per gli Uffiziali dei Corpi volontari il suo avviso, ma talun membro della medesima avendo creduto per delicatezza, attesi proprii particolari rapporti colla S. V., doversi astenere dallo esternare il proprio sentimento di lei riguardo, venne tale questione portali avanti la Commissione mista di membri dei comitati delle varie armi, la quale considerando come ella non abbia verun brevetto di nomina regolare, ed in vizia degli appunti fattile dalla pubblica opinione, proponeva che V. S. fosse sottoposta ad un Tribunale d’onore — e questo veniva, a seconda di tale proposta, dal Ministero nominato perché avesse a stabilire: se la S. V. potesse in faccia all'Esercito regolare ed al Corpo de’ volontari italiani onorevoli»ente rivestire il grado di Maggior Generale dello Esercito, con decoro di questo.
Quel Tribunale in seduta 25 gennaio p. p. stabiliva a maggioranza di voti, che in via legale poteva quel grado essere alla S. V. conferito, ma Taceva seguire tale deliberazione da gravi ed unanimi considerazioni, per cui dimostrava come non fosse conveniente le venisse affidato verun comando corrispondente a tal grado.
Il Tribunale d’onore ebbe per tal modo pronunciato un doppio giudicalo, di cui quello in via legale vien distrutto dai Considerandi ohe susseguono e che costituiscono il vero verdetto, solo mandato che può spettare ad un giuri d’onore, il quale a guisa d’un Consiglio di disciplina è chiamato a pronunziare sull’intima convinzione de’ ;suoi membri, all'infuori delle forme e delle prove che richiedensi nelle vie strettamente giuridiche.
Lo scrivente ha creduto quindi invitare nuovamente la Commissione mista dei membri dei Comitati delle varie armi, all’esame di tutta la questione, con incarico di pronunziare un voto definitivo circa le misurò da adottarsi al riguardo di V. S.
Dopo maturo studio ed accurato esame di lutti i documenti, la Commissione in seduta del 21 andante mese pronunziava a voti unanimi il parere non estere il caso di concedere a V. S. alcun grado miltare. Io mi trovo in dovere di porgerle partecipazione di tali risoluzioni, a cui il Ministero deve aderire, esternandole in pari tempo il mio rincrescimento di non poterle dare più favorevole Riscontro:
Il Ministro, Petitti.
Ciascuno può figurare l’impressione che mi fece Quella lettura! Di quando ora al Ministro ed alla Commissione mista che lo consigliò, dove abbiano desunto l’opinione pubblica che mi accusa?
Domando se l’opinione pubblica stia in qualche ’ fatua diceria, senza ombra di verità e. di buon senso, di cui nessuno accetta la responsabilità neppure del crederla, oppure stia nelle migliaia di testimoni oculari dei fatti, i quali protestano colle proprie firme contro le stolte, ridicole menzognere proclamano vili calunniatori coloro che le inventarono?
Se l’opinione pubblicassimo forse le parole dette nascostamente le reticenze di qualche nemico, o le unanimi dichiarazioni di coloro che. hanno combattuto al mio fianco, e le deliberazioni dei Comuni e Municipi di Sicilia che vollero con pubbliche dimostrazioni, che modestia mi obbliga a tacere (Dee. XLVIII), darmi solenni attestati di affetto e di stima, niente $er altro che per i miei fatti militari? ().
Vorrei, finalmente, chiedere alla Commissioni ed al Ministro come abbiano osato di autorizzare, personificare quelle calunnie dopodiché Garibaldi nella sua lettera, pubblicata su tutti i giornali, solennemente dichiarava che il motivo di esse era rimata; e Tunica cosa che consigliavano era di disprezzarle? (Docum. XLIX).
Ecco la lettera:
Con piacere rispondo alla vostra lettera del 9 corrente, nella quale ho ammirato, come pel passato, i sentimenti di un'anima generosa.
Quanto alle misteriose anonime che l'invidia ha volato spargere contro di voi, vi pregherei di seguire il consiglio che sempre vi ho dato di viva voce — disprezzatele.
Voi avete resi importanti servizi all’Italia e come soldato, e come patriota; ed. io che non ho mai cessato d'essere Tannico vostro, desidero che cessino sul vostro conto le sfavorevoli impressioni seminate dalla calunnia.
Torino, 17 aprile 1864.
Vostro affez.mo G. Garibaldi ()
Il lettore vede come il Ministero e compagnia, furono abili in più di un anno d’illegalità, di lungherie, di pretesti, e peggio, a complicare, e travisare in mode strano ed impudente la mia quistione, terminando col sottomettermi ad una Corte d'onore, di cui non vi era né materia, né scopo, né competenza.
E quando questo? Quando io stesso vedendo le male arti che usavano per tirare alla lunga il Consiglio di disciplina, avea provocato la smentita di tutte le calunnie da ciascuno di coloro che esse indicavano attofi nei fatti intentati, e ne ricevea quelle dichiarazioni che la verità loro dettava, e colle quali si distrussero le false ed inique voci.
Parlo delle lettere dei Generali Bixio Carini, MilbiU, del Colonnello Passini j e delle dichiarazioni del Direttore della Libera Parola e del Colonnello Cenni (Docum. LIII), oltre a mille altre dichiarazioni e testimonianze in risposta al mio appello ai Siciliani (Docum. L, LI, UT). Prego inoltre si leggano gli altri documenti assai valevoli perché appositamente ordinato dal Dittatore che si pubblicassero nella Gazzetta Ufficiale e contenuti nel Doc. LIV, che dànno idea db quanto feci in Sicilia.
Fu convocato, adunque, un Giuri d'onore, del quale non mi si diede nessuna comunicazione ufficiale dal Ministero, ed era ben diverso dalla procedura del Consiglio di disciplina che io aveva ottenuto.
Io voleva una procedura legale, aperta, chiara, che coi suoi articoli di legge garentisce la persona che la chiede da qualsiasi attentato tenebroso (tanto più che di attentati tenebrosi trattavasi nel mio caso); e non già una procedura chiusa, misteriosa, arbitraria, a guisa di un Sant’Uffizio, nella quale possono agire secondi fini e nemici.
Ma però anche questo illegale genere di procedura, a cui m» si sottopose, esaminò e. trovò false tutte le dicerìe, per cui rispose col SI’ netto ed assoluto alla domanda del Ministro «Se il La Masa (domanda vergognosa a ripetere non per me, ma per chi sopra di me la fece) potea onorevolmente rivestire il suo grado militare con decoro dell'Esercito».
Nel verbale poi con cui accompagnava quel verdetto al Ministero, il Giuri espóneva il parere che sarebbe stato conveniente di non mettere La Masa al comando attivo nel Corpo dei Volontari in vista delle persecuzioni che colà vi ebbe, e cose simili; e che fosse invece posto all’esercizio di altre funzioni militari in cui trovansi molti Generali dell'Esercito.
Con tale parere il Giurì non avea inteso di ledere, come mi si afferma, minimamente il mio onore o la mia condotta militare, uè i miei diritti pel mio grado, semplicemente egli accennava ad una misura di convenienza.
Il Ministro rimase dubbio sulla decisione del giuri, come appare dalla Ministeriale 25 marzo, ed invece di rivolgersi allo stesso Giurì a chiedergli spiegazioni, o di erigere quel Tribunale legale che io voleva e che era il solo che poteva con esame completo, e con equità, giudicare sulla quistione, si rivolse alla prima Commissione perché essa decidesse cosa avea inteso di dire il Giurì!!!
Il signor Ministro scrive che a ciò lo spinsero le gravi considerazioni che faceva il giuri medesimo nel verbale. Su ciò rispondo: Che finché egli non me le avrò comunicate (ed erano queste che io desiderava vedere), io debbo credere al VERDETTO DEL GIURÌ. Non posso rispondere che a coloro che si manifestano con accuse aperte Noto soltanto le gravi considerazioni che mi ha manifestate verbalmente il Ministro per giustificare le sue decisioni.
1° Che avendo il Giuri interrogati coloro che furono chiamati se avrebbero avuto piacere che io ritornassi al comando, risposero di no. Ma io ho fondati motivi di asserire che tale interrogazione non fu diretta che a qualcuno dei cinque o sei che in tutto il corso dell'esame furono dal Giuri chiamati; né io credo che ogni uomo possa godere la simpatia e la confidenza di tutti senza neppure una eccezione.
2° Le dicerie. Ma queste furono intieramente distrutte! e sarebbe bene strano che, se un uomo fu calunniato (e specialmente per motivi a lui onorevoli che destarono Tinvidia e la gelosia altrui) dopo che le calunnie furono rischiarate ed estinte, egli dovesse ancora portarne la pena e non piuttosto gli autori di esse! Quanti Generali d’ogni esercito avrebbero, in tal caso, dovuto soffrire la Ministeriale condanna chi per una diceria, chi per un altra, e forse non tutte cosi facilmente e completamente estinguibili quanto quelle che me colpirono!
Il Ministro adunque si rivolse di nuovo alla Commissione mista, perché essa decidesse ciò che aveva inteso dire il Giurì, e quella Commissione, che la prima volta avea trovato che l'opinione pubblica mi accusava, questa seconda volta scoperse che non era il caso di darsi verun grado militare al La Masa, e con questo giudizio contraddisse interamente il verdetto del Giurì d’onore.
Pare che allora il signor Ministro non ricordasse quella consuetudine dei Giuri d’onore, di cui più tardi parlò nella Tornata del 0 aprile per farne un’arma contro di me, cioè; come egli disse: «che non vi è revisione ai giudizii delle corti di onore»; poiché fu EGLI che portò alla revisione il verdetto del giurì d’onore — alla revisione di una Commissione senza nome la quale non fece niente meno che CASSARLO e dare un giudizio DIAMETRALMENTE OPPOSTO.
Siccome trovai la necessità di vedere i considerando del Giurì, perché io riscontrava in assoluta opposizione quello che diceva il Ministro a quello che diceva la maggioranza dei Membri del Giurì stesso, i quali si mostravano stupefatti della decisione ministeriale, e mi auto rizzavano a dire al Ministro che li interpellasse di nuovo, domandando loro schiarimenti, — cosi il giorno 28 io scriveva al Ministro protestando per l’ingiustizia commessa a mio carico, e pregandolo a darmi copia dei documenti, considerando ecc., che mi rìsguardavano.
E siccome l’errore ministeriale mi parve troppo enorme, cosi supposi che il Ministro non avesse avuta cognizione precisa del mio affare, e quindi lo pregava a prenderla, lasciandogli con ciò una. strada aperta per sgravarsi della responsabilità di tanta patente ingiustizia (Doc. LV).
Egli mi rispondeva il 29 la seguente lettera (Docum. LVI).
Lasciai trascorrere qualche di, e non ricevendo dal Ministero i desiderati documenti, io mi rivolsi al Parlamento per avere spiegazione non solo su ciò, ma su tutto.
Nella seduta del 7 aprile chiesi alla Camera di muovere interpellanza al Ministro della Guerra per una ingiustizia commessa contro varii uffiziali siciliani, e particolarmente contro l’onor mio. Fu fissato di farsi l’interpellanza dopo quella dell'onorevole Crispi.
Nella seduta dei 9 aprile io chiesi al signor Ministro della Guerra 1 documenti risguardanti la mia quistione onde potessi prepararmi completamente alla discussione accennata. Ma il Ministra si affrettò a proporre una Commissione da nominarsi dal Presidente della Camera per esaminare secretamente i documenti e se vi era mezzo dì sottoporre la mia quistione ad altro giudizio.
I miei amici ricorderanno ch''io non voleva accettarla perché io voleva spiegazioni chiare e pubbliche, e cedetti solo alle loro amichevoli insistenze. Il Ministro in pari tempo fece le sue riserve, io feci le mie di accettare o no la decisione dell» Commissione e di chiamare in ultimo giudice la Camera.
Il giorno in cui si riunì la Commissione io comunicai al Presidente della Camera i miei documenti coll'informativa corrispondente che li rischiarava, li accompagnai con una lettera in cui dichiarava che senza l’esame di quei documenti era impossibile che la Commissione avesse potuto giudicare con conoscenza di causa.
Dietro un giorno di lavoro la Commissione diede il parere seguente:
«Esaminati gli atti del giudizio seguito relativamente all’onore -vole deputato La Masa, comunicati riservatamente dal signor Ministro della Guerra per mezzo del Presidente della Camera, ha constatato all’unanimità: che vi siano in quegli atti motivi sufficienti d'ordine puramente militare che escludono ogni altro giudizio, senza però che ne restino menomamente lesi il suo onore e la sua qualità di benemerito cittadino italiano che di opere e di sostanze non fa avaro alla patria».
Nella seduta dell 11 aprile Interpellai la Commissione se avea letto i miei documenti. Risposemi di no, credendo che non vi fosse nel suo mandato che di prendere conoscenza dei documenti del Ministro. Io protestai alla Camera dicendo: che la Commissione non poteva formarsi un retto criterio della quistione, né emettere un giusto parere senza Tesarne della controparte, cioè della mia informativa documentata, che radicalmente distrugge, in via legale e militare, il giudizio del Ministero.
Essendo però l’ultimo giorno in cui si riuniva la Camera pria dell’aggiornamento a tutto maggio, la discussione fu troncata non essendo inscritta all’ordine del giorno; e fu perciò votato l’ordine del giorno puro e semplice, restandomi però il dritto di rimettere nelle sedute venture la discussione, come il Presidente della Camera colle seguenti parole dichiarò:
«Sarà liberissimo l’onorevole La Masa, od altri, di chiedere ad altro momento che il mandato della Commissione venga esteso, o che venga dato altro mandato ad altra Commissione, o che insomma la Camera prenda una nuova deliberazione, ma allo stato delle cose non essendo questa discussione all’ordine del giorno il Presidente non può concedere che essa abbia luogo» (Tornata del aprile 1862).
Ora è giunto il momento accennato dal Presidente in cui la Camera potrà prendere quella deliberazione che meglio crederà.
Termino questa narrativa col dichiarare altamente, che chiunque ha detto parole contrarie a quanto è scritto in queste pagine, o parole che abbiano un significato ambiguo che possa in qualsiasi modo ledere la mia condotta militare, è un infame mentitore — ed è vile perché non ha ardito sostenerlo apertamente, né si è vòluto mai a me manifestare.
Ho pel passato, quante volte un benché minimo sospetto si è affacciato alla mia mente, adoprato tutti i mezzi per venire allo scoprimento degli inventori delle calunnie, ma non ho trovato che elogi e dichiarazioni che mi onorano.
Anche il Sirtori, un mese fa, incaricò persona rispettabile a convincermi che «egli avea per me tutta l’amicizia e la stima possibile e immaginabile. Intorno alla stima non posso che crederlo; sulla amicizia poi, io ho l’abitudine di giudicare dai fatti e non dalle parole. , Quanto alle misteriose espressioni di cui parlommi il Ministro Generale Petitti, e che non volle dirmi da chi venissero, me ne renderà spiegazioni in Parlamento, come di presenza ebbi a dirgli, o in altro modo più adatto ove ciò non lo creda.
_______________
Dietro questa narrativa di fatti, rivolgo ora le seguenti interrogazioni:.
1° Appartiene il La Masa al Corpo dei Volontari dopo aver provato che la demissione da lui chiesta non fu accettata?
2° Il Consiglio Militare di Disciplina da me chiesto, ed ordinato dal Dittatore e dal Re, all’unico scopo di svelare i calunniatori per dannisi la dovuta riparazione, poteva mutarsi dal Ministero di Guerra in Corte d’onore, fuori legge?
3° Ed anche questo ammesso, poteva poscia il Ministero rivolgersi ad altra Commissione (senza nome) per esaminare il verdetto del Giurì d’onore (che, secondo le assicurazioni datemi dalla maggioranza, erami favorevole), e poteva non solo cassarlo, ma emanare un giudizio perfettamente opposto, quando perfino «i pareri dei Consigli di Disciplina non ponno essere modificati dal Governo, che a favore dell'Uffiziale?» Leggasi Consigli di Disciplina, articolo 60.
4° E perché ha dovuto questa volta soltanto il Ministro, trasgredire le consuetudini da lui annunziate alla Camera che il verdetto delle Corti d’onore è inappellabile? forse perché il risultato di quella prima illegalità non corrispondeva alla risorsa inventata dal Ministero onde trovar nuovo appiglio per non riconoscermi nel grado?...
5° Poteva il Ministro della Guerra oltraggiare un soldato coll’attestare, che l’opinione pubblica lo accusa, quando non havvi nem-manco un individuo che ardisca apertamente asserire una colpa, una mancanza del La Masa, ed havvi invece l’opinione pubblica manifestata in via legale, officiale, militare, popolare, per mezzo delle pubbliche stampe ed 1n modo solenne che constata il valore de’ suoi fatti militari di tutta la vita, e chiama infami e vili i calunniatori del La Masa?
6° Esiste o no il Decreto del Re, che riconosce le nomine a firma del Dittatore?
7° È vero o no che molti uffiziali furono riconosciuti, non solo in virtù di eguali nomine, ma anche colla sola dichiarazione dei loro Generali fatta in Torino, di aver funzionato in quel grado nell’Armata Meridionale?
8° Perché adunque non fu tosto riconosciuto il La Masa? E per non cadere in questa assai patente contraddizione (per trovare. un pretesto a non riconoscerlo) che il Ministero ricorse alla stolta ed iniqua menzogna, che l’opinione pubblica, e non qualche vile ed occulto invidioso accusava il La Masa?
Ne otterrò la dovuta riparazione dal Potere Supremo?
Lo credo, perché questa non è quistione di opinione ma di equità; ed ogni Rappresentante della Nazione, che sente la dignità della propria missione, sa ch’è dovere di giustizia e di moralità cittadina il riparare agli errori fatti da un Ministro sia per ignoranza, sia per mala fede.
Nè l'essere quistione individuale ne diminuisce l’importanza. — D’individui si compone una Nazione — e le flagranti ingiustizie commésse dal Governo, conosciute e non riparate dalla Rappresentanza Nazionale, demoralizzano le masse e gettano semi d’odio e di disordine ben peggiori di qualsiasi mal governo straniero o dispotico.
E questo io dico per dovere di Deputato.
Ora parlo come individuo.
Giacché sono forzato da inique arti a dover portare in faccia all’Assemblea Nazionale una quistione con cui si tenta di umiliare il mio passato, mettendo in dubbio, anche con mezzo officiale, la mia condotta militare, parlo. il linguaggio suggeritomi dall’indignazione, dalla coscienza, dai fatti.
L’ingiustizia non è ricaduta, e non ricadrebbe, che ad onta di chi la commette. A me è scudo la storia: ed in essa l’opinione pubblica troverà sempre il valore e l’audacia, dove l’invidia inventava le vergognose dicerie, troverà che colui, che fu mira delle più stolte calunnie, ha saputo due volte riparare ai danni ed alla totale rovina cui era trascinata la guerra dell'Italia Meridionale, la prima volta dietro la ritirata del Parco, prodotta dal falso movimento da Calatafimi a Monreale ed al Parco, per ignoranza, poca fede, o poco ardire di chi Garibaldi ne prepose alla direzione strategica (); la seconda nella battaglia del Volturno a Santa Maria, quando perdute le posizioni di S. Angelo e Maddaloni, questo calunniato, che neppure era disposto in linea di difesa — ma in riserva — ebbe l’ardire di prendere sopra di sé la responsabilità del comando della parte più minacciala, e già girata di S. Maria, e di slanciarsi a ricacciare per ben tre volte il nemico dentro Capua fermandone il progresso della vittoria, impedendone la congiunzione, e diè tempo così ai nostri corpi di S. Angelo e di Maddaloni di riprendere le posizioni.
Fu S.a Maria che decise della sorte di Napoli, nella memoranda giornata del 1.° ottobre. È su questi, come su tutti gli altri fatti in cui ebbi parte, ch’io domandai per 18 mesi il Consiglio d’inchiesta — ed è per non iscoprirsi la verità di quanto ho detto che se ne attraversò l’attuazione colle illegalità le più patenti.
Oggi che avrei io il diritto di erigermi a giudice su quanto non si è voluto esaminare in via legale, ogrgri dichiaro pubblicamente che son pronto a sostenere in Parlamento od altrove che furono le operazioni strategiche — il valore personale— la condotta militare di questo pauroso che nelle due circostanze più solenni e vacillanti, risolsero la vittoria dell’Italia Meridionale ().
Contro di me non hanno potuto i miei nemici che naseostamente scagliare menzogne — io all’aperto ho diretto sempre e dirigo loro le mie asserzioni, ed ho meco Documenti e mille testimoni, coi quali provarne la verità.
È vero che avrò molti nemici perché molti ne suscitò contro di me l’invidia e la mia franchezza — ma la ragione e la coscienza sono meco, ed è ultimo giudice l’opinione pubblica, innanzi a cui spariscono le personalità, le consorterie, le sette.
Sono convinto che la saggezza del Parlamento saprà porre termine a queste vergognose ingiustizie che finiscono col confondere il vero col falso, il giusto coll’ingiusto, tutto a detrimento della moralità pubblica ed a suffragio d’una miserabile quanto funesta camerilla.
QUADRO GENERALE
del Corpo Cacciatori dell'Etna e delle guerriglie Siciliane.
__________
COMANDO GENERALE
Comandante Generale, Giuseppe La Masa.
Ispettore Organizzatore.
Mutante di Campo, Antonio Canzano.
STATO MAGGIORE
Capo dello Stato Maggiore, Vincenzo Bentivenga.
Uffiziali di Ordinanza.
1. Gamelin Gaspare. | 5. Mazza Giuseppe. |
2. Ilardi Pietro. | 6. Ortolani Michele. |
3. Brancacio Francesco. | 7. Caruso Francesco. |
4. Cozzo Narciso. | 8. Peroni Foti Scipione. |
Uffiziale del Genio, Renzi Salvatore.
Aiutanti, Campo Vincenzo, Grippaudi Ignazio.
Intendente, Indelicato Mariano
Uffiziale Contabile, Mancuso Lima Giuseppe, Sanzo Francesco.
Commissario di Guerra, Nicolò Sunseri.
Capo Magazziniere, Mastricchi Pasquale.
Uffiziale Sanitario, Dichiara Francesco.
Id. Dottor Giuseppe Bellona, Chirurgo ().
Uditore di Guerra.
Vice-Uditore, Antonino Domano.
Segretario, Salvatore Tinnaro.
Uffiziale addetto al Capo Magazziniere, Leone Mariano.
Uffiziali burocratici, N. 14.
Guide.
1. Sciacchitano Giovanni, Coman. | 8. Fernandez Ignazio. |
2. Palizzolo Giovanni. | 9. Giacopino Antonio. |
3. Nascè Gioachino. | 10. Sanzo Giovanni. |
4. Lima Salvatore. | 11. Ròdolico Francesco. |
5. Lima Luigi. | 12. Bosco Pisani Melchiorre. |
6. Bologna Vincenzo. | 13. Allegra Salvatore. |
7. Riotta Francesco. | 14. Gallegra Francesco. |
Palermo 3 giugno 1860.
Per copia conforme all’originale approvato dal Dittatore Generale Garibaldi.
Pel Comandante Generale assente
Il Capo dello Stato Maggiore
Vincenzo Bentivenga.
Visto ed approvato
G. Garibaldi.
Agli individui nominati nel suddetto quadro si diano i gradi corrispondenti alle funzioni cui furono destinati.
Firmato: G. Garibaldi.
N. 145 — Oggetto, Rapporto.
Sant'Angelo 11 ottobre 1860.
Signor Generate,
Rivolgo alla Signoria Vostra gli incessanti rapporti dei Comandanti dei Corpi su. lo stato lagrimevole dei loro soldati, stanchi esauriti, ammalati. » Se anco per questo giorno tutta la Divisione rimanesse in questa, io prevedo che tutti gli ufficiali superiori darebbero la loro dimissione per restar come soldati, non volendo mantenere la responsabilità di un servizio al quale le loro truppe non sarebbero più opportune.
E conoscendo che questi ufficiali superiori e questi soldati sono quelli stessi che sempre han domandato non voler riposo, e che tanto al 19 settembre, quanto al 1° ottobre mostrarono immènso ardimento al fuoco; così reputo degni di tutte l’interesse, e giusti i loro reclami.
Con tutto riguardo.
Per l’assenza del Generale
Il Comandante la Divisione, Ten. Colonnello La Porta.
Al signor Generale La Masa
Caserta.
Anche ieri, o soldati, divideste la gloria della battaglia coi vostri compagni di guerra.
Voi che spinti alla difesa delle posizioni che stavano per invadere le numerose truppe Borboniche, che la destra assalivano, le inseguiste animosi ricacciandole d’argine in argine, d’albero in albero, sino ad un miglio dalla strada Consolare, dove tagliando la ritirata all'artiglieria del nemico, che fulminava di fronte il paese, donaste alla difesa patria tre cannoni, ed una bandiera all’onore delle armi ().
Ed esser dovete voi lieti che in questa azione gloriosa vi furono compagni i battaglioni di Palizzolo, di Langer e di Fardella, che coi loro comandanti alla testa gareggiavano con voi a combattere i Croati di Francesco II.
Sento il dovere di rammentarvi alcuni nomi che tra gli Italiani di Sicilia vi sono carissimi: — Il Colonnello Corrao, che primo si spinse col Maggiore Trasselli contro i Regii, ed anche ferito gravemente nel braccio sinistro, fasciatolo, ritornò col medesimo ardore nel più forte della battaglia. Il Maggiore Mistretta, òhe nel momento più difficile rianimò i suoi con l’esempio, e primo sca-gliossi nella strada Consolare contro l’artiglieria Borbonica. Il Tenente Colonnello La Porta, quando, cinto da ogni dove dalle armi nemiche, la cavalleria ci piombava di sorpresa alle spalle per tagliarci la ritirata, inerpicossi con pochi uomini sull'anfiteatro, la fulminò di fianco e la respinse.
Nell’intera giornata, dall’alba al tramonto, sosteneste coi vostri battaglioni surriferiti la destra dai ripetuti assalti delle colonne nemiche, che rinfrancandosi sempre con ogni arma da guerra, ci fulminavano; mentre i nostri prodi commilitoni compivano al pari di voi la gloria della giornata, assaliti incessantemente nel fronte della città e nell’estrema sinistra.
L’illustre Dittatore vi mandava giorni sono per mio mezzo l’elogio ed il ringraziamento in nome della Patria, per il valore che dimostraste nella giornata del 19, ed oggi che aveste anche una parte più difficile, più utile e brillante, io in suo nome vi rinnovo l'elogio dovuto ai difensori della Patria.
2 ottobre 1860.
G. La Masa.
Torino, 21 giugno 1861.
Ricercato per la pura verità, racconto e dichiaro quanto segue: Ascendendo io assieme al giovane Menotti Garibaldi il monte che sta vicino a Vita, verso Calatafimi, dopo di avere adempito un ordine del Generale Garibaldi, e di aver lasciati i nostri cavalli inservibili per la loro. indoirfabilità, vedemmo sulla vetta del monta stesso ed all’orlo di un dirupo impennarsi un cavallo, e cader da esso un cavaliere, che conoscemmo pel Sig. Generale La Masa. Raggiunto poscia il Generale Garibaldi sulla vetta del monte, vedemmo il suddetto Generale La Masa sedutogli vicino col Generale Turr, e parecchi carabinieri genovesi in giro, il quale raccontava la sua caduta, e si doleva di una percossa ricevuta al capo.
Attaccato dopo circa un’ora il fuoco, e spinta e condotta la primacarica alla baionetta, retrocessi a raggiungere le colonne che scaglionate, attendevano in battaglia suiraltura del monte suddetto gli ordini di avanzarsi. Scorsi nuovamente ivi seduto il Generale La Masa, al quale comunicai Lordine del Generale Garibaldi di fare avanzare il rimanente delle colonne, soggiungendogli di dare l’ordine stesso alla artiglieria, non potendo io scendere fino alla strada, perché volevo raggiungere il mio Generale al più presto. 11 Sig. La Masa mi rispose che egli avanzerebbe colla truppa, ma che non poteva scendere sino all'artigUeria, stando malamente in piedi per la sofferta caduta.
Fu allora che io corsi al Generale Orsini, facendolo avanzare sino ad uno svolto della strada, e tirare qualche colpo di colubrina contro una posizione occupata dai borbonici. Ed indi ritornai per la stessa strada, e potei vedere avanzate tutte le piccole colonne, che io raggiunsi e passai, tenendo di giungere fino al Generale Garibaldi, che trovavasi in prima linea.
Tanto sul vero, richiesto dallo stesso Sig. Generale La Masa.
Cenni, Colonnello.
Caserta, 10 ottobre 1860.
Generale,
Dietro le parole proferite sul mio conto da voi, vi chieggo la dimissione. L’onore di chi ha speso la vita e gli averi per la causa patria non si calpesta con accettare una calunnia, neppure adattabile ad un bambino (vi siete svenuto in Calatafimi), tanto più non adattabile a chi ha dato prova, che anche solo, o con un pugno d’uomini sa affrontare e vincere le truppe nemiche. Vi chiedo dunque un istante di udienza per dilucidarvi, collo esposizione dei fatti, l’inganno in cui i malvagi vi trassero.
G. La Masa.
Al dittatore dell’Italia Meridionale
Generale G. Garibaldi
Sant'Angelo 11 ottobre 1860.
Generale,
Non avendo potuto ottenere un momento di udienza per distruggere le calunnie chela canaglia inventa contro di me, e non potendo più oltre restare indifeso l'onor mio, vi rivolgo in iscritto gli schiarimenti che vi promisi.
Il generale Garibaldi lasciavami solo sulle montagne rimpetto Vita per avvertirlo se il nemico dalle alture di Calatafimi dette pianto dei Romani ove erasi scaglionato, si avanzava, mentre egli recavasi a far muovere la nostra truppa che era schierata nella strada Consolare (più d'un miglio distante), per posizionarla nella montagna suddetta. Ed io vedendo che il movimento del nemico accennava all’attacco, montai a cavallo per avvertirlo. Nelle coste di quella montagna m’incontrai con un uomo a cavallo; e costretto a passargli rasente per la strettezza del sentiero che da un lato cadeva in precipizio, i cavalli s’inalberarono, ed il mio, che era già per precipitarsi, mi costrinse a gettarmi dalla parte opposta per guadagnar terreno. Nello slancio percossi la testa su’ sassi nella parte occipitale, e precisamente dove al 1848 percossi cadendo per vertigine nel momento del passeggio alla marina di Palermo (e ciò non in combattimento!). Sono rimasto privo di conoscenza in terra, per più di mezz’ora, ed in quel mentre passavano le nostre truppe, le quali dalla strada avevano già veduto la mia caduta. Dopo riavuto, mi avvicinai al punto dove il generale Garibaldi faceva posizionare i nostri soldati; in fare ciò, era sovente obbligato a sedermi per la vertigine cagionata dalla percossa, e per la contusione riportata nel fianco sinistro ed alla gamba. Incominciato l'attacco (dopo quasi un’ora) rimasi al punto ove era seduto, non potendomi spingere innanzi per la vertigine succennata, esposto però sempre alle palle nemiche.
Quando venne l’ordine di spiegare tutto il rimanente delle forze nostre, fui io, non essendovi più nessuno dello Stato Maggiore, che anche cosi in cattivo stato, facendo un ultimo sforzo e sostenendomi al braccio di un capo-guerriglia di Santa Ninfa, Nicolò Sant’Angelo, costretto tratto tratto a sedermi pel motivo suddetto, spinsi i soldati in riserva al combattimento e diedi ordine alla nostra artiglieria, che più di trecento passi era alle mie spalle a sinistra dalla strada Consolare, di avanzarsi. La sera al Capo dello Stato Maggiore rapportai verbalmente quanto ho detto sulla mia caduta, sulla mia vertigine e contusione, nel punto ove bivacammo. L’indomani all’alba ho tutto rapportato al generale Garibaldi nell’awiarci che facemmo quasi soli per Calatafimi.
È questo il fatto preciso; chi lo narra diversamente è un infame calunniatore! Una sola osservazione basta a smascherare i detrattori. Coloro che assicurano che io svenni hanno dovuto vedere la mia caduta da cavallo. Questa caduta e il battezzato svenimento furono più di due miglia distante dal nemico, che una montagna nascondeva alla nostra vista, e più di due ore avanti del combattimento. ()
Chi mi ha visto in altro momento della giornata, non poteva vedermi svenuto, ma sovente appoggiato ad un uomo, e qualche volta seduto, per la vertigine e la contusione che mi vi obbligavano, ma sempre nel combattimento. Costoro se non sono vili si manifestino.
Generale, vi mando pure il mio ordine del giorno, che ha destato tanta ira e tanta calunnia, e che le sosterrò sempre, e che solo ho pubblicato dietro che per tutti i giornali vidi pubblicarsi i rapporti, ed ordini del giorno dei capi di Corpo, che in qualche parte si appropriavano ciò che era dovuto ai miei. In quest’ordine del giorno, come vedete, io non parlo di me, ma solamente del valore de’ miei soldati.
Vi unisco pure copia del mio rapporto spedito al Ministro della Guerra, che con documenti, ed in ogni modo, son pronto a sostenere.
Il motivo segreto di quest'infamia, sapete qual è, o Generale? Non essere io maneggiabile dagli intriganti che pur troppo vi accerchiano! 11 tenere alla là fronte innanzi agli uomini immorali che vedo ancora al vostro fianco, ed il mio nome che fa invidia a qualcuno de Comandanti.
Questo mio franco modo di esprimere vi serva di pruova, ò Generale, che io, come non ho temuto mai le baionette nemiche, non temo, anzi disprezzo il dispotismo settario, e molto più quando lo vedo intruso nel comando delle armi patrie.
Ad uomini liberi, libere parole.
G. La Masa.
Sant’Angelo 12 ottobre 1860.
Io aspetto ancora la vostra chiamata.
Dopo quanto è stato, è indispensabile ch’io mi abbia la dovuta riparazione. Cori un Consiglio d’inchiesta potrò anche conoscere i calunniatori che voi ancora non mi avete nominati per quanto io ve lo abbia insistentemente chiesto. Voi che sapete come l’onore è più caro della vita, non mi negherete certo i mezzi per avermi da chiunque siasi la soddisfazione che ho diritto di pretendere.
il maggior Vecchi mi promise di tosto avvertirmi del vostro ritorno e di farmi da Voi chiamare; ma non ho visto ancora comparire nessuno.
Vi spedisco il Maggiore Accardi con questa mia, non potendo io lasciare gli avamposti, desidero vivamente vostro sollecito riscontro.
G. La Masa.
Caserta, 18 ottobre 1860.
Signore, Per grave motivo che interessa l’onor mio, ho chiesto al Dittatore sin dal giorno 10 ottobre la mia dimissione.
Non avendo finora potuto ottenere una risposta, né la dovuta e chiesta riparazione all’onor mio, dirigo a lei copia di tutto quanto ho scritto al Dittatore in proposito, onde ella s’interessi perché io ne abbia sollecitamente la dovuta giustizia, sia anche per mezzo d’un Consiglio di Guerra.
Quando la giustizia si nieghi, non resta che sortire ai più presto possibile dal servizio d'un esercito, il cui comando dà ascolto alle calunnie le più sozze e stupide, che tendono ad assassinare l’onore intemerato di chi per fatti di tutta la vita, e non per ciarle, ha il diritto di essere conosciuto e rispettato, e non permette al cam-niato di smascherare i detrattori e far rilucere il vero.
G. La Masa.
Al Signor
Signor Generale Sirtori,
Capo dello Stato Maggiore Generale.
Caserta, 18 ottobre 1860.
Signore, In data del 10 chiesi la mia dimissione al Dittatore del comando affidatomi, ed un’udienza per difendere l'onor mio dalle calunnie che mi spinsero a chiederla.
Ho scritto ieri al Capo dello Stato Maggiore Generale nell’inviar-gli copia del quadro di questo Stato Maggiore Divisionale, a lei spedito sin dal giorno 30 settembre le seguenti parole:
«Ora ho chiesto la mia dimissione al Dittatore per motivi che chiedono ed aspettano pronta riparazione all’onore mio.»
Stamane ho spedito apposito officio al medesimo Capo dello Stato Maggiore Generale acchiudendovi copia delle carte spedite al Dittatore per averne più sollecita risposta in via di ruotina regolare.
Ed ora comunico queste carte al Ministero, trattandosi di cosa che interessa più della vita, qual è la difesa dell’onore, e perché si faccia pronta giustizia come si deve ad un soldato, ad un patrio to incontaminato.
G. La Masa.
A Signor Ministro della Guerra
Napoli.
Al Generale La Masa.
Caserta,18 ottobre 1860.
Ho nominato il Colonnello Corrao al comando della Brigata già da lei comandata, e ciò dietro la demissione da lei volontariamente offerta.
G. Garibaldi.
Al Signor Generale La Masa.
Nell’assenza del Colonnello Corrao rassegnerà il comando della Brigata al Signor Tenente Colonnello La Porta.
Caserta, ore 4 pom. del 18 ottobre 1860.
Il Capo dello Stato Maggior Generale,
G. SIRTORI.
Santa Maria, 24 ottobre 1860
Volendo il Ministro della Guerra provvedere scientemente alla posizione di ogni Uffiziale a seconda del merito, attitudine, condotta di cui avrà dato prove, prescrive quanto segue:
In ogni Divisione sarà istituita una Giunta composta del:
Presidente, che sarà il Comandante della Divisione, ed in di lui assenza il Comandante più anziano d’una Brigata.
Due Uffiziali superiori;
Due Capitani colle attribuzioni di Segretario al meno anziano;
Detta Giunta compilerà lo Stato Generale degli Uffiziali della Divisione ripartiti in tre classi.
La prima comprenderà gli ufficiali che si distinsero per merito, valore e condotta;
La seconda gli Ufficiali che mancano di una delle anzi accennate qualità;
La terza gli ufficiali giudicati immeritevoli del grado di cui sono rivestiti per essersene resi indegni in qualche circostanza.
In detto quadro dovranno pure comprendersi gli Uffiziali che non hanno ancora ricevuta la loro lettera di nomina e sarà trasmesso a questo Ministero a tutto il corrente mese.
Il Ministro
Cosenz.
Se ne accenni la recezione.
Al Signor Col. Brigadiere Corrao
Comandante Interinale la 19ma Divisione.
Caserta, 20 ottobre 1860.
Dalla copia inoltrata il giorno 18 corrente a codesto Ministero di tutti i documenti risguardanti la mia demissione, V. S. avrà rilevato che io metteva per base il risarcimento dell’onor mio, sia anche médiante un Consiglio di Guerra. La demissione fu accettata, ma la giustizia non fu resa.
Risposi perciò immediatamente al Capo dello Stato Maggiore Generale coll’ufficio di cui le acchiudo copia. Nè a questo pure si diede altra risposta che l’indicazione di quegli a cui dovea consegnare il comando senza far motto della riparazione da me contemporaneamente richiesta. Ora vengo ad appellarmi alla giustizia del signor Ministro, acciocché sia data evasione ai miei sacri reclami riparando ad un’azione inqualificabile, e a domandarle se pria che mi sia fatta la tante volte chiesta giustizia, io debba rimettere nelle mani di altri il comando.
G. La Masa.
Comando della Brigata Sicula-Corrao — N° — Oggetto
Caserta, 21 ottobre 1860.
Signore,
Sarà compiacente consegnarmi il Comando della Brigata, che in assenza del Col. Brigadiere Corrao è comandata da me.
È quella stessa Brigata dalla quale Ella ha dimesso il comando.
Pel Comandante
Il Tenente Colonnello
L. La Porta.
Al Signor Generale La Masa.
Caserta
Risposta 19a Divisione La masa — 4 Brigata — N° 273.
Caserta,21 ottobre 1860.
Signore,
Ho comunicato al Signor Ministro della Guerra l’accettazione fatta della demissione, che io chiedeva condizionatamente per la difesa dell’onor mio con un Consiglio. Ho chiesto al medesimo Ministro che mi si facesse la giustizia accennata, cioè che pria di venire io a deporre il Comando mi sì dèsse una soddisfazione dovuta all'onor mio per mezzo d’un Consiglio d'inchiesta — o di disciplina — o di guerra. — Il Ministro della Guerra rispose che avrebbe tosto provocato con apposito officio al Dittatore un Consiglio di Disciplina trovando giusto il mio reclamo.
Le rendo ciò noto per di Lei norma per attendere questa decisione dalla quale dipende l’ora della consegna di questo comando.
Generale
La Masa.
Al Signor Tenente Colonnello
La Porta.
Falciano
Divisione La Masa — la Brigata — N° 268 — Oggetto.
Caserta, 21 ottobre 1860
Fintanto che non avrò io consegnato regolarmente il Comando, nessuno comanda nella mia Divisione. Nè questo Comando consegnerò mai spontaneamente se pria non mi vien resa la giustizia che ho chiesto, e per la qual cosa soltanto ho domandata io volontariamente la mia dimissione.
Serva ciò di sua intelligenza e di qualunque altro è sotto, ai miei ordini.
Il Comandante Generale
G. La Masa.
Al Colonnello Brigadiere Corrao
Napoli
Caserta, 22 ottobre 1860, ore 4 ¼ pom.
Sig. Generale,
In punto ricevo ufficio dallo Stato Maggiore generale a firma del Generale Sirtori, concepito nei seguenti termini:
«N° 1892
«Sig. Tenente Colonnello,
«Le si ordina di prendere immediatamente il Comando della Brigata già conferitogli provvisoriamente, ogni ulteriore ritardo potendo produrre gravi inconvenienti.
«Prenderà consegna immediatamente. Ordine analogo viene spedito al Generale La Masa».
Il Capo dello Stato Maggiore
(firmato) G. Sirtori.
Io quindi le partecipo tali ordini perché son precisato eseguirti; e quindi prendo il Comando della Brigata e la impegno a farmene militare consegna mettendo ogni ritardo a di lei responsabilità.
£ton ogni riguardo.
Pel Comandante
Il Tenente Colonnello
La Porta
Al Sig. Generale La Masa
Napoli
Al Generale La Masa
Caserta,24 ottobre 1860.
Non è in mia facoltà revocare l’ordine del Dittatore, col quale il Comando della brigata già a lei affidato passa al Colonnello Corno e durante la di lui assenza, al signor Colonnello La Porta.
Quellordine deve essere eseguito senza ulteriore ritardo, per cui si compiacerà di fare immediata consegna della Brigata al signor Colonnello La Porta.
Il Capo dello Stato Maggiore
G. SIRTORI.
All’Illustre Generale Garibaldi. Caserta.
Generale,
Vi chiesi la mia dimissione, perché mi doleva di servire più oltre in un esercito, il cui Capo accolse per un istante la calunnia inverosimile di accusatori a me sconosciuti, e di cui per quanto io abbia istantemente richiesto, voi, mai sapeste indicarmi un nome, e che solo qualificaste replicatamente coll’epiteto di canaglia.
Ma vi chiesi contemporaneamente un’ora onde rischiarassimo insieme la calunnia per averne io riparazione.
Fu indarno.
Allora mi rivolsi al Capo dello Stato Maggiore Generale, al quale e verbalmente, e due volte in iscritto, domandai con insistenza la riparazione suddetta.
Ma anche ciò fa indarno.
Mi si rispose solamente col nominare altro Comandante alla mia truppa.
Questo non è rendermi la giustizia che richiesi, ma anzi accreditare quelle calunnie che voi già conoscevate in Sicilia quando mi offriste il Comando Generale di tutte le forze Siciliane, cioè delle Guerriglie, dei Cacciatori dell’Etna e della Guardia Nazionale, ed io non accettai che il Comando dei due primi Corpi, essendo tempo di anione; — più tardi mi affidaste importanti e delicate missioni, ed infine per un mese mi collocaste colla mia truppa agli estremi avamposti.
È primo dovere dell’uomo il tutelare la propria fama: e cedere il Comando senza un preventivo esame sarebbe lo stesso che contaminarla.
Con queste sacre riflessioni son certo che voi ordinerete che si sospenda l’insistenza che mi si fa dal Capo dello Stato Maggior Generale sull'immediata cessione del Comando.
Io già per evitare qualsiasi inconveniente ho incaricato di rappresentarmi provvisoriamente quella stessa persona che il Generale Sirtori ha delegata per la consegna suddetta.
A voi me ne appello, e vi chieggo nuovamente giustizia, cioè, riparazione, e che con un Consiglio d'inchiesta si scoprano e mi si facciano conoscere i rei, certo che Garibaldi, la di cui fama si appoggia sull’onore militare, non vorrà calpestare quello d’un soldato della patria.
Napoli, 23 ottobre 1860.
G. La Masa.
Caserta, 19 ottobre 1860.
Il Tenente-Colonnello La Porta è incaricato di rappresentarmi nel Comando della mia prima Brigata durante la mia corsa in Napoli.
G. La Masa.
Napoli,24 ottobre 1860.
Il Signor Tenente Colonnello La Porta è incaricato di rappresentarmi nel Comando della mia prima Brigata, durante la mia assenza.
G. La Masa.
Al Signor La Porta
Tenente-Colonnello.
Al Ministro della Guerra, Generale Coseni, Napoli.
28 ottobre 1860
La dimissione data da me era corrispettiva a che per un Consiglio di Guerra, o per qualunque altro modo legale, fosse chiarita l’erroneità di ciò, di cui crede accusarmi il Generale Dittatore.
La mia dimissione non è stata neppure regolarmente accettata, il Consiglio di guerra o d’inchiesta non fu fatto, e intanto si è dato ordine per la consegna del Comando. Io ho protestato contro questi ordini, ed ara riprotesto e reclamo per la forzata consegna fatta eseguire dal Capo dello Stato Maggiore Generale, la quale fu un atto non solo ingiusto, ma neppure motivato da nessuna necessità, mentre ad evitare qualsiasi inconveniente e disordine, io avea legalmente incaricato provvisoriamente del comando la medesima persona indicatami dallo Stato Maggiore Generale per la consegna.
Per tormisi il comando bisogna che il Consiglio sia fatto; senza ciò, e fuori di ciò, il tormisi il comando, e in punto che la campagna a cui ho con tanto valore de’ miei cooperalo è per ottenere il suo completo trionfo — militarmente è una irregolarità, e moralmente è atto non bugno, a cui credo non vorrà prestarsi, né il Generale Dittatore, né il Ministro della Guerra.
Insisto dunque perché l’ordine di consegna relativa, al comando si revochi, e la prego volermi dare al più presto rassicurami corrispettiva.
G. La Masa.
(Estratto dai Giornali di Napoli)
È doloroso per un uomo che sente tutto il valore della concordia il dover rivelare alla pubblica, conoscenza latti che pur troppo la ledano. Combattei lungamente pria di affidare alla stampa la narrazione e i documenti che ora espongo. Sperai dapprima che nel ristretto cerchio delle pareti, direi, domestiche potessero esaminarsi le accuse lanciate nel mistero contro ad uno, mi sia permesso. il dirlo, dei più provati patrioti e soldati d’Italia, per conoscere e punirne i calunniatori, — fu indarno.
Mi rivolsi allora ai mezzi che nei paesi civili fornisce la legge; e con persistente longanimità, quasi elemosina, chiesi e richiesi giustizia. Ma il Consiglio d’inchiesta e di guerra che io invocava, ed al quale il Ministro di guerra aderiva, trovava insuperabili, sebbene non motivati ostacoli, in più alte regioni. Si dieeva allo stesso Ministro dal capo dello stato maggiore, Generale G. Sirtori, che mi si sarebbe data riparazione amichevole, ma oltre che non so qual riparazione amichevole potrebbe validamente soddisfarmi — non si fece neppure veruno passo a tale scopo — ché anzi mi si diede novella prova di ostilità nel non avvertirmi nemmanco della distribuzione delle medaglie per la prima spedizione in Sicilia, spedizione nella quale io ebbi non ultimar parte sia nel consigliarla, che nel muoverla e nell'effettuarla.
Dopo ciò, cosa rimane ancora all’onest'uomo che vuole rivendicato il proprio onore; quando i calunniatori non hanno avuto il coraggio di sostenere a visiera levata le accuse che solo ardirono! inventare occultandosi, — e le Autorità rifiutano l’implorata giustizia? Non gli resta che ricorrere alla pubblica opinione, affinché essa spinga colla sua forza il Governo a compiere quel Consiglio di inchiesta che, più d’ogn’altro mezzo, può rischiarare-i fatti e darne la riparazione e la punizione a chi spetta.
Ed a questo estremo espediente io mi rivolgo; tranquillo, che ormai verun dissidio personale possa rovinare la nostra rigenerazione (che in tal caso avrei ancora taciuto). Espongo quindi coi documenti la nuda narrazione dei fatti, dai quali rileverà il lettere la bassezza dei miei nemici, e quanto è sacro e potente il motivo che mi spinge ad appellarmi alla pubblica opinione.
Napoli,8 novembre 1860.
(Vedasi Giornale di Napoli Bandiera Italiana, n. 84, anno 1860).
Pregiat.mo signor Direttore,
La prego a sospendere la pubblicazione nel suo Giornale della narrazione dei fatti e dei documenti di cui parlò nel num. 84 perché ho ricevuto oggi dal Ministero della Guerra copia dell'Ordinanza ministeriale, comunicata il giorno 28 ottobre al signor Maggiore Generale Sirtori Capo dello Stato Maggiore Generale, che stabilisce il Consiglio di disciplina da me ripetutamente domandato. :; Spero che non sorgeranno ulteriori ostacoli ad impedire che mi linea legale mi si dia ogni dovuta riparazione, nel quale case «pregherò di nuovo la di lei cortesia a coinpiere la promessa al pubblico del di lei giornale.
Di lei obbligatissimo
G. La Masa
(Vedasi Bandiera Italiana, n. 85, anno 1860).
Ministero della Guerra
Santa Maria, 28 ottobre 1860.
Copia conforme della Ordinanza Ministeriale
comunicata al signor Maggiorò Generale Sirtori
Capo dello Stato Maggiore Generale.
Dietro ripetute domande del signor Maggiore Generale La Masa è stabilito che Tenga convocato un Consiglio di disciplina composto dai signori Maggiori Generali Medici e Saechi e dai signori Brigadieri Assanti, Corte e Simonetta. Il Maggiore Generale Medici ne avrà la presidenza. Il Consiglio esaminerà i seguenti punti:
1° Se il maggiore Generale La Masa con ordine del giorno del 2 ottobre si sia appropriati fatti di guerra ad altri dovuti.
2° La condotta militare nei fatti d’arme del 19 settembre e 1° ottobre, come pure nei combattimenti di Calatafimi e seguenti sino alla presa di Palermo.
Il Ministro
Firmato Cosenz.
Visto. Conforme all’originale
Il Capo dello Stato Maggiore medesimo.
Blorasini.
A Sua Eccellenza il Sig. Ministro della Guerra Generale Fanti.
Napoli,10 novembre 1860.
Eccellenza
Il sottoscritto, avendo avuto motivi di conoscere che erano state inventate delle calunnie contro il di lui onore militare, diede, à propria dimissione, domandò un Consiglio di Disciplina all’unico ed assoluto scopo che venga in luce la verità di ogni fatto, rivendicato il suo onore, e rimesso legalmente al suo posto dal Comando Generale dietro piena convinzione del suo valore, militare.
Il Ministro di Guerra del Dittatore, in data del giorno 28 di ottobre, comunicò l’allegata ordinanza ministeriale al Capo dello Stato Maggiore Generale G. Sirtori, colla quale stabilisce un Consiglio di disciplina per le ragioni indicate.
Il decreto dittatoriale col quale ai sciolse il Governo dell’Italia Meridionale, e si fuse nel Governo di S. M. fa ora rivolgere il sottoscritto all’E. V. e pregarla onde voglia compiacersi ordinare, affinché abbia pronta effettuazione quel Consiglio che può solo dar con degna ed intera riparazione all’onore di un uomo, sempre intemerato, e che ora per misteriosi motivi e da occulte persone si tenta di offendere.
E prega l’E. V. a dare nuova disposizione perché fra i componenti del Consiglio vi siano alcuni uffiziali superiori all’armata settentrionale.
Generale
G. La Masa.
COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO MERIDIONALE — N° 331.
Oggetto
Napoli,24 dicembre 1860.
La questione ch’Ella con vive istanze dimanda di sottoporre ad un Consiglio è di indole cosi delicata che questo Comando credè meglio di sottometterla all’esame della Commissione di Scrutinio.
Nel dargliene pertanto partecipazione le si assicura che qualunque deliberazione venga presa in proposito le sarà subito comunicata.
Il Generale. Comandante in Capo
G. Sirtori.
Al Generale La Masa — Napoli.
Napoli,26 dicembre 1860.
Non è della competenza della Commissione l’affare del signor Generale La Masa per due ragioni: 1° Perché la Commissione non tratta degli Ufficiali Generali; 2° Perché la Commissione non può erigersi in Consiglio di Guerra né di Disciplina, come fu accordato al predetto signor Generale.
Generale Della Rocca.
Gibilrossa, li 21 maggio 1860.
Generale,
Non m’ingannai nel dirvi che la mia truppa avrebbe oltrepassato i tremila. Se avea fucili, a quest’ora avrei più di 20 mila combattenti. Al campo di Gibilrossa l’entusiasmo è incredibile.
Non solo la provincia di Palermo, ma quelle pure di Catania e di Girgenti, dietro a’ miei proclami e corrispondenze, sono in piena rivolta, ed organizzate dal Governo Provvisorio Centrale da me costituito in Misilmeri e Gibilrossa.
La vostra Dittatura si va dappertutto proclamando, e l’ho messa di base alla costituzione dei Comitati governativi.
Questa posizione è eccellente; è una montagna estesa altissima che sta a cavaliere di Misilmeri e Palermo; i miei avamposti si estendono fino a Monte Golfone che si avvicina di più a Palermo.
Questa sera spingerò la catena dei posti anche più oltre — e nella pianura, dove lemie pattuglie si spingono al di là dell’Abate (a due miglia quasi da Palermo) farò riconoscere piùda vicino le posizioni che occupano i borbonici.
Dal lato nostro della Capitale cominceremo a molestarli.
Desidero poi che francamente mi diciate se approvate il progetto già comunicatovi, cioè che questo corpo d'armata operi distaccatamente su Palermo, avvisandomi però del giorno dell'attacco generale, qual cosa dipenderà intieramente da voi.
Ed in vero, se si togliesse questo Campo che sta divenendo il Quartier Generale di mezza Sicilia, sarebbe lo stesso che perdere ogni influenza sugli armati, e la fiducia di questa provincia, e specialmente di Misilmeri e di Termini che formano le basi più solide della nostra rivoluzione; subentrerebbe certo lo scoramento e l’abbandono della guerra.
L'attacco decisivo della Capitale può solo togliere il bisogne di questo Campo, ma finché ciò non è è desso la naturale base d’operazione sopra Palermo.
Termini si mantiene con eroica fermezza, in faccia al Castello, e m'invia continui rinforzi. Non passa ora che non mi giungano armati provenienti da tutte le parti dell’Isola.
Attendo vostri ordini.
Affez.mo vostro
G. La Masa.
Garibaldi rispondeva:
Pioppo,21 maggio 1860.
Ho ricevuta l’ultima vostra d’oggi alle ore 4 ½ pom. Avete fatto immensamente in pochi giorni, e sono d'accordo con voi sul vostro progetto; inquietate il nemico in ogni modo. Di qualunque cosa ci daremo avviso reciprocamente.
Vostro G. Garibaldi.
Dal Parco Garibaldi scriveva a La Masa le due seguenti lettere:
Parco,22 maggio 1860.
Abbiam marciato tutta la notte con un tempo d’inferno — e strada consimile. — Siam qui, mi piace la posizione e procureremo di sostenerla fino a prendere l’offensiva. — Inquieteremo il nemico più che potremo — farete lo stesso da parte vostra e mi darete vostre nuove.
Addio, caro amico.
Vostro G. Garibaldi.
Parco, 22 maggio 1860.
Ho ricevuto il vostro dispaccio d’oggi, e vi fo i miei complimenti per la buona riuscita.
Noi occuperemo questo punto. Fo cominciare fortificazioni volanti e servirà per deposito provvisorio. Fate pure costruire lancie (), occupatevi della difesa della nostra destra, avvisatemi di tutto.
Salutatemi i bravi patriotti che v’accompagnano.
Vostro G. Garibaldi.
Al Generale La Masa.
XXX.
Nomine proposte dal Generale La Masa
al campo di Gibilrossa, ed approvate dal Dittatore
N° d’ordine | NOME E CASATO | FUNZIONI | GRADO |
1 | Vincenzo Fusa | Ispettore Organizzatore | Colonnello |
2 | Rosario Salvo | Capo Dello Stato Magg. | Luog. Colonn. |
3 | Sebastiano Guastella | Ufficiale Di Ordinanza | Capitano |
4 | Pietro Gullo | Idem | Idem |
5 | Vincenzo Bologna | Idem | Luogotenente |
6 | Tommaso Puritano | Idem | Idem |
7 | Francesco Gallegra | Idem | Idem |
8 | Salvatore Renzi | Capo Ufficiale Del Genio | Maggiore |
9 | Niccolò Sunseri | Intendente | |
10 | Antonino Romano Italiano | Commissario Di Guerra | Idem |
11 | Mariano Leone | Ufficiale Contabile | Luogotenente |
12 | Giuseppe Mensalora | Idem | Sottotenente |
13
7 |
Giuseppe Bellona | Capo Chirurgo | Maggiore |
14 | Antonino Crimi | Chirurgo | Capitano |
15 | Giuseppe Lima | Idem | Luogotenente |
16 | Pietro Raimondi | Capo Farmacista | Capitano |
17 | Mariano Gullo | Ufficiale Delle Guide | Luogotenente |
18 | Salvatore Lima | Idem | Sottotenente |
( assimilati a Sottotenent.
1. Crispino Vicari | 7. Giuseppe Scozzaro Ardizzone |
2. Mariano Ardizzone | 8. Salvatore di Pisa |
3. Pietro Carlino | 9. Giacinto Trentacoste |
4. Antonino Caracciolo | 10. Pietro Bonanno |
5. Vincenzo Daniele | 11. Giovanni Moscarello |
6. Vincenzo Fodera | 12. Giuseppe Campagna |
Renne, 21 maggio 1860.
G. Garibaldi.
G. La Masa.
N. B. Le due prime righe che portano l’approvazione delle nomine propone dal Generale La Masa, e la data (oltre alla firma) sono scritte di proprio pugno dal Generale Garibaldi.
Palermo,24 giugno 1860.
Tralascio di dirvi quante volte sono stato in casa del Ministro Orsini, ed al Ministero. Il quadro dello Stato Maggiore firmato dal Dittatore non l’ha potuto trovare; finalmente questa mattina diceva mi, che tale affare doveva discutersi quando voi ritornerete, e poi alle mie ragioni ed alle mie istanze, mi disse portarmi dal Dittatore, farlo nuovamente firmare, ed egli avrebbe spedito i decreti (). Domani spero portare il consimile quadro dello Stato Maggiore al Dittatore.
Vostro P. Mastricchi.
A S. E. il Generale La Masa
Caltanisetta.
Napoli,6 gennaio 1861.
Dichiaro io sottoscritto, che incaricato dal Generale La Masa onde far firmare un secondo quadro del Comando de Cacciatori dell’Etna e delle Guerriglie Siciliane al Generale Dittatore, per essere stato il primo smarrito dal Ministro della Guerra, firmato dallo stesso Dittatore nel mentre che lo esaminava, presente il Generale Sirtori, a lui rivoltosi in tali sensi si esprimeva: Sia noto a tutto il mondo, il Generale La Masa è un intimo amico mio, io non conosco nessun altro uomo più disinteressato, più patriottico che La Masa, tutto ciò che La Masa mi domanderà, tutto gli accorderò. E firmò il quadro suddetto.
Aggiungo e dichiaro espressamente che il Generale La Masa nel 1848, alla spedizione di Messina, ove io figurava da Quartiermastro, si diportò con il maggior valore ed eroismo, e nel 1860, facendo io da aiutante di campo, oltre avere con molta abilità, senno e patriottismo organizzato il Campo di Gibilrossa, che diede la forza (senza illuderci) per la presa di Palermo, combatté sempre valorosamente, sia tra i primi all’entrata di Palermo stesso, come in tutti i consecutivi combattimenti.
In fede, mi sottoscrivo:
Pasquale Mastricchi, Tenente-Colonnello.
Palermo, 26 giugno 1860.
Signor Generale,
Questa mattina, assieme col Mastricchi, ebbi Paltò onore di presentare al Dittatore Generale il piano organico del Comando generale dei Cacciatori dell'Etna, quale piano colle espressioni dell’uomo soddisfatto approvò e munì del suo visto di approvazione. Intanto mi piace significarle che il Dittatore parlando con me del Generale La Masa, ha espresso sentimenti di vera e leale stima, e disse: che La Masa è il primo e vero patriota siciliano. Ciò mi fa chiaro vedere che il sole risplende anche ad onta dei tristi, e che La Masa, qualunque siano gl’invidiosi, non potrà essere eclissato. Con piacere le comunico questo, giacché godo che vi siano uomini, ed uomini illustri, che non mancano di far onore al vero merito.
Ho il bene di dirmi con tutta stima e gratitudine.
0bb. subord. amico vero
Antonio Canzano.
Al signor Generale La Masa.
Ministero della Guerra — Segretario Generale
Gabinetto del Ministro — N. 1446.
Torino addì 7 maggio 1861.
Affinché il Ministero sia in grado di poter stabilire in modo definitivo la posizione della Signoria Vostra, sia rispetto al grado, sia rispetto alle competenze ed arretrati che Ella reclama, torna indispensabile che Ella presenti il brevetto o decreto regolare di sua nomina che non si rinviene negli allegati da Lei prodotti.
Ella ha bensì documenti che la qualificano Generale, ma non si riscontra verun titolo ufficiale che le conferisca regolarmente quel grado, ed avendo io consultato in proposito la Commissione di scrutinio, questa in sua seduta del 29 aprile emise la seguente deliberazione che mi giova trascriverle per punto.
La Commissione, ecc.
«In seguito alle spiegazioni avute da Luogotenente Generale Sirtori, dalle quali risulterebbe:
a) Che il La Masa comandò da principio alcune Guerriglie Siciliane che furono sciolte nel mese di giugno 1860;
b) Che in seguito ebbe nomina di Maggior Generale comandante la Guardia Nazionale di Palermo, non si sa bene se effettivo od onorario;
c) Che in settembre ebbe il comando d’una brigata dal quale si demise volontariamente nella seconda metà di ottobre successivo.
In considerazione del sopra esposto la Commissione ha deliberato di emettere il seguente parere, cioè che il massimo grado che si potrebbe riconoscere al La Masa sarebbe quello di Maggior Generale, per il che si dovrebbero però a Lui richiedere i documenti che giustifichino le nomine avute, sia come Generale, sia come Comandante di Brigata.»
Firmati — Sirtori, Cosenz, Medici, Broglia, Scozia, Decavero e Biscaretti, Presidente.
Io starò dunque attendendo che V. S. si compiaccia somministrare i sovraindicati titoli di nomina, persuaso che le presenti spiegazioni varranno a farla convinta che non fu colpa del Ministero se prima d’ora non venne adottato verun provvedimento.
Il Ministro, M. Fanti.
____________________________
Nelle lettere al Ministero potrebbe esservi qualche piccola differenza di parole da quelle spedite al Ministero stesso, per modificazioni frasi o vocaboli seguite in quelle nel copiare il bozzo; ma lati differenze, se pure si trovano, non potranno essere che di parole insignificanti e garentisco l'identicità dei sentimenti e dei fatti espressi. Ciò dico ad avvertenza del Ministero invitandolo a pubblicare quelle mie lettere.
Prego poi il lettore di non farmi appunto se trova sempre ripetute quasi le stesse cose esse: di ciò fu causa il non avermi il Ministero mai risposto (tranne la ministeriale di Fanti), ne mai lasciato parlare più di quattro o cinque minuti, in cui mi si dava ognora prova di non conoscere affatto la mia vertenza; per la qual cosa mi trovai costretto a ripetere a ciascuno nuovo Ministro quanto avea comunicato all'antecedente.
Lettera al sig. Ministro Generale Fanti.
Eccellenza!
Ho l’onore di rimettere a V. E. i miei titoli ufficiali legalizzati e l’informativa che servono di risposta alle osservazioni della Commissione di Scrutinio.
Mi sorpresero, in vero, le osservazioni del Generale Sirtori; per quanto lo sapessi a me ostile (giacché me ne diede replicate prove come ho già dichiarato all’E. V. ) pure non avrei mai immaginato che egli potesse in tal modo dimenticare la verità.
E prego, anzi tutto, V. E. ad esaminare ponderatamente la mia risposta a ciascuna osservazione della Commissione — indi passarla alla Commissione stessa, onde essa conosca l’errore in cui fu tratta (non perché io da essa dipenda) ma per rischiarare la verità e perché la trasformazione dei fatti non abbia mala influenza sugli Uffiziali che combatterono sotto il mio comando.
Se l'E. V. si fosse compiaciuta di esaminare l’informativa colla quale ebbi l’onore di accompagnarle la prima volta i miei titoli, V. E. avrebbe di leggieri riconosciuto l’assurdità delle informazioni del Generale Sirtori.
È perciò che ora mi permetto di pregare vivamente la di Lei cortesia a volere il tutto minutamente esaminare onde non correre nel pericolo di emettere una decisione che ledesse la giustizia — ciò che non è certamente nelle mire del Governo del Re.
Mi si chiedono da V. E. o Brevetti o Decreti e titoli ufficiali.
Coll’ordine del giorno 7 maggio 1860, che si attivò appena sbarcati in Marsala, fui riconosciuto Luogotenente Generale perché tale era e il grado da me sostenuto su altri campi di battaglia essendo io stato nel 1848-49 Capo dello Stato Maggiore Generale dell’Armata regolare di Sicilia colle funzioni provvisorie dì Comandante Generale delle armi.
Questi titoli stabilirono per conseguenza legale il mio grado di Generale d’Armata pei seguenti motivi:
1° Per diritto di anzianità negli avanzamenti dell’esercito meridionale.
2 Per e meriti eccezionali cioè per aver io colla mia antiveggènza, colle mie operazioni strategiche, e colla celerità di movimenti, riparato alla perdita cui andava incontro il Corpo Spedizionario per pochezza di numero; e per la ritirata che volea si facesse su Castro giovarmi il Capo dello Stato Maggiore, Generale Sirtori, dopo il fatto del Parco.
Per la difesa di Palermo dal 27 maggio all’8 giugno che fu quasi esclusivamente comandata e sostenuta da me, per essere gli altri Comandanti taluni feriti ed altri occupati nel costituire il Governo; — per la parte principale che io ebbi nella difesa della linea sotto Capua dal 12 settembre al 15 ottobre; e finalmente per essere io stato fra i Comandanti dell’Esercito meridionale colui che prese parte al maggior numero dei combattimenti nel 1860.
Quindi, se i Tenenti Colonnelli Sirtori e Turr riconosciuti (come gli altri che fecero parte della prima spedizione) nei loro antichi gradi, furono promossi graduatamente a Luogotenenti Generati, cioè tre gradi più avanti; — se i Colonnelli Cosenz e Medici, che non fecero parte della prima spedizione, ma giunsero in Palermo dopo lo sgombro del nemico, furono promossi a Luogotenenti Generali, cioè due gradi più avanti; non doveva io che presi parte attivissima a tutta la Campagna di Sicilia e Napoli ed ebbi la parte più influente nella riescita dell'impresa in Sicilia, essere promosso a Generale d'Armata, cioè un solo grado più avanti?
Ma ponghiamo pure che questi titoli validissimi in faccia all’equità non esistessero. Basiamo sui titoli ufficiali che personalmente e direttamente mi riguardano.
Il Quadro organici nominativo del Comando Generale dei Cacciatori dell'Etna e delle Guerriglie Siciliane coi gradi in esso assegnati, e corrispondenti alle funzioni di ciascuno degli individui ivi nominati, è un Decreto di nomina che stabilisce il mio grado di Generale d’Armata ().
Si tratta di un Governo Dittatoriale in un istante in cui non eravi regolarità negli uffici.
Il Capo dello Stato Maggiore come pure il Dittatore comunicavanmi spesso gli ordini su di un pezzo di carta straccia, e sovente scritti col lapis — eppure quei scritti erano ufficiali; e se nel servizio di guerra l’ordine non fosse stato ubbidito, potevasi anche in forza di quella informe carta straccia fer passare per le armi il trasgressore.
Non possono quindi pretendersi le scrupolose formalità: ciò osterebbe allo spirito del Governo e del Parlamento che hanno voluto riconoscere i gradi a coloro che hanno positivamente cooperato alla formazione del Regno d'Italia colle armiv e non riconoscere unica mente le pedanterie burocratiche cioè le paròle rigettando i fatti.
L'esperienza insegna che sovente sono muniti di tutte le formalità, più d’ogni altro, gli intriganti e gli immeritevoli.
Se poi più tardi, quando gli ufficii erano regolarizzati, non fd dato a quel Decreto di nomina la scrupolosa formalità, sono da accagionarsi esclusivamente le mene di coloro che mi osteggiavano, come si vede dall’unita informativa e dagli Allegati annessi. Ciò però non tolse nulla di valore al Decreto stesso poiché esso fu integralmente eseguito nei fatti.
Avanti di questo comando in Gibilrossa (ove io rappresentai il Governo del Dittatore) organizzai e comandai col consenso di Garibaldi il secondo Corpo d’Armata in formazione;. lo comandai pure nella battaglia dell’entrata in Palermo — e questo Corpo era forte di oltre cinquemila uomini quando tutte le forze comandate dagli altri Capi insieme non oltrepassavano il numero di mille e cinquecento uomini.
In Palermo il Dittatore istituì appositamente il Comando Generale dei Cacciatori dell’Etna e delle Guerriglie Siciliane, che compendiavano tutta la forza attiva regolare Siciliana, per nominarmi, come dante Generale di quel Corpo d’Armata, col grado corrialle funzioni: per cui fui nominato effettivamente Generale d’Armata.
Prova ne sia che, appena ritornato dalla mia missione temporanea all’esteroil Dittatore ordinava, con iscritto di suo pugno, al Capo di Stato Maggiore Sirtori di «riunire e mettere sotto il comando generale La Masa tutti i Corpi Siciliani.»
I Corpi Siciliani formavano quasi una metà dell'Armata meridionale attiva.
Il mandato Dittatoriale () spiegato nell’unita informativa è altro titolo che rafferma le suesposte ragioni.
I titoli surriferiti sono perfettamente legali e sufficienti, perché il Dittatore nella prima epoca sovente formulava in tal modo i suoi motu-proprii, e tali egli ripetutamente mi dichiarò di ritenerli.
Ma supponiamo anche non esistenti questi titoli. Passo a sostenere il mio grado di Generale d’Armata con altri argomenti.
Si conosce come il Governo del Re ha saviamente disposto che latti coloro che non hanno Brevetti, é che servirono attivamente nell’Esercito meridionale sono riconosciuti, mediante una dichiarazione dei loro Generali, nel grado medesimo con cui funzionarono atti campi di battaglia.
Sarebbe dunque per me solo rigettata tale disposizione se non avessi quei titoli?
Riposta quindi la mia posizione anche in tale modo, ho valevoli ad inespugnabili documenti da sostenere il mio grado, di Generale d’Armata, non già con attestati di Generali che non sono col mio grado competenti, ma cogli attestati ufficiali di cui uno fu pubblicato ai tempi della guerra nel Giornale Ufficiale per ordine dei Ministero della Guerra cioè:
«l’ordine del Giorno del comandante Generale dei Cacciatori dell'Etna e delle Guerriglie Siciliane G. La Masa» ed in quell’ordine sta descritta la funzione altamente sostenuta da quel corpo d’Armata in faccia al nemico, condotto sempre alla difesa dal suo capo; quale funzione si ebbe per esito la cacciata dei Borbonici dalla Capitale ().
Intorno poi al mio grado ed alla mia anzianità potrà V. E. rilevarli anche nelle corrispondenze ufficiali col Dittatore, col Comitato di Guerra, e tutti gli altri Comitati Governativi dell’isola, e con un officio del medesimo Sig. Sirtori, ch'era allora, semplicemente Tenente Colonnello.
Or le funzioni da me esercitate porterebbero evidentemente al diritto di Generale d’Armata posto il caso che anche i titoli officiali, anzidetti, non esistessero ().
Non parlo dell’assurdità che io fossi Comandante di Brigata; ba stano i documenti dello stesso Ministro di Guerra a smentirla ().
Finisco col dire a fronte alta (giacché si cerca di nascondere o travisare i miei fatti) che nell’Esercito meridionale nessuno può contare nei 1860 i servizi che io prestai alla causa, perché oltre di appartenere alla prima spedizione e di aver preso parte al fatto di Calatafimi malgrado le contusioni riportate la caduta da cavallo, feci insorgere la Sicilia — ne organizzaci forze — rimediai al fatto del Parco — comandai la prima colonna nell’attacco di Palermo — fui il primo che percorsi la Capitale — comandai quasi tutti i combattimenti fino allo sgombro totale dei regii, perché, come dissi, gli altri Comandanti erano o feriti od occupati nell’organizzare il Governo; —traversai a fianco del Dittatore la Calabria, e fui al al fatto di Soveria — poi a Padula; — fui in prima linea di avamposti sotto Capua più d ’un mese, senza allontanarmene neppure. un ora, ove sostenni quotidiani scontri, e le due battaglie del 19 settembre e del 1° ottobre.
Quindi anche in virtù della disposizione governativa io avrei evidentemente il dritto al grado di Generale d’Armata per le funzioni da me esercitate, e per l’importanza di esse, quand’anche le nomine officiali summentovate non esistessero.
Se dopo tutto questo io non debba essere riconosciuto nel mio grado per l’unico motivo ch’io credetti che i fatti positivi valessero più delle formole, lo lascio giudicare all’equità dell’E. V.
G. La Masa Deputato.
Risposta alle osservazioni della Commissione di Scrutiniodal Ministero comunicate con officio del 7 maggio 1861.
Dalla Commissione di Scrutinio dietro le informazioni del Generale Sirtori dicesi:
1 «Il La Masa comandò alcune guerriglie, ecc.»
Invece io a quaranta miglia di distanza dal Corpo spedizionario cominciai in Gibilrossa a formare, organizzare e comandare il secondo Corpo d’Armata, forte già avanti Centrata in Palermo di circa cinque mila uomini di guerriglie — e lo comandai nella battaglia dell’entrata nella Capitale (Allegato A). In allora la forza complessiva di tutti gli altri comandanti insieme non ammontava a mille cinquecento uomini.
Appena entrato in Palermo fui Comandante Generale delle Guerriglie (Allegato B). Da alcuni di questi allegati si vede come il Tenente Colonnello Sirtori, e chi lo secondava, si piacessero di chiamarmi Colonnello, quando il Dittatore, e tutti i Comitati governativi dell’Isola mi chiamavano col mio grado di Generale (Allegato C).
Il giorno 3 Giugno (cinque giorni dopo l'entrata in Palermo); quando si cominciò 13 ricomposizione dell'Esercito, e le guerriglie si organizzarono in battaglioni, il Dittatore mi diede il Comando Generale delle Guerriglie Siciliane, dei Cacciatori dell’Etna (Reclute) e della Guardia Nazionale — lo che significava il Comando di tutta la forza Siciliana.
Oltre di avermelo detto egli stesso direttamente, me ne fece dare anche comunicazione dall’Aiutante Generale, Colonnello Turr.
Ma io non volli addossarmi tanta responsabilità, tanta impossibile fatica, e non accettai il Comando della guardia Nazionale, pregando il Dittatore a nominare, siccome fece, in mia vece il da me pròposto Barone Turrisi-Colonna, ora Deputato al Parlamento: per conseguenza il Dittatore mi nominò, e fui, Comandante Generale effettivo del Corpo d'Armata composto delle Guerriglie Siciliane e dei Cacciatori dell’Etna, come si vede dal quadro organico nominativo (per due volte) approvato e firmato dal Dittatore, che ha lo stesso valore di un Decreto (Allegato D) perché fu completamente attuato tanto nella guerra quanto dopo la vittoria — per cui divenne un fatto compiuto.
Ciò fu saltato del Generale Sirtori a piè pari, che non. avrebbe dovuto dimenticarlo, dappoiché quel tratto di estrema fiducia del Dittatore a mio riguardo accrebbe assai il suo malumore (già spiegatosi fortemente contro di me in Marsala quando, appena eseguito lo sbarco, il Dittatore m’incaricava di tracciare il piano del movimento sulla Capitale ed altre varie incombenze) e me lo manifestò quando, per ordine del Dittatore, gli presentai copia del detto, quadro organico nominativo, nello stesso giorno in cui questo venne approvato e firmato (la prima volta) dal Dittatore.
Furono poscia infiniti gli intrighi — (cento persone ne sono testimoni) per annientare quel Decreto che in originale io aveva contemporaneamente presentato, dietro l’ordine di Garibaldi, al Ministro della Guerra onde eseguisse tutte le formalità di partecipazione e pubblicità.
Dopo un mese del suddetto Decreto Dittatoriale, cui il Ministro Orsini di giorno in giorno prometteva dare lo sfogo ministeriale, dichiarò averlo perduto, ed il Generale Garibaldi alla presenza del Colonnello Sirtori (che oggi lo dimentica), del Tenente Colonnello Mastricchi e del Maggiore Canzano (Allegato E) ne firmò subito un fecondo, dopo, ripeto, circa un mese dal primo, dicendo parole assai soddisfacenti a mio riguardo.
E l’importanza di quel Comando, é cosa lo fossi, lo prova lo stesso scritto del Colonnello Sirtori — in cui dice «devono essere incorporati in uno dei Reggimenti dei Cacciatori dell’Etna» e di rivolgersi «al Generale La Masa Comandante dei Cacciatori dell’Etna (Allegato F).
L’avere il Luogotenente Generale Sirtori taciuto questo fatto e l’esistenza di tal Decreto — mi fa temere che lo smarrimento dei primo originale non sia stato un caso fortuito, né una dimenticanza il non averne fatto motto nelle sue informazioni date alla Commissione di scrutinio, i di cui membri all’infuori di Sirtori, non si trovavano in quell’epoca in Sicilia, e quindi erano ignari di questo fatto.
Io quindi replico che in virtù di tale Decreto (3 giugno 1860) fuì effettivamente nominato Comandante Generale del Corpo d’armata, composto delle Guerriglie Siciliane, formate in dodici regolari Battaglioni e dei Cacciatori dell’Etna ch’erano arrivati a quindici Battaglioni in formazione, e che di giorno in giorno crescevano di numero cioè di tutta la forza attiva Siciliana. — E con questo ho risposto alla prima osservazione.
2° Si dice che in seguito (La Masa) — fu Comandante la Guardia di Paterni o, ecc.
È assolutamente falso che io sia stato nominato esclusivamente e formalmente Comandante della Guardia Nazionale di Palermo, e che vi abbia neppur un’ora, esercitato tale funzione, né onorariamente, né effettivamente, né provvisoriamente.
Fui bensì designato per essere nominato Comandante i militi della seconda Categoria (non la Guardia Nazionale di Palermo che apparteneva alla terza Categoria) ma non accettai.
Ed ecco come avvenne la cosa: nauseato degli imbarazzi continui che si mettevano innanzi al mio Comando, decisi dopo lo sgombre dei Begli, di recarmi nell’interno dell’isola, a rimettervi l’ordine {oli gravemente turbato, coll'influenza della mia popolarità. (che sembra fosse stata una delle cause degl’odii di taluno a mio guardo).
Presentai in pari tempo la mia demissione del Contando dei Cacciatori dell’Etna e delle Guerriglie Siciliano, Schiarando al Dittatore che il mio carattere disdegnava quel sordine e quella guerra d’intrighi ed ingiustizie, che producevano disunione alla forza, e malumore grave in paese, poiché tutti loro che servivano sotto al mio Comando erano mal visti e perseguitati.
Il Dittatore, che vedeva con pena la guerra che ingiustamente mi Si faceva, non volle accettare la mia demissione, e mi pregò ad aver pazienza in nome della Patria dicendomi queste precise parole: Non curate le persecuzioni, io so quello che voi meritate, e quando partirà da Sicilia voi resterete a rimpiazzarmi.
Il giorno 11 giugno io partiva per l’interno del regno, coi pieni poteri conferitemi dal Dittatore, colle mie Guide a cavallo ed a piedi (Allegato G) e con poche guerriglie, ove ebbi il piacere di riuscire pienamente net riporre l’ordine, e (restituirvi le autorità comunali. Frattanto parte delle guerriglie ch’io lasciai in Palermo furono temporaneamente disciolte e mandate alle loro case pei lavori agrari.
Al mie ritorno il Dittatore facendo appello alla mia abnegazione e patriottismo, proporne di mettermi al livello degl'altri Comandanti intorno al grado $ comando: cioè di Maggior Generale e Comandante di una delle divisioni (della 3a) che doveva comporsi dei militi della 2B categoria, e di ripartire i Cacciatori dell’Etna ai diversi Comandanti i quali avevan pochissima truppa.
Io era per accettare, semplicemente per compiacere Garibaldi, ma accorgendomi tosto di nuove e tenebrose macchinazioni (ché sarebbe troppo lungo ora il narrare e che sono pronto a dire distesamente quando si voglia) protestai risolutamente al Dittatore, pria che mi si deste la nomina e la funzione di Comandante la 3 Divisione — protestai, replico, dichiarando che non volea essere più generoso con chi non cessava di congiurare contro di me, e che io pretendeva di mantenere il mio grado: soggiunsi che ripugnava al mio carattere rimanere di più fra tanti ostinati e sotterranei intrighi, e lo pregava, giacché le ostilità erano sospese, di darmi una missione temporanea all’estero, onde allontanarmi dalla Sicilia dove sarei ritornato soltanto quando si ricominciasse la guerra, a servire, anche col fucile in ispalla, ma sempre però col mio grado effettivo; e che ormai per nessuna consideratone, io era disposto a più rinunziare il mio grado.
Garibaldi mi diede ragione e mi accordò la missione (Allegato H) temporanea da me richiesta.
E qui fa d’uopo che io dica anche il motivo per cui richiesi una missione, e fu: che i Siciliani cominciavano già ad accorgersi delle ostilità che misi facevano; ed alcuni dei capi popolani mi avevano dichiarato che se ciò fosse, lo avrebbero fatta pagar caro ai miei nemici.
Io li avea tranquillizzati, ma comprendeva l’importanza di celare al popolo 3 vero motivo della mia partenza, dapoicché la vita di alcuni capi del Governo e dell’Armata era in pericolo se soltanto si avesse sospettato ch’io lasciava la Sicilia per le ostilità che mi si facevano.
Questa circostanza che ora sono qui costretto a svelare,la dissi francamente allora a Garibaldi, ed il Generale Sirtori forse deve la vita a quella mia prudenza e preveggenza.
Il Dittatore nel mandato tutto di propria pugno che mi accreditava presse i Governi esteri scrisse:
«Generale la Masa» ed avendogli io ripetuto la mia dichiarazione che pretendeva che fosse espresso con ogni formalità legale il mio grado effettivo, il Dittatore risposemi con queste precise parole:
«Generale è più che Luogotenente Generale, cioè è il primo grado dell’Armata, e questo mandato officiale e Dittatoriale vale quanto un Decreto, quanto un Brevetto».
E di questo, come di tutto quanto io dico relativamente ai Dittatore, chiamo in testimonio lo stesso Generale Garibaldi.
Il Dittatore avea ordinato che la prima parte del mandato fosse pubblicata sulla. Gazzetta Ufficiale; ma il Direttore del Giornale mi disse che il Ministero, dopo che io fui partito, non lo permise; ne mi sorprende poiché erano le solite mene (Allegato I).
Mi sembra di avere sufficientemente smentito anche la seconda asserzione; ma se ciò non basta io tengo a disposizione del Governo testimoni! e documenti moltissimi.
3° Si dice: che «in settembre La Masa ebbe il Comando di una Brigata».
Ed in questo non solo l’asserto del Generale Sirtori, ma la firma pur anco del Generale Coseni mi ha sorpreso mentre gli Allegati J K provano abbastanza che egli sapeva che ciò non era, e che era desso stesso che avea dato alla Divisione La Masa il N° 19, comunicandolo allo stesso mio Capo di Stato Maggiore, Niccolò Lavagnino, antico Ufficiale Piemontese, decoralo della medaglia al valor militare nel 1848.
E sulla porta del gabinetto del Generale Cosenz al Ministero stava affisso un cartello in cui, a lettere cubitali, erano indicate le diverse Divisioni, tra le quali stava segnato «19ma. Divisione La Masa». E di ciò posso produrre infiniti testimoni!
È inoltre da aggiungere che il Ministro Generale Cosenz nelle Ministeriali m’intitolava Generale La Masa Comandante di Divisione, e non «Maggior Generale» come erano allora tutti gli altri Co mandanti di Divisione, che furono dopo nominati Luogotenenti Generali.
lo mi diressi al Ministro Cosenz chiedendo l’impianto di uno Stato Maggiore capace a sostenere il Comando non solo di una ma di più Divisioni secondo richiedeva il mio grado e gli ordini del Dittatore. Ed il Ministro diede le opportune disposizioni. (Allegato L).
Non parlo del Generale Sirtori. Esso sa che appena uditi i fatti di Milazzo io mantenni la mia risoluzione col ritornare tosto in Sicilia; — che passai in Calabria solo col mio Aiutante su di barca cannoniera, ed arrivai a Palmi prima che vi giungesse il Dittatore — travasai poscia le Calabrie a fianco del Dittatore collo stesso Generale Sirtori, e fummo al fatta di Soveria; che il giorno 4 settembre fui lasciato dal Dittatore solo nella Certosa di Padula onde garantire il Generale Caldarelli, minacciato dai suoi mila e cinquecento soldati reazionarii in ammutinamento, che volevano assassinarlo, come era stato fatto del Generale Briganti, e giunsi a portare la quiete e la fiducia in quei soldati; — che H giorno 9 raggiunsi in Napoli il Dittatore chiamato da un di lui telegramma (Allegato M).
Il Generale Sirtori sa che appena io fui giunto in Napoli il Dittatore diede ordine allo stesso Generale Sirtori, Capo di Stato Maggiore di riunire tutti i Corpi Siciliani sotto il Comando del Generale La Masa (ciò che voleva dire quasi metà dell’armata attiva), avea scritto che io medesimo per volontà del Dittatore portai al Generale Sirtori in originale.
Garibaldi con ciò mi diede lo stesso Comando ch’io aveva avuto Sicilia, cioè il Comando di tutte le forze attive Siciliane che formavano un Corpo d'Armata. E di più fui autorizzato anche ad aprire reclutazioni tanto in Sicilia,che nel Napolitano (Allegato N).
Intanto fino a che si concentrassero tutti i Corpi Siciliani (parte dei quali erano in marcia e parte in Sicilia ancora, e richiamati appositamente dal Dittatore) onde non rimanere ozioso mi recai tosto agli avamposti, e formai provvisoriamente la prima Brigata dei duo Reggimenti che colà trovavansi. Dell’ordine del Dittatore e di quant'altro su tale riguardo asserisco posso produrre (quando lo si voglia) molti testimoni, ai quali, anche verbalmente, il Dittatore comunicò la sua risoluzione fra i quali il Brigadiere Corrao.
Se quindi io rimasi sempre colla prima Brigata soltanto, invece delle molte che doveano riunirsi sotto di me, si fu unicamente per opera del Generale Sirtori, il quale come aveva fatto in Sicilia onde osteggiarmi, mise tutte le difficoltà anzi non. eseguì mai e trasgredì gli ordini del Dittatore, poiché non solo non concentrò sotto il mio comando quei Corpi Siciliani che erano nel Napolitano, ma diede ad altri Comandanti quelli che arrivavano dalla Sicilia, appositamente chiamati dal Dittatore allo scopo di riunirli sotto il mio comandi) (Allegato O).
Nè io impegnato siccome era, dal 12 settembre sino al 15 ottobre, sempre in prima linea di avamposti, che non abbandonai neppure un'ora, potei occuparmi di correre agli uffici dello. Stato Maggiorò Generale a sollecitare perché desse esecuzione agli ordini Dittatoriali.
Lo feci però col dispaccio telegrafico e con lettere. Né scrissi pure al Sig. Ministro Cosenz (come dall’Allegato L), contentandomi di avere sollecitamente almeno i mezzi per rimpianto d’uno Stato Maggiore Divisionale fino a che tutta la forza fosse riunita a formare il Corpo d'Armata.
E se in quell’officio come in altro al Dittatore io fui alquanto risentito si fu perché era stanco di tante ingiustizie — ostacoli — difficoltà — del Capo dello Stato Maggiore dell’Armata meridionale di cui fui sempre il bersaglio, come dissi, dal giorno del disbarco in Marsala sino ad oggi.
Prova ne sia comeché mi si faceva mancare, e che le mie truppe fossero maltrattate, né mai rilevate dagli avamposti malgrado le continue istanze. (Allegato P).
Or si comprenderà anche il motivo per cui io tanto insistentemente domandai un Consiglio d’inchiesta ostinatamente contrariato dal Generale Sirtori.
Da quel consiglio io desiderava che risultasse, non solo l’insussistenza delle inique calunnie sparse sul mio conto, e sulle quali mi basta ora la dichiarazione del Generale Garibaldi e di altri Generali — ma pur anche tutta questa sequela d'irregolarità — di male arti — d’ingiustizie — senza ch’io fossi obbligato a farmi accusatore di nessuno, cosa troppo ripugnante al mio carattere. Ma oggi, mio malgrado, mi veggo costretto a dimettere ogni riguardo mentrecché la difesa della mia dignità io vuole.
Prove di moderazione — di abnegazione — di disciplina — credo di averne date abbastanza quando me lo consigliava l’amor patrio.
Quel solo principia potè farmi sopportare tacendo tanta persecuzione; l’individuo doveva scomparire in faccia alla causa—ma oggi mancherei, ripete, a me stesso ed a coloro che devono giudicare, sé non facessi conoscere la verità onde evitare loro di commettere in scientemente un ingiustizia che (bisogna che francamente lo dica (appunto perché si vuol contrariare la verità) ricadrebbe verso chi rappresenta le armi siciliane vittoriose del 1848 e del 1860.
Prego l'E. V. a ritenere che il motivo che più d’ogni altro mi spinge a sostenerci miei dritti è la mia dignità militare, per cui sono costretto a scendere mio malgrado alle minute osservazioni personali collo scopo di distruggere le confuse e false informazioni che si danno al Ministero per gettare il dubbio, e forse l’umiliazione, dove esistono i fatti positivi ed onorevoli.
Il Consiglio d’inchiesta da me per tanto tempo ed indarno invocato, avrebbe già rischiarato prima d’ora il Governo e resi non necessarii questi miei rapporti.
Sicuro che il sano giudizio del Governo renderà vane le mene cosi lungamente protratte d’una consorteria, e farà splendere la verità e la giustizia, passo a segnarmi con alta considerazione.
Generale G. La Masa.
Allegati annessi al Documento anzidetto
V. Documenti XXVIII, XXIX, XX.
Esercito Nazionale — Intendenza Generale.
All’Egregio Signor Signor
Colonnello La Masa Comandante in Capo
le Squadriglie Siciliane dell’Esercito.
Le si partecipa per la regolarità che in vece del signor Bozzetti Romeo si è trovato di destinare a Commissario di Guerra presso i Corpi da lei comandati il signor F. Curzio, restando sempre ferma la nomina dell’altro Commissario nella persona del signor Luigi Naselli Flores.
Ci creda, ecc.
Palermo,6 giugno 1860.
L’Intendente Generale
Acerbi.
Signor Colonnello,
Si compiacerà di mandarmi immediatamente la situazione di tutte le squadre dipendenti dai di lei ordini.
Mi noterà almeno la forza approssimativa di ciascuna squadra disegnando la squadra tanto col nome del comandante, quanto col nome del paese donde proviene.
Noterà il tempo della formazione delle squadre, le loro principali vicissitudini, lo stato attuale della loro organizzazione, il loro stato morale, i fatti d’armi ai quali presero parte, e il conto che si può fare della loro disciplina e del loro valore.
Mi noterà ove ciascuna squadra trovasi acquartierata, di quali servigi fu in questi giorni aggravata, e di quali può essere richiesta.
Mi noterà da ultimo quali squadre trovansi ora di servizio agli avamposti, sia ai posti interni, e quale sia la forza precisa messa a custodia dei detti posti.
Palermo, 1 giugno 1860, ore 6 antim.
Il Capo dello Stato Maggiore
G. SlRTORI.
Eccellenza,
I signori Vincenzo Lombardo Salvatore, Spinella e Leonardo Greco furono feriti nell’entrata di Palermo, e per questo motivo abbiamo perdute le armi; ora che il cielo ci lasciò in vita, preghiamo S. E. di farci la grazia di dare a noi le suddette onde difendere la Patria, perché sempre fedeli, fin dal passaggio che fece il Generale Garibaldi da Partenico; Capo della Squadra fu Michele Olivieri e Padre D. Santo Giannola.
I supplicanti le chiedono la grazia.
A S. E. il signor Generale La Masa.
Palermo, 1° Giugno 1860.
Raccomandata al Comando Generale dell’Armata Nazionale in Sicilia.
G. La Masa.
Il Comandante Generale La Masa è incaricato di voler assoldare questi feriti come gli altri picciotti delle Guerriglie.
St. Tùrr, Ispettore Generale.
V. I Siciliani e La Masa, da p. xxix a p. lxxxv, e da p. 1 a p. 194
Ordine del giorno pubblicato per ordine del Ministro della Guerra
Soldati della Patria!
Il nemico abbandonò i baluardi, i quartieri, e con essi la sua linea d’operazione, dal Palazzo Reale alle carceri, che sebbene. rotta dalle nostre armi, minacciava da’ punti principali la capitale.
In questo progredimento vittorioso avete anche voi una splendida parte, voi guarnivate le barricate più utili della città, di giorno e di notte; e se anche qualcuno tra voi per mancanza d’istruzione, d'abitudine e di disciplina militare mancava, voi mede, $imi raddoppiavate di vigilanza, e alla voce del vostro Capo, correvate solleciti a rafforzare le vedette, i posti avanzati, i baluardi, le barricate, le pattuglie del vostro Comando generale.
Voi nei combattimenti seguivate l’esempio dei nostri eroi del continente cacciando i nemici di casamento in casamento, in cui eransi fortificati, e penetrando per ogni dove, li circondaste dei vostri instancabili fucili, ed infondeste nell’animo loro la convinzione, che, numerosi com’erano, non potevano più sostenere i punti e la linea che conservavano sopra Palermo.
Ed oggi che le armi nazionali in Sicilia raccolgono il primo frutto delle loro vittorie, oggi v’indirizzo le lodi che in questi gloriosi giorni avete meritato; ed in faccia al sole rendo a voi la gloria che vi si deve, accennando, in quest’ordine del giorno, l’importanza dei vostri servizi resi alla patria.
Sulle montagne di Gibilrossa dove in tre giorni, insorgendo vi concentraste armati più di 4000, sapeste mostrarvi degni della fiducia che in voi riposi, correndo solo in questa provincia da Calatafimi, e sosteneste il Governo provvisorio che a nome del generale Garibaldi io costituiva nelle due provincie di Palermo e di Girgenti. Voi eravate saggiamente condotti da quei caldi patriotti che accesero colle armi e colla voce la scintilla di questa nuova riscossa, Rosario Salvo, Sac. Rotolo, Luigi la Porta, Sac. Nicolò Sunseri, Di Marco, Puglisi, Barrante, Quattrocchi, a cui ai unirono i prodi Baroni di Sant’Anna, Marchese Firmaturi, Vincenzo Caruso, che ora formano parte dei comandanti i vostri battaglioni.
Quel campo fu la base di ferro, su cui l’invitto Eroe d'Italia, colla formidabile schiera dei fratelli del continente, potè sostenere l’impresa magnanima diretta a distruggere il centro delle armi borboniche, in ogni guisa fortificate, in Palermo.
Voi occupavate due montagne ed una città; i vostri avamposti e,le vostre vedette tenevano costantemente la linea da Misilmeri alle falde di monte Golfone. Il generate Garibaldi, quando recossi a visitare il nostro campo, esclamò: «Non havvi nulla da aggiungere ne da riformare, tutto va regolarmente come può sperarsi da un’armata regolare». Questo elogio, o soldati della patria, ve lo ripeté in Palermo il Dittatore dell’isola; e l’elogio di questo Eroe vale più di qualunque altro segno di patria benemerenza.
Nè a questo si limita il vostro merito. Il celebre movimento, che difilati ci condusse nella capitale, parti dal vostro campo; e voi formaste la prima colonna dell’armata nazionale, alla cui testa erano cento carabinieri del continente. Ed io che n’ebbi l’onore del comando, fui lieto, quando all’assalto vidi misti ai terribili carabinieri alcuni di voi, gareggiando con queste guide della vittoria, nel primissimo vanto delle armi patrie, e con essi vidi lanciarvi in Palermo a piantare dappertutto, e pria nella Fieravecchia (antico nostro baluardo) la bandiera dell’unità italiana.
Or voi non aspettate altro dalla patria che la m%ita narrazione delle vostre imprese; e questa l’avrete nelle pagine della nostra istoria.
Per ora in assieme abbiatevi questo sacro tributo.
— Non gradi, non vanità: abnegazione, sacrifizio fu la bandiera che a Gibilrossa vi chiamava alle armi, e questa voi la sosterrete fino al giorno della definitiva vittoria.
Cacciatori dell’Etna… Guerriglie dell’Isola… abbiate reciprocanza d’affetto e di stima coi Cacciatori delle Alpi… riconoscenza eterna a loro ed al magnanimo Duce.
Viva l'Italia, Viva Vittorio Emanuele, Viva il Dittatore Garibaldi.
Palermo, 8 giugno 1860.
G. La Masa.
(V. Giornale ufficiale di Sicilia, n. 10).
Più V. Docum. I.
V. Docum. XXI, XXII, XXIII.
Palermo, 10 giugno 1860.
Signore,
D’ordine del Generale gli arruolati nelle Legioni dei figli d'Italia, debbono essere incorporati in uno dei Reggimenti dei Cacciatori dell’Etna. Vegga quindi di uniformarsi a queste disposizioni, presentandosi Ella, e i suoi compagni al Generale La Masa Comandante dei Cacciatori dell'Etna.
Palermo.
Gradisca
SIRTORI
Al Sig. Achille Serra — Città.
Intendenza Generale.
Palermo,4 giugno 1860.
Avendomi il Generale incaricato di nominare due commissarii ispettori delle guerriglie affine d’impedire ogni possibile abuso, mi faccio un. dovere di significarle per sua norma come io abbia nominato a quest’ufficio i Signori Luigi Naselli e Romeo Bozzetti uffiziali d’intendenza.
L’Intendente Generale Acerbi.
Al Sig. Colonnello La Masa
Comandante i Cacciatori dell’Etna.
Palermo.
Palermo, li 19 giugno 1860.
COMANDO GENERALE DEI CACCIATORI DELL’ETNA e delle GUERRIGLIE SICILIANE ________ N. ________ OGGETTO | |
Oggetti bisognevoli
per lo squadrone delle Guide 60 Cavalli. 60 Selle complete con briglie, ecc. e rispettive fonde per pistole. 100 Paia di pistole d’arcione ed in mancanza 100 carabine. 60 Sciabole. 100 Mantelli di forma per cavalleria. 100 Striglie, testati, pannelli, pettini e brusche. 60 Blouses rosse di lana. 100 Paia di stivaletti. 100 Calzoni di tela grigia. 100 Paia di speroni. 100 Giberne. 100 Sacchi a pane di tela cerata. 400 Camicie. Al Signor Generale Dittatore. _________________________ Si paghi per acconti al Comandante Pasquale Mastricchi scudi trecento. G. Garibaldi. Soddisfalla la suddetta somma. P. Mastricchi. |
Illustre Dittatore,
Per completare l'organizzazione dello Squadrone delle Guide sotto i miei ordini è indispensabile che mi si fornisca degli oggetti descritti al margine. Ed è perciò che la prego degnarsi della sua approvazione pel pronto provvedimento perché io possa disimpegnare un servizio di tanta importanza per rimettere l’ordine nell’interno dell’isola, ove manca. G. La Masa. Si provveda al più presto possibile gli oggetti richiesti. G. Garibaldi. |
Palermo, 19 luglio 1860.
Il Generale La Masa è da me incaricato di percorrere l’Italia, la Francia e l’Inghilterra, all’oggetto di procurare alla Sicilia quanti più mezzi sian possibili in denaro, armi, legni da guerra a vapore, e per far conoscere ai governi ed ai popoli la rivoluzione siciliana sotto il suo vero aspetto, e coll’unica tendenza all’annessione col resto degli Stati dei Re Vittorio Emanuele ().
G. Garibaldi.
Di più ha da me pieni poteri per sopraintendere qualunque Comitato, od individui da me incaricati per raccogliere denari, armi, legni da guerra al servizio nazionale, come pure d’avvisarmi sull’idoneità degli individui da me delegati presso le Corti dell’Europa coadiuvandoli nella loro missione diplomatica, secondo le istruzioni ricevute.
G. Garibaldi.
V. Siciliani e La Masa da pag. lxxxiii a pag. lxxxv.
Ministero della Guerra—1° Ripartimene—1° Carico—N° 306.
Napoli, 23 settembre 1860.
Signor Capitano,
Ho approvato che sia ella destinata per Capo dello Stato Maggiore del Generale La Masa Comandante di Divisione. Glielo manifesto per suo opportuno governo.
Torino, 17 maggio 1861
Il Ministro, Cosenz
Per copia conforme all’originale
P. Il Comandante avv.
Dalmasso.
Al Signor Capitano Francesco Gentili Gentile
Ispezione Generale della Fanteria — N° 774 — Oggetto.
Santa Maria, 24 settembre 1860.
Signor Generale,
Ella favorirà dare gli ordini opportuni affinché al più presto possibile sia rimesso a questo Comando un prospetto che dimostra la forza numerica e la dislocazione delle truppe da Lei dipendenti, avendo cura che le indicazioni sieno fatte per Battaglioni e compagnie.
Inoltre Ella farà presentare un rapporto della munizione ricevuta e dispensata, che la Sua Divisione possiede, notando la proporzione tra i diversi calibri, nonché la proporzione delle rispettive munizioni.
D’ordine
Per il Capo dello Stato Maggiore
Tito Neri
Al Sig. Generale
La Masa
Ministero della Guerra—1° Ripartimelo—1° Carico—N° 576 Circolare.
Napoli, 28 Settembre 1860.
Signor Generale,
È espressamente proibito di accettare nelle file dello Esercito qualunque individuo o comune appartenente ai Corpi Piemontesi residenti nelle provincie Napolitane, e se mai ve ne fossero già ammessi saranno arrestati e condotti sotto scorta ai Corpi Piemontesi ai quali appartenevano, per essere giudicati a seconda delle leggi penali militari.
Tanto le manifesto sull’esatto adempimento.
Il Ministro, Cosenz.
Al Signor Generale La Masa
Comandante di Divisione.
Santa Maria, 20 ottobre 1860.
Sarà compiacente di dare gli ordini opportuni perché i Napoletani facienti parte della Divisione da Lei comandata, possano esercitare il loro diritto di cittadini votando domani sul plebiscito.
Il Ministro, Cosenz.
Caserta.
Io sottoscritto, che insieme alla nomina di Commissario di Guerra in 1° della Divisione La Masa, fui anche nominato, provvisoriamente, Capo di Stato Maggiore della medesima per meglio riuscire appunta alla formazione ed all’impianto della suddetta Divisione, sono in grado di certificare, e sulla richiesta dell’illustrissimo Generale La Masa certifico quanto segue:
In dette mie due qualità, sia per proprio ufficio, che come Segretario del detto signor Generale vi fu corrispondenza attiva sino al 28 settembre 1860 col Ministero di Napoli, come cogli altri Uffizii superiori, o corrispondenti; e sia dalle lettere del detto Ministero, come dal complesso delle anzidette relazioni, si riconosceva la Divisione La Masa.
Certifico di più che, non potendo io più oltre resistere al cumulo delle due cariche, dietro proposta del detto signor Generale,, il signor Ministro con suo ufficio, ha nominato a mio supplente da Capo di Stato Maggiore, il signor Gentili, Capitano del Genio, specificandolo Capo di Stato Maggiore della Divisione.
Aggiungo inoltre che esonerato io dall’una delle due cariche anzidette, e rimasto Commissario in 4° pendente il tempo che fui comandato a Napoli per servizio del Battaglione di reclutamento, e verso i primi del mese di ottobre mi recai io stesso, d’incarico del signor Generale La Musa, dal signor Ministro in persona per avere il numero progressivo della Divisione La Masa, giacché si trattava allora d’indicare la Divisione con numero e non più con nomi; e che fu il signor Generale Cosenz stesso, allora Ministro, che mi ordinò il numero della 19.
La Divisione fu pure riconosciuta d’allora in poi con tale numero dagli Uffizi, e mi ricordo che come tale era indicata nei quadri affissi all’Intendenza Generale di Guerra, uffizio ch’io frequentava più degli altri, sia per la mia qualità di Commissario, che per quella di Direttore dei Conti della Brigata Corrao accumulatomi più tardi.
Tanto dichiaro in senso della pura verità.
Napoli, 4 febbraio 1861.
Il Commissario di Guerra in 1° della. Divisione
Nicolo’ Lavagnino Maggiore.
Intendenza Generale d’Armata.
Napoli, li 21 settembre 1860.
Al signor Ministro della Guerra Generale Cosenz.
La mia truppa non forma oggi neppure una Brigata, per cui fa parte provvisoriamente della Divisione Tùrr. — Fra pochi giorni formerà una ed anche più Divisioni, secondo il mio grado, e secondo le disposizioni date dal Dittatore e ProDittatore per concentrare sotto il mio comando la forza che si richiede. Come tale se per oggi mi limito a chiedere il purissimo necessario per la mia 1.a Brigata, d’altro lato la avverto che io impianto il mio Stato Maggiore in modo da farlo presto essere utile alla forza che di giorno in giorno va ingrossandosi. Nel giorno 19, ih cui la mia truppa ebbe a sostenere la maggior parte del combattimento, dal lato di Santa Maria, mancò interamente d’ogni soccorso di ambulanza, e non solo si dovettero trasportare dai combattenti i proprii fioriti, ma anche alcuni di altri Corpi, ed io non ebbi a mia disposizione nessun nomo a cavallo, onde recasse gli ordini ai due Battaglioni che combattevano in posizioni differenti, costretto a correre io stesso ora a destra, ora a sinistra. Io sono pronto col mio antico sistema di abnegazione a servire il paese da soldato, qual cosa in queste circostanze è più soddisfacente per un patriota; ma se volete che io comandi, devo pretendere che si provveda la mia truppa di tutto il necessario, cioè di quello che si dà agli altri Corpi dell'Armata Nazionale.
Eccovi l'annotamento degli oggetti che mi abbisognano:
1° N° 40 cappotti per la Compagnia dei Carabinieri, che appena formatasi la Divisione, passerà al Corpo di Guide del mio Stato Maggiore;.
2° N° 40 paia di scarpe ed altrettanti gambali per i medesimi;
3° N°. 6 mule per l’ambulanza;
4° N° 49 cavalli se vogliono fino d’oggi dare un Corpo di Guide al mio Stato Maggiore, mentre in un’armata, dove non esiste ancora cavalleria, mi sembra indispensabile ché vi sia almeno un numero sufficiente di Guide che ne faccia le veci;
5° I fondi necessari per il mantenimento della truppa, e per l’entrata in Campagna degli uffiziali del mio Stato Maggiore.
Il Generale Comandante la Divisione
G. La Masa
Napoli, 21 settembre 1860.
S’acclude copia della Situazione.
All’Intendenza Acerbi che dia gli oggetti richiesti.
Domani si manderà il regolare ordinativo.
Il Ministro Cosenz.
Al Comandante Missori che dia quei numero di cavalli di cui può disporre. Domani si manderò l’ordinamento in regola.
21 settembre 1860.
Ministro Cosenz.
Per copia conforme:
Pel Commissario di Guerra
Il Sottotenente Giuseppe Ricciardi.
(Vi è il bollo dell'Intendente militare).
Eboli, 7 settembre 1860.
Signore,
Mi do l’onore defogliarle copia del dispaccio telegrafico comunicatomi al momento e per staffetta.
Il Cap. Comand. la 1.a Compagnia
D. Romeo.
Eboli, 7 settembre 1860.
N° 182.
Il Dittatore al Capo della Guardia Nazionale in Eboli.
Spedisca subito con staffetta al Generale La Masa in S. Lorenzo di Padula il seguente telegramma:
«Generale, io sono in Salerno; procurate di raggiungermi al «più presto possibile».
Salerno 7, ore 6.
L’Ufficiale telegrafico
Lorenzo Guerra.
Divisione La Masa — Brigata — N° — Oggetto.
Dagli avamposti di St. Angelo,6 ottobre 1860.
Il signor Arcadi Avvocato è autorizzato a sopraintendere la reclutazione che si fa in Sicilia col mio nome e dietro volere del Dittatore. Egli mi avviserà di tutto quanto ha rapporto colla medesima e chiederà al Governo tutti i mezzi necessari all’effettuazione di quanto egli viene incombenzato.
G. La Masa.
Al signor Arcadi Avvocato
Presidente del Tribunale Divisionale.
Visto: G. Garibaldi.
Il Signor Intendente provveda i mezzi d'imbarco del suddetto individuo.
Napoli, 15 ottobre 1860.
Il Direttore del Ministero di Guerra.
Livio Zambeccari.
Visto a partire.
Napoli,15 ottobre 1860.
Ufficiale superiore di servizio
Michele Torrentino Maggiore.
Napoli, 18 settembre 1860.
Il Generale La Masa è autorizzato a reclutare soldati fra gli individui (specialmente Siciliani) i quali appartennero all’Esercito Borbonico.
Il Prodittatore
G. Sirtori.
Il Generale La Masa al Colonnello Bentivenga.
L’avverto che il Generale Dittatore mi diede ordine di aggregare la sua truppa al mio Corpo. Promuova la celere spedizione di essa presso lo Stato Maggiore Generale per Santa Maria di Capua, dove mi trovo.
Generale La Masa.
Il Generale La Masa
al Capo di Stato Maggiore Generale.
La prego di far celeremente eseguire al Colonnello Bentivenga l’ordine dato dal Generale Dittatore di aggregare il suo Corpo sotto il mio Comando — come pure gli altri Comandanti dei Battaglioni siciliani che arrivano — come Firmaturi, Caruso, Bentivenga, Interdonato, La Porta, Margiano.
S. Maria di Capua, 22 settembre 1870.
Generale La Masa.
S. Maria di Capua,25 settembre 1860.
Illustre Generale,
Vi prego di autorizzarmi a reclutare in Sicilia, e di ordinare al Ministro della Guerra signor Fabrizii che quante volte non sono necessarii i Battaglioni La Porta, Bentivenga, Bentivegna, Caruso, Ilardi, Fazio, Corrao, Botta li faccia al più presto trasportare in Napoli, per metterli sotto ai miei ordini, secondo fu vostro pensiero ed ardine.
Mi dicono che è arrivato in Napoli il marchese Firmaturi col suo Battaglione. Se è vero, vi prego di ordinare che si aggreghi al mio Corpo — che attualmente non consiste che di tre incompleti Battaglioni.
Pronto sempre ai vostri ordini.
G. La Masa.
Allegato P. V. Docum. IL
Sant’Angelo, li 19 ottobre 1860.
Illustre Dittatore,
Da più tempo mi sono accorto che di me e della mia gente si vuole per calcolo la vita, o il disonore. Ho voluto finora soffrire tutto, per conoscere:
1° Finora che punto arriva l’impudenza di taluni.
2° Per riprovare a chi non vuole riconoscerlo, che il mio valore e il mio amor patrio e della mia gente, sono superiori a qualunque prova.
Lo dice il giorno 1° ottobre che ove i mezzi più necessari mancarono, il mio Comando e tutti i miei supplirono. E ciò, o ve lo hanno nascosto, o calunniato.
E circa un mese che siamo agli avamposti, ed un giorno solo di riposo per la mia gente si nega oggi a chi, dietro rapporto dello stato deplorabile della truppa, lo chiede. E intanto le malattie e la prostrazione di forze dei soldati, sempre più si accrescono, e i rapporti dei Comandanti di Battaglione sempre più insistenti proseguono.
In questi tre giorni, oltre del primo destinato al servizio. di avamposti, ho avuto tutta la forza occupata di notte e di giorno, volontariamente, al servizio dei lavori delle barricate.
Non è la rovina fisica che mi addolora, e che mi spinge a questo reclamo, ma il pericolo morale in faccia al nemico, in cui si mette una truppa stanca, ammalata troppo giovine, e non ancora bene organizzata (per mancanza di tempo e di riposo) nell’impossibilità di sostenere un forte attacco.
Vi sono alcune brigate che due volte sono state rilevate dagli avamposti, e nessuna di tutte le altre ha servito in essi, più della metà dei miei. Cerne si trova tempo per Heber e compagni, è dovere che si trovi anche pe’ miei soldati, per il più stretto e necessario riposo.
Costretto oggi a fare appello alla giustizia dell’uomo, per cui soltanto ho sofferto le misere persecuzioni (perché in lui ho visto il propugnatore della causa del popolo italiano), unisco in questo reclamo le mie franche lagnanze su cose che hanno rapporto radicale con la pria posizione, che si lega in parte con quella del popolo siciliano.
Ho detto verbalmente al Dittatore, ed ora in questo rapporto, ripeto, che io non posso servire il paese che in due maniere: o da semplice soldato, o colle intere funzioni competenti al mio grado effettivo. Io non fui mai vanitoso di gradi, perché sempre, sebbene indarno, li ho rifiutati: ma ora, che vedo che l’ambizione ed il calcolo di taluno sono diretti a degradarmi, e calunniarmi, mentre altri si elevano di fatto; — ora chiedo rispetto al mio diritto legale, che mi danno il Parlamento di una rivoluzione da me capitanata nel 1848, — i Decreti Dittatoriali di questa nuova, rivoluzione da voi si gloriosamente condotta — ed i vostri ordini.
Voi che conoscete la parte che io ho sostenuta nella nostra sublime impresa, potete mettere fine alle mene de’ miei nemici.
Prove di abnegazione ne ho date d’ogni sorta al mio paese, e ne darò sempre; ma il proprio legittimo diritto e l’onore, quando altri vogliono estinguerli colle mal’arti, è dovere di cittadino, di uomo onesto il sostenerli ad ogni costo.
Firm. G. La Masa.
Napoli, 13 novembre 1860.
Pregiatissimo Signor Direttore,
La prego d’inserire nel suo giornale il mio Appello ai Siciliani pubblicato il giorno 36 ottobre, dietro il quale ricevo giornalmente soddisfacenti e numerose dichiarazioni.
È ora, che sappia il pubblico anche pria che il Consiglio di disciplina giudichi sulla mia condotta militare, e smascheri le schifose e stupide calunnie, è ora che sappia come i miei nemici oltre di essere calunniatori, sono pure vili, perché chiamati in tutti i modi da me a scoprirsi non hanno mai tralasciato il loro miserabile costume di mentire e rimanere nascosti.
Spero che tutti gli onesti uomini mi aiuteranno, a smascherare e combattere questi speculatori politici e militari che tentano di abbassare la fama di coloro che vedono potente ostacolo ai loro tenebrosi disegni fatali alta moralità cittadina, ed alla unificazione italiana. La ringrazio infinitamente della cortesia.
Di Lei Obbligatissimo
G. La Masa.
(Estratto dal giornale R Nazionale di Napoli, N. 92).
Una trama infernale fu contro di me organizzata sin dalla prima spedizione in Sicilia., Io aveva fatti troppo chiari e potenti né era tempo di tur bare con questioni individuali l’armonia necessaria alla guerra; perciò tacqui e disprezzai gl’intrighi, seguendo il principio a cui tutte le azioni della mia vita s'informarono «che il patriota deve. sagrificare la propria personalità al bene della causa».
Ma ora l’infamia dei miei occulti avversari giunse a far credere al Dittatore che io svenni in Calatafimi (lto attiva nel combattimento, al quale però assistei dal principio alla fine. ) alla vista del nemico, e che lo fuggo per abitudine.
Chiesi per questo la mia dimissione ed un Consiglio d'inchiesta, che finalmente, dopo quindici giorni d’insistenza, ottenni per scoprire i vili calunniatori. Essi, che sono gesuiti, lavorano nelle tenebre e nel mistero, ed io, che non lo sono, e che ho la coscienza di me stesso, voglio invece la chiara luce del sole.
È perciò, che oggi q voi mi rivolgo con alcune domande, a cui vi prego pubblicamente e schiettamente rispondere.
Chi vedeste primo comparire fra voi, dopo lo sbarco in Marsala, talvolta accompagnato da uno, due e talvolta sette () Siciliani armati a chiamarvi di nuovo all’insurrezione, costituire i governi provvisorii, e disarmando le guardie urbane, armare e concentrare gl’insorti?
Chi vi condusse, vi riunì e formò un campo formidabile sulle montagne di Gibilrossa, a quattro miglia alla destra di Palermo, mentre il corpo della Spedizione con Garibaldi trovavasi ancora distante quaranta miglia alla sinistra?
Chi, coi sparsi fuochi e colle organizzate linee di avamposti sino a due miglia dalla capitale, sgomentò l’armata regia?
Chi scelse, nell’incertezza del Comando generale, l’attacco sopra Palermo, e assunse la responsabilità della riuscita anziché la ritirata sopra Castrogiovanni (più di cento miglia distante da Palermo) quando insistentemente e reiteratamente da me pregato il Dittatore di non far proseguire più oltre la ritirata dopo il fatto del Parco, e di appoggiarsi invece sul mio campo (composto solamente di picciotti) venne con circa Seicento armati in Gibilrossa?
Chi vi guidò in Palermo? e vedeste slanciarsi primo alla testa di pochi uomini sui ponti di Testa e dell’Ammiraglio, e combattendo accanitamente fugare dalla strada i borbonici?
Chi avete veduto primo anzi solo () senza armati, percorrere le principali vie di Palermo per riconoscere le posizioni del nemico, e far aprire la breccia all’ospedale che dà nella piazza nel palazzo Reale ove le truppe Borboniche si erano in gran mimerò concentrate? ()
Chi fu presente e diresse quasi tutti i combattimenti della Capitale fino alla completa liberazione di essa, in uno dei quali fu ferito il nostro bravo Carini?
Municipii e Comitati rivoluzionari di Salemi, Calatafimi, Partanna, Santa Ninfa, Castelvetrano, Provincia di Palermo, di Trapani, di Catania di Girgenti, ecc., ecc.
Chi vi annunziò l’arrivo del generale Garibaldi, ve ne propose la Dittatura, e vi scongiurò di star saldi nel vostro programma col quale insorgeste fin dall’aprile «Italia una sotto il Regno Costituzionale di Vittorio Emanuele II?»
Avreste mai immaginato che all’uomo, che con un pugno di armati sostenne la sfida del 12 gennaio 1848 — che, per dedicarsi tutto ai combattimenti delle ventiquattro giornate, chiamò al suo posto di Presidente ed al governo della vincente rivoluzione il venerando Ruggiero Settimo ed i più cospicui cittadini di Palermo che, rimasto solo nel giorno 16 gennaio, quando i Regii, rin forzati da un disbarco di settemila uomini comandati dal Generale Desauget, ci assalivano nuovamente, rianimò, e spinse alla battaglia i cittadini (al dire di uno storico «scamiciato… ()» che con duecento uomini in campagna aperta (a Soltanto dodici miglia distante dalla Capitale) corse di notte alle spalle dell’armata Borbonica, forte di circa quattordici mila uomini, le tagliò la ritirata su Termini, e la costrinse a fuggire per Napoli sulla regia flottiglia uccidendo settecento cavalli — che con altri duecento uomini in Messina assaliva dodici mila Borbonici, che tentavano invadere la città, ed al dire di due Autorità a combatteva e vinceva ()» rinculò valorosamente il nemico a due miglia dalla città ()» che i rappresentanti della Sicilia elessero per acclamazione Capo dello Stato Maggiore Generale — avreste mai immaginato che a quest’uomo si potesse dare la taccia che svenga o fugga alla vista del nemico?
Siciliani! rispondete francamente — ché è ormai tempo di luce e di giustizia! — Finalmente l’Europa conosca la parte che ebbero i Siciliani nella patria redenzione, così nell’insorgere soli coi prodi Sant’Anna e gli altri Capi che ha registrati l’istoria, come nel riprendere, all’annunzio d’un disbarco, solleciti quelle armi, che per un istante posavano, ma non deponevano.
Che essa conosca la parte gloriosa che i Siciliani ebbero pure nella campagna del Continente Napolitano, sebbene per cura dei tristi nascosta e travisata.
Siciliani! Io alzai la voce a rivendicare il vostro onore calpestato; chieggo ora a voi reciprocanza e verità. La vostra parola ed il Consiglio di guerra svelino finalmente a Garibaldi i suoi veri amici, cioè gli amici della patria e gl’ipocriti che a danno di lui e della nazione guadagnarono la sua fiducia.
Ch’egli se ne liberi una volta! f onde non rimanga un desiderio ma si effettui la rigenerazione morale d’Italia, l’unione dei popoli cui e£li ha consacrato la vita — e s’impedisca che ripulluli fra noi il seme della divisione e. dell’odio.
G. La Masa.
Vedi l'Indipendente, N° 34; il Nazionale, N° 92;e la Bandiera Italiana, N° 93).
Sig. Generale,
So che il Generale Garibaldi ha pubblicato un ordine del giorno per tutta l’armata, ove che non si parli di lei, non mi fa meraviglia. ma quel che mi sorprende è che si tace assolutamente del Corpo, e di chi nel Corpo meritava distinzione.
Io quindi vivamente la interesso ad affrettare il Consiglio d’inchiesta sul di lei riguardo onde Venire in pubblicità i fatti del 19 settembre e 1° ottobre.
Generale, affretto questo, ch’è il mio più ardente desiderio, e quello di tutto questo Corpo provvisoriamente sottoposto al mio comando. Accolga i miei doverosi riguardi, e quelli di tutti questi uffiziali e presenti i miei riguardi alla signora Contessa, mentre ho l’onore di sottoscrivermi,
S. Prisco,3 novembre 1860.
Dev. m0 Servo L. La Porta.
Al Sig. Generale La Masa
Napoli.
A richiesta dei signori Colonnello Alfonso Scalia, e Marchese fiume di Nisi, dichiaro che pubblicando nel N.° 18 luglio della Libera Parola un articolo bibliografico comunicato, non ho mai ammesso il dubbio che quanto in esso siasi potuto scrivere a rapporto del suo libro I Siciliani e La Masa possa essere in alcun modo pregiudicievole all’onoratezza del medesimo signor La Masa, e come soldato e come individuo che ho sempre stimato e stimo come un distinto gentiluomo e prode soldato.
Firmato — C. Baroni
Direttore della Libera Parola.
(V. Aggiunta al libro I Siciliani e La Masa, pag. 205).
Torino, 22 luglio 1861.
Gent.mo Sig. Colonnello!
Avendo letto un articolo nel giornale La Libera Parola N.° 195, ove fra le tante assurde calunnie havvene una equivoca che sembra abbia scopo di volersi pure, come le altre, contro di me dirigere, e nella quale voi siete nominato — desidero sapere se vi avete avuto parte, e qual giudizio ne portate.
Sicuro che la vostra risposta sarà informata di quel carattere di verità che distingue in voi il cittadino italiano e l'onorato Uffiziale, ho il bene di segnarmi.
Vostro Dev. mo servo,
G. La Masa.
Al Gent.mo Signore
Sig. Tenente Colonnello Bassini
(V. Aggiunta al libro or detto, pag. 206, 207).
Mondovì,6 agosto 1861.
Preg. Sig. Generale
Come ebbi gii a declinare ai comuni nostri amici ogni ingerenza neirarticolo pubblicato della Libera Parola N. 195, cosi non esito assicurarvi che vi fui pienamente estraneo.
11 mio carattere mi rende alieno da qualsiasi disgustosa polemica, tanto più quanto trattasi come in questo caso d’un illustre patriota e d'uno strenuo soldato nelle battaglie della libertà ed indipendenza patria.
Accogliete i sensi della mio alta stima e considerazione, e credetemi sempre
Vosro Dev. mo servo
A. Bassini Tenente-Colonn.
Al Preg.mo Sig. Generale La Masa.
Torino,15 luglio 1861.
Eccellenza,
Ho l’onore di rimetterle copia dell’informativa che diressi or sono quasi due mesi a S. E. il Ministro della Guerra Generale Fanti cogli allegati relativi in risposta alle informazioni del Generale Sirtori alla Commissione di Scrutinio.
Prego V. E. di leggerla attentamente Ella stessa richiamando presso di sé anche quelli allegati senza di cui è impossibile possa avere idea positiva della cosa per rendere’ giustizia al mio reclamo. Unisco altri documenti dei Generale Cosenz agli allegati I e K, e prego la di lei cortesia a volere leggere anche i rapporti anteriori che diressi al General Fanti Ministro, in cui chiedeva l'effettuazione di quel Consiglio (sia d'inchiesta, sia di disciplina) accordatomi ed ordinato per ben tre volte da V. E. onde mi fosse data la dovuta riparazione.
Ove V. E. abbia di bisogno di informazioni sulla mia vertenza potrebbe rivolgersi a S. E. il Generale Della Rocca, il quale la conosce perfettamente. Il Ministro Fanti la chiese al Generale Sirtori, e con ciò agi illegalmente. Illegalmente perché un Generale non dipende dalla Commissione di Scrutinio per nulla a senso del Decreto del Re; con poca equità e saggezza, perché al Generale Fanti io aveva replicate volte detto e scritto (ed egli ne avea avute anche prove) che il mio accanito avversario — nell'Armata Meridionale era il Generale Sirtori, e quindi saviezza ed imparzialità valevano ch’egli ad altrui di me chiedesse, ove i documenti non fossero sufficienti ad illuminarlo.
Rimetto pure a V. E. copia di alcune lettere fra cui una di Garibaldi, la quale spiega chiaro e solenne il motivo delle persecuzioni di cui fui bersaglio, e delle basse calunnie che furono nel mistero inventate e diffuse contro di me allo scopo di diminuire la mia popolarità ed influenza in Sicilia e la stima che Garibaldi avea di me.
Finalmente prego V. E. a riflettere cosa debba pensare un uomo che ha la coscienza, che nell’onestà ei può essere uguagliato ma non superato da chicchessia— che di patriottismo positivo ed efficace ha date prove non dubbie e singolari al suo paese — cosa debba pensare di un governo regolare e nazionale che lo dimentica — lo stangheggia con cavilli e per poco non lo perseguita altrettanto quanto lo perseguitò il Sirtori?
La mia coscienza sente il bisogno di aver non solo diritto alla giustizia, ma ai riguardi ed alla riconoscenza di un governo che rappresenti veracemente la Nazione — ed invece io mi veggo da quasi nove mesi tenuto in una posizione irregolare ed umiliante. — Nè per me si potrà dire ch’io non posso essere Generale d’Armata perché non comandai un Corpo d’Armata in guerra, dappoiché io lo comandai in guerra più ancora che in pace.
Mi permetto un’ultima preghiera a V. E. cioè ch’Ella si compiaccia di ordinare che almeno mi si dia subito un acconto sui miei viveri.
Dalla spedizione di Marsala in poi io non ebbi che un acconto dal Governo Dittatoriale sulle mie competenze anteriori al 48 di ottobre. In quell’epoca io mi dimisi dal Comando fino a che s’effettuasse il Consiglio di Disciplina che io aveva richiesto e che il Generale Sirtori attraversò in ogni modo, e di ciò fu preso pretesto a non più pagarmi. Più tardi il Generale della Rocca, Comandante in Napoli, fece regolarizzare la mia posizione e rimettermi sui ruoli, da dove il Generale Sirtori mi aveva indebitamente cancellato, dapoiché la mia dimissione erasi accettata del Comando e non dell’Esercito, ed allora ebbi un acconto sul semplice mese di febbraio, perché un'ordinanza vietava di pagare a nessuno gli arretrati.
Dietro ad ulteriore mia richiesta il Ministro in data 7 maggio mi diceva che le competenze e gli arretrati mi sarebbero pagate tosto che fosse in modo diffìnitivo stabilito il mio grado — ed io in buon grado attesi credendo che questo riconoscimento di grado a me (cioè a colui, lo dico senza esitare, che ne ha il maggior? diritto sotto ad ogni rapporto) non sarebbe stata cosa tanto difficile e lunga. Ma giorni e mesi passarono— ed io mi trovo costretto a palesare schiettamente a V. E. che ho positivo ed urgentissimo bisogno d'incassare almen un acconto sui miei averi.
Dalla partenza colla spedizione di Marsala in poi la causa nazionale mi è costata più di 20,000 franchi, né questo io calcolerei se le mie sostanze non fossero già state, come è notorio a tutta la Sicilia, immolate all'altare della Patria.
Non è né giusto né morale che un Governo tenga gl’individui per tanto tempo in posizioni irregolari e fatali ai loro interessi chi è capo di famiglia ha il diritto di pretendere che per dei capricci, o trascuranza, o freddezza, non gli vengono ritardati quegli introiti che sono il mantenimento della famiglia, senza i quali penetra in essa il disordine e la desolazione.
Tranquillo nella rettitudine dell'E. V. non dubito di un sollecita provvedimento a tutto quanto ho esposto. Ho Tortore di protestare a V. E la distinta mia stima ed alta considerazione.
Torino,15 luglio 1861.
Generale G. La Masa, Deputato.
Generale Della Rovere
Torino, 16 ottobre 1861.
Eccellenza,
Nel giorno 10 ottobre 1860 per alcune parole ingiuste, e non soffribili da qualsiasi onorato soldato, profferite a mio carico dal Dittatore Generale Garibaldi, chiesi un Consiglio d’inchiesta e la mia dimissione. Il giorno 12,16,18, ripetei la mia istanza per la effettuazione del Consiglio d’inchiesta, e perché mi si dèsse la dovuta riparazione.
Il giorno 18 ricevei il semplice ordine di rimettere il comando della mia truppa al colonnello Corrao senza che si parlasse del Consiglio.
Il giorno 28 ottobre stesso il signor Ministro della Guerra, Generale Cosenz, dietro mie nuove e ripetute istanze ordinò un Consiglio di disciplina al Capo dello Stato Maggiore Generale Sirtori.
Lo scopo di detto Consiglio, secondo le parole dell’Ordinanza ministeriale, è il seguente: l II Consiglio esaminerà i seguenti punti:
1.° Se il Generale La Masa con ordine del giorno 2 ottobre si sia appropriati fatti di guerra ad altri dovuti.
2.° La condotta militare nei fatti d’armi del 19 settembre e ottobre come pure nei «combattimenti di Calatafimi e seguenti fino alla presa di Palermo».
Il Capo dello Stato Maggiore non volle eseguire l’ordinanza ministeriale promettendo al Ministro che mi sarebbe stata data invece amichevole ed ampia riparazione.
Ma né la riparazione mi fu in Napoli data, né il Consiglio fu «fatto.
Inutilmente protestai.
Sopravvenne intanto il Governo del Re ed allora ricorsi al sig. Ministro della Guerra Generale Fanti per l'attuazione del Consiglio di disciplina.
Sirtori metteva innanzi cavilli per evitarlo.
S. M. il Re li distrusse con ordinare che immediatamente si facesse il Consiglio dal Generale La Masa richiesto e che fosse lo stesso rimesso nei ruoli dell’Esercito meridionale, dai quali il Generale Sirtori mi avea arbitrariamente e illegalmente cancellato, mentre il Dittatore non avea accettata la mia demissione dall’Esercito, ma soltanto l’avea accettata relativamente al comando della mia truppa; e diffatti il Ministero della Guerra, col consenso del Dittatore, anche dopo ciò, avea ordinato il Consiglio di disciplina.
Intanto S. M. il Re partì per Torino ed io, non vedendo mai attuarsi il Consiglio suddetto ricorsi al Generale Della Rocca, comandante generale in Napoli, il quale avendo sollecitato il Generale Sirtori ebbe da questo in risposta che egli avea avuto l’ordine dal Generale Fanti e non dal Re, e che non avrebbe mai fatto il Consiglio se non ne avesse avuto l’ordine esclusivamente dal Re perché esso non dipendeva dal Ministero.
Intanto io aveva insistito anche presso il Generale Sirtori perché fosse dato eseguimento all'ordine del Re, e ne aveva la risposta (allegato ()) in cui dichiara di voler rimettere alla Commissione di scrutinio anziché ad un Consiglio di disciplina la mia quistione.
Io comunicai quella risposta al Generale Della Rocca, il quale sullo stesso officio del Sirtori scrisse di proprio pugno una postilla in risposta al Sirtori nella quale dichiara che «non è della competenza della Commissione l’affare del sig. Generale La Masa per due ragioni:
1.° perché la Commissione non tratta degli Uffiziali Generali;
2.° perché la Commissione non può erigersi in Consiglio di guerra, né di disciplina come fu accordato al suddetto Generale».
Allora il Generale Della Rocca ne scrisse a S. M. la quale si degnò di rispondere di proprio pugno al Generale suddetto che ordinasse al Generale Sirtori di convocare tosto il Consiglio già stato ordinato, e che si dèsse al Generale La Masa la dovuta riparazione.
Questa lettera fu consegnata al Della Rocca da S. A. il Principe di Carignano.
Ma neppure questo nuovo ordine reale il Generale Sirtori eseguiva, ed intanto giungeva il Decreto che chiamava in Torino gli Ufficiali dell'Armata meridionale.
Mi recai qui lieto che finalmente questo Ministero avrebbe esso fatto convocare il Consiglio, e mi presentai tosto al Generale Fanti, il quale con mia immensa sorpresa mi rispose che il Generale Sirtori lo uvea assicurato che io non faceva più parte dell’Armata meridionale dai cui ruoli era stato cancellato dietro la dimissione da me data.
Ma io teneva documenti che provavano la verità, fra i quali quello di essere stato pagato in Napoli il mese di febbraio.
Giunse a Torino il Generale Della Rocca, io gli comunicai la pendenza ed egli risposemi:
«dite al Generale Fanti che do la mia parola d’onore che il Generale Sirtori vi ha rimesso nei ruoli da dove vi avea indebitamente cancellato colla propria sua mano ed alla mia presenza».
Il Re intanto per la quarta volta avea ordinato che si spicciasse un affare che ei riteneva fosse già stato finito in Napoli dietro tanti suoi ordini.
Dietro di ciò il Generale Fanti finalmente mi dichiarò di essere pronto a far convocare il Consiglio, e mi chiese i titoli del mio grado onde scegliere i legali giudici.
Li presentai.
Ministro non so perché (mentre gli Uffiziali Generali a tenore del Decreto Reale dipendono direttamente ed esclusivamente dal Ministero) li passò alla Commissione di scrutinio.
Detta Commissione composta allora dei tre Generali piemontesi, ignari di quanto fosse avvenuto nell'Armata meridionale, e di Medici e Cosenz che essendo venuti tardi in Sicilia, non ne conoscevano la prima organizzazione, si riportò intieramente alle informazioni del Generale Sirtori come esso stesso dichiara.
E qui da capo esso fabbricò un altro edificio di falsità. Mise in dubbio che io avessi grado militare effettivo — disse che comandai la Guardia Nazionale di Palermo ed altre cose simili, affatto prive di fondamento e di buon senso.
E ciò fu, ritengo all’unico scopo d’imbarazzare il Ministero onde io non fossi riconosciuto ed onde con questo nuovo espediente ottenere lo stesso scopo d’impedire il Consiglio di Disciplina che con tanti cavilli e per tanti mesi aveva saputo ritardare.
Ed alla peggio per esso ottenere almeno ch’io fossi riconosciuto semplicemente come Maggior Generale anziché col grado che mi compete, e sui decreti generali del Dittatore e per la nomina che individualmente e pel mio dritto di anzianità su tutti i Generali dell'Armata meridionale, mentre io era già riconosciuto dal Dittatore Luogotenente Generale in Gibilrossa, pria di entrare in Palermo, mentre lo stesso Sirtori non era allora che Tenente Colonnello.
Tutto quanto ho ora esposto all’E. V. non è che un succinto dei rapporti da me diretti ai diversi Ministri di Guerra che si sono succeduti, in un continuato attendere di nove mesi sulla mia posizione.
Or sottometto all’E. V. che in questo prolungato rattenersi della Commissione, le carte che mi riguardano, io temo un nuovo tranello del Generale Sirtori, che per le sue antecedenti e tanto replicate prove dà a me il dritto di sospettarlo.
Col giorno 18 corrente si compie l’anno della mia dimissione dal comando; per cui mi rivolgo all’E. V. e colla massima istanza e premura chiedo.
1° Perché si finisca una volta questa quistione, umile per me, irriverente agli ordini del Re e non decorosa pel Ministero.
2° Perché io ne abbia la legittima riparazione e si palesino le mene dei miei nemici di cui fui sì lungamente vittima, onde oltre all’essere rivendicato il mio onore, risulti anche dietro attestato d’un consesso d’imparziali e legali giudici, che io, insieme alle truppe che comandava, abbiamo salvato il Corpo spedizionario dopo il fatto del Parco, risollevato lo spiritose contribuito potentemente alla vittoria in Sicilia — e che nel Napolitano, io personalmente, e non altri, colle truppe che comandai ho salvato Santa Maria, respingendo fin entro Capua i borbonici che già l’avevano alla destra girato, ed erano per entrare in città — e ciò essendo io disposto in riserva e senza altri ordini del Comando Generale, per cui presi sopra di me la responsabilità, e colla mia risoluzione ed energia salvai la posizione la più interessante e difficile sulla quale era rivolta lo scopo principale delle operazioni delle armi nemiche: ciò che decise la giornata del 1° ottobre facendo rinculare in tredici ore per quattro volte il nemico sin dentro Capua, e conquistando quattro cannoni e tre bandiere.
3° Perché l’equità dell’E. V. mi tolga dalla necessità di rivolgermi al Parlamento cui appartengo, per la giustizia negatami finora dal Ministero della Guerra, per aver questi dato ascolto soltanto alle basse insinuazioni di chi io ho dichiarato tante volte ai diversi Ministri essere mio personale nemico, e che ai Ministri stessi ho provato ch’ei tentava d’ingannarli sul mio conto per semplice calcolo d’invidia.
Questo mio reclamo intendo che abbia tutta la forza d’una legale e leale protesta onde io sia garantito da qualsiasi ulteriore sotterfugio, uno dei quali potrebbe essere la prescrizione che le leggi (e lascio un anno) stabiliscono per la convocazione dei Consigli di Disciplina.
Prego in pari tempo V. E. di volere attentamente leggere ella stessa tutto l’incartamento che mi risguarda spedito dal Ministero alla Commissione di Scrutinio, ed altri documenti che a maggiore schiarimento dei fatti io qui le unisco.
Con distinta considerazione, ecc.
G. La Masa.
Torino, PII novembre 1861.
Ill.mo Signore,
Il sottoscritto, or che la S. V. Ill.ma si compiacque di manifestargli la risoluzione presa di convocare una Commissione apposita per esaminare il suo incartamento, si permette di accluderle un riassunto delle ragioni sulle quali prega che si ponga la competente considerazione.
Dichiara pure alla S. V. 111. ma che rimase assai sorpreso nel sentir nuovamente parlare della sua dimissione: e scorgendo egli causa di questo, il non conoscere la S. V. per intero, le circostanze che riguardano tale questione, si affretta ad informarla sommariamente dell’accaduto.
Nelle informative dirette pel passato dallo scrivente al Ministero, troverà la S. V. il perché funzionando egli da Comandante della 19maa Divisione informazione agli avamposti sotto Capua, disdegnato per un fatto strano ivi descritto, chiese al Dittatore la sua dimissione.
Unitamente alla dimissione chiese allo stesso Dittatore un Consiglio d’inchiesta onde venissero smascherati calunnie e calunniatori. Ma invece di avere accordato il Consiglio da esso richiesto, ricevette l’ordine di rassegnare ad altri il comando.
Il sottoscritto non fu mai dimissionato dall'Esercito.
Basta una sola prova a constatarlo, cioè l’Ordinanza ministeriale diretta al Capo dello Stato Maggiore Generale Sirtori dal Ministro Cosenz e dietro approvazione del Dittatore, colla quale fu ordinato un Consiglio di disciplina dieci giorni dopo che era stato dato ordine allo scrivente della rassegna del Comando; Consiglio di disciplina ordinato dietro reclamo del sottoscritto al Ministro e al Dittatore perché gli era stato dato l’ordine di cedere il Comando pria che si ordinasse il Consiglio di disciplina per prima cosa da esso richiesto.
Dunque la posizione era intieramente determinata anche sotto il Governo del Dittatore.
Oltre che n’è bastante prova la ministeriale suddetta, possono,essere sentiti in proposito i Generali Cosenz e Garibaldi e letto l’allegato A in cui si vede che il Generale Sirtori in qualità di Capo di Stato Maggiore non accennava ad altro che alla cessione del Comando in tutti gli offici risguardanti quella circostanza e chiamava sempre La Masa col titolo di Generale, né mai è fatto cenno di dimissione dall'Esercito.
Di più S. M. il Re in Napoli ordinò, col mezzo del Ministro Fanti, al Generale Sirtori che fosse convocato quel Consiglio di disciplina che il Sirtori avea sempre con nuovi pretesti ritardato: e col mezzo del Generale Della Rocca in conseguenza degli ordini suddetti lo scrivente fu rimesso in quei ruoli, dai quali arbitrariamente avealo il Generale Sirtori cancellato.
Su di ciò può sentirsi S. E. il Generale Della Rocca. Vedasi in proposito anche l’allegato Bf il quale prova che il Sirtori dopo non metteva più in campo il pretesto della dimissione, ma invece ne cercava un nuovo per mettere sempre ostacolo alla convocazione del Consiglio, in un motivo di delicatezza inverso Garibaldi, come disse al Generale Della Rocca, per giustificare la sua opposizione all’ordine del Ministro Fanti, manifestando cioè che era lo stesso che mettere in istato di accusa Garibaldi:
lo che non pensò mai il sottoscritto, il quale soltanto voleva l’esame sui fatti che lo riguardavano e lo scoprimento dei calunniatori che aveano per un istante saputo ingannare il Dittatore.
Lo stesso allegato prova anche l’ordine dato dal Governo del Re per la convocazione del Consiglio che il Generale Sirtori non voleva mai fare; e l’illegalità di voler fare dipendere tale quistione dalla Commissione di scrutinio.
Altra prova. — L’Intendenza dell’Armata meridionale per essersi appunto terminata ogni quistione sulla dimissione pagò, dietro ordini superiori, il mese di febbraio allo scrivente, mentre la sospensione del Comando datava già sino dall’ottobre ed esso ebbe pure il regolare foglio di via che presentò al Comando di Piazza in Torino, che ora è presso il Ministero, a cui l’innoltrava nel chiedere i suoi arretrati e le competenze che mai gli furono pagate. Dunque, la quistione sulla dimissione era perfettamente e in tutti i lati decisa fino da Napoli.
Giunto in Torino il sottoscritto, presentatosi al Ministro onde fosse convocato il Consiglio, seppe dallo stesso sig. Ministro che il Generale Sirtori affermava che il La Masa non esisteva nei ruoli dell Armata meridionale e quindi non poteva farsi il Consiglio.
Comunicato ciò dal sottoscritto al Generale Della Rocca, ebbe da questi in risposta «che oltre di essere stato deciso. in Napoli che non era dimissione dall'Esercito la sua, era stato rimesso nei ruoli dal Generali Sirtori di suo proprio pugno e sotto gli occhi del medesimo Generale Della Rocca, e di ciò egli (Generale Della Rocca) ne dava la sua parola d'onore dando facoltà al sottoscritto di ripeterlo a chi di ragione».
Vedendo inutile l’appiglio della dimissione, il Generale Sirtori si volse allora ad un altro e volea far credere al Ministro che il La Masa non avea mai appartenuto all’Esercito meridionale, ma che semplicemente avea comandato la Guardia Nazionale di Palermo con grado onorario!!!
Il Ministro, smaltita per la seconda volta la quistione duella dimissione, decideva di convocare il Consiglio di disciplina e (sono le parole del Generale Fanti) «per eleggerne i membri si dovea cominciare per definire la qualità del grado» por cui chiedeva al sottoscritto i titoli: ed esso li presentò.
Il Ministro allora, malgrado il decreto del Re che non sottoponeva gli Uffiziali Generali alla Commissione di scrutinio e le proteste del sottoscritto, si rivolse alla Commissione suddetta chiedendo il parere sul grado.
Nella ministeriale di cui di nuovo unisco copia sotto l’allegato E, né il Ministro, né la Commissione di scrutinio, né il Generale Sirtori medesimo portano in campo la dimissione dall’Esercito e la cancellatone dai ruoli, perché anzi tale circostanza viene messa nei suo vero aspetto dallo stesso Generale Sirtori chiamandola semplicemente dimissione dal Comando.
Anzi in essa ministeriale si cita, per unico motivo del non pagamento degli arretrati e delle competenze mensili la mancanza di sufficienti titoli che stabiliscono il grado. E tali altri titoli furono posteriormente presentati.
Da questa informativa la S. V. rileverà che da lungo tempo è terminata e decisa anche in Torino la quistione sulla dimissione e che il Sirtori non cesserà mai di mettere innanzi sempre nuovi e strani cavilli a carico dello scrivente onde confondere la mente? al Governo per impedire, che giustizia sia fatta. Ed invero non manca ormai altro che il Generale Sirtori nieghi che il sottoscritto si chiama La Masa!!!
Quindi, dalla conoscenza dei fatti che il sottoscritto espone, V. S. Ill.ma che non vi può più essere quistione sulla dimissione, e che ora il Ministero non dovrà decidere che sulla qualità del grado ed a far convocare il Consiglio di disciplina tanto dallo scrivente richiesto.
Lieto della convocazione di apposita Commissione che aiuti il Ministro alla definizione di quanto sopra, il sottoscritto sottomette pure alla S. V. che la questione trattando del grado di Generale d’Armata che egli ebbe per anzianità, per funzioni sostenute e per nomina dittatoriale, desidera che la Commissione almeno in parte si componga di Generali d’armata, e che specialmente non c’entri veruno di coloro che fecero parte della Commissione di scrutinio per essere essi stati dalle false informazioni come ne diedero prova nell’antecedente risposta al Ministro, contro la quale e di ogni altro parere della Commissione di scrutinio, ha lo scrivente altamente pròtestato e protesta.
Dopo più d’un anno di tergiversazioni, di cavilli messi in campo da un basso spirito personale, il sottoscritto ha ragione di essere stanco e di appellarsi per un’ultima volta alla giustizia del Ministro della Guerra.
A tale quistione di grado è obbligato unicamente dalla considerazione che egli era Luogotenente Generale nel metter piede in Sicilia, mentre i Tenenti Generali d’oggi dell’Armata Meridionale, erano allora al più Tenenti Colonnelli (quelli della prima spedizione), che nessuno di essi può vantare nella guerra servizii militari, positivi, utili più del sottoscritto, il quale fu colui che fra i Comandanti diresse e sostenne il maggior numero di combattimenti e sempre con perfetta riuscita, ed è pronto a darne tutte le prove.
Siccome il sottoscritto non dubita che sia estraneo ad ogni secondo fine il Governo del Re, e che esso non abbia già un partito preso, come i suoi personali nemici, così spera che dopo sì lungo tempo avrà finalmente dal Ministero la ponderata, equa, morale e dovuta giustizia, che non si è stancato mai di chiedere.
Lo scrivente è deciso di ricorrere a tutti i mezzi suggeriti dalla legalità, dall’onore, perché l’impudente ed ostinata persecuzione che tenta combatterlo anche presso il Governo del Re, come lo fece presso quello del Dittatore dell’Italia Meridionale, abbia fine una volta.
Osserva per ultimo che le nomine del Dittatore nei due Quadri, Renna 21 maggio e Palermo 3 giugno, comprendono individui dei quali la maggior parte è già impiegata, e come tale non ha bisogno di nuovi gradi avendone avuto anche maggiori in altri Corpi.
Si riducono quindi a pochissimi gli individui che oggi ancora dipendono dal riconoscimento di quei Quadri, ed essi sono del numero di coloro che ebbero principale parte nel sollevamento delle Provincie Siciliane, prima dello sbarco dei Mille; e quanto più hanno ben meritato della patria, tanto maggiori ingiustizie si sono usate verso di loro.
Dichiara quindi il sottoscritto che sarebbe solenne ingiustizia, per la quale sentirebbesi l’obbligo in qualità di Deputato di rivolgersi al Parlamento (come già dichiarò sino dallo scorso luglio al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale promise in Parlamento che il Ministero avrebbe riparato alle ingiustizie, ove esistessero, delle Commissioni di Scrutinio) se non venissero riconosciute quelle nomine scritte di proprio pugno del Dittatore, e che concernono pochissimi individui, i quali, si ripete, hanno positivamente esposta tra i primi, e. con valore, e con capacità, e con onestà la loro vita al servizio del Paese ed alla formazione del Regno d’Italia.
G. La Masa.
1° Col primo ordine del giorno il Generale Garibaldi riconosceva i gradi anteriori di ciascuno ufficiale della prima spedizione. Eccone le parole: «I gradi più che al privilegio al merito, sono gli stessi già coperti in altri campi di battaglia».
Ora il Generale La Masa era nel 1848 e 1849 Luogotenente Generale, perché era Capo dello Stato Maggiore Generale dell'Armata regolare Siciliana eletto ad acclamazione dal Governo e confermato dal Parlamento; proprietario e funzionante (non semplicemente funzionante) di tale carica la quale portava con sé il grado di Tenente Generale come si vede dalle seguenti parole dell'Organico Siciliano.
«Un Generale di Divisione Capo dello Stato-Maggiore Generale dell’Esercito. — Un Sotto-Capo dello Stato-Maggiore col grado di Comandante di Battaglione, cioè di Colonnello.»
Di più il Capo dello Stato-Maggiore nel medesimo Organico avea pure le seguenti attribuzioni. «Provvisoriamente il Capo dello Stato Maggiore eserciterà le funzioni di Comandante Generale delle Armi.» E Capo dello Stato-Maggiore, principale carica dell’Esercito col grado di Maresciallo di Campo, fu sempre fino alla caduta del Governo di Sicilia, il sottoscritto. Sotto-Capo fu nominato il Colonnello Zaremba (Polacco) e funzionò sempre in tale carica.
E per rischiarare qualche errore si fa anche la seguente osservazione; nell’Organico pure si legge: «Un Ispettore di Cavalleria con grado di Comandante di Battaglione.» E questo era là carica ed il grado, che avea nel 1848 — l’ora Maggior Generale Carini.
Anzi perché si conosca viemmeglio quella organizzazione, si trascrivono i gradi, superiori.
Gradi
Generale di Divisione Generale di Brigata Comandante di Batt. Com. in 2.° di Batt. |
Assimilazione
Maresciallo di Campo Brigadiere Colonnello Maggiore |
Corrispondono in Piemonte
Tenente Generale Maggiore Generale Colonnello Magg. ora Ten. Colonn. |
Il Generale La Masa nella carica di Capo di Stato-Maggiore funzionò sempre, come si disse, meno per due brevi spazii interrotti — in tempi di armistizio — e per missione del Governo di altissima importanza all’Estero; cioè la prima volta per condurre la Legione sicula nell’alta Italia e combattere contro l’Austriaco, e ciò dietro mozione fatta in Parlamento dal medesimo Generale La Masa; (ritornato da quella Campagna, dove fu nominato, dal Governo di Venezia, Presidente del Consiglio militare di tutti i Volontari stanziati nel Veneto, riprese l’esercizio delle funzioni della propria carica); la seconda, dietro sua domanda, per essere spedito in qualità d'inviato Straordinario al Governo di Roma, per trattare la Lega offensiva e difensiva tra i due Stati, ed una spedizione sopra Napoli. Questa seconda volta fu supplito provvisoriamente nella sua assenza dal Generale Mieroslawski (Polacco) come vedesi nell’incasamento ().
Si riassume quindi: il Generale La Masa sin dai porre piede in Sicilia avea il grado di Luogotenente Generale e ne fanno prova le lettere di Garibaldi, e le nomine fatte in Renna, il 21 maggio 1860, nelle ultime quali il Dittatore dà la nomina di Tenente Colonnello al Capo dello Stato-Maggiore del Generale La Masa, mentre gli altri Comandanti (ora Tenenti Generali) erano al più. allora Tenenti Colonnelli.
È in vero curioso che mentre tanti hanno fatto salti e voli nell’Armata meridionale, al solo La Masa venga, non soltanto contrastato un solo grado di avanzamento, ma si pretenda perfino di farlo retrocedere nei gradi, che torna le stesso che degradarlo! 2° La Masa in Gibilrossa organizzò il secondo Corpo d'Armata, o, per meglio dire ne incominciò la formazione coll’autorizzazione del Dittatore, l’organizzò, e lo comandò nella battaglia dell’entrata nella capitale.
Appena entrato in Palermo esso ebbe la nomina effettiva; del grado di Generale d’Armata (di cui avea prima esercitato le funzioni) nel Quadro del Corpo d’Armata Cacciatori dell’Etna e Guerriglie Siciliane che comprendeva tutta la forza attiva Siciliana, la quale meno ottocento uomini circa rimasti dal Corpo Spedizionario, era allora la forza totale dell'Esercito meridionale.
Le parole scritte di proprio pugno dal Dittatore nel Quadro suddette sono abbastanza esplicite, e definiscono nettamente il suo grado «Agli individui nominati nel suddetto Quadro si diano i gradi corrispondenti alle funzioni, cui furono destinati.»
Questa nomina Dittatoriale ha Io stesso valore di un Brevetto. Ke si dica che il Generale La Masa non funzionò come Comandante di detto Corpo e che sia rimasto in carta quel comando, come falsamente disse il Generale Sirtori, dapoiché invece la parte principalissima della Campagna di Palermo fu sostenuta da quel Corpo sotto il comanda di La Masa fino alla totale liberazione della capitale.
I Battaglioni dei Cacciatori dell’Etna che si formarono sotto il comando di La Masa furono (dopo la di lui partenza dalla Sicilia per la missione all'Estero da esso chiesta e conferitagli coi pieni poteri) incorporati nelle prime tre Divisioni di cui formarono la maggior parte. A schiarimento di quanto si dice in riassunto si leggano i dettagli e gli Allegati esistenti già presso il Ministero.
Al ritorno di La Masa, dalla missione all’Estero, fu decretato dal Dittatore di «concentrare sotto il Comando del Generale La Masa tutti i Corpi Siciliani» erano: i Reggimenti Corrao, La Porta, Fardella, Palizzolo, Bentivenga, Fuxa, Pagano, ed i Battaglioni Bentivegna, Campo, Rotolo, Firmaturi, Caruso, Interdonato, Paterniti, Botta, Marsiano, e quanti altri venissero nel continente dietro la sempre sperata capitolazione di Messina, come ne era stata scritta lista tra il Dittatore e La Masa.
Il Decreto che porta le precise parole sopra lineate fu consegnato dal La Masa, per ordine del Dittatore, al Sirtori di mano in mano. Con esso il Dittatore ricostituiva e ridava a La Masa quel comando ch’egli aveva in Sicilia.
Ma il Capo dello Stato-Maggiore Generale Sirtori trasgredì all'ordine Dittatoriale, ed invece di riunire tutti i Corpi Siciliani che erano nel Continente e quelli chiamati appositamente da Sicilia sotto il comando di La Masa (testimonio anche il Ministro Piola) non gliene diede che due coi quali fu formata la prima Brigata della 19ma Divisione.
3° Nella Campagna del Napolitano se per le tergiversazioni del Capo dello Stato-Maggiore che sempre promise e mai gli diede i Corpi ordinati dal Dittatore, il La Masa non potè funzionare nel comando di un Corpo d’Armata; questo però non potea pregiudicare per nulla al suo grado effettivo avuto antecedentemente.
Esso funzionò nel continente da Comandante di Divisione: quale Divisione però pei motivi sopraccennati non rimase che in formazione. Coi Corpi La Porta e Corrao ne avea formali i Quadri e li avea rimessi al Ministero. Avea il suo Stato-Maggiore formato al pari delle altre Divisioni, ed esisteva da se.
Tale Divisione avea avuto dal Ministero il N.° 19, e di fatti sulla porta del Gabinetto del Ministro ad indicazione delle varie Divisioni, e dei Comandanti di esse stava un cartello in cui si leggeva insieme alle altre «19ma Divisione La Masa».
Tutti gli offici ministeriali e delle altre autorità venivano al sottoscritto indirizzati come a Comandante di Divisione. (Vedansi gli Allegati nell’incartamento).
E ciò in risposta all’asserzione del Generale Sirtori che disse che scrivente era Comandante di Brigata. Negli Uffici poi che il Generale La Masa spediva al Ministero si vedrà che ei ricordava sempre le competenze del suo comando, dicendo in uno, fra gli altri. che egli impiantava il suo Stato-Maggiore capace al comando di «una ed anche più Divisioni secondo il suo grado e secondo le disposizioni date dal Dittatore» e come tale «se per oggi mi limito a chiedere il purissimo necessario per la mia prima Brigata, d'altro lato l’avverto che io impianto il mio Stato-Maggiore in modo che possa presto essere utile alla forza che di giorno in giorno va ingrossandosi.
Di fatti i Corpi che Garibaldi avea destinati di concentrarsi sótto comando di La Masa potevano formare almeno tre Divisioni della forza delle altre, oltre a quelli che potevano venire da Sicilia dopo la presa della Cittadella di Messina, e per le recitazioni, alle quali era lo scrivente stato dal Dittatore autorizzato in Napoli e Sicilia, (Allegato B). Il Ministro ordinò in conformità (V. Allegati).
La Masa entrò in Sicilia colla prima spedizione col grado di Tenente Generale; come tale fu riconosciuto dal Dittatore anche colle nomine di Renna 21 maggio in cui officialmente riconoscendolo Generale, non poteva riconoscerlo che nel grado che il La Masa possedeva fin dal 1848 cioè di Tenente Generale. In Gibilrossa egli comandò il secondo Corpo d’Armata in formazione, e cosi pure nella battaglia dell’entrata in Palermo.
Il 3 giugno in Palermo fu nominato Comandante Generale EFFETTIVO di un Corpo d'Armata cioè Generale d’Armata.
In Napoli gli fu ridato il comando medesimo.
Per ritardi frapposti dal Sirtori non si concentrò mai il Corpo di suo comando.
La Masa per non perder tempo in quei momenti preziosi, ed essere tosto utile alla guerra andò primo d'ogni altro agli avamposti cominciando a comandare i soli due Corpi che il Sirtori gli diede, e coi quali formò da principio la Prima Brigata della 19“ Divisione Se non funzionò nel Napoletano da Comandante di Corpo d'Armata, funzionò da Comandante della 19Ba Divisione.
Il sottoscritto non dubita punto che verranno maturatamente ponderate queste sue ragioni, oltre delle altre tutte che risultano nell'incartamento esistente presso il Ministero, e che sotto il Governo del Re non continueranno le persecuzioni ed i cavilli messi in campo dall’invidia e dall’intrigo, che cercarono in ogni modo di svisare la posizione dello scrivente.
Qui SI TRATTA DEI DRITTI CHE HA LA MASA IN FACCIA AL CORPO DEI VOLONTARI.
Quanto alla pratica ed alla teorica lo scrivente osserva che nel 1848-49 fu egli non solo il Capo di un Armata regolare, ma ne ebbe anche le più difficili funzioni siccome Capo dello Stato-Maggiore, in cui comandò e vinse la prima Campagna di Sicilia, la quale durò più di un mese in continui combattimenti contro oltre ventimila uomini dell'Esercito regolare Borbonico. In oltre ebbe parte assai decorosa nella guerra contro gli Austriaci nel Veneto, e nella Campagna di Messina.
Dopo i fatti del 1848 che lo riguardano e che lo scrivente (ora che si tenta in ogni modo di oscurare il suo passato ed il presente) è costretto a dichiarare e soste. nere più unici che singolari, passiamo ad accennare quelli del 1860.
Parte principale esso si ebbe nella spedizione per essere stato colui che ne garantì l’esito a Garibaldi e lo fece risolvere, e che spinse ed ottenne dal Conte di Cavour il consenso a che si facesse una spedizione. Che distolto da tale impresa il Generale Garibaldi da taluno che lo avvicinava, e particolarmente negli ultimi giorni, fu il La Masa chiesto dai Volontari a supplire Garibaldi; e La Masa si era già dichiarato pronto alla partenza.
In Sicilia fu desso che organizzò i Governi nelle Provincie, armò ed organizzò gli insorgenti, e tutto questo fece staccandosi (col consenso di Garibaldi) dal Corpo Spedizionario e seguito in sulle prime da soli cinque o sei Siciliani armati, fra cui il Colonnello Puxa, traversò gran parte della Sicilia che era intieramente occupata dai Borbonici e percorsa da colonne mobili, compagni d’arme, guardie urbane e birri. Egli preparò il terreno al Corpo Spedìzionario; scelse come punto strategico e base di operazione sopra Palermo la montagna di Gibilrossa a quattro miglia dalla Capitale Stendendo i suoi Avamposti fino a circa due miglia, e colà concentrò in quattro giorni tutti gli armati di quella parte dell’isola, cioè più della metà di essa, e l’ostinarsi a tenere quella posizione salvò da certa perdita il Corpo Spedizionario. — Egli pure rimise dopo il fatto del Parco in linea regolare strategica l'Armata del Dittatore lo che produsse la completa vittoria. — Fu per ripetuto con sigillo di La Masa che Garibaldi ripiegò da Marineo su Gibilrossa, e sorprese il nemico unitamente al Corpo comandato da La Masa che formò la prima Colonna d'attacco, ed ottenne la vittoria di Palermo, invece di proseguire la ritirata fino a Castrogiovanni come consigliava il Capo dello Stato-Maggiore Sirtori.
La commissione che certo sarà composta di militari istruiti ed esperti saprà ben considerare il valore di questa circostanza. Il dettaglio di tale fatto si legge nelle antecendenti informative e nel libro di Documenti che si unisce, da pagina XXV a pag. LX.
Il sottoscritto combatté e diresse quasi tutti i fatti d’armi della Capitale, e fu col suo Corpo d’Armata che sostenne tutta la linea di difesa interna ed anche alle spalle del nemico.
Nella Campagna del Napolitano ebbe parte attivissima al servizio degli avamposti sotto Capua, e sostenne una parte brillante nelle due giornate del 19 settembre e 1° ottobre. Anzi il sottoscritto è pronto a provare nel Consiglio di Disciplina che aspetta, che fu per esso che non fu perduta Santa Maria sin dal primo assalto del nemico. In quella giornata egli alla testa di coloro che comandava, prese quattro cannoni, tre bandiere, cavalli, eco. Non perdette mai terreno, e ricacciò per tre volte (in tredici ore di combattimento) i Regii fin sotto le mura di Capua, per cui potè riaprirsi la linea di comunicazione fra Santa Maria e S. Angelo, che dai Borbonici era stata tagliata.
Perduta Santa Maria era lo stesso che perdere la Campagna anzi la guerra, perché il nemico avea già occupato Sant'Angelo e Maddaloni, che più tardi furono ripresi.
Il sottoscritto ebbe parte a tutti i combattimenti di Sicilia, di Calabria, e del Napolitano, meno quelli di Milazzo e di Reggio (Nel Napolitano s’intende sulla linea in cui egli si trovava).
Intorno ai suoi studii militari vedasi il suo libro pubblicato nel 1856 «Della Guerra insurrezionale in Italia tendente a conquistare la nazionalità» libro lodato dagli uomini d'arte d'Italia e di Francia, e molto più in Austria e Germania specialmente nella parte scientifica militare. Veggasi l’Allgemeine-Militaar Zeitung, N 19 e 20 del marzo 1857 (si unisce tal libro).
È doloroso per un uomo il dover parlare favorevolmente di se stesso, e quasi menar vanto di ciò che egli non risguarda che come un semplice dovere compiuto, ma quando si volle, da una camarilla, ingannare chi deve giudicare, e si tenta non solo di togliergli la gloria, ma anche l’onore, l'uomo coscienzioso, e che sente la propria dignità, è costretto a smascherare ad ogni costo la cabala onde i giudicii siano illuminati.
Il sottoscritto avverte che tutto, quanto egli asserisce in questa informativa, come nelle altre già presentate al Ministero,esso è pronto a provarlo con documenti officiali, o testimoni!, e che intende protestare fin d’ora contro qualunque decisione che fosse basata sopra asserzioni contrarie a quanto egli espone.
In tutti i dubbi si domandino schiarimenti allo scrivente che è nel caso di poterli offrire.
Torino,7 novembre 1861.
Gen. Giuseppe La Masa, Deputato.
Balle falde della montagna di Gibilrossa a Palermo, la strada da noi percorsa conta da cinque a sei miglia di lunghezza.
Generale Garibaldi mi aveva dato il comando della prima colonna composta di più di quattromila Siciliani, armati di schioppi da caccia, e di trenta continentali, del Corpo spedizionario, comandati dal Maggiore Tuckery, che, con carabina e baionetta, formavano la testa della colonna.
L’ordine del Dittatore era che le due colonne marciassero unite come se ne formassero una sola, senza avanguardia.
Non portai il mio cavallo, né permisi ai miei che ne portassero, poiché tratta vasi di una sorpresa.
Giunti alla pianura si fece il primo alto dalla prima colonna, per attendere la seconda. Appena arrivata la testa di essa ri riprese la marcia, e si percorsero circa due miglia di strada malagevole di campagna, detta dei Ciaculli (ciottoli), sino alla Favara.
Passata di un duecento passi la Favara, punto dove incomincia la strada rotabile, si fece il secondo alto dalla prima colonna, perché era regolare che colà, ove cominciava la strada rotabile, si unissero le due colonne, e progredissero nella marcia più regolarmente formale. La seconda colonna era di nuovo rimasta indietro.
Dopo più di un’ora. di attendere s’incominciò dai Siciliani a mormorare su quella tardanza, e siccome vi erano alcune guerriglie di quelle che erano state presenti al fatto del Parco, e sospettavano che accadesse la medesima ritirata di allora, cosi io dovei ripetere il medesimo ordine che diedi alle guerriglie che parlavano di tradimento, quando sbandate venivano dal Parco ed io le incontrai in Belmonte, cioè, che avrei fatto fucilare colui che spargeva voci di tradimento. Poscia dissi al Maggiore Tuckery, che io recavami ad osservare se scorgevasi dietro di noi la seconda colonna, e gli diedi ordine assoluto di non far muovere la prima sino a che io non ritornassi.
La strada malagevole che dai Ciaculli mette alla Favara (Favara in Sicilia si chiama un luogo di acqua sorgiva, o corrente), dove incomincia la strada rotabile, termina a gomito — dimodoché coloro che trovansi in tale punto non vedono il primo tratto della via rotabile, dove stavasi già formata la prima colonna.
In tal punto (alla Favara) trovai Bixio, a cavallo, che batteva col frustino alcuni Siciliani che beveano o stavano ivi sparpagliati; in tutto erano una ventina circa.
Era poco più di un'ora dopo mezzanotte; tre ore circa avanti dell'attacco, e, ripeto, tre miglia e più distante dal luogo ove poi avvenne l'attacco, cioè dal Ponte dell’Ammiraglio.
Rimprovero Bixio del modo di agire contro quei Siciliani. Egli risponde colla parola violenta che rapportai al Consiglio, dicendo che io non sapeva comandare.
Quella parola medesima io gliela rimandai, ossia la rigettai contro a Bixio, collo stesso impeto con cui fu a me diretta, aggiungendo che «erano essi che non sapevano comandare, erano essi che aveano scelta una linea che dovettero abbandonare e per cui furono poi costretti a fuggire dal Parco, ed era io che avea saputo scegliere ed occupare una posizione strategica, che era unica base d’operazione sulla capitale, — e che era il campo da me ivi formato che li salvò da certa rovina; — che era per me, e non per loro, che si andava in Palermo»— «Va più avanti, soggiungeva, e vedrai che più di quattro mila uomini sono formati in colonna regolare, e che da un’ora vi attendono!»
Bixio soggiunse altre parole simili alla prima, io lo ricambiai con altre pari, e messi mano all’elsa. I Siciliani che erano presenti aveano già ingrillato lo schioppo, e l’appuntavano su Bixio; ciò mi fece accorto del pericolo in cui si gettava la causa, e con severità impedii loro d’immischiarsi in quell’alterco.
Giunge il Capo dello Stato Maggiore, Sirtori, e ci rimprovera entrambi avvertendoci della solennità del momento, e colle sue osservazioni riuscì a metter fine al diverbio.
Così in complesso fu il fatto con Bixio. — E bene egli l’espresse nel dire (nella lettera che scrisse per pubblicarsi in risposta alla mia) «Si, vi fu un alterco fra noi; fu vivo, fu violento d'ambo le parti — ma fu di parole e non altro». E qui prego il Consiglio di leggere attentamente, oltre alla lettera di Bixio, anche la mia, e vedrà che, in succinto, essa narra esattamente il fatto. Dette lettere furono pubblicate sui giornali fino dallo scorso maggio.
Bixio, finito l’alterco, retrocesse per riunirsi alla seconda colonna che ancora non si vedeva, ed io, raccogliendo quei pochi Siciliani sparpagliati, ritornai alla testa della mia colonna, ad attendervi ancora l’arrivo della seconda.
Alcune mie Guide che furono presenti a quell’alterco, perché mi avevano accompagnato, oggi trovansi in Piemonte nei diversi Depositi dei Volontari, come il Maggiore Curatolo, il Capitano Cullo, il Luogotenente Nicolosi — gli altri testimoni sono in Sicilia. Ripeto ancora: dal punto della Favara, ove avvenne il diverbio, al Ponte dell’Ammiraglio dove fummo attaccati, havvi una distanza di tre in quattro miglia; — e dal momento dell’alterco a quello del combattimento corsero quasi tre ore:
1° per l’attendere la seconda colonna;
2° per formarle regolarmente;
3° per poter far marciare nel modo più compatto possibile quella truppa improvvisata ed organizzata da tre giorni.
Combattimento al Ponte dell’Ammiraglio.
Per darsi un’idea più esatta di questo combattimento si unisce uno schizzo topografico nella Carta n° 1.
Arrivati a pochi passi distante dal Ponte dell’Ammiraglio fummo accolti da vivissimo fuoco di fucileria. C’innoltrammo fin sotto ai casamenti (V. n° 1) che erano occupati dai Borbonici come tutti gli altri punti (n° 2).
L’intiera prima colonna si ferma ad appoggia sulla siepe di roveto (n° 3) che fiancheggia il lato sinistro della strada, e s’impegna un vivissimo combattimento ad onta delle mie forti insistenze di spingerli all’assalto del Ponte.
Nello scorgere che alcuni delle guerriglie, rompendo la siepe, eransi spinti pel giardino che sorge alla sinistra (n° A) impedisco che altri seguissero i primi che eransi già innoltrati sino al Ponte (n° 5).
Vi riesco.
In quel momento compariscono in fondo alla strada il Generale Garibaldi ed il Colonnello Turr, entrambi a cavallo (n° 6). Rinnovo i miei sforzi per far muovere i miei all’assalto del Ponte, e vedendo Bixio, a cavallo, distaccarsi con alquanti de’ suoi dalla seconda colonna, me ne giovo per ispirare la gara nell’anime de’ miei colle seguenti parole «Vergogna... volete farvi prendere il posto dai Piemontesi! (così i contadini Siciliani chiamavano i continentali) — Avanti... avanti!»
Cosi dicendo mi spinsi io stesso alla corsa per entusiasmarli ed alquanti mi seguirono. In quel momento Bixio, il quale non era giunto che a 100 passi circa da me, punto da dove io partiva, smontò da cavallo, toccandosi la spalla. Credo sia stato quello il momento in cui fu ferito. Io era arrivato al punto n° 7, e Bixio al punto n° 8.
Non corse veruna parola tra me e Bixio in quell’istante, né potea correrne per la distanza, né erane corsa altra, dopo l’alterco avvenuto alla Favara (ripeto tre miglia distante e tre ore prima del combattimento), né io avea dalla Favara al Ponte dell’Ammiraglio più visto Bixio, essendo egli colla seconda colonna, ed io sempre alla testa della prima colonna.
Passaggio del Ponte dell’Ammiraglio e del Ponte di Testa.
Tanto pel combattimento sostenuto dai nostri, che pel notevole, progredimento, e per l’impeto dell’assalto a cui viddero spiccarsi parte della nostra truppa — i Borbonici eransi ritirati dal primo casamento (n° 1) e dal mulino che precede di pochi passi il Ponte, ed abbiamo quindi alla corsa potuto passare il Ponte dell’Ammiragtio ed il Ponte di Testa vicinissimo al primo (n° 2).
Passando alla corsa i detti due ponti con una trentina di continentali e di Siciliani, quattro di questi ultimi caddero mortalmente feriti in quel passaggio, cioè i Dottori La Russa, Di Benedetto e Cav. Lo Squiglio (), vediamo una o due compagnie di Borbonici che fuggivano dalla strada che trovasi alla destra passato il ponte nel punto seguente (n° 3) e mette nella diritta strada Consolare che conduce a Porta di Termini (n° 4).
Vedendo io che i nostri correvano ad inseguirli senza tirare, e che era impossibile il raggiungerli essendo troppo distanti da noi, io ordino di far fuoco, e ne cadono tosto due.
Continuammo ad inseguirli lungo la strada Consolare dove essi innoltravano precipitosi verso Porta di Termini; poi ci fermammo ad aspettare il rimanente della nostra truppa, ed al punto pria di giungere al quadrivio (n° 5) ci fermammo per attendervi il rimanente della truppa.
Io feci scassinare le porte delle case che costeggiano, a guisa di sobborgo, parte della via, e diedi ordine di innalzare una barricata coi mobili di dette case onde impedire che la cavalleria si avanzasse dal punto n° 6 e venisse a sorprenderci. — Già un mezzo squadrone di cavalleria schieravasi a fianco della Chiesa dei decollati e precisamente all’angolo della strada del Cervo.
Ionon so se ì continentali che primi passarono meco i due ponti (oltre alle mie guide e i pochi altri Siciliani delle guerriglie che mi seguirono) appartenessero tutti alla Compagnia di Tuckery, o all’altra distaccatasi dalla seconda colonna, solo osservo che alquanti passarono nello stesso tempo lateralmente ai due ponti, essendo quasi asciutto il torrente.
Osservo che io non conosceva di persona il Colonnello Cairoli, e che poteva bene egli essere tra i primi, come qualcuno osservava in Consiglio, ma ciò non impedisce che io Comandante della prima colonna potessi dire anche che fossi il 3e, il 4° o il 5° nel passaggio del ponte «La Masa accompagnato dalle sue guide slanciavasi alla testa della prima colonna, e passava sotto la grandine delle palle nemiche con alquanti valorosi continentali e Siciliani il Ponte dell’Ammiraglio ed il Ponte di Testa» Vedi pag. LIV.
Cosa che ripeto con secura coscienza, e sosterrò sempre, perché è un fatto.
Altra osservazione: quando giunsero i primi meco sul Ponte di Testa, i Regii che occupavano la posizione n° 3, al nostro apparire fuggirono lungo la strada Consolare; se altri fossero stati avanti di noi su quella strada, o doveano essi Regii rimanere prigionieri, o cadere in mezzo a due fuochi; ma ciò non fu.
Anzi fuggirono cosi velocemente, e senza che incontrassero verun impedimento, che io, disperando di poterli raggiungere ordinai il fuoco, dietro al quale due caddero morti sotto ai miei occhi.
Riprendo la narrazione.
Nel momento che faceva alzare la barricata, rividi Bixio, il quale stava osservando la sua ferita. Gli chiesi se la ferita era grave, e gli offersi la mia assistenza. Egli mi rispose che era cosa da poco, e mi ringraziò con espressione amichevole.
Riassumo ora sul fatto di Bixio:
Per qual motivo non feci uso delle armi contro Bixio?
1° Perché egli era solo, o quasi solo, poiché io non viddi che lui a cavallo ed i Siciliani ch’egli batteva col frustino — e con me invece vi era una diecina delle mie guide armate di carabina e pistola. Vi fu, è vero, un istante che, acceso d’ira, io misi mano all’elsa, ma la vista dei miei che appuntavano i loro fucili contro Bixio, mi richiamò alla considerazione patria, e che se io spingeva l’alterco a vie di fatto, era lo stesso che estinguere quell’impresa, già abbastanza difficile e che ci avea tanto costato, col provocare un attacco fatale fra Siciliani e continentali, essendo Bixio uno dei capi che avea molto contribuito alla riuscita di quella spedizione — ed essendo io amato dai Siciliani armati che mi seguivano, come il fatto da me accennato lo dimostra.
2° Perché io scagliai contro Bixio in quell’alterco parole violenti al pari, e non meno violenti di quelle che Bixio scagliava contro di me, e perché quelle parole sconcie e violenti quanto si voglia, non erano però tali da ferire l’onore.
3° Perché l’alterco fini per l’interposizione di Sirtori, che ci richiamò alla considerazione del solenne momento patrio a cui eravamo.
Per qual motivo si estinse il malumore fra me e Bixio?
1° Perché avendolo incontrato ferito dopo passati i ponti dell’Ammiraglio e di Testa, come dissi, nel momento più bello della nostra impresa, ed avendogli offerto assistenza, egli mi rispose con atto si amichevole nel ringraziarmi, che nei suoi modi io vidi estinta anche in lui ogni idea di malumore.
Ildispiacere da Bixio dimostrato quando gli rapportai, in Napoli, come era stato travisato a S. M. il Re quel nostro alterco, e le parole che mi disse Bixio in quell’occasione spiegano il suo sentimento «Il nostro, ei disse, fu uno di quegli alterchi che accadono cento volte fra compagni d’arme, e se si dovessero tali alterchi finire con sfide non rimarrebbe più nessuno in vita» e cose simili.
2° Finalmente le parole da esso scritte nella lettera pubblicata sui giornali dichiarano anch’esse il valore che Bixio diede a quel diverbio «io era ferito; ei dice, tu mi chiedesti della gravità del mio male, io ti risposi amichevolmente — e tutto finiva, come doveva, ecco tutto».
Intorno all’entrata in Palermo ed ai combattimenti si legga il libro. — Solo mi. occupa di rischiarare qualche dettaglio sul combattimento di Porta di Termini del giorno 30 maggio.
Il Generale Garibaldi fattomi chiamare davami ordine che raccogliessi le guerriglie, che erano nel mio Quartier generale e le conducessi a rafforzare le altre che erano in Porta di Termini, dove pure spediva una compagnia di Cacciatori dell’Alpi, comandata dal Generale Carini.
Al Quartier generale non trovai che due guerriglie, essendo tutte le altre disposte al servizio degli avamposti ed alle barricate per tutta la linea da noi occupata, ed altre alle spalle dei Regii lungo le falde delle montagne che fanno spalliera alla capitale. Non devesi dimenticare che i Continentali allora in Palermo erano poco più di seicento.
Le due guerriglie non sommavano a più di cento ottanta uomini, ed inoltre fui costretto a dividerle e mandarne una (quella comandata da G. Danna) a Porta S. Antonino per l'avvertimento fattomi da uno dei comandanti di esse, L. Barrante, dell’inimicizia che fra essi esisteva, e che poteva, nel momento del combattimento, produrre fatali conseguenze.
I miei non aveano munizioni; ne chiesi al Colonnello Cenni, incaricato dal Dittatore a distribuirle: non me ne diede perché non gliene rimaneva che pochissime. Mi rivolsi al Dittatore perché mi si dassero almeno quelle cartuccie che vi erano e, con una sua lettera, ne ebbi trenta pacchi. Per cui la guerriglia di 100 uomini, che rimase meco in Porta di Termini, non ne ebbe che sedici.
A Porta di Termini era vi una barricata di sassi ammonticchiati, sormontati da qualche gabbione. Sirtori stava con me e Carini dietro la barricata. La posizione precisa può vedersi dall’unito schizzo topografico (Vedasi carta n° 2).
I Bavaresi, comandati dal Generale Bosco, che muovevano all’assalto di Porta di Termini erano da quattro a cinque mila, e di tutte armi.
Alla violenza dell’attacco dei Regii, i Siciliani, che erano agli avamposti entrano correndo per la barricata; tutti gli altri che erano dietro alla barricata, unitamente ai Continentali, si ritirano precipitosi per la contrada della Pace, immediata alla destra di Porta d Termini (V. n° 1). Io e Carini (non rammento se venne anche Sirtori) raggiunsimo Siciliani e Continentali, e li abbiamo fatti ritornare anche a piattonate.
Vi erano pure, oltre me e Carini, altri Continentali che davano piattonate ai Siciliani, ed io vedendo che era meglio che essi ritornassero alla barricata, intimai loro di lasciare a me il pensiero di comandare ai Siciliani, e di recarsi avanti.
I Continentali, che con quella scusa mantenevansi dietro il baluardo (n° 2) erano più di venti. Carini li spinse al combattimento; io feci lo stesso coi Siciliani.
L’uno e l’altro abbiamo dovuto sempre correre nello sbocco delle strade (n° 3) dove Siciliani e Continentali recavansi a caricare i fucili, dalla barricata che era a dieci passi, e li riconducemmo sempre a difendere la detta barricata.
I Siciliani portavano per ragione di non poter affrontare il nemico, il non aver né cartuccie, né baionette; io cercava nelle tasche loro, ma pur troppo essi non avevano più munizione.
Inutilmente io dava loro a dritta ed a sinistra delle piattonate al vederli ritirare; avea per un momento potuto supplire nel dare due cartuccie a coloro che non ne avevano, togliendole dalle tasche di coloro, cui ne trovava quattro.
Carini ed io eravamo confusi di questa fatale mancanza, ed insistevamo a chiederne al Comando generale. Finalmente giunse una cesta di altri sedici pacchi che fu depositata sul piccolo piazzale della chiesa di Monte Santo (n° 4) che sta al fianco destro di Porta di Termini.
Corro in quel punto, che era a dieci passi dalla barricata, per dividere quelle cartuccie ai più bisognevoli. Così potei far durare al fuoco per altro poco tempo i Siciliani.
Ma le cartuccie ben presto di nuovo erano per terminare.
Giunse in quel momento un cittadino a dirci ad alta voce di alzar bandiera bianca per l’armistizio già convenuto, e ch’egli veniva incaricato dal Dittatore ad annunziarlo.
Lo dico tosto al Capo dello Stato Maggiore Sirtori, osservandogli però che io non conosceva quell’individuo. Sirtori non rispose nulla. Io diedi ordine ad uno de’ miei di recarsi tosto al Palazzo Pretorio per domandare se era vero l’armistizio, e non badai più a quell’individuo, ché continuamente gridava «è conchiuso l’armistizio! il Dittatore Vuole che alziate bandiera bianca!»
Ed io continuava a ricacciare alla barricata a piattonate coloro ohe tentavano ritirarsi, — ma era un fatto doloroso che le cartuccie erano interamente terminate.
Non passarono cinque minuti da questo fatto dell’annunzio dell’armistizio, al ritirarsi in disordine dei Siciliani e Continentali, per le vie che conducono l’una a contrada Pòrta Macqueda (n° 5), l’altra alla Fieravecchia (n° 6).
Sirtori corre dietro ai primi per fermarli; io che disperava di far rimanere più oltre al combattimento i Siciliani senza baionette ed ormai senza cartuccie, pensai meglio di star fermo al mio posto (intanto che ne rimanesse qualcuno a combattere.
Sirtori ritorna solo, e come se vibrar volesse colla sciabola un colpo di punta, mi viene incontro (n° 7) credendomi forse un bavarese; gli grido fortemente di aprire gli occhi, ed ei passa avanti.
Io era a pochi passi dalla barricata, facendo caricare lo schioppo ad un siciliano. Non passò che un brevissimo istante, e viddi entrare, scavalcando la barricata, un bavarese, ed altri due entrare dal dente della barricata stessa.
Scaricano contro di me i loro fucili; ed io allora, vedendo perduta ogni speranza di sostenersi in quel punto, perché non vi era quasi più nessuno dei nostri, mi innoltrai a raccogliere i Siciliani onde condurli a sostenere altra posizione, ed a far chiamare altre guerriglie provviste di munizione.
Ora qui abbiamo la calunnia di cui fecero protagonista il Tenente Colonnello Bassini a Porta di Termini.
Intorno a ciò non posso dir altro che io conobbi il Bassini sei giorni circa dopo tale combattimento, al Convento ove era acquartierato, e nella circostanza che già riferii al Consiglio.
Questa calunnia, simile a quella della ferita di Carini, non è appoggiata sopra un fatto travisato e falsato, come quella di Calatafimi e di Bixio, ma fu inventata di pianta; e replico ciò che dissi al Consiglio che, cioè:
1.° Io chiesi insistentemente un Consiglio d’inchiesta fino dal 10 ottobre 1861 appunto per conoscere gli autori delle misteriose e confuse dicerie contro di me, di cui allora non sapeva distintamente che quella di Calatafimi che il Generale Garibaldi mi disse, senza però sapermene additare gli autori.
2.° Che dietro un articolo della Libera Parola, che accennava alla calunnia sopradetta, io cercava un duello a morte coll’autore di questa calunnia, ma questo autore non lo trovai. Ebbi riparazione completa dal giornalista su quanto ambiguamente dicevasi nell’articolo riguardo al Bassini, e su tutto, il restante di quell’articolo; e colla dichiarazione scritta dal Colonnello Bassini, il quale avea fatto prima una dichiarazione soltanto verbale (il modo come già ciò accadde lo ho rapportato al Consiglio) fu estinta la balorda ed incredibile diceria che contro di me correva (V. Docum. 57).
La calunnia di cui fu vestito l'alterco con Bixio non fu meno grave di questa. Anche in essa i miei occulti nemici inventarono i medesimi dettagli infami che fecero correre sul combattimento di Porta di Termini.
Ma mi è di conforto che se i dieci vilmente nel mistero hanno attentato alla mia fama con inqualificabili calunnie, tutta la Sicilia e tutti coloro che meco combatterono, si alzarono con ogni sorta di dimostrazioni, non solo a protestare contro tali infamie, ma a darmi prova eziandio di quella stima di cui può essere lieto ogni soldato ed ogni cittadino.
Ora, dalla coscienza e dall’equità del Consiglio, mi aspetto l’esame dettagliato dei fatti che mi riguardano e di tutte le calunnie che mi scagliarono addosso i pochi tristi, onde il Consiglio suggelli colla sua autorità, la verità delle mie asserzioni, scopra, se lo può, chi sono i calunniatori, e se colle sue indagini non potrà giungervi, che me ne venga però quella piena e limpida riparazione che in simili circostanze un soldato di onore si aspetta.
È unicamente per aver questa riparazione che io per quindici mesi chiesi continuamente un Consiglio d’inchiesta, a’ diversi Ministri; a questo Consiglio, che finalmente son lieto di veder eretto, affido la difesa dell’onor mio militare, riserbando, come s’intende, a me medesimo la difesa del mio onore in genere, ove ve ne sia bisogno, dappoiché nessuno sinora lo ha saputo offendere, né lo potrà impunemente per l’avvenire.
Se il Consiglio ha d’uopo di testimoni per meglio verificare i dettagli che risguardano il sottoscritto, potrò additarne molti ed autorevoli, purché lo si avverta, come pure presentare documenti originali e molti infiniti. Il Consiglio, in tal caso, abbia la compiacenza di chiedermeli.
Generale La Masa, Deputato.
Torino, addì 25 marzo 1862.
Onde stabilire in modo definitivo la posizione militare della S. V. il Ministro della Guerra domandava alla Commissione di scrutinio per gli Uffiziali dei Corpi volontari il suo avviso, ma talun membro della medesima avendo creduto per delicatezza, attesi proprii particolari rapporti colla S. V., doversi astenere dallo esternare il proprio sentimento a di lei riguardo, venne tale questione portata avanti la Commissione mista di membri dei comitati delle varie armi, la quale considerando come ella non abbia verun brevetto di nomina regolare ed in vista degli appunti fattile dalla pubblica opinione, proponeva che V. S. fosse sottoposta ad un Tribunale d'onore —e questo veniva,’a seconda di tale proposta, dal Ministero nominato, perché avesse a stabilire: se la S. V. potesse in faccia all'esercito regolare ed al Corpo de’ volontari italiani onorevolmente rivestire il grado di Maggior Generale dello Esercito, con decoro di questo.
Quel Tribunale in seduta 25 gennaio p. p. stabiliva a maggioranza di voti, che in via legale poteva quel grado essere alla S. V. conferito, ma faceva seguire tale deliberazione da gravi ed unanimi considerazioni, per cui dimostrava come non fosse conveniente le. venisse affidato verun comando corrispondente a tal grado.
Il Tribunale d'onore ebbe per tal modo pronunciato un doppio giudicato, di cui quello in vià legale vien distrutto dei Considerandi che susseguono e che costituiscono il vero verdetto, solo mandato che può spettare ad un giuri d’onore, il quale a guisa d'un Consiglio di disciplina è chiamato a pronunziare sull’intima convinzione de’ suoi membri, all'infuori delle forme e delle prove che richiedonsi nelle vie strettamente giuridiche.
Lo scrivente ha creduto quindi d’invitare nuovamente la Commissione mista dei membri dei Comitati delle varie armi, all’esame di tutta la questione, con incarico di pronunziare un voto definitivo circa le misure da adottarsi al riguardo di V, S.
Dopo maturo studio ed accurato esame di tutti i documenti, la Commissione in seduta del 21 andante mese pronunziava a voti unanimi il parere non essere il caso di concedere a V. S. alcun grado militare.
Io mi trovo in dovere di porgerle partecipazione di tali risoluzioni, a cui il Ministero deve aderire, esternandole in pari tempo il mio rincrescimento di non poterle dare più favorevole riscontro.
Il Ministro, Petitti.
XLVIII.
Gl'indirizzi dei Cittadini e le deliberazioni dei Consigli Comunali si trovano nella citata Aggiunta al libro «I Siciliani e La Masa» da pag. 11 a pag. 102. Qui s'inseriscono soltanto gli ultimi colà non pubblicati.
Art. 1° Una soscrizione è stata aperta per erigersi un mezzo busto nella pubblica villa al cittadino Giuseppe La Masa, ed una petizione si è presentata al Consiglio, perché il Comune concorresse a tale spesa.
Giuseppe La Masa è di quei pochissimi che senza nulla pretendere han sacrificato fatiche e sostanze per la patria libertà — Egli nel 1848 fu il primo che espose con invincibile coraggio, per abbattere il Governo d’allora, la propria vita, e piantare il fiorito albero della libertà — Esule indi, e ramingo, tapinando in lontane contrade non dimenticò mai il pensiero della libertà; e nel 1860 prestò l'opera sua per ispingere il valoroso Soldato di Caprera a recarsi fra noi, e a dividere con esso i pericoli; compagno e commilitone, senza altro scopo, fuori di voler sollevare la Sicilia dall’orribile stato di miseria e di oppressione in cui giaceva.
Termini lo scelse a Deputato del Parlamento, ed egli, fedele al mandato, ha sempre difeso la Patria, e i cittadini suoi confratelli.
Un monumento per La Masa è quindi un semplice tributo di gratitudine; e il Consiglio approvando il generoso pensiero di coloro che han promosso la soscrizione, delibera, che il Comune contribuisca per tal monumento nella somma di ducati sessanta, risparmiando però la spesa della lapide che il Consiglio Civico avea deliberato nella tornata del 9 novembre 1860.
Il monumento sarà collocato nella pubblica villa, o in altro luogo pubblico che sarà designato dal Municipio.
Questa deliberazione è stata presa a voti unanimi, e il risultato della votazione è stato riconosciuto e proclamato dal Sindaco coll'assistenza di due Consiglieri.
Dopo di ciò si è fatto il presente verbale, che dopo d’essere stato letto ed approvato dal Consiglio, è stato firmato dal Sindaco, dal Consigliere anziano e da me Segretario — Ignazio Bova Conti Sindaco — Stefano Sceusa — Antonino Romano Segretario.
La presente copia è conforme all'originale, ed un consimile dello stesso è stato affissato nell’Albo Pretorio la domenica seguente alla sua data.
Il Segretario
A. Romano.
Il Consigliere signor Barone Iannelli avea presentalo una petizione così concepita:
In un paese che informato a libertà per la virtù di chi inviato dal Cielo ne assicurava i destini, altra base duratura non havvi al mantenimento del sociale edificio, che la più pura, la più interne rata giustizia — e noi felici, perché l'attuazione di tale idea è stata incarnata nella persona del Re Galantuomo, del Pròde Soldato della Nazione, dell’invitto Vittorio Emanuele.
La Masa Giuseppe, quel cittadino che con le prime aure di vita succhiava libertà, colui che primo nel 1848 faceva sventolare il vessillo tricolore della redenzione, che ramingava lungi dal focolare natio per dodici anni, esausto di sostanze e di mezzi, che tutto avea sagrificato per l’attazióne del pensiero di Patria — La Masa, quel prode, che venuto tra’ primi in Sicilia nel 1860 chiamava i popoli alla riscossa, e, forte dalla sua voce e dalla, sua influenza morale, li riuniva compatti e pronti in Gibilrossa, e di là a coadiuvare l'Eroe di Caprera, e a dividere i pericoli e la gloria — La Masa oggi è stato ferito nell’onore, manomesso nelle sostanze; e di fatti il dichiararlo non idoneo a far parte dell’Esercito, il non avergli garantita una posizione sociale, non è l’istesso che disonorarlo, e privarlo di quei mezzi che la Nazione riconoscente avrebbe dovuto offerire ad uifb dei suoi figli che cooperarono al suo riscatto?
Gli Elettori di La Masa che tutti ebbero, ed in modi diversi, attivissima parte nel movimento del patrio riscatto, si rivolgono alla M. V. coll’intimo convincimento, che un Re Giusto e Galantuomo, che il primo Soldato della Libertà Italiana voglia prendere in considerazione lo esposto, e ridonare ad un Prode Soldato ferito nell’onore, ad un distinto cittadino, quella posizione sociale, cm che le suscettibilità, o il malvolere di pochi, hanno impunemente coverto di un velo, e mostrare con quest’altro atto di giustizia alla Nazione che il grido di viva Vittorio Emanuele è una giusta promanazione dell’affetto dei popoli verso quell’uomo che fattosi il palladio della libertà, ha saputo sempre mostrare che la stessa non è un’idea, ma l’attuazione di un concetto sviluppato nel buon volere di un Re Galantuomo verso tutti indistintamente i suoi popoli.
Il Consiglio trova ben regolare, e giusta la petizione, e delibera di innoltrarsi anche a nome di questo Comune che ben conosce i meriti distintissimi dell’Esimio Cittadino La Masa ed i servizii da lui prestati alla Patria nel 1848 e nel 1860 con sommo disinteresse e con rischio della vita; per cui merita eterna riconoscenza dai suoi concittadini che hanno sempre riconosciuto nell’illustre La Masa il vero amante della Libertà e della Pàtria.
Questa deliberazione è stata presa ad unanimità di voti, il cui risultato è stato riconosciuto dal Sindaco coll’assistenza di due Consiglieri.
Dopo di ciò si è fatto il presente verbale, che dopo d'essere stata letto ed approvato dal Consiglio, è stato firmato dal Sindaco, dal Consigliere anziano e da me Segretario — Ignazio Dova Conti Sindaco — Stefano Sceusa — Antonino Romano Segretario.
La presente copia è conforme all’originale, ed un consimile dello stesso è stato affissato nell’Albo Pretorio la domenica seguente alla sua data.
Il Segretario
A. Romano.
In un paese che informato a libertà per la virtù di chi inviato dal cielo ne assicurava i destini, altra base duratura non havvi al mantenimento del sociale edificio, che la più pura, la più imtemerata giustizia — e noi felici, perché l’attuazione di tale idea é stata incarnata nella persona del Re Galantuomo, del Prode Soldato della Nazione dell’Invitto Vittorio Emmanuele.
La Masa Giuseppe, quel cittadino che con le prime aure di vita succhiava libertà; colui che primo nel 1848 faceva sventolare il vessillo redentore, che ramingava lungi dal focolare natio per 12 anni, esausto di sostanze e di mezzi, che tutto aveva sacrificato per l’attuazione del pensiero di patria — La Masa, quel prode che venuto tra’ primi in Sicilia nel 1860 chiamava i popoli alla riscossa, e forte della sua voce e della sua influenza morale li riuniva compatti e pronti in Gibilrossa, e di là a coadiuvare l’Eroe di Caprera, e a dividerne i pericoli e la gloria—La Masa — oggi è stato ferito nell’onore, manomesso nelle sostanze; e difatti il dichiararlo non idoneo a far parte dell’Esercito, il non avergli garentita una posizione sociale, non è l’istesso che disonorarlo e privarlo di quei mezzi che la Nazione riconoscente avrebbe dovuto offerire ad uno dei suoi figli che cooperarono al suo riscatto?
gli Elettori di Caccamo che tutti ebbero ed in modi diversi attivissima parte nel movimento del patrio riscatto si rivolgono alla M. V. coll’intimo convincimento che un Re Giusto e Galantuomo, che il primo Soldato della libertà italiana voglia prendere in considerazione lo esposto e ridonare ad un prode soldato ferito nell’onore, ad un distinto cittadino, quella posizione sociale, che le suscettibilità o il mal volere di pochi hanno impunemente coverta di un velo; e mostrare con quest’altro atto di giustizia alla Nazione che il grido di Viva Vittorio Emanuele è una giusta promanazione dell’affetto dei popoli, verso quell’Uomo, che fattosi il palladio della libertà, ha saputo sempre mostrare che la stessa non è una idea, ma l’attuazione di un concetto sviluppato pel buon volere di un Re Galantuomo verso tutti indistintamente i suoi popoli.
VIVA VITTORIO EMANUELE.
Visto per la verità delle firme
Il Sindaco, Giuseppe Gugliuzza.
(Con timbro del Municipio).
Seguono le firme.
I Misilmeresi, che militarono volontari sotto il vostro comando nel maggio 1860, quando veniste a coronare la rivoluzione, costituendo un’associazione, cui diedero il battesimo di Società Unitaria Italiana di Gibilrossa, fra le voci entusiastiche di viva Vittorio Emanuele — viva Garibaldi — viva il Generale La Masa — vi hanno eletto ad acclamazione qual Socio onorario. — Generale, voi che mirabilmente formaste quel Campo di Gibilrossa, a cui lai Storia Patria non potrà negare una pagina ben gloriosa, dove pel vostro nome e pel vostro valore maturaronsi le speranze di questa sicula terra, raccogliendo con sentiti proclami le tanto numerose squadriglie, che incoraggiate dalla vostra spada, e non seconde ai Continentali, affrontarono i perigli del 27 maggio 1860 in Palermo, voi non sdegnerete accogliere questo voto spontaneo del cuore, qual semplice testimonio del vostro eroico patriottismo, e della grande vostra abnegazione.
E noi, testimoni oculari del vostro valore e delle vostre gesta, siamo lieti di attestarvi, mercé questo voto, la mostra simpatia ed il nostro attaccamento, ora che basse calunnie han tentato di denigrare la vostra fama; ma indarno, ché il vostro nome ed il vostro eroismo stan scolpiti nei cuori di tutti i Siciliani.
Misilmeri,14 aprile 1682.
Il Comitato Direttore
S. Giuseppe Làndolina — Mariano àrdizzone — Crispino Vicari
Il Segretario Mariano Leone Maltese.
Il progetto di legge da Lei emesso riguardo il riconoscimento degli Uffiziali del 48 ch’ebbero parte nel 60 non fu per noi estranea impressione che consci delle di Lei doti speravamo tutto da Lei, siccome il figlio che non diffida del padre; e a tal riguardo prova ne sia il nostro contegnoso procedere che mai lagno di risentimento non abbiamo lanciato a tutte le nostre umiliazioni sofferte.
Il muto campione ci esortava alla sofferenza ed alla generosità a disprezzare, e noi memori dei benefici e ligi ai di lui cenni, abbiamo adempiuto scrupolosamente l’imposto, anzi allietati dal pensiero che di niun sorriso va lieto l’aspetto della virtù, tranne che il compenso della gloria, ci siamo contentati d’incrisalidarci miseri sotto il tetto dei nostri umili focolari.
Se nel nostro cuore si annida gratitudine, te occasioni potrebbero rispondere a preferenza della favella. Si! fedeli interpreti dei voti de’ nostri concittadini venghiamo in lor nome a retribuirle quei sentiti ringraziamenti che un cuore siciliano ha costume di significare.
Seguono le firme.
Gli Ufficiali che nel 1848 vi seguirono in tutti i pericoli della Guerra dove voi combatteste alla testa con estremo coraggio, e che erano stati abbandonati e dimenticati, forse per le tante cure, e per i moltiplici lavori di cui il Parlamento Italiano è stato caricato sin’ora,:— Voi, Generale, non li dimenticaste; Voi pensavate ai vostri compagni, Voi trovaste il destro per dire delle parole in difesa dell’onore di coloro ch’erano stati obbliati.
Grazie dunque, o Generale. — Grazie rendete per noi alla Camera che ha ben voluto accogliere la Legge da voi proposta. — Grazie ancora ai singoli Deputati, i quali hanno voluto prendere la parola in nostro favore appoggiando il progetto. — E grazie in fine a S. E. il Ministro della Guerra che l’accolse favorevolmente.
Torino, 13 dicembre 1861.
Seguono le firme.
Voi solo, cittadino distinto e magnanimo, comprendeste ch’era scandalosa la dimenticanza, in cui giacevano i martiri della eroica rivoluzione Siciliana del 1848.
Voi solo consideraste, che fu essa la prima scintilla dell’incendio che si sopì, non si estinse, e che molto giovò alla causa nazionale italiana, ed al nostro riscatto.
Voi solo ricordaste il sangue da loro versato, ed ogni genere di martirio e patimenti che poscia per 12 anni loro recò la efferrata tirannide degli esecrati borboni — negazione di Dio! Voi solo imbrandiste la spada della loro difesa, e sapeste profferire per loro franche e veraci parole.
A Voi solo dunque, duce vendicatore de nostri conculcati diritti, noi uffiziali catanesi del 1848, offriamo la nostra gratitudine, ed a nome della libertà, di cui siete campione onorando; vi scongiuriamo di non stancarvi sino a che ci avrete ridonato il pieno loro godimento; e con esso il seggio che a noi compete nel gran Tribunale della opinione politica.
Catania, li 45 febbraio 1862.
Seguono le firme.
Quando la voce vostra, temprata a maschi e generosi sentimenti, si elevò nell’aula parlamentare, a patrocinio degli uffiziali dell’armata nazionale del 1848 già, come per incanto, l’eco dalle Alpi ne tramandò il suono su questa terra dei vesperi, e noi qui sottoscritti Catanesi, che militammo sotto quelle onorate bandiere, sollevati dalla bassezza ove una ingiusta dimenticanza ci ha dannato a gemere, tributammo un voto di riconoscenza, a Voi solo che volgeste ui pensiero di affetto ai vostri Lontani fratelli, patrocinando eminentemente la nostra causa innanzi alla Camera, che tradusse in legge all’unanimità la vostra generosa mozione.
Permetteteci adesso, che quel voto, che sin di allora sorse per voi dal profondo delle anime nostre, vi fosse manifesto.
Figlio di questa terra sacra alle muse e cara alla libertà, illustrata dalle nostre gesta, non sdegnerete accogliere in questo indrizzo la più sentita manifestazione di riconoscenza, che noi uffiziali Catanesi sentiamo il bisogno di presentarvi.
Il vostro cuore eminentemente italiano, sarà 1interprete della purezza dei nostri suffragi, e se da un canto ammiriamo altamente il carattere umanitario della vostra importante missione dall’altro v’imploriamo a compierla, per veder cosi con l’attuazione dei decreti del Parlamento, coronati i vostri sforzi e compiuti i desiderii di tanti onesti patriotti, che si son sobbarcati ai più duri sacrifici per il trionfo della grande causa della Libertà, di cui voi, Generale, ne siete il più illustre Campione.
Catania, 17 gennaio 1862.
Seguono le firme.
Fra’ patrioti Siciliani che abbian dati splendidi esempi di virtù nobili e rare, Giuseppe La Masa è quegli per cui noi tutti abbiamo da gran tempo serbato immenso affetto e profonda devozione, è quegli cui dobbiamo ogni prova di coraggio, costanza, onore. Noi sin dal 1847 siamo stati i personali testimonii del suo valore, e buona parte di noi ha combattuto le patrie battaglie del 48 e del 60 ai suoi fianchi e dietro a lui, animati dalla sua voce, spinti dal suo esempio.
L’onore al merito è la sola riconoscenza che uomini liberi possano offrire, e noi sentiamo quasi nostro sacro debito l’onore a rendere a questo nostro illustre compatriota. — Per private contribuzioni quindi abbiamo già fatto eseguire un mezzobusto in marmo di misura naturale, rappresentante la figura di Lui, e tutti, con tutto il calore dell’anima nostra, preghiamo lei perché voglia permettercene l’innalzamento in un luogo pubblico.
Noi siamo sicuri che il divieto non verrà a reprimere la manifestazione di «n sentimento tanto disinteressato quanto profondo e tenace; sentimento che mentre tende a celebrare un gran patriota, serve a santa emulatone di fioria per la posterità, e a vanto della patria nastra.
Palermo, marzo 1862.
Seguono le firme.
È detto che la ragione, più o meno tardi, trionfa dei suoi contrarii, perché nella ragione è verità, e questa consuma chi vuol combatterla. Voi, Generale, nel presentare al Parlamento Italiano un progetto di legge. pel riconoscimento de’ gradi degli Uffiziali Siciliani del 1848, i quali prestarono servizio militare nel 1860, avete fatto opera di ragione.
Chi non dovrà sapervene grato?
È nel vostro generoso intento benedire la memoria dei bravi compagni che in queste gloriose epoche diedero la vita per la patria, e per la libertà.
È un conforto per chi riposato dai bellici allori, e rinchiuso nel silenzio della parete domestica, vede che la patria sa far conto degli sforzi durati, e rende giustizia alla bravura.
È leva morale chi rialza gli animi di coloro, che pieni di vita e di volere pel compiuto risorgimento d’Italia, han pronti e braccio, e cuore per combattere l’ultime battaglie della libertà, e cosi uscire da immeritato obblio.
Voi Generale, colla vostra generosa proposta, inaugurate la concordia cittadina, e mostrate che la giustizia debb’essere compagna dell’onestà. Mostrate, che nel 1848 era il germe del 1860. Compite, Generale, l’opera incominciata.
Fate che i nostri dritti sian coronati di quel successo, che la ragione e l’onore reclamano.
Non si dica che una inqualificabile condanna, continui a pesare su uomini che han saputo compiere in ogni tempo il loro dovere. Si levi aita la vostra voce in prò dei vostri antichi compagni, e l’atto del Parlamento sarà riparatore di torti ripugnanti alla Nazione.
Onesti sentimenti degli Uffiziali Siracusani, vi dicano, Generale, quanta è in essi riconoscenza per l’opera vostra, e come a voi è dovuto pegno d’affetto e titolo di benemerenza.
Siracusa, 20 marzo 1862.
Seguono le firme.
All’Onorevole Generale Signor Giuseppe La Masa
Deputato al Parlamento Nazionale — Torino.
Torino,9 aprile 1861.
Coll’animo sereno e sempre uguale in faccia alla nostra Italia ed a voi, vengo a rammentarvi un fatto doloroso che amareggiò profondamente l’anima mia, e che la vostra coscienza di patriota e di uomo onesto può, e deve estinguere.
Furono tante le calunnie che disseminarono coloro che mi calunniarono anche presso di voi, a segno di rendervi meco ingiusto — furono tante — che non havvi angolo d’Italia che non ne sia pieno.
Tutta la forza dell’anima mia è oggi rivolta a lacerare il velo di queste infamie, a qualunque costo.
Quel Consiglio d’inchiesta e d’onore che sotto il vostro governo mi fu accordato, ma che non si fece, ora finalmente andrà a convocarsi per le mie instancabili premure.
Dietro questo consiglio, qualsiasi persona che abbia inteso ledere la mia fama, dovrà in modo qualunque darmi là dovuta riparazione. E quel che più interessa l’anima mia è la giustizia che mi aspetto da voi, in faccia a cui non ho nulla da rimproverarmi, né quale amico, né quale comandante, né quale patriota.
In tanti mesi scorsi nella vostra solitudine sono sicuro che aveste il tempo di esaminare il passato, e pensare chi fu vero amico, chi fu vero patriota, vero soldato, e positivamente sprezzante della sua vita nelle patrie battaglie.
Non vi dico altro perché nessuno più di voi sente la sublime verità: che nell’onore, e nella difesa della propria fama sta la vita — e dovete perciò comprendere con quanta ansietà io aspetti dalla vostra equità una riparatrice risposta.
G. La Masa.
Con piacere rispondo alla vostra lettera del 9 corrente; nella quale ho ammirato, come pel passato, i sentimenti di un’anima generosa. # Quanto alle misteriose anonime che l’invidia ha voluto spargere contro di voi, vi pregherei di seguire il consiglio che sempre vi ho dato di viva voce — disprezzatele.
Voi avete resi importanti servizi all’Italia e come soldato, e come patriota; ed io che non ho mai cessato d’essere l’amico vostro, desidero che cessino sul vostro conto le sfavorevoli impressioni seminate dalla calunnia.
Torino,17 aprile 1861.
Vostro affez. mo G. Garibaldi. ()
Al sig. Generale G. La Masa.
Fra le tante ridicole ed infamissime calunnie inventate contro di me, se ne sparse una a proposito dell’alterco avvenuto fra noi due la notte dal 26 al 27 maggio, quando eravamo in marcia sopra Palermo — a quattro miglia distanti dal nemico.
Tu rammenti, che se l’alterco fu di parole violenti che ci ricambiammo, nell’occasione che una ventina dei quattro mila Siciliani ch’io allora comandava si trattennero a bere in una fonte, non corse però veruna parola che offender potesse l’onore di alcuno di noi due: — locché certamente né tu, né io avremmo lasciato passare impunito.
Ed appena tu sentisti in Napoli, per mia bocca, che si travisava quell’avvenimento, fosti sollecito a scrivermi una lettera, colla quale distruggevi le false ed inique voci seminate dall’invidia.
Ora sento dagli amici che queste ancora sussistono. Ed io che ho, l’impegno di tagliare sino alla radice cotali infamie, come avrai visto dalla mia lettera al nostro Generale Garibaldi, ti prego di rispondere categoricamente a questa mia, collo scopo di pubblicarsi, perché pubblica è divenuta oramai questa calunnia, di cui disdegno accennare i vili e stupidi dettagli.
Non ti ringrazio, perché io credo in obbligo ogni fratello d’armi di prestarsi reciprocamente a rischiarare i fatti che accaddero fra i medesimi e si travisano.
Torino, li 10 maggio 1861.
Tuo G. La Masa.
Alla tua lettera è debito mio rispondere: sì, vi fu un alterca fra noi: fu vivo, fu violento da ambe le parti, ma fu di parole, e non altro. — T’incontrai poco dopo oltrepassato il ponte dell’Ammiraglio; io era ferito: tu mi chiedesti della gravità del mio male, io ti risposi amichevolmente — e tutto finiva, come doveva: ecco tutto.
Del resto, fa com’io faccio; seguo il mio cammino, e del giudizio dei partiti ne appello alla mia coscienza.
Torino, li 11 maggio 1861.
Tuo Nino Bixio
Al generale La Masa, Deputato
Torino.
(V. Docum. XLVI,da pag. LXXXVIII, a pag. XCII, più da pag. XCII a XCIV).
Napoli, 30 novembre 1860.
Con mia sorpresa e dispiacere intesi da te che furono sparse voci, le quali ti dànno colpa della mia ferita nel combattimento del 30 maggio a Porta di Termini. Sento quindi l’obbligo di dichiararle false, mentre tu hai fatto da parte tua quel che potevi per respingere l’aggressione del nemico — e non entri per nulla nella mia ferita.
Credimi sempre
Tuo affez.mo G. Carini.
Sig. Generale Là Masa
Napoli.
(Sul combattimento di Porta di Termini, si veda (D. XLVI, da pag. XCV, a XCIX. Aggiunta ai Documenti, p. 94, 95, 96).
Asti, 29 aprile 1861.
In riscontro alla vostra lettera di ieri, pregovi credere che con: piacere ho letto quanto il Generale Garibaldi vi ha scritto, ed andai lietissimo di vedere rettificato un fatto che vi si voleva attribuire.
L’autorità del Generale Garibaldi è talmente possente che voi non avete più bisogno d’altro.
Sono dolente d’essere stato indotto in errore, e d’aver ripetutoio pure quella diceria, e spero che questa leale assicurazione appagherà il vostro desiderio, come di giustizia.
Se queste poche righe non bastano a soddisfarvi, io sarò a vostra disposizione, come meglio vi aggrada.
Credetemi intanto.
Vostro De Milbitz.
All'Ill. mo Signore, Sig. Gen. La Masa
Torino.
(Estratto dal libro citato).
Oltre d'avere i Siciliani risposto collettivamente, ed in modo altamente adesivo colle due lettere firmate da migliaia di cittadini, altri risposero ad una ad una alle diverse interrogatimi contenute nell’appello suddetto del Generale La Masa, e nel modo seguente.
Domanda — Abitanti delle provincie!
Chi vedeste primo comparire fra voi, dopo lo sbarco di Marsala, talvolta accompagnato da uno, due e talvolta sette () Siciliani armati, a chiamarvi dì nuovo all’insurrezione, costituire i governi provvisori, e disarmando le guardie urbane, armare e concentrare gli insorti?.
Chi vi condusse, vi riunì, e formò un campo formidabile sulle montagne di Gibilrossa, a quattro miglia alla destra di Palermo, mentre il corpo della spedizione con Garibaldi trovavasi ancora distante quaranta miglia alla sinistra?
Chi coi sparsi fuochi e colle organizzate linee di avamposti, sino a due miglia dalla capitale, sgomentò Tarmata regia?
Risposta — Il Generale Giuseppe La Masa.
(Sieguono moltissime firme. — Gli originali colle firme si presenteranno al Ministero per consegnarsi al Consiglio d'inchiesta che il Generale La Masa ha dimandato instantemente che si convochi secondo l'ordine ottenuto dal Dittatore dell'Italia meridionale e dal Re).
Domanda — Capiguerriglia di Gibilrossa!
Chi scelse nell’incertezza del comando generale l'attacco sopra Palermo, e assunse la responsabilità della riuscita anziché la ritirata sopra Castrogiovanni(più di cento miglia distante da Palermo) quando insistentemente e reiteratamente da me pregato il Dittatore di non far proseguire più oltre la ritirata, dopo il fatto del Parco, e di appoggiarsi invece sul mio campo (composto solamente di picciotti) venne con circa seicento armati in Gibilrossa?
Chi vi guidò in Palermo? e vedeste slanciarsi primo alla testa di pochi uomini sui ponti di Testa’ e dell’Ammiraglio, e combattendo accanitamente fugare dalla strada i borbonici?
Risposta — Il Generale Giuseppe La Masa.
(Sieguono moltissime firme da consegnarsi, come sopra).
Chi avete veduto primo, anzi solo (), senza armati percorrere le principali vie di Palermo per riconoscere le posizioni del nemico, e far aprire la breccia all'ospedale che dà nella piazza dei Palazzo Reale, ove le truppe borboniche si erano in gran numero concentrate? ()
Chi fu presente e diresse quasi tutti i combattimenti della capitale fino alla completa liberazione di essa, in uno dei quali fu ferito il nostro bravo Carini? Municipii e Comitati rivoluzionari di Salemi, Calatafimi, Partanna, Santa Ninfa, Castelvetrano, provincia di Palermo, di Trapani, dl Catania, di Girgenti, ecc.
Chi vi annunziò l’arrivo del Generale Garibaldi, ve ne propose la Dittatura, e vi scongiurò di star saldi nel vostro programma, col quale insorgeste fin dall’aprile «Italia una sotto il Regno Costituzionale di Vittorio Emanuele II?.»
Risposta — Il Generale Giuseppe La Masa.
(Sieguono moltissime firme da consegnarsi, come sopra).
(V. Aggiunta al libro citato, da pag. 144 a pag. 147).
— In conformità di ordine superiore pubblichiamo un cenno delle operazioni del signor La Masa e dei suoi proclami.
Appena disbarcato in Marsala, il Generale Garibaldi incaricò La Masa di tracciare la linea del movimento per l’isola, e di mettersi in rapporto coi Comitati segreti e coi Capi delle squadre, i quali eransi allora sbandati e posavano le armi. Il La Masa diresse lettere con appositi corrieri a varii Comuni delle Provincie di Trapani e di Palermo, soccartando loro copie del proprio proclama e di quelli di Garibaldi. Una delle lettere dirette alla Provincia di Trapani è la seguente:
«Concentrate i vostri armati in Salemi, dove saprete in qual punto potrete unirvi colla nostra spedizione diretta dall’illustre Generale Garibaldi, che il Consiglio Comunale di Marsala ha proclamato Dittatore dell’Isola. Viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele».
G. La Masa.
La lettera che segue è diretta ai Capi della Provincia di Palermo:
«Voi che in Italia siete stati i primi ad insorgere, sarete celeri nel riunirvi colle nostre forze per combattere le orde borboniche. Avvisateci in qual punto vi concentrerete allo scopo di combinare d’accordo le operazioni contro le regie truppe. Il prode Generale Garibaldi è con noi; il più famoso Generale che ha l’Italia».
G. La Masa.
Per superiore disposizione s’inseriscono alcuni cenni sulle operazioni del sig La Masa e suoi proclami.
A Calatafimi presentavasi al Generale Garibaldi il signor Barone Di Marco e Ribaudo, chiedendogli La Masa per concentrare le forze nella Provincia di Palermo. La notte parti con i suddetti, con Fuxa, con Curatolo, con i fratelli La Russa e Nicolosi.
Da Roccamena inviò manoscritto il seguente Proclama a molti Comuni.
Dalle alture di Roccamena, 17 maggio 1860.
Il sacro amore di patria ed il sorriso del Cielo mi recarono fra voi, miei antichi compagni di vittoria e di sventura, per combattere l’ultima volta al vostro fianco le armate del tiranno.
Il prode Generale Giuseppe Garibaldi, Aiutante di Campo di S. M; Vittorio Emanuele II, ha condotto noi, emigrati Siciliani, con un corpo d’invincibili patriotti nostri pel Continente, in Sicilia, onde aiutarvi ad abbattere il giogo borbonico ed a compiere il vostro programmai insurrezionale: — La annessione al Regno costituzionale di Vittorio Emanuele II — per formarsi tosto una, libera, potente, l’Italia: Comuni tutti insorti proclamarono Dittatore questo grande Generale Italiano.
All’armi, o prodi fratelli!
Il nostro corpo di spedizione, col prode Generale Garibaldi alla testa, in un giorno di formidabile battaglia sulle coste di Calatafimi, ha rotto e fugato le truppe regie che teneano soggetto il territorio da Marsala ad Alcamo.
Tocca a voi ora, o fratelli, armarvi in ogni guisa, organizzarvi ed unirvi coi prodi che nelle montagne di Palermo e nelle vicinanze combattono le truppe borboniche. Tutti i Siciliani armati da Marsala a Partinico sono corsi solleciti ed innumerevoli ad ingrossare le file della truppa Italiana; fate voi altrettanto per render, forti e compatte le guerriglie patrie che combattono al Parco, alla Piana dei Greci e nei dintorni della Capitale.
All’invito di alcuni nostri fratelli sono corso sollecito in queste montagne per esaminare le vostre posizioni e mettervi in ristretta rapporto coll'armata del valoroso Generale, e combinare Punita di azione indispensabile alle guerre patrie.
Fratelli! l’Italia tutta vi guarda. Voi saprete esser, degni di voi stessi e dei vostri fratelli del Continente, che corrono generosi a spargere il sangue in Sicilia per la causa comune. Viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele II.
G. La Masa.
Ed il seguente avviso:
Roccamena, 17 maggio 1860.
I Comuni insorti dell’Isola proclamarono Dittatore l’illustre Generale G. Garibaldi Aiutante di Campo di S. M. Vittorio Emanuele li, Comandante Generale della spedizione Italiana in Sicilia, durante il Governo provvisorio, diretto ad abbattere le forze della dinastia borbonica, per creare l’annessione della nostra Isola al Regno costituzionale di Vittorio Emanuele II, allo scopo di formare una e potente l’Italia.
G. La Masa.
Proseguendo per le montagne, la notte pernottò nell’Eremitaggio di Tagliavia, non trovando più alcuna squadra in quel Distretto, essendosi la squadra di Corleone concentrata colla truppa di Garibaldi. L’indomani giunse di notte a Mezzoiuso, fece insorgere il paese, disarmare la guardia urbana ed armare gl’insorti; scrisse a diverse persone influenti, invitandole a far costituire Comitati nelle Provincie di Palermo, Girgenti e Catania, ed inviando loro copie dei suoi proclami.
(S’inseriscono alcune lettere del La Masa alle suddette persone).
(Vedi Gazzetta Officiale N. 29 e 34).
Mezzoiuso, 19 maggio 1860, ore 2 ant.
Eccomi in mezzo ai Siciliani armati. — Tuo fratello è qui meco. — Spedisci domini. — Infiamma il distretto. — Deve vincersi e presto. — Ti saluto in fretta. — Il tuo
G. La Masa.
All’egregio cittadino D. Francesco Avellone
Roccapalumba.
Lercara,19 maggio, alle ore 7 pom.
Di riscontro ad una lettera del mio compagno d'armi Spiridione Franco, in cui mi avvisa riunirmi a lei, Signore, in Villafrati, sono a rassegnarle che infra domani con una squadra di circa 100 prodi sarò in Villafrati per aver il bene di ossequiarla da vicino, e sfogare con lei l’entusiasmo dell’anima mia.
Gradisca i miei più distinti ossequii.
Mi do il bene di segnarmi
Sac. Agostino Rotolo.
Mezzoiuso, 20 maggio 1860.
Dalla tua gradita di ieri ho ammirato quanto è forte in te l’amor di patria. Da te mi attenderò sempre grandi cose pel bene della nostra càusa, e non posso che lodare ed approvare quanto hai praticato. Mi arriverebbero con piacere le munizioni che mi prometti. — Accogli i miei più cari saluti.
P. S. Arma, rianima, muovi per questa contrada tutti i generosi, fa rivoluzionare i paesi tutti che non lo siano, proclamando la dittatura del Governo provvisorio della Sicilia, del prode Generale G. Garibaldi. Dittatura già proclamata da tutti i Comuni liberi.
Ti do ampia facoltà a rappresentare questi miei sentimenti in faccia a tutti i Comuni delle Provincie di Palermo e di Catania. — Riunisciti alle Autorità civili, ecclesiastiche, ed a tutti i liberali che hanno influenza, e fa con loro quello che attualmente non posso fare io dovendo combattere.
G. La Masa.
Al signor D. Francesco Avellone
Roccapalumba.
Fratelli, io vi rivedo colle armi in pugno, e colla medesima bandiera tricolore che primi innalzaste, colla vittoria, in Italia.
Ad un semplice appello, direttovi dal centro delle vostre montagne da un vostro antico commilitone, insorgeste nuovamente proclamando l’annessione al Regno Italico sotto il Governo Costituzionale di Vittorio Emanuele II e la Dittatura del Generale Garibaldi al Governo provvisorio dell'Isola. Organizzandovi armati correste sulle alture designate come base alle vostre operazioni di guerra sulla capitale.
E Palermo ha visto di già sventolare numerose le bandiere nazionali sulle vetta delle montagne che la coronano da Misilmeri al Pellegrino, ha visto rilucere in faccia al sole le armi delle innumerevoli vostre guerriglie, ha sentito la sfida solenne che colle trombe e col grido vostro di guerra lanciaste ai borbonici in faccia alle fregate straniere. E quel che è più i nemici han conosciuto la vostra organizzazione e la vostra militar disciplina al vedervi fermi al vostro posto assegnatovi dal Comando Generale, anche di notte, privi di cappotto, colla pioggia dirotta, come vecchi regolari soldati. Coi vostri molti fuochi accesi in4 tutti i punti della montagna e col vostro ripetuto ed alternato all'erta annunziaste resistenza vostra nella notte pari a quella del giorno.
Prodi fratelli, questo prodigio d’amor patrio e di valore io l’ho visto compiere in due giorni: ed a nome del prode Dittatore, che provvisoriamente ci governa, vi do il plauso della patria comune, l'Italia.
Viva Vittorio Emanuele II, viva l’organizzazione e la disciplina, viva l’Italia una.
Gibilrossa, 23 maggio 1860.
G. La Masa.
(Dal Giornale Ufficiale di Sicilia, N. 29 e 34).
I Comitati dell’Isola sono incaricati dal Governo provvisorio di aprire una soscrizione volontaria allo scopo di provvedere provvisoriamente di viveri le proprie guerriglie e le famiglie bisognose dei combattenti.
Volontà e non forza, amore e non paura, deve rigenerare la patria.
I cittadini che combattono per essa saranno soccorsi spontaneamente dai possidenti che non combattono; cosi gli uni e gli altri pagheranno il tributo sacro alla patria.
Coloro che abusano dello stato attuale e commettono violenze saranno severamente puniti dal Governo provvisorio. Chi ruba sarà fucilato.
Serva ciò di, programma all’ordine pubblico che è solenne e prima base della rigenerazione nazionale, senza di cui si ricade, e presto, sotto il giogo del tiranno.
Viva l’unione e la disciplina.
G. La Masa.
{Vedi Gazzetta Ufficiale, N. 29 e 34).
Termini, li 9 novembre 1860.
L’anno milleottocento sessanta, il giorno 9 novembre in Termini. Il Consiglio Civico riunito oggi stesso alle ore 22 sotto la presidenza del Sacerdote D. Giuseppe Scialabba Gullo Vice-Presidente, il quale, avendo conosciuto essere legale il numero dei Consiglieri presenti, ha dichiarato aperta la seduta; il consesso unanimemente ha deliberato quanto segue:
Art. 7. «Il Generale Giuseppe La Masa — propugnatore nel 1848 e martire della rivoluzione Siciliana — esule incorrotto e leale — alla riscossa Sicula del 1860, impugnò il suo fucile del 12 gennaio, seguì Garibaldi all’ardua impresa dell’unità Italiana sotto lo scettro di Vittorio Emanuele. Guidò in Gibilrossa le schiere fortunate — i cacciatori dell’Etna — in gran parte raccolte dalla Città e Distretto di Termini, che li provvide di armi, munizioni e denaro; con esse alla testa seguendo l’Eroe dei due emisferi — entrò in Palermo vittorioso il 27 maggio 1860 — disfece l’immenso stuolo dei Regii — accorse poscia e in Capua a debellarli e respingerli.
«All’eroico Generale Giuseppe La Masa laude e fama non peritura.
«La Città di Termini, sua patria, gli conserva affetto grande «ed ossequioso.
«Il Consiglio Civico, fedele interprete dei sentimenti della patria, gli tributa questi omaggi, e
Delibera
«1° Che apposita lapide in marmo nell’aula del Consiglio contese sti le glorie di quel distinto cittadino e guerriero.
«2° Il Municipio, dalla cassa della Comune, sosterrà la spesa.
«Tutto è deliberato»nel giorno, mese ed anno di sopra».
Il Vice-Presidente
Sacerdote Giuseppe Scialabba Gullo
Il Segretario
Rosario Balsamo.
{Bollato).
Torino, 27 marzo 18621
Nell’accusarle ricevuta del foglio ministeriale in data 25 marzo vengo a protestarmi contro l’ingiustizia inqualificabile contenuta nelle risoluzioni di cui TE. V. mi parla.
Ho bisogno colla massima sollecitudine della comunicazione dei verbali dettagliati delle Commissioni che mi riguardano, dei giudizi e dei considerandi, non che dell’invito ministeriale con cui le commissioni furono convocate.
Voglio sperare che l’E. V. non abbia letto per mancanza di tempo gli antecedenti e quindi sia ignara dell’ingiustizia che si vuol commettere.
Ai differenti Ministri della Guerra, cangiatisi in questi diciotto mesi, verbalmente, in iscritto, e coi documenti ho ripetutamente provato che una tr. ama infernale contro di me esisteva nel Comando Generale dell’Armata Meridionale. Dissi che il Generale Sirtori ne era il Capo e provai al Ministro in diverse occasioni che il Generale Sirtori per calcolo mentiva, nell’informare falsamente sul mio conto il Ministero e la Commissione di scrutinio; come V. E. può rilevare dalla mia risposta scritta al Ministero dietro la comunicazione del parere della Commissione di scrutinio, esaminandola con tutte le altre carte ove non rabbia ancora letta.
Dichiaro all’E. V. schiettamente, che sono deciso in ogni modo di venire al chiaro di tante tenebrose mene.
Le unisco un mio libro ed alcuni fogli di un secondo volume non ancora finito di stampare; e mi perfetto di segnarle le pagine ch’io desidero ch’Ella specialmente osservi. Vedrà ch’io già parlai chiaro pubblicamente circa al Sirtori e compagni; né esso né altri rispose, né confutò quanto io dissi, appoggiandomi ai fatti e ad innumerevoli ed irrefragabili documenti.
Io combattei i miei nemici apertamente e da uomo senza paura e senza misteri, quale sono: i miei nemici scelsero invece le tenebre, e il ferirmi dietro le spalle.
Ma oggi è tempo, ovunque siansi nascosti, che sortano all’aperto, si conosca quanti sono, e chi sono. Nell’interesse dell’onor mio ed in quello della Nazione sento il dovere come Deputato di smascherare la setta che si collega a combattere gli uomini onesti — il Cielo sa per quali fini.
Sono sicuro che l’E. V. non disdegnerà di porgere a vantaggio della giustizia quell’aiuto che merita la causa solenne ch'’ io difendo.
E perciò caldamente prego la di lei cortesia a volermi spedire al più presto possibile copia dei giudizi, dei considerandi e dei verbali suddetti per le ragioni che sopra accennai.
Generale G. La Masa, Deputato.
A S. E.
Il Sig. Ministro della Guerra.
Torino, addì 30 marzo 1862.
Nello accusare ricevuta a V. S. del suo foglio di ieri mi giova informarla che ho esaminato attentamente tutto il voluminoso incartamento che la riguarda, prima di indirizzarle il dispaccio in data 25 corrente, n° 2045.
Relativamente poi alla domanda che V. S. mi fa di aver comunicazione dei giudizi, dei considerandi e dei verbali della Corte d’onore e della Commissione mista di membri dei Comitati delle varie Armi che ebbero a pronunciare sulla S. V., devo soggiungerle che io non so se debba tenermi a ciò autorizzato e che prima di adottare una decisione in proposito credo opportuno ricorrere a consulti legali riserbandomi di farle più tardi un riscontro in proposito.
Il Ministro
A. Pbtitti.
All’Onorevole Signore
Sig. Giuseppe La Masa
Deputato al Parlamento Nazionale,
Torino.
S. Maria di Capua, 19 settembre 1860.
Al servizio degli avamposti, contro i baluardi borbonici, ho ripreso il comando de’ Cacciatori dell’Etna; e voi, soldati della patria, che primi innalzaste la bandiera del vero risorgimento Italiano, avete occupato non solo le posizioni, ma ricacciato fin dentro le mura del loro covile le orde del despota.
Il 2° battaglione La Porta condotto stamane sotto gli occhi miei col massimo valore dal proprio comandante e dal maggiore Mistretta, caricando per ben due volte alla baionetta il nemico, che stendevasi di fronte e di fianco alla strada Consolare, in meno di un quarto d’ora lo respinse dalle posizioni occupate nei boschi e nella stazione della ferrovia fin sotto le bocche della propria artiglieria.
Oggi poi, tuttoché faticato, s’inoltrò nuovamente con due compagnie del battaglione Corrao verso il campo esterno di Capua, e fulminò la cavalleria e i cacciatori fino ai ripetuti ordini di ritirata.
Il 1° battaglione Corrao comandato dal maggiore Trasselli, che lasciai io stesso in sostegno dei cannoni, e ch’era esposto più di ogni altro alla mitraglia de forti, protesse solo, fino al completo, la ritirata del battaglione La Porta, con tal ordine e sangue freddo da meritare l’elogio di soldati provetti al pari de’ loro compagni di patriottismo e di guerra.
Godo ancora nell’accennare in quest’ordine del giorno la bravura del colonnello Corrao, spiegata il giorno 17, che con una sola compagnia del suo reggimento sostenne l’ardire d’altra compagnia dei nostri che erasi spinta contro gli avamposti del nemico, e seppe ricacciare entro Capua la fanteria e cavalleria regia che avanzavasi.
Oggi poi con due sole compagnie, quarta e quinta, il medesimo comandante sostenne con ammirabile fermezza contro gli assalti della cavalleria e della linea regia, a duecentocinquanta metri dall’artiglieria nemica, la posizione detta La Catena che trovasi alla estrema destra.
Con questi soldati il combattere non è fatica, ma una gioia. È solo dolore il vedersi costretti ancora a rivolgere le armi contro soldati Italiani; — ma ciò terminerà fra breve, — e siamo lieti dall’idea di poter fra non guari spingere le armi d’Italia riunite nei campi del Veneto contro l'invasore straniero. Viva l'Italia una, viva Vittorio Emanuele, viva il Dittatore Garibaldi.
Firmato G. La Masa.
L’articolo da voi inserito nel vostro giornale, n.° 195, intitolato Un Libro di La Masa su La Masa, ci ha veramente sorpresi nel vedere che un uomo tal quale è stato, e tal quale è il nostro bravo patriota Generale La Masa, venga si leggermente esposto al pubblico da un anonimo del vostro giornale, come un non so che sorta di uomo.
Sig. Direttore, Giuseppe La Masa è amato, apprezzato, e per cosi dire, adorato dai suoi Siciliani, e sapete il perché?
1° Perché la sua onestà è proverbiale in Sicilia, e dappertutto dove esso è conosciuto.
2° Come patriota noi crediamo che dopo Garibaldi può anco nominarsi La Masa.
Finalmente è tal uomo che non solo ha esposto sempre in svariati pericoli la propria vita, ma anco ha speso le sue sostanze nell'interesse di questa benedetta Italia ancora martoriata dagli invidiosi, i quali colle loro vili calunnie cercano di disgustare i buoni, per così perdere r ben fatti che si sono ottenuti finora di tanto sangue sparso.
Noi ci sentiamo nell’obbligo di dire, dopo d’aver letto ed esaminato il libro di La Masa, ch'è esatto tutto quanto espone, e che se è un pochino vero che La Masa parla di lui, deve ciascuno però osservare che dopo quello che La Masa ha sofferto ed ha fatto ne parli ancor poco, e malgrado suo, come egli ben lo dichiara, ché a quella pubblicazione fatta da lui venne appunto costretto da coloro che rassomigliano al vostro cosi detto «Ultimo dei Mille».
Vi preghiamo, sig. Direttore, a voler pubblicare nel vostro periodico questa nostra formale dichiarazione.
Nicolò Pelaez, sottotenente — Pasquale Pietro, uno dei mille. — — Barbieri Gerolamo, uno dei mille. — Prina Luigi, uno dei mille.
Di Giuseppe Gio. Battista, uno dei mille. — Antonino Vianni, uno dei mille. — Mario Pistoia, fino dei mille. — Rocco Morgante, capitano, uno dei mille. — Lodovico conte Dandolo, uno dei mille. — Ernesto Berti, uno dei mille. — Valeriano Perelli, capitano, uno dei mille. — Felice Luigi Olivieri, capitano — Felice Caratozzolo, chirurgo di battaglione — Francesco Barbera — Antonino Cocilovo Cristoforo Muratori — Antonino Romano.
A me sottoscritto consta essere il signor La Masa il più insistente presso il Generale Garibaldi per eseguirsi la spedizione in Sicilia.
Giuseppe Vergara Graco, maggiore.
Io sottoscritto, oltre a quanto sopra si dice anche dal sig. Vergara, credo pure poter asserire, che senza il suo campo a Gibilrossa poteva la spedizione di Garibaldi molto soffrire.
G. Di Giuseppe, capitano, uno dei mille.
Giuseppe Briganti — Ottavio Pareto — Salvatore Coglitore.
sottoscritto sul mio onore e coscienza attesto che l'organizzamento dei sei mila uomini al campo di Gibilrossa, fu solo opera di La Masa.
Giovanni Leone, maggiore.
Giovanni Sciacchitano, maggiore — Àchile d’Angelo — Gerolam» Mondini — Francesco Palmigiano, per la vita — Bernardo Sabbatino — Biagio Gattuso — Gandolfo Colla — Lorenzo Sortino — Santo Valentino — Rosario Frangipane, capitano.
Il sottoscritto si pregia di attestare altamente di conoscere pochi patrioti italiani, che sin dalla prima giovinezza, e molto più del 1847 al 1860 siansi distinti nella causa italiana, quanto il Generale La Masa per tenaci proponimenti, per cieco disinteresse, per islancio e coraggio, e per completa abnegazione.
Dott. Domenico Denaro
ex medico div della 17ma Divisione.
Francesco Osmundo, ex luogotenente di Stato-Maggiore — Diodato Costa, maggiore — Giacomo Fiore, luogotenente — Carlo Trasselli, maggiore — Emanuele Bisignani, maggiore — Francesco Sidoti — Sebastiano Corso — Pietro Corso — Maisano Antonino, tenente — Marchelli Bortolomeo, tenente, uno dei mille — Buffa Emilio — Civile, due dei mille — Giovanni Caruso.
Qui trascrivo uno degli Indirizzi pubblicati nei giornali italiani che ho dimenticato d’inserire nei volumi suaccennati, e nei documenti.
Mi è caro di cogliere quest’occasione per raccomandare agli onorevoli Deputati il mio progetto di legge, che ha rapporto con questo indirizzo e che fra giorni verrà discusso alla Camera.
Sedendo Voi al Parlamento Italiano, avete rinnovato uno degli antichi esempii mostrandovi valoroso e benemerito cosi nei tempi della guerra, che in quelli dalla pace, sempre difenditore della Patria e della giustizia, sia con la spada, sia col consiglio.
Noi siamo altieri di aver pugnato al vostro fianco per la indipendenza della patria nelle memorande giornate del 1848, e del 1860; ed abbiamo in Voi riconosciuto uno di quei magnanimi, che perseverando contro le insidie delle tirannidi, ed anteponendo alle ricchezze ed agli onori il sacrificio e l'esilio, hanno affrancato l’Italia dal servaggio.
Noi nella varietà delle vicende vedemmo con indifferenza che la fortuna non era sempre giusta compensatrice, e che talora ai migliori si toglieva anche il dritto a sperare, sicché non ci rimaneva a conforto che Tallo sentire della coscienza, ed il suffraggio di quei sommi che, di animo incorrotto, amano la virtù da per se stessa.
Noi due volte offrimmo alla patria i nostri petti, e se la provvidenza ci serbò la vita, noi le siamo doppiamente obbligali, perché anche illesa da vita ci diè forza a serbarla.
Noi eravamo dimenticati, e quel ch''è più, ridotti a far umile paragone con coloro che seguendo i nostri passi erano saliti ad insperata ventura, e tuttavia tacemmo amando più presto di essere, che di comparir cittadini degni di Garibaldi e di Voi.
Noi avevamo deposto ogni speranza, e sopportavamo rassegnali l’ingratitudine del silenzio, quando apprendemmo che Voi, nulla curando i vostri gloriosi titoli, vi slanciaste a vendicarci dell’oblio, ed a chiamare l'attenzione del Parlamento e dell’Italia sopra di noi.
Fu allora che restammo sorpresi e commossi come di una nuova vittoria.
Sia qualsivoglia l’evento delle nostri sorti, a noi è più caro di qualunque premio il vostro splendido ricordo, la nobile vostra estimazione, Tessere da Voi dichiarati benemeriti della patria al cospetto del mondo.
Ai tanti dritti che avete alla nostra riconoscenza, piacciavi ora aggiungere quello di farvi interprete dell’animo nostro, verso gli altri prestanti Deputati, che secondando il nostro voto, si fecero generosi sostenitori della causa nostra.
Noi fedeli a’ nostri principi, ripeteremo sempre le parole del sommo Garibaldi e vostre, viva Italia e Vittorio Emanuele, nelle nelle quali è la nostra fede, ed il nostro avvenire.
Pietro Vanni principe di S. Vincenzo — Carlo Ventimiglia principe di Grammonte — principe Muzio Spatafora — Francesco Quaranta barone di S. Venera — cavaliere Mario Trigona — Giovanni Adamo — Giovanni Mazza — Martino Candela — Giuseppe Agate — Simone Pegnataro — Bartolomeo Milone — cav. Francesco di Maria — Mario Poma — Filippo Orfanelli — Domenico Sciclf —r Stefano Rizzo — Francesco Coglitore — Antonino Filogamo — Alessandro Borgia — Antonino Pignataro — Giuseppe Dimarzo — Antonino Orfanelli — Francesco Palmigiano — Andrea Balistreri — Filippo Lainusa — Nicolò Prasso — Giuseppe Carrara — Vincenzo Biondi — Gaetano Greco — Francesco Barbalunga — Angelo LoVico — Onofrio Costantino — Federico Lanza — Carlo LoIacono Cosmo Marchioni — cav. Giuseppe Pescia — Luigi Orfanelli — Francesco Lombardo — Eduardo Insegna — cav. Ignazio Pescia— Giacomo Di Diasi — Michelangelo Di Grazia — Giuseppe De Luca Domenico Velia — Dr. Giovanni La Manna — Salvatore Messere Cardio — Gaetano Brusolese — Antonino Colina — cav. Luigi Vesara — Giovanni Leone — cav. Stefano Mira.
A questo ed agli altri indirizzi che si compiacquero di rivolgermi gli Uffiziali Siciliani del 48 che militarono nel 60 non ho ancora risposto. Il perché è semplice, ma doloroso a dirsi.
Coll'intorbidar e la questione che mi riguardala Camarilla ha per iscopo di confondere ed umiliare la gloria dei Siciliani del 48 e del 60, e con ciò togliere la riconoscenza che deve la Nazione ai loro fatti, ed il rispetto iv loro diritti.
Questo, piuttosto che ai miei compagni d’armi, ho scelto meglio dirlo ai Deputati del Parlamento Nazionale perché impediscano che si compia un’altra scandalosa ingiustizia su coloro che furono i primi campioni delle istituzioni liberali che oggi ci governano.
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